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IL LABIRINTO Periodico telematico di informazione culturale Anno 2, n°9 Settembre 2009 Comitato Scientifico : Sandy Furlini, Paolo Cavalla, Katia Somà, Roberta Bottaretto www.tavoladismeraldo.it [email protected] “PERCHE’ A TORINO” (a cura di Sandy Furlini) Inizia così un capitolo del famoso libro del 1978 scritto dalla giornalista Giuditta Dembech, dal titolo che fece scalpore oltre che una gran fortuna: Torino città magica. Ed è con gioia che nel numero scorso del LABIRINTO abbiamo letto, per mano di Fabrizio Diciotti, appassionato e genuino studioso delle origini del capoluogo Piemontese, una posizione netta contro “l’esistenza di “triangoli magici” che collegherebbero, in virtù di non si sa cosa, la città sabauda ad altre realtà dai connotati misterici, come Praga, Lione, Londra e San Francisco”. In realtà riempie sempre molto la bocca e chissà cos’altro, il pronunciare parole come mistero, occulto, magia e ignoto.... Nulla di più normale per il genere umano, caratterizzato da un profondo ed ancestrale richiamo, e spesso fuga, da ciò che non conosce. Navigando in internet oggi si trova un po’ di tutto ed inserendo sul motore di ricerca Google le due parole fatidiche “torino magica”, appaiono pagine di siti che si dipingono di scuro, etichettando la nostra bellissima città di connotati negativi. Ed ecco che compaiono i famosi triangoli, e supposizioni ridicoleggianti quali quella che vedrebbe in Torino una città fortemente negativa in forza della sua posizione occidentale, essendo Occidente il luogo del tramonto del Sole.... Da qui si intuisce come oggi l’informazione debba essere necessariamente filtrata dalla conoscenza autentica, dai testi seri e non dalla troppo frequente ciarlataneria consumistica che caratterizza la cultura del XXI secolo, ... quello in cui avverrà la fine del mondo..... Certo che se continuiamo di questo passo la fine è certa, ma quella della credibilità dell’informazione. Anche Santiago de Compostela è ubicata in terre d’Occidente, anzi la più occidentale delle terre conosciute allora, verso Finisterre, la fine della terra. La città galiziana, grazie alla sua collocazione geografica diviene luogo di pellegrinaggio verso una vera e propria rinascita simbolica. Ciò è possibile in quanto il “camino” va verso il tramonto per permettere una rinascita-rinnovo. E ritorna la fatidica domanda del titolo di questo primo editoriale: perché a Torino? Perché tanto bisogno di stupire? Perché abbiamo bisogno di circondarci di luoghi ed isole che non ci sono per sentirci elettrizzati? Ci voleva Dan Brown per illustrarci che il Graal non è altro che una figura allegorica, un simbolo? Si, e grazie a lui come a tanti altri, oggi ci poniamo più domande ma attenzione alle troppe risposte, molte delle quali sono fuorvianti. Pag.1 In questo numero del LABIRINTO di conoscenza, ci guiderà Massimo Centini attraverso una via maestra che conduce dritta nei meandri della magia, per capirne le origini, il significato più recondito. Perché e come l’uomo vive il magico? L’antropologo torinese, noto per i suoi studi in tema di stregoneria, cercherà di darci qualche risposta ... Seria. Paolo Cavalla, socio fondatore della Tavola di Smeraldo risponderà alla domanda “Perché a Torino il Museo Egizio”, dimostrandoci con dovizia di particolari che non ci fu alcuna magia o coincidenza inspiegabile (triangolare o meno). Altri articoli completeranno questo numero sempre ricco di informazioni e curiosità. Una domanda ora la pongo io, proprio in apertura della rivista: chi conosce il Dio Seth (o Set) della mitologia egizia? Per i più è una divinità fortemente negativa in quanto responsabile dell’assassinio del più noto ed amato fratello Osiride. Ma ci si è mai chiesti chi conduce la barca che porta il Sole attraverso gli inferi difendendolo dal grande serpente Apopi, simbolo del caos, ovvero ciò che di più negativo non poteva esserci per un antico Egizio... EDITORIALE Porte Palatine . Torino – Foto di Katia Somà. 2006 Psicostasia . Fonte: www.fondiantichi.unimo.it/.../036.jpg

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IL LABIRINTOPeriodico telematico di informazione culturale

Anno 2, n°9 Settembre 2009 Comitato Scientifico: Sandy Furlini, Paolo Cavalla,

Katia Somà, Roberta Bottarettowww.tavoladismeraldo.it

[email protected]

“PERCHE’ A TORINO”(a cura di Sandy Furlini)

Inizia così un capitolo del famoso libro del 1978 scritto dalla giornalista Giuditta Dembech, dal titolo che fece scalpore oltre che una gran fortuna: Torino città magica. Ed è con gioia che nel numero scorso del LABIRINTO abbiamo letto, per mano di Fabrizio Diciotti, appassionato e genuino studioso delle origini del capoluogo Piemontese, una posizione netta contro “l’esistenza di “triangoli magici” che collegherebbero, in virtù di non si sa cosa, la città sabauda ad altre realtà dai connotati misterici, come Praga, Lione, Londra e San Francisco”. In realtà riempie sempre molto la bocca e chissà cos’altro, il pronunciare parole come mistero, occulto, magia e ignoto.... Nulla di più normale per il genere umano, caratterizzato da un profondo ed ancestrale richiamo, e spesso fuga, da ciò che non conosce.

Navigando in internet oggi si trova un po’ di tutto ed inserendo sul motore di ricerca Google le due parole fatidiche “torinomagica”, appaiono pagine di siti che si dipingono di scuro, etichettando la nostra bellissima città di connotati negativi. Ed ecco che compaiono i famosi triangoli, e supposizioni ridicoleggianti quali quella che vedrebbe in Torino una cittàfortemente negativa in forza della sua posizione occidentale, essendo Occidente il luogo del tramonto del Sole.... Da qui si intuisce come oggi l’informazione debba essere necessariamente filtrata dalla conoscenza autentica, dai testi seri e non dalla troppo frequente ciarlataneria consumistica che caratterizza la cultura del XXI secolo, ... quello in cui avverrà la fine del mondo..... Certo che se continuiamo di questo passo la fine è certa, ma quella della credibilità dell’informazione.Anche Santiago de Compostela è ubicata in terre d’Occidente, anzi la più occidentale delle terre conosciute allora, verso Finisterre, la fine della terra. La città galiziana, grazie alla sua collocazione geografica diviene luogo di pellegrinaggio verso una vera e propria rinascita simbolica. Ciò è possibile in quanto il “camino” va verso il tramonto per permettere una rinascita-rinnovo. E ritorna la fatidica domanda del titolo di questo primo editoriale: perché a Torino? Perché tanto bisogno di stupire? Perché abbiamo bisogno di circondarci di luoghi ed isole che non ci sono per sentirci elettrizzati? Ci voleva DanBrown per illustrarci che il Graal non è altro che una figura allegorica, un simbolo? Si, e grazie a lui come a tanti altri, oggi ci poniamo più domande ma attenzione alle troppe risposte, molte delle quali sono fuorvianti.

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In questo numero del LABIRINTO di conoscenza, ci guiderà Massimo Centini attraverso una via maestra che conduce dritta nei meandri della magia, per capirne le origini, il significato più recondito. Perché e come l’uomo vive il magico? L’antropologo torinese, noto per i suoi studi in tema di stregoneria, cercherà di darci qualche risposta ... Seria.Paolo Cavalla, socio fondatore della Tavola di Smeraldo risponderà alla domanda “Perché a Torino il Museo Egizio”, dimostrandoci con dovizia di particolari che non ci fu alcuna magia o coincidenza inspiegabile (triangolare o meno). Altri articoli completeranno questo numero sempre ricco di informazioni e curiosità.

Una domanda ora la pongo io, proprio in apertura della rivista: chi conosce il Dio Seth (o Set) della mitologia egizia? Per i più è una divinitàfortemente negativa in quanto responsabile dell’assassinio del più noto ed amato fratello Osiride. Ma ci si è mai chiesti chi conduce la barca che porta il Sole attraverso gli inferi difendendolo dal grande serpente Apopi, simbolo del caos, ovvero ciò che di più negativo non poteva esserci per un antico Egizio...

EDITORIALE

Porte Palatine . Torino – Foto di Katia Somà. 2006

Psicostasia . Fonte: www.fondiantichi.unimo.it/.../036.jpg

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La magia è un termine che presenta significati diversi sia dal punto di vista pratico che da quello dell’interpretazione: spesso è intesa come “arte o scienza occulta che suppone di trarre dalle forze naturali effetti straordinari mediante tecniche misteriose e segrete, atte anche a dominare forze sovraumane o demoniache (…) sortilegio, meccanismo, fattura (…) trucco illusionistico. Fascino arcano, suggestivo, capacità, potere di affascinare (…) ciò che esercita un fascino irresistibile, che attrae, incanta”.

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Periodico telematico di informazione a cura del Circolo Culturale Tavola di Smeraldo. Anno 2, n°9 Settembre 2009

In genere la magia è parte importante del pensiero e del comportamento (in alcuni casi anche all’interno della pratica religiosa) della maggior parte delle società, anche in quella occidentale erroneamente ritenuta “meno primitiva”, almeno per quanto riguarda l’ambito della metafisica. In ragione di questa presunta superiorità, èsempre stata indicata una distinzione tra la magia vista secondo la cultura occidentale (che nella maggior parte dei casi la connette alla superstizione) e la magia delle società più arcaiche, in cui può succedere che non sia possibile isolarla dai fenomeni religiosi.In genere la magia acquisisce la propria definizione sulla base di un punto di vista soggettivo, quindi non definito da un concordato condiviso e rispettato collettivamente.Nell’insieme, quindi, la magia risulta in termine complesso e polivalente, con il quale, molto superficialmente, si indicano alcune pratiche presenti in tutte le culture senza risentire del vincolo determinato dal loro livello di sviluppo. Tali pratiche si distinguono dai riti religiosi perché si ritiene posseggano un’efficacia automatica basata sul principio di causa-effetto e soprattutto perché dirette a dominare la realtà.

L’atteggiamento mentale posto alla base del pensiero magico e che si differenzia da quello religioso, giustifica le pratiche della magia finalizzate pertanto al dominio della realtà attraverso l’intervento della volontà o potenza dell’uomo. In genere, queste prerogative non sono di tutti gli uomini, ma di alcuni in particolare, indicati in modo diverso nelle varie culture, ma sempre in possesso di poteri straordinari per nascita, o scelta superiore.Allo stato attuale delle ricerche condotte dalle scienze umane, ècondivisa la tesi che considera la distinzione tra l’atteggiamento magico e quello religioso non come dicotomia da intendere in senso storico ed evolutivo, vale a dire come successione di una fase magica ad una religiosa.

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Infatti, i due atteggiamenti convivono contemporaneamente e si muovono parallelamente: non è quindi scientifico parlare di un’età (o stadio)della magia precedente quella della religione, o di culture meno evolute che fanno uso della magia. Entrambi gli atteggiamenti, magico e religioso, possono convivere all’interno di una cultura, anche contaminandosi reciprocamente. Prendiamo il caso del Cristianesimo: in esso emergono motivi tipicamente religiosi (riconoscimento di un solo dio; affidamento al divino per la propria salvezza; dottrina della grazia), con altri dichiaratamente magici (pratiche della religiosità; uso magico delle reliquie; ecc.). Fu soprattutto Edward Burnett Tylor (1832-1917), uno dei fondatori dell’antropologia moderna, a connotare la magia con toni “primitivi”; nel suo storico saggio Primitive culture (1871) (1), oggi in gran parte superato dal punto di vista scientifico, ma certamente ancora nella condizione di offrire delle stimolanti suggestioni, indicava gli atti magici come “pseudoscientifici”. Tylor considerava la magia espressione della cultura dei “selvaggi” indicandola come “una delle più pericolose illusioni che abbia mai afflitto il genere umano”, pur senza negarle un principio attivo basato sulla razionalità. La constatazione di Tylor era comunque un grosso passo avanti sul piano antropologico: infatti i suoi predecessori avevano visto nella credenza nella magia un’espressione tipica del pensiero infantile e non evoluto.

“IL PENSIERO MAGICO”(a cura di Massimo Centini) tratto da MAGIA E MEDICINA POPOLARE IN PIEMONTE, Edizioni Servizi Editoriali – Genova 2007

Reliquiario. Cattedrale di Burgos. Spagna. Foto di Katia Somà. 2009

Albus Dumbledore, è un mago, personaggio immaginario della saga di romanzi fantasy di Harry Potter, scritta e ideata da Joanne Kathleen Rowling

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Il nodo cruciale della questione era allora determinato dalla necessità di comprendere perché i “selvaggi” credessero nella magia, anche se palesemente inefficace.Tylor ipotizzò che nelle credenze da noi definite primitive, spesso gli atti magici e quelli empirici possono corrispondere, ciò significa che alcuni processi naturali hanno come loro esito quanto richiesto dal mago attraverso i suoi riti. Ciò produrrebbe un errore non avvertito come effetto della casualità, ma considerato invece risultato diretto della magia.Per quanto riguarda l’insuccesso la questione sarebbe ancora più facile da risolvere: infatti la mancanza di risultati in genere viene attribuita a forze magiche negative prodotte, ad esempio, da maghi rivali.Va comunque osservato che nelle culture arcaiche le definizioni di successo o di insuccesso sono alquanto elastiche e dipendono soprattutto dalla lettura proposta dal mago.

La magia come pensiero primitivoLe definizioni di Tylor si contrappongono alla matrice evoluzionista che ha dominato le ricerche sulla magia di JamesGeorge Frazer (1854-1941), secondo il quale l’evoluzione del pensiero umano sarebbe scandita da tre fasi: magia⇒religione⇒scienza.Secondo il grande pensatore vittoriano, autore della monumentale opera The Golden Bough (1890), la magia corrisponderebbe allo stadio primitivo dell’uomo perché si struttura su un’architettura che comunque produce una sorta di zoccolo duro destinato a permanere nel tempo, anche nelle società più evolute.Va detto che Frazer, in molti casi, cercava di dimostrare i propri assunti su basi etnografiche di seconda mano, e prive di valore scientifico oggettivo. Ad esempio indicava gli aborigeni australiani - allora portati ad esempio di “popolazione arcaica”ancora esistente - come una testimonianza concreta della sua teoria: infatti in quei tempi si credeva, erroneamente, che fossero sprovvisti di una forma di religione.Dal punto di vista operativo, secondo Frazer, gli atti magici andrebbero interpretati come riti basati sulla legge della somiglianza (il simile produce il simile), o magia omeopatica, edal contatto (le cose che si sono trovate a contatto interagiscono anche a distanza) o magia contagiosa. Questa la definizione fornita da Frazer:“Se analizziamo i principi di pensiero su cui si basa la magia, troveremo probabilmente che essi si risolvono in due: primo, che il simile produce il simile, o che l’effetto rassomiglia alla causa; secondo, che le cose che siano state una volta a contatto, continuano ad agire l’una sull’altra, a distanza, dopo che il contatto fisico sia cessato.

Le tesi frazeriane ebbero molti sostenitori: ad esempio R. R. Marett(1866-1943) credeva che all’alba del genere Homo non vi fu una distinzione tra magia e religione, ma una sorta di convivenza da lui indicata come pensiero “magico-religioso”. Si tratta di una definizione imprecisa e destinata a produrre confusione, ma che soprattutto non evidenzia le fondamentali distinzioni caratterizzanti rispettivamente la magia e la religione.L’approccio funzionalista alla definizione della magia tende a raffigurarsi con W. Wundt (1832-1920) che, rifacendosi sempre al modello evoluzionistico, indicava il pensiero magico come il livello precedente a quello religioso, strutturato su processi emozionali alimentati dalle ansie e della paure prodotte nell’uomo dalle forze della natura. In seguito Sigmund Freud (1890-1950), accettando lo schema evoluzionistico di Frazer, indicava comunque la necessità di tracciare una dicotomia tra lo sviluppo della società e quello del singolo individuo.

Il primo principio può chiamarsi legge di similarità, il secondo, legge di contatto o contagio. Dal primo di questi principi il mago deduce di poter produrre qualsiasi effetto, semplicemente coll’imitarlo. Dal secondo, a sua volta, deduce che qualunque cosa egli faccia a un oggetto materiale, influenzerà ugualmente la persona con cui l’oggetto è stato a contatto, abbia o no fatto parte del suo corpo. Incantesimi basati sulla legge di similarità si possono chiamare magia omeopatica o imitativa. Incantesimi basati sulla legge di contatto o di contagio si possono chiamare magia contagiosa” (2).

Aborigeno australiano. Immagine tratta da www.tuttoggi.info

Edward Burnett Tylor (1832-1917)

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Calandosi quindi nella valutazione di colui che crede e pratica la magia, Freud vedeva in essa un’espressione dell’onnipotenza del pensiero e nei riti e nelle formule magiche esperienze tipiche dei nevrotici che credono di influenzare la realtà attraverso i propri pensieri.Freud ritenne di individuare il bisogno della magia nel desiderio, inteso come attivatore della pratica simbolica, di trasferire un'urgenza interiore sul piano pratico. Basandosi sulle istanze dei desideri, chi si avvale della magia crede nell'onnipotenza dei propri pensieri, certo che i suoi gesti magici saranno in grado di intervenire sulla natura, variandone i destini.Nel libro Totem e tabù, Freud tracciò un parallelismo tra il nevrotico ossessivo e chi crede nella magia, ampliando il concetto anche al “primitivo”, secondo la visione animistica proposta da Tylor.

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“Il principio su cui si basa la magia, la tecnica del modo di pensare animistico, è quello dell'onnipotenza dei pensieri (...) Tutti i malati ossessivi sono superstiziosi e in genere contro la loro stessa convizione. Nella nevrosi ossessiva ci appare chiarissimo il perpetuarsi della onnipotenza dei pensieri; qui i risultati di questo primitivo modo di pensare sono assai prossimi alla coscienza (...) Le pratiche ossessive primarie di questi nevrotici sono senz'altro di natura magica. In pratica esse sono, se non stregonerie, almeno contro-stregonerie, destinate ad allontanare le disgrazie che il nevrotico si aspetta; in genere la nevrosi ha inizio con simile aspettativa” (3). Ma credere nella magia non sempre è indice di squilibrio o psicosi, in quanto è la magia ad essere lo squilibrio, l'anomia della società che, in qualche modo, ha determinato l'affermarsi della patologia. La principale critica rivolta a Tylor nasceva dalla superficialità della teoria animistica, che in pratica considerava la religione (e la magia), una risposta a fenomeni sconcertanti ed inspiegabili.

Una notevole revisione all'ipotesi tyloristica giunse dal già citato Robert Marett, che cercò di dimostrare l'impossibilità di attribuire alla religione quelle credenze che donavano ad oggetti, fenomeni, atmosfere una vita propria ed un’anima. Coniò pertanto una nuova definizione: “animatismo”. La teoria riconosceva che alcune persone, animali e anche oggetti, possedessero poteri straordinari, ma indipendentemente da quelli che derivano da anime o divinità. La definizione deriva da “mana”, termine polinesiano indicante un potere soprannaturale che molto spesso viene attribuito ai capi e agli spiriti di alcuni personaggi ritenuti superiori alla norma.Va osservato che tutti i nevrotici, e non solo gli ossessivi, hanno la tendenza a credere nell'efficacia del loro pensiero inconscio, che si oggettiva nelle azioni intraprese, spesso sotto forma di espressione rituale. In generale, anche alla luce delle osservazioni provenienti dalla valutazione psicoanalitica, la magia risulta un fenomeno poliedrico, in cui si focalizzano tensioni sociali e istanze molto diverse fra loro. Quindi, una valutazione degli aspetti culturali della magia presuppone una riflessione concreta e attenta del contesto in cui si manifesta il fenomeno in analisi, tenendo conto di prerogative che non sono oggettivamente generalizzabili.

Di contro, la credenza nei poteri della magia è spesso l'artefice della disgregazione psichica di molti soggetti che si credono vittime della magia nera. I complessi meccanismi psicosomatici, favoriti dall'estinguersi dei rapporti sociali tra gli individui, innescano un processo di perdita del rapporto con la realtà, che può essere causa di effetti anche gravi.Tra XIX e XX secolo, lasciando parzialmente da parte la forte condizionante costituta dalla ricaduta culturale delle tesi sull’evoluzionismo, anche la magia primitiva divenne oggetto di valutazione antropologica attraverso un orientamento sostanzialmente sociologico. Furono studiosi come Èmile Durkheim (1858-1917), Marcell Mauss (1872-1950) e LucieneLévy-Bruhl (1857-1939) in particolare, a porre in rilievo il peso esercitato dalla magia all’interno dell’organizzazione della società, chiarendone il ruolo “situazionale”, quindi fortemente condizionato del contesto.Per Lévy-Bruhl la magia era da considerarsi frutto di un pensiero prelogico o prescientifico tipico della società “primitiva”, quindi differente da quello della società occidentale, orientata invece in direzione di un pensiero di tipo scientifico. Così il parere dell’insigne antropologo: “in presenza di qualcosa che l’interessa, che l’inquieta o che lo spaventa, la mente del primitivo non segue la stessa via della nostra. Imbocca subito una strada diversa. Noi abbiamo un senso continuo di sicurezza intellettuale così saldo che non vediamo come potrebbe essere scosso; poiché, anche supponendo l’apparizione improvvisa di un fenomeno del tutto misterioso e le cui cause ci sfuggissero interamente agli inizi, non saremmo per questo meno persuasi che la nostra ignoranza è soltanto provvisoria, che queste cause esistono e che presto o tardi potranno essere determinate” (4).

Sigmund Schlomo Freud (Freiberg, 6 maggio 1856 – Londra, 23 settembre 1939)

Testo di Massimo Centini. 2007

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In sostanza le società “primitive” avrebbero un orientamento di tipo mistico, attraverso il quale fanno continuo riferimento al soprannaturale per cercare di dare una risposta agli eventi (positivi o negativi) in cui sono coinvolti.Per Lévy-Bruhl le rappresentazioni prescientificheavrebbero il ruolo di inibire le attività cognitive, opponendosi alle regole della scienza e della logica occidentale, nello stesso tempo però sarebbero comunque dotate di una loro coerenza, dando sostanza ad un sistema culturale condiviso e normalizzante per la società. Ciò non significa che chi si avvale di pratiche arcaiche sia “inferiore”, ma che i fenomeni sono da loro percepiti in modo diverso, in ragione del sistema logico posto alla base della loro cultura. Ma soprattutto non vi è quella distinzione tra “naturale” e “soprannaturale” che costituisce la struttura portante del pensiero occidentale.

Nella complessa amalgama fatta di codici simbolici e di sintassi accessibili solo affidandosi completamente alle “certezze” del mago, risiede il sapere della magia, che nella sua azione si avvale di un linguaggio di segni sincretisticamente arroccati intorno ad una dialettica capace di autoalimentarsi. Perché la magia abbia una ragione di esistere, ènecessario che sia presente la società: nel suo socializzarsi la magia deve essere alimentata dalle speranze e dai desideri di tutti. Solo in questo modo il suo ruolo può esprimersi secondo quelle linee interpretative che fanno parte dell'iter simbolico genericamente definito rito (5).Ne consegue che l'attività magica non è solo un supporto psicologico individuale, ma costituisce anche una forma organizzata per il gruppo. Secondo il parere di Mauss la magia, pur svolgendo una funzione importante sul piano sociale, non ècaratterizzata da una rappresentazione pura e priva di distorsioni, infatti è “una massa vivente, informe, inorganica, le cui componenti non hanno né posto néfunzioni fissi, e talora si confondono tra loro; la distinzione, più profonda, tra rappresentazioni e riti talvolta svanisce del tutto, al punto che un semplice enunciato di rappresentazione può diventare un rito.

Lo spirito che è posseduto dallo stregone o che possiede lo stregone, si confonde con la sua anima e con la sua forza magica, stregoni e spiriti hanno spesso lo stesso nome. L’energia del rito, quella dello spirito e quella del mago formano normalmente un tutto unico. Lo stato regolare del sistema magicoè una confusione quasi completa dei poteri e dei ruoli; perciò uno degli elementi può scomparire in apparenza, senza che il carattere dell'insieme venga modificato” (6).La sua mancanza di organicità è quindi, a ben guardare, la prerogativa destinata a renderla “primitiva” e ben distinta dalla scienza e della religione, come indicato da B. Malinowski (1884-1942). In seguito, il riconoscimento della magia come espressione di una cultura prescientifica, è stato più volte ripreso e in piccola percentuale persiste ancora nel pensiero antropologico moderno.E.E. Evans-Pritchard (1902-1973) studiando gli Azande del Sudan, è giunto alla conclusione che la credenza nella magia si affermi in un sistema di “pensiero chiuso” all’interno del quale èimprobabile una verifica in senso scientifico. In pratica il “pensiero chiuso”, sarebbe primitivo, mentre quello aperto corrisponderebbe a quello moderno e scientifico. Strutturalmente, e tenendo contodelle implicazioni funzionali, sia la stregoneria che la magia pongono in luce una credenza esplicita (danno una spiegazione ad eventi incomprensibili) ed una implicita (l'espressione di conflitti ed antagonismi interni alla società). E così stregoneria e magia -in senso negativo la prima, e positivo la seconda -producono una saldatura, attraverso la mediazione del fattore emotivo, tra eventi naturali (malattia, morte, sconvolgimenti della natura, ecc.) e rapporti interpersonali. In pratica coniugano ilmondo fisico a quello soprannaturale, creando una sorta di “filosofia naturale”, che si trova alla base del più spontaneo rapporto tra uomo e ambiente (7). La magia rappresenta così il tentativo di porre un contrasto all'imprevisto, agli ostacoli che frustano l'impegno dell'uomo diretto al raggiungimento di uno specifico risultato.

Le nostre capacità e le nostre conoscenze “hanno dei limiti oltre i quali gli sforzi pratici fondati razionalmente non valgono nulla; tuttavia gli uomini si ribellano all'inazione, pur rendendosi conto della propria impotenza”. Per questa ragione quindi “la magia non è presente solo fra i primitivi, bensì fiorisce anche nelle società moderne, ovunque vi sia pericolo e incertezza, ovunque la sorte o il caso abbiano una parte predominante” (8).

Streghe che effettuano rituali magici su un'ammalata tratto da F.M. Guazio, Compendium Maleficarum 1608

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Periodico telematico di informazione a cura del Circolo Culturale Tavola di Smeraldo. Anno 2, n°9 Settembre 2009

La forza della magiaSulla scia delle tesi freudiane sono andate diffondendosi varie scuole di pensiero che hanno connotato la magia primitiva con toni atti a porne in evidenza soprattutto le valenze più rozze, basate sui bisogni più arcaici, accomunanti tutte le specie animali viventi.Secondo questa interpretazione, vi sarebbe quindi una magia aggressiva, che soddisfa quegli istinti che sono spesso preponderanti nei contesti sociali in cui è forte l’antagonismo (quasi ovunque). L’altra forma di magia primitiva sarebbe quella difensiva, sorretta dalle concezioni animiste e dell’ancestrale consapevolezza che alcuni fenomeni, ad esempio le malattie, non sarebbe naturali, ma effetto prodotto dai malefici operati da nemici e spiriti ostili. In effetti, molte delle pratiche apotropaiche caratterizzanti il folklore occidentale, si basano sui principi della magia difensiva, principi che risultano fortemente metabolizzati all’interno di un processo simbolico condiviso dalla comunità.Ricorrendo ancora a Freud, abbiamo modo di constatare che la magia avrebbe il suo humus più fertile nell’animismo, concezione secondo la quale in tutte le cose risiederebbe una forza immanente in grado di essere ostile o benevola (cfr. Totem e tabù). Per il padre della psicoanalisi, l’uomo ha anteposto alla speculazione la ricerca del soddisfacimento dei propri istinti, per tale ragione la magia si pone come una tecnica pratica atta a svolgere funzioni concrete per rispondere ai bisogni primari.Per questo motivo essa è “primitiva”, perché opera al fine di soddisfare desideri “bassi”, come la volontà di potere, di possesso e conquista di persone o beni.

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Freud si spingeva ad ipotizzare una stretta analogia tra il pensiero magico primitivo e l’atteggiamento del nevrotico ossessivo. In entrambi è presente una forte fede nell’onnipotenza del pensiero, sia il nevrotico che il primitivo, secondo la psicoanalisi freudiana, attribuiscono all’onnipotenza dei loro desideri profondi gli effetti di desideri inconsci, estrinsecati e visualizzati in modo diverso. In un caso e nell’altro vi è, da parte di entrambi, il richiamo ad una forma arcaica di pensiero.Secondo J. Piaget, la credenza nasce dal desiderio e si struttura sull’onnipotenza del pensiero che, come già indicato da Freud, costituisce il moto proprio della magia nella sue manifestazioni piùarcaiche. L'attività magica, forzando la realtà, propone una reazione all'angoscia determinata dal “rischio di non esserci”, che corrisponde, in certe situazioni di crisi, all'annullamento della personalità. Il tracciato simbolico del rituale magico assume i toni del dramma, che si svolge nelle fasi critiche dell'esistenza, quando l'ordine abituale si incrina (ad esempio quando si verificano violazioni delle tradizioni), o in casi di emergenza fisica e psichica (fame, solitudine); è in questi casi che l'Io ingaggia la lotta contro la minaccia di perdersi e ottiene il proprio riscatto. Ne consegue che “il semplice crollo della presenza, lo scatenarsi di impulsi incontrollati, rappresentano solo uno dei due poli del dramma magico: l'altro polo è costituito dal momento del riscatto della presenza che vuole esserci nel mondo” (9). Nelle società arcaiche, il potere della magia si struttura soprattutto in relazione al ruolo riconosciuto all’operatore che è depositario del rituale e delle conoscenze poste alla base dell’atto magico.

La “fortuna” della magia è riposta principalmente nel fatto che, come evidenziato da C. Lévy-Strauss (1908), tale pratica aggiunge elementi umani all’ordine naturale dell’universo, mettendo così in collegamento, in una catena di causa-effetto, eventi tra loro lontani nel tempo e nello spazio. Nella sostanza la magia risulta una “naturalizzazione” delle azioni umane, in pratica un effetto contrario ai riti religiosi che determinano una “umanizzazione delle leggi della natura”.

NOTE1) E. B. Tylor, Primitive Culture, New York, 1871.2) J.G. Frazer, Il ramo d'oro, Torino 1973, pag. 23.3) S. Freud, Totem e tabù, Torino 1969, pag.1424) L. Levy-Bruhl, La mentalità primitiva, Torino 1966, pag. 20.5) M. Mauss, Teoria generale della magia e altri saggi, Roma 1977, pag.105.6) M. Mauss, op. cit., pag.887) E.E. Evans-Pritchard, Stregoneria, oracoli e magia tra gli Azande, Milano 1976, pag.178.8) B. Malinowski, Magia, scienza e religione, Roma 1976, pag.169.9) E. De Martino,, L’approccio etnologico alla fenomenologia paranormale, in “Giornale italiano della ricerca psichica”, N. 2, 1963, pag. 95.

Immagine di un mago o millantatore. Da Medicina e Magia popolare in Piemonte (Centini 2007) Stampa di XVI secolo.

Cripta dei Cappuccini - Chiesa dell'Immacolata in via V. Veneto, 27. Convento dei frati cappuccini - Roma Immagine tratta da Wikimedia.org

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Tra le molte icone di cui il nostro Piemonte può fregiarsi, a buon titolo possiamo annoverare il Museo Egizio di Torino, uno dei più importanti al mondo, forse secondo solo a quello del Cairo, e caratterizzato da una storia peculiare che vede nell’ostinazione con cui Casa Savoia fu determinata nel comporlo, risvolti spesso dimenticati di passione per il mistero e l’esoterismo. «La strada per Menfi e Tebe passa da Torino», queste parole furono pronunciate da Jean-FrançoisChampollion, il decifratore dei geroglifici egizi che soggiornò a Torino nel 1824 per compiere i suoi studi sulle fornita collezioni che il Museo gli permetteva di consultare.

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Il Museo Egizio è costituito da un insieme di collezioni che si sono sovrapposte nel tempo, alle quali si devono aggiungere i reperti acquisiti a seguito degli scavi condotti in Egitto dallaMissione Archeologica Italiana tra il 1900 e il 1935. Il criterio dell’epoca prevedeva che gli oggetti rinvenuti durante gli scavi fossero ripartiti fra l’Egitto e le missioni archeologiche. Il criterio oggi in vigore prevede che i reperti archeologici rimangano in Egitto. L’atto ufficiale della nascita del Museo viene fatta risalire al 23 gennaio del 1824, quando un regolare contratto siglò l’acquisto da parte del re Carlo Felice e del governo piemontese di una collezione di pezzi egizi raccolta da Bernardino Drovetti, ma è anche vero che, molto tempo prima, l’Egitto aveva fatto la sua comparsa a Torino con una serie di opere di singolare peso e valore. La prima a giungere in ordine di tempo fu, intorno al 1630, la famosa Mensa Isiaca o Tavola Bembina, raffigurante varie divinità facenti corona ad Iside assisa in trono.

In realtà la tavola era un falso di epoca imperiale romana, destinata a fungere da altare in un santuario isiaco. La tavola era stata rinvenuta a Roma nel 1527 durante il sacco dei Lanzichenecchi. Acquistata dal Cardinale Bembo, aveva fatto perdere le sue tracce fino alla ricomparsa in mono savoiarde nel 1630. Nell’anno 1724, tra il primo gennaio e la fine di marzo, in coincidenza con la presenza a Torino di Scipione Maffei, Vittorio Amedeo II di Savoia fonda il Museo della Regia Universitàdi Torino presso il palazzo dell’Università in Via Po, cui dona una piccola collezione di antichità provenienti dal Piemonte. Il Museo venne dapprima diviso in cinque scompartimenti: uno per la fisica, uno per la matematica, uno per la botanica, uno per l’anatomia ed infine uno per oggetti vari e preziosi, tra i quali si annovera la Mensa Isiaca, prima conservata presso gli Archivi Regi.

Nel 1832, le collezioni raccolte presso il Museo dell’Università sono trasferite nel palazzo dell’Accademia delle Scienze. Alla guida del Museo si succedono Francesco Barucchi e Pier Camillo Orcurti. Dal 1871 al 1893 il direttore è Ariodante Fabretti che, coadiuvato da Francesco Rossi e Ridolfo Vittorio Lanzone, elabora il catalogo delle opere allora conservate. Nel 1894 la guida del Museo passa a Ernesto Schiaparelli che organizza scavi in numerosi siti egiziani, tra cui Eliopoli, Giza, la Valle delle Regine a Tebe, Qau el-Kebir, Asiut, Hammamija, Ermopoli, Deir el-Medina e Gebelein, dove le missioni sono proseguite dal suo successore, Giulio Farina. L’ultima acquisizione importante del Museo è il tempietto di Ellesija, donato all’Italia dalla Repubblica Araba d’Egitto nel 1970, per il significativo supporto tecnico e scientifico fornito durante la campagna di salvataggio dei monumenti nubiani, minacciati dalla costruzione della grande diga di Assuan. Nelle sale del Museo delle Antichità Egizie sono oggi esposti circa 6.500 oggetti. Più di 26.000 reperti sono depositati nei magazzini, in alcuni casi per necessitàconservative, in altri perché rivestono un interesse unicamente scientifico (vasellame, statue frammentarie, ceste, stele, papiri) e sono oggetto di studi i cui esiti sono regolarmente pubblicati.

Nel 1757, Carlo Emanuele III di Savoia, per arricchire il Museo dell’Università, incarica Vitaliano Donati, professore di botanica, di compiere un viaggio in Oriente e di acquistare in Egitto oggetti antichi, mummie e manoscritti che potessero illustrare il significato della tavola stessa. Gli oggetti raccolti dal Donati, tra cui tre grandi statue, giungono a Torino nel 1759 e sono esposti nel Museo della Regia Università. Quindi il Regio Museo delle Antichità Egizie è formalmente fondato nel 1824, con l’acquisizione da parte di Carlo Felice di Savoia di un’ampia collezione di opere riunita in Egitto da Bernardino Drovetti. Questi, di origini piemontesi, aveva seguito Napoleone Bonaparte durante alcune delle sue campagne militari e per i suoi meriti l’Imperatore lo aveva nominato Console di Francia in Egitto. Drovetti, grazie alla sua amicizia con il viceré d’Egitto, Mohamed Alì, riuscì a trasportare in Europa gli oggetti raccolti. La collezione venduta dal Drovettial sovrano Carlo Felice è costituita da 5.268 oggetti (100 statue, 170 papiri, stele, sarcofagi, mummie, bronzi, amuleti e oggetti della vita quotidiana). Giunta a Torino, è depositata presso il palazzo dell’Accademia delle Scienze (dove si trova tuttora) progettato nel XVII secolo dall’architetto Guarino Guarini come scuola gesuita. Mentre la Collezione Drovetti èdisimballata, Champollion arriva a Torino e nell’arco di qualche mese di febbrile attività ne produce un catalogo, nonostante i disaccordi circa la conservazione dei reperti con il primo direttore, Giulio Cordero di San Quintino.

“IL MUSEO EGIZIO A TORINO”(a cura di Paolo Cavalla)

Tutankhamon e Amon (Torino) . Foto di Katia Somà 2006

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Ecco, tradotto dal latino all’italiano (Geneologia de gli Dei, libro VII, Venezia 1553), il passo che si riferisce a Fetonte, al suo viaggio dall’Egitto in Italia e alla fondazione prima di Genova, a opera di un suo compagno, e poi di Torino; come si evince, questo Fetonte-Eridanosarebbe lo stesso che, guidando il carro del Sole, causò danni enormi e venne fulminato da Giove stesso che lo fece precipitare nel Po: “Phetonte fu figliuolo del Sole Egittio, e di Climene, sì come per li versi d’Ovidio si manifesta[…]. Non di meno Paolo Perugino afferma secondo un certo Eustacchio che […] Eridano, quale è ancho Phetontefigliuolo del Sole Egittio con un numero delle sue genti con la Guida del Nilo, concerti navi li venne in mare, e da venti aiutato giunse nel seno da noi chiamato Ligustico, dove affaticato dal lungo navigare con i suoi smontò in terra, e da quelli persuaduto a caminar più fra terra, lasciò uno de suoi compagni chiamato Genuino debilitato dalla fortuna del mare aguardia delle navi nel lido con una parte delle genti, il quale congiungendosi con gli habitatori di que luoghi, ch’erano huomini rozi, e selvaggi, edificò un castello, e dal suo nome il chiamò Genova. Ma Eridano passati i monti; essendo giunto in una ampia, e fertile pianura, dove ritrovò huomini rozi, et agresti, non dimeno feroci; s’imaginò con l’ingegno domare la loro fierezza, e li fermò appresso il Po, dove (si come riferisce l’i stesso Paolo) pare, ch’Eustachio voglia, che Turino fosse da lui edificato, ma chiamato Eridano. Ivi adunque havendoalquanto regnato, lasciando il figliuolo Ligure; morì nel Po, dal cui nome il Po fu detto Eridano, onde gli antichi Egitij in memoria del suo compatriota il locarono tra i segni celesti, e così pare, che alcuni istimino tal cosa haverdato materia alla favola, espetialmente, che Phetonte fosse fulminato, e gittato in Po.”

A tracciare definitivamente il solco della Torino mitologica, nel quale potè poi prosperare anche l’aspetto magico-esoterico, fu probabilmente messer Giovanni Boccaccio grazie a quanto da lui riportato nella monumentale Genealogia deorumgentilium (1360-74). Prima di lui, altri avevano scritto delle origini mitologiche di Torino, in particolare la fonte di Boccaccio, il filologo Paolo Perugino (1) che a sua volta aveva probabilmente copiato e deformato materiale altrui (2) con l’inserimento di notizie dall’origine non documentata; indubbiamente però, la fama del grande narratore diede maggior autorità alle tesi esposte, a cui per secoli gli storici si adeguarono, con rare eccezioni, sino al XIX secolo.

Dopo il Boccaccio la leggenda storica viene acriticamente ripresa, parafrasata – senza grandi variazioni – da vari eruditi, per esempio dal padovano Marco Guazzo (3) nella Cronica (edita nel 1553 a Venezia), qualche volta basandosi su documenti ritenuti attendibili, ma rivelatisi falsi (4). Nel nostro territorio bisogna attendere lo storico sabaudo Filiberto Pingone che, nel 1577, riporta il racconto leggendario parafrasandolo nella sua opera Augusta Taurinorum(5). Egli, collocando il viaggio di Eridano/Fetonte in Italia «circa al tempo di Mosè e Faraone», fissa la data della fondazione di Torino al 1529 a.C. Sull’origine del nome “Torino” il Pingone propone ben tre ipotesi, tutte tirate per i capelli e dai collegamenti poco chiari. La denominazione si dovrebbe a Cecrope (6), primo re di Atene, che iniziò a immolare tori a Giove. Oppure a Giove stesso che si eraunito alla sacerdotessa Io, poi trasformata in giovenca (7); dopo la sua morte, Io sarebbe stata adorata col nome di Iside (Iside e Io erano già state assimilate dagli autori classici). Ancora, al fatto che l’Italia di allora si chiamasse Apennina, con riferimento al culto del toro Api, e che la prima città che s’incontrava valicando le Alpi volle anch’essa votarsi al culto dei tori e fu dunque detta Taurina, cosìcome Taurini vennero chiamati i suoi abitanti.

LE ORIGINI MITICHE DI TORINO (a cura di Fabrizio Diciotti ) tratto da GUIDA ARCHEOLOGICA di TORINO 3° Edizione 2009 - GAT-Gruppo Archeologico Torinese

Va detto che, sebbene il Pingone ripetesse quanto già riportato dai suoi precedessori, ebbe per altro il merito di segnalare, oltre a eventi mitologici con riferimenti storici, ma forzati per compiacere il committente (ossia il duca Emanuele Filiberto), anche notizie riguardanti fatti realmente accaduti a Torino e dintorni, per quanto assai più recenti e, anzi, suoi contemporanei, come l’assedio che la città dovette subire a opera dei Francesi nel 1536 o il ritrovamento di resti archeologici, fra i quali la base marmorea [fig. 1] di un monumento dedicato a Iside (8) (quando si dice: il caso!). Non va infatti dimenticato che Monsù Pingon (9) fu un umanista grandemente appassionato dai resti della cittàromana, che egli raccolse con dovizia formando così il primo nucleo della raccolta archeologica sabauda, da cui ebbe origine il Museo di Antichità di Torino (10).

Fig.1 La base marmorea del monumento a Iside scoperta nel 1567 scavando nei pressi della cittadella. Disegno di F. Pingone su manoscritto, AST.

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Un secolo dopo la pubblicazione dell’Augusta Taurinorum, è il turno dello storico Emanuele Tesauro, nella sua Historia dell’augusta città di Torino [fig. 2] del 1679, di sposare la tesi secondo cui fu l’egiziano Fetente a fondare il primitivo nucleo urbano:«Ma la più antica memoria, e la più ricevuta dagli antichi e da’ moderni Scrittori circa la Origine dell’AUGUSTA DE’ TAURINI, fu questa. Faetonte, detto con altro nome Eridano, Principe Egittio, avido di gloria, e di nuovi Impéri; passato dal suo Canópo nella Magna Grecia, costeggiò tutta la spiaggia del Mar Tirreno; e conquistando tutto il tratto de’ Marittimi Gioghi dalla Macra al Varo; chiamollo col nome del Figliuolo, Ligúria Alpestre; e sceso nelle piacevoli falde Campestri, chiamate dipoi Ligúria Faetontéa; quivi sopra la sponda del Po, fondò questa Colonia [Torino, n.d.r.] frà le altre singolarmente honorata. Perché prendendo gli Auspicij dal suo Api, adorato in Egitto per Patrio Nume sotto sembianza di Toro; del Nume istesso le diede le Insegne e ‘l Nome.»Come si vede, anche il Tesauro sostiene erroneamente che il nome di Torino derivi dal dio-toro egizio Api, notizia ripresa mille volte fino ai giorni nostri.In realtà, oggi sappiamo con assoluta certezza che le cose stanno diversamente, ossia che il nome della città subalpina deriva, attraverso la denominazione romana Augusta Taurinorum e quella medievale Taurinum, dai suoi antichi abitanti celto liguri, i Taurini. Si può anche essere certi che Torino, città romana e tutt’al più taurina, non è stata fondata dagli Egizi, per quanto la leggenda sia affascinante.

Fig.2 Frontespizio dell’Historia dell’augusta città di Torino (1679) del Tesauro. Il re Eridano presenta la pianta di Torino al dio egizio Api. Incisione di Georges Tasnière su disegno di Domenico Piola.

In definitiva, messa da parte la figura mitologica di Fetonte, quantomeno per mancanza di reali dati storici, l’unico legame indubitabile che l’antica Torino poteva vantare col mondo egizio era proprio il culto di Iside, praticato dai cittadini di Augusta Taurinorum così come in tutto il vasto territorio dell’impero romano.Come già accennato, fu proprio il Pingone nel XVI secolo a segnalare il rinvenimento, nei pressi della cittadella, della base di una statua dedicata alla dea egizia, mentre altri scarsi rinvenimenti, effettuati presso il mastio (11) della medesima cittadella, risalgono al 1961: in particolare, un frammento lapideo con decorazione a fogliame, ritenuto pertinente al tempio romano dedicato a Iside, si trova murato presso l’ingresso della saletta realizzata in quell’anno a destra dell’ingresso della fortezza. Tutto il resto, da Fetonte-Eridano al tempio egizio sotto la chiesa della Gran Madre, va nettamente annoverato tra le belle storie senza fondamento alcuno. Molte altre leggende inerenti la città hanno basi storiche così scarse, quando non del tutto assenti o inventate di sana pianta, da non permettere (e spesso non meritare) una disamina in questo testo: ad esempio, è impossibile analizzare le motivazioni generatrici della pessima fama che ammanta piazza Statuto, ritenuta un luogo malefico dove, oltre a collocarsi uno dei vertici del triangolo della magia nera (12), si nasconderebbe niente meno che la porta per accedere agli Inferi. In effetti, in certe ore il traffico è assai caotico, a tratti infernale! Al di làdell’ironia, si tratta ovviamente di pura letteratura, per così dire.Altre convinzioni, seppur basate su tracce male interpretate o su invenzioni neo esoteriche in stile new age, consentono qualche osservazione piùinteressante, che verrà affrontata durante la serata del 19 Settembre a Volpiano.

NOTE1) Paolo Perugino, erudito bibliotecario di Roberto I re di Napoli (che regnò tra il 1309 e il 1343), fu anch’esso autore, pochi decenni prima del Boccaccio, di una Genealogia degli Dei.2) Tra le più antiche fonti di Perugino poteva esserci Diodoro Siculo, che narrò del viaggio di Osiride in Europa (Diodoro Siculo I, 17. Plutarco, De Iside etOsiride XIII).3) Cronica di M. Marco Guazzo. Ne la quale ordinatamente contiensi l’essere de gli huomini illustri antiqui, & moderni, le cose, & i fatti di eterna memoria degni, occorsi dal principio del mondo fino à questi nostri tempi. 1553, Venezia.4) Tra questi, un’opera attribuita al sacerdote caldeo Beroso (vissuto tra il IV e il III secolo a.C.), che aveva scritto una storia di Babilonia in tre libri (citata da Giuseppe Flavio, Eusebio, Pausania, Plinio e altri), in realtà contraffazione del frate domenicano Giovanni Nanni (detto Annioda Viterbo, 1432-1502), redatta in cinque libri (due in più dell’originale perduto) e pubblicata la prima volta nel 1498 in: Commentaria Ioannis Annii […] Super opera diversorum autorum de antiquitatibus loquentium confecta. Nel quinto libro dell’opera del falso Beroso si narra dei viaggi di Fetonte-Eridano in Italia. 5) Filiberto Pingone, Augusta Taurinorum, Torino 1572, pag. 96) Personaggio mitologico mezzo uomo e mezzo pesce, ritenuto apportatore di civiltà.7) Ovidio, Le Metamorfosi, I, vv. 568-7508) La base in questione, rinvenuta nel 1567 nel corso dei lavori di sbancamento per la realizzazione della cittadella e oggi dispersa, conservava tracce dei piedi di una statua e riportava la seguente epigrafe:“ISIDI/T. MINUCONIUS/ ALEXANDER/ V.S.L.D.D.D.”. Il Pingone ne riportò il disegno su un manoscritto conservato presso l’Archivio di Stato di Torino (AST, Philibertus à Pingon Antiquitatis cultor sparsim colligebat, Storia della Real Casa, cat. 2ª, mazzo 6).9) Ossia “Signor Pingone“ in dialetto piemontese. Così lo chiama Luigi Gramegna nel suo celebre romanzo storico Monsù Pingon, edito a Torino nel 1906.10) Cfr. box Filiberto Pingone, ovvero Monsù Pingon, in Casa del Pingone.11) Il mastio (o “maschio”) è l’elemento di spicco e meglio munito di una fortificazione. Nel nostro caso, si tratta dell’ingresso della cittadella cinquecentesca.12) Dembech G. 1978. Torino Città Magica, Torino

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EQUINOZIO D’AUTUNNO(a cura di Katia Somà)

L’Estate lascia il passo all’Autunno, e con il 22 Settembre si festeggia l’Equinozio d’Autunno dove il giorno e la notte sono in perfetto equilibrio, come lo erano all’Equinozio di Primavera. Da questo momento in poi le notti cresceranno sempre di più fino a divenire più lunghe dei giorni, e l’inverno sarà nuovamente alle porte. Il sole scende agli "inferi" e le tenebre cominciano a prevalere sulla luce.Nella tradizione druidica l’Equinozio d’Autunno viene chiamato Alban Elfed (Autunno, o «Elued», Luce dell’Acqua) e Mabondai Gallesi, e segna il completamento nel ciclo evolutivo della ruota dell’anno.Nella mitologia celtica, Mabon ("giovane uomo" o "figlio divino"), dio gallese della giovinezza, della vegetazione e dei raccolti, era figlio di Modron e di Mellt. Era un dio cacciatore, il cui culto era diffuso in tutta la Britannia settentrionale.Secondo la studiosa di mitologia celtica M. J. Green il mito di Mabon è associabile al Maponus delle iscirzioni romano-britanniche, che lei definisce "Apollo celtico". Alcuni lo ritengono accostabile a Demetra o a Persefone a causa delle forti analogie presenti in questi miti. Probabilmente il mito scaturì dal carattere mitologico assegnato nel tempo ad un antico condottiero.Nel neopaganesimo, Mabon è uno degli otto sabbat. Esso rappresenta la seconda festività del raccolto, segnando per parte sua la fine della mietitura, così come Lughnasad ne aveva distinto l’inizio.

Questi momenti di passaggio rappresentano sempre un punto di svolta, anche se non ne siamo esplicitamente consapevoli, e dimostrano che siamo parte di qualcosa di grandioso, di eterno, di Divino. Gli Antichi celebravano in modo particolare questi momenti di trasformazione e passaggio in quanto considerati magici e ricchi di mistero.Terminato il raccolto, si fa un resoconto dell’anno e si preparano le provviste per l’inverno. La ritualità di questi eventi era solitamente di carattere agreste e veniva data grande importanza alla preparazione di cibi e sidro. Rappresenta una festa di ringraziamento per i frutti della terra in cui si evidenzia la necessità di dividerli con gli altri per assicurarsi la benedizione del Dio e della Dea durante i mesi invernali. Alban Elfed rappresenta un momento di riflessione e contemplazione, di ringraziamento per i frutti della terra e per le esperienze maturate nel corso dell’anno. Il ciclo produttivo e riproduttivo è concluso, con l’Autunno le foglie cominciano ad ingiallire e gli animali iniziano a fare provviste in previsionedell’inverno. E’ tempo di vendemmia dell’uva e preparazione del vino.

Ruota dell’anno

I simboli di Mabon sono la mela, la vite e l’edera, tutti prodotti tipici della stagioni che celano significati ben più profondi. La mela è simbolo di immortalità e dell’Altro Mondo, mentre vite ed edera crescono a spirale, segno distintivo di rinascita ciclica. Dalla vite inoltre si ricava il vino, ritenuto dai popoli antichi dono divino e pertanto sacro. Il vino infatti è capace di alterare la percezione e procurare visioni. Nella Grecia antica il mese di Settembre era il periodo in cui si svolgevano i Grandi Misteri di Eleusi, dove il neofita poteva partecipare alla cerimonia allo scopo di ricercare l’immortalità e la felicità nel mondo dell’aldilà. Essi si tenevano a Eleusi, una località distante circa 20 km da Atene. Nella Roma antica, nelle grotte sacre a Mithra, si svolgevano i riti iniziatici con l’uccisione simbolica del Toro Cosmico che rappresentava l’Oro Filosofale o potenza generatrice. E' da sempre considerato un momento di passaggio molto critico dove la barriera tra il mondo visibile e quello invisibile è molto sottile.

Le nozze di Cana - Giotto. Cappella degli Scrovegni. Padova

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Pag.11L’Arcangelo Michele (di Juan de la Abadia 1490)

Egli è considerato allo stesso modo nella Chiesa di Cristo, che gli ha sempre riservato fin dai tempi antichissimi, un culto e devozione particolare, considerandolo sempre presente nella lotta che si combatte e si combatterà fino alla fine del mondo, contro le forze del male che operano nel genere umano.Dopo l’affermazione del cristianesimo, il culto per san Michele, che già nel mondo pagano equivaleva ad una divinità, ebbe in

Oriente una diffusione enorme, ne sono testimonianza le innumerevoli chiese, santuari, monasteri a lui dedicati; nel secolo IX solo a Costantinopoli, capitale del mondo bizantino, si contavano ben 15 fra santuari e monasteri; più altri 15 nei sobborghi. Tutto l’Oriente era costellato da famosi santuari, a cui si recavano migliaia di pellegrini da ogni regione del vasto impero bizantino e come vi erano tanti luoghi di culto, così anche la sua celebrazione avveniva in tanti giorni diversi del calendario. Perfino il grande fiume Nilo fu posto sotto la sua protezione, si pensi che la Chiesa funeraria del Cremlino a Mosca in Russia, è dedicata a S. Michele. Per dirla in breve non c’è Stato orientale e nord africano, che non possegga oggetti, stele, documenti, edifici sacri, che testimoniano la grande venerazione per il santo condottiero degli angeli, che specie nei primi secoli della Chiesa, gli venne tributata. In Occidente si hanno testimonianze di un culto, con le numerosissime chiese intitolate a volte a S. Angelo, a volte a S. Michele, come pure località e monti vennero chiamati Monte Sant’Angelo o Monte San Michele, come il celebre santuario e monastero in Normandia in Francia, il cui culto fu portato forse dai Celti sulla costa della Normandia; certo è che esso si diffuse rapidamente nel mondo Longobardo, nello Stato Carolingio e nell’Impero Romano. In Italia sano tanti i posti dove sorgevano cappelle, oratori, grotte, chiese, colline e monti tutti intitolati all’arcangelo Michele.Verrà affrontato il significato simbolico di San Michele nei prossimi numeri della rivista.

Il periodo equinoziale di autunno è chiamato anche Michaelmas o Michael Superno (simile a Dio), il giorno dedicato all'arcangelo di fuoco e di luce, alter ego di Lucifero. E' il principe e comandante supremo delle schiere celesti, l’arcangelo di luce che con al sua spada di fuoco sconfisse Satana e, pertanto, considerato il protettore della Chiesa Cattolica Romana, nonché il santo patrono della nazione ebraica. Il culto di San Michele era molto sentito nell'Europa pre-rinascimentale tanto che circa la metà delle chiese presenti erano a lui dedicate. È festeggiato il 29 Settembre. E’ considerato “capo supremo dell’esercito celeste”, cioè degli angeli in guerra contro il male, che nell’Apocalisse è rappresentato da un dragone con i suoi angeli; esso sconfitto nella lotta, fu scacciato dai cieli e precipitato sulla terra.In altre scritture, il dragone è un angelo che aveva voluto farsi grande

quanto Dio e che Dio fece scacciare, facendolo precipitare dall’alto verso il basso, insieme ai suoi angeli che lo seguivano. Michele è stato sempre rappresentato e venerato come l’angelo-guerriero di Dio, rivestito di armatura dorata in perenne lotta contro il Demonio, che continua nel mondo a spargere il male e la ribellione contro Dio.

Raffaello Sanzio:San Michele e il drago 1505 circa,olio su tavola, 31 x 27 cmMusée du Louvre, Parigii

"San Michele sconfigge il diavolo", di EugèneDelacroix 1854-61

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Inoltre, i Pitagorici considerarono il numero dispari come «maschile», e il pari come «femminile ». Infine, i Pitagorici considerarono i numeri pari come «rettangolari» e i numeri dispari come « quadrati ». Infatti, se si dispongono attorno al numero uno le unità costituenti i numeri dispari, si ottengono dei quadrati, mentre, se si dispongono in modo analogo le unità costituenti i numeri pari, si ottengono dei rettangoli, come dimostrano le seguenti figure, che esemplificano, la prima, i numeri 3, 5 e 7, la seconda, i numeri 2, 4, 6 e 8. (Fig.2) L'« uno » dei Pitagorici non è né pari né dispari: è un «parimpari », tanto è vero che da esso procedono tutti i numeri, sia pari, sia dispari; aggiunto ad un pari genera un dispari e aggiunto ad un dispari genera un pari. Lo zero rimase invece sconosciuto ai Pitagorici e alla matematica antica.Il numero perfetto fu identificato con il 10, che visivamente era raffigurato come un triangolo perfetto, formato dai primi quattro numeri, ed avente il numero 4 per ogni lato (la tetraktys). (Fig.3)

Tutte le cose derivano dai numeri; tuttavia i numeri non sono il primum assoluto, ma derivano essi stessi da ulteriori «elementi». In effetti, i numeri risultano essere una quantità(indeterminata) che via via si determina o delimita: 2, 3, 4, 5,6... all'infinito. Due elementi risultano quindi costituire il numero: uno indeterminato o illimitato e uno determinante o limitante. Il numero nasce quindi «dall'accordo di elementi limitanti e di elementi illimitati », e, a sua volta, genera tutte le altre cose. Ma proprio in quanto generati da un elemento indeterminato e da uno determinante, i numeri manifestano una certa prevalenza dell'uno o dell'altro di questi due elementi: nei numeri pari predomina l'indeterminato (e quindi per i Pitagorici i numeri pari sono meno perfetti), mentre nei dispari prevale l'elemento limitante (e perciò sono più perfetti). Se noi, infatti, raffiguriamo un numero con dei punti geometricamente disposti (si pensi all'uso arcaico di utilizzare dei sassolini per indicare il numero e per fare operazioni, da cui è derivata l'espressione «fare i calcoli»nonché il termine calcolare, dal latino «calculus» che vuol dire «sassolino»), notiamo che il numero pari lascia un campo vuoto alla freccia che passa in mezzo e non trova un limite, e quindi mostra la sua difettosità (illimitatezza), mentre nel numero dispari, per contro, rimane sempre una unità in più, che de-limita e de-termina. (Fig.1)

PITAGORA E IL NUMERO COME PRINCIPIO (a cura di Sandy Furlini) Parte II

Fig.3 La Tetraktis pitagorica

La raffigurazione mostra che il 10 è uguale a 1 + 2 + 3 + 4. Ma c'è di più. Nella decade «sono contenuti egualmente il pari (quattro pari: 2, 4, 6, 8) e il dispari (quattro dispari 3, 5, 7, 9), senza che predomini una parte». Inoltre risultano uguali i numeri primi e non composti (2, 3, 5, 7) e i numeri secondi e composti (4, 6, 8, 9). Ancora « possiede uguali i multipli e sottomultipli: infatti ha tre sottomultipli fino al cinque (2, 3, 5) e tre multipli di questi, da sei a dieci (6, 8, 9) ». Inoltre « nel dieci ci sono tutti i rapporti numerici, quello dell'uguale, del meno-più, e di tutti i tipi di numero, ì numeri lineari, i quadrati, i cubici. Infatti l'uno equivale al punto, il due allalinea, il tre al triangolo, il quattro alla piramide: e tutti questi numeri sono principi ed elementi primi delle realtàad essi omogenee». È nata così la teorizzazione del “sistema decimale” (sì pensi alla tavola pitagorica) e la codificazione della concezione della perfezione del dieci che resterà operante per interi secoli: « Il numero dieci èperfetto, ed è giusto secondo natura che tutti, sia noi Greci sia gli altri uomini, ci imbattiamo in esso nel nostro numerare, anche senza volerlo ».

Fig.1

Fig.2

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Tutto questo conduce a un'ulteriore conquista fondamentale. Se il numero è ordine («accordo di elementi illimitati e limitanti »), e se tutto èdeterminato dal numero, tutto è ordine. E poiché in greco « ordine » si dice « kósmos », i Pitagorici chiamarono l’universo «cosmo», ossia «ordine». Dicono le nostre testimonianze antiche: « Pitagora fu il primo che denominò cosmo l'insieme di tutte le cose, per l'ordine che c'è in esse»; «I sapienti (Pitagorici) dicono che cielo, terra, Dei e uomini sono tenuti insieme dall'ordine [ ... ] , ed è proprio per tale ragione che essi chiamano questo tutto "cosmo", ossia ordine». È dei Pitagorici l'idea che i cieli, ruotando, appunto secondo numero e armonia, producano «una celeste musica di sfere, bellissimi concenti, che le nostre orecchie non percepiscono, o non sanno più distinguere, perché abituatesi da sempre a sentirla».Con i Pitagorici il pensiero umano ha ormai compiuto un passo decisivo: il mondo ha cessato di essere dominato da oscure e indecifrabili potenze ed è diventato numero; il numero esprime ordine, razionalità e e verità. Afferma Filolao: «Tutte le cose che si conoscono hanno numero; senza questo, nulla sarebbe possibile pensare né conoscere»; «giammai menzogna spira verso il numero ».Con i Pitagorici l'uomo ha imparato a vedere il mondo con altri occhi, os-sia come l'ordine perfettamente penetrabile dalla ragione.

Alcmeone di Crotone, medico e filosofo, è uno dei Pitagorici più antichi, essendo allievo diretto di Pitagora quando il caposcuola era in età avanzata. Filolao, probabilmente originario di Taranto, contemporaneo di Socrate, scampato alle persecuzioni antipitagoriche nel meridione italico, rifonda a Tebe un circolo pitagorico di notevole importanza. Le testimonianze ed i frammenti che li riguardano, sono documenti significativi per la comprensione delle dottrine della Scuola; essi ricollegano i "Numeri" alla dottrina cosmologica degli Opposti, mostrando così che anche i Pitagorici aderiscono, per l'essenziale, a tale cosmogonia tradizionale , che quindi non può essere un'invenzione pitagorica.«Il numero ha due specie sue proprie, il dispari e il pari», ripete Filolao (framm. 5). L'opposizione Pari-Dispari è la madre di tutte le opposizioni che si danno nel campo dei Numeri. Ma anche l'intera vita cosmica è contrassegnata dai contrasti tra forze contrarie: «limite-illimitato» (Filolao, v. Framm. l e 2), «umido-secco, freddo-caldo, amaro-dolce e così via» (Alcmeone, Framm. 4)In definitiva, la molteplicità degli eventi cosmici porta il contrassegno di due qualità energetiche essenziali e opposte: questa estrema sintesi viene condensata nei Simboli numerici fondamentali, vale a dire il Dispari (che secondo i Pitagorici rappresenta le energie solari, maschili etc.) e il Pari (che rappresenta le potenze lunari, femminili, notturne etc.)

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Le Nove Muse che ispirano Arion, Orfeo e Pitagora sotto gli auspici dell'Aria personificata, sorgente di tutta l'Armonia. 13° secolo, Public Library Reims

Tratto da: Giamblico, La Vita Pitagorica, BUR, pag. 257

XXXV - In quale modo per mezzo della musica e di melodie egli [ Pitagora ] educava gli uomini in momenti determinanti e quando procuravano loro particolare affanno le affezioni dell'animo; quali purificazioni dei mali dell'animo e del corpo procurava tramite la musica e in qual modo le praticava.

XXV (110). Egli [ Pitagora ] era dell'opinione che anche la musica fornisse un notevole contributo alla salute, qualora a essa ci si dedicasse nel modo confacente. In effetti la considerava un mezzo tutt'altro che secondario di procurare la "catarsi" . Era questo il nome che dava alla cura operata per il tramite della musica. A primavera eseguiva questo esrcizio musicale: faceva sedere in mezzo un liricine, mentre tutt'intorno sedevano i cantori e così, al suono della lira, cantavano insieme dei peani che ritenevano procurassero loro gioia, armonia e ordine interiore. Ma anche in altri periodi dell'anno i pitagorici si servivano dellamusica come mezzo di cura.

(111). C'erano determinate melodie, composte per le passioni dell'anima - gli stati scoraggiamento e di depressione - che pensavano fossero di grandissimo giovamento. Altre erano per l'ira e l'eccitazione e ogni altra consimile perturbazione dell'animo. Inoltre esisteva una musica di genere differente, escogitata al fine di contrastare il desiderio. I pitagorici usavano anche danzare, e lo strumento di cui si servivano a questo fine era la lira, perché il suono del flauto lo consideravano violento, adatto alle feste popolari e del tutto indegno di uomini di condizione libera. Per favorire l'emendazione dell'animo usavano inoltre recitare versi scelti di Omero e di Esiodo.

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Pitagora e l'Orfismo e la « vita pitagorica »

Abbiamo detto che la scienza pitagorica era coltivata come mezzo per raggiungere un ulteriore fine. E questo fine consisteva nella pratica di un tipo di vita atto a purificare e a liberare l'anima dal corpo.Pitagora sembra essere stato il primo dei filosofi che sostenne la dottrina, della metempsicosi, vale a dire quella dottrina secondo la quale l'anima, a motivo di una colpa originaria, è costretta a reincarnarsi in successive esistenze corporee (e non solo in forme d'uomo, ma altresì in forme di animali), per espiare quella colpa. Le testimonianze antiche riferiscono, tra l'altro, che egli diceva di ricordarsi delle sue precedenti vite. La dottrina, come sappiamo, viene dagli Orfici; ma i Pitagorici modificano l'Orfismo almeno nel punto essenziale che ora illustriamo. Il fine della vita è quello di liberare l'anima dal corpo, e per raggiunere tale fine occorre purificarsi. E’ nella scelta degli strumenti e dei mezzi di purificazione che i Pitagorici si differenziano nettamente dagli Orfici.

E poiché il fine ultimo era quello di tornare a vivere tra gli Dei, i Pitagorici introdussero il concetto del retto agire umano come un farsi «seguace di Dio», come un vivere in comunione con la divinità: Riferisce una testimonianza antica: «Tutto quanto i Pitagorici definiscono circa il fare o non fare ha per mira la comunione con fa divinità: questo è il principio, e tutta la loro vita va coordi-nata a questo fine di lasciarsi guidare dalla divinità».I Pitagorici furono, in tal modo, gli iniziatori di quel tipo di vita, che fu chiamato (o che già essi chiamarono) « bíos theoretikós » «vita contemplativa » ossia una vita spesa nella ricerca della verità e del bene tramite la conoscenza; che è la più alta «purificazione»(comunione col divino). Platone darà a questo tipo di vita la più perfetta espressione nel Gorgia, nel Fedone e nel Teeteto.

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Pitagora. Tratto da www.znanje.org

Questi orientamenti di fondo, ampiamente diffusi nell'antichità e nel medio evo, costituiscono tra l'altro il retroterra di diverse scienze tradizionali occidentali ed orientali. Di qui anche le particolari applicazioni in medicina, ad opera per esempio di Alcmeone, per il quale «ciò che mantiene la salute è l'equilibrio delle potenze: umido-secco, freddo-caldo, amaro-dolce e così via; invece il predominio d'una di esse genera malattia, perché micidiale è il predominio d'un opposto sull'altro[...]. Invece la salute è la mescolanza proporzionata delle qualità»(Framm. 4). Ovviamente, compito del medico pitagorico sarà quello di individuare gli squilibri sopra esemplificati, e di favorire il ritorno all'equilibrio salutare, togliendo le energie in eccesso e potenziando quelle in difetto, secondo uno schema operativo che avrà ampio seguito in tutte le tradizioni premoderne.

Diversi autori contemporanei, sulla base di una confusa percezione della dottrina degli opposti, hanno ricavato la conclusione che quindi la filosofia pitagorica è dualista. Ma dottrina "dualistica" riguarda solo la cosmologia, e non l'intera filosofia pitagorica: l'errore degli autori in questione consiste nello scambiare la parte cosmologica della filosofia pitagorica con l'intera filosofia, che invece è ben direzionata verso il superamento della "dualità", cioè verso una Metafisica della non-dualità.Infatti, e ben vero che «quasi tutte le cose umane sono dualità», come ben recita un detto di Alcmeone. In effetti, la vita umana ordinaria sembra confinata nella dualità dovuta a vario titolo alle forze opposte e limitative che qualificano l'intera esistenza cosmica. Tuttavia tali forze, simbolizzate dal Tre e dal Due, cioè dal primo numero dispari e pari, non sono principi assoluti, ma solo "cosmologici": in altre parole, non esauriscono il reale in modo assoluto ma sono compresi, cioè ospitati, in una dimensione ulteriore e più ampia, che nel simbolismo pitagorico prende il nome di Uno, il quale quindi è al di là di tutte le opposizioni dualistiche, e proprio per questo simbolizza la dimensione assoluta e onnicomprensiva della Non-Dualità.

Infatti le forze cosmiche del Dispari (o del Tre) non possono essere principi assoluti, proprio perché si contendono il reale con le potenze avversarie del Pari (o del Due), che sono parimenti necessarie ed incancellabili; invece l'Uno, trascendendo ed includendo tutte le opposizioni, non può avere oppositori e a nulla si oppone; corrisponde perciò al Divino, ricordato da Filolao, che nel suo illimitato e premuroso custodire si prende cura di tutte le cose senza eccezione, senza rifiutare alcuna. Quanto detto è indispensabile anche ai fini della realizzazione spirituale (talvolta scambiata, nei manuali scolastici, per una bizzarra ed incomprensibile "mistica dei numeri").

Bibliografia essenziale:

Reale-Antiseri, La filosofia nel suo sviluppo storico, vol. I, La Scuola, 1988

Abbagnano-Fornero, Filosofie e filosofie nella storia, vol. I, Paravia, 1986

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PAROLE SACRE INCISE Introduzione allo studio dell’egiziano. ( a cura di Federico Bottigliengo)

Cosa accadrebbe se, per miracolo, si resuscitasse una mummia? Le parole che essa pronuncerebbe avrebbero buona probabilità di non essere comprese neppure dall’egittologo più versato nel campo della filologia faraonica. E certo questi sarebbe assai imbarazzato nel dire qualche cosa al nostro Egizio redivivo. Si troverebbero l’uno di fronte all’altro, un po’come dei sordi, incapaci di dare un senso ai suoni pronunciati; ma avrebbero la risorsa immediata di ricorrere alla scrittura, e credo che allora la comunicazione possa essere ristabilita. (Jan Capart, “Io leggo i geroglifici”, Torino 2007, p. 12)

Lo studio della lingua dell’antico Egitto non può avvenire se non in unione con quello della sua scrittura, quella geroglifica; questo perché, in primo luogo, la resa della lingua è imperfetta in quanto si effettua attraverso una scrittura non ancora alfabetica, inoltre, secondariamente, per il fatto che gli antichi Egizi nonavvertirono alcuna differenza tra la scrittura e la lingua stessa: il segno scritto è “il corpo” della parola, da essa indissolubile; in altre parole, la lingua stessa si rendeva visibile esclusivamente attraverso i segni geroglifici e veniva “fossilizzata”. Di conseguenza la scrittura geroglifica poteva essere utilizzata esclusivamente per la lingua egiziana e non per la resa grafica di quelle straniere. Di più, il valore della più antica scrittura egizia, quella geroglifica, è metafisico, ontologico, in quanto appare inizialmente come un fatto di esistenza e non di comunicazione; nasce come mezzo destinato a far esistere ciò che vi è rappresentato, in funzione dello sforzo perseguito dagli Egiziani di assicurare la permanenza del mondo al di fuori dellareale struttura temporale: “dire” è sinonimo di “fare, far esistere”; in altri termini, la scrittura è un sistema vivo, concreto, attivo e operante, un atto di creazione.

Il corso vuole essere un punto di partenza, di stimolo ad uno studio più approfondito, che non può essere affrontato in poche ore di lezione. Esso verteràsolamente sulla scrittura geroglifica, tralasciando completamente le altre grafie egiziane (ieratico, demotico e copto) e si articolerà in tre serate: 1) nella prima saranno forniti i lineamenti generali sul sistema grafico e fonetico con relative esercitazioni;2) nella seconda si studierà forma verbale di base con relativa esercitazione;3) nella terza saranno tradotte insieme alcune epigrafi egiziane autentiche per impratichirsi sulla lettura e il riconoscimento della grafia originale.

Introduce così il Primo corso di scrittura geroglifica organizzato dalla Tavola di Smeraldo l’egittologo torinese Bottigliengo, figura ormai nota nel nostro circuito culturale. Si tratta di una esperienza del tutto nuova e certamente interessante ma nel contempo intrigante così come lo è l’intera cultura dell’Egitto antico. Entrare dal vivo nel mondo dei favolosi segni grafici di una cultura che da sempre ha fatto sognare, sarà come fare un salto nel tempo .. Ed in particolare a Torino, o comunque nei suoi paraggi, città che come abbiamo visto ha risentito non poco dell’ondata egittomanica che ha permeato tutto l’Ottocento e che in molti ambienti dura tutt’oggi.

Venerdì 13, 20 e 27 Novembre 2009, a San Benigno Canavese (TO), nella Biblioteca comunale della bella Villa Volpini in Via Giovanni XXIII n°16, sarà possibile conoscere le “parole sacre incise”..

(Iscrizione obbligatoria. Evento gratuito per i soci)

Particolare di sarcofago di Gemenefherbak. Museo Egizio di Torino

Talatat di Akhenaton. Kestner Museum. Hannover

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CONFERENZE, EVENTI

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19 Settembre 200919 Settembre 2009Palazzo Oliveri, Volpiano (TO), Piazza XXV AprileINAUGURAZIONE ATTIVITA’ SECONDO SEMESTRE 2009Torino dalla mitologia all’esoterismoRelatore: Fabrizio Diciotti, Presidente Gruppo Archeologico Torinese (GAT)

Presentazione del progetto di studio “Esoterismo ed occulto nella storia di Casa Savoia” in collaborazione con Gruppo Amici del Passato (Volpiano)Ingresso libero

31 OTTOBRE 2009Convegno

“RIFLESSIONI SUL DOLORE E LA SOFFERENZA”Volpiano (TO), Sala Polivalente. Via Trieste n°1

Argomenti trattatioppioidi e dolore non oncologico, terapia del dolore, la dimensione sanitaria, etica e sociale

Tavola Rotonda“Alimentazione / idratazione e sofferenza alla fine della vita”

Moderatore: Oscar BertettoIntervengono: Pierpaolo Donadio, Domenico Gioffrè, Maurizio Mori, Michele Piccoli, Paola Piscozzi, Marilia

Boggio Marzet, Ermis Segatti, Furio Zucco.

PROGRAMMA DEFINITIVO scaricabile dal sito www.tavoladismeraldo.it alla pagina EVENTI

INGRESSO GRATUITO FINO AD ESAURIMENTO POSTI PER LA CITTADINANZA

ACCREDITATO ECM PER MEDICI ED INFERMIERI SU ISCRIZIONE

ALLA RISCOPERTA DEL NOSTRO TERRITORIO

RIFLESSIONI SULL’UOMO

CORSO DI SCRITTURA GEROGLIFICACORSO DI SCRITTURA GEROGLIFICA

Venerdì 13, 20 e 27 Novembre 2009 ore 20:30

Villa Volpini San Benigno Canavese

Relatore: Federico Bottigliengo (Egittologo)

Iscrizione obbligatoria. Il corso è gratuito per i soci del Circolo Culturale Tavola di Smeraldo. Verranno rilasciati attestati di partecipazione e dispense agli iscritti.

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IL LABIRINTO

Periodico telematico di informazione a cura del Circolo Culturale Tavola di Smeraldo. Anno 2, n°9 Giugno 2009

Circolo Culturale Tavola di SmeraldoVia Carlo Alberto n°37 10088 Volpiano (TO) Tel. 335-6111237 / 333-5478080http://www.tavoladismeraldo.itmail: [email protected]

Comitato Scientifico: Sandy Furlini, Paolo Cavalla,Katia Somà, Roberta Bottaretto

Collaboratori:Antico Egitto: Federico BottigliengoStregoneria in Piemonte: Massimo CentiniMedioevo Occidentale e Crociate: Francesco Cordero di PamparatoStoria dell’Impero Bizantino: Walter HaberstumpfArcheologia a Torino e dintorni: Fabrizio DiciottiFruttuaria: Marco NotarioAntropologia ed Etnomedicina: Antonio Guerci Psicologia e psicoterapia: Marilia Boggio MarzetEtica della cura del dolore: Domenico Gioffrè

ISCRIZIONI AL CIRCOLO CULTURALE TAVOLA DI SMERALDO

Collegandosi a www.volpianomedievale.it, nella sezione CONTATTI è possibile scaricare la modulistica predisposta per l’iscrizione.

Ogni aspirante socio dovrà compilare in tutte le sue parti i moduli predisposti ed inviarli al Presidente. La quota associativa per l’anno 2009 è stata fissata dal Consiglio Direttivo pari a €50.

ATTIVITA’ ASSOCIATIVE 2009

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Generalità:-Ente Organizzatore: Circolo Culturale Tavola di Smeraldo-Patrocini richiesti: Comuni di Volpiano (TO) e San Benigno Canavese (TO) e Provincia di Torino -Collaborazioni e Partnership: Associazioni Locali -Partecipazione: gratuita, iscrizione obbligatoria-Prevista una mostra delle fotografie in gara e premiazione pubblica-Soggetti: inquadrature inerenti il territorio, paese o periferia, dei Comuni di Volpiano e San Benigno C.se

NUOVO SITO INTERNET:

Aperto il nuovo sito che porta il nome del circolo. www.tavoladismeraldo.it In programma apertura di aree tematiche di facile accesso e consultazione. Chiunque fosse interessato a collaborazioni può contattare la direzione del Circolo mediante mail [email protected]

SGUARDI E ANGOLI DI PAESE

PREMIO “ENRICO FURLINI”RIFLESSIONI SUL DOLORE E LA SOFFERENZA1° edizione 2009

IL BANDO COMPLETO, IL MODULO D’ISCRIZIONE ED EVENTUALI AGGIORNAMENTI O MODIFICHE SONO SCARICABILI DAL SITO www.tavoladismeraldo.itScadenza per la presentazione dei lavori 14 Settembre 2009

Per avvicinarci maggiormente ai nostri luoghi, entrarne nei particolari e poter condividere immagini e scorci magari poco noti, la Tavola di Smeraldo organizza un concorso fotografico che ha per soggetto iComuni di Volpiano e San Benigno Canavese. I termini particolari del concorso verranno presto resi noti.

Cappella di San Rocco. Volpiano (TO) Foto di Katia Somà. 2006

Chi fosse interessato ad entrare nel Comitato Organizzativo può contattarci alla nostra mail o Tel. 335-6111237 (S. Furlini)