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Mensile a tiratura regionale Anno 6 - n. 10 dicembre 2011 20.000 copie - Distribuzione con La Gazzetta Free Press Stadio Romagnoli tra storia, aneddoti e ricordi Mercatini di Natale conviene copiare per uscire dal ridicolo Tonino Molinari: aspetto una sentenza da 20 anni

IL PRIMO - Dicembre 2011

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IL PRIMO - Dicembre 2011

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Page 1: IL PRIMO - Dicembre 2011

Mensile a tiratura regionaleAnno 6 - n. 10 dicembre 201120.000 copie - Distribuzione con La Gazzetta Free Press

Stadio Romagnoli tra storia, aneddoti

e ricordi

Mercatini di Nataleconviene copiare per

uscire dal ridicolo

Tonino Molinari:aspetto una sentenza

da 20 anni

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sommario

Allegato

DIRETTORE RESPONSABILEAngelo Santagostino

DIRETTORE EDITORIALEGennaro Ventresca

Registrazione al Tribunale

di Campobasso

n°3/08 del 21/03/2008

A.I. COMMUNICATIONSEDE LEGALEvia Gorizia, 42

86100 CampobassoTel. 0874.481034 - Fax 0874.494752

E-mail: [email protected]

E-mail: Amministrazione-Pubblicità[email protected]

www.lagazzettadelmolise.itwww.gazzettadelmolise.com

STAMPA:A.I. CommunicationSessano del Molise (IS)

Hanno collaborato

Adalberto CufariAntonio Campa

Sergio GenoveseGegè Cerulli

Daniela MartelliDomenico Fratianni

Bernardo DonatiWalter CherubiniEugenio Percossi

Progetto grafico

Maria Assunta Tullo

In questo numero

EditorialiPiazza salotto di Adalberto Cufari pag. 5

Controcantodi Sergio Genovese pag. 6

Camera con vistadi Antonio Campa pag. 7

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Terminalma ne valeva la pena?

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Mait

MinichettiMinichetti31

Mast’ Mario

1

La nuova giunta regionale

Chieffo

Velardi

Di Sandro Fusco Scasse

Vitagliano

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Il personaggioLuigi Putalivo

Natale è il luogo delle piccoleossessioni: il presepe, l’al-bero, i primi fiocchi di neve,

il camino acceso, la tombola, il mer-cante in fiera, i regali, dell’ennesimoche puntuale ritorna.

Nel mondo della politica in generesi registra una tregua. Ma quest’annopare che tiri una brutta aria e che inlungo e largo imperversi la rassegna-zione. Sino all’altro ieri si è speso piùdi quanto si poteva: e non poteva du-rare. Perciò ora tutti predicano a fa-vore dei risparmi, attraverso i tagli.

Il Molise è piombo a danaro ebussa a quattrini e a posti di lavoro.O, perlomeno, pretende di non perdere quelli che già ha. Per quelche riguarda i giovani la situazione è sempre più grave, mentre dal-l’Università, con scadenze più ravvicinate, ci informano che gliiscritti aumentano. Ma dimenticano di spiegarci in che modo i nostriragazzi riusciranno a spendere i loro titoli.

Nella grammatica della politica hanno trovato da troppo tempo,seppur con soverchi ingiustificati sospetti, verbi ausiliari: program-mare, progettare, gestire, comunicare, interagire, coinvolgere, con-frontarsi, evolversi. Sono il refrain di un modo consapevole diporgersi, rispetto alla complessità dei tempi e del sistema.

Figure e profili impensabili si stanno facendo largo nel tentativo direndere equilibrato il rapporto tra cuore e cervello. La gente attenderisposte concrete, è stanca di sentirsi inondare di parole. Ha biso-gno di fatti, per riguadagnare fiducia. E, soprattutto, i giovani aspet-tano il loro momento per entrare a pieno titolo nel mondo del lavoro.E formarsi una famiglia.

Mi chiedo come faccia una giovane coppia a sposarsi o a convi-vere senza certezze. Quelle che coraggiosamente ci hanno provatosono costrette a fare autentici salti mortali per andare avanti: l’af-fitto, le bollette, la spesa, la benzina che costa ogni giorno di più. Contanto precariato qualcuno si chiede il perché le culle restino vuote.Come si fa a riempirle con l’aria che tira?

Ci aspetta un Natale in tono dimesso, ammettiamolo. Abbiamopoco da festeggiare, eppure non intendiamo arrenderci. Già fioccanole prenotazioni per il veglione di fine anno: non c’è nulla di più irri-nunciabile del superfluo.

Prima o poi tornerà la bella stagione della nostra vita, per rilan-ciare il commercio, la produzione, le attività professionali e artigia-nali. E anche la manovalanza riavrà il suo appeal. Non bisognaarrendersi, anche se in tanti continuano a interpretare la parte delpessimismo, che va un po’ di moda.

Allo stato dell’arte ci sono uffici pieni e campagne svuotate, senzaservizi né per le abbandonate zone rurali né per le impreparate re-altà cittadine. Provate ad affacciarvi in una bottega di un falegnameo di un fabbro e cercate di individuare un solo apprendista. Non esi-ste un calzolaio di nuova generazione. Ognuno si avvia verso glistudi, per aspirare a un avvenire migliore, attraverso una vita lindae pinta, con le mani lisce e la faccia sempre rasata.

Provo ad andare controcorrente chiedendo alle istituzioni di mettereuno sbarramento alle facoltà universitarie, attraverso l’introduzione delnumero chiuso. E’ giunto il momento di cambiare tendenza concedendoil pass solo agli studenti più portati e meritevoli. Che senso ha far lau-reare migliaia di persone che impiegano anche il doppio del corso distudi se poi il mercato del lavoro non sa che farsene? Gli altri giovani-nessuno si offenda- si diano al terziario. Solo in questo modo potremoriappropriarci di un Molise che, nostro malgrado, non c’è più.

L’EDITORIALE

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di Gennaro Ventresca

C’è poco da festeggiare

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Natale in casa Capone

aitre Eden campione d’Italia

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asserra

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Niente di personale con i dirigenti regionali. Ci man-cherebbe altro. Ma qualche cosa bisogna pur scri-verla sul loro conto. Così, tanto per far capire alla

gente chi sono e anche quanti soldi guadagnano. Senzasottilizzare sono una settantina e sono dislocati di qua e dilà, dalle presidenze sino agli assessorati. Economicamentesono tra i meglio pagati del Molise,portando a casa unostipendio tabellare di 43mila euro annuo, a cui bisognasommare la retribuzione di posizione che si stima intornoa 37mila euro e, per chiudere la contabilità, è il caso di ag-giungere altri 24mila euro, come retribuzione legata al ri-sultato. Una retribuzione che si raggiunge comunque,visto che chi è chiamato a valutare il lavoro dei dirigenti,storicamente, ne ha sempre apprezzato l’operato.

Così, tanto per stare alla contabilità, è il caso anche di ri-portare cosa si vedono accreditare sul conto i tre direttorigenerali. Ognuno si sente gratificato con circa 175mila euro,frutto di questo elementare conteggio: 43mila euro comestipendio tabellare, 110 come posizione e 23 come risultato.Niente male, anche se stiamo parlando di compensi lordi.

Di recente, malgrado tali introiti, i dirigenti regionali, at-traverso le loro sigle sindacali hanno trovato il modo diprotestare all’indirizzo di Piero Notarangelo, direttore cheha preferito dare la precedenza al pagamento delle im-prese che boccheggiano, mettendo in seconda riga i giàagiati colleghi.

Si è debordato: i sindacati hanno scritto su un comuni-cato, di un comportamento deamicisiano, mostrando an-cora una volta lo spirito corporativo.

Gli stessi sindacati non hanno gradito che la notiziauscisse dalle stanze del Palazzo: l’ha pubblicata solo LaGazzetta del Molise, mentre le altre testate chissà perquale ragione hanno preferito farsi scivolare la notizia didosso.

Va ricordato che i dirigenti regionali già altre volte sonofiniti sui fogli di giornale. Come quando, assieme ad altricolleghi regionali, si sono visti disporre un comodo scivoloper andare in pensione, attraverso una munifica rottama-zione. Che è stata contabilizzata in una sommetta, quasipari al trattamento di fine rapporto. Anche in quella occa-sione ci sono stati risentimenti e anche qualche sterileprotesta.

Con questo clima di tagli e di pianti grechi abbiamo vo-luto far sapere alla gente che non tutti piangono. Con certistipendi pagare l’Ici non è poi un gran sacrificio, né si ri-nuncia a una gita fuori porta solo perché il carburante èarrivato a costare come non mai.

Va anche detto che alcuni esponenti politici si sonoespressi con asprezza nei confronti dei dirigenti regionali,affermando che gli stessi guadagnano troppo per ciò chefanno e che spesso dipende proprio dalla loro “melina”ilmal funzionamento dell’amministrazione.

di Ignazio Annunziata

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La Regione, attraversol’assetto organizzativoe l’esercizio delle fun-

zioni dirigenziali (e non solo)si propone di attivare un pro-cesso di accrescimento del-l’efficienza del sistema amministrativo;di stabilire le condizioni per l’econo-micità, la speditezza e l’incisività deiservizi; di razionalizzare la spesa peril personale e per il funzionamentodell’amministrazione; di promuovereuna cultura burocratica fondata sul-l’autonomia responsabile dei pubblicidipendenti e sulla preminenza dei di-ritti e delle esigenze dei cittadini e diintegrare la disciplina del pubblico im-piego con quella del lavoro privato.Inoltre, l’organizzazione regionale dicedi attenersi alla programmazione del-l’attività legislativa; alla flessibilità,anche nella gestione delle risorseumane; al controllo dei risultati e allaseparazione di funzioni e responsabi-lità tra organi istituzionali e dirigenza,nonché alla parità e alle pari opportu-nità tra uomini e donne per l’accessoal lavoro e per il trattamento sul lavoro.Belle parole e ottimi propositi!

Vorremmo crederci, ma la storia ul-traquarantennale dell’ente, le varieriorganizzazioni poste in atto, diconotutt’altra cosa. Dicono che l’incidenzadella politica ha prevalso sempre sututto, che le gratificazioni concesse alpersonale sono frutto prevalente-mente del clientelismo, che il controllodei risultati non è mai stato effettuatononostante fosse un obbligo. Per cuitutti i provvedimenti legislativi e nor-mativi si sono ammantati di demagogiae lasciano inalterato il sospetto chesiamo di fronte all’ennesima plani-metria di un disegno di potere daesercitare ancora una volta attraversofavoritismi e discrezionalità, soprat-tutto nella parte in cui viene trattatala materia riguardante la dirigenza,che continua ad essere pletorica (no-nostante le cure dimagranti) e, so-prattutto, sopravvalutata. Altro cherazionalizzazione della spesa per ilpersonale e del funzionamento del-l’amministrazione! L’organizzazionestrutturale, per quanto si appelli allarazionalità (nei principi), nella so-stanza soffre sempre di elefantiasi.Con la legge 10 del 23 marzo 2010 la

Regione s’è dato un assetto meglio re-gistrato nei meccanismi funzionali: undirettore generale, un segretario gene-rale, otto direttori d’area e direttori diservizio ad libitum. Il cantiere però èrimasto aperto e la direzione generale,su incarico del governo regionale, ha infase di conclusione una nuova propo-sta d’assetto. Dal che deduciamo che laparte politica avrà di che occuparsi inquesto nuovo allestimento piramidaledi funzioni e di responsabilità. Conpiena legittimità, se si tiene conto chenella legge 10 è stato sancito che lacostituzione e la soppressione dellestrutture organizzative, nonché la de-finizione delle rispettive competenzesono stabilite dalla giunta e dall’ufficiodi presidenza del Consiglio regionale,fatta eccezione per il servizio di Gabi-netto del presidente della Regione eper gli affari istituzionali; per il serviziodi segreteria della giunta regionale; peril servizio di avvocatura regionale, af-fari legislativi e giuridici e rapporti isti-tuzionali; per il servizio di protezionecivile e per il servizio delle partecipa-

zioni regionali che sono strutture spe-ciali della giunta regionale. Questodelle strutture speciali, ad esempio, èun campo particolarmente fertile permanovre clientelari, per promozioni,per assunzioni, per retrocessioni, pervantaggi economici e carriere. L’abilitàdel legislatore regionale (di maggio-ranza e di minoranza) s’è sempre rac-chiusa in questo escamotage, nel sapercreare cioè gli ambiti di manovra entrocui agire a seconda delle circostanze(storiche) e delle convenienze (politi-che). Lo ha sempre fatto e continueràa farlo. Ragion per cui anche questonuovo modello che sta per essere va-rato su proposta della direzione ge-nerale si lascia ancora una voltaaccreditare di scarsa incidenza praticae di notevole sostanza clientelare. Fin-tanto gli incarichi dirigenziali, la strut-turazione dei servizi e degli uffici devecorrispondere alla “utilità” del perso-nale (a danno dell’utilità del cittadino)e al gradimento del politico di riferi-mento, sarà oggettivamente durauscire dal tunnel.

di Adalberto Cufari

Cambiare tutto perchénon cambi niente

Piazza salotto

La storia

si ripete:

pronte

nuove norme

in materia

di organizzazione

dell’amministrazione

regionale

e del personale

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di Sergio Genovese

Controcanto

In un periodo in cui, fi-nalmente, si fa stradauna nuova coscienza

sociale sui privilegi scan-dalosi di cui ha beneficiatoe al momento beneficia laclasse politica, anche ilmondo dello sport sembraessersi dato una scadenzaimminente per stringere lacinghia.

Dopo la bella epoquedella schedina che regalavamiliardi anche alle Federa-zioni meno rappresentate,è tempo di fare conti e bi-lanci senza più artifici. Neiperiodi d’oro è verosimilericordare che, con unacerta frequenza, mariuoli emezze calzette, sono statitrovati con le mani dentrola marmellata visto i soldiche giravano.

E’ successo anche dallenostre parti e nessuno se loricorda più figuriamoci se cipotevamo aspettare l’inter-vento della Magistratura. Magli episodi non erano circo-scritti e non riguardavanosolo le persone più o menoindividuate. Ciò nonostante,saremmo pronti al perdonoe all’oblio se quei protagoni-sti oggi non si atteggiasserocome se non fosse successonulla. Oltre ai colonnelli dialto bordo e quelli un po’ piùperiferici, ci sono semprestati nel sottobosco organiz-zativo dei vari presidi, eser-citi di luogotenenti che pursbandierando il proprio re-gime di volontariato, a finemese riuscivano e riescono amettersi nelle tasche i soldiper le sigarette, per la ben-zina e per la pizza del sabatosera. Sono quelli più apprez-zati che, si dice, voglionobene allo sport, ma non èproprio così perché mancala riprova di vederli all’operasenza alcun compenso.

Ora siamo ad un punto dinon ritorno. C’è il rischiofondato però che a rimet-

terci siano le strutture ope-rative meno forti politica-mente, poiché quando sideve scontentare qualcunosi colpisce il più debolecome è successo nella Fe-dercalcio allorquando si èdistrutto il settore giovanilee scolastico passato alle di-pendenze della Lega Na-zionale Dilettanti.

Il Coni ha deciso di ta-gliare tutti i Comitati Pro-vinciali. Non credo sia unbene per lo sport. Ma ha ta-gliato notevolmente anchetutte le rimesse alle varieFederazioni, insomma saràun contesto decisamentepiù povero. Ecco perché lacasta dei dirigenti sportiviè in pericolo perché dicasta si tratta. Vediamo chesuccede dalle nostre parti.Il lettore provi a dare unosguardo alle persone che alivello regionale e provin-ciale rappresentano losport molisano. La maggiorparte è cristallizzata sucerte poltrone anche da unventennio. Si dirà: si cele-brano regolari elezioni.Formalmente è così, nellasostanza non proprio.

A metà degli anni no-vanta mi cimentai in unacompetizione del genere ene rimasi disgustato per iprofili che la connotarono.L’altro competitor, pensate,dopo quasi diciassetteanni, è ancora in sella. Lacasta quando si insedianon entra nel ragionevoleatteggiamento che dopo unpo’ di tempo bisognerebbe,gioco-forza, passare lamano, non fosse altro perdare nuovo slancio al-l’Ente in cui operano. AlComitato Provinciale del

Coni di Isernia da diversianni è Presidente il Sena-tore Di Giacomo. L’esem-pio è iconografico perquello che intendo dire. Anaso si può pensare checon tutti gli impegni cheha il Senatore gli rimangadel tempo per fare il Pre-sidente a tutto tondo?Onestamente, non penso.Inoltre se dovesse succe-dere che qualcuno, timida-mente, a qualsiasi livello, siproponesse in alternativa,allora la casta, chiudendosia riccio, attiva tutta unaserie di beceri comporta-menti volti a screditare gliarditi pretendenti. Nes-

suno può permettersi dicoltivare certe ambizioni.Su quelle poltrone sembravigere la legge del “vita na-tural durante” come nellemigliori caste. Per conclu-dere, si avverte l’urgenzadi una stagione diversa perlo sport nazionale e regio-nale. Da tempo, troppotempo, Petrucci, Carraro,Pagnozzi, Pescante, Abetee via dicendo, sono sullascena. Anche da noi, senzaombra di dubbio, piccoli (ograndi) dirigenti rista-gnano. Bisogna rinnovare l’aria. E’ proprio lo sport,quello vero, che ce lo inse-gna.

La casta dei dirigentisportivi

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di Antonio Campa

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Il mite autunno è statoprodigo di notizie per imedia a caccia di argo-

menti interessanti, dovendotribolare con un’utenzascarsa come acquirentema fedele e tenace nellalettura e nella visione.

La cronaca è quella chemeglio è trattata, gli addettiai lavori sono puntuali nel-l’informare le redazioni, conveline e sussurri precisi,come dimostra la finta ca-sualità delle telecamere edei fotografi presenti a tuttele ore nei blitz clamorosi.

Grazie ai dolorosi accadi-menti trattati con puntiglionegli ultimi giorni, l’opi-nione pubblica nel capo-luogo ha appreso cifrepreoccupanti sul numerodei tossici schedati, che su-pera le settecento unità.

E’ sconfortante costatarecome dati che dovrebberoessere acquisiti da decenni,determinando la nascita diuna coscienza civile collet-tiva forte sulla questione,quasi una militanza in am-bito familiare, siano inveceaccolti con stupore, comeaccadeva un tempo quandouna ragazza accusava al-l’improvviso forti dolori dipancia e il dottore, chia-mato in gran fretta, seraficoe severo sentenziava “Devepartorire!”. Davvero nes-suno se n’era accorto? Aproposito dei paraocchisulla droga, Padre Lino Ia-cobucci commenta: “Non èvero che i familiari non sene accorgono, non voglionoaccorgersene, perché lapresa d’atto comporta re-sponsabilità gravi e unmutamento, un vero ri-pensamento del propriomodo di vivere”.

Quando Padre Lino siavvicinò al mondo delletossicodipendenze, si ac-corse che il Molise nonaveva statistiche sul feno-

meno, forse per perbeni-smo e sottovalutazione delproblema. Capitò anche aDon Ciotti a Torino. I segnalituttavia c’erano e forti.“Quell’erba ci cresceva tuttaintorno …”, cantava Guccininel suo Eskimo già alla finedegli anni settanta. In quelperiodo si registrò il primodecesso per overdose aCampobasso, a rimettercila vita fu un ragazzone altoe smilzo, compìto e di buonafamiglia, che mai unoavrebbe immaginato fossededito al vizio. I compagnilo lasciarono sulla soglia delvecchio Ospedale, l’unicoall’epoca, in un giorno traNatale e Capodanno.

Erano i tempi dell’eroinasuperstar, esaltata da genimaledetti come Jimi Hen-drix e Janis Joplin, talentiimmensi distrutti en-trambi a ventisette anni daun’overdose. Confida PadreLino che una volta un eroi-nomane lo prendevi comestraccio nel secchio dellaspazzatura e lo riportavi a

vita normale. Il problema attuale del fe-

nomeno è il diffondersidelle droghe sintetiche edeccitanti e dei cocktail stu-pefacenti, a volte fatti incasa. Bombe che danno lasensazione non solo di po-tenziare e migliorare il pro-prio stato, ma di poteressere dominate senza pro-blemi da chi le assume. “Do-mani smetto” cantano gliarticolo 21, dichiaratamenteliberisti sul tema. “Domanismetto” ripetono alcolizzati,obesi, fumatori, tossici, gio-catori d’azzardo. Le droghepiù in voga in questo pe-riodo, sono le peggiori, per-ché il cervello respingecome un muro di gomma glistimoli a liberarsi dal giogo.Prendete la cocaina. Il recu-pero è reso difficile perfinodal tempo che fa. Se peresempio nevica, l’associa-zione d’idee con la parolagergale che identifica la re-gina delle anfetamine, bastaa volte a provocare una crisidi astinenza.

Il professor FerdinandoNicoletti, farmacologo allaSapienza di Roma e ricerca-tore del Neuromed, ha stu-diato quelle che sono le basicellulari delle tossicodipen-denze, dimostrando che lecellule che creeranno nuovineuroni, presenti in numerolimitato in un settore speci-fico del cervello, sono attac-cate dalle droghe, riducendola già limitata possibilità disostituire le cellule nervose.Ciò significa che la locu-zione “bruciarsi il cervello”non è solo un modo di dire.

C’è un altro concetto dachiarire, spesso censurato.L’assunzione di droga com-porta un benessere effi-mero, un’estasi labile evana per il consumatore. Iguai, sotto forma di dipen-denza arrivano poco dopo,innescando un circolo vi-zioso. Se vuoi riprovarequelle sensazioni, devi ven-derti l’anima. E’ la tragediadel Faust, che si trasformain drammatica routine.

Ciò nonostante, noi chenon l’abbiamo mai fatto con-tinuiamo a vivere nell’ipocri-sia che i nostri figli sono diun’altra razza, e se qualcunoci casca, è per colpa dellecattive amicizie o dell’am-biente degradato in cui vive.Tra mille raccomandazionidi non accettare caramelleda sconosciuti. Frammentidi verità, buoni per sopirela coscienza. Come Mastro-ianni prima e De Niro poi nelremake del film citato neltitolo. Come Lucariello -Eduardo in Natale in casaCupiello. Non è vero chestanno tutti bene, ne siamoconsapevoli. Una città dovesi contano settecento tossiciufficiali, cioè almeno il triplocome dato reale, sta malis-simo. Prenderne atto èarduo, meglio affidarsi alfatidico e comodo “Tanto ame non capiterà mai”.

Stanno tutti beneCamera con vista

Marcello Mastroianni nella locandina spagnola del film di Tornatore

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C’era una volta a Campobasso…Mi verrebbe da dire, da campo-bassano “assélute”, “cé stéa ‘na

vóta a Campuāsce”, il Natale. Vedendola nostra città in questi giorni, privadi quel fervore che l’ha sempre carat-terizzata durante le feste natalizie, mida una stretta al cuore. Girare per lestrade di Campobasso, prive di lumi-narie e di addobbi natalizi incute unagrande tristezza in chi, come me, è unmalato inguaribile della sua città.

Sicuramente sarà anche colpa deitempi difficili che stiamo vivendo, macredo che, con un po’ di buona volontàda parte dell’Amministrazione Co-munale e degli stessi commercianti, sipossa offrire un po’ di allegria all’in-tera comunità.

Di fronte a questa inerzia mi ver-rebbe spontaneo dare ragione a qual-che nostalgico che, vivendo ledifficoltà quotidiane dovute alla crisiin atto, si rifugia nella classica affer-mazione che sa di resa “zé stéa megliequanne zé stéa peggie”, si stava meglioquando si stava peggio, riferendosi aquando i tempi erano più difficili degliattuali perché si usciva da un conflittomondiale devastante e gli stenti eranoall’ordine del giorno. C’era la fame checostringeva anche le famiglie più ab-bienti a razionare quello che avevano,temendo tempi ancora peggiori. Nonc’erano gli sprechi di oggi giorno man-cando molto di quello che i nostri figlihanno oggi, ma si era felici perché cisi accontentava del giusto.

Solo durante le festività natalizie equelle pasquali, anche le famiglie piùumili si concedevano il “ “lusso” di unpranzare più ricco, per avvertire la ma-gica atmosfera delle feste. In questoperiodo, la memoria mi riporta allamente l’echeggiare per le strade delsuono delle zampogne e delle ciara-melle, il forte odore degli agrumi ed ilcaldo profumo delle olive nere “curate”con semi di finocchio selvatico, sale ebucce d’arance. Era solo l’inizio dellasettimana che preludeva al Natale.Ogni casa aveva il suo presepe. Nonc’era l’albero di Natale. Le ristrettezzeeconomiche facevano sì che l’arredodel presepe venisse fatto con cartoni dirisulta colorati, mentre il verde dellecolline e dei prati si realizzava con la

“carpia”, il muschio, raccolto sui Montio dietro lo “scrémone”, il versante sud-ovest della collina che dava su S. Anto-nio Abate. Solo le famiglie che se lopotevano permettere acquistavano i“pasturiélle”, pastorelli, da Minichetti,famoso artigiano del posto, altrimentisi costruivano con la mollica di paneimpastata con sale ed acqua.

Le strade del centro storico, già co-perte dalla neve, si riempivano di alle-gri profumi accattivanti, testimonianzadei preparativi di una cucina semplice,ma genuina. Le “scurpelle”, le cre-spelle, fritte era uno degli alimenti chenon doveva mancare mai sulle tavoledei campobassani. Se ne preparavanodue tipi: uno con le alici, l’altro con icavoli. Le “cauciune”, i calzoni, era il ti-pico panzerotto natalizio che sosti-tuiva i dolci industriali, farcito conpasta di ceci mescolato con polvere dicacao e bucce d’arance. Anche il tor-rone si faceva in casa con mandorle,miele, latte e tanta fatica di gomito. Poi,c’erano i “pépatiélle”, gli impepatelli,simili ai cantucci senesi, ma più gu-stosi forse perché casarecci.

Il cenone della vigilia comprendevale linguine al sugo di baccalà, il baccalàcucinato in tutte le salse: con le patatealla coppa, con i finocchi, in bianco, in-dorato e fritto, con la cipolla. Il capi-tone era un lusso che pochi potevanopermettersi, ma che, per l’occasione,anche le famiglie più povere riusci-vano a comprare. Era la cosiddetta “dé-vuzione”, rispetto, che, in quanto tale,

andava rispettata. La frutta secca ed idolci di cui accennavo prima chiude-vano la magia della vigilia. Dopo si an-dava tutti alla messa di mezzanotte perattendere la nascita di nostro Signore.

Il giorno di Natale si esagerava perquelle che erano le finanze di ogni fa-miglia. Mettersi a tavola era una festamolto attesa, perché era l’occasione digustare cibi che ci si poteva permet-tere solo una o due volte all’anno. Lasagna in brodo di gallina era il primopiatto tradizionale campobassano, persecondo veniva servito il cappone far-cito con contorni a base di prodotti lo-cali che si acquistavano qualchegiorno prima dai contadini del Fon-daco della Farina, della Piazzetta Pa-lombo o del mercato coperto. Dopo ladegustazione dei dolci preparati incasa, il pranzo terminava con l’assag-gio del rosolio, che le nostre nonnepreparavano con meticolosa atten-zione. La giornata terminava attornoal camino, dove si giocava a tombolafino a notte inoltrata. Allora non esi-stevano le pedine per coprire i numerichiamati, ma solo i fagioli o i ceci. Altritempi quelli, che un “amarcord” no-stalgico, mi fa preferire a quelli dioggi. Qualcuno chioserà che il para-gone è improponibile, perché oggi c’ètutto e di più, mentre ieri c’erano glistenti e la povertà. Sarà pure vero, maora, che si è più ricchi, mancano il sa-pore delle cose genuine, la felicità e lospirito di iniziativa che avevano le fa-miglie di una volta.

di Arnaldo Brunale

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C’era una volta a Campobasso…

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Le trovate di SupermarioUn ritorno a casa. Dove è stato per trenta mesi. Fa-

cendosi rispettare. Poi ha lasciato le chiavi a Mi-chele Picciano che s’è comportato benone, dando

anche un po’ di tono agli uffici di via 4 novembre, attra-verso meritevoli lavori di ammodernamento.

In verità una cosa non è piaciuta a tutti di Picciano: diraccogliere le foto dei presidenti del Consiglio, racchiusein alcune cornici dall’aspetto un po’ severo. Antidiluviale,secondo i più severi censori.

Ma è di Mario Pietracupa che abbiamo deciso di scri-vere in questo spazio, ex bancario passato a vivere in unaltro modo e in un altro ceto da quando ha lasciato Cam-pobasso per trasferirsi a Venafro, dove ha trovato unnuovo amore e s’è rifatto una vita. Stando accanto alla nu-merosa famiglia Patriciello che l’ho ha accolto con affettoe simpatia.

Pietracupa si è occupato principalmente di Neuromed,l’istituto di ricerca dei Patriciello, situato a Pozzilli, puntoqualificante della sanità molisana, sia pur appartenente aun privato.

Si ricordava che Pietracupa è tornato a fare il presidentedel consiglio regionale. Dopo aver occupato il posto di as-sessore e vice presidente della giunta nell’ultimo trattodella scorsa legislatura.

Il debutto del nuovo presidente è stato da manuale.Dopo aver annunciato una legislatura rivoluzionaria perincisività e celerità dell’azione amministrativa, il nu-mero uno del Palazzo non ha perso tempo.Cominciando col chiedere la chiusuradella sede di Termoli, cancellandoaltresì anche il ruolo di capo di ga-binetto. In modo da portare sul-l’unghia un risparmio nettol’anno. Dando così un primo se-gnale visibile di come sono de-stinate ad andare le cose.

Certo, si tratta di piccole cose,ma l’importante è aver dato ilprimo scossone. In mododa far capire all’opinionepubblica e agli stessicolleghi consiglieriquale dovrà esserela strada da seguire.

Non ci ha messomolto qualche no-stro collega a so-prannominare ilnuovo inquilino diPalazzo Moffa comeSupermario.

Al resto, cioè, al fotomontaggio ci hanno pensato i grafici.Così è nato quasi d’incanto un nuovo personaggio. Che sipresenta con la faccia da bonaccione, ma che sotto la

scorza nasconde un caratterefermo. Pronto a far rispettare

le nuove regole generali,improntate sui tagli. In

verità si tratta di ri-sparmi non certo dis-sennati, ma pensati.Con l’intento di lan-ciare anche al so-ciale il messaggioche anche la politicasta vivendo unanuova stagione.

(Al. Ta.)

Il neo presidentedel Consiglio traccia

un nuovo solco

Mario Pietracupa

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Arrivano puntuali come un fi-danzato al primo appunta-mento i litigi. A destra sono

molti gli attapirati che non hanno gra-dito di restare fuori dall’esecutivo: asinistra solo Frattura è felice del ri-corso al Tar. Gli altri –mi riferisco aglieletti- anche se non lo danno a vedere,sperano che non si torni a votare.

Questa mia affermazione può sem-brare contradditoria. Come, si dirà:uno perde per un niente e non hapiacere di tornare al voto, con accre-sciute speranze di vincere? Si, ma bi-sogna essere rieletti. E non saràfacile, tanto per i vincitori che i vinti.

Ci sono tre punti sui quali il centro-sinistra, con i suoi legali, lo studio DiPardo, sta focalizzando i ricorsi.Stando a quel che si sa ci sarebberoserie ragioni per far pensare a un ri-torno perentorio alle urne. Come ac-cadde nel 2000, anno in cui vinse ilcentrosinistra con Di Stasi e giusto unanno dopo si restituì la parola aglielettori che premiarono la coalizioneguidata da Michele Iorio.

Questa volta, però, le cose sonocambiate. Dalla prossima volta, chesia tra un anno o tra cinque, ci sarà dafare i conti con la nuova legge eletto-

rale. In verità qualcuno aveva tuo-nato, reclamando l’applicazione dellanuova norma già alle recenti consul-tazioni. Ma a quanto pare s’è trovatouno spiraglio per proseguire con ivecchi criteri.

Quelli nuovi –giova ricordarlo- pre-vedono alcuni decisi passaggi: i con-siglieri da 30 diventeranno 20, icompensi verranno pressoché dimez-zati e non saranno più previsti vitaliziper gli uscenti. Come dire: la politicanon sarà più un redditizio mestiere,ma un modo di occuparsi della cosapubblica. Guadagnando il giusto.

Oggi un consigliere introita il 60 percento di un deputato, i presidenti dicommissione (Niro, Tamburo, Roma-gnuolo, De Berardo) arrivano all’85per cento. Alla prossima occasione icompensi saranno pressoché dimez-zati. E la cuccagna sarà (quasi) finita.

Partendo da questi presupposti ci sichiede se veramente convenga aglieletti fare del tutto per tornare al voto.Senza dimenticare che una campa-gna elettorale regionale costa cifre dacapogiro. Si aggira intorno ai 100milaeuro, anche se i più parlano di cifrelargamente più basse. Ma dicono unabugia.

Ecco perché non si tornerà

a votare

di Gegè Cerulli

Alle prossime elezioni

i consiglieri diventeranno 20,

i compensi dimezzati

e cancellato il vitalizio

I gruppimonocellulari

La nota

I gruppimonocellulariMa sono proprio infran-gibili. Si sono inventatianche i gruppi monocellu-lari. Cioè fatti da un solosoggetto. In modo da sen-tirsi con le mani sciolte eincassare un bel gruzzoloper sostenere il “gruppo”.Il quale gruppo, tra l’al-tro, ha diritto anche adavere il portaborse cheverrà retribuito con circa2.000 euro al mese. Valela pena ricordare che inove gruppi monocellu-lari costeranno al contri-buente circa un milionel’anno che poteva servireper fini più nobili. Tantoper completare la notiziaci sembra il caso di ricor-dare chi sono i soggettimonocellulari: Iorio (Peril Molise), Paolo Frattura(Il Molise per tutti),Vincenzo Niro (Udeur),Massimo Romano (Co-struire democrazia), Mi-chele Scasserra (MoliseCivile), Filippo Monaco(Sel), Felice Di Donato(Alternativ@), GennaroChierchia (Psi), Salva-tore Ciocca (Federazione.della sinistra).

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Chierchia ha un nome napoletano che è tutto un pro-gramma, Gennaro. Qualcuno davanti al resocontodelle urne avrà pensato a un vero e proprio mira-

colo di San Gennaro nell’apprendere che il candidato delPSI non solo ha sbaragliato la concorrenza interna, ma siè attestato oltre i 1.800 voti. Risultato che ha del fenome-nale se si pensa che il signore in questione ha fatto sem-pre il professore di scuola media superiore. Che, in genere,non consente di costruirsi un bacino elettorale neppureper farsi eleggere in un piccolo comune, come consigliere.

Gennaro Chierchia, invece, è stato capace di fare ilboom. Lasciando tutti di stucco, compagni di cordata, av-versari e opinione pubblica.

Bisogna dire che il professore si è potuto giovare diun’esperienza maturata nella scorsa legislatura, in cuientrò a farne parte dopo aver mandato a casa l’avvocatoErmanno Sabatini che inizialmente lo aveva preceduto ingraduatoria. Il ricorso però gli diede ragione. E si ritrovò inmaggioranza, dove rimase con fare critico, avendo avutopiù d’una percezione che Iorio e la sua band avessero ti-fato dichiaratamente per Sabatini. Così si andò a unire aRiccardo Tamburro e a Mario Pietracupa, nel piccolo lottodell’Adc. Dove ci si aspettava una riproposizione comecandidato alle ultime consultazioni. Invece no, Chierchiasi è spostato a sinistra, infilandosi nel partito che fu diBettino Craxi. Per sostenere Frattura, lo sfidante del go-vernatore.

Ai più non è apparso chiaro il motivo del suo sposta-mento a sinistra. Per questo sono nate diverse congettureche hanno azzardato una piccola intesa sottobanco per te-nere il piede in due staffe.

E’ stato detto e qualcuno lo ha anche scritto che Chier-chia sia stato sostenuto da qualche vecchio amico del cen-trodestra che in questo modo ha pensato a sé e al collega.Ma è chiaro che queste cose non si possono provare e al-lora si viaggia nel campo delle ipotesi.

Una cosa appare chiara che 1.800 voti, con tutti il ri-spetto che merita Chierchia, non sembrano tutti farina delsuo sacco. Se ci si pensa bene sono gli stessi che hannopreso due formidabili produttori di voti quali Picciano eMolinaro che pure sono rimasti ai box.

Il “fenomeno” Chierchia merita qualche riflessione inpiù. Quel che è certo che per il secondo quinquennio staràin consiglio. Dimostrando che anche senza basi elettoralisolide quali sindacati e patronati, industrie e call center sipuò arrivare in alto. Magari rimanendo in silenzio, comeha fatto Gennaro Chierchia che avrà avuto anche l’aiuto diSan Gennaro, ma ci ha messo molto di suo.

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Tutto merito di San Gennaro?

di Alberto Tagliaferri

Fari puntati sul fenomeno Chierchia che spostandosi nel PSI ha fatturato 1.800 voti

Si sono fatte varie congetture sul suo successo, arrivando a pensare all’aiuto di qualche amico del centrodestra

Gennaro Chierchia

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Prima di inviare loroun cordiale e affet-tuoso augurio per le

prossime festività natalizieci sembra il caso di indiriz-zare una precisa raccoman-dazione: signori (e signora),per cortesia, datevi da fare.Niente “melina” e petto infuori. Per far sentire la vo-stra presenza e delle istitu-zioni regionali al nostrosbrindellato Molise. Dai seiassessori voluti da Iorio,scelti dopo una lunga e ac-curata meditazione, ciaspettiamo molto. Sono do-tati di una nutrita espe-rienza, per questo nondovrebbero fare fatica adaffrontare i temi più caldisin dal primo approccio.

Tra i sei il solo MicheleScasserra, appena eletto,non porta nella bisacciaesperienza amministrativa,ma, in compenso, ne ha davendere come industriale eanche come presidentedegli stessi industriali. Percui si può stare tranquilli, ilgiovane componente del-l’esecutivo farà la sua parte.

Quando il governatoreha attribuito con decreto ledeleghe non sono spuntate

novità. Le voci che da di-versi giorni erano circolatenegli ambienti della poli-tica sono state confermate.Iorio tiene per sé il Lavoroche negli ultimi anni erastato gestito, peraltro ab-bastanza bene, dalla Fuscoche ha ottenuto una bene-ficiata di voti, come ricom-pensa.

Il più titolato tra gli as-sessori resta GianfrancoVitagliano sul quale Iorioha puntato sin dal primomomento. Dieci anni fa gliattribuì la delega alla Sa-nità e fu un tormentone,

per i cambi annunciati nelcomparto che prevedevanogià a quei tempi il tagliodegli ospedali e dei postiletto. Il termolese si è poispostato alla Programma-zione e Bilancio, diventandoil custode della cassaforteregionale.

Un peso come un maci-gno è stato posto sul collo diFiloteo Di Sandro che dopoessere migrato da un asses-sorato all’altro si ritrovanelle stanze della sanitàdove c’è da sudare le settecamicie per far quadrare ladifficile contabilità.

La signora Fusco, unicadonna dell’esecutivo e dellostesso consiglio, finisce al-l’Agricoltura che era stataretta brillantemente da Ca-valiere che non vi ritorna peruna serie di ragioni, forseanche per certe dicerie sulgiochetto del voto incrociato.

Rispunta tra i big ancheAntonio Chieffo a cui Iorioriaffida i lavori pubblici, sa-pendo di avere a che farecon un collega esperto, serioe chiaro che, dopo un pe-riodo di “quarantena” è tor-nato nelle sue grazie.

Il bassomolisano LuigiVelardi è rimasto in sella,confermando di essere ele-mento imprescindibile perdote di voti e capacità diri-genziali. Bisogna ricordareche prima di darsi alla poli-tica è stato capo area di unaimportante banca che gliha permesso di tastare ilterritorio.

Chiude il lotto l’unico voltonuovo, Michele Scasserra, ilquale arde dal desiderio didimostrare di saperci fare.Data l’età e le riconosciutecapacità non dovrebbe cer-tamente deludere.

(Al.Ta.)

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Diamoci da fareGiunta a 6

Antonio ChieffoLAVORI PUBBLICI,

ENTI LOCALI e ITALIANI NEL MONDO

Filoteo Di SandroPOLITICHE SOCIALI

e SANITA’

Angela Fusco

AGRICOLTURA

Michele ScasserraATTIVITA’ PRODUTTIVE

e TURISMO

Ecco chi sono gli assessori regionali

Luigi VelardiTRASPORTI, AMBIENTE, POLITICHE DELLA CASA

Gianfranco VitaglianoBILANCIO,

PROGRAMMAZIONEe PERSONALE

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Che bella squadra

Si, però: il Barcellona ha Messi e ilMilan Ibra. Ma per far andare amille una squadra così non c’è

bisogno né di Mourihno né di Guar-diola: va che è una bellezza anchesenza mister.

Queste undici stupende bellezze ra-sentano la perfezione: stessa altezza,stesso colore della pelle, stessi capellie che fisico, senza un etto di surplus. Ilfotografo ha realizzato un autenticocapolavoro, mettendole in posa, una alfianco dell’altra, come se fossero tanteballerine del Lido di Parigi. Sofferma-tevi a osservare il colore bruno dellapelle e come il perizoma riesca a mo-

dellare quegli straordinari pancini, e iseni, dove li mettiamo?. Niente a chevedere con i rozzi muscolari della do-menica che fanno impazzire i loro ti-fosi per gol e spintoni che rifilano agliavversari, con nasi a patata, coscestorte, sederi bassi e rozze abitudini,come quella che prevede di soffiarsi ilnaso con le mani.

Per una volta, in ricorrenza del Na-tale, abbiamo voluto regalare ai nostrilettori una gemma calcistica completa-mente diversa. Convinti di aver fattocosa gradita. Perché una squadra cosìnon si ritrova neppure in Paradiso.

(a.t.)

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Vent’anni sono pas-sati, da quando nel1991 Pino Saluppo

riuscì, dopo un lungo e as-sillante corteggiamento, aottenere dal presidentedella Lega Dilettanti ElioGiulivi il visto perché ilMolise avesse l’autonomiaregionale.

Prima di lui ci avevaprovato, in modo quasi os-sessivo, Lello Spagnuolo,ma su scala nazionale inostri numeri, la modestiadelle nostre società el’impiantistica deludente

furono fattori limitanti.Stiamo parlando di FIGC,

che sta a significare Fede-razione Italiana GiocoCalcio, tanto per non con-fondere la sigla con la fe-derazione dei giovanicomunisti italiani.

Saluppo per premio allasua costanza si vide asse-gnata la prima presidenzaregionale. Rimase in sellaper più di tre anni e poipassò la mano a Piero DiCristinzi, signore incontra-stato del pallone del Mo-lise.

A ogni elezione Di Cri-stinzi vince per manifestainferiorità degli avversari.E continua a regnare. Me-glio di quanto si dica. Vistoche l’imprenditore di Mon-taquila ha anche molti cec-chini che loinchioderebbero volentierisu una poltrona, a fare ilpensionato.

Siccome sono passati 20anni da quando la nostraregione ha raggiunto l’au-tonomia calcistica è statoquasi doveroso festeggiarel’avvenimento.

Con una cerimonia son-tuosa, alla quale hannopreso parte dirigenti ditutte le società regionali delmondo dei calci d’angolo.Per l’occasione Piero DiCristinzi è stato capace diportare in sala anche Gian-carlo Abete, presidente na-zionale della Figc. Oltre alsolito Tavecchio di cui ilnostro rappresentante è unfidatissimo amico di vec-chia data.

Si disse a suo tempo chenegli anni i l Moliseavrebbe potuto costruirsinon solo i campionati sinoall’Eccellenza, ma che po-teva creare le basi per rea-lizzare in D un girone quasitutto molisano. La previ-sione, purtroppo, non èstata rispettata. Non certoper cattiva volontà o per di-sorganizzazione, ma per-ché i tempi sono cambiati.E la maggior parte dellenostre società che vinconoil campionato di Eccellenzanon hanno i fondi per benfigurare in D. Così, dopouna comparsa, tornano dadove erano arrivate. E’ ilcaso di Bojano, Termoli,Montenero, Petacciato eVenafro. Tanto per farequalche nome.

A nostro modo di vederela Federazione, per quantoè nelle sue possibilità, sidovrebbe maggiormenteattivare per migliorarel’impiantistica. E incenti-vare l’attività giovanile,senza la quale saremo de-stinati sempre a vivac-chiare nella mediocrità.

Onore a chi ha retto ilcalcio molisano per 20 annie una tirata d’orecchi a chi,convinto di saper far me-glio di Di Cristinzi, resta nelguscio, preferendo le pa-role ai fatti.

(Al.Ta.)

Alla ricerca della cantera molisana

La Figc regionale ha festeggiato 20 anni di autonomia calcistica

Il presidente della FIGC molisana Piero Di Cristinzi

Saluppo il primo presidente, e poi da 17 anni Piero Di Cristinzi

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BANCARELLE

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Si viaggia sempre a vistaCi sono alcune città speciali che

hanno avuto il gusto e l’olfattoper vedere nei mercatini nata-

lizi una meravigliosa opportunità persegnalarsi all’opinione pubblica.

Prendete Trento, Aosta, Biella e Na-poli, tanto per non restare nel vago.La magia del Natale comincia benprima del 25 dicembre, tra i banchiche vendono prodotti tipici, artigia-nato, decorazioni per l’albero per ilpresepe.

A Trento ci sono centinaia di casettedi legno del mercatino di Natale dacui si levano i profumi della miglioregastronomia tipica, dallo spezzatinodi cervo ai formaggi, per passare allostrudel. Accanto, i prodotti dell’arti-gianato trentino, oggetti delicati emolto tipici, presepi intagliati inlegno, angioletti in pietra. E’ partitoun pullman della Cral della Regioneper andarli a visitare. Basterebbequesto per capire la portata dell’av-venimento.

Eppure basterebbe poco almenoper “copiare”. Tante volte gli ammini-stratori pur di farsi una bella gita coni soldi dei contribuenti se ne vanno aspasso per il mondo senza un appa-rente significato. Se a qualcuno fossevenuto in mente di organizzare untour per rendersi conto di ciò che av-viene altrove non sarebbe stata unacattiva idea. In modo da pensare dipoter creare anche a Campobasso unqualcosa di simile. Certo, non si creauna tradizione da un giorno all’altro.Ma non ci sembra neppure giustopensare di andare avanti a forza dimontare poche baracche di legno peril corso, senza un progetto e persinosenza il conforto dell’illuminazionedella strada e dei negozi.

In un’altra parte del giornale ab-biamo lanciato l’idea di creare in viaCannavina e nelle zone circostanti unangolo dedicato al presepe artigia-nale. Con rilancio dell’antica tradi-zione dei maestri che in passatolavoravano la creta, per farne pasto-relli, dipinti a mano.

A Biella sono in festa già da novem-bre. Le voci angeliche dei bambini

delle scuole cantano motivi nataliziper accompagnare lo shopping nata-lizio tra le bancarelle.

Ad Aosta non viene organizzato unsemplice mercatino, ma ricreato unvero villaggio alpino. E lungo le suestradine si trovano tutte le specialitàvaldostane.

In Europa a Norimberga (Germa-nia), Stoccolma (Svezia), Villach (Au-stria) e Marsiglia (Francia) vale lapena visitare quei mercatini. L’argillaviene trasformata in statuette per ilpresepe, mentre uno sfavillio di colori

rallegra l’ambiente, favorendo la pre-senza di turisti che restano affasci-nati.

Siamo certi che un risultato lusin-ghiero si potrebbe ottenere anche aCampobasso se solo si smettesse dilamentarsi ogni momento per i soldiche non ci sono. E’ vero che sono isoldi a fare la felicità, ma è altrettantovero che le idee sono anche per piùimportanti dei soldi. Se poi mancanotutte e due si resta in brache di tela,con la desolazione che conosciamobene.

di Alberto Tagliaferri

Perduta un’altra ghiotta occasione per trasformare Campobasso nella città dei mercatini

Sarebbe facile “copiare” Trento, Biella, Aosta e tanti altri posti che vivacizzano

il Natale con meravigliose trovate commerciali e turistiche

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Da 27 anni lavora dietro le quinte di radio e televisioni a Tele Regione

Il personaggio

Luigi Putalivo l’uomo del mistero

C’è un pizzico di felicitàanche nel Molise. Al

gioco, da qualche tempo sisegnalano diverse famigliebaciate dalla fortuna. E’ ap-pena il caso dir ricordare i“botti” ai “pacchi” con unavincita che ha cambiato lavita a una signora dellaprovincia di Campobassoche ha conquistato il pre-mio più alto, 500mila euro.E, a seguire, ci sono statialtri casi di fortunati moli-

sani che hanno trovato lascorciatoia per mettersi insoldi.

Di recente, a Bonefro, alSuperenalotto un’altravincita ha superato ilmezzo milione, mentre unaquaterna al lotto, a Cam-pobasso ha fatto un bel re-galo di Natale a ungiocatore che ha affidato lasua puntata a una tabac-caia di via 24 maggio. Vaanche detto che se da una

parte sono aumentate levincite, dall’altra c’è damettere in conto lo spro-positato numero di gioca-tori che distribuiti nellenumerose sale da gioco si

sono spinti oltre ogni lo-gica. Giocandosi, spesso,interi stipendi, risparmi e,nei casi più estremi ancheintere proprietà immobi-liari. (da.ma.)

La febbre del gioco

Luigi Putalivo

Luigi Putalivo è l’uomo del mistero. Vittima preferitadi Paolo Mastrangelo che sa imitarne così bene lavoce, al punto che al telefono neppure la madre se

ne accorgerebbe.Da 27 anni, in maniera indefessa, lavora dietro le quinte.

Prima alla radio e poi in televisione. Si tratta di una sco-perta dei fratelli Rocco che lo portarono prima a mano-vrare con un mixer e quindi con telecamere.

Avendo scelto di fare il single e una mamma che lo coc-cola come se fosse ancora un bimbo, Luigi da sempre hacambiato fuso orario. Così dorme di giorno e lavora dinotte. Guai a chiamarlo prima di mezzogiorno, significhe-

rebbe buttarlo giù dal letto. Ma state pur certi che poi nonva a dormire prima delle tre di notte.

Lavora a Tele Regione, dopo essere stato il perno di TRC,in cui ha fatto di tutto, eccetto la telecamera.

Arriva rigorosamente in auto in televisione giusto intempo per preparare i servizi del tg delle 14. Quindi pensaalla messa in onda e poi a lanciare la pubblicità. Così trauna cosa e l’altra non va a pranzo prima delle 16. Per tor-nare in studio un paio d’ore più tardi. Da quel momentoarmeggia tra cassette e computer, prova microfoni chefanno i capricci, prepara lo studio per una registrazione.Quando c’è la diretta si agita come un principiante e nonsmette di urlare con i distratti. Poi allunga le braccia sulmixer e via con il liscio.

Per il suo modo di fare e di essere è fatto segno di scherzi,specie da parte di Pino Saluppo. Quando a TRC c’era anchePasqualino Gabriele non mancavano le scintille.

Negli anni, come un perfetto carabiniere, è rimasto fe-dele. Prima ai fratelli Rocco, poi a Marciano Ricci. Il pub-blico non lo conosce, mentre va famoso tra gli addetti ailavori. E’ familiare ai metro notte, ai panettieri e agli agentidel 113 che fanno servizio in auto la notte. Le prima voltelo fermavano, ora lo salutano in segno di amicizia. Infondo è uno di loro, un uomo della notte.

(ge.ve.)

Luigi Putalivo con un gruppo di colleghi di Tele Regione

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Organizzato da

Natale con gliOscar e i Tapiri

E’ stato scelto il Teatro Savoia di Campo-basso per la serata degli Oscar e dei Ta-piri. Location più autorevole non poteva

essere individuata nella nostra regione. E pro-prio per questo la proprietà de La Gazzetta delMolise (e Il Primo) ha puntato dritto verso que-sto obiettivo.

Venerdi 23 dicembre alle ore 20,00 sul palcodel Savoia verranno assegnati gli Oscar e i Ta-piri relativi al 2011. I due trofei rappresen-tano la parte più accattivante del free pressdi Ignazio Annunziata. A essere precisi latrovata risale ai tempi di 7 Giorni Molise, ilsettimanale edito sempre dallo stessogruppo, poi trasferita, con una brillantedecisione alla Gazzetta quando lasciò leedicole per diventare il foglio giorna-liero più diffuso nella regione (20.000copie di tiratura, distribuite gratuita-mente).

Giusto un anno fa, al compimentodei 10 anni di attività del gruppo,presso l’hotel Rinascimento ci fula consegna degli Oscar e dei Ta-piri. Un primo tentativo chepiacque non solo agli interes-sati, ma anche a chi seguì dallepoltrone la serata. Sulla scortadi quella felice iniziativa ènata l’idea di portare l’avve-nimento in teatro. Facen-done crescere la portata.Infatti dalla semplice con-segna della statuetta edell’animale con il musoche tocca terra si è pas-sati a una vera e pro-pria serata di gala.Durante la quale cisaranno vari mo-menti, compreso uno

di spettacolo.Prima di tutto va

spiegato che verrannoassegnati dieci oscar e al-

trettanti tapiri a quei perso-naggi che nel corso dell’anno hannocontribuito a formare la virtuale gra-duatoria. L

’EVENTO

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Si spera che gli attapirati non dianoforfait, perché in fondo averli sonoproprio loro la vera anima della no-stra società. Il tapiro ha voluto esseresolo uno scherzoso simbolo, attribuitodai redattori della Gazzetta, per scuo-terli, nell’intento di correggere qual-che errore. Senza malanimo, ma solocon uno spirito a volte persino goliar-dico.

La serata -si diceva- vivrà su alcunimomenti, tre per l’esattezza. Il primosarà quello conclamato degli Oscar edei Tapiri, a cui farà seguito la pre-sentazione del volume che racchiudele copertine del free press del 2011, inappendice il lettore troverà anchequelle de Il Primo, sempre relativo al-l’anno in corso. Ogni invitato ne rice-verà uno, direttamente in sala.

La terza fase (velocissima) serviràper spiegare la nuova iniziativa de LaGazzetta sul piano telematico che habruciato le tappe su iPhone, i PodTouch e iPad.

La parte godereccia è imperniatasulle esibizioni dell’ottimo Michele DiMaria, un chitarrista classico digrande talento che darà un saggiodelle sue qualità musicali. L’attra-zione principale è Rosalia Porcaro,una meravigliosa ed elegante caba-rettista che ha ricevuto gli applausi ei consensi di tutt’Italia, avendo mo-strato a Zelig e a Colorado di avere ta-lento e rapido feeling con il pubblico.

Di recente l’abbiamo vista anche suRai 1, a conferma del suo indiscutibilevalore artistico.

(da.ma.)

La sera del 23 dicembre (ore 20) al Savoia premiati i personaggi che hanno avuto più statuette e animali

con il muso lungo da parte dei redattori del Free press molisano.Verrà regalato ai presenti un volume contenente le

copertine della Gazzetta e del Primo del 2011Lo spettacolo sarà incentrato sulle esibizioni

di Michele Di Maria (chitarra classica)e di Rosalia Porcaro

punto fermo di Zelig e di Colorado

Rosalia Porcaro in un film accanto a Carlo Buccirosso

Il chitarrista Michele

di Maria

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Storia del crollo della Molinari group

di Gennaro Ventresca

Non sono bastati 21 anni per chiudere il concordatotra il gruppo e l’ex Banca Popolare del Molise

Alla base un debito di 42 miliardi di lire con l’istituto di credito molisanoe della vendita di tutto l’asse patrimoniale, stimato quattro volte di piùIl paradosso: azzerato il debito i soldi in esubero sono fermi pressola Banca di Lanciano e Sulmona ma l’imprenditore non può toccarli

Una querelle destinata a durata ancora a lungo, mentre Enzo Molinari è morto

Questa è una storia triste. Rac-contata sotto Natale. E’ unastoria che parte da lontano e

che ha bisogno di trovare ancora ilsuo epilogo. Si avvita intorno a unpersonaggio caro alla gente molisana,

specialmente a quella campobas-sana: Tonino Molinari.

Uno sguardo buono, dapensionato, col quale cercadi fissare con coraggio e di-gnità quegli avanzi dimala-giustizia, quei fe-nomeni che tanti anni fa

non avrebbero abi-tato la sua peg-gior fantasia.

Era tra i piùricchi del Molise,Tonino Molinari,uno dei tre figli diNatale Molinari,giunto come sem-plice capocantierenella nostra terra,da San Giorgio, adue passi da Cavadei Tirreni.

L’agio, la gloria,gl’innumerevoli

cortigiani, una vita da imperatoresono stati sfarinati da una giustiziaingiusta che con tutti i suoi affluentiha prosciugato il fiume di danaro ele cento proprietà immobiliari, co-stringendo l’ex “Paperone” a cam-biare vita.

Bisogna sfogliare il calendario del1991 per leggere una delle pagine piùamare della sua esistenza. La presti-giosa ditta Molinari si sfalda, permancanza di commesse e per la man-cata consegna delle opere appaltate.La crisi, vorace come un onnivoro, ladivora. Al punto da obbligarla a con-segnare i libri in tribunale. Mettendoa disposizione tutti i beni immobili e icrediti maturati, onde far liquidare ilpersonale.

Chiude con l’ex Banca Popolaredel Molise, principale creditore, unaconvenzione per estinguere il de-bito. Che la banca stima in 42 mi-liardi, ma attraverso l’intesa sisostanzia in 32, compresi i debitidella Società Sportiva Campobassodi cui Tonino è presidente e, in pra-tica, unico finanziatore. I debiti ori-ginari del club sono di appena unmiliardo, ma negli anni arrivano ad-

Tonino Molinari ex presidente del Campobasso calcio

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Scusi Tonino Molinari che regalo vor-rebbe per Natale?

Un po’ di pace giudiziaria.In che senso?Sono oltre vent’anni che lotto tutti i giorni

per venire a capo di una situazione che hadel grottesco.

Ce la spieghi.Dal 1991 ho ceduto tutti i miei beni e cre-

diti per ripianare i debiti del gruppo con laex Banca Popolare del Molise e benché i ce-spiti fossero di gran lunga superiori alleesposizioni non riesco ancora ad avere lasomma residua. Ferma presso la tesoreriadella Banca di Lanciano e Sulmona.

Sono 20 anni che questa storia vaavanti: cosa aspettano a chiudere lapartita?

Forse la mia morte. Visto che non sono piùun giovanotto.

Quanto pensa di dover incassare achiusura di conteggi?

Almeno un tre milioni di euro. Che mi aiu-terebbero a concludere la mia esistenza condignità. Dopo aver creato e distrutto un im-pero.

Quanti soldi ha speso di avvocati, pe-riti e spese di giustizia?

Ameno un milione di euro.Come vive oggi?Con la pensione.Ma lei è stato tra i più ricchi del Mo-

lise.I tempi cambiano. Ma la magistratura va

lenta come una lumaca.Ma la colpa è solo della burocrazia?No. Anche dell’ex Popolare del Molise che

ha cambiato ragioni sociali e dirigenti chel’hanno portata alla lunga.

Quanti debiti ha accumulato per ilCampobasso calcio?

12 miliardi di lire. Siamo partiti con unmiliardo e poi ci siamo ritrovati con una vo-ragine.

Rifarebbe il presidente di calcio?Certo. Con i rossoblu ho vissuto gli

anni più belli della mia vita.E’ vero che se avesse avuto

“giustizia” avrebbe ripreso lasquadra?

Certo. L’ho dichiarato piùvolte. Ma i soldi non sono maiarrivati.

Ci risulta che ha un altrocontenzioso per riavere unappartamento ai Parioli, va-lutato due milioni mezzo.

In prima istanza il giudiziomi è stato favorevole e oraaspetto la sentenza d’appello.Che non arriva. Se dovesse es-sere confermata dovrei avere su-bito l’immediata esecuzione. Eprendere la somma dovuta.

Pensa che arriverà come re-galo di Natale?

Ci penso ogni momento.E’ vero che passa più tempo

in tribunale che a casa sua?E’ vero. Non c’è giorno che non

vada ad affacciarmi davanti allestanze dei giudizi, per vedere se cisono novità.

Le possiamo fare gli auguri?Certo. Ne ho bisogno. Perché

ormai sono logoro. In vent’annimi hanno sfibrato. Anche se nonho intenzione di mollare. (ge.ve.)

L’intervista

Ho speso un milione di euro solo di avvocati

dirittura a 12, poi rimodulati a 8, attra-verso la trattativa.

Entra in ballo la Rolo Banca che nelfrattempo ha rilevato la Popolare delMolise che rivede il carteggio e re-clama tutti i 42 miliardi di debito, rin-negando la convenzione. Da quelmomento si accende il contenzioso esi sommano le perizie, le presenze dinoti avvocati napoletani e locali. Nasceuna brutta storia giudiziaria. Che s’in-fila in un vicolo cieco. Per un mador-nale errore la magistratura accoglie lerichieste dei legali del gruppo Moli-nari e tira in ballo le società dei debi-tori invece delle loro quote.

La banca, intanto, ha incamerato ildebito dimostrato dai liquidatori,anche perché nel frattempo il gruppocede anche il Roxy, alcune case e unallevamento di bestiame.

Il ricavato dei beni venduti superal’ammontare dei debiti e la sommaviene depositata presso la Banca diLanciano e Sulmona, senza che Moli-nari possa toccarla: al netto dei costici sono in cassa almeno due milioni dieuro.

Ci sono altresì altri impianti da ven-dere a San Salvo, più altre proprietàa Matrice, oltre ad alcune unità abita-tive.

Tutto però resta bloccato: i soldisono in banca, ma l’ex imprenditorenon può toccarli, pur avendo mani-festato più volte all’ex Banca Popo-lare del Molise la voglia diaddivenire alle sue richieste, evi-tando la causa, il cui esito finaleprobabilmente arriverebbe dopo lasua morte.

Sono passati 21 anni e tutto è an-cora da decidere. Con una sola cer-tezza: è stata azzerata una impresepiù solide del centro-sud. Nel frat-tempo uno dei fratelli Molinari, Enzo,è deceduto. Oltre a Tonino c’è ancoral’ingegner Felice.

L’imprenditore Tonino Molinarieternamente in conflitto con la giustizia da cui aspetta,da oltre 20 anni, una sentenza

civile legata alle sue aziende

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ATTUALITA’

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Alcune opere pubbliche concepite per modernizzareCampobasso, come la stazione delle autocorriere ela strada per l’Ospedale, si sono rivelate nel tempoinferiori alle attese, poco funzionali e molto costose

Alcune desolanti immagini del Terminal automobilistico. A destra in basso convivono

il bassorilievo di Padre Pio con un discutibile e chiassoso disegno fatto dagli artisti dei murales

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Terminal, ne valeva la pena?La strada per l’Ospedale Carda-

relli è costata quasi trenta mi-liardi di vecchie lire, ha avuto

un iter molto lungo e travagliato, havisto fallire aziende importanti, acca-dere fatti inquietanti, per non diredelle inevitabili querelle giudiziarie.

Alla fine è stata realizzata, è fun-zionale, anche se trascurata nellamanutenzione, come più volte i vigiliurbani hanno segnalato. Rispetto allavecchia e contorta salita che dallaMadonnella porta a Tappino, la diffe-renza di percorso è tuttavia di un chi-lometro e mezzo, tradotta in tempi dipercorrenza al massimo quattro mi-nuti. Valeva la pena assistere neglianni alla lunga gestazione dell’operaper un così piccolo guadagno tempo-rale? Non sarebbe stato più virtuosorettificare la contorta strada vecchia,risparmiando i due terzi di quanto siè speso e utilizzare quei soldi per altriinterventi di utilità sociale? Il sennodi poi, si sa, riempie le fosse e nelleintenzioni si voleva di certo comple-tare il collegamento con il polo sani-tario in modo adeguato.

Un’altra opera pubblica che ancorafa discutere a distanza di quaran-t’anni circa dall’avvio dei lavori è lastazione degli autobus.

Un Terminal … interminabile, per-ché nonostante si stia completando lapasserella che collegherà la strutturaal centro cittadino, i problemi dellagestione sono ancora tanti e di diffi-cile soluzione.

Dal Comune di Campobasso fannosapere che occorrono circa due mi-lioni di euro per il completamento.Attualmente, il terminal consiste es-senzialmente in un piazzale per arrivie partenze degli autobus, con dueprefabbricati che fungono rispettiva-mente da bar e ufficio per le societàdi trasporti. Non c’è un bagno pub-blico, bisogna rivolgersi al gestore delbar per eventuali necessità.

La costruzione del terminal si è pro-tratta per decenni, con polemiche diogni genere, mancanze croniche difondi che hanno fortemente danneg-giato l’impresa costruttrice. E’ nellaseconda metà degli anni 90, conl’apertura delle tangenziali, che il Sin-daco Massa decise di spostare la sostadegli autobus dal vecchio stadio in viaVico, vietando inoltre la circolazione ele soste in città degli autobus extraur-bani, una delle migliori intuizioni persnellire il traffico cittadino.

I problemi non sono stati tuttaviarisolti, la struttura è rimasta chiusae in attesa di completamento, men-tre un’operazione di facciata havisto dedicare il piazzale a PadrePio, omaggiato da un basso rilievodi marmo sul muraglione di ce-mento, purtroppo circondato e mor-tificato da murales e scarabocchi.Le stazioni sono dappertutto luoghisordidi e il terminal non è sfuggitoalla regola, se è vero che di notte sitrasforma in terra di nessuno, gra-zie anche alle tante vie di fuga rap-

presentate da fratte e viottoli che locircondano.

Il sindaco Di Fabio aveva cercato diporre fine all’annosa situazione affi-dandone la gestione alla società cheopera nel trasporto urbano, per unacifra pari a trecentomila euro l’anno.L’accordo saltò subito, perché il po-tenziale gestore si rese conto che peraprire la struttura bisognava impe-gnare capitali ingenti, per cui l’inve-stimento sarebbe stato passivo erischioso.

Di recente la struttura, pur chiusa,è stata comunque utilizzata come ri-fugio da sbandati ed extra comunitari,poi sloggiati di forza. Resta in esserequindi il problema del completa-mento e della gestione della stazione.Si vocifera di un contenzioso per laposa e il funzionamento dell’ascen-sore interno ma è il caso di interro-garsi sulla prospettiva di un cosìampio sforzo economico, di questitempi, senza garanzie che la stazionediventi poi funzionale e produttiva,visto come “saltano” i negozi anchenei centri commerciali.

E’ nelle more che, così come perl’Ospedale, completare la strutturaresta un obiettivo attraente e strate-gico per la città. A futura memoria,tuttavia, bisogna riflettere se varrà lapena progettare opere pubbliche darealizzare in tempi lunghi, con il rischioche restino incompiute o comunquesenza la prospettiva funzionale ipotiz-zata all’atto della progettazione.

di Walter Cherubini

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TRADIZIONI

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La famiglia Minichetti negli anni 50 produceva pastorie capanne che vendeva all’angolo di via Marconi

M’ piace o’ presepe

Ecco, sarebbe bellissimo se invia Cannavina rinascesse latradizione del presepe. Per

farne una specie di via S. GregorioArmeno in sedicesimo. Per ridaretono alle tradizioni del nostro artigia-nato artistico.

Bisogna tornare indietro di 50 anniper iniziare il discorso. In quegli annil’albero di Natale era ancora robanordica. Noi sudisti avevamo a cuoresolo il presepe. Fatto con statuettepiccole e umili, ma non per questo dibasso livello artistico. I ragazzi aspet-tavano con ansia i giorni che prece-devano il Natale, per andare ascoprire le novità che venivano espo-ste sulle bancarelle, poste all’interse-zione tra via Marconi e piazzaMaddalena (davanti al Savoia). Unalucetta scintillante aveva il compito diilluminare quelle garbate statuine.Disposte con ordine come tanti sol-dati in parata. Le figure erano fatte dicreta, messa all’interno degli stam-pini per cuocere nel forno a legna.Solo in un secondo momento com-parvero quelli elettrici. Una volta li-berati dalla loro morsa i pastorellivenivano smerigliati con la carta ve-

trata e affidati alle mani svelte edesperte degli artigiani. Che li dipin-gevano con pennellini, intinti in boc-cette di smalti colorati.

A parte venivano realizzate le ca-panne, costruite con carta accartoc-ciata, con cartone e nei casi più sciccon sughero. Bastava così poco perfar felici i bambini, ma anche i grandinon è che fossero meno frenetici. Ilpresepe era un appuntamento sen-tito, tanto nelle povere case che inquelle dei borghesi che si spingevanoa farne sempre di più belli. Pieni difontane, cascattelle e il laghetto conl’acqua. Per le montagna si usava lacarta spiegazzata e spruzzata, percielo fogli puntellati di stelle.

Eduardo ancora non aveva scritto lasua memorabile commedia “Natale incasa Cupiello”. E ancora non avevaavuto la geniale pensata di chiedereall’indolente figlio Luca “Te piace opresepe?” che sarebbe diventato perlungo tempo il tormentone.

Il presepe piaceva a tutti. Veniva co-struito nelle piccole case, quasi sem-pre in cucina, in modo che stesse alcentro della conversazione e che dessela sensazione di una festa infinita.

Una famiglia intera, a Campobasso,capì l’importanza del presepe e dellesue statuette. Così sfruttando la ma-nualità e la managerialità di nonno“Don Ciccio” iniziò a produrre statuine.

Stiamo parlando della famiglia Mi-nichetti di via Cannavina che neglianni avrebbe cambiato sedi e ramo,restando per i campobassani di unavolta sempre quella dei “pastorelli”.

A mettere ordine nei nostri raccontiha provveduto la signora Maria PiaMinichetti, stando dietro al banco del-l’antica stamperia Aurora, in via Can-navina 13, angolo vico Biliardo. Lasignora svolge un lavoro raffinato eartistico, nel segno delle tradizioni.Stampa partecipazioni e pergamenecon caratteri mobili, calligrafate e conrilievi. Vederla scrivere a mano, all’im-pronta, ti conquista. La sua mano èferma e ben guidata: scivola leggera edesperta sul foglio. E’ così che prepara ilmaster prima di passare alla tiraturadelle copie che stampa con una mac-china che è a vista di chi passa nellastrada stretta che prima si chiamavaVia Borgo e che dopo, in onore dellafamiglia Cannavina, ha preso il nomedel ricco casato borghese.

Dentro un forno a legna venivanocotte le statuette

di creta e poi dipinte a manocon gli smalti

Maria Pia Minichetti tra i suoi macchinari di composizione a mano

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Piace anche alla signora Maria Piacavalcata in passato. Per questo snoc-ciola nomi e racconta fatti che sonocosparsi di polvere, e di malinconia.

Don Ciccio Minichetti, tra l’altro,mise mano anche al restauro dellaMadonna dei Monti, sollevandola: inun primo momento era a mezzo busto.L’arte scultorea era già presente nellafamiglia Minichetti nel 1904. Quindi èla volta di Teodoro, detto Teo che simise a produrre pastori e pecorelle.Fatti di creta, quindi facilmente rom-pibili, ogni volta che cadevano a terra.

La famiglia Minichetti aveva unabancarella a forma di barca, nellaquale c’erano pastori di tutti i tipi.Con i vestiti dipinti con lo smalto.

Vivere pensando al presepe potevasembrare una follia commerciale, cosìi Minichetti sono diventati stampatori.Nonno Teo aveva quattro figli maschie li mise tutti in bottega, per com-porre, stampare e rilegare. Il CavalierFranco Minichetti ha avuto tre figli,Maria Pia di cui ci siamo occupati e

Teodorico che fa il tipografo con laSan Giorgio; l’altro figlio, Mauro, hainvece seguito altre vie.

Rossano ha una stamperia di unoscatolificio, mentre Teodorico e Rosa-rio fanno anche loro i tipografi in unatraversa di via 24 Maggio.

Ora che il presepe ha ripreso piede,nonostante la prepotente invadenzadegli alberi, si potrebbe pensareanche a rilanciare la tradizione arti-gianale della ditta Menichetti. Attra-verso un percorso mirante a formareuna scuola di giovani scultori, prontia modellare statuine e a vestirle conabiti a misura, usando le stesse at-tenzioni che si trovano nelle botte-ghe napoletane. E che non hannoconosciuto la crisi neppure neglianni in cui il presepe sembrava es-sere stato annientato dall’arrivo del-l’Albero di Natale.

(ge.ve.)

La signora Maria Pia Minichetti intende ricomprarsiun forno per riprendere la tradizione di famiglia

Maria Pia Minichetti valente artista della scritturanella sua bottega artigianale di Via Cannavina

Franco Minichetti fotografato accanto alla sua bancarella dei presepi negli anni 50 in Via Marconi

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ATTUALITA’

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Il rettangolo rimarrà così com’è.In attesa che decolli il progettoper rilanciare il sito. Sono 27

anni che Campobasso aspetta unnuovo destino per il suo vecchio ecaro campo sportivo. Che con unadelibera votata all’unanimità, per-sino con voto favorevole dei comu-nisti, il Comune cedette allaRegione in cambio di un pagamentodi circa 6 miliardi che servirono perfronteggiare esattamente la metàdei costi per la costruzione delnuovo stadio, realizzato nello spaziodi un solo anno da Costantino Rozzidi Ascoli Piceno che si avvalse dellemaestranze e della guida tecnicadell’impresa Molinari.

Il più autorevole ente regionalegiustificò l’acquisto dell’area percostruirvi i suoi uffici. Fu chiamatoin causa anche uno dei più brillantiurbanisti, Paolo Portoghesi, chefece una progettazione di massimache piacque al mondo politico e

alla cittadinanza. Ma quel progetto,benché costato bei soldi, non èstato mai realizzato.

Negli anni sono iniziate le di-scussioni, attraverso la solita me-lina. Campobasso, del resto, èspecializzato nel “non fare”. Così,approfittando della lentezza dellaburocrazia, sono spuntati comitatidietro comitati. “Niente più ce-mento” hanno tuonato gli ambienta-listi. “Vogliamo il verde attrezzato”hanno fatto eco altri. Dimenticandoche con il verde i nostri amministra-tori ci bisticciano da tempo. Avendotrasformato quella che fu la “cittàgiardino” in un qualunquistico postodi basso livello urbanistico.

Per decenni le squadre minorihanno giocato al Romagnoli, utiliz-zando solo nei primi anni le vecchietribune. Le autorità le hannochiuse, per evitare pericoli e pernon farne covi di sbandati. Nessunoperò ha mai potuto evitare che sotto

le tribune si siano dati appunta-mento balordi, tossicomani e gio-vani dediti all’alcol. Generando inpieno centro, e proprio sotto le fine-stre di civili abitazioni, raduni pocoedificanti.

Allo stato dell’arte ancora non sisa che ne sarà dell’area del Roma-gnoli, anche se tutto lascia credereche Iorio dovrebbe rispettare ilsuo patto con gli elettori e utiliz-zarla per gli scopi per la quale erastata acquistata. Tenendo contoanche dei soldi spesi per acqui-sire, dalla ditta Morelli, l’ex HotelRoxy. Tenendo in debito contoanche le diverse vedute dell’opi-nione pubblica campobassana chereclama un’area attrezzata, conuna enorme piazza –immonda diauto- piena di rigogliosa vegeta-zione. Si parla anche di un par-cheggio sotterraneo, ma di frontea opere troppo sofisticate aumen-tano le difficoltà.

di Gegè Cerulli

Costò 6 miliardi l’acquistoEcco la storia del passaggio dell’area dal Comun

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Foto di: Mimmo di Iorio

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to del sitoune alla Regione

Con i soldi della Regione (circa150mila euro) si sta procedendo al-l’abbattimento delle due tribune(una coperta e l’altra scoperta, co-nosciuta in città come “gradinata”).In modo da fare un primo passoverso la sistemazione del sito. Alposto dei due manufatti si aprirà unenorme spazio che oltre a mutarel’aspetto desolante del luogo saràdestinato al parcheggio delle auto.Consentendo altresì agli automobi-listi di poter girare su gomma in-torno al vecchio terreno da gioco.

Oltre alla Regione sono interes-sati ai lavori il Comune, la Sovrin-tendenza e la Protezione civile.

Per la demolizione e lo smaltimentoa rifiuto del calcestruzzo e dei mate-riali di rifiuti occorreranno non menodi un paio di mesi di lavoro. E nonsono previste esplosioni, come sivede in tv per l’abbattimento dei ma-stodontici manufatti. Si lavora solocon ruspe e macchine specializzate.

Alcune significative immagini

della demolizione

delle tribune del Romagnoli

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La chiamano riqualifica-zione ambientale, invecesi tratta di demolizione.

Non si sa se l’area del Roma-gnoli sarà destinata agli ufficiregionali, ad area verde o se,sgombrate le macerie delle tribune, resterà un parco ano-nimo. Per molti campobassani adulti ex giovani giovanottied adolescenti, il Romagnoli era stato battezzato come ilgiardino dei ciliegi, in netto contrasto con la carbonella delsuo fondo, il rosso ocra della pista di atletica. Qualche serafa, mi è capitato di parcheggiare dove prima c’era la curvaNord. Piovigginava, ho perso tempo a recuperare il berrettosul sedile posteriore della mia Golf e, stranamente, mi èsembrato di udire l’urlo caratteristico dei tifosi del Campo-basso: Lupi..lupi..lupi…

In queste righe voglio parlare dei frequentatori di quel-l’area, in primis dei giovani e dei giovanotti che avevanoeletto il campo sportivo Romagnoli come sede ufficiale cheli ospitava quando marinavano la scuola. Molti di noi si in-gegnavano a scalfire le colonne della tribuna lanciando imessaggi più vari, 3^ B geometri, spago 10 ottobre 1961. Op-pure raffigurare il cuoricino con dentro scritto Lino vuolebene a Giovanna e ancora Cet Bube ama Adriana. Poi, comeun lampo, ancora mi è sembrato di sentire le urla di Um-berto De Angelis il “maestro” dei rossoblù che tentava di ag-gredire Angelelli, roccioso terzino sinistro. E, ancora, la vocestridula di Leonzio che gridava “Ai lati…ai lati”. Poi, tra lapioggerellina che scendeva giù inclemente mi sembrava divedere le rovesciate di Mario Mignogna e di Gino Ferro, le

parate di Agostino Barbato, di vedere Bepi Pesce flemmaticocentrocampista del Campobasso dei pionieri. Ed ancora ilclassico Mario Ruzzi, Pece I e Pece II ed infine la folgora-zione: Nicola Bellomo. Qualche anno fa gli chiesi: “Nicolache te ne sembra del nuovo stadio?”. Non mi rispose, poiparlando con se stesso gli sentii dire: “Citto, citto, Nicola”,con ciò dimostrando che non era d’accordo con la deloca-lizzazione dello stadio di Selva Piana.

Altro lampo: la terra rossa. Gaetano Mascione ostacolistacon stile superbo che però lasciava indietro la velocità pura.Ai giochi studenteschi del ’63 arrivò secondo, preceduto daLanzone di Termoli. Poi mi parve di sentire lo sparo della pi-stola dello starter Elio Marcaccio. Staffetta 4 per 100, MarioDi Michele, Alfonso Galasso, Francesco D’Angelo, Tonino DeCesare, tempo finale 44”e5, convocazione all’Acqua acetosa.

Ed ancora il dinoccolato Florindo Martino, compagno diclasse, che il dio dei saltatori sollevò a 185 centimetri, facen-dogli vincere la gara di salto in un memorial scolastico fa-voloso, con conseguente fuga alla Malesani del professoreRisi. Poi ancora una carrellata di persone di sport, il principedel cronometro, l’ingegner Felice Scioli, i giudici di gara dellafamiglia Ciaccia, Antonio De Rensis,Lillino Lopez (“Ragazziaddossatevi alla fenza”), Enzo Mancini e tanti altri.

C’è stato il tempo anche per ricordare qualche atleta donna,Giusi Stanziale e Sandra DiLallo. E’ stato lì, che pen-sando alla demolizione delletribune mi sono ripromessodi raccomandare a chi stamanovrando le ruspe di fareattenzione al cappello di DeAngelis, alla coppola diAnton Valentino Angelillo, alsombrero di Michele Mari-nelli, alla fascia di capitanodi Bellomo, Scasserra, Scor-rano e se nel caso incontras-sero il guinzaglio del cane diArmando il custode, pressola redazione de Il Primo, lipregherei di farmelo recapi-tare quale pegno tangibiledella stagione della nostravita. Perché Lino vuole an-cora bene a Giovanna, CetBube ama ancora Adriana,tanto loro possono demolirele strutture fisiche, ma ilgiardino dei ciliegi della no-stra gioventù resta un ri-cordo indelebile.

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Il giardino dei ciliegi

Una bella foto delle tribune scattata da Roberto De Rensis il giorno prima della demolizione

di Lino Santone

A proposito del Romagnoli

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Felice De Rensis è un vecchio amicorossoblu. Tra l’altro è anche cugino

di Tonino Molinari. Ora fa il pensio-nato, passando alcune ore nel negoziodei figli in via Roma. Ma ha nel cuoresempre la passione per la fotografia,grazie alla quale ha vissuto per lunghianni sulla notizia e nel suo negozio divia Mazzini. Dal suo repertorio ha ti-rato fuori un po’ di ricordi del vecchiostadio. E ci ha imprestato alcune foto,autorizzandoci a pubblicarle. Gli scattiche vedete in questa pagina sono i suoi.Riportano il Romagnoli innevato, con itifosi, volontariamente, all’opera perrendere agibile il terreno da gioco. Sivedono anche le tribune che sono re-centemente cadute giù, per dare unanuova veste al vetusto impianto. C’èpoi la panchina campobassana con Pa-sinato, il massaggiatore Iurillo, il dot-tor Buongusto e la panchina conSilvestri, Tacchi, Donatelli e Tomei. Lacurva zeppa di gente mostra gli anni incui nello stadio sgangherato c’era pas-sione e amore per i nostri colori.

Ecco alcuni scatti di Felice De Rensis

La panchina di Tony Pasinato Bronzetti dirige i lavori dei tifosi che hanno spalato il campo

Il pubblico con i piedi piantati nella neve

La passione del tifo della curva nord

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Ma che bella sceltaMa che bella sceltaSei ampi locali ben arredati

sono il frutto del diligente lavoro della Zarina

Nuova sede sociale in via Roma 53 per la squadra rossoblu di Capone

E’ la vittoria della Zarina, al se-colo Anna Favi. E’ stata sual’idea di trovare e arredare la

nuova sede del Campobasso calcio.Scelta da tempo la location (viaRoma, 53) terzo piano, senza ascen-sore. L’inaugurazione è arrivata seimesi dopo. Le lungaggini burocrati-che sono state inevitabili: la signoracon i capelli corvini ha dovuto fareprima cassa. Così sono passati igiorni e i mesi. Ma alla fine ce l’hafatta, nonostante i costi degli allaccidelle utenze che non sono stati pro-crastinabili..

Gli uffici sono eleganti, ariosi eperfettamente funzionali. Niente ache vedere con i due locali, divisi dauna parete in vetro e alluminio, sottole tribune di Selva Piana. Qui si trattadi sei camere d’altri tempi, vale a direalte, larghe e spaziose. E rifinite congusto e con raffinatezza. Per queste

cose la Zarina ci sa fare. Bisogna am-metterlo.

La direttrice dell’area marketing hadovuto fare la formichina, così hachiesto aiuto ad alcuni imprenditoridel capoluogo, strappando achi le scrivanie a chi le pol-trone, ad altri il parquet e latinteggiatura e così via. Ne èvenuta su una sede scintil-lante, persino più funzionaledi quella di Molinari, in viaDe Attellis, ai tempi della B.

Più di qualcuno ha ironiz-zato sugli sforzi fatti dalla Za-rina in un momento in cui ilnostro club si trova in difficilicircostanze economiche. In-vece noi crediamo che si trattidi un bel messaggio, ben au-gurante per il futuro. Se la“premiata ditta” ha pensato diaver bisogno di una sede più

rappresentativa vuol dire che ci sonosperanze per un futuro migliore dellamaggiore squadra della nostra re-gione.

(ge.ce.)

Il Presidente Ferruccio Capone taglia il nastro in occasione dell’inaugurazione della nuova location del suo club

Don Giovanni Diodati,con Capone e la Zarina, alla cerimonia dell’inaugurazione della nuova sede rossoblu in via Roma

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Mast’ Mario

è stato un

personaggio

ineguagliabile

del capoluogo

Il Mastro ci ha lasciato

di Sergio Genovese

Avvolto dall’amore dei suoi figlie dei suoi nipoti, qualche set-timana fa ci ha lasciato Mario

Vitale per la piazza Mast Mario. Vo-glio immediatamente precisare dinon appartenere a quella schiera dipersone (troppe) che nel trapasso diun conoscente o di una persona cara,si affidano alla oleografia più fasti-diosa dipingendo lo scomparso comela migliore persona al mondo.

I morti portano con se le storiebelle e le storie brutte che hannoscritto, non ci dicono addio da santima da persone nelle quali i profili dicomportamento hanno ubbidito alleleggi del vivere e del morire con ipropri pregi e i propri difetti. Soloprescindendo da questa concezionedifendiamo il loro ricordo. Andandooltre, Mario Vitale era un uomo assaisimpatico. Da tempo la piazza non lovedeva più all’opera, questa condi-zione non era dettata solo dagli ac-ciacchi o dall’età: il cuore pulsante diCampobasso ha smesso da tempo disedimentare rapporti con quei popo-lani dalle cellule speciali capaci dimantenere in vita leggende, scene erelativi retrogusti. La piazza di Cam-pobasso sembra rassegnata a nonconservare più memoria per gli uo-mini che l’hanno raccontata.

Da questo periodico, con orgoglio,vogliamo partecipare a tutti che con-serveremo, nel migliore dei modi, ilricordo fosforescente di Mast Marioperché lui era un personaggio con lestimmate del Castello Monforte. Ilsuo modo di esprimersi pieno di in-toppi, il passo cadente, l’altezza nonproprio da granatiere, gli occhi chedisubbidivano alle leggi dell’anato-mia, i suoni che emetteva con le suevocali incerte e ad intermittenza, at-traevano anche la gente recalcitrantealla spensieratezza. Mario Vitale nonha mai avuto un posto fisso ma avevaotto figli e tanti nipoti. Faceva diver-tire la gente e contemporaneamentenon sottraeva tempo al lavoro. Comese avesse avuto un doppio incariconon quelli di cui si parla oggi) e undoppio impegno morale: far viveredignitosamente la propria famiglia efar divertire la piazza. Semplice-mente straordinario! Il Mastro cono-

sceva i segreti della città, quella chefiniva al palazzo dei ferrovieri deglianni sessanta e quella degli anni ot-tanta e novanta della cementifica-zione a più non posso. Dei segreti nefaceva un uso morigerato, quel tantoper creare la, metafora o l’aneddotosenza malafede. Lui che aveva cono-sciuto la povertà, appena si è sentitoleggermente svincolato da una certacondizione di vita ha sempre mo-strato segni di solidarietà e di gene-rosità come in quella occasione cheregalò il suo cappotto nuovo ad unapersona indigente. La sua vita è statalunga, piena di ostacoli ma non si èmai rassegnato. Non ha mai depostole armi, anzi.

Ha fatto mille mestieri ma ha pro-posto anche mille volti nel sensobuono del termine, una specie di ma-schera a scartamento ridotto, menonota ma ugualmente dentro la pan-cia di una città provinciale un po’ipocrita e un po’ cerchiobottista.Mario Vitale era come parlava ocome tentava di fare. Per questo sidistingueva. Aveva un amore incon-dizionato per la squadra di calcio. Lasua “utenza“ era soprattutto quella: itifosi. Tutti lo cercavano e facevano agara per trasportarlo nelle lunghetrasferte di quel Campobasso ma-gico. Serviva per un duplice scopo:l’allegria del viaggio di andata,l’eventuale distrazione per il viaggiodi ritorno qualora il risultato dellapartita non fosse stato quello spe-rato. Era utile in qualsiasi salsa. Iltrapasso, per tutti noi, non è statotanto doloroso poiché Mario, comedicevo, già da qualche anno si eranegato alla piazza. I figli e i nipotipotranno essere certi che non ci saràun successore. I tempi sono diversima proprio ai figli è affidata in doteuna lunga e bella storia. Solo loro cipotranno finalmente svelare se lovorranno, se è vero che dopo il goaldi Villa (centravanti di altri tempi)l’urlo di gioia non uscì dalla gola senon dopo il repentino pareggio dellasquadra avversaria tra la incredulitàdella folla. Se non lo vorranno fare,tutto verrà consegnato alla leggendacome il suo ricordo palpabile e inso-stituibile. Noi lo conserveremo.

Campobasso che se ne va

Mario Vitale meglio conosciuto come Mast’ Mario

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La sfiga di MascioneSe la fortuna è cieca la sfiga ci vede e

come. E se nn ci credete provate achiederlo a Gaetano Mascione, funziona-rio a riposo del Comune di Campobasso.

Alle elezioni comunali nelle liste delPdl l’ex vice presidente del Campobassocalcio mise insieme 226 voti, pochi peressere eletto, ma sufficienti per farglisperare un ingresso in consiglio, dallaporta di servizio. Così il buon Gaetano siè messo in lista d’attesa, per attendere ilsuo momento. Prima la nomina degli as-sessori e poi due elezioni (Provincia eRegione) non sono state sufficienti perliberare un posto tra i pidiellini. Così luiresta ancora a guardare.

C’è di più: Gaetano in modo deciso ha

offerto una mano d’aiuto a Colagiovannialle Provinciali, in modo da sostenerlo adessere eletto per poi vederlo nominatoassessore.

Niente da fare: Colagiovanni è stato sìeletto, ma non è entrato nell’esecutivo.Così si è tenuto il posto al Comune equello alla Provincia. Lasciando l’amicocon un palmo di naso.

Alla Regione si sperava nella elezione diGiovanni Di Giorgio che non c’è stata. Cosìle cose sono rimaste come erano. Mentrequesti numeri ronzano nella mente di Ma-scione: 226, 228, 230. Che equivalgono aisuoi, a quelli di Colitti e di Finelli che lohanno preceduto e che da tempo siedonosui banchi di Palazzo san Giorgio.

Il Mix di D’Artagnan

Cartolina di Campobasso

Gaetano Mascione

Si, va bene: sono passati tanti anni. Ma la differenzasembra abissale. Infatti si fa fatica anche per un cam-

pobassano d’antan a riconoscere la piazza della foto.Guardatela meglio e provate a rispondere. Se avete qual-che esitazione andate avanti nella lettura e scoprirete chesi tratta di piazza Municipio, con una vasca appena affio-rante dal suolo, mentre i palazzi del corso sono piccoli e

modesti, a testimonianza proprio della nostra storia, fattadi piccole cose, di una borghesia poco opulenta.

Tutto questo era Campobasso prima della guerra. Poi cifu la distruzione della parte dei monti e quindi il rilanciodegli anni 50 che toccò l’epilogo negli anni 60, in cuianche nella nostra terra qualsiasi cosa si toccasse dive-niva oro.

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arissimo,quelli della mia generazionepresero il diploma negli anni

Sessanta. Alcuni si fermarono lì, altri,come me, fecero la valigia e andaronoa studiare fuori. Per conseguire lalaurea.Dopo aver soggiornato nei febbriligiorni di luglio sotto i lecci del corso,angolo Cafè do Brazil, iniziammo asparpagliarci, per mare e per rag-giungere le sedi universitarie, dovetrovare un posto letto e organizzarsila nuova vita.Nell’arco di un quinquennio ci siste-mammo tutti, dico noi laureati, per-ché nel frattempo quelli che avevanofatto incorniciare il diploma, avevanogià accumulato soldi e contributi equalcuno aveva già fatto la promessaalla morosa, per portarla all’altare.Eravamo felici con poco, il nostro pas-satempo preferito erano le “vasche”per il Corso e poi spettegolare davantial bar e nella bella stagione, stare se-duti per ore ai tavolini. Per farci “con-sumare” il povero cameriere dovevaminacciarci più volte di sloggiarci.La prima pizza al tavolo l’ho mangiatain via Ferrari, costava 60 lire. Cheerano comunque poche come è dimo-strato dal fatto che il generoso ge-store dovette passare la mano aPedicino, che sfornava pizze mentre ilfigliolo Carlo (oggi medico) faceva icompiti su un tavolino.Nelle giornate torride dell’estateriempivamo la sala al primo spetta-colo, per seguire film che non vale-vano un’acca. Ma per fortuna scoppiòil fenomeno 007 e così potemmo gu-starci le fantastiche avventure diJames Bond, invidiando soprattutto lesue favolose donne.Non c’era ragazza che non passassesotto la nostra lente d’ingrandimento:cosce storte, tette minuscole e fianchilarghi venivano censurati già al primopasseggio. Come tanti personaggi fel-liniani vivevamo la nostra estate da“Vitelloni”facendo scherzi e pun-tando a raggiungere, con le pochemacchine di cui disponevamo, la festadi piazza di periferia. Una sera d’ago-sto, in un borgo di Vinchiaturo, Ange-lino u’ rè si presentò con una magliaalla dolce vita, per cantare “Cade laneve”, un best seller di Adamo.Un po’ alla volta ci siamo perduti divista, tornando a far squadra solo

nelle vacanze natalizie. Ricordo che alprimo anno d’università, nel ritro-varci a Natale dentro lo strettissimoCafè do Brazil, ci fu uno di noi, ap-pena iscritto a Medicina, che già si af-fannava a farci dire 33, finendo conl’essere schernito dagli astanti. Lu-ciano, Nicola, Silvestro, Gaetano, Ma-ster, Mario, Luigi, Steave, Mario II ealtri si sono piazzati bene anchesenza la laurea. In compenso avevanotutti una fame da lupi che veniva ap-pagata andando da Tonino al Corso, ilpizzaiolo che ha rifocillato una città eha lasciato al figlio Aldo un localinoche è diventato il cerchio dei golosidel capoluogo per la bravura della si-gnora Maria Lombardi ai fornelli.Ci siamo affermati quasi tutti. Qual-cuno ci ha prematuramente lasciato.Qualche altro fa il Prefetto, non sicontano i medici, gli ingegneri, i pro-fessori e tanti altri che hanno lasciatoCampobasso in cerca di un futuro mi-gliore.Quando sento nei discorsi da bar onei salotti che contano che i nostrigiovani hanno avuto tutto non miunisco al coro. Anzi, dissento. Se è in-discutibile che i nostri ragazzi sononati nella bambagia, si deve conve-nire che debbono muoversi in una so-cietà ostinatamente cinica e crudele

che li obbliga a vivere nell’incertezzadel precariato. Quelli della mia generazione anchecon un diploma di maestro (quattroanni) hanno fatto carriera, pren-dendo lo stipendio il mese dopo il di-ploma. Qualcuno più fortunato emeglio inserito in politica è diventatodirigente regionale, beccando 200mila euro solo di “rottamazione”.I nostri giovani quando arrivano allalaurea si ritrovano in mezzo al guadoe allora si debbono impegnare a faremaster, a specializzarsi all’estero, astudiare almeno un paio di lingue, fa-cendo spendere un sacco di soldi. Nelfrattempo passano gli anni e restanovincolati alle famiglie. Per ordine pra-tico non si sposano, al massimo fannoil tirocinio attraverso la convivenza. Ecapita pure che qualche volta un di-scutibile ministro quale PadoaSchioppa li sbeffeggi, chiamandoli“bamboccioni”. Credimi, se potessi, riproporrei queglianni alle nuove generazioni, dico gliirrinunciabili anni Sessanta. Sonoconvinto che li apprezzerebbero. Ri-nunciando volentieri a discoteche,pub, canne e birre a fiume. In com-penso avrebbero il lavoro e il caloredi una famiglia che non mi sembrasiano poi da buttar via.

Quelli della mia generazione

Lettera a me stesso

Quelli della mia generazione

Peppe Mastropaolo, Adalberto Cufari, Steave Santone e Gaetano Mascione

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di Gennaro Ventresca

C

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Esultanza di Ferruccio eGaudiano (foto in alto)

Ferruccio con la Zarina

Ferruccio e Gaudiano funzionano come una coppia del cinemaLe coppie sono una gran risorsa del

cinema comico: il grasso e il secco, iltonto e il furbetto, il buono e il cat-

tivo, il bello e il brutto. Ferruccio e Gau-diano che nella vita sono padre e figlioconoscono a memoria lo schema e giocanosicuri. Così la nuova avventura vissuta nelMolise è stata uno spasso, una perennepartita in casa. La loro commedia è pia-ciuta solo sul principio, poi s’è inceppata.Finendo con essere respinta dal pubblicoche l’ha a mala pena sopportata.

Per carità, Ferruccio e Gaudiano nonsono affatto due comici. Ma delle ottimepersone che lavorano ogni giorno nelleloro aziende che costruiscono strade ecase. Tuttavia, pur non essendo comici, idue montelliani fanno spesso ridere. Comenell’uso delle dimissioni: a volte si dimetteil padre,certe altre il giovin figliolo. Laparte del tosto la fa Ferruccio, ma Gau-diano solo nelle apparenze è un tenerone.Perché anche lui lancia filippiche, specieattraverso le tv che lo ospitano o a mezzobusto o solo in voce.

I due irpini si lanciano spesso nei loro

dialoghi dispettosi, senza mai rallentare ilritmo. Resta all’attivo la vivacità del tan-dem e il tormentone “vendiamo o non ven-diamo il Campobasso?”

C’è poi da mettere in conto anche la Za-rina, all’anagrafe Anna Favi da Iesi. Vo-luta da Traini, caduto immediatamente indisgrazia e subito cacciato, e presa insimpatia dalla “premiata ditta” che ne hafatto un punto di riferimento in sede ope-rativa. La signora con i capelli corvini,stando a quel che s’era capito, avrebbedovuto aumentare il fatturato del Cam-pobasso calcio attraverso una serie disponsorizzazioni che non sono arrivate.Tuttavia resta la sua diligenza presenzain loco e il suo tocco femminile nel daretono alla sala stampa dello stadio, alla mi-glioria della tribuna d’onore e all’allesti-mento di una sede sociale moltoaccogliente in via Roma, 53. Da alcuni pa-ragonata a quella di un club che va per lamaggiore. Più bella di quella che Molinarivolle aprire in via De Attellis che sostituìquella modestissima di via Genova.

(ge.ve.)

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aro Gesù Bambino, tra pochi giorni ricorrerà latua festa. E in questa occa-

sione tutti ci sentiamo più buoni. Traquesti mi ci metto anch’io che con lamia “penna” sono spesso caustico.

Ti prego, tu che sei grande e im-mensamente buono, fai stare bene atutti quanti. Sai, di questi tempi, conla crisi economica che c’è in giro, pre-servaci almeno dalle insidie della ma-lattia. Perché quando c’è la salute c’ètutto.

Fai stare bene anche Ferruccio, infondo non è poi così male. D’accordo:ha un brutto carattere, ma chi è senzapeccato scagli la prima pietra. Anchesuo figlio Gaudiano non scherza conil suo caratterino, ma che vuoi il san-gue non mente. Se è difficile il padre,è facile capire che possa esserloanche il figlio. Per questo, se puoi,preservali dal male. E se proprio nonpuoi mandagli qualche malattia, manon grave, per carità. Una cosetta leg-gera, con pochi giorni di riposo. Giu-sto il tempo per riflettere sugliinnumerevoli sbagli che hanno fattoda quando sono venuti nel Molise perguidare il nostro Campobasso.

Gesù, un pensiero vola ai dieci alle-natori esonerati da Ferruccio i quali,tutto sommato, dovrebbero ringra-ziarlo per i soldi che ha dato loro, fa-cendoli stare tranquillamente a casa.Tanto per non fare disparità mi correl’obbligo di pensare anche agli ottodirettori sportivi che hanno dovutofare anzitempo le valigie. Pensoanche ai direttori generali, ai segre-tari, ai medici, agli addetti ai cancelliche sono stati mandati via. Senzapensarci sopra.

Un soave pensiero vada anche allasignora Anna Favi che ho ribattezzatoaffettuosamente la Zarina. Lei è

l’unica che ha resistito alla furia de-vastatrice di Ferruccio che evidente-mente ne apprezza i modi e leperdona la mancanza di sponsor,anche di piccoli inserzionisti da sta-dio. In fondo Ferruccio è un bonac-cione e se lo sai prendere ti dà tutto ilcuore. Peccato che siano in pochi asaperlo fare.

In questo mio scritto non posso farea meno di pensare a quanti giocatorisono entrati e usciti dal nostro spo-gliatoio. Ho visto indossare la nostramaglia anche da gente che non la me-ritava, dovendo massaggiare le pal-pebre di fronte ad autenticheschiappine che hanno indossato lamaglia numero 10 che in passato èstata vestita da ben altri personaggi.

Siccome Ferruccio ha litigato un po’con tutti mi piacerebbe che tu lo fa-cessi ritrovare con gli innumerevolinemici campobassani, almeno peruna conviviale natalizia. Ecco, vedreibene intorno allo stesso tavolo il sin-daco, l’assessore allo sport e le altreautorità sportive che tengono a cuorele sorti della nostra squadra.

Inviterei, davanti a una tavola ap-parecchiata, anche Franco Mancini,Gaetano Mascione, Giulio Perrucci etutti quegli amici che si sono prodi-gati negli anni, anche con mansioniinferiori, persino umili. E, soprat-tutto, non dimenticherei Marco Pu-litano e gli altri inserzionisti che glihanno dato una mano.

Un pensiero corre anche ai ragazzidel settore giovanile che per fretta eper parsimonia si sono visti trascuratie spesso addirittura ignorati. E conloro i relativi dirigenti e tecnici.

Gesù, ti prego. Se puoi, facci vincerequalche partita almeno in casa, neabbiamo perse 24 negli ultimi 4 anni.In modo da mettere a tacere i conte-

statori di Ferruccio che nascono comefunghi, nonostante il volontario esiliodei tifosi organizzati. Per chiudere:assicura lunga vita a Ferruccio e Gau-diano e mantienimi forte anche GigiMolino. E se proprio vuoi fare un ul-timo sforzo aiutaci a trovare un im-prenditore (Edoardo Falcione?) ingrado di rilevare il club rossoblù. Cosìl’anno prossimo ti eviterò il peso didover leggere un’altra lettera, di que-sto tenore.

di Gennaro Ventresca

CNatale in casa Capone

Ferruccio Capone

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Al maitre dell’Eden il titolo italianoAntonino Forte giovane, ma già bril-

lante maitre dell’Eden, ha conquistatoil titolo italiano a Torino (scelta per fe-

steggiare i 150 anni dell’Unità d’Italia), in unlussuoso albergo del centro, a compimentodella finale del campionato di maitre som-melier, organizzata dall’Amira (associazionemaitre italiani ristoranti alberghi), la più pre-stigiosa d’Italia.

L’anno scorso il ragazzo (ha appena 27anni) dovette accontentarsi della piazzad’onore che fu già una gratifica di non pococonto, ma in cuor suo si ripromise di far me-glio. Così, dopo aver conquistato il diritto apresentarsi alla fase finale attraverso le sele-zioni interregionali, ha potuto dare il megliodi sé proprio nel corso dell’appuntamento piùimportante. In cui è riuscito a superare tutti ifinalisti,mettendosi alle spalle i portacolori diLugano-Ticino e Milano-laghi. E’ rimastoparticolarmente soddisfatto il fiduciario di se-zione Alvaro Fanti che lo ha accompagnatoche grazie all’exploit di Antonino ha incas-sato una indescrivibile soddisfazione perso-nale e anche un prestigioso riconoscimento.

Va detto che il nostro ragazzo (è nato a Be-nevento ma è diventato uomo e soprattuttomaitre grazie all’alta scuola dell’Eden, dovelavora da sei anni ) ha rappresentato non soloil Molise, ma anche il confinante Abruzzo. E

davanti ai giudici ha avuto l’accortezza di pre-sentare un piatto che ha saputo unire le tra-dizioni delle due regioni.

In tavola Antonino Forte ha lavorato conuna portata a base di piccione (petto e coscia)su sfoglia di mela annurca e soffice ricotta infuscella. E’ stato inoltre particolarmente abilead abbinarla con un magnifico vino abruz-zese della cantina Masciarelli, bianco di VillaGemma.

Dopo aver fatto i complimenti al brillantevincitore del concorso, è appena il caso dispendere qualche parola per l’Eden, hotel-ri-storante guidato da Marcello Damiano conl’aiuto dei suoi tre figli e della moglie Silvana.Marcello, nel campo della ristorazione, hapraticamente aperto una nuova frontiera aCampobasso, specie per la banchettistica.Con lui si è passati da una cucina alla buonaa una sofisticata ed elegante che non ha maisconfessato le sue origini molisane, avendol’attenzione di rimodellarla e alleggerirla se-condo i tempi.

Nel suo elegante locale sono passati chef dispessore che si sono distinti oltre che nel la-voro di routine anche nel corso di appunta-menti culinari di prestigio e, come siricordava, maitre di alta professionalità, tra iquali il più bravo e titolato senza dubbio èAntonino Forte.

Battuti otto finalisti

con una portata a base di volatili

di Daniela Martelli

Vince a Torino il titolo italiano Antonino Fortein rappresentanza di Abruzzo e Molise

Antonino Forte (col piatto del vincitore) posa per il fotografo assieme ai concorrenti battuti in finale

Marcello Damiano titolare dell’Eden

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di Domenico Fratianni

Tomasino d’Amico musicologo e scrittore

Ho imparato ad ascoltare; adascoltare una voce silenziosa egentile. La voce di Tomasino

d’Amico. Non ho potuto conoscerlo dipersona perché sono arrivato in ritardo,quando era passato a miglior vita, senzache il suo ricordo morisse, perché la suaamata Gilda, pittrice di gran talento, mene parlava sempre, con uno slancio chenon era solo amore ma, se possibile,qualcosa di più. Perché Tomasinod’Amico, di Duronia/Molise, non era soloun grande magistrato, fondatore delprimo tribunale dei minori in quel di Mi-lano, ma un uomo di cultura straordina-rio. Certo, i racconti di Gilda mi avevanoaiutato, ma è stato quando sono rimastosolo nello studio che fu suo, che ho vera-mente capito. E mi era bastato starmenein attesa nella sua “Casa del melograno“ di Castropignano, seduto nello scrittoioche fu suo; e tra le tante carte, i suoi librie i suoi dischi che un vecchio grammo-fono mi riportava suoni e melodie . E’ lìche ho scoperto il Tomasino artista.Scrittore, dicevo, ma anche musicologo ecritico acutissimo. Il primo testo che hoavuto la ventura di sfogliare e poi leg-gere con trasporto, portava (porta) un ti-tolo che manifestava la sua grandeammirazione per Francesco Cilea , l’au-tore di “Adriana Lecouvreur “, di “Gloria”e di “L’Arlesiana”. Ed è stato, in quel rac-coglimento assoluto, che ho scoperto diquale sensibilità fosse nutrito. La suaappartenenza all’Ordine Nazionale degliAutori e scrittori, si sostanziava princi-palmente in tre libri di rilievo, titolati: “Come si ascolta l’opera” del 1949, Editoda Baldini e Castoldi, ”Francesco Cilea “,del 1960, per i tipi della Casa MusicaleCurci e, ancora, “Uomini e Ombre “, del1965, edito da Rebellato. Una rivelazione,per me; per la sua vena poetica nei suoiprimi versi della raccolta “Tempesta”,seguiti da altri titolati “Richiami del si-lenzio”, pervasi, questi ultimi, da ri-chiami crepuscolari e scanditi da ritmiermetici moderni. Poi, la costruzione diun mosaico di grande bellezza, le cui tes-sere luminose servivano per raccontarestorie incredibili che andavano a rap-presentare l’affresco della nostra Italiaculturale, tra fine Ottocento e inizio No-vecento. I ricordi iniziano con la descri-zione dell’antico Caffè Aragno di Roma(oggi scomparso), dove si ritrovavano ipersonaggi più illustri, come Giulio de

Fensi, Gubello Memmoli, Goffredo Bel-lonci e la biondissima e stravagante Si-billa Aleramo, per continuare con iricordi legati alle musiche e ai canti alleTerme di Caracalla , in quelle stagioni li-riche, tra i più gioiosi dell’Estate ro-mana.E,ancora,la descrizione di unagalleria di personaggi straordinari comeAda Negri (alla quale Tomasino avevadedicato il primo volumetto di versi delgiovanissimo Glauco Cambon), per pas-sare alle conversazioni con UmbertoGiordano intorno alla grandezza dellamusica di Puccini (Butterfley,Tosca,Bo-hème), ma anche per magnificare la bel-lezza della “Cavalleria rusticana”, cheavrebbe segnato la colossale fortuna diPietro Mascagni. Senza dimenticareGuido da Verona, dal temperamento biz-zarro, ma uno dei nostri pochi scrittori(ribadiva Tomasino) che durante il “ven-tennio” non aveva sollecitato prebendee onori dal Regime fascista. E, poi, la suaamicizia con Irma Grammatica; amicizianata dopo la rappresentazione di “Casadi Bambola” di Ibsen, all’Argentina diRoma (1912), ribadita dopo l’interpreta-zione della stessa in “Città morta” di Ga-briele D’Annunzio (1929). A seguire, iracconti legati agli incontri con il Sena-tore Treccani, fondatore della famosaEnciclopedia e con Padre Gemelli che,precisava Tomasino, nutriva una ammi-razione sconfinata per il nostro IginoPetrone. Ed ancora l’incontro con ArturoToscanini, avvenuto dopo un concertotenuto dal grande Maestro alla Scala diMilano (1924).

Tomasino ricorda: ”deposta la bac-chetta, venne a intrattenersi con noi,che privilegio!”. Poi il capitolo dell’in-contro con Eleonara Duse, con la qualesi intrattenne a conversare lungamenteall’Hotel Cavour di Milano (1921),quando la divina Eleonora aveva datempo perso il suo consolatore ArrigoBoito (D’Annunzio si era da tempo al-lontanato da lei e dalla sua arte). La Dusegli aveva scritto una lettera nella quale sileggeva: ”Si ricorderà di me? Son qui dadue giorni, vorrei tanto rivederla. Saràpossibile?”. E, ancora, le conversazionicon il grande Ruggero Ruggeri e le pas-seggiate romane con Lydia Borrelli. Unmosaico incredibile di incontri e di ami-cizie arricchito ancor di più dalle note diWagner e dalla splendida voce dellaFlagsars, nella interpretazione di “Wal-ckiria”. E le famosi interviste, comequella con una Dea, al secolo ElisabettaHoengen, dopo l’interpretazione di“Frika” che la cantante tenne alla Scala,mentre, aggiunge Tomasimo, Gilda Pan-siotti ne abbozzava il profilo. Natural-mente, numerosi i commenti sul primoD’Annunzio, innamoratissimo dell’affa-scinante Maria Hardouin, della quale siera invaghito a sedici anni (La “Lalla”, dalui esaltata nel “Canto Novo”). E non po-tevano mancare le voci del nostro Mo-lise, quelle che lui chiama “Le voci delsilenzio”, datate 189O-1915 (gli anni deisuoi studi liceali presso il Convitto Na-zionale “Mario Pagano”di Campobasso),dove erano passati Maestri dalla grandeforza come Giovanni Gentile, NicolaScarano, Pietro Avogrado e anche, ri-corda con affetto Tomasino, GiovanniPorzio, Gaetano Manfredi, Enrico De Ni-cola, Vittorio Cannavina, Luigi Fraticelli,Mario Magliano, Ernesto Zurlo, France-sco Salottolo, Giacinto Musacchio e altriancora. Toccante e singolarissimo l’in-contro con la figura straordinaria di Gio-vanni XXIII, che riuscì a dialogare conlui sul “bel canto”, sostenendo il suoamore e la sua ammirazione per il suoconterraneo bergamasco Gaetano Doni-zetti. Un affresco straordinario e, per me,una rivelazione che si concludeva, comegiusto che fosse, per un’ anima così mu-sicalmente raffinata e gentile , conl’ascolto, da parte di Tomasino , dellamusica di Beethoven, il suo consolatore;l’unico capace di placare i suoi dolori e isuoi turbamenti

Tomasino D’Amico

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RUBRICHETTA

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Molise 2020, cronache dal futuro

di Walter Cherubini

20 gennaio 2020Aeroporto,

posta la prima pietra

E’ toccato all’ArcivescovoGiancarlo Bregantini bene-dire la prima pietra dell’ae-roporto del Molise, chesorgerà nella piana di Bo-iano. L’opera, fortementevoluta dal Presidente Iorio,dovrebbe essere comple-tata in meno di quattroanni.

16 aprile 2020Tribunale,

arrivano i metal detector

Il Presidente del tribu-nale di Campobasso ha an-nunciato che, grazie a un

accordo con la Regione, lastruttura forense disporràpresto di metal detectoralle porte d’ingresso. Sicolma così una vecchia la-cuna nel sistema di sicu-rezza del tribunale delcapoluogo.

25 giugno 2020Campomarino,

riapre il porto turistico

Le operazioni di dragag-gio in corso nel porto turi-stico di Campomarino,consentiranno la riaper-tura del bacino alle imbar-cazioni da diporto. Eranoanni che gli operatori turi-stici attendevano un inter-vento risolutivo per il

porticciolo. Si prevede chel’utenza diportista si asse-sterà sulle venti unità men-sili.

24 Settembre 2020Campobasso,

addio al pattinodromo

Sarà demolito il pattino-dromo di Selvapiana.

L’area sarà inglobata nel-l’attigua isola ecologica delcapoluogo. La decisione èarrivata dopo una soffertariunione della Giunta Co-munale che, amaramenteha dovuto costatare comegli sforzi per riattivare lastruttura si siano rivelatiinutili. Dopo la ristruttura-zione del 2015, la pista non

è mai stata operativa permancanza di pattinatori.

8 Dicembre 2020Luminarie natalizie,

c’è l’accordo

Le organizzazioni sinda-cali del commercio hannopresentato all’assessore co-munale al ramo un pianocongiunto per le luminarienatalizie.

I commercianti si faran-no carico dell’allestimentodegli addobbi e provvede-ranno al pagamento dellafornitura elettrica, in cam-bio il Comune imporrà lachiusura domenicale aicentri commerciali dellacittà nei mesi di gennaio efebbraio.

La foto curiosa

Aveva 65 anni fa il giornalista Fausto Siconolfi,stroncato da un male inesorabile che non ha

concesso tregua. La morte lo ha afferrato in un lettod’ospedale, della sala di rianimazione del Cardarelli.Siconolfi da qualche anno aveva lasciato il Comunedi Campobasso dove aveva ricoperto il ruolo di diri-gente. Mettendo a profitto le esperienze maturate al-l’Alfa Sud e quindi presso l’azienda facente capo aPeppe Uliano.Nel mondo giornalistico locale non si è concesso unapausa, iniziando al Tempo, per passare poi a Telemo-lise, quindi a TRC, diventata Tele Regione sotto la suadirezione. E’ tornato alla carta stampata con Il Quoti-diano del Molise e subito dopo alla Gazzetta del Mo-lise, per finire la carriera a Primo Piano, dove hafirmato il giornale.Con l’autonomia regionale dell’Ordine dei giornalistiè stato eletto al consiglio nazionale, dove ha rappre-sentato autorevolmente la nostra piccola regione.

Siconolfi ci ha lasciatoRicordo di Fausto

L’estate di San Martino

ha indotto la contadina

impegnata nella raccolta

delle olive a ripararsi

dai raggi del sole con un

ombrello come fa di solito

sotto il solleone

d’agosto.

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Vastogirardi si trova a 1.200 metrisul livello del mare e conta esatta-

mente 800 abitanti, i suoi abitanti sichiamano vastesi, pur non avendonulla a che fare con i cugini della cittàadriatica di Vasto. Vastogirardi è un belborgo che conserva intatte le caratteri-stiche medievali con il maestoso ca-stello che domina il paese comestruttura fortificata e le case sistematead “avvolgimento”.

La natura è meravigliosa e spettaco-lare. Da visitare oltre ai boschi e i lun-ghi prati la chiesa di San Nicola di Bari

del XV secolo. In estate si degustanoprodotti tipici, mozzarelle, farro, tartufoe vini di buon gusto. Se volete fare unapuntata fuori stagione a Vastogirardinon potete mancare di sterzare per Ca-rovilli, per andare a trovare Adriano, apochi passi dalla piazza, in un risto-rante che potrebbe trovare comodacollocazione in luogo più accorsato.Molti buongustai partono da Roma e daaltre lontane località per sedere al suodesco. Dove si mangiano pietanze ra-gionate e ben elaborate. Da non per-dere il ventaglio di antipasti d’alto

livello, a base di prodotti caseari conditicon il miele di acacia; è un tuffo nelpassato il brodo di gallina con le pol-pettine, non si può fare a meno di gu-stare la fettuccine con farina dicastagne e gli arrosti sono da leccarsi ibaffi. Adriano, il padrone del locale, èun personaggio imperdibile, ti mette aproprio agio appena superato l’uscio eti invita a grandi bevute, con vini ap-partenenti alle infinite etichette che sitrovano nella sua cantina.

Zibaldone di Eugenio Percossi

Conosco un posticino: Carovilli

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Robin Williams e Antonio Chieffo

Ci sono molti punti in comune tra Robin Williams e Anto-nio Chieffo. Solo fisicamente, logicamente. Vista la loro

lontananza e le rispettive professioni. Robin da sempre èun’icona holliwoodiana. Hanno fatto scuola i suoi film, a ini-ziare “Dall’attimo fuggente” a “Goodmorning Vietnam”. Pertralasciare la sua fertile produzione di pellicole di successocommerciale e di critica. Completamente diversa è la carrieradi Antonio Chieffo che rifugge persino le ospitate, inimmagi-nabile ritrovarselo sul set cinematografico. Diventa profes-sore per consegnarsi subito dopo alla politica, cominciandoda fare il sindaco di Colletorto per un lungo tragitto. Quindisi sposta in Provincia ove vive una luminosa stagione primacome assessore e poi come ottimo presidente. Eccolo prontoper la Regione ove conquista a pieni voti un seggio, diventaassessore e dopo un quinquennio vissuto da “semplice” con-sigliere, torna a far parte dell’esecutivo dello Iorio 3.

Robin Williams Antonio Chieffo

separati dalla nascitaVia la Gelmini, tornano

le gite scolastiche

I

L

SASSOLINO

L’autunno mai mite come quest’anno, ciha regalato piacevoli tepori e voglia di

restar fuori a respirare aria insaporita da fo-late uggiose. L’umore si solleva nonostante iguai che da mane a sera assillano il mondo;ma in questa terra dove l’erba è verde,tranne quella dello stadio, la natura è ab-bronzata e il cielo sempre più blu, ecco cheappare chiaro il segno dei tempi nuovi.

La scuola italiana volta pagina, è finita laguerra a Maria Stella, è finito il tempo delleprof pasionarie che invitavano a boicottarel’economia rifiutando le gite, a scioperareanche per loro che non potevano permet-tersi di perdere cento e più euro dallo sti-pendio per difendere un principio in cuicredevano ciecamente. Ora che il tiranno èstato abbattuto e Maria Stella non c’è più, sipuò tornare alla normalità. Via libera ad af-fascinanti gite scolastiche, a viaggi culturalicon i professori, quelli sull’Aventino loscorso anno, oggi ben disposti a compiere illoro dovere di educatori, accompagnando glistudenti nei viaggi d’istruzione.

E’ proprio vero, basta poco per cambiare lecose. Come l’autunno gentile ha mutatol’umore dei molisani, così la caduta di SilvioCesare ha rappresentato la vera e unica ri-forma seria della scuola. Per festeggiare,cosa c’è di meglio di una gita scolastica ri-conciliatrice?

Da Adriano si mangia e si beve da imperatori

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La Gazzetta del Molisebrucia le tappe a pochigiorni dal debutto suiPhone, iPod Touch eiPad.

L’applicazione di NextSrl, scaricabile da AppStore con iTunes, ha su-bito fatto il pieno: i 1.250utenti che ne hanno giàusufruito l’hanno lan-ciata al 14esimo posto alivello nazionale nellacategoria “News”. Unsuccesso rapido quantoinsperato per le nostroquotidiano, ora più chemai a portata “di palmo”e quindi ancor più vi-cino ai lettori, i qualihanno la possibilità discaricare e sfogliare inanteprima i nuovi nu-meri del giornale.

E giudizi degli utentiin rete sono più che lu-singhieri: c’è chi ap-prezza la grafica “bella eimmediata nell’utilizzo”,chi l’interfaccia “carina,veloce e sempre aggior-nata” e chi, più in gene-rale, la definisce “benfatta e di facile consulta-zione”. Un altro belpasso avanti verso i no-stri fedeli e affezionatilettori, ai quali va ancorauna volta il nostro rin-graziamento.

A pochi giorni dal debutto su iPhone, iPod Touch e iPad, il nostro quotidiano conquista il 14° posto assoluto nella categoria “News”

La Gazzetta “palmare” brucia le tappe