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Capitolo Secondo I GRANDI AUTORI: GIOVANNI BOCCACCIO 75 RECENSIONE D’AUTORE Il pubblico del Canzoniere Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono di quei sospiri ond’io nudriva ’l core Il rapporto che il Canzoniere istituisce col suo pubblico, emblematizzato da quel pro- nome (Voi) che lo nomina da una sede tanto importante, può essere un buon punto di avvio per la nostra ricerca. Nel rapporto col pubblico sta infatti una delle maggiori innovazioni della poesia petrarchesca, una di quelle che hanno segnato il corso della lirica europea. Il testo petrarchesco si rivolge ad un uditorio privo di caratterizzazioni sociali o culturali o ideologiche: non è una cerchia aristocratica né un pubblico borghe- se, non un gruppo di «scuola», né una udienza specializzata (le donne o i «fedeli d’amo- re»). L’unico requisito che il testo sembra richiedere al proprio lettore è quello di essere tale, di «ascoltare». È forse la prima volta nell’epoca moderna che la poesia lirica si rivolge a un pubblico non preselezionato. Sicuramente, rispetto alle condizioni due- centesche, anche alle più «aperte», Petrarca ipotizza e richiede un’udienza molto più vasta, tendenzialmente universale. Mentre dunque la prassi poetica duecentesca appa- re strettamente legata ad una specifica referenza sociale, la poesia del Petrarca sembra non volersi rapportare a nessun referente determinato. A questo pubblico indifferente Petrarca propone una storia d’amore, la sua personale storia d’amore. Una storia però che è anche un itinerario spirituale e in quanto tale un itinerario simbolico, suo e di tutti, individuale ed esemplare. È ovvio allora che un testo di morale cristiana si rivolga ad un pubblico universale: una vicenda di salvazione […] non può rinchiudersi entro confini socialmente determinati. M. Santagata [da Dal sonetto al canzoniere, Liviana, Padova 1979] 3. GIOVANNI BOCCACCIO: IL PRIMO AFFABULATORE 3.1 La vita Sulla biografia di Boccaccio, ancora oggi, sussistono numerose in- certezze dovute alla penuria di dati documentari. Permangono dubbi innanzitutto sulla data e sul luogo di nascita: lo scrittore nacque probabilmente nel 1313, forse a Certaldo o a Firenze; è certo, invece, che fosse figlio illegittimo, poi riconosciuto, del mer- cante Boccaccio di Chellino. Trascorse l’infanzia e i primi anni del- l’adolescenza a Firenze, dove fu istruito da Giovanni da Strada, padre del poeta Zanobi. In seguito Boccaccio di Chellino, che de-

Il pubblico del Canzoniere - simone.it · con gli ambienti frequentati da Dante negli ultimi anni della sua vita. ... famiglia dell’Alighieri a causa del suo esilio. ... A differenza

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Capitolo Secondo � I GRANDI AUTORI: GIOVANNI BOCCACCIO75

RECENSIONE D’AUTORE

Il pubblico del Canzoniere

Voi ch’ascoltate in rime sparse il suonodi quei sospiri ond’io nudriva ’l core

Il rapporto che il Canzoniere istituisce col suo pubblico, emblematizzato da quel pro-nome (Voi) che lo nomina da una sede tanto importante, può essere un buon punto diavvio per la nostra ricerca. Nel rapporto col pubblico sta infatti una delle maggioriinnovazioni della poesia petrarchesca, una di quelle che hanno segnato il corso dellalirica europea. Il testo petrarchesco si rivolge ad un uditorio privo di caratterizzazionisociali o culturali o ideologiche: non è una cerchia aristocratica né un pubblico borghe-se, non un gruppo di «scuola», né una udienza specializzata (le donne o i «fedeli d’amo-re»). L’unico requisito che il testo sembra richiedere al proprio lettore è quello di esseretale, di «ascoltare». È forse la prima volta nell’epoca moderna che la poesia lirica sirivolge a un pubblico non preselezionato. Sicuramente, rispetto alle condizioni due-centesche, anche alle più «aperte», Petrarca ipotizza e richiede un’udienza molto piùvasta, tendenzialmente universale. Mentre dunque la prassi poetica duecentesca appa-re strettamente legata ad una specifica referenza sociale, la poesia del Petrarca sembranon volersi rapportare a nessun referente determinato. A questo pubblico indifferentePetrarca propone una storia d’amore, la sua personale storia d’amore. Una storia peròche è anche un itinerario spirituale e in quanto tale un itinerario simbolico, suo e ditutti, individuale ed esemplare. È ovvio allora che un testo di morale cristiana si rivolgaad un pubblico universale: una vicenda di salvazione […] non può rinchiudersi entroconfini socialmente determinati.

M. Santagata

[da Dal sonetto al canzoniere, Liviana, Padova 1979]

3. GIOVANNI BOCCACCIO: IL PRIMO AFFABULATORE

3.1 La vita

Sulla biografia di Boccaccio, ancora oggi, sussistono numerose in-certezze dovute alla penuria di dati documentari. Permangonodubbi innanzitutto sulla data e sul luogo di nascita: lo scrittorenacque probabilmente nel 1313, forse a Certaldo o a Firenze; ècerto, invece, che fosse figlio illegittimo, poi riconosciuto, del mer-cante Boccaccio di Chellino. Trascorse l’infanzia e i primi anni del-l’adolescenza a Firenze, dove fu istruito da Giovanni da Strada,padre del poeta Zanobi. In seguito Boccaccio di Chellino, che de-

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siderava avviare il figlio all’arte della mercatura e del cambio, quando ebbe l’incaricodi rappresentare la potente banca fiorentina dei Bardi presso gli Angioini, condusseGiovanni con sé a Napoli. Gli anni vissuti nella capitale angioina ebbero un ruolo fon-damentale nella formazione di Boccaccio: fu un periodo ricchissimo di esperienze acontatto con l’ambiente di corte, che egli poté frequentare grazie alla rilevante funzio-ne svolta dal padre. Proprio in questi anni maturò la vocazione letteraria e compose lesue prime opere. A Napoli, inoltre, conobbe la donna che nei suoi scritti chiameràFiammetta, con la quale ebbe forse una storia d’amore. La giovane è da identificaremolto probabilmente con Maria d’Aquino, figlia illegittima di Roberto d’Angiò, maFiammetta, nell’universo letterario boccacciano, acquista un valore simbolico che tra-scende la persona reale e diventa figura intorno alla quale si condensano le diverseesperienze sentimentali dello scrittore. Il periodo napoletano, che sarà ricordato sem-pre con intensa nostalgia dall’autore, s’interruppe tra il 1340 e il 1341, quando, per ledifficoltà finanziarie del padre, Giovanni fu costretto a ritornare a Firenze. Negli anniimmediatamente successivi fu prima a Ravenna e poi a Forlì, venendo così a contattocon gli ambienti frequentati da Dante negli ultimi anni della sua vita.Boccaccio rientrò a Firenze nel 1348, quando la città fu dilaniata da un’epidemia dipeste che produsse vittime anche tra le persone più care all’autore: il padre e alcuniintellettuali suoi amici. Questa drammatica esperienza lasciò una traccia indelebile inlui, diventando lo sfondo della sua più nota e importante opera, il Decameron. Intan-to Giovanni acquisiva sempre più prestigio nella città di Firenze e iniziò a ottenereincarichi di rilievo. Nel 1350 fu mandato a Ravenna con il compito di consegnare allafiglia di Dante dieci fiorini d’oro come risarcimento parziale dei danni subiti dallafamiglia dell’Alighieri a causa del suo esilio. Nello stesso anno conobbe Francesco Pe-trarca con il quale instaurò un profondo e duraturo rapporto di amicizia.Nel 1355 si recò a Napoli con la speranza di assumere la carica di segretario; ma talepossibilità, tanto vagheggiata poiché gli avrebbe permesso di vivere nella città doveaveva trascorso il periodo più felice della sua vita, non si realizzò. Durante il soggiornonapoletano, tuttavia, poté frequentare la Biblioteca di Montecassino e scoprire i ma-noscritti di Varrone, Tacito e Apuleio. Tornato a Firenze, s’impegnò, spinto dall’amoree dall’interesse sempre più forti per i classici e la filologia (→ Glossario), a far inserirenello Studio fiorentino l’insegnamento del greco. Intanto Boccaccio aveva preso gliordini minori e nel 1360 ottenne l’autorizzazione alla cura delle anime. Nello stessoanno fu allontanato dalle cariche pubbliche a causa di un tentativo di colpo di Statonel quale furono coinvolti alcuni suoi amici. Lasciata la casa di Firenze, si ritirò a Cer-taldo e trascorse il suo tempo dedicandosi agli studi eruditi e incontrando a volte l’ami-co Petrarca. In questo periodo fu nuovamente a Ravenna e a Napoli e, in seguito, riam-messo agli incarichi pubblici, compì missioni diplomatiche ad Avignone e a Roma.Negli ultimi anni della sua vita continuò un’intensa attività di studi, interrotta spessoda problemi di salute. Le sue incerte condizioni lo costrinsero anche ad abbandonarel’incarico, affidatogli dal Comune di Firenze nel 1373, di eseguire la lettura pubblicadella Commedia di Dante nella Chiesa di S. Stefano di Badia. Ritiratosi a Certaldo eangustiato da difficoltà economiche e angosce morali, morì il 21 dicembre del 1375.

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3.2 Il profilo letterario

Con Boccaccio giunge a piena maturazione il processo, avviato da Petrarca(→ I grandi autori), di interpretazione ed espressione dei temi e dei valori diuna società nuova, affiancato dal recupero in chiave nostalgica degli idealicortesi. Figlio di un mercante, Boccaccio proveniva dall’ambiente pratico eindustrioso della borghesia mercantile fiorentina, ma a Napoli, frequentan-do la corte angioina, aveva scoperto un modello di vita raffinata e colta. Inlui coesistono vecchio e nuovo: è già uomo dell’Umanesimo (→ Parte Secon-da, Panoramica storico-culturale), ma mantiene alcune caratteristiche del-l’intellettuale del Medioevo; è portavoce della nuova visione del ceto mer-cantile, ma non disperde le eredità culturali ed espressive della tradizionearistocratica e cavalleresca.

La formazione culturale a Napoli e a Firenze La corte angioina offriva al gio-vane Boccaccio continui stimoli. Nella ricca biblioteca di corte, fornita di testifrancesi e di opere classiche, l’autore si avvicinò non solo alla produzione cor-tese, ai romanzi cavallereschi e alla lirica (→ Glossario) d’amore, ma anchealla letteratura classica, per la quale iniziò a nutrire grande ammirazione, pri-vilegiando in particolare Ovidio, Virgilio e Stazio. Non si trattava ancora, però,di un approccio di tipo umanistico e rigorosamente filologico, ma di un inte-ressamento libero, spontaneo e disponibile alle più varie suggestioni. Lo scrit-tore guardava, inoltre, ai recenti modelli della letteratura volgare, in primoluogo agli stilnovisti (→ I generi letterari) e a Dante (→ I grandi autori). Egli,dunque, mostra nella sua formazione una notevole diversità di interessi e unatensione allo sperimentalismo, che denotano una mentalità aperta e un carat-tere curioso, desideroso di sapere e fortemente ricettivo.Fondamentale per l’autore fu il ruolo svolto dalla città di Napoli: serbatoioinesauribile di situazioni, contatti e tipi umani, essa spinse il giovane Boccac-cio a guardare la realtà e a scrutarla nella sua infinita varietà, senza pregiudizie senza schemi mentali prefissati. Quando ritornò a Firenze, portò con sé ilricordo di questo mondo vivo e brulicante, conservando la propensione a in-dagare nei molteplici aspetti del reale. A differenza di Petrarca, che era me-diatore di una cultura cosmopolita, Boccaccio appare inserito appieno nellestrutture sociali della città di Firenze, alla cui vita coopera con l’attività politi-ca e diplomatica e della quale non è solo partecipe, ma anche espressione: ilsuo grande capolavoro, infatti, il libro di novelle Decameron, affonda le pro-prie radici nell’esistenza quotidiana della società urbana in cui lo scrittore vive.

L’ideale laico di Boccaccio L’intera opera di Boccaccio risulta intessuta di unafiducia tutta nuova nelle potenzialità dell’essere umano e nelle possibilità

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della ragione di dominare la complessità del reale. Questa fede nell’«industriaumana», in grado di resistere ai bizzarri colpi della Fortuna, deriva dalla men-talità del ceto mercantile, da cui l’autore proviene, ceto che si fece portatoredi una visione fortemente innovativa dei rapporti dell’uomo con la realtà ester-na, giungendo a riscoprire il valore dell’individuo e a rivalutare le capacitàdel soggetto di incidere sul reale e di trasformarlo con il proprio ingegno. Boc-caccio è espressione di un ideale laico e concreto e di una società urbana emercantile che ha riscoperto un atteggiamento più libero nei confronti dellavita, senza però arrivare a negare una visione religiosa dell’esistenza, dal mo-mento che l’uomo, proprio esprimendo appieno tutte le sue qualità e tutte lesue possibilità, non fa altro che testimoniare la presenza di Dio.

La concezione dell’amore Questo spirito squisitamente laico permea anche lavisione boccacciana dell’amore, che assume connotazioni completamente di-verse rispetto alla tradizione stilnovistica, in quanto si configura, anche nelle suepiù nobili manifestazioni, come impeto naturale volto all’appagamento dei sen-si. Il sentimento amoroso è sempre legittimo proprio perché è un istinto natura-le di ogni individuo. Tale concezione dell’amore diventerà dominante nel Rina-scimento, tuttavia non appare del tutto estranea alla cultura medievale che, seda un lato era caratterizzata dalla forte diffusione del pensiero ascetico, teso allamortificazione della carne vista come fonte di peccato, dall’altro non si mostra-va insensibile al carattere “naturale” dell’amore. Nella prospettiva di una conce-zione naturalistica dell’amore, muta profondamente anche il modo di vedere ladonna che, secondo Boccaccio, deve essere libera di poter soddisfare il senti-mento amoroso. Egli auspica un’educazione meno rigida e repressiva di quellaattuata nella civiltà a lui contemporanea, in cui dominava un costume forte-mente patriarcale, che imponeva al sesso femminile una morale restrittiva eun’esistenza interamente sottomessa alla volontà degli uomini.

L’incontro con Petrarca e l’umanesimo boccacciano Avvenuto nel 1350, l’in-contro con il poeta aretino produsse in Boccaccio un profondo mutamento.L’amicizia con Petrarca, infatti, lo indusse a dedicare maggiore attenzione aivalori spirituali e a elaborare una concezione più consapevole dell’impegnomorale dell’attività intellettuale; tale consapevolezza lo spronò ad abbando-nare la letteratura d’intrattenimento, per una produzione di livello elevato, co-stituita da testi di carattere erudito e destinata a un uditorio dotto. Negli ultimianni della sua vita, Boccaccio approdò a una visione più rigida e tradizionali-sta dell’amore e del sesso femminile, tematiche verso le quali, in precedenza,si era mostrato aperto e innovativo. Petrarca, inoltre, stimolò in Boccaccio laformazione di una rigorosa coscienza filologica. Sull’esempio dell’amico, l’au-

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tore del Decameron approdò a uno studio più critico dei classici, amati, comeabbiamo visto, fin dalla giovinezza. A differenza del suo predecessore, però,Boccaccio non sente l’esigenza di confrontare il culto degli antichi con il Cri-stianesimo: il suo è un umanesimo squisitamente e integralmente laico. Invirtù di quella curiosità intellettuale che sempre lo contraddistinse, inoltre,Boccaccio si dedicò anche alla letteratura greca, che Petrarca, invece, non ave-va accolto nei suoi studi. Tant’è che fu proprio Boccaccio a impegnarsi perchéfosse introdotto nello Studio fiorentino l’insegnamento del greco. Si trattò diun’iniziativa di decisiva importanza, che permise di diffondere per la prima voltala cultura greca e la lettura del grande poeta epico Omero, del quale il Medioevooccidentale non aveva mai avuto conoscenza diretta.

3.3 Le opere

Sebbene lo scrittore abbia raggiunto i risultati più elevati nella prosa, il suoesordio letterario avviene nell’ambito poetico e rivela immediatamente siala centralità del tema amoroso, che caratterizza l’intera produzione del pe-riodo napoletano, sia l’adeguamento da parte dell’autore al gusto e agli sche-mi della tradizione cortese, molto diffusa presso la corte angioina.

Quadro generale della produzione letterariaTitolo e data

di pubblicazionedelle più importanti opere

Caccia di Diana (1333-1334)

Filocolo (1336-1339)

Genere

Poemettoin terzine

Romanzo

Contenuti

Protagoniste dell’opera sono le ninfe devote al cultodella casta Diana, sotto le cui sembianze sono elo-giate belle dame napoletane, che si ribellano alladea, offrendo le prede catturate nella caccia a Vene-re. Quest’ultima trasforma ogni animale in un «gio-vinetto gaio e bello»; l’autore stesso, che dapprimaera un cervo, ritorna alla forma umana e, grazie allevirtù della donna amata, si eleva moralmente e spi-ritualmente. È facile, dunque, individuare alla basedel poema il principio cortese dell’amore comefonte di ingentilimento.

Considerato il primo romanzo italiano in volgare,il Filocolo narra la storia di due innamorati, Florio eBiancifiore, che riusciranno ad unirsi in matrimoniosolo dopo una lunga serie di viaggi e peripezie. Iltitolo, secondo un’etimologia erroneamente rico-struita dallo scrittore, significherebbe «fatica d’amo-re» (il titolo corretto doveva essere, invece, Filocopo).

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Filostrato (1338-1339)

Teseida delle nozze d’Emilia(1339-1340)

Comedia delle ninfe fiorenti-ne o Ninfale d’Ameto (1341-1342)

Amorosa visione (1342)

Elegia di Madonna Fiammet-ta (1343-1344)

Ninfale fiesolano (1344-1346)

Decameron (1348-1352)

Corbaccio (1362)

Poemain ottave

Poemain ottave

Prosimetro

Poema

Romanzoin prosa

Poemain ottave

Raccoltadi novelle

Operain prosa

Al centro della storia è l’amore tra Troilo e Crisei-da, la prima figura femminile dipinta dall’autorecon tratti maliziosi e disincantati. Il poema è ca-ratterizzato da un’attenta indagine psicologica e daun’intensa drammaticità. Il titolo grecizzante signi-fica «vinto d’amore».

Ispirandosi ai romanzi cavallereschi, l’autore nar-ra la storia di due amici, Arcita e Palemone, inna-morati entrambi di Emilia, cognata di Teseo. I duegiovani ottengono da quest’ultimo l’opportunità dicontendersi la fanciulla in un torneo. Il vincitore ri-sulta Arcita, che però ha riportato gravi ferite du-rante la battaglia e prima di morire, con un atto digrande magnanimità, affida la donna amata al rivalePalemone.

Dietro la vicenda del rozzo pastore Ameto che, gra-zie all’incontro con le ninfe della dea Venere, raffinail suo spirito, si cela il tema cortese dell’ingentili-mento prodotto dall’amore.

L’autore immagina di giungere in sogno in un ca-stello dove vede alcuni dipinti che raffigurano i trionfidella Sapienza, della Gloria, dell’Avarizia, dell’Amo-re e della Fortuna. Viene delineato, così, un itinera-rio spirituale che non si configura come percorsoverso Dio, ma come approdo a una saggezza tuttaumana e laica.

È una lunga lettera di una donna rivolta ad altredonne innamorate (→ “Le opere”).

Si racconta la vicenda del contrastato e infeliceamore tra il pastore Africo e la ninfa Mensola(→ “Le opere”).

Durante la peste del 1348 a Firenze dieci giovani sirifugiano in un luogo del contado e decidono diraccontarsi novelle (→ “Le opere”).

Scritto in volgare e in prima persona, il testo siinscrive nella tradizione misogina medievale, cheindividua nella donna l’origine di ogni male. Il ti-tolo fa riferimento probabilmente al “corvo”, che èsimbolo sia del demonio che del dio Amore, chepriva gli uomini della “vista”, come il rapace strap-pa gli occhi ai cadaveri. Il Corbaccio, nell’attuazionedi un vistoso rovesciamento della concezione del-l’amore e del sesso femminile testimoniata dalleopere precedenti, è espressione della profonda cri-si mistica vissuta dall’autore negli ultimi anni dellasua vita.

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Elegia di Madonna Fiammetta

L’Elegia di Madonna Fiammetta si presenta come una lunga lettera che unadonna napoletana rivolge ad altre donne innamorate, ripercorrendo la sto-ria del suo infelice amore per un mercante fiorentino di nome Panfilo. Perla prima volta nella storia letteraria italiana la voce è affidata interamentea un personaggio femminile, che confessa la propria passione amorosa,colta dall’autore con delicatezza e sensibilità e con uno sguardo compren-sivo e tollerante.

Le tematiche Il racconto di Fiammetta non pone in primo piano i fatti, maè tutto teso a esprimere e scandagliare i sentimenti della donna, i suoi statid’animo e gli effetti provocati in lei dalla passione, delineati dall’autore confinezza psicologica e grande capacità introspettiva. Ci troviamo di fronteal primo esempio di romanzo psicologico, anche se l’analisi, fortementefiltrata da modelli letterari, appare lontana da una concezione moderna dipsicologia. Temi centrali sono il ruolo della donna, non più vista, secondo icanoni della letteratura cortese, come oggetto dell’amore e della poesia, macome soggetto e protagonista del sentimento amoroso; e l’amore, intesocome istinto naturale dell’essere umano e, in quanto tale, legittimo in ognisua manifestazione.

Lo stile Grazie all’esperienza di traduttore dello storico latino Livio, matu-rata proprio nei primi anni fiorentini, l’autore raffina la sua prosa model-lando la sintassi sulla struttura del latino, creando periodi caratterizzatidal verbo principale in posizione finale e dal cumulo di gerundi nelle su-bordinate.

Ninfale fiesolano

Il Ninfale fiesolano, composto tra il 1344 e il 1346, immediatamente primadel Decameron, è l’opera che più si avvicina al capolavoro boccacciano per

Esposizioni sopra la Com-media

Trattatello in laude di Dante

De genealogiis deorum gen-tilium

Testoin prosa

Biografia

Operain prosa

Si tratta di un commento ai primi diciassette cantidell’Inferno dantesco.

La sincera ammirazione per Dante prosegue inquest’opera.

Rientra nelle opere di carattere erudito e rappresentauna vera e propria enciclopedia della mitologiaclassica.

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l’equilibrio formale, la matura rappresentazione realistica e le reminiscenzeclassiche. In 473 ottave (→ Glossario), suddivise in sette canti, si racconta lastoria d’amore tra il pastore Africo e la ninfa Mensola, ambientata nel pae-saggio delle colline toscane in un’età mitica e imprecisata.

La trama Il giovane pastore Africo, in un giorno di maggio, spiando leninfe devote alla dea Diana e quindi votate alla castità, viene colpito dallabellezza di Mensola e se ne innamora. Dopo avere invano tentato di in-contrarla, su consiglio di Venere, riesce a possedere la ninfa ricorrendoall’inganno di indossare abiti femminili. In seguito Mensola, pur ricam-biando l’amore del giovane, evita di rivederlo, temendo la punizione diDiana. Il pastore cerca inutilmente di ritrovare l’amata e alla fine, dispe-rato, si uccide gettandosi in un fiume che prenderà il suo nome. La ninfa,intanto, partorisce un figlio, Pruneo, ma viene scoperta da Diana che ladissolve nelle acque di un ruscello che confluirà nell’Africo. La triste vi-cenda ha tuttavia un lieto epilogo: Pruneo sarà allevato dai genitori di Afri-co, Alimena e Girafone, e diventerà siniscalco di Attalante, mitico fonda-tore di Fiesole.

Le tematiche e lo stile Il poemetto si ispira al genere classico della favolaeziologica, che spiega, attraverso leggende e miti, l’origine di nomi di luo-ghi: in questo caso, è ricostruita l’origine dei nomi dei fiumi Africo e Men-sola, che scorrono nei pressi di Firenze. L’opera si richiama, inoltre, adaltri modelli della letteratura classica come le Metamorfosi di Ovidio e ilgenere bucolico di Virgilio. Nel Ninfale tutto si risolve nell’armonia di unarappresentazione realistica e fresca del mondo campestre, resa attraver-so un linguaggio semplice e un metro di facile musicalità, che ricalca itoni dei cantari (→ Glossario) popolareschi. Il mondo campestre è deli-neato nella sua spontaneità e nell’elementarità dei sentimenti che lo ani-mano. Nel descrivere l’amore tra i due giovani, Boccaccio coglie con gran-de delicatezza e sensibilità psicologica i momenti dello sbocciare del sen-timento, le sofferenze di Africo, la ritrosia di Mensola, il suo ingenuo ti-more dell’ignoto. Il sentimento nato tra i due, secondo la concezione na-turalistica dell’amore propria di Boccaccio, è un impulso naturale, spon-taneo e innocente, distrutto ingiustamente da forze superiori e coerciti-ve; di fronte a ciò, l’autore non può non esprimere una commossa parte-cipazione e un amaro sbigottimento.

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Decameron

Scritto tra il 1348 e il 1352, il Decameron si compone di cen-to novelle. L’autore immagina che a Firenze, durante la pe-ste del 1348, un martedì mattina, sette fanciulle s’incontri-no nella Chiesa di Santa Maria Novella e decidano di trova-re rifugio in campagna per sfuggire al pericolo del contagioe alla dissoluzione morale e sociale che ormai attanaglia lacittà. Si aggiungono al gruppo tre giovani e tutti trovano si-stemazione in uno splendido palazzo con un gran cortile,prati e giardini. La brigata, che lì trascorrerà quindici gior-ni, su proposta di Pampinea, decide di dedicare le ore del pomeriggio al rac-conto di novelle. Ogni giorno, tranne il venerdì e il sabato, ciascun giovanenarrerà una novella sul tema stabilito dal re o dalla regina della giornata, no-minati tra i componenti del gruppo per controllare e garantire l’ordine. Il rac-conto delle novelle avviene in dieci giornate e a ciò fa riferimento il titolodell’opera, modellato sulla lingua greca.

La trama Nella prima giornata Pampinea permette a ciascuno di scegliereliberamente l’argomento su cui verterà la novella, sebbene, poi, i giovani siritrovino tutti a raccontare storie in cui il protagonista riesce a risolvere si-tuazioni complicate grazie all’acume del ragionamento. Nella seconda gior-nata (regina Filomena) si ragiona su casi di fortuna che si risolvono con unlieto fine: in queste novelle le pagine del Decameron si aprono all’avventura,alle più intricate vicende e a una sorprendente imprevedibilità. Nella terzagiornata (regina Neifile) si narra di chi alcuna cosa molto desiderata con in-dustria acquistasse o la perduta recuperasse: in queste storie spesso trovanospazio elementi scabrosi e licenziosi, in contrasto con la morale corrente,non per il piacere di scandalizzare ma per «una lezione di schietto e francorealismo». Nell’Introduzione alla quarta giornata l’autore prende la parolaper difendersi da alcune critiche che sono state mosse alle sue novelle (il chepuò far supporre una circolazione parziale dell’opera), secondo le quali vie-ne accusato di interessarsi troppo alle donne e di voler piacere a loro in ma-niera eccessiva, lodandole e ponendole al centro della sua opera. In rispostalo scrittore racconta la novella di Filippo Balducci, tesa a illustrare come l’amo-re per le donne sia un impulso naturale, che è inutile e dannoso contrastare,come drammaticamente dimostreranno le storie raccontate appunto nellaquarta giornata. In essa, sotto il reggimento di Filostrato, si racconta di amoridestinati a una fine infelice, storie dolorose e di sublime tragicità. Nella quin-ta giornata (regina Fiammetta) il tema riguarda ciò che ad alcuno amante,

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dopo alcuni fieri o sventurati accidenti, felicemente avvenisse. Ancora una voltal’autore libera tutta la sua fantasia nel descrivere vicende mutevoli, che siconcludono con una felicità insperata da parte dei protagonisti. Nella sestagiornata (regina Elissa) vengono narrate novelle che segnano il trionfo del-l’arguzia e dell’intelligenza dell’uomo, il quale riesce a risolvere situazionidifficili con una risposta pronta o una parola spiritosa. La settima e l’ottavagiornata (sotto il reggimento di Dioneo e Lauretta) sono entrambe dedicateal racconto di beffe. L’estro inventivo di Boccaccio si sprigiona nella descri-zione degli inganni, degli scherzi e dell’esuberante vitalità dei personaggi,che ci appaiono spesso anche immorali, ma che affermano gli impulsi natu-rali dell’uomo contro ogni ipocrisia. Nelle novelle della nona giornata, in cuisotto il reggimento d’Emilia, si ragiona ciascuno secondo che gli piace e diquello che più gli aggrada, prevalgono ancora le burle e le situazioni scabro-se. Nella giornata conclusiva (re Panfilo) si narra di gesti di generosità, grati-tudine e magnanimità, espressioni della virtù di cui l’uomo è capace.

I personaggi Il mondo del Decameron abbraccia tutti i tipi umani e tutti glistrati sociali. Vi sono innanzitutto i rappresentanti dei vecchi ordinamenti,principi e sovrani come Federico II d’Aragona, Carlo I d’Angiò, Tancredi, egrandi dignitari ecclesiastici come l’abate di Cluny; accanto a questi ultimivi sono anche gli esponenti del basso clero come frate Cipolla e frate Alberto.Sono ampiamente presenti i ceti della coeva società urbana: i banchieri e igrandi mercanti come messer Torello; l’aristocrazia cittadina, rappresentatada Federigo degli Alberighi e Nastagio degli Onesti; la borghesia professiona-le con il notaio Ciappelletto; i mercanti come Andreuccio da Perugia; gli arti-giani e i bottegai come Cisti fornaio; i rappresentanti del proletariato urba-no come Simona e Pasquino; i servi come il cuoco Chichibio. Non mancanointellettuali e artisti come Guido Cavalcanti e Giotto e sono presenti, infine,anche gli abitanti del contado come Masetto e Ferondo.

I luoghi Anche l’orizzonte geografico del Decameron è vastissimo: si spaziadall’Italia all’Oriente islamico e sono delineati i luoghi e gli ambienti più di-sparati, descritti sempre in maniera realistica ed essenziale. Le località piùrappresentate sono, senza dubbio, Firenze e la Toscana contemporanea, mafigurano anche tante altre città d’Europa e d’Italia; un posto particolare, perragioni autobiografiche, è riservato a Napoli. L’ambiente urbano, tipico dellasocietà in cui l’autore vive, costituisce lo sfondo privilegiato di molte novelle:Boccaccio, infatti, è stato il primo a scoprire le possibilità narrative offertedalla città, che ben si presta a fungere da ideale scenario delle più appassio-nanti avventure, come accade nella novella di Andreuccio da Perugia.

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La cornice La vasta materia narrativa è tenuta insieme e resa omogenea dal-la “cornice” che rivela il senso profondo dell’opera: il giardino, dove si riuni-scono i dieci giovani, è il luogo in cui sono restaurati gli ideali di una vitacortese e nobile e i valori dell’onestà, del rispetto, dell’amicizia, dell’armo-nica convivenza, spazzati via dalla tragedia della peste che ha colpito Firen-ze. Nell’Introduzione alla prima giornata l’autore si sofferma a lungo sulladescrizione delle drammatiche conseguenze dell’epidemia: essa non ha cau-sato soltanto morte e sofferenza, ma ha distrutto totalmente i valori morali eil tessuto sociale della città. Di fronte alla disintegrazione di ogni legame so-ciale e di ogni valore morale è necessario recuperare l’ordine e la socialità,riaffermare il senso della vita, le infinite potenzialità dell’uomo, le inesauri-bili manifestazioni del suo cuore e della sua intelligenza.

L’uso di una storia principale che funge da riquadro alle storie minori era una solu-zione narrativa già impiegata nella tradizione novellistica europea e orientale. L’espe-diente più consueto era immaginare che i racconti fossero narrati allo scopo di ri-tardare un pericolo o una pena di morte. Questo è il caso, per esempio, del Libro deisette savi, volgarizzamento del XII secolo di un testo latino che a sua volta traeva lamateria dalla tradizione orientale, nel quale si immagina che siano raccontate quat-tordici novelle al fine di trattenere il re dal mandare a morte il proprio figlio; anchenelle Mille e una notte Shahrazad narra ogni sera un racconto nel tentativo di allon-tanare il momento della propria uccisione. Una diversa tipologia di “cornice” si ri-scontra nella Disciplina clericalis (Educazione dei chierici), dell’inizio del XII seco-lo: in quest’opera, anch’essa comprendente numerosi racconti di origine orientale,le novelle sono inserite con la giustificazione di educare e ammaestrare. In tutti questicasi la “cornice” è rappresentata da una storia di carattere convenzionale e di purainvenzione narrativa. Boccaccio opera una rilevante innovazione in quanto utilizzacome riquadro una storia che prende le mosse da un terribile e funesto evento stori-co. Il carattere realistico della “cornice” boccacciana si rileva anche in un altro aspet-to: il giardino, dove i giovani si riuniscono per raccontare le novelle, non ricalca sol-tanto il topos letterario del locus amoenus (luogo ameno), ma rappresenta un luogoche caratterizzava effettivamente le abitudini di vita della borghesia agiata del tem-po. La cornice, dunque, indica immediatamente la realtà sociale da cui nascono e acui si rivolgono le novelle.

Le tematiche La narrazione boccacciana è improntata al più concreto rea-lismo e non concede mai alcuno spazio agli elementi magici e fantastici,dal momento che l’autore intende scoprire e descrivere la realtà umana sen-za pregiudizi e senza idealizzazioni. Le forze che regolano la vita dell’uomocostituiscono i temi intorno ai quali ruotano le storie raccontate: la natura,la fortuna, l’intelligenza, l’amore, la virtù. Il Decameron, dunque, è carat-

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terizzato da una molteplicità di temi in opposizione all’unicità di quelloamoroso, tipico della produzione precedente. Le vicende umane appaionodominate dalla Fortuna capricciosa e mutevole che, nella visione laica diBoccaccio, non è più, come nella concezione medievale, lo strumento diuna volontà superiore. Essa crea innumerevoli ostacoli, ma anche i mezziper affrontarli e superarli: tocca all’uomo saperli cogliere con la sua pron-tezza e la sua intelligenza, ricorrendo anche, se è il caso, all’astuzia e all’in-ganno. Con lo stesso atteggiamento libero da pregiudizi e ipocrisie si inda-ga sull’amore, rappresentato nelle sue varie sfaccettature e manifestazioni:può essere semplice desiderio sensuale o configurarsi come il più profon-do dei sentimenti che ingentilisce e nobilita l’animo; può spingere agli in-ganni e ai tradimenti, ma anche alla generosità e al sacrificio di sé stessi.L’amore è sempre un impeto dettato dalle leggi di natura e, in quanto tale, èun sentimento legittimo e positivo; gli impulsi naturali, tuttavia, devonoessere regolati dalla ragione, altrimenti rischiano di trasformarsi in forzeirrazionali e distruttive.

Il destinatario dell’opera Nel Proemio l’autore chiarisce qual è il pubblico acui intende rivolgersi e quali sono le finalità dell’opera. Lo scrittore indirizzale sue novelle alle donne, allo scopo di distrarle dalle pene d’amore e allietareil loro tempo. Viene dunque innanzitutto affermata la funzione di intratteni-mento attribuita all’opera. La natura colta delle interlocutrici, indicate dalloscrittore, inoltre, ci lascia intendere che il destinatario è individuato nella bor-ghesia cittadina, che costituisce la nuova élite sociale. La codificazione, chesi ha con Boccaccio, di un nuovo genere letterario come quello della novellaè il segnale della profonda trasformazione sociale verificatasi: la novella, ca-ratterizzata dalla brevità, dall’aderenza alla realtà quotidiana, da uno stilesemplice e immediato, tesa a dilettare e al tempo stesso istruttiva dal puntodi vista morale, rispondeva appieno alle esigenze dei nuovi ceti dirigenti.

Lo stile La scrittura boccacciana si adatta al multiforme mondo descritto,alternando stili e registri diversi. Si riscontra da un lato un linguaggio lette-rario, caratterizzato da un periodare lungo e complesso, modellato sulla sin-tassi latina e ricco di accorgimenti retorici, dall’altro un linguaggio più im-mediato, che si apre nei dialoghi alla registrazione di forme del parlato e ditratti dialettali: basti pensare, per esempio, al veneziano del cuoco Chichi-bio. In questo modo Boccaccio fornisce gli strumenti per una compiuta rap-presentazione della realtà quotidiana, ormai assurta a piena dignità lette-raria, e crea una lingua che si imporrà come modello indiscusso della pro-sa italiana.

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RECENSIONE D’AUTORE

Tra mondo aristocratico e mondo comunale: Novellinoe Decameron

Il Decameron ricostruisce in sede letteraria la nuova civiltà elaborata dalla borghesia mer-cantile, con il suo nuovo modo spregiudicato e rivoluzionario di interpretare la vita; e di ciòpossiamo avvederci anche nel semplice raffronto con il Novellino. Infatti, mentre nel Novel-lino, di intonazione ghibellina e aristocratizzante, i personaggi borghesi sono pochissimi ela figura del mercante appare in modo del tutto periferico, in quanto dominano la scenaimperatori e re, feudatari e sapienti, nel Decameron vi è il trionfo del mondo borghese.Seppure tra i personaggi largo spazio hanno re e signori, sono escluse le novelle ispiratealle storie bibliche o a fatti miracolosi, che erano accolte nella novellistica tradizionale,mancano i famosi personaggi dei romanzi cavallereschi, i filosofi antichi e le figure dellamitologia greco-romana. Quindi, se il Novellino rispecchia una società più concretamenteattiva e lo stile è teso all’essenziale, il Decameron nasce da una società più matura e l’accen-to si sposta più sovente sull’intreccio, sulla battuta, sul gesto, con una forza di introspezio-ne psicologica. Il mondo borghese e mercantile entra nella letteratura italiana.Infatti la realtà economica di Firenze erano i traffici del mondo mercantesco, delle banche edegli affari, i mercanti che dominavano gli empori di tutta Europa. Quei mercanti, che eranodisprezzati da Dante e ignorati da Petrarca, sono assunti come protagonisti di non pochenovelle, con un’intima adesione al nuovo costume e alle nuove concezioni fatte trionfaredalla borghesia mercantile. Anche nella glorificazione dell’intelligenza umana il Boccacciomostra aperta adesione alla nuova visione del mondo e della società maturata nell’ambien-te borghese e mercantile, sottolineando soprattutto la «mentalità economica» rapportabileal concetto dell’utile, quindi vi è l’utilizzazione del mondo reale posta come logica di vita.Questa adesione del Boccaccio è però limitata in parte dalle sue vive simpatie per il mondoaristocratico e cortese e, dal fatto che, quando egli scrive, assiste al tramonto della grandeetà dei mercanti fiorentini: alla ricerca di nuovi mercati da aggiungere al grande imperoeconomico già conquistato subentravano ormai la pigra cautela e il momento della conser-vazione e quindi dell’inevitabile declino economico, politico e ideologico.Da questa situazione e dalla sua particolare sensibilità morale deriva al Boccaccio ilripensamento sulle tragiche conseguenze della ferrea obbedienza alla «ragion di merca-tura», cui tutto deve essere sacrificato. Il Boccaccio, però, che accoglie in gran parte lanuova elaborazione ideologica, non si lascia andare ad adesioni incondizionate, a esal-tazioni o a giustificazioni; egli assume solo come personaggi questi mercanti e mostracome «la ragion di mercatura» finisca con il riconoscere tra uomo e uomo un solorapporto, quello del nudo interesse. Allora il suo senso innato della misura e dellasocietà si ribella, alleandosi agli ideali cortesi, cui aveva sempre guardato con simpatia;ma sono anche i nuovi tempi a farsi sentire: infatti nelle tarde Esposizioni il giudizio daparte di Boccaccio su coloro che pensano solo al guadagno si fa più sdegnoso, anchese traspare ancora un certo accento di ammirazione.

G. Padoan

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Tecniche di letturaIl testo narrativo

1. Ruolo e punto di vista del narratore

Il narratore ricopre un ruolo di grande rilievo nell’ambito di un testo narrativo: egli èil “regista” della vicenda che narra, la “voce” cui l’autore (colui che ha materialmentescritto il testo) affida il compito di raccontare. Il narratore può relazionarsi ai fatti chenarra in modi diversi, distinguendosi in narratore esterno e narratore interno.

• Il narratore esterno (o eterodiegetico) non prende parte ai fatti che racconta, ma,quale voce narrante, li riferisce dall’esterno utilizzando la terza persona. Il narratoreesterno può:

— manifestare la propria presenza nella storia attraverso interventi utili a cucire i varifatti narrati o a commentare avvenimenti e vicende (I grado);

— rimanere nascosto dietro le vicende che si limita a raccontare, evitando commenti,spiegazioni, interpretazioni; in questo caso si parla del narratore esterno imperso-nale (II grado).

• Il narratore interno (o omodiegetico), invece, coincide con uno dei personaggi dellavicenda e, quale io narrante, racconta in prima persona i fatti ai quali partecipa o ha parte-cipato, in veste di personaggio principale o secondario oppure come semplice testimone.

A seconda dei punti di vista da cui il narratore guarda alle vicende narrate, è possibiledistinguere tre diversi tipi di focalizzazione:

• focalizzazione interna, quando il narratore interpreta il punto di vista di uno deipersonaggi da un’angolatura inevitabilmente ristretta e limitata;

• focalizzazione esterna, quando il narratore è spettatore esterno dei fatti che rac-conta e pertanto si limita a registrarli senza aggiungere giudizi né fornire informa-zioni su quanto accade (il punto di vista, in questo caso, è oggettivo);

• focalizzazione zero, quando il narratore è onnisciente e quindi sa tutto, compresogli antefatti della storia, i sentimenti e i pensieri più nascosti dei suoi personaggi(la sua ottica è illimitata).

2. La struttura tipo

Ogni testo narrativo presenta una struttura-tipo, articolata sostanzialmente in cin-que momenti:

— situazione iniziale;— complicazione e rottura dell’equilibrio iniziale;— evoluzione della vicenda attraverso un suo miglioramento o peggioramento;— conclusione della vicenda e ricomposizione dell’equilibrio;— situazione finale.

Capitolo Secondo � I GRANDI AUTORI: GIOVANNI BOCCACCIO89

Ogni vicenda, infatti, deve necessariamente partire da una situazione iniziale, il cuiequilibrio si rompe a causa di un evento che spinge i personaggi a entrare in azione.Attraverso la naturale evoluzione della vicenda, che si può svolgere nei modi più di-versi e articolati, si giungerà a un’inevitabile ricomposizione dell’equilibrio, migliore opeggiore di quello iniziale, ma da quest’ultimo sicuramente differente. Tale equilibriocostituirà la situazione finale e cioè la conclusione della storia.

3. La successione degli eventi

• Fabula e intreccio. Esistono due modi fondamentali per narrare una storia: in baseall’ordine naturale degli eventi, cioè riferendo gli eventi secondo l’ordine in cui sisono verificati nella realtà, oppure in base a un ordine artificiale, che ne modifica lasuccessione reale, presentando prima gli eventi che cronologicamente o logicamenteverrebbero dopo. Si distinguono pertanto due diversi piani narrativi: la fabula (o sto-ria), che rispetta l’ordine naturale degli eventi, e l’intreccio (o narrazione), che inveceli dispone secondo la scelta arbitraria dell’autore.

• I nuclei narrativi. In ogni testo narrativo troviamo una serie di informazioni: alcunesono indispensabili per capire lo svolgimento della storia, altre invece aggiungono par-ticolari meno importanti, e tuttavia utili a comprendere meglio determinate situazioni.Le prime costituiscono gli eventi essenziali, le seconde gli eventi accessori. Ogni eventoessenziale, in concorso ai relativi eventi accessori, forma un nucleo narrativo, cioè unaporzione di testo più o meno completa, che sviluppa una parte ben precisa del racconto.

• Le sequenze. Un altro sistema di scomposizione del testo narrativo è attuabile mediantel’individuazione di sequenze, che sono dei segmenti di testo, inferiori rispetto ai nuclei nar-rativi per estensione e complessità, forniti di senso logico compiuto. Le sequenze cambianoquando entra in scena un nuovo personaggio o c’è una variazione di tempo e di luogo.

4. Tempo e spazio

Nell’economia (ordine che regola la disposizione delle varie parti) di un testo narrati-vo, grande importanza assume la dimensione temporale: gli eventi narrati si collo-cheranno naturalmente in una determinata epoca storica (il tempo della storia) e lanarrazione stessa si snoderà in un certo arco di tempo (la durata della storia). È chiaroche la durata narrativa degli eventi narrati (corrispondente grosso modo al temponecessario per la lettura del testo) non coincide quasi mai con la loro durata reale,cioè quella che essi avrebbero se accadessero realmente (fatta eccezione per le se-quenze dialogate o scene nelle quali durata narrativa e durata reale coincidono).

Il narratore, la voce che racconta gli avvenimenti, per ovvie ragioni narrative, contraeo altera il tempo reale e per farlo si avvale di un ampio numero di espedienti tecnici,riconducibili a quattro tipologie fondamentali:

• il sommario: periodi più o meno lunghi vengono sintetizzati in poche righe;

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• l’ellissi: interi periodi di tempo, anche molto lunghi, vengono del tutto ignorati (intal caso, si potranno trovare espressioni come «l’anno successivo...», «dieci annidopo...», «terminato l’esilio...» ecc.);

• l’analisi: periodi di tempo perlopiù molto brevi vengono dilatati, abbracciando untempo narrativo più ampio di quello reale;

• la digressione: la narrazione s’interrompe per dare modo al narratore di soffermarsisulla descrizione dei personaggi, dei luoghi o del contesto storico della vicenda.

Il narratore, inoltre, potrà interrompere il racconto dei fatti per narrare qualcosa cheè accaduto prima (analessi o flashback) oppure per anticipare quanto avverrà in se-guito (prolessi).

La scelta dei luoghi in cui inserire le idee e le azioni dei personaggi di un testo narra-tivo non è casuale; essa piuttosto è il frutto di una precisa scelta funzionale all’econo-mia generale della narrazione: un luogo ha una funzione narrativa quando non fungeda semplice sfondo alla vicenda ma interagisce con essa, oppure una funzione simbo-lica se viene utilizzato per esprimere un’idea o un concetto in relazione alla situazionenarrativa e ai personaggi. Gli stessi luoghi intervengono spesso in funzione della ca-ratterizzazione psicologica di questi ultimi, riflettendone un modo d’essere o rappre-sentandone una particolare situazione emotiva.

5. I personaggi: ruolo, funzione e caratteristiche

Ogni testo narrativo presenta generalmente un vero e proprio sistema di personaggi,all’interno del quale ognuno di essi ricopre un determinato ruolo, più o meno impor-tante. A seconda del ruolo, i personaggi di un testo narrativo si distinguono in:

• personaggi principali, che svolgono un ruolo centrale nella vicenda e sui quali siconcentra maggiormente l’attenzione;

• personaggi secondari, che hanno un ruolo di secondo piano e quindi una rilevan-za minore rispetto ai personaggi principali, ma talvolta possono incidere sensibil-mente sulla situazione o sul comportamento di questi ultimi;

• comparse, che servono solo a definire un ambiente o una situazione e non incido-no minimamente sullo sviluppo della vicenda narrata.

Oltre ad avere un ruolo, i personaggi ricoprono, nell’ambito della vicenda narrata,anche una specifica funzione, in base alla quale si possono riconoscere:

• il protagonista (o eroe o soggetto): il personaggio principale, che si pone al centrodella narrazione anche quando non compare direttamente in scena. Gli eventi chelo riguardano prendono avvio dalla rottura dell’equilibrio iniziale in cui vive, acausa di un mutamento esterno oppure di un suo bisogno o desiderio;

• l’antagonista: il personaggio che contrasta il protagonista e gli si oppone concre-tamente o sul piano psicologico (spesso è l’artefice della rottura dell’equilibrio ini-ziale, ma può comparire anche a vicenda iniziata: in ogni caso, è sempre il motoredello sviluppo dell’azione);

Capitolo Secondo � I GRANDI AUTORI: GIOVANNI BOCCACCIO91

• l’oggetto: il personaggio che incarna, talvolta inconsapevolmente, lo scopodell’impegno o del desiderio del protagonista, contrastato in ciò dall’anta-gonista;

• l’aiutante: il personaggio che assiste, aiuta e protegge il protagonista, sostenendo-lo nella realizzazione delle sue imprese;

• l’oppositore: il personaggio che di solito è l’aiutante dell’antagonista e vi si uniscenel tentativo di ostacolare il protagonista (l’oppositore, tuttavia, può agire di suainiziativa e addirittura schierarsi dalla parte del protagonista);

• il destinatore: il personaggio che propone al protagonista lo scopo da conseguire(si pensi, nelle fiabe, al re che spinge l’eroe a compiere un’impresa in cambio di unpremio);

• il destinatario: il personaggio in cui si materializza l’oggetto del contenderetra protagonista e antagonista (nella stessa fiaba potrebbe essere la princi-pessa che il re concede in moglie all’eroe, se questi avrà realizzato la propriaimpresa).

Un ultimo modo di classificare i personaggi è quello di distinguerli tra personaggistatici e dinamici:

• i personaggi statici sono quelli che nel corso della storia non subiscono mutamen-ti di alcun tipo, né fisici, né psicologici, né di condizione sociale;

• i personaggi dinamici sono quelli che si modificano o dal punto di vista fisico o dalpunto di vista psicologico o ancora passano da uno stato sociale a un altro.

6. Le forme del discorso

Per riferire le parole o i pensieri dei suoi personaggi, il narratore può scegliere tradiverse tecniche, che utilizzerà a seconda delle esigenze o in base all’effetto da con-seguire. Tra esse ricordiamo:

• il discorso diretto, quando il narratore cede la parola al personaggio riportando travirgolette («…») quanto dice e collocandosi momentaneamente in secondo piano;se il discorso del personaggio non è introdotto da un verbo dichiarativo (disse: «…»,rispose: «…» ecc.), si ha il discorso diretto libero, che sortisce un effetto di maggioreimmediatezza;

• il discorso indiretto, quando il narratore riporta indirettamente le parole del per-sonaggio, inserendole nel tessuto narrativo come frasi dipendenti da un verbo di-chiarativo (dicono che..., commentò che... ecc.);

• il discorso indiretto libero, quando il narratore riporta le parole del personaggioindirettamente, ma senza utilizzare verbi dichiarativi per introdurle; tale metodofonde i pregi del discorso diretto e di quello indiretto, consentendo di conservare laspontaneità del primo e la continuità narrativa del secondo;

• il discorso raccontato, quando il narratore si limita a riassumere in maniera som-maria i discorsi del personaggio.

Parte Prima � Dalle Origini al Trecento92

Nel riferire i pensieri dei suoi personaggi il narratore può ricorrere sia alle tecnicheutilizzate per i discorsi sia ad altri espedienti di registrazione più elaborati e suggestivi:

• il monologo: senza alcuna mediazione da parte del narratore, vengono trascritte leparole del personaggio che pronuncia discorsi rivolti a se stesso (è contemporane-amente emittente e ricevente del messaggio);

• il monologo interiore: il discorso viene proposto con le medesime modalità delmonologo, ma non è pronunciato (il personaggio pensa tra sé e sé, esprimendo leproprie idee più intime e i sentimenti più nascosti, mentre la durata narrativa siestende notevolmente, anche se concretamente non succede nulla);

• il soliloquio: il personaggio parla ancora da solo, ma si rivolge idealmente a uninterlocutore lontano dalla scena;

• il flusso di coscienza: il personaggio traduce in parole il flusso dei propri pensieri edelle proprie sensazioni più intime; è l’inconscio che tenta di venire a galla e simaterializza in immagini spesso frammentarie e confuse, del tutto prive di rigorelogico (questa tecnica è tipica di alcuni narratori novecenteschi, come James Joyce).

Parte Seconda Il Quattrocento

Introduzione● PANORAMICA STORICO-CULTURALE

Capitolo Primo● I GENERI LETTERARI ● GLI AUTORI “MINORI” ● GLI STRANIERI

Capitolo Secondo● I GRANDI AUTORI

Introduzione � PANORAMICA STORICO-CULTURALE95

IntroduzionePANORAMICA STORICO-CULTURALE

Sommario: 1. IL CONTESTO STORICO – 2. IL CONTESTO CULTURALE

1. IL CONTESTO STORICO

Il secolo XV vede compiersi il lento e faticoso trapasso dal Medioevo all’etàmoderna: è il momento in cui, tra aspre lotte di religione e instabili equilibrieuropei, vengono alla luce le monarchie nazionali, fatta eccezione per l’Ita-lia, dove non muta la fisionomia generale degli Stati regionali sorti in seguitoagli scontri tra le potenti Signorie del XIV secolo.

Sul finire del Trecento, Gian Galeazzo Visconti, signore di Milano, sottomette buonaparte dell’Italia centro-settentrionale e tuttavia esce di scena molto presto, perchétrova la morte nel 1402 in seguito a un’epidemia di peste. Dopo la sua improvvisascomparsa, lo Stato milanese si scontra ripetutamente con la Repubblica di Veneziaper il controllo della valle del Po e con Firenze per la supremazia nell’Italia centrale,ma in sostanza vede ridursi la propria espansione territoriale. Nel frattempo, la Re-pubblica di Venezia amplia i possedimenti su terraferma, dando vita a uno Statocontinentale che spazia dall’Adda alle coste della Dalmazia. Firenze, dal canto suo,dopo l’esperienza di un governo oligarchico dominato dalla ricca aristocrazia degliAlbizzi, a partire dal 1434 passa sotto la signoria di Cosimo de’ Medici (1389-1464) e,specie con Lorenzo il Magnifico, si propone come garante dell’equilibrio italiano,affermando il proprio prestigio in Italia e in Europa. Quanto al Regno di Napoli, ilpassaggio dalla dinastia angioina a quella aragonese, avvenuto nel 1442, segna l’ini-zio di un’ambiziosa politica di ricostruzione interna e la partecipazione della cittàpartenopea, in veste di protagonista, alla politica e alla cultura italiana del secondoQuattrocento. La Chiesa, infine, si impegna a porre rimedio alle disastrose conse-guenze scaturite dallo scisma d’Occidente (nel 1378 la Chiesa francese aveva rifiu-tato di accettare l’elezione del nuovo papa romano Urbano VI, procedendo alla no-mina di un antipapa ad Avignone) e a ricondurre sotto la propria autorità i possedi-menti dell’Italia centrale. Il Papato deve inoltre affrontare il grave fenomeno del-l’eresia, mentre sempre più preoccupante si fa la minaccia di un’espansione turcanei territori cristiani (nel 1453 la bellicosa popolazione islamica si era impadronita

Parte Seconda � Il Quattrocento96

di Costantinopoli mettendo fine all’Impero d’Oriente). Anche in conseguenza delpericolo turco, i maggiori Stati italiani (Venezia, Milano, Firenze, Napoli e lo Statodella Chiesa) nel 1454 stringono un’alleanza, sancita dalla pace di Lodi, che resteràvalida per circa quarant’anni. La pace di Lodi garantisce un lungo periodo di stabili-tà, che si protrae fino alla discesa in Italia di Carlo VIII, re di Francia (1494). Il prin-cipale garante di tale equilibrio politico è Lorenzo de’ Medici, signore di Firenze dal1464 al 1492, anno della sua morte, che segna, non a caso, la ripresa dei conflittinella nostra penisola.

Introduzione � PANORAMICA STORICO-CULTURALE97

Fin dagli albori del XV secolo, in Italia, si registra una vigorosa ripresa delleattività economiche: il commercio si intensifica notevolmente e in modo dif-fuso, mentre la produzione agricola risente positivamente dei vari progressitecnici e dell’utilizzo di nuove colture. Nasce, inoltre, un nuovo ceto aristo-cratico (il patriziato) che non vanta antiche origini, ma proviene dall’am-biente comunale e mercantile, dove è stato capace di raggiungere una condi-zione di benessere economico e di prestigio sociale, al pari della tradizionaleclasse nobiliare. Sempre più diffuso è il fenomeno del mecenatismo, per cuisignori e principi accolgono sotto la propria tutela scrittori e artisti vari, prov-vedendo economicamente al loro sostentamento. Cambia, nel frattempo,anche la vita del cittadino comune soprattutto grazie a rivoluzionarie sco-perte come quella della stampa e della polvere da sparo, mentre sul finire delQuattrocento Cristoforo Colombo si accinge a intraprendere il viaggio piùfamoso della storia e più gravido di conseguenze per l’intera umanità.

TAVOLA CRONOLOGICA DEGLI EVENTI1402 Muore Gian Galeazzo Visconti, signore di Milano.1434 Firenze passa sotto la Signoria dei Medici.1442 Nel Regno di Napoli si ha il passaggio dalla dinastia angioina a quellaaragonese.1447 A Milano gli Sforza subentrano ai Visconti al governo della città.1450 Gutenberg inventa la stampa a caratteri mobili.1453 I Turchi si impadroniscono di Costantinopoli, mettendo fine all’Impero d’Oriente.1454 Con la pace di Lodi gli Stati italiani stringono un’alleanza che assicura unperiodo di stabilità.1464-1492 Signoria di Lorenzo de’ Medici.1492 Muore Lorenzo de’ Medici; il genovese Cristoforo Colombo scopre l’America.1494 Carlo VIII, re di Francia, scende in Italia.

2. IL CONTESTO CULTURALE

Nel corso del Quattrocento la circolazione della cultura si accresce notevol-mente e raggiunge strati sociali differenti (soprattutto alla fine del secolo gra-zie all’invenzione della stampa). Grande rilievo, nell’ambito della produzio-ne letteraria, assumono gli umanisti che stringono rapporti molto intensi conil potere. Particolarmente diffusa è la figura dell’intellettuale cortigiano, so-stenuto economicamente dal signore e pronto a fare della propria culturauno strumento di esaltazione della corte che lo accoglie. Nuova dignità cul-

Parte Seconda � Il Quattrocento98

turale e considerazione acquistano inoltre gli artisti, che non vengono piùvisti come semplici artigiani privi di cultura: spesso hanno una buona cono-scenza del repertorio classico e possiedono uno specifico bagaglio di nozionifilosofiche e scientifiche.

Per tutta la prima metà del Quattrocento, Firenze conserva un primato indiscussonella diffusione della cultura. I Medici, signori di Firenze, accolgono presso la pro-pria corte un largo stuolo di letterati e artisti, facendo in modo che il prestigio cultu-rale della città venga apprezzato in tutta Europa. A Nord, un importante polo di at-trazione è senza dubbio Venezia, che vede nascere una propria tradizione letterariaabbastanza svincolata dai modelli toscani e costituisce, inoltre, un importante tra-mite con la cultura greca. Altro centro prestigioso è la Milano dei Visconti e poi degliSforza. Si evidenziano ancora, in area padana, la Ferrara degli Estensi, la Mantovadei Gonzaga, la Bologna dei Bentivoglio e la Rimini dei Malatesta. Non sono dameno, infine, le città di Roma, florido centro di cultura che annovera, tra gli intellet-tuali umanisti, anche alcuni pontefici come Niccolò V e Pio II, e Napoli, dove la cor-te aragonese promuove un’intensa attività culturale.

Un cenno ancora va fatto alla nascita, in varie città italiane, delle accademie.Esse sorgono, in un primo momento, come cenacoli privati, dove gli intellet-tuali accomunati dalla fede negli studia humanitatis si riuniscono per di-scutere problemi di varia attualità culturale e artistica, ma in breve vengonoufficialmente riconosciute e assumono la classica definizione. Le più presti-giose e importanti si rivelano l’Accademia Fiorentina, l’Accademia Ponta-niana e l’Accademia Romana.Anche le botteghe degli stampatori rappresentano veri e propri poli di attra-zione per gli intellettuali di questo periodo: a Venezia, ad esempio, la bottegadi Aldo Manuzio, il più famoso stampatore del periodo, è addirittura sede diun’Accademia (detta «Aldina»), dove gli intellettuali hanno modo di discute-re e confrontarsi. Un peso sempre maggiore acquisiscono, infine, le bibliote-che, che iniziano ad essere pubbliche e aperte ai lettori. È quanto accade aFirenze, Roma e Venezia, dove nascono rispettivamente la Biblioteca Lau-renziana, la Vaticana, la Marciana.

La corrente umanistico-rinascimentale

Il Quattrocento è il secolo in cui ha inizio e prende progressivamente forma la cor-rente umanistico-rinascimentale, che investe la cultura del tempo in tutte le sueforme ed espressioni. Nell’ambito della storia letteraria si è soliti distinguere duemomenti: l’Umanesimo (termine coniato solo nel XIX secolo), che va dalla fine delTrecento alla fine del Quattrocento, e il Rinascimento, continuazione e compi-

Introduzione � PANORAMICA STORICO-CULTURALE99

mento del primo, che si protrae fino all’ultimo Cinquecento. Va altresì precisatoche l’Umanesimo non va inteso come momento diverso o fase preparatoria del Rina-scimento vero e proprio, ma come prima espressione di quest’ultimo, e cioè di quellospirito rinnovatore che tra XV e XVI secolo avvia un processo di rivitalizzazione cultu-rale e artistica, che gli stessi umanisti indicarono col termine «Rinascimento».Gli umanisti partono dal rifiuto del Medioevo, visto come epoca di oscurantismospirituale e culturale, nel quale la fragilità umana, scaturita dalla consapevolezza delpeccato originale, aveva inserito l’individuo in un piano provvidenziale inconoscibile,rendendolo perennemente bisognoso della Grazia divina. L’Umanesimo restituiscel’uomo a se stesso e lo pone al centro dell’Universo, ne esalta la libertà d’azione elo rende artefice assoluto del proprio destino.L’appassionata attenzione rivolta al mondo classico può indubbiamente considerarsil’aspetto più vistoso della cultura umanistica, che a partire dal XV secolo, ma seguendole direttrici già tracciate da Petrarca e Boccaccio (→ Parte Prima, I grandi autori) nelcorso del Trecento, procede alla sistematica riscoperta dei classici latini (e in un se-condo momento di quelli greci), nel preciso intento di coglierne il significato piùautentico, deprivato delle ingenue deformazioni medievali. Nel Medioevo, infatti, i classicierano stati spesso sottoposti a interpretazioni poco fedeli, finalizzate a giustificarne ilcontenuto sulla base dei valori cristiani. Gli umanisti si propongono ora di coglierne lospirito genuino, risalendo in modo “scientifico” — attraverso una nuova scienza, lafilologia (→ Glossario) — alle loro reali prospettive storiche ed espressive.L’Umanesimo riconosce, quale impareggiabile strumento di civiltà, la poesia, espres-sione intima dell’humanitas, ed esalta, tra le varie discipline del sapere, i cosiddettistudia humanitatis (letteralmente, «studi relativi all’umanità»). L’espressione fu co-niata a suo tempo da Cicerone per designare gli studi letterari (grammatica, retorica,filosofia, storia), considerati i più idonei a promuovere lo sviluppo integrale dei valoriumani nell’individuo. Gli umanisti, mostrandosi concordi con l’opinione del grandeoratore romano, ne riconoscono l’importanza e credono necessario imitarne scrupo-losamente le forme e i contenuti, pur conferendo a tale operazione la maggioreelasticità possibile.Il desiderio di un totale e incondizionato ritorno alla classicità, tanto nei contenutiquanto nella forma, spinge gli umanisti della prima metà del secolo XV a esprimersirigorosamente in latino, non soltanto nei trattati (come pure era avvenuto nel Me-dioevo), ma anche nelle opere più propriamente letterarie e poetiche. Il volgare, dalcanto suo, viene limitato a usi di pratica necessità e perde progressivamente ogniprerogativa di lingua letteraria. Ad essere rifiutato, d’altra parte, non è solo il volga-re, ma lo stesso latino medievale che, secondo gli umanisti, aveva perduto la purezzadi quello classico e si era “imbarbarito” e corrotto. L’unica lingua degna di essereassunta come modello ideale è il latino dell’epoca classica. Ciononostante, una talescelta non poteva che rivelarsi antistorica: rinnegare la lingua di Dante e di Petrarcasignificava disconoscere tutta una tradizione che era ormai patrimonio comune diun’intera civiltà. Nel 1441, pertanto, si assiste a una netta inversione di tendenza:

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il volgare inizia una lenta ma progressiva riabilitazione a lingua letteraria. Nellacittà di Firenze, infatti, proprio in quell’anno, Leon Battista Alberti (→ I generi lette-rari) organizza il famoso «certame coronario», una gara di poesia in volgare ideatacon il patrocinio di Piero de’ Medici. E se è vero che il premio non viene assegnato anessuno dei concorrenti, le cui opere non sono giudicate abbastanza degne dellacorona poetica, è altrettanto vero che la gara in sé costituisce l’indizio inequivocabiledi una tendenza ormai riconosciuta e irreversibile. In breve il volgare viene equipa-rato, nella sua funzione di lingua letteraria, al latino. La letteratura volgare delsecondo Quattrocento, peraltro, trae dalla precedente produzione latina grossi bene-fici, il primo dei quali è l’abitudine a modellarsi, come a suo tempo aveva acutamentesuggerito Petrarca, sulla lingua dei classici. Il volgare utilizzato dagli scrittori dellaseconda metà del XV secolo è una lingua tesa ad affinarsi mediante l’imitazione deiclassici latini dei quali assimila, rielaborandoli, forme e costrutti. La lingua nazionaleviene progressivamente a identificarsi con il fiorentino, consacrato quale lingualetteraria dal prestigio dei tre grandi scrittori del Trecento. Va debitamente conside-rato, tuttavia, che tale lingua unitaria è solo una lingua letteraria, impiegata da unaristretta minoranza colta e solo in relazione a determinati usi letterari. Le lingueparlate quotidianamente da tutti restano i dialetti, specchio di un panorama estre-mamente vario e inevitabile risultato della frammentazione politica italiana.

Capitolo Primo � I GENERI LETTERARI – GLI AUTORI “MINORI” – GLI STRANIERI101

Capitolo PrimoI GENERI LETTERARIGLI AUTORI “MINORI”GLI STRANIERI

Sommario: 1. LA PROSA – 2. LA POESIA – 3. IL TEATRO – 4. GLI AUTORI STRANIERI

1. LA PROSA

1.1 I trattati e le epistole

In linea con l’entusiastica riscoperta del mondo antico, la cultura umanisticariprende, rielaborandoli, molti dei generi letterari della tradizione classica.Tra tutti, il trattato si rivela in assoluto quello più ripreso e diviene il genereper eccellenza della letteratura umanistica.Tipici di questo periodo sono i trattati di argomento lette-rario e linguistico. Gli umanisti tengono in grandissima con-siderazione le litterae, strumento di espressione dell’intimaessenza dell’uomo, e si chiedono se la lingua più degna a vei-colarne i contenuti sia il latino o il volgare. L’insigne filologoumanista Lorenzo Valla (1405-1457), nel trattato intitolatoElegantiarum linguae latinae libri VI (Le eleganze della lin-gua latina, 1435-44), mostra di prediligere il latino, operan-do tra l’altro un’importante distinzione tra quello medievale e quello classico.Leonardo Bruni (1370-1427), invece, pur essendo un egregio traduttore delgreco e un attento studioso dei classici, nei suoi Dialogi adPetrum Paulum Histrum (1401) difende il volgare dal di-sprezzo degli umanisti; nelle biografie dedicate a Dante ePetrarca (→ Parte Prima, I grandi autori), inoltre, riconoscealla lingua volgare una dignità pari a quella attribuita al lati-no, sottolineando il pregio della poesia dei grandi trecenti-sti. Grande rilievo ha avuto, inoltre, la polemica sul proble-ma dell’imitazione, emblematicamente interpretata da An-gelo Poliziano (→ I grandi autori) e Paolo Cortese (1465-1510). Quest’ultimosostiene la necessità di rifarsi fedelmente a un unico modello; Poliziano, in-vece, conia il principio della docta varietas (dotta varietà), in base al quale

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bisognava tener presente un’ampia varietà di modelli, utilizzando quanto dimeglio offrisse ognuno di essi, per comporre in modo originale e creativo.Numerosi sono anche i trattati di argomento filosofico-morale. Tra i princi-pali autori figurano Coluccio Salutati (1331-1409), Poggio Bracciolini (1380-1459) e Lorenzo Valla.

Coluccio Salutati, amico e discepolo di Francesco Petrarca, scrive diversi trattati in lati-no, tra cui il De saeculo et religione (Il mondo e la religione, 1381), dove emerge la nuovaconcezione antropocentrica tipica della civiltà umanistico-rinascimentale, e il De fato,fortuna et casu (Il fato, la fortuna e il caso, 1396-99), in cui si sofferma sul concetto divirtù come forza morale e intellettuale in grado di trionfare sulla fortuna e sul caso.

Poggio Bracciolini, abile ricercatore di testi classici (rintracciaopere importantissime come il De rerum natura di Lucrezio e iltesto completo della Institutio oratoria di Quintiliano), privilegiail trattato in forma dialogica. Nel De avaritia (L’avarizia, 1428-29)giudica socialmente utile la ricchezza e condanna la vita contem-plativa e statica di certi ordini religiosi; nel De varietate fortunae(Il variare della fortuna, 1448) esalta la forza della virtù umanacontro l’imprevedibilità del caso; nel Contra hypocritas (Contro

gli ipocriti, 1448) accusa gli ecclesiastici e alcuni frati mendicanti di falsità.

Lorenzo Valla è autore di un trattato in forma dialogica (che sucita non poche pole-miche) intitolato De voluptate (Il piacere, 1431). Il grande filologo e pensatore uma-nista tenta di conciliare la morale epicurea fondata sul piacere (Epicuro, filosofogreco vissuto tra il IV e il III secolo a.C., è il fondatore dell’epicureismo che identificail “piacere” nell’assenza di ogni bisogno materiale o spirituale) e la dottrina cristia-na, il cui scopo primario — sostiene l’autore — non è l’esercizio della virtù, ma ilconseguimento della beatitudine celeste, supremo piacere dello spirito.

La seconda metà del Quattrocento è caratterizzata, inoltre, dal recupero delladottrina filosofica di Platone. I rappresentanti principali del platonismo (→Glossario) quattrocentesco sono Marsilio Ficino (1433-1499), fondatore del-l’Accademia Platonica e autore della Theologia platonica, in cui cerca di conci-liare platonismo e Cristianesimo, e Giovanni Pico della Mirandola (1463-1494).

Discepolo di Ficino ed esperto cultore di studi filosofici, Giovan-ni Pico della Mirandola tenta una sintesi tra le maggiori dottrinefilosofiche (aristotelismo e platonismo) e religiose (Ebraismo, Cri-stianesimo e Islamismo), per cui idea il progetto, mai realizzato,di convocare a Roma un convegno di dotti per discutere novecen-to tesi da lui elaborate sull’argomento. Introduzione al convegnodoveva essere la celebre orazione intitolata De hominis dignitate