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QUARK agosto 2006 IL PUNTO DELLA RICERCA SULLE DIFFICOLTÀ DI LETTURA Bambini che leggono e scrivono m modo diverso. Sono dislessia. Il loro problema è nel cervello, però non è chiaro dove il circuito s'inceppa. Ed è ereditario, ma non si sa quali siano i geni coinvolti. Eppure nei laboratori... DI I V A N A Z INGRIELLO Chi pensa che leggere sia un at- to semplice e scontato si sba- glia di grosso. La lettura, in realtà, è un'abilità complessa, che la maggior parte delle per- sone apprende nei primi anni di scuola elementare e poi esercita automaticamente per tutta la vita. Per altre persone la conquista di questo automatismo è, invece, un'impresa difficile, se non impossibile: quando leggono una lettera o una parola sono costretti a "scoprirla" come se fosse la prima volta, procedono in modo lento e stentato, fanno errori, restano indietro pur avendo impegnato tutte le energie, si stancano e non capisco- no ciò che leggono. Il problema si chiama dislessia evoluti- va, definita dall'lnternational Dyslexia Association come una «disabilità del- l'apprendimento di origine neurobiolo- gica» che si manifesta, appunto, con una difficoltà di lettura, a cui si asso- ciano problemi di scrittura, di calcolo o di linguaggio (vedi box qui sotto), in soggetti intelligenti e sani. Il disturbo, contrariamente a quanto si pensa, non riguarda solo i bambini ma una buona parte delle persone che non hanno mai imparato a leggere correttamente e può, quindi, essere diagnosticato sia in età scolare sia da adulti. Quando, inve- ce, la sindrome è causata da un danno cerebrale in soggetti che leggevano normalmente prima dell'incidente, si parla di dislessia acquisita. I BINARI DELLA RICERCA Si stima che in Italia dal 3 al 5% della popolazione sia affetto da dislessia evolutiva. E dire che siamo fortunati perché la lingua italiana ha un'ortogra- fia facile, a ogni segno corrisponde un solo suono. Nei Paesi anglosassoni i dislessici sono più numerosi, dall'8 al 15%, per via della corrispondenza ir- regolare fra segno e suono: la lettera a, per fare solo un esempio, si pronun- cia in almeno sei modi diversi! Ma qual è la causa di questa anomalia che sembra non abbia risparmiato neppure i grandi della storia, come Leonardo, Einstein, Picasso? Gli scienziati da anni stanno cercando di dare una risposta muovendosi su due fronti: da una parte capire quali sono le funzioni cerebrali coinvolte e in che modo agiscono sul disturbo, dall'altra scoprirne le origini più remote. «La risposta è ancora chiusa nel cer- vello, in particolare nelle zone dell'e- misfero sinistro deputate al linguaggio e alla lettura», risponde Eraldo Paule- su, professore di Psicologia fisiologi- ca all'Università Bicocca di Milano e autore di molti studi in materia tra cui uno in corso, mirato proprio a verifi- care le ipotesi teoriche del deficit » SI PARLA DI: IRCCS "E. MEDEA" PAG. 1

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QUARK agosto 2006

IL PUNTO DELLA RICERCA SULLE DIFFICOLTÀ DI LETTURA

Bambini che leggono e scrivono m modo diverso. Sono dislessia. Il loroproblema è nel cervello, però non è chiaro dove il circuito s'inceppa.

Ed è ereditario, ma non si sa quali siano i geni coinvolti. Eppure nei laboratori...DI I V A N A Z I N G R I E L L O

Chi pensa che leggere sia un at-to semplice e scontato si sba-glia di grosso. La lettura, inrealtà, è un'abilità complessa,che la maggior parte delle per-sone apprende nei primi anni

di scuola elementare e poi esercitaautomaticamente per tutta la vita. Peraltre persone la conquista di questoautomatismo è, invece, un'impresadifficile, se non impossibile: quandoleggono una lettera o una parola sonocostretti a "scoprirla" come se fossela prima volta, procedono in modolento e stentato, fanno errori, restanoindietro pur avendo impegnato tuttele energie, si stancano e non capisco-no ciò che leggono.Il problema si chiama dislessia evoluti-va, definita dall'lnternational DyslexiaAssociation come una «disabilità del-l'apprendimento di origine neurobiolo-gica» che si manifesta, appunto, con

una difficoltà di lettura, a cui si asso-ciano problemi di scrittura, di calcolo odi linguaggio (vedi box qui sotto), insoggetti intelligenti e sani. Il disturbo,contrariamente a quanto si pensa, nonriguarda solo i bambini ma una buonaparte delle persone che non hanno maiimparato a leggere correttamente epuò, quindi, essere diagnosticato sia inetà scolare sia da adulti. Quando, inve-ce, la sindrome è causata da un dannocerebrale in soggetti che leggevanonormalmente prima dell'incidente, siparla di dislessia acquisita.

I BINARI DELLA RICERCASi stima che in Italia dal 3 al 5% dellapopolazione sia affetto da dislessiaevolutiva. E dire che siamo fortunatiperché la lingua italiana ha un'ortogra-fia facile, a ogni segno corrisponde unsolo suono. Nei Paesi anglosassoni idislessici sono più numerosi, dall'8 al

15%, per via della corrispondenza ir-regolare fra segno e suono: la letteraa, per fare solo un esempio, si pronun-cia in almeno sei modi diversi!Ma qual è la causa di questa anomaliache sembra non abbia risparmiatoneppure i grandi della storia, comeLeonardo, Einstein, Picasso? Gliscienziati da anni stanno cercando didare una risposta muovendosi su duefronti: da una parte capire quali sonole funzioni cerebrali coinvolte e in chemodo agiscono sul disturbo, dall'altrascoprirne le origini più remote.«La risposta è ancora chiusa nel cer-vello, in particolare nelle zone dell'e-misfero sinistro deputate al linguaggioe alla lettura», risponde Eraldo Paule-su, professore di Psicologia fisiologi-ca all'Università Bicocca di Milano eautore di molti studi in materia tra cuiuno in corso, mirato proprio a verifi-care le ipotesi teoriche del deficit »

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» «Sappiamo che la dislessia è una di-sabilità di origine neurobiologica, le-gata a piccole anomalie anatomichecerebrali. Tuttavia non si è d'accordosu quale sia l'anomalia funzionale re-sponsabile dei sintomi. Forse faremoun passo avanti quando avremo ap-profondito le conoscenze sui mecca-nismi della lettura normale», precisaPaulesu. La lettura non è un'operazio-ne facile e automatica come sembra.In realtà è il risultato di un processomentale molto complesso, che ri-chiede l'organizzazione di diversefunzioni, che vanno dall'analisi visivadel simbolo ortografico alla capacitàdi distinguere i fonemi (i suoni sempli-ci che costituiscono le parole), dallaabilità di decodifica (saper associarela lettera al suono corrispondente) allacapacità di memoria a breve termineper ricordare la sequenza di segni esuoni, all'attenzione necessaria perfocalizzare le lettere. È dunque diffici-le capire dove il meccanismo si in-ceppa nel cervello dei dislessici. Tan-to più che il deficit si esprime in modovariabile da un soggetto all'altro.

Negli ultimi anni sono stati condottinumerosi studi con tecniche di neu-roimmagini, come la Risonanza ma-gnetica funzionale, che consente divedere il cervello al lavoro e rilevare lelesioni anche lievi durante lo svolgi-mento di un compito, che nel caso deidislessici consiste in test di lettura:sono emerse varie ipotesi sulle fun-zioni implicate.

VERSO UNA TEORIA UNICALa teoria prevalente è quella del "pro-cessamento fonologico" evidenziatadalla psicologa inglese Uta Frith. Laquale descrive la dislessia come unadifficoltà a distinguere i suoni corri-spondenti alle lettere scritte e quindidi associarli. «Un'ipotesi che, però,non spiega tutte le altre anomalie checompongono il complesso quadrodella sindrome», precisa Paulesu.In alternativa si è formulata la teoriamagnocellulare, ovvero del deficit diuna parte del sistema visivo in cui so-no coinvolte le magnocellule, i neuroniche controllano lo stimolo visivo.Una terza ipotesi chiama in causa

un'anomalia di una funzione del cer-velletto che impedisce l'automatismodella lettura. «L'obiettivo del nostro la-voro, basato sul confronto fra soggettisani e dislessici con test specifici esedute di risonanza magnetica funzio-nale, è di verificare se queste tre teorieanziché essere in conflitto si possonoconciliare. Vogliamo insomma capirese in un dislessico coesistono altera-zioni di vario livello riconducibili a tuttee tre le ipotesi o se, invece, c'è un de-ficit centrale. La speranza è di poterispirare in futuro terapie riabilitativemirate e più efficaci», dice Paulesu.Quale che sia la causa, gli scienziatisono comunque certi che le difficoltàdei dislessici dipendono da una ca-renza di neuroni che interrompe o ral-lenta la connessione tra le aree depu-tate alla lettura (vedi tavola sotto).«È a causa di quest'alterazione che ildislessico legge in modo diverso,omette le consonanti o scambia la bcon la d, la p con la b, la d con q an-che se le ha viste un milione di volte»dice Giacomo Stella, presidente del-l'Associazione italiana della dislessia e »

La strada della lettura nel cervello

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Secondo la studiosa Uta Frith,del College University of London,i bambini apprendono la letturaattraverso 4 fasi, passando da unatotale ignoranza dei rapporti tralinguaggio orale e scrittoall'automatizzazione dei processidi lettura. Il mancato raggiungimentodi uno di questi stadi darebbe originealla dislessia evolutiva nella suavariabilità.

1Stadio logografico. Coincide conl'età prescolare. Il bambino

riconosce e legge alcune parolein modo globale, senza conoscenzeortografiche né fonologiche.

2Stadio alfabetico. Il bambinoimpara a discriminare le varie

lettere e sa operare la conversionegrafema-fonema (simbolo-suono). Selo sviluppo si arresta in questa fase sidice che la dislessia o fonologica.

3Stadio ortografico. Man manoil meccanismo di conversione

grafema-fonema si fa più articolato,il bambino e capace di leggere suonicomplessi (sillabe) e la lettura diventapiù veloce. Se l'apprendimento dellalettura si ferma in questa tappa,si parla di dislessia superficiale.

4Stadio lessicale. Il bambinoriconosce in modo diretto

le parole perché ha formato unvocabolario lessicale che gli permettedi leggere le parole senza recuperareil fonema (suono) associatoa ogni grafema (simbolo o lettera).In pratica ha conquistatol'automatismo.

» pioniere negli studi in questo campo inItalia. «Sono tutti inutili i rimproveri cheinsegnanti e genitori riversano sul ra-gazzo del tipo "non impara perchénon si impegna". Il suo cervello fun-ziona in modo diverso e, per ora, nonsi può cambiare. Questa diversità ègeneticamente programmata».

CACCIA AL GENEChe la dislessia sia un disturbo con-genito è noto da tempo. Gli studi con-dotti su famiglie e gemelli ne hannoconfermato la trasmissione nell'ambi-to familiare. Tuttavia non è ancorachiaro quali sono i geni coinvolti e co-me agiscono. Il gruppo di studiosi ita-liani dell'Istituto Scientifico EugenioMedea di Bosisio Parini (Lecco) e del-l'Università Vita-Salute San Raffaele diMilano, ha confermato il coinvolgi-mento del cromosoma 15: un'area delgenoma che, secondo quanto emersodalla ricerca italiana, influenza la dis-lessia indipendentemente dai Paese incui il bambino vive e dalle caratteristi-che grammaticali della lingua. «Nonsiamo, però, riusciti a dimostrare che ilcromosoma 15 sia sufficiente da soloa determinare il quadro eterogeneodel disturbo» dice Cecilia Marino, cheha guidato la squadra lombarda. «Pro-babilmente a determinare la sindromeconcorrono geni diversi, che stiamocercando di scoprire».Studi paralleli stanno concentrandol'attenzione su altre aree cromosomi-che, in particolare sul cromosoma 6,dove ricercatori della Yale Universityhanno individuato il gene DCDC2

quale responsabile dell'alterazionedei circuiti neurali che presiedono al-l'abilità linguistica. Sempre in que-st'area, due squadre inglesi hannopuntato il dito sul gene KIAA0319,che pare coinvolto nella programma-zione dell'architettura delle vie neura-li. Ma la caccia resta ancora aperta.

SI PUÒ MIGLIORARESe allora la dislessia è ereditaria, vuoidire che non si può curare? «Dalla dis-lessia non si guarisce» risponde Enri-co Profumo, neuropsicologo all'Azien-da Ospedaliera San Paolo di Milanoed esperto in problemi specifici dellinguaggio, «ma come tutti i disturbicostituzionali si può modificare con iltempo e a seconda degli interventiadottati. Un difetto visivo si compensacon gli occhiali, un piede piatto con ilplantare, la dislessia con una serie diaiuti specifici, tenendo conto che pri-ma la si riconosce meglio si può agiresulle difficoltà del bambino. La dia-gnosi dovrebbe essere fatta entro gli 8anni». Dopodiché non si deve osses-sionarlo perché aumenti la velocità dilettura o la correttezza della scrittura.«Bisogna puntare sul suo processo diapprendimento e aiutarlo a organiz-zarsi nelle attività scolastiche», riferi-sce Profumo. Il computer oggi offregrandi opportunità: per migliorare lascrittura c'è il correttore automatico eper supplire alla lettura ci sono soft-ware didattici con sintesi vocale, testie romanzi registrati su ed, mentre iproblemi di calcolo si risolvono con lacalcolatrice.

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