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Il libro

Se tutte le generazioni sono una generazione perduta, tutti i loro protagonisti si sono di volta in volta chiesti:

come siamo arrivati fin qui?

Ora se lo chiede Thomas, un trentenne che ha appena rapito un astronauta della NASA, l’ha chiuso in una base

militare abbandonata sulla costa della California, e si prepara a interrogarlo. Ha delle domande precise e

urgenti: che fine hanno fatto i grandiosi ideali di conquista dello spazio che avevano fatto sognare milioni di

cittadini? Cosa è successo alle ambizioni della loro brillantissima generazione? Sono forse fallite?

La risposta porta altre domande.

Così Thomas prende un nuovo ostaggio: un politico del Congresso destinato anche lui al folle interrogatorio.

Perché la nazione è arrivata a questo punto catastrofico? La risposta porta altre domande. Thomas si vede

costretto a rapire una persona dopo l’altra, tutte legate a lui da un filo sottile ma decisivo: un insegnante

pedofilo, un poliziotto implicato nella morte di un ragazzo di origine vietnamita, fino ad arrivare a sua madre.

Con un gioco di equilibrio tra fatti reali e la loro percezione deformata dalla psiche allucinatoria di Thomas, tra

le minime frustrazioni individuali e le grandi speranze nazionali disattese, il Ventunesimo secolo è messo a

nudo con le sue atrocità e le finte illusioni. Mentre riprende la forma classica del dialogo filosofico, in bilico tra

indagine morale e virtuosismo narrativo, tra situazioni provocatoriamente divertenti e spirale tragica, Dave

Eggers pone al fondo un’unica incalzante domanda, la domanda di un’intera generazione: ora che il sogno

americano è finito, cosa ci rimane?

L’autore

Dave Eggers è nato a Boston nel 1970. È l’editore della

leggendaria rivista e casa editrice “McSweeney’s”. Vive a San Francisco dove ha fondato 826 Valencia, una

scuola di scrittura creativa per bambini. Il suo romanzo d’esordio L’opera struggente di un formidabile

genio (Mondadori, 2001) è stato un caso editoriale. Ha poi pubblicato numerosi romanzi, racconti e saggi tra

cui: Conoscerete la nostra velocità (2003), La fame che abbiamo (2005), Le creature

selvagge (2009), Zeitoun (2010), Ologramma per il re(2013), Il Cerchio (2014), tutti editi da Mondadori.

Dave Eggers

I vostri padri, dove sono? E i profeti, vivono

forse per sempre?

ROMANZO

Traduzione di Marco Rossari

I vostri padri, dove sono? E i profeti, vivono

forse per sempre?

Edificio 52

«Ce l’ho fatta. Sei davvero qui. Un astronauta. Cristo.»

«Chi è?»

«Avrai mal di testa. Per colpa del cloroformio.»

«Cosa? Dove sono? Dove siamo? Tu chi cazzo sei?»

«Non mi riconosci?»

«Cosa? No. Cos’è questa?»

«Quella? È una catena. È attaccata a quel palo. Non tirare.»

«Porca troia. Porca troia.»

«Ti ho detto di non tirare. Voglio anche dirti subito quanto mi dispiace che tu sia finito qui in questo modo.»

«Chi sei?»

«Ci conosciamo, Kev. Da tempo. E proprio non volevo trascinarti qui così. Insomma, avrei preferito bermi una

birretta con te una volta o l’altra, ma tu non rispondevi mai alle mie lettere e poi ho visto che passavi in città e

allora... Davvero, non tirare. Ti farai male alla gamba.»

«Che cazzo ci faccio qui?»

«Sei qui perché ti ci ho portato io.»

«Sei stato tu? Sei stato tu a incatenarmi a un palo?»

«Non è grandioso quell’affare? Non so se il termine palo è corretto. Qualsiasi cosa sia, è incredibilmente

solido. Questo posto è pieno. Era una base militare, quindi in giro ci sono tutte queste attrezzature strane.

Quella roba a cui sei incatenato può reggere più di quattro tonnellate e ce n’è una in quasi tutti i fabbricati qui.

Piantala di tirare.»

«Aiuto!»

«Non gridare. Non c’è anima viva per chilometri. E appena al di là della collina c’è l’oceano, quindi tra le onde e

il vento si sentirebbe a stento una cannonata. Comunque qui i cannoni non sparano più.»

«Aiuto!»

«Oh, Cristo. Smettila. Fai solo casino. Questo è tutto cemento, vecchio mio. Non senti che eco?»

«Aiuto! Aiuto!»

«Immaginavo che avresti gridato, quindi se devi farlo ora, dimmelo e basta. Io non ci resto qui mentre urli.»

«Aiuto!»

«Mi sei veramente scaduto.»

«Aiuto! Aiuto! Aiuto! C’è nessuno...»

«E va bene, Cristo santo. Tornerò quando avrai finito.»

«Hai finito?»

«Vaffanculo.»

«Non ti avevo mai sentito dire le parolacce. È una delle cose che ricordo di te, che non dicevi mai una

parolaccia. Eri un tipo così serioso, così preciso e attento e corretto. E con quel taglio a spazzola e quelle

camicie a maniche corte, sembravi un personaggio d’altri tempi. Ma forse è normale, se vuoi fare

l’astronauta... Bisogna essere dei precisini. Avere quel tipo di purezza.»

«Io non so chi sei.»

«Cosa? Oh, sì invece. Non te lo ricordi?»

«No. Io non ne conosco di gente come te.»

«Alt. Pensaci su. Chi sono?»

«No.»

«Sei incatenato a un palo. Tanto vale tirare a indovinare. Com’è che ci conosciamo?»

«Vaffanculo.»

«No.»

«Aiuto!»

«Smettila. Non lo senti il casino che fai qui dentro? La senti l’eco?»

«Aiuto! Aiuto!»

«Mi hai molto deluso, Kev.»

«Aiuto! Aiuto! Aiuto!»

«Ok, me ne vado finché non ti dai una calmata.»

«Allora, hai finito? Di notte fa un freddo, là fuori. Il vento sale dal promontorio e dal Pacifico... Che ne so.

Diventa tagliente. Se c’è il sole l’aria è quasi tiepida, ma non appena tramonta in un attimo si gela. Avrai la gola

secca. Vuoi dell’acqua?»

«...»

«Ti lascio la bottiglia qui. Bevi quando ti va. È per questo che ti ho lasciato la mano sinistra libera. Ci resteremo

un po’ qui, quindi mettiti in testa che voglio farti mangiare e darti tutto quello di cui hai bisogno. Nel furgone

ho anche delle coperte.»

«Come hai fatto a portarmi qui? Eri il tizio che stava spostando quel divano?»

«Ero io. Ho visto quel trucchetto in un film. Non riesco a credere che ha funzionato. Mi hai aiutato a caricare il

divano sul furgone e io ti ho stordito con il taser, poi ho usato il cloroformio e ti ho portato qui. Vuoi sentire

tutta la storia? È abbastanza incredibile.»

«No.»

«Parcheggiare accanto a questo posto è impossibile, quindi ti ho trascinato fuori dal furgone e ti ho caricato su

quel carrello... È là fuori, si vede. Era già qui e funziona ancora benissimo. Con quell’affare si potrebbe

trasportare un elefante. Quindi, ti ho caricato su quel carrello, poi ti ho spinto per mezzo chilometro dal

parcheggio fino a questo edificio. A essere sincero, se penso a come è andata liscia mi gira quasi la testa. Pesi

una decina di chili più di me e poco ma sicuro sei molto più in forma di quanto il sottoscritto potrà mai essere.

Eppure ha funzionato. Sei un cazzo di astronauta e ora sei qui. Che giornata fantastica.»

«Tu sei pazzo.»

«No, no. Per nulla. Tanto per cominciare, mi dispiace. Non avrei mai creduto di arrivare a fare una cosa simile,

ma negli ultimi tempi non mi restava altra scelta. Non ho mai fatto male a nessuno in tutta la mia vita, e non

farò del male a te. Non ti farei mai del male, Kev. Questo te lo devi piantare bene in testa. Quindi non c’è

bisogno di lottare o cose del genere. Domani ti lascerò andare, ma prima voglio fare una chiacchierata.»

«Cazzo quanto sei fuori di testa.»

«Invece no. Davvero. Smettila di dirlo, ti prego, perché non è così. Ho una mia morale e sono un uomo di sani

princìpi.»

«Vaffanculo.»

«Piantala anche di rispondermi così. Non mi piaci quando dici parolacce. Torniamo a noi: ti ricordi di me?»

«No.»

«Kev, piantala. Guardami e basta. Prima la finiamo e prima ti lascio andare.»

«Appena mi liberi, ti ammazzo.»

«Ehi. Ehi. Ma che senso ha dire una cosa del genere? Nessuno. Così torniamo indietro di ore. Forse anche di

più. Stavo pensando di liberarti già stasera. O domani al più tardi. Ma adesso mi hai messo paura. Non ti facevo

così violento. Cristo, Kev, sei un astronauta! Non dovresti metterti a minacciare la gente.»

«Sei tu che mi hai incatenato a un palo.»

«Già. Ma quello che ho fatto è stato metodico e non violento. Il fine giustifica i mezzi. Volevo solo parlare con

te, e tu non rispondevi alle mie lettere, così ho pensato che non c’era altra scelta. Ti chiedo scusa di cuore per

averlo fatto in questo modo, ho dovuto. Ultimamente non ci stavo molto con la testa. Avevo tutte ’ste

emicranie, non riuscivo a dormire. Porca troia, lo stress! Le domande mi affollavano la mente e di notte mi

sentivo soffocare. Ti è mai capitato che sei sdraiato lì, e le domande sono come aspidi che ti si avvinghiano

attorno alla gola?»

«Cazzo se sei fuori di testa.»

«Sai che ti dico, Kev? Non è vero. Ma devo ammettere che nel momento esatto in cui ho detto aspidi ho capito

di aver fatto un errore. Uno come te sente quella parola, la specificità di quella parola, e pensa subito che sono

una specie di pazzoide ossessivo.»

«E invece non è così.»

«Anche il sarcasmo, ora. Questa è una novità. Eri così autentico, un tempo. In cuor mio ammiravo quella cosa.

Non mi piace questo nuovo tono tagliente. Apri bene le orecchie adesso: secondo me te ne rendi conto anche

tu che sono in grado di intendere e di volere.»

«Anche se mi hai rapito e portato qui.»

«Proprio perché ti ho portato qui... Perché ci sono riuscito. Ho elaborato un piano, l’ho eseguito e ho portato

un astronauta in una base militare abbandonata a duecento chilometri di distanza dal posto dove ti ho rapito.

Questo mi rende una persona abbastanza in gamba, dico bene?»

«...»

«Kev. Tu lavori per il governo, giusto?»

«Lavoro per la NASA.»

«Che è un’agenzia governativa. E ogni giorno il governo porta qualche nemico in una località supersegreta per

interrogarlo, no? Allora che c’è di male se a farlo sono io?»

«Quindi io sarei un nemico.»

«No. Forse era un paragone poco azzeccato.»

«Senti bello, finirai in prigione per il resto dei tuoi giorni.»

«Non penso proprio. Solo gli stupidi si fanno beccare.»

«Invece tu saresti una straordinaria mente criminale.»

«No. No, Kev. Non ho mai fatto nulla di illegale in tutta la mia vita. Non è incredibile? Sul serio. I grandi crimini

vengono commessi da principianti. Vedo che ti stai guardando intorno. Non è grandioso questo posto? È

pazzesco che ci troviamo proprio in una base militare, no? La riconosci questa roba? Guardati intorno. Questo

edificio era una specie di santa barbara. Secondo me fissavano i cannoni o quello che era a questi pali così

potevano muoversi avanti e indietro per assorbire il rinculo. Non ne sono sicuro, ma altrimenti che senso

avrebbero questi pali?»

«Ti ammazzo, cazzo. Anzi, ti ammazza prima la polizia.»

«Kev, questo non accadrà mai.»

«Avranno scatenato un’enorme caccia all’uomo per scoprire che cosa mi è successo...»

«Non essere presuntuoso. Non lo sei mai stato. Tu eri uno di quei tipi che sanno di essere svegli e tosti e

destinati a fare grandi cose, ma sapevi anche che dirlo ai quattro venti non ti sarebbe stato d’aiuto. Quindi

avevi un tipo d’umiltà in pubblico che era molto carina. E funzionava. A me piaceva. Capivo che c’era un piano

dietro, ma mi piaceva e lo rispettavo. Quindi non rovinare tutto facendo quello che “sono un astronauta, io”.»

«Come vuoi. Però sei morto lo stesso. Mi troveranno nel giro di ventiquattr’ore.»

«No che non ti troveranno. Ho mandato messaggi a tre persone con il tuo telefono, dicendo a ognuna di loro

che eri in un posto diverso. A uno dei tuoi colleghi alla NASA ho detto che ti era morto un parente. Ai tuoi

genitori ho detto che avevi un corso di addestramento. Dio, grazie per i messaggini: così posso spacciarmi per

te come niente. Poi ho spento il telefono e l’ho buttato.»

«Ci sono centinaia di cose a cui non avrai pensato.»

«Forse. Forse no. Ti starai chiedendo dove ti trovi. Questa è una base smantellata, cade a pezzi. Nessuno sa più

che farsene, quindi la lasciano qua, a marcire su un terreno che vale miliardi di dollari. Da qui non lo vedi, ma

l’oceano è tipo a mezzo chilometro dietro la collina. Il panorama è spettacolare. Però qui intorno ci sono solo

questi vecchi edifici in rovina. Centinaia di edifici, e altri venti uguali identici a questo, tutti uno di fila all’altro.

Secondo me questo qua veniva usato per testare le armi chimiche. Ce n’è uno vicino dove insegnavano i

metodi per gli interrogatori. Invece questi qui hanno ’sti pali a cui puoi agganciare qualcosa. Perché mi guardi

in quel modo? Mi hai riconosciuto?»

«No.»

«Sì, invece.»

«No. Sei uno squilibrato del cazzo e te l’ho detto: io di squilibrati non ne conosco. Da questo punto di vista, ho

avuto una vita fortunata.»

«Kev. Vorrei davvero cominciare. Allora, possiamo cominciare come piacerebbe a me, e cioè chiacchierando,

oppure ti stordisco con il taser, ti do una regolata, e poi cominciamo. Allora: ti conviene parlare, no?

Cerchiamo di comportarci da uomini. Abbiamo una faccenda da sbrigare e tanto vale prenderla di petto. Tu sei

sempre stato un tipo pratico, di quelli che risolvono le cose, che non si guardano indietro. Da te mi aspetto

quel tipo di efficienza. Allora, io chi sono? Com’è che mi conosci?»

«Non lo so. Non sono mai stato in galera. Sarai evaso da chissà dove.»

«Kev, lo vedi quel taser lì? Se ti ostini a non parlarmi, ti stordisco. Se gridi aiuto, me ne vado finché non la

pianti, poi torno indietro e ti stordisco. È molto meglio se parliamo e basta.»

«E poi cosa, mi uccidi?»

«Non potrei mai ucciderti. Non ho mai ucciso nessuno.»

«Ma se io vado a raccontarlo a qualcuno, finisci in galera per una ventina d’anni. Hai rapito un astronauta,

no?»

«Questo è un problema mio, non tuo. Ovvio, tu sei incatenato a un palo, quindi io ho il coltello dalla parte del

manico riguardo a quando qualcuno ti troverà e quanto lontano riuscirò a essere prima che ti trovino. Kev, non

voglio fare lo stronzo, ma vogliamo cominciare, sì o no? Ovviamente ho preso in considerazione tutto. Ti ho

portato fin qui e sono riuscito a incatenarti. Insomma, non sono un coglione. È da un po’ che progetto la cosa.

Allora, possiamo cominciare o no?»

«E se parlo con te poi mi lasci andare?»

«Non ti farò alcun male. Alla fine qualcuno ti verrà a salvare. Io scappo, mando un messaggino a qualcuno, dico

che sei qui e quelli vengono a prenderti. A quel punto me ne sono già andato. Allora, un’ultima volta prima che

perda la pazienza. Com’è che ci conosciamo?»

«L’università.»

«Oh. Finalmente. L’università. Ti ricordi come mi chiamo?»

«No.»

«Eddai, Kev.»

«Non lo so.»

«Ma sapevi che eravamo al college insieme.»

«Non lo sapevo. Ho tirato a indovinare.»

«Avanti. Pensa.»

«Bob?»

«Lo sai che non mi chiamo Bob. Nessuno si chiama Bob.»

«Coglione?»

«Cos’è, una battuta? Dici che mi chiamo coglione? Senti. Voglio continuare a pensare che tu sei una persona

gentile, quindi dimmi che ti ricordi come mi chiamo.»

«Ok. Mi ricordo di te.»

«Bene. E mi chiamo...»

«Steve.»

«No.»

«Bob.»

«Di nuovo Bob? Ma dai...»

«Rob? Danny?»

«Davvero non te lo ricordi! Ok, andiamo per gradi, piano piano. Frequentavo il corso di laurea o il master?»

«Il corso di laurea.»

«Grazie tante. Avevo tre anni meno di te. Ti dice qualcosa?»

«No.»

«Pensa al corso d’orientamento per Ingegneria aerospaziale. Tu facevi l’assistente.»

«C’erano centoventi ragazzi in quel corso.»

«Pensaci bene. Spesso mi fermavo a fine lezione. Ti facevo domande sui viaggi nel tempo.»

«Portavi quasi sempre le Timberland?»

«Aha. Ci siamo. E mi chiamo...»

«Gus.»

«Quasi! Thomas.»

«Thomas? Certo, ora ricordo. Impossibile dimenticarti. Allora, Thomas, perché cazzo mi hai incatenato a un

palo?»

«Kev, lo sai che oggi è morto Neil Armstrong?»

«Sì, lo so.»

«Che effetto ti ha fatto?»

«Che effetto mi ha fatto?»

«Sì, che effetto ti ha fatto.»

«Non lo so. Mi è dispiaciuto. Era un grande.»

«È andato sulla luna.»

«Eh, sì.»

«Ma tu non ci andrai sulla luna.»

«No. Perché dovrei andarci?»

«Perché sei un astronauta.»

«Gli astronauti non vanno sulla luna.»

«Non più.»

«No.»

«Già. E come ti fa sentire la cosa, Kev?»

«Cristo santo.»

«Ho un taser, Kev. Meglio se rispondi, ti conviene.»

«Non me ne fregava niente di andare sulla luna. È da quarant’anni che non è più una priorità per la NASA.»

«Però volevi andare sullo Shuttle.»

«Sì.»

«Ti chiederai come faccio a saperlo.»

«No.»

«Non sei curioso?»

«Tutti gli astronauti volevano andare sullo Shuttle.»

«Certo, ma io so da quant’è che lo volevi tu. Mi hai detto che un giorno saresti andato sullo Shuttle. Te lo

ricordi?»

«No.»

«Probabilmente lo dicevi spesso. Ma io me lo ricordo benissimo. Sembrava una certezza, ne eri così convinto.

Mi esaltavi. Mi avevi chiesto che cosa volevo fare nella vita. Forse me l’avevi chiesto solo per rispondere anche

tu a quella domanda. Così ho detto qualcosa sul fatto che volevo fare il poliziotto o l’agente federale o una

roba del genere, e ti ricordi che cosa hai detto tu? Eravamo davanti alla Moore Hall. Un freddo giorno

d’autunno.»

«Ho detto che volevo andare sullo Shuttle.»

«Esatto! Ti ricordi davvero o mi stai solo assecondando?»

«Non lo so.»

«Kev, faresti meglio a prendere questa storia sul serio. Io la prendo molto sul serio. Per portarti qui mi sono

fatto un culo così, quindi lo capisci che faccio sul serio. Adesso, cazzo, con tutta la serietà del caso: ti ricordi il

giorno in cui mi hai guardato negli occhi e mi hai detto che eri sicuro al cento per cento di andare sullo

Shuttle?»

«Sì. Me lo ricordo.»

«Bene. E ora a che punto sei?»

«Sono in una base militare incatenato a un palo.»

«Già. Buona questa. Hai capito benissimo. Volevo dire: e ora a che punto sei con la tua vita? Poco ma sicuro,

non sei su uno Shuttle.»

«Lo Shuttle è stato smantellato.»

«Già. L’anno dopo che tu sei diventato astronauta.»

«Sai troppe cose di me.»

«È ovvio che so un sacco di cose! Come tutti noi, ai tempi. Eri diventato un astronauta! Ce l’avevi fatta sul

serio. Non ti rendevi conto di avere gli occhi di tutti addosso, vero, Kev? Quel piccolo college dove andavamo,

quanti eravamo, cinquemila, quasi tutti dei cretini, a parte me e te... E tu finisci al MIT, prendi il tuo master in

Ingegneria aerospaziale e finisci pure in Marina? Insomma, per me eri un mito, cazzo. Tutto quello che dicevi di

voler fare, lo facevi. Era incredibile. Sei stata l’unica promessa mantenuta che abbia mai conosciuto in tutta la

mia vita. Lo sai quant’è raro che una promessa venga mantenuta? Una promessa mantenuta è come una

balena bianca! Ma quando tu sei diventato astronauta hai mantenuto la promessa, una cazzo di promessa

enorme, e ho avuto la sensazione che da lì in poi ogni promessa avrebbe potuto essere mantenuta. Che tutte

le promesse potevano essere mantenute... dovevano essere mantenute.»

«Sono contento che la pensi così.»

«Ma poi ti hanno portato via lo Shuttle. E ho pensato: rieccoci. Il classico specchietto per le allodole. Il crollo

inevitabile di qualsiasi cosa che abbia una parvenza di solidità. Ogni cazzo di minima certezza sulla terra era

stata come spazzata via. Ma per un attimo lì sei stato un dio. Hai detto che saresti diventato un astronauta e

l’hai fatto. Un passo dopo l’altro, a parte quell’anno di cui ti chiederò più tardi. Ne so di cosette, su

quell’anno.»

«Cristo santo. Continuo a pensare che mi sveglierò. Insomma, lo so che questo è un incubo, ma è uno di quegli

incubi da cui non riesci più a svegliarti.»

«Kev, adesso ti metti a parlare da solo?»

«Ma vaffanculo.»

«Kev, non scherzo mica riguardo a quelle parolacce. Smettila. Non mi piacciono in bocca a te. Davvero, e non

lo accetterò. Farò tutto quello che posso per impedirti di imprecare ancora.»

«Vaffanculo.»

«Kev. Ultimo avviso. Dico sul serio. Dovresti aver capito ormai che sono una persona abbastanza determinata.

Quando mi metto in testa di fare qualcosa, la faccio, proprio come te. Ti ho portato qui, e ho con me un taser,

e sono sicuro che posso trovare qualche altro aggeggio poco simpatico qui intorno. E che io non abbia mai

fatto niente di violento in tutta la mia vita non è una buona notizia per te. Perché farò pasticci, e combinerò

qualche errore che una persona con più esperienza non farebbe mai.»

«Mi lascerai andare entro stanotte?»

«Ti lascerò andare appena posso. Non appena ho ottenuto quello che voglio.»

«Ok. Allora facciamolo.»

«Davvero?»

«Forza. Cominciamo.»

«Ottimo. Lo sai che ho una mia morale.»

«Lo so, certo.»

«Ed è così. Sono un uomo di princìpi, proprio come te.»

«Bene.»

«Ottimo. Sai, adesso finalmente, finalmente, ho davanti il ragazzo che ha fatto il MIT ed è entrato in Marina e ha

passato tutti quegli esami ed è diventato un astronauta. È così che ci sei riuscito. Hai fissato un obiettivo e l’hai

raggiunto. E questa è la stessa identica cosa. Ti ho messo dei paletti e ora ti ci muoverai dentro, porterai a

termine il lavoro, quindi passerai alla fase successiva. Adoro questa cosa di te. Sei ancora un mito.»

«Sono contento. Avanti, allora.»

«Però non farti prendere dalla fretta. Tutto deve venire fuori in modo naturale. Non voglio che sia fatto in

modo sbrigativo.»

«Va bene.»

«Devi rispondere in modo sincero. Le domande potrebbero anche farti male. Se ho la sensazione che mi stai

rifilando qualche supercazzola diplomatica di merda, resterai qui finché non ho ottenuto delle risposte dirette,

magari perfino dolorose, va bene?»

«Ho capito.»

«Ok, bene. Allora cominceremo a scaldarci con domande generiche per qualche minuto. Ho già letto del tuo

percorso, ma ho bisogno di sentirmelo dire da te. Sei pronto?»

«Sì.»

«Hai fatto parte della squadra di baseball per tutti e quattro gli anni dell’università, e hai comunque ottenuto il

massimo dei voti. Giusto?»

«Sì.»

«Come diavolo ci sei riuscito?»

«Non uscivo mai. Sono andato al college per studiare e passare alla fase successiva.»

«Quando hai capito quale sarebbe stata la fase successiva?»

«Già prima di arrivare al college.»

«Quindi prima di cominciare l’università sapevi già cosa avresti fatto dopo?»

«Certo.»

«Che vuol dire “certo”? Nessuno ragiona così.»

«Un mucchio di gente, invece. Dovevo farlo. Nell’istante stesso in cui mi sono iscritto all’università, altri

ventimila studenti che volevano diventare astronauti erano già un passo avanti a me.»

«E perché?»

«Boh. Perché avevano scelto un college migliore. Oppure perché facevano parte di un campione demografico

che laNASA non rappresentava a dovere. Perché non avevano sofferto d’asma da piccoli. O perché avevano

agganci migliori.»

«Davvero soffrivi d’asma?»

«Fino a dodici anni.»

«E poi?»

«Poi è passata.»

«Non sapevo che fosse possibile.»

«E invece.»

«Ti avevano diagnosticato un’asma a tutti gli effetti, cioè usavi l’inalatore eccetera?»

«Sì.»

«E poi basta inalatore, basta asma?»

«Zero.»

«Vedi, sei un mito! È grandioso.»

«Può capitare. Molti giovani vedono i sintomi sparire cambiando alimentazione o clima.»

«E adesso stai di nuovo parlando come un astronauta. Grazie. “Molti giovani”, “cambiando alimentazione”.

Ecco come dovrebbe parlare un astronauta. Primo, non direbbe “ragazzi”, e poi farebbe quello che hai fatto tu,

che è stato trasformare la tua storia personale in una metafora della Gioventù Americana. Mi piace. Sei un

grande. Ti hanno fatto fare un corso speciale in pubbliche relazioni alla NASA?»

«Non sono arrivato fino a quel punto.»

«Ok, aspetta. Questa cosa mettiamola da parte. Ci arriviamo più tardi. Prima voglio tornare su un punto.

Parleremo delle varie fasi. Sapevi di esserti iscritto all’università per avere una laurea in ingegneria. Era in...

Che tipo di ingegneria?»

«Ingegneria aerospaziale.»

«E tra le altre cose facevi il ricevitore nella squadra di baseball. Come diavolo è successo?»

«Giocavo già al liceo e dopo ho continuato.»

«Quindi non avevi una borsa di studio?»

«Avevo una borsa di studio accademica parziale.»

«No!»

«Sì.»

«Vedi, per fortuna che l’abbiamo fatto. Per fortuna che t’ho portato qui, perché la mia fiducia nell’umanità è

già in parte recuperata. Ecco dunque che facevi parte della squadra di baseball, e per tutto questo tempo ho

immaginato che tu fossi al college per una borsa di studio sportiva, ed è per quello che hai giocato quattro anni

quando la tua vera priorità era avere buoni voti e passare alla fase successiva. Ma ora scopro che il ricevitore di

quella cazzo di squadra di baseball aveva una borsa di studio accademica! È perfetto. È stupefacente.»

«Be’, non ero abbastanza bravo per averne una completa con il baseball.»

«Però giocavi! Ti ho visto giocare. Hai cominciato durante il nostro ultimo anno alle superiori, quando

quell’altro tizio, come si chiamava...»

«Julian Gonzalez.»

«Esatto: quando lui se n’è andato, tu hai giocato tutte le partite. E avevi comunque quei voti pazzeschi.

Insomma, i tuoi compagni di squadra pensavano che tu fossi una specie di mostro?»

«Proprio così.»

«Perché? Perché non uscivi tutte le sere a scopare o roba del genere?»

«Più o meno.»

«Ma poi te la sei scopata una ragazza!»

«Cosa?»

«Oh cazzo. Scusa. Non volevo arrivarci così bruscamente. Ma so tutto di Jennifer e della... insomma.»

«Cosa?»

«Ci arriveremo dopo.»

«Ma vaffanculo.»

«Te l’avevo detto che poteva essere sgradevole.»

«Basta così.»

«E va bene, senti. Mi dispiace. Stavamo andando così bene. Ti prego, non tirerò più in ballo Jennifer.

Comunque so già tutto. Ho chiesto in giro e credo di avere il quadro completo.»

«Che quadro ti sei fatto, coglione?»

«Non mi fare incazzare, Kev! Hai appena fatto due errori. Mi hai minacciato e hai imprecato di nuovo.»

«Non ti ho minacciato, ma lo farò. Ti staccherò quella testa di cazzo.»

«Vedi, che delusione. È questo che ti ha fregato? Il caratteraccio? È inutile che strattoni la catena.»

«Sai com’è, mi incazzo se qualcuno mi incatena a un palo e mi fa domande su una ragazza di secoli fa.»

«Scommetto che ti incazzi spesso. Soprattutto ora. Sì, ne hai di motivi per essere incazzato, ora. E io anche. Va

bene. È comprensibile. Vedi, è un’altra delle cose che abbiamo in comune. Entrambi portiamo a termine i

nostri piani ed entrambi abbiamo una testa che gira a mille e che rischia di esplodere.»

«Cristo, sei proprio pazzo! Porca troia.»

«Se lo dici di nuovo, ti stordisco con il taser, Kev. Non perché ne abbia voglia, ma perché sentirti che mi dai del

pazzo è così prevedibile e noioso. Dare del pazzo al rapitore, bla bla bla, è noioso. Mi hai dato del pazzo una

ventina di volte e questo non ha certo migliorato la tua situazione. E comincio a stufarmi delle tue interruzioni.

Voglio solo arrivare in fondo senza farti del male, va bene?»

«...»

«Bene, ora torniamo a noi. Dopo il college hai perso un anno e poi sei andato al MIT. Anche lì uguale a prima:

avevi già chiari i tuoi obiettivi?»

«Stavo prendendo un master in Ingegneria aerospaziale. Certo che avevo chiari i miei obiettivi. Mica stavo

prendendo una laurea in papirologia.»

«Va bene, giusto. Quindi il master è durato, quanto, due anni?»

«Tre.»

«Cavolo, già sette anni di studi. Lo sai che cosa ho fatto io dopo la laurea?»

«No.»

«Mio zio mi ha messo a lavorare nella sua fabbrica. Te lo immagini? Avevo una laurea e mi ha fatto partire da

zero, gomito a gomito con un mucchio di donne dell’Europa dell’Est. Che cazzata è?»

«Non lo so, Don.»

«Thomas.»

«Scusa. Thomas.»

«Aspetta. Ti ricordi del mio amico Don?»

«No.»

«Invece è possibile. È molto strano che tu abbia detto Don. Don era il tuo fan numero uno. Te lo ricordi? Di

solito era sempre con me. Veniva alla nostra stessa scuola.»

«Non me lo ricordo.»

«Almeno per un paio d’anni. Era di origine vietnamita. Un bel ragazzo, non te lo ricordi?»

«Non lo so, Thomas. È passato tanto tempo.»

«Ma era sempre con me. Ci sarà un motivo per cui ti è venuto in mente il suo nome. Non può essere una

coincidenza.»

«Invece penso che sia una coincidenza. Mi dispiace.»

«Cristo, questo sì che è strano. Negli ultimi tempi non faccio che pensare a Don. Lo sapevi che è morto?»

«No, non lo sapevo. Non conoscevo Don. Però mi dispiace che sia morto.»

«Ormai è passato un po’. Dio, almeno un paio d’anni. È inquietante, perché ti giuro che Don ti ammirava

davvero. Insomma, era un maniaco della NASA anche più di me. A scuola chiedeva spesso di te, dopo che io

avevo scoperto che stavi cercando di andare sullo Shuttle. Chiedeva di te anche dopo la scuola. Anzi, era colpa

sua se continuavo a pensare a te. Era una delle cose di cui parlavamo più spesso. Lui sapeva quando eri entrato

in Marina. Io lo chiamavo oppure mi chiamava lui e si chiacchierava e dopo un po’ uno dei due diceva: Ehi, a

che punto è Kev Paciorek? Insomma, giusto un piccolo aggiornamento. Penso che anche a lui sarebbe piaciuto

fare l’astronauta. Ma non s’è mai sentito di un astronauta di origine vietnamita, no?»

«Ci sono astronauti di origine asiatica.»

«Ma non a quei tempi, no? Non ce n’era uno che assomigliava a Don. E in famiglia le cose non andavano

benissimo. Immagino che invece uno debba venire da una specie di famiglia modello, giusto?»

«I miei erano divorziati.»

«Ah, già. Questo lo sapevo.»

«Senti, mi spiace aver tirato fuori il suo nome. È stato un caso. Mi dispiace tanto che sia morto così giovane.»

«Fa niente. Sì. Insomma, amen. Ma sono convinto che c’è un motivo. Non te lo ricordi il suo viso? Aveva gli

occhi scuri, un bel sorriso luminoso... Dio, quant’è strano. Devo... devo uscire un secondo.»

Fine dell'estratto Kindle.

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