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27 2 continua a pagina 27 continua alla pagina successiva dalla pagina 2 Il più affascinante viaggio della vita Il più affascinante viaggio della vita N el suo Castello interiore, opera mistica straordina- riamente densa e profonda, santa Teresa dʼAvila descrive il più importante ed entusiasmante pelle- grinaggio dellʼuomo, ossia il viaggio interiore verso e dentro se stessi. La santa mistica carmelitana paragona la nostra intimità ad un castello con tante stanze; è qui che ciascuno di noi è invitato a entrare, per amare se stesso, conoscersi, apprezzarsi, fare il punto del proprio io e andare in profondità, fino alla settima stan- za, dove dimora il “gran Re”. Gli fa eco il libro del Cantico dei Cantici, su cui Teresa ha scritto un meravi- glioso commento dal titolo Pensieri sullʼamore di Dio, che inizia proprio con lʼintimità della sposa nella stanza del Re, la stanza dellʼamore, della ca- rità, della fiamma di Dio (cfr Ct 1,4), dove si concretizza e si realizza pie- namente quello che il Cantico chia- ma il sigillo dellʼamore, la fiamma di fuoco e il fragore delle grandi acque (cfr Ct 8,6-7). Entrare nelle proprie stanze significa, in definitiva, “amar- si”; e giungere allʼultima stanza del proprio sé significa incontrare il Re, ossia lʼamore. Scrive Teresa: “Que- sto castello contiene molte dimore, alcune in alto, altre in basso ed altre ai lati. Nel centro, in mezzo a tutte, si trova la principale, che è quella dove si svolgono le cose di maggior segretezza tra Dio e lʼanima” (Il ca- stello interiore, 3). Questa parte in- tima è molto sacra; non la conosce nessuno al di fuori di Dio; è spesso ignara anche a se stessi. Qui esiste il segreto profondo della nostra anima. Il viaggio inizia con queste parole: “Tornando al nostro meraviglioso e delizioso castello, dobbiamo vedere in che modo vi potremo entrare” (ibi- dem, 5). La prima dimora - dice Teresa - è la nostra periferia. Molti rimangono qui per tutta la vita; si accontentano della propria esteriorità; non scavano; non vanno in profondità. Essa è un luogo molto precario. Scrive Teresa: “Ci sono molte anime, che restano nel- la cerchia esterna del castello, dove stanno le guardie (cfr Ct 3,3-4; 5,7), e non si curano di entrare in esso né di sapere che cosa racchiuda una così splendida dimora, né chi sia Colui che la abita, né quali appartamenti con- tenga”. Da queste parole della santa emerge che la scelta di fermarsi nella periferia del proprio sé significa so- stanzialmente non godere di sé; non conoscersi; non sapere quasi nulla, se non la scorza più esteriore del pro- prio io, restandone sostanzialmente fuori. Teresa descrive la situazione di costoro come “un corpo paralizzato o rattrappito che, pur avendo piedi e mani, non li può muovere”. Costoro vivono con “i vermi e gli animali che stanno nel recinto del castello”, dive- nendo sostanzialmente simili ad essi (cfr ibidem, 6). Se questa è la situa- zione drammatica della prima dimo- ra, Teresa si premura di indicare qual è “la porta di entrata a questo castel- lo”: essa è la meditazione, meglio se accompagnata dallʼorazione. Chi si trova a questo primo fallimentare stadio del proprio sé ha bisogno di meditare e di riflettere sul senso del proprio vivere e del proprio essere. Teresa precisa che questo primo im- portante atteggiamento consiste nel prendere consapevolezza del proprio sé. Non sta parlando dellʼorazione o preghiera, né tanto meno della con- templazione, ma della riflessione su di sé, che consiste nel sentire il biso- gno di meditare sul proprio io; capire la propria vita; dove si sta andando e quanto si è in periferia e lontani dal proprio cuore, o più esattamente lon- tani dal Padre (cfr Lc 15,17ss.). La seconda stanza è la compren- sione, da parte di se stessi, di quanto sia ripugnante continuare a restare in periferia. Teresa commenta questa nuova situazione come ripulsione, da parte dellʼanima, di vivere nello stato di peccato mortale, a contatto con i vermi e gli animali periferici, condi- videndo esattamente la loro rivoltan- te e disgustosa situazione. Lʼanima, che avverte nauseante tutto questo, comincia ad entrare nella seconda dimora. Ci si confessa; si ripugnano i propri peccati; si avverte il disgu- sto della propria vita peccaminosa. Ogni volta che si compie il peccato, anziché compiacersi, come si faceva quando si stava nella periferia di sé, ora invece si comincia a provare do- lore e contrizione grandi. Questo se- condo stadio è molto importante per la crescita dellʼanima, ma se si rima- ne fermi in questa seconda dimora il rischio è quello dello scoramento e conseguenti giudizi su di sé, che por- tano allo scrupolo, alla vergogna, in una parola portano la persona verso la svalutazione della propria intimità. Lʼimportanza, allora, di trovare la porta per accedere nella terza stanza o dimora, e questa porta – dice Te- resa – è la percezione chiara della propria “scarsa sicurezza” e quanto questa vita sia un vero e proprio esi- lio. A questo terzo importante livello, lʼanima percepisce con chiarezza la precarietà di ciò in cui credeva, e, di conseguenza, il proprio limite, che la porta ad umiliarsi. E - conclude Te- resa . “alle anime veramente umili, Dio, anche se non dà diletti, darà una pace e una conformità al suo volere da farle sentire più felici di altre, con tutti i loro diletti”. È chiaro da quanto detto fin qui, che il vivere nella pro- pria terza dimora, o meglio a questo livello di consapevolezza del proprio sé, significa porre la propria felicità non nei diletti di questa vita, ma nel proprio sé, che si percepisce limita- to e proiettato verso qualcosa di più sicuro, vero e autentico, dal momen- to che, finché si è in questa vita, ci si trova in un vero e proprio esilio. Chi è arrivato a questo stadio vive l’orazione sistematica; fa della me- ditazione unʼàncora quotidiana e di impegno costante; ma non vive an- cora la profondità del godimento per le cose di Dio; non ne è capace; ridu- ce la propria vita di fede ad una serie di doveri, che assolve con costanza e fedeltà, ma non prova la gioia e la delizia dellʼappartenenza allo Sposo. Ecco, allora, la necessità di con- tinuare a penetrare dentro di sé, per raggiungere la dimora successiva, che Teresa considera come una sor- ta di ponte prezioso, che collega lʼumano al divino. Lʼingresso in que- sto ulteriore stadio è dato dal passag- gio dallʼorazione a quella che Teresa chiama lʼorazione di quiete. Qui la preghiera è caratterizzata dalla sensa- zione gioiosa della delizia interiore. Allʼinterno di questa dimora, se non si è ancora giunti alla contemplazio- ne, si è però ad un livello così alto di capacità orante, che la preghiera quotidiana produce nellʼanima una qualche delizia certa e sicura. E qui Teresa approfondisce i diversi tipi di “diletti spirituali”, che compiac- ciono lʼanima, facendole gustare la delizia profonda del cuore. E porta lʼesempio dei diversi bacini, che si riempiono dʼacqua: ad avere la me- glio, cioè a ricevere lʼacqua migliore, è il bacino più vicino alla sorgente. Questa situazione Teresa la spiega meglio, considerandola come una profonda orazione di raccoglimento, dove lʼanima, tutta e pienamente rac- colta in sé, si relaziona con il divino. E - scrive Teresa - : “Il gran Re, che risiede nel centro del Castello, vista ormai la loro buona volontà, per la sua gran misericordia si induce a ri- chiamarli a sé...emettendo un fischio tanto soave che essi stessi stentano ad avvertirlo, fa loro conoscere la sua voce e li allontana dalla via della perdizione per ricondurli al castello. Questo fischio del Pastore ha tanta forza che essi abbandonano subito le cose esteriori e rientrano nel castel- lo” (cfr Gv 10,3-4.14). La quinta dimora è quella che Te- resa chiama la preghiera di unione. E qui la grande mistica si dilun- ga nello spiegare quelli che sono gli effetti della preghiera di unione con lo sposo, mettendoci in guardia dallʼinganno del demonio, che – a questo livello – così elevato, intensi- fica i suoi stratagemmi per ingannare lʼanima, facendo passare per pre- ghiera di unione quelli che in realtà sono nostri appagamenti o delizie personali. Teresa parla qui del rischio reale che “Sua maestà, cioè Dio, di- venti la nostra dimora, fabbricata da noi stessi”. E spiega: “Sembra chʼio voglia dire che possiamo togliere o aggiungere a Dio qualche cosa, di- cendo chʼegli è la nostra dimora e che possiamo fabbricarla noi stes- si per alloggiare in essa. E come se possiamo farlo, non già aggiungen- do o togliendo a Dio, ma togliendo e aggiungendo a noi, come fanno quei piccoli vermi”! È chiara qui la con- Ilustrazione pittorica di Padre Enzo Caiffa O.C.D.

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Il più affascinante viaggio della vitaIl più affascinante viaggio della vita

Nel suo Castello interiore, opera mistica straordina-riamente densa e profonda,

santa Teresa dʼAvila descrive il più importante ed entusiasmante pelle-grinaggio dellʼuomo, ossia il viaggio interiore verso e dentro se stessi. La santa mistica carmelitana paragona la nostra intimità ad un castello con tante stanze; è qui che ciascuno di noi è invitato a entrare, per amare se stesso, conoscersi, apprezzarsi, fare il punto del proprio io e andare in profondità, fino alla settima stan-

za, dove dimora il “gran Re”. Gli fa eco il libro del Cantico dei Cantici, su cui Teresa ha scritto un meravi-glioso commento dal titolo Pensieri sullʼamore di Dio, che inizia proprio con lʼintimità della sposa nella stanza del Re, la stanza dellʼamore, della ca-rità, della fiamma di Dio (cfr Ct 1,4), dove si concretizza e si realizza pie-namente quello che il Cantico chia-ma il sigillo dellʼamore, la fiamma di fuoco e il fragore delle grandi acque (cfr Ct 8,6-7). Entrare nelle proprie stanze significa, in definitiva, “amar-

si”; e giungere allʼultima stanza del proprio sé significa incontrare il Re, ossia lʼamore. Scrive Teresa: “Que-sto castello contiene molte dimore, alcune in alto, altre in basso ed altre ai lati. Nel centro, in mezzo a tutte, si trova la principale, che è quella dove si svolgono le cose di maggior segretezza tra Dio e lʼanima” (Il ca-stello interiore, 3). Questa parte in-tima è molto sacra; non la conosce nessuno al di fuori di Dio; è spesso ignara anche a se stessi. Qui esiste il segreto profondo della nostra anima. Il viaggio inizia con queste parole: “Tornando al nostro meraviglioso e delizioso castello, dobbiamo vedere in che modo vi potremo entrare” (ibi-dem, 5). La prima dimora - dice Teresa - è la nostra periferia. Molti rimangono qui per tutta la vita; si accontentano della propria esteriorità; non scavano; non vanno in profondità. Essa è un luogo molto precario. Scrive Teresa: “Ci sono molte anime, che restano nel-la cerchia esterna del castello, dove stanno le guardie (cfr Ct 3,3-4; 5,7), e non si curano di entrare in esso né di sapere che cosa racchiuda una così splendida dimora, né chi sia Colui che la abita, né quali appartamenti con-tenga”. Da queste parole della santa emerge che la scelta di fermarsi nella periferia del proprio sé significa so-stanzialmente non godere di sé; non conoscersi; non sapere quasi nulla, se non la scorza più esteriore del pro-prio io, restandone sostanzialmente fuori. Teresa descrive la situazione di costoro come “un corpo paralizzato o rattrappito che, pur avendo piedi e mani, non li può muovere”. Costoro vivono con “i vermi e gli animali che stanno nel recinto del castello”, dive-nendo sostanzialmente simili ad essi (cfr ibidem, 6). Se questa è la situa-zione drammatica della prima dimo-ra, Teresa si premura di indicare qual è “la porta di entrata a questo castel-

lo”: essa è la meditazione, meglio se accompagnata dallʼorazione. Chi si trova a questo primo fallimentare stadio del proprio sé ha bisogno di meditare e di riflettere sul senso del proprio vivere e del proprio essere. Teresa precisa che questo primo im-portante atteggiamento consiste nel prendere consapevolezza del proprio sé. Non sta parlando dellʼorazione o preghiera, né tanto meno della con-templazione, ma della riflessione su di sé, che consiste nel sentire il biso-gno di meditare sul proprio io; capire la propria vita; dove si sta andando e quanto si è in periferia e lontani dal proprio cuore, o più esattamente lon-tani dal Padre (cfr Lc 15,17ss.). La seconda stanza è la compren-sione, da parte di se stessi, di quanto sia ripugnante continuare a restare in periferia. Teresa commenta questa nuova situazione come ripulsione, da parte dellʼanima, di vivere nello stato di peccato mortale, a contatto con i vermi e gli animali periferici, condi-videndo esattamente la loro rivoltan-te e disgustosa situazione. Lʼanima, che avverte nauseante tutto questo, comincia ad entrare nella seconda dimora. Ci si confessa; si ripugnano i propri peccati; si avverte il disgu-sto della propria vita peccaminosa. Ogni volta che si compie il peccato, anziché compiacersi, come si faceva quando si stava nella periferia di sé, ora invece si comincia a provare do-lore e contrizione grandi. Questo se-condo stadio è molto importante per la crescita dellʼanima, ma se si rima-ne fermi in questa seconda dimora il rischio è quello dello scoramento e conseguenti giudizi su di sé, che por-tano allo scrupolo, alla vergogna, in una parola portano la persona verso la svalutazione della propria intimità. Lʼimportanza, allora, di trovare la porta per accedere nella terza stanza o dimora, e questa porta – dice Te-resa – è la percezione chiara della

propria “scarsa sicurezza” e quanto questa vita sia un vero e proprio esi-lio. A questo terzo importante livello, lʼanima percepisce con chiarezza la precarietà di ciò in cui credeva, e, di conseguenza, il proprio limite, che la porta ad umiliarsi. E - conclude Te-resa . “alle anime veramente umili, Dio, anche se non dà diletti, darà una pace e una conformità al suo volere da farle sentire più felici di altre, con tutti i loro diletti”. È chiaro da quanto detto fin qui, che il vivere nella pro-pria terza dimora, o meglio a questo livello di consapevolezza del proprio sé, significa porre la propria felicità non nei diletti di questa vita, ma nel proprio sé, che si percepisce limita-to e proiettato verso qualcosa di più sicuro, vero e autentico, dal momen-to che, finché si è in questa vita, ci si trova in un vero e proprio esilio. Chi è arrivato a questo stadio vive l’orazione sistematica; fa della me-ditazione unʼàncora quotidiana e di impegno costante; ma non vive an-cora la profondità del godimento per le cose di Dio; non ne è capace; ridu-ce la propria vita di fede ad una serie di doveri, che assolve con costanza e fedeltà, ma non prova la gioia e la delizia dellʼappartenenza allo Sposo. Ecco, allora, la necessità di con-tinuare a penetrare dentro di sé, per raggiungere la dimora successiva, che Teresa considera come una sor-ta di ponte prezioso, che collega lʼumano al divino. Lʼingresso in que-sto ulteriore stadio è dato dal passag-gio dallʼorazione a quella che Teresa chiama lʼorazione di quiete. Qui la preghiera è caratterizzata dalla sensa-zione gioiosa della delizia interiore. Allʼinterno di questa dimora, se non si è ancora giunti alla contemplazio-ne, si è però ad un livello così alto di capacità orante, che la preghiera quotidiana produce nellʼanima una qualche delizia certa e sicura. E qui Teresa approfondisce i diversi tipi di “diletti spirituali”, che compiac-

ciono lʼanima, facendole gustare la delizia profonda del cuore. E porta lʼesempio dei diversi bacini, che si riempiono dʼacqua: ad avere la me-glio, cioè a ricevere lʼacqua migliore, è il bacino più vicino alla sorgente. Questa situazione Teresa la spiega meglio, considerandola come una profonda orazione di raccoglimento, dove lʼanima, tutta e pienamente rac-colta in sé, si relaziona con il divino. E - scrive Teresa - : “Il gran Re, che risiede nel centro del Castello, vista ormai la loro buona volontà, per la sua gran misericordia si induce a ri-chiamarli a sé...emettendo un fischio tanto soave che essi stessi stentano ad avvertirlo, fa loro conoscere la sua voce e li allontana dalla via della perdizione per ricondurli al castello. Questo fischio del Pastore ha tanta forza che essi abbandonano subito le cose esteriori e rientrano nel castel-lo” (cfr Gv 10,3-4.14). La quinta dimora è quella che Te-resa chiama la preghiera di unione. E qui la grande mistica si dilun-ga nello spiegare quelli che sono gli effetti della preghiera di unione con lo sposo, mettendoci in guardia dallʼinganno del demonio, che – a questo livello – così elevato, intensi-fica i suoi stratagemmi per ingannare lʼanima, facendo passare per pre-ghiera di unione quelli che in realtà sono nostri appagamenti o delizie personali. Teresa parla qui del rischio reale che “Sua maestà, cioè Dio, di-venti la nostra dimora, fabbricata da noi stessi”. E spiega: “Sembra chʼio voglia dire che possiamo togliere o aggiungere a Dio qualche cosa, di-cendo chʼegli è la nostra dimora e che possiamo fabbricarla noi stes-si per alloggiare in essa. E come se possiamo farlo, non già aggiungen-do o togliendo a Dio, ma togliendo e aggiungendo a noi, come fanno quei piccoli vermi”! È chiara qui la con-

Ilustrazione pittorica di Padre Enzo Caiffa O.C.D.

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DEI PP. CISTERCENSI - 72022 LATIANO (BR) - Tel. 0831.725398P E R I O D I C O D I C U LT U R A R E L I G I O S A E D E V O Z I O N E M A R I A N A

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In collaborazione con l’URMPresidente: Don DOMENICO MARCUCCI

Stampato da LOCOPRESS industria graficaVia A. Montagna, Z.I. - MESAGNE (BR) - Tel. 0831.734090

ANNO XLIX - N. 5 - SETTEMBRE/OTTOBRE 2018 - SPED. IN A.P. COMMA 20/C ART. 2 LEGGE 662/96 - BR. FERROVIA

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Il più affascinante viaggio della vita 2

“In anima e corpo” 3

Un’alternativa ricca di valori 4

«Hai imparato ad attendere» 6

Assunta in cielo 9

Papi e rosario tra storia e teologia 11

Sentita come una di casa 12

Fatti & persone 15

Il più grande dei misteri 18

Santa Maria e il ’68 20

“Stabat Mater dolorosa” 21

Scienziato, padre, mistico 22

A Luján nell’Argentina dei Gauchos 23

Maria educa alla maternità 24

Il dolore più atroce che ci sia 25

Sommario

danna della superbia spirituale, che porta lʼanima a una tale presunzione da credersi profondamente contem-plativa, quando in realtà non lo è. Il primo beneficio di questa preghiera di unione – chiarisce Teresa - è la vera umiltà. Si racconta che un gior-no il diavolo si camuffò, presentan-dosi a san Filippo Neri nelle vesti della Vergine Maria. San Filippo spu-tò verso il demonio, e quando questi gli chiese come fosse riuscito ad ac-corgersi che in realtà era il demonio, Filippo rispose che la Madonna mai e poi mai sarebbe potuta apparire a un peccatore come lui. Lʼumiltà spirituale, quindi, è essenzialmente umiltà del cuore. A questo livello il demonio tenta assai. Molte anime si lasciano ingannare con esperienze spirituali gratificanti; finanche con pellegrinaggi in luoghi santi, tornan-dovi spesso trasformate. Lʼinganno del demonio è qui molto devastante, producendo danni inimmaginabili! Il metro o criterio ultimo per valutare lʼautenticità o meno dellʼesperienza spirituale è lʼatteggiamento di umil-tà, che delimita fino a che punto si tratta di un rapporto spirituale vero e autentico con il Signore, che produce la preghiera di unione con Lui; o se invece è inganno del demonio. Entrando finalmente nella sesta dimora, lʼanima raggiunge il luo-go della resa del cuore. Ha inizio in questo meraviglioso e lungo stadio quello che Teresa chiama il viaggio del cuore verso il totale abbandono a Dio. A questo livello i tanti trava-gli della vita sono compensati dal-le meravigliose grazie, sempre più maggiori, che Dio dona allʼanima. In un certo senso, l’anima, che si trova in questo stadio, è come si-stematicamente svegliata da Dio, per ricevere grazie più sublimi. Dio spesso, in questo stadio, si intrattiene con la persona in meravigliosi e dol-ci colloqui. Ed è facile per lʼanima comprendere che non si tratta di in-ganni del diavolo, perché le permane dentro una profonda, gustosa e dolce delizia. A questo livello lʼanima vive

nellʼorazione il rapimento, lʼestasi o il trasporto dʼamore. A questo punto così meraviglioso, lʼanima arriva ad avvertire la compunzione per il pec-cato proprio e soprattutto dei peccati del mondo intero, intrattenendosi in appaganti pianti dʼamore. Lʼultima dimora è quella che Te-resa chiama il “matrimonio mistico”. Qui la preghiera dellʼunione è com-pleta in tutta la sua intensità. La pre-ghiera consiste ora in un profondo e dilungato silenzio, raggiungendo quello che san Paolo chiama i gemiti inesprimibili (cfr Rm 8,26-27). Sia-mo, a questo livello, nel meraviglio-so giardino del Cantico dei Cantici, dove tutto è amore, vita, gioia e de-lizia. Siamo nel giardino primordiale dellʼEden, dove Dio “passeggia”, o meglio, come dice esattamente il ter-mine ebraico, “danza con lʼuomo”. Siamo nella settima dimora del pro-prio sé, dove giunge a compimento lʼincontro con il Re: “Trascinami con te; corriamo!” (Ct 1,4a). Questo è lʼingresso nella stanza, dove si en-tra attraverso questa forte attrazione del cuore; “Mi introduca il Re nelle sue stanze” (Ct 1,4b): è descritto qui il secondo momento dellʼingresso nella propria intimità, procurato e voluto dallo stesso Re; “gioiremo e ci rallegreremo di te” (Ct 1,4c): è la consumazione dellʼamore con i chia-ri connotati della gioia e del gaudio; “Ricorderemo il tuo amore più del vino” (Ct 1,4d): è il ricordo intimo e profondo dellʼamore, che Israele ha celebrato come la memoria della propria liberazione, e che Gesù chia-ma il memoriale della sua Cena. Par-lando di questʼultima dimora, Teresa spiega che lʼanima a contatto con il Re avverte per un verso di apparte-nergli, ma dallʼaltro sente di appar-tenersi, individuando chiaramente la propria intimità. Rispetto allʼunione spirituale, Teresa sottolinea che il matrimonio mistico è tuttʼaltra cosa, dal momento che nel primo caso si è simili a due candele, che avvicinan-dosi realizzano unʼunica fiamma, re-stando in sostanza due fiamme diver-se; non così accade nel matrimonio mistico, dove lʼanima si immerge in

una grande cascata, confondendo-si del tutto in essa. Giunta a questo meraviglioso stadio, lʼanima è tutta in Dio, desiderosa di appagarsi solo di Lui, accogliendo con amore tutte le rinunce, le fatiche, le gioie e le sofferenze, al fine di rendere felice lo Sposo. La conclusione di Teresa è che, a questo livello, “Marta” e “Ma-ria”, ossia il fare e il meditare, sono sostanzialmente la stessa cosa (cfr Lc 10,38-42). Il viaggio nel proprio “Castello interiore” è meraviglioso e affasci-nante; esso ci permette di prenderci sul serio; di amarci e di avere cura di noi; di amare la nostra meraviglio-sa intimità, ripugnando fortemente lʼinfedeltà a noi stessi, per sentire nel nostro cuore la sensazione di quiete interiore nellʼunione intima con lo Sposo, la cui mèta finale è il matri-monio mistico con Lui. Se veramen-te amiamo il nostro “castello interio-re”, non deturpiamolo con i nostri giudizi, pregiudizi e svalutazioni, ma prendiamocene cura, amandolo con tenerezza e delicatezza, perché nellʼintimo del nostro io abita il gran Sovrano, Signore e Re della nostra vita. Auguri a tutti voi di un “buon viag-gio”! Sia meraviglioso e affascinan-te!

Sac. Donato Bono