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61 I giovani italiani sono veramente disposti a trasferirsi all’estero per lavorare? In base alle dichiarazioni di forte apertura e disponibilità alla mobilità internazionale, espressa da chi si accinge ad entrare per la prima volta nel mondo del lavoro, verrebbe naturale scrivere che la risposta è affermati- va. Eppure, dopo aver fatto ingresso in una multinazionale, dai neoassunti cominciano ad essere sollevate obiezioni o espresse resi- stenze alla reale prospettiva di essere avviati ad un percorso professionale internaziona- le, facendo così dubitare sulle reali convin- zioni d’intenti dichiarate preventivamente. L’impressione che si riceve è quella di tro- varsi di fronte ad un paradosso. Da un lato la Generazione Y (i nati dopo il 1980, detti anche ‘Yers’), abituata a confrontarsi e rela- zionarsi in un mondo globalizzato, suggeri- sce la sensazione di essere pronta a muoversi agilmente in ogni dove. Dall’altro, invece, l’idea di spostarsi ‘materialmente’ in una realtà differente e di cambiare modo di vivere, genera nei giovani un’impensabile ritrosia. IL PARADOSSO DELLA MOBILITÀ INTERNAZIONALE GIOVANI VISTI DA VICINO a cura di: Gabriele Martelozzo Redazione Jobadvisor Un atteggiamento che risulta essere ancora meno comprensibile se messo a confronto con il contesto economico in cui viviamo, sempre più strettamente interconnesso e orientato fortemente proprio alla mobilità in- ternazionale. Se i neolaureati si inseriranno in aziende con filiali all’estero, pertanto, do- vranno confrontarsi stabilmente con la pro- spettiva di maturare un proprio sviluppo pro- fessionale fuori dai confini nazionali. Magari anche forzati dalle attuali scarse opportunità occupazionali italiane (il tasso di disoccupa- zione giovanile nazionale è tra i più elevati nell’area della Comunità Europea). L’insieme di questi elementi discordanti ha dato lo spunto all’Osservatorio sui Giovani della Fondazione Istud per sviluppare l’inda- gine «Giovani e Lavoro: dall’Università al mondo. I giovani nelle aziende senza con- fini», prosecuzione di un programma perma- nente di ricerca giunto già al quinto anno di attività. Il report è frutto del lavoro di Danie- le Boldizzoni, Simonetta Manzini, Antonio Nastri e Luca Quaratino, i quali hanno mes- so a confronto le posizioni dei giovani neo- laureati, di quelli già inseriti nel mondo del SPECIALE International Career Day Milano - 3 Aprile 2013 www.internationalcareerday.it

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I giovani italiani sono veramente disposti a trasferirsi all’estero per lavorare?

In base alle dichiarazioni di forte apertura e disponibilità alla mobilità internazionale, espressa da chi si accinge ad entrare per la prima volta nel mondo del lavoro, verrebbe naturale scrivere che la risposta è affermati-va. Eppure, dopo aver fatto ingresso in una multinazionale, dai neoassunti cominciano ad essere sollevate obiezioni o espresse resi-stenze alla reale prospettiva di essere avviati ad un percorso professionale internaziona-le, facendo così dubitare sulle reali convin-zioni d’intenti dichiarate preventivamente.

L’impressione che si riceve è quella di tro-varsi di fronte ad un paradosso. Da un lato la Generazione Y (i nati dopo il 1980, detti anche ‘Yers’), abituata a confrontarsi e rela-zionarsi in un mondo globalizzato, suggeri-sce la sensazione di essere pronta a muoversi agilmente in ogni dove. Dall’altro, invece,

l’idea di spostarsi ‘materialmente’ in una realtà differente e di cambiare modo di vivere, genera

nei giovani un’impensabile ritrosia.

IL PARADOSSO DELLA

MOBILITÀ INTERNAZIONALE

GIOVANI VISTI DA VICINO

a cura di:

Gabriele MartelozzoRedazione Jobadvisor

Un atteggiamento che risulta essere ancora meno comprensibile se messo a confronto con il contesto economico in cui viviamo, sempre più strettamente interconnesso e orientato fortemente proprio alla mobilità in-ternazionale. Se i neolaureati si inseriranno in aziende con filiali all’estero, pertanto, do-vranno confrontarsi stabilmente con la pro-spettiva di maturare un proprio sviluppo pro-fessionale fuori dai confini nazionali. Magari anche forzati dalle attuali scarse opportunità occupazionali italiane (il tasso di disoccupa-zione giovanile nazionale è tra i più elevati nell’area della Comunità Europea).

L’insieme di questi elementi discordanti ha dato lo spunto all’Osservatorio sui Giovani della Fondazione Istud per sviluppare l’inda-gine «Giovani e Lavoro: dall’Università al mondo. I giovani nelle aziende senza con-fini», prosecuzione di un programma perma-nente di ricerca giunto già al quinto anno di attività. Il report è frutto del lavoro di Danie-le Boldizzoni, Simonetta Manzini, Antonio Nastri e Luca Quaratino, i quali hanno mes-so a confronto le posizioni dei giovani neo-laureati, di quelli già inseriti nel mondo del

SPECIALE

International Career Day

Milano - 3 Aprile 2013

www.internationalcareerday.it

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lavoro e delle aziende che devono assumere personale qualificato. L’esito dello studio ha messo in evidenza diversi punti, a cominciare dalle aspettative, dagli orientamenti e dai va-lori che indirizzano le scelte professionali di chi si approccia per la prima volta al mondo del lavoro.

Il sostegno della tesi che da parte degli stu-denti in uscita dal sistema universitario vi sia una forte propensione a superare le barriere nazionali, arriva fin dai primi dati raccolti nell’indagine. Tra le preferenze lavorative, infatti, al primo posto sono state indicate la ‘grande impresa’ (18,1% delle scelte) e, soprattutto, la ‘multinazionale’ (33,2%) - quest’ultima vista spesso come l’azienda dei propri sogni -, così come dallo schema per la costruzione dell’identikit dell’organizzazio-ne ideale si evidenzia fortemente la connota-zione di ‘globale’ (91,5% delle scelte). L’orientamento favorevole ad un trasferi-mento fuori dall’Italia è reso ancora più evi-dente considerando l’alto numero di risposte positive (il 46,1%) alla domanda diretta sul “desiderio di lavorare all’estero”. Ad aver espresso questa opinione sono stati soprat-tutto gli intervistati che già in precedenza avevano avuto l’opportunità di vivere oltre confine per almeno due mesi, esperienze che hanno inciso in maniera importante sul loro interesse ad espatriare.

C’è, però, un altro fattore che influisce nel determinare la scelta del luogo di lavoro:

gli affetti personali.

Gli studenti che vivono in famiglia, infatti, prediligono destinazioni nazionali e possibil-mente non lontane dalla propria residenza. Al contrario di chi, invece, si è già allonta-nato dall’abitazione familiare ed è decisa-mente più incline ad affrontare prospettive internazionali. Il peso dei rapporti parentali nell’orientamento delle destinazioni lavorati-ve, risulta pertanto essere un elemento chiave nella scelta di chi desidera rimanere in patria,

mentre chi guarda oltre confine è motivato soprattutto dal desiderio di cercare migliori opportunità lavorative.

Esistono comunque delle leve capaci di con-vincere ad andare a lavorare all’estero anche i meno inclini ad allontanarsi dall’Italia. Le spinte motivazionali più forti sono tre: possibilità di svolgere esperienze utili per il proprio futuro professionale; ricevere una retribuzione significativamente superiore; svolgere un’attività lavorativa più stimo-lante o interessante. Il distacco dai propri affetti, dalle amicizie e dal paese d’origine, verrebbe vissuto come un sacrificio accetta-bile solo se ricompensato, dunque, da bene-fici immediati come un reddito più elevato, oppure dalla maturazione di esperienze utili per la propria spendibilità lavorativa futura o, ancora, potersi dedicare specificamente ad un lavoro realmente in linea con i propri interes-si e ambizioni.

Curiosamente, si potrebbe pensare, la pos-sibilità di lavorare all’estero per un periodo di tempo limitato, non viene considerata ele-mento significativo per stimolare i giovani aggrappati alla madre patria a trasferirsi. La spiegazione è attribuita alla propensione tipica della Generazione Y di essere artefice del proprio destino, caratteristica che indu-ce a non considerare mai definitive le scelte professionali e già rilevata in un’altra indagi-ne sui giovani svolta lo scorso anno sempre dall’Osservatorio. La decisione di espatria-re per lavoro, pertanto, viene sentita come un’opzione aperta, che permetta di rientrare in Italia nel caso l’esperienza si riveli insod-disfacente o, al contrario, di restare all’estero per anni nell’eventualità sia invece gratifi-cante.

Dopo essere stati definiti antipaticamente “bamboccioni” perché avrebbero maggiori difficoltà a lasciare il nido familiare rispetto ai coetanei stranieri, dai dati della ricerca i giovani laureati rivelano invece una discreta

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propensione ad allontanarsi da casa per lavo-rare all’estero. È comunque una disponibilità non assoluta, bensì condizionata da alcuni fattori quali il tipo di destinazione e il genere di lavoro da svolgere oltre, come già eviden-ziato, dalla possibilità di restare o rientrare in qualunque momento si desideri. Questi orientamenti si evolvono nel momento in cui, da studenti in procinto di completare il percorso universitario senza essersi ancora confrontati con il mondo lavorativo, vengono assunti in azienda. Questa nuova condizione determina l’inserimento di ulteriori criteri di valutazione che nel frattempo si sono venuti a creare, tra cui le responsabilità familiari de-rivanti dall’essersi sposati ed eventualmente aver avuto figli.

Dalla ricerca emerge un altro tratto distin-tivo della Generazione Y: il bisogno di ac-cudimento. Nell’eventualità di una trasferta all’estero insorge il desiderio di ricevere un accompagnamento continuo durante tutta l’esperienza nel paese straniero, dall’avere un supporto alla mobilità anche per i partner alla gestione della burocrazia, dagli aspet-ti puramente logistici alla volontà di essere aiutati nelle fasi di inserimento sociale nei luoghi di destinazione.

In realtà un trasferimento internazionale non dovrebbe suscitare timori oltre la norma. Una rassicurazione arriva dai commenti dei gio-vani che stanno vivendo l’esperienza lavora-tiva all’estero, i quali hanno evidenziato una generale soddisfazione.

La spinta ad affrontare questa sorta di sfida deve arrivare dalla curiosità, dalla volontà

di mettere in gioco se stessi e dall’apertura alle novità.

Tutte caratteristiche proprie degli Yers ita-liani i quali, proprio grazie a queste carat-teristiche distintive, meglio di altri possono calarsi nel ruolo di lavoratori globali ideali.

L’indagine completa è disponibile sul sito web della Fondazione Istud (www.istud.it).

Intervista a Simonetta Manzini, docente e ricercatrice della Fondazione Istud, respon-sabile dell’Osservatorio Giovani e Lavoro, nell’ambito del quale, insieme a Daniele Boldizzoni, Antonio Nastri e Luca Quarati-no ha curato la ricerca «Giovani e lavoro: dall’Università al mondo. I giovani nelle aziende senza confini». Con lei approfondia-mo il tema analizzato nello studio

LA MOBILITÀ LAVORATIVA INTERNAZIONALE SPAVENTA I GIOVANI UNIVERSITARI ITALIANI?

No, non li spaventa, anzi una buona percentuale di giovani universitari sarebbe ben felice di intrapren-dere un’esperienza all’estero immediatamente dopo la fine degli studi. L’atteggiamento si modifica, in-vece, quando da parte dell’azienda che li ha assunti arriva concretamente la proposta di una carriera internazionale, perché a quel punto è trascorso del tempo e loro hanno cominciato a mettere radici sia all’interno dell’organizzazione che li accoglie, sia in ambito personale. Così l’idea di spostarsi comincia a prendere una connotazione diversa e si ampliano le considerazioni che i giovani fanno rispetto alla possibilità di muoversi concretamente. Chi ha già affrontato l’esperienza di distacco dal contesto fami-gliare o amicale, andando a studiare in una città di-versa da quella di nascita o residenza, manifesta una propensione maggiore e non è spaventato all’idea di muoversi. Aumentando l’età e la consapevolezza di ciò che si fa, entrano in gioco altre osservazioni, soprattutto legate al momento della vita che si sta affrontando.

SIMONETTA MANZINIdocente e ricercatrice della Fondazione Istud, responsabile dell’Osserva-torio Giovani e Lavoro

...non li spaventa, anzi

una buona percentuale

di giovani univer-

sitari sarebbe ben

felice di intraprendere

un’esperienza all’estero

immediatamente dopo

la fine degli studi...

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DALLA RICERCA SEMBRA CHE I FRENI PRINCIPA-LI NELL’AFFRONTARE IL LAVORO FUORI DAI CON-FINI NAZIONALI SIANO IL PESO DEL RAPPORTO CON I PROPRI FAMIGLIARI E IL DESIDERIO DI RICEVERE UN ACCOMPAGNAMENTO CONTINUO LUNGO TUTTA L’ESPERIENZA ALL’ESTERO. LA GENERAZIONE Y È FORSE INSICURA DELLE PROPRIE CAPACITÀ?

In Italia, il distacco dalle proprie radici (famiglia e amici) viene percepito ancora spesso come una sorta di “tradimento”, diversamente da quanto av-viene all’estero, dove è una tappa necessaria del processo di emancipazione individuale. Perciò i vincoli familiari hanno un peso rilevante, a maggior ragione (e soprattutto per le donne) quando i geni-tori invecchiano. Non vi è, invece, un indice di insi-curezza rispetto alle proprie capacità, che i giovani percepiscono come uno dei fattori determinanti la propria possibilità di affermazione nella vita. Quello che pesa, in realtà, è uno dei caratteri distintivi dei ragazzi che appartengono a questa Generazione Y: il bisogno costante di rassicurazione rispetto al sen-so delle scelte che viene loro chiesto di fare. Dalle nostre ricerche abbiamo rilevato che gli Y-ers fanno fatica a immaginarsi in un orizzonte temporale di medio periodo, anche a causa di un contesto eco-nomico, sociale e lavorativo in rapido mutamento. Pertanto, hanno la necessità di sentirsi spiegare e motivare le scelte che viene loro chiesto di fare. Si domandano se sia «un modo per liberarsi di loro», se si stia loro offrendo «una opportunità o una fre-gatura», se la scelta «si rivelerà vincente», o «che cosa succederà entro un breve lasso di tempo», o ancora, che tipo di ricadute potrà avere questa scelta «sulla propria employability futura», o che cosa li aspetterà «al rientro». Rispetto a questo particolare aspetto, alle aziende i giovani chiedono di poter ri-considerare la scelta e rientrare in qualsiasi momen-to se l’esperienza non si rivelasse per loro positiva. Il loro bisogno di rassicurazione è riferibile al nuovo contesto che affrontano, incerto e che crea difficoltà. Non sono assolutamente insicuri rispetto alle pro-prie capacità, che considerano uno dei loro punti di forza. A metterli in difficoltà è l’incertezza di non sapere che cosa si troveranno davanti, dello sfor-

zo che dovranno affrontare per creare nuovamente un proprio network personale e professionale. Una volta partiti, però, all’estero ci rimangono volentieri e quasi sempre riescono a costruirsi un rete di re-lazioni e una ‘vita internazionale’; a quel punto per loro diventa molto meno rilevante la possibilità di rientrare.

IN CHE MODO LA RICERCA PUÒ ESSERE UTILE PER I LAUREANDI E I NEOLAUREATI CHE SI AP-PROCCIANO AL MONDO DEL LAVORO?

Tradizionalmente l’approccio che contraddistingue il nostro lavoro prende in considerazione i tre attori principali del rapporto tra giovani e mondo del la-voro: i giovani in uscita dal sistema universitario, i manager delle aziende che li accolgono e i giovani neoinseriti all’interno delle aziende. Il triangolare questi punti di vista ci aiuta a ricostruire un po’ me-glio le dinamiche dei rapporti che si sviluppano tra i giovani e le loro organizzazioni, anche in termini di aspettative reciproche, di modi di porsi e di richie-ste. Crediamo che il fatto di analizzare il fenomeno del rapporto tra giovani e lavoro sotto questa triplice prospettiva, possa aiutare i ragazzi a conoscere un po’ meglio le aziende, capire come sono fatte e che cosa si aspettano da una persona che si avvicini a loro. Tradizionalmente i nostri ragazzi arrivano ab-bastanza “digiuni” di sistemi organizzativi e di vita operativa aziendale e ciò che speriamo di fare è aiu-tarli a prendere un po’ più di coscienza rispetto alle dinamiche organizzative che si sviluppano, a mag-gior ragione in questi anni, in risposta alle difficoltà e all’incertezza prodotte dalla crisi congiunturale.

IN BASE AI DATI CHE AVETE RACCOLTO, LE ESI-GENZE DELLE AZIENDE MULTINAZIONALI QUAN-TO SI “SCONTRANO” CON LE ASPETTATIVE DEI GIOVANI CHE DOVREBBERO ESSERE ASSUNTI?

Le aspettative delle organizzazioni, soprattutto quel-le di grandi dimensioni, tendono a rimanere quelle “tradizionali”. I desideri di chi fa ricerca e selezio-ne del personale privilegiano figure che abbiano un’ampia condivisione della mission e degli obiet-tivi aziendali e che dimostrino elevata motivazione al lavoro, a dispetto di una proposta che invece non

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sempre può essere così allettante per i giovani. Le aziende offrono ai giovani soluzioni necessariamen-te flessibili e poco differenziate, mentre i ragazzi chiederebbero una iperpersonalizzazione delle pro-poste e dei pacchetti di offerta. Le aziende si aspette-rebbero dai neoassunti lo stesso spirito di sacrificio e la stessa vocazione alla causa che caratterizzava un po’ di più le generazioni precedenti, ma a fronte di offerte che i giovani non considerano sufficiente-mente motivanti: «Se ciò che mi offri mi dà poche garanzie per il futuro, non puoi pretendere che io sia al 100% votato alla causa». Per le aziende si apre ampio spazio per la declinazione di offerte specifi-che che tengano conto della percezione che i ragazzi hanno, della necessità di bilanciare vita lavorativa e vita personale che è, molto più di un tempo, un bi-sogno fortemente percepito e dichiarato dai giovani. Mentre le generazioni precedenti erano più inclini a sacrificare un po’ della vita personale a favore di quella lavorativa, perché la propria realizzazione

personale passava attraverso quest’ultima, i giovani sono e si percepiscono molto meno disponibili in questo senso e tendono a salvaguardare e proteg-gere molto i propri spazi personali e la possibilità di fare altro oltre il lavoro. Tanto è vero che chiedono strumenti per poter lavorare a distanza, leggere le e-mail prima di arrivare in ufficio e quindi guadagnare del tempo da dedicare poi a se stessi e ai propri in-teressi, vero tratto generazionale degli Y-ers.

AI NEOLAUREATI CHE SI ACCINGONO AD ENTRA-RE NEL MONDO DEL LAVORO, QUALI CONSIGLI DAREBBE PER AFFRONTARE AL MEGLIO LA RI-CERCA DI UNA COLLOCAZIONE?

Innanzitutto non avere pregiudizi nei confronti delle aziende ed essere desiderosi di entrare in un conte-sto dove si possono condividere attività e obiettivi, ma consapevoli che sarà necessaria anche molta capacità di adattamento reciproco e abilità relazio-nale. Poi bisogna essere trasparenti, non mentire o nascondersi o dire cose solo perché c’è la sen-sazione che ci si aspetti di sentirle. Non dare per scontato che le aziende si aspettino o ricerchino tutte la medesima cosa, ma essere sufficientemente aperti e disponibili al confronto con l’organizzazione in cui si vuole entrare: piuttosto, essere informati, conoscere l’azienda per la quale ci si presenta a un colloquio di selezione, sapere qual è il contesto in cui si muove, avere un’idea di quale tipo di colloca-zione si potrebbe avere all’interno di quella azienda. Dimostrare disponibilità al lavoro di squadra e al problem solving, caratteristiche che le aziende ri-cercano, così come flessibilità e adattabilità. Proprio la competenza relazionale riteniamo si rivelerà la capacità vincente. Lo sarà sempre di più, specie in un contesto di grande incertezza, in cui sempre più all’interno delle organizzazioni la presenza di gruppi generazionali diversi e i conflitti intergenerazionali che ne deriveranno renderanno più complessa la convivenza e il lavoro in comune. Le competenze relazionali saranno sicuramente fondamentali nel futuro, forse molto più delle conoscenze tecniche e specifiche sulle quali si può lavorare e si lavora per tutta la vita.