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IL GIOCO DEL BAMBINO a cura della dott.ssa Miranda Barisone – psicologa Gli EBOOK di Bimbò-bambinidavivere.com 1 Copyright 2010 Distrada S.r.l. - Bimbò

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IL GIOCO DEL BAMBINO

a cura della dott.ssa Miranda Barisone – psicologa

Gli EBOOK di Bimbò-bambinidavivere.com

1Copyright 2010 Distrada S.r.l. - Bimbò

GIOCARE PRIMA DI GIOCATTOLI

Si regalano giocattoli perché i bambini, fin dai primordi, giocano. Il giocare, il

saper giocare è forse l’espressione infantile che ai grandi sembra più misteriosa e che

li caratterizza a livello universale (tutti i cuccioli d’uomo giocano). I bambini

giocano spontaneamente; per loro giocare è lavorare, inventare, creare, rappresentare,

codificare, fare teatro, diventare capaci di comprendere mediante attività simboliche,

logiche, tattili, manuali. È un processo di apprendimento fatto per libera scelta, non

per costrizione, ma anzi per un impulso di piacere. È creatività allo stato puro e

plenario, di cui i piccoli danno un saggio fin dalle origini. Quando toccano e

manipolano un oggetto fra le mani e lo mettono in bocca, “giocano”, ossia imparano.

Nel giro di pochi mesi la manualità fa passi da gigante e rende il piccolo capace di

afferrare l’oggetto che ha in mano, per piegarlo “a fare il suo gioco”, ossia per

comporre una serie di gesti che hanno una sequenza voluta, ricercata (rompere un

pezzo di carta, voltare un pagina, piegare in due qualcosa, arrotolare la mollica del

pane, frantumare un biscotto ecc.) da cui si può creare perfino una storia. Gli oggetti

sono lì perché lui se ne serva a suo piacimento e li trasformi in qualcosa d’altro. Per

esempio un bambino di poco più di anno afferra una pentola, la guarda, prende atto di

come è fatta, ma poi se la mette in testa e la usa come un cappello. I bambini non

usano gli oggetti per lo scopo per cui sono sorti e inventati, ma per fare le loro

esperienze; li usano creativamente, destando reprimende, castighi, pedagogie degli

adulti che fanno una gran fatica a capire e giustificare i bambini nel loro ribaltamento

del piano di realtà. I bambini vengono sgridati per fare quello che inventano, per

imparare spontaneamente una grande quantità di skills.

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In periodi preindustriali e in ambienti dove sussiste un’economia ancora

primitiva i bambini trovano i giochi per caso fra gli utensili della casa; tuttavia si

divertono in modo speciale quando le loro attività ludiche si realizzano mediante

oggetti costruiti appositamente per essere manipolati, ossia tramite i giocattoli, che

vengono riconosciuti come qualcosa di loro assoluta proprietà. Appena nati li hanno

lì davanti: sono i sonagli, i gingilli, i campanelli, gli stimolatori sensoriali, da cui

lattanti sono circondati fin dai primi giorni di vita, quando non sanno ancora nulla del

dono (per questo non ci occuperemo di questi strumenti). Verso l’anno di vita i

bambini ricevono in regalo giocattoli ormai molto strutturati che “servono per fare

qualcosa di finalizzato”. Quel qualcosa i bambini l’alterano a modo loro; va

benissimo qualsiasi uso. Veniamo quindi ai giocattoli.

GIOCATTOLI

Da una lunga tradizione, Natale è diventato sinonimo di regali.

Per quell’occasione i piccoli (si dice) vengono letteralmente bombardati di doni e di

strenne, rimpinzati di dolci, vestiti con abiti speciali – le bambine spesso sfoggiano

un abito lungo di velluto rosso impreziosito di gale –, fotografati con i regali nuovi

fiammanti e spesso portati il giorno dopo a sciare sulla neve. Diciamolo subito; anche

questo è un luogo comune, molti bambini si devono accontentare di molto meno.

Ma retrocediamo di una cinquantina/sessantina d’anni. La festa rallegrava e

portava una ventata di freschezza e di gioia, a moltissimi bambini che in via di

massima ricevevano dei regali solo per Natale. Il 25 dicembre era la loro festa, una

data nella quale anche bambini che si dovevano accontentare di poco, ricevevano

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finalmente la loro gratificazione. Poiché una volta i piccoli ricevano durante tutto

l’anno assai meno regali di adesso, l’attesa delle bambole o dei trenini sotto l’albero

diventava spasmodica. Si trasformava in un evento che restava inciso nella mente. Il

giocattolo era correlato con quel giorno speciale; si doveva aspettare il compiersi di

un intero anno per riceverne un altro di pari entità. Questo dava alla festa un senso

speciale, collegato al significato religioso (ci è nato un bambino) assai più di adesso,

quando i regali hanno scadenze molto più frequenti . Proprio per questo, per non fare

un dono qualsiasi, è opportuno riflettere sul valore del dono in sé e sul tipo di dono

che si vuol regalare per questa occasione.

I bambini ricevono giocattoli, ossia oggetti prodotti dalle fabbriche

appositamente per le loro esigenze e congegnati in modo da garantire ai piccoli

l’estrinsecazione delle loro capacità. Usando il manufatto, detto giocattolo, i bambini

possono scaricare le emozioni ed elaborare la loro creatività, investire su qualcosa

che libera le loro potenzialità. Il giocattolo è il medium per eccellenza che permette ai

bimbi di esprimere la loro personalità. Li aiuta a risolvere problemi psicologici,

ambientali, cognitivi e affettivi. Sono uno strumento meraviglioso perché polivalente,

qualcosa di indispensabile per la loro crescita come le vitamine, l’aria aperta e le

corse su un prato. Il gioco è una splendida simulazione della realtà, che loro

manipolano plasticamente, perché stanno costruendo il loro mondo interno, i loro

parametri di giudizio, fanno le loro prove per affrontare il loro inserimento

psicologico e comportamentale in quella dimensione che convenzionalmente si

chiama realtà adulta. Il giocattolo, se intelligente e pensato per questo scopo, è un

oggetto quasi indispensabile per la crescita di ogni bambino.

Faremo un’analisi sul tipo di giocattoli esemplari.

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ANIMALI DA TRAINARE

Sono i primi giocattoli da regalare a un bambino, quando incomincia a

camminare e si diverte a portare con sé amici animali . Si tratta di un gioco che è a

metà fra l’oggetto transizionale e lo stimolo sensoriale. Trainare aiuta il bambino a

controllare il suo orientamento spaziale. Gli si può chiedere di portare il giocattolo in

cucina o in camerina, gli si può suggerire di metterlo fermo in quell’angolo o di

andarlo a prendere. Gli esempi sono infiniti. Così il cagnolino o il gattino con le

rotelle al posto delle zampe diventa un oggetto prezioso per sottolineare la

presenza/assenza di un oggetto, per indurre il bambino ad agguantarlo o a lasciarlo

andare, per scoprire il vicino/lontano, per rassicurarlo nella sua capacità di controllare

l’oggetto perduto (per dare al bambino la sicurezza che il lontano può essere

avvicinato). Gli faremo notare con l’esperienza che può rincorrere e appropriarsi gli

oggetti, aiutandolo a superare l’angoscia della perdita. Il gioco del vicino/lontano non

è esclusivo degli animali da traino; un nipotino di Freud è diventato famoso per

giocare con un rocchetto che avvicinava o allontanava da sé ( fort und da), con il

quale simulava vissuti di allontanamento e riavvicinamento dalla mamma. Gli

animali trainabili danno anche il senso di andare “assieme a”; fanno intendere che

camminare non vuol dire andare sempre da soli da qualche parte, ma che è possibile e

piacevole andare in compagnia con qualcuno. Gli animali da traino sono diventati

adesso delle vere macchine di stimolazione sensoriale che aiutano il piccolissimo a

interiorizzare e arricchire una molteplicità di sensazioni uditive, visive, tattili.

Quando vengono azionati, hanno code e orecchie mobili, emettono luci e suoni, che

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attivano una buona sinestesia. Regalarne uno o due è una scelta azzeccata, soprattutto

se si aiuterà il piccolissimo a interagire con l’animale, invitandolo a toccarlo, a

parlargli, a dargli da mangiare, in modo che maturi il processo di identificazione.

Per chi in particolare?

Giocattolo ideale per tutti i bambini maschi e femmine, appena imparano a

camminare

PELUCHES

Sono il meglio dei regali per i più piccoli. Negli ultimi tempi hanno conosciuto

una popolarità esponenziale, sostituendo in parte perfino le bambole, che da tempo

immemorabile detenevano il primato delle preferenze. I peluches sono bisessuali,

vanno bene sia per le bambine sia per i bambini. Morbidi, soffici, teneri, i peluches

non solo sono amatissimi dai bambini, ma offrono una serie assai vasta di funzioni.

Sono i compagni insostituibili della buona notte, quegli oggetti transizionali che al

bambino sembrano quasi parte di sé e su cui proietta la sua immagine. In qualche

modo sono un suo doppio. Riconosciuti come oggetti amici e affidabili e quindi

buoni, i peluches sono oggetto di potentissime identificazioni. In quanto alter ego del

bambino. il peluche condivide con lui tutte le esperienze esistenziali. Va a letto,

dorme oppure si arrabbia e fa i capricci, mangia oppure fa l’inappetente, viene

coccolato, ma anche maltrattato, è buono, ma fa le bizze. Si comporta come un

bambino e come tale viene trattato. Sul pupazzo si scarica la rabbia, ma anche la

richiesta di perdono e di pacificazione; è il fratello che conforta e condivide le

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avventure e disavventure del bambino. L’amicizia con il peluche ha infinite

sfaccettature e si presta spontaneamente a diventare storia. L’animale di pezza diventa

protagonista di storie inventate direttamente dal bambino o sviluppate in

cooperazione con i genitori. È quindi uno stimolo per lo sviluppo della fantasia e

della realtà mentale. In commercio si vendono peluches di fattura sofisticata e

raffinata e la serie di animali riprodotta è ricchissima. C’è solo l’imbarazzo della

scelta. Si può creare un piccolo zoo con animali differenziati, dotati di personalità

diversa in modo che il bambino possa distinguerli uno dall’altro e attribuire a

ciascuno le parti di sé più correlate con quel tipo di animale. La formazione di un

piccolo zoo di animali di stoffa va concordata con il bambino e donata a scadenze

patteggiate con il bambino stesso, il quale però, anche se giocherà con tanti pupazzi,

ne prediligerà sempre uno in modo esclusivo.

Per chi in particolare?

Giocattolo ideale per tutti i bambini, maschi e femmine da un anno di età fino

ai sette anni circa. (Molti bambini però perseverano). Il peluche è sostegno e conforto

significativo per bambini che soffrono di “mammite”, ossia in stato di pena e

angoscia durante l’assenza dei familiari (bambini che strusciano sempre attorno alle

gambe di qualcuno o che hanno bisogno di essere presi sempre in braccio ecc.).

Oppure, con un effetto terapeutico paradossale, il peluche è insostituibile per tutti

quei bambini che fanno fatica a esprimere le emozioni e le coccole, pur desiderandole

molto. Niente come l’animale di pezza aiuta a sciogliere e a lasciarsi andare.

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LEGO E GIOCHI COSTRUTTIVI

Si tratta di un gioco classico, riconosciuto nel suo valore pedagogico da

tantissimi anni. Ha in buona parte sostituito il vecchio meccano, ideato con funzioni

analoghe. Sono almeno due le generazioni cresciute giocando con i mattoncini da

incastro. Arricchito di infinte forme, grandezze e funzioni diverse, dotato di pezzi

speciali, ormai i cubetti del Lego accompagnano i bambini come gioco d’intelligenza

senza rivali. Le costruzioni possibili sono innumerevoli: case, ville, palazzi, ponti,

strade, macchine, macchinari, stazioni, villaggi interi possono sorgere davanti alla

vista del seguendo sia le istruzioni della scatola sia la fantasia del bambino. I clienti

preferenziali di Lego sono i maschietti, che sembrano dotati geneticamente della

voglia di costruire, di connettere e di far funzionare, ossia di creare strumenti per

padroneggiare la realtà. Le bambine ci giocano ma con minore accanimento e con

minor profitto, tranne qualche eccezione. I bambini incominciano a impegnarsi con il

Lego dai primissimi anni di vita, subito dopo la manipolazione di grossi cubi o

semplici giochi da incastro, e si applicano con passione a questo gioco, che li

accompagna flessibilmente nella crescita fin verso i dieci anni. È un gioco che li

affianca nell’evoluzione, prestandosi a infinite variazioni e cooperando fattivamente

all’affinamento di tante capacità e prestazioni mentali. A cosa serve in particolare

questo gioco che ha ottenuto una popolarità internazionale? Innanzitutto stimola la

voglia di apprendere in modo complesso: il fare tecnico si accompagna al progetto

mentale. Il bambino vuole costruire una casetta ed è costretto a montarla pezzo per

pezzo, coordinando la manualità con lo schema che ha in mente. Mediante il gioco il

piccolo affina la manualità, assemblando i pezzi, provando sempre nuove possibilità

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di incastro, si impegna nel montaggio, sforzandosi di eseguire con le mani i

movimenti corretti e controlla con il fare pratico la correlazione corretta fra la sua

fantasia e la realtà. Questo lo fanno molti giochi, ma pochi con un tale rigore. Il

bambino impara con l’esperienza che, se fa un passaggio sbagliato, se dispone male i

pezzi, non creerà quello che desidera e che, correggendo l’errore, può arrivare

all’obiettivo. Insegna quindi a verificare criticamente i propri atti, a rivedere e

valutare e, soprattutto, ad apporre le varianti adeguate rispetto a quelle errate. La

verifica è continua, così come la possibilità di cambiamento. Insegna a correggere,

attivando nello stesso tempo l’osservazione critica e la flessibilità. L’altro vantaggio è

costituito dalla costanza; per costruire ci vuole tempo, applicazione passo per passo,

calma e controllo. Sono le materie prime con le quali i più piccoli imparano ad

imparare, cioè, nei tempi più lunghi a studiare bene.

Per chi in particolare?

I giochi di costruzioni e assemblaggio piacciono specialmente ai maschietti; le

bambine mostrano scarso impegno nell’esecuzione. Il gioco piace spontaneamente ai

bambini piuttosto seri, mentali, razionali che amano capire il funzionamento dei

congegni e ambiscono al controllo della realtà. (Se so costruire, mettendo i mattoni

giusti per erigere un palazzo o un maxiponte, significa che so piegare le cose –

mattoni – alla mia volontà). Appoggiare queste risorse è molto positivo, purché siano

abbinate a proposte ludiche più vivaci e meno strutturate, ad attività motorie, a letture

fantastiche. I giochi di costruzioni sono un ottimo correttivo per i bambini iperattivi e

deconcentrati che possono guadagnare in costanza e programmazione. Da usare con

moderazione per non suscitare reazioni.

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CASTELLI

Si possono considerare una variante del Lego. Magnifico gioco, in grado di

svegliare la fantasia, di far volare la mente in ambienti e mondi lontani, carichi di

fascino e di mistero. Il castello è un simbolo ricchissimo: la cinta muraria rappresenta

la forza e la sicurezza, l’approdo sicuro, la corte crea relazioni di amicizia fra i vari

abitanti, la vastità spinge all’esplorazione di un territorio che sembra una grande

mappa geografica da interpretare: saloni – sala delle guardie, del trono, del banchetto

– camminamenti, corridoi, antri, scale che scendono in ambienti segreti, prigioni. Nel

castello forse si può trovare un tesoro nascosto. Sono tutti luoghi che esaltano

l’immaginazione e che invitano alla voglia di romanzare. I bambini inventano storie,

le loro, che riflettono il loro modo di essere e di vivere il senso dell’avventura. Cosa

fa crescere più dell’avventura, che mette a nudo la nostra capacità di provare, osare,

vincere gli ostacoli e abbattere vecchie paure? Negli antri del castello vagano tutti i

fantasmi mentali negativi da sconfiggere inesorabilmente. Le mura del castello sono

forate da strettissime feritoie dai cui spiragli si può scorgere l’esercito nemico che

avanza e predisporre la resistenza. Allo scopo entrano in azione numerosi soldatini

medioevali, mentre l’esercito nemico è formato da cavalieri con la celata. Lo scenario

apre a fantasie illimitate. Possono entrare in azione anche i mostri, che verranno

uccisi. L’uccisione dei mostri e dei “cattivi” è uno degli aspetti più costruttivi ed

evolutivi del gioco dei castelli. Si parte da una costruzione che attiva facoltà di

attenzione, scrupolo, osservazione e pazienza, all’inserimento di personaggi divisi in

schiere e alla messa in moto di una grande scena epica e teatrale.

Per chi in particolare?

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Per tutti i maschietti cui piace costruire e fantasticare. Sono una variante del

Lego e portano il bambino in epoche lontane e mitizzate, che rappresentano il

massimo dello spirito di avventura. Offre la risorsa dell’abbinamento della razionalità

con la fantasia e con potenti giochi di identificazione. Si può proporre come stimolo

immaginativo per i bambini seriosi e come stimolo logico per quelli troppo

ardimentosi. Il castello può animarsi di tante figurine (soldatini, cavalieri, guerrieri

nemici, mostri ecc), dando luogo a spettacoli teatrali cui può partecipare anche il

padre.

SOLDATINI

I soldatini sono dei giocattoli indispensabili nel corredo ludico di ogni

maschietto. Piccoli, leggeri, maneggevoli, numerosi, contrapposti in schiere nemiche

fanno tutto quello che il bambino vuole. Lui fa da grande burattinaio e i soldatini

sono i burattini teleguidati. Si possono scatenare battaglie a non finire, divise in

innumerevoli puntate, con possibilità di vincita e di perdita alternata. Spesso il gioco

favorisce la compagnia; si gioca al meglio se si è in due o anche più. Ognuno ha un

esercito e la gara finirà come finirà. Da queste competizioni si impara a vincere e a

perdere, si fanno punteggi che ora premiano uno ora l’altro. Il bambino sperimenta

che, se in una gara si è primi, si può finire ultimi o quasi nelle prossime. Si convince

di poter convivere e voler bene al nemico che è poi l’amichetto-generale della schiera

opposta. C’è bisogno di unione per guerreggiare. Guerreggiano, dirigendo eserciti

nemici, i compagni di scuola invitati in casa per fare la guerra.

Non sono fra quelli che si strappano i capelli quando si parla di soldatini e di

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lotte e si predice che i bambini che giocano alla guerra diventeranno per forza

violenti. Nelle battaglie fatte dai bambini che, sdraiati per terra, studiano le tattiche

vincenti, prevale il gioco d’intelligenza. Fanno una guerra incruenta, dove non muore

mai nessuno. Le morti sono simboliche, hanno la stessa funzione liberatoria di

qualsiasi gara sportiva. Lo sport è trionfato dopo che gare e duelli feroci, dove il vinto

veniva ucciso, si sono trasformate in un gioco dove il perdente non perde che la

faccia. E forse neanche quella, perché il vinto viene rispettato. I soldatini permettono

al bambino non solo di scaricare l’aggressività (un bisogno altissimo), ma di

elaborarla in un gioco che aguzza sia l’ingegno sia la consapevolezza che alla fine

staranno bene tutti.

Per chi in particolare?

Per tutti i maschietti che vogliono sfogarsi e liberare nel modo più libero e

innocuo le loro rabbie. Va bene per bambini irrequieti che si scatenano e poi crollano

e per bambini molto inibiti che imparano a lanciarsi. Gioco ideale per favorire la

socializzazione e l’amicizia maschile. I soldatini richiedono un partner che

rappresenti la parte nemica o un alleato contro altri nemici in una dimensione più

variata. Può giocare anche il papà al posto di un amichetto occasionalmente assente.

Si tratta di una partecipazione importante perché il padre può controllare lo stato della

rabbia del suo bambino. Il gioco può anche degenerare e rivelare distruttività

eccessiva o, al contrario, stati di inibizione. Tutti problemi da tenere sotto

osservazione.

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BAMBOLE

Quando si pensa a un giocattolo, la mente si finge una bambola. Le vere regine

del mondo dei giocattoli sono loro; le possiamo immaginare mentre sfilano su una

passerella una più bella dell’altra, misteriose nel loro magico silenzio. Si offrono alla

seduzione di chi le guarda, chiuse nel loro assoluto narcisismo. Non vanno mai

incontro all’altro; aspettano di essere amate, coccolate, vezzeggiate. Sono oggetti che

incantano e affascinano a distanza, i modelli ideali delle bambine, di cui riproducono

la vanità, il desiderio di ammirazione. Questo fin che restano nella vetrina dei negozi,

oggetti concupiti dalle possibili acquirenti. Poi, quando la bambina le prende in

braccio, cambiano letteralmente vita, a meno che non si proibisca alla bambina di

giocare con loro. In questo caso la bambola muore; chiusa in un armadio e o in una

vetrinetta, immobile, diventa qualcosa di vecchio, polveroso, imbalsamato, senza

funzioni. Logora e triste per il niente che la invade. Alla fine, quando la bambina sarà

cresciuta, la vecchia bambola verrà tirata fuori dall’armadio o dalla custodia, per

essere regalata ai bambini poveri, dove si spera farà una vita migliore e non si

annoierà più. Forse ringiovanirà.

La vita di una bambola incomincia dal momento in cui la bambina la prende in

braccio, la bacia (se la bambina è piccolissima la lecca di saliva) e incomincia a

manipolarla. Solo quando la bambola viene vestita e svestita, tuffata in acqua, messa

sotto il getto della doccia, fatta sedere su un vasino, imboccata di pezzetti di cibo,

sculacciata, curata e fasciata, quando si ammala, quella bambola fa esperienze di vita

vissuta. Diventa la bambina della sua padroncina, che fa a lei quello che la mamma fa

o non fa nei suoi riguardi; diventa, nel bene e nel male, la figlia della bimba. Il gioco

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però non è monotematico. La bambola è il doppio della bambina, quando la usa come

figlia, sosia quando ha bisogno di una compagna che condivida quello che succede

attorno a lei, sempre un alter ego multiforme, che obbedisce a tutti i ruoli imposti

dalla piccola; a volte bambina buona, amata e coccolata, a volte bambina cattiva

punita, ora intelligente e ora stupida, sana o ammalata, la bambola è un meraviglioso

“oggetto parziale” che riflette le varie parti di sé della bambina ancora fluttuanti,

vaghe, mobilissime perché la piccola ha una personalità in fieri. La bambola la segue

in questo percorso con fedeltà e obbedienza. Ah, se potessero parlare cosa non

direbbero le bambole!

Per chi in particolare?

Per tutte la bambine, per una fascia d’età molto ampia, dal primo anno di vita

fino ai 9/10. È un gioco che non ha controindicazioni, perché permette alla bambina

di vivere infiniti ruoli e tante rappresentazioni teatrali (vedi sopra). Può essere

interessante osservare che tipo di bambola preferisce la bambina. Se preferisce

bambolotti tipo Ciccio Bello e si fissa lì, può significare un imperioso ritorno

all’infanzia primordiale o un eccesso di iperprotezione materna. Se predilige bambole

più evolute, significa che ama crescere e diventare brava bambina, se fin da piccola

ama bambole stile Barbie, occhio al narcisismo. Forse la bambina è in competizione

acuta con una mamma troppo seduttiva e ingombrante.

BARBIE

Barbie è stato ed il nome di una bambola celeberrima, apparsa sui mercati negli

anni settanta e ancora oggi in giro con successo. L’idea di lanciare Barbie è stata

buona perché il lunghissimo successo non ammette repliche al riguardo. Come tutti

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gli oggetti popolari, Barbie è stata molto contestata sul piano sociale ed educativo e,

in questo caso, non senza ragioni. Invece di essere una bambina che diventava nel

gioco il doppio della padroncina oppure il modello ideale di bambina oppure, per

riflesso, la figlia di una bambina che si finge nel ruolo di mamma, Barbie è una

ragazza “da marito” si sarebbe detto una volta, ossia una bella ragazza che cerca di

accalappiare l’uomo giusto, giocando sulla seduzione. Per la bambina che la riceve in

dono, Barbie diventa l’Ideale dell’Io della bambina, ossia quell’essere cui la bambina

vuole assomigliare, una volta adulta. Si tratta del trionfo dell’immagine; infatti questa

bambola non ha vita interna, non ha cervello, né psiche, è solo un involucro. La sua

preoccupazione è squisitamente narcisistica: forma fisica perfetta, adesione ai canoni

della moda (gambe lunghissime, corpo snello, seno alto, capelli lunghi e biondi, occhi

chiari). È il modello di bellezza svedese in voga in quegli anni. Anche se di acqua

sotto i ponti ne è passata tanta, Barbie mantiene il suo look classico e immarcescibile.

Non invecchia mai. Ci sono anche Barbie more, di colore, esotiche, ma la prima a

trionfare è sempre lei, la Barbie yankee-nord europea. La hanno affibbiato anche un

fidanzato, che è rimasto una povera cosa, un comprimario, un niente. La seduzione è

tutta su di lei, che si preoccupa di cambiare un numero inverosimile di abiti e di

accessori con i quali ammirarsi nello specchio. Il suo successo dice che le bambine

future donne apprezzano senza limiti il versante vanitoso, spocchioso e anche

superficiale di Barbie, perché il loro desiderio più grande è di essere “la più bella del

reame”. Sia, ma non regaliamone troppe e mischiamo questo dono con altri di altro

segno.

Per chi in particolare?

Paradossalmente per tutte le bambine che dubitano di sé, della loro avvenenza

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e del loro charme. In questi casi Barbie serve da stimolo e da incentivo. Per gli altri

casi, vedi al paragrafo precedente.

ARREDI

Le bambine amano infinitamente avere, oltre alla bambola, la casa delle

bambole per rendere più verosimile il gioco, per poter reificare una realtà

immaginaria. Da sempre il mondo dei giocattoli si è sbizzarrito nel design per case di

bambole. Ancora adesso esiste un design classico composto da arredi di lusso, in

stile. Le bambole vengono fatte vivere in palazzine o cottages lussuosissimi, con

poltrone, salotti, letti con baldacchini, tappeti, gazebo nel parco ecc. In questo

ambiente signorile le bambole sono signorine d’altri tempi, educate, di belle maniere,

abituate a tanti rituali quotidiani come il tè delle cinque, le feste di compleanno e

simili. Siccome il gusto classico è un evergreen, che dà alle bambine la sensazione

del benessere, di élite, di prestigio, va sempre di moda e sembra non conoscere

declino. Attualmente sono in commercio anche scenografie più moderne ed essenziali

in cui fanno capolino le nuove tecnologie per la casa. Il giorno in cui vedremo una

bambola al computer intenta a mandare mail, capiremo che il mondo è proprio

cambiato. Il gioco fa anche da stimolo all’ordine, al piacere della pulizia, al decoro

dell’ambiente e presenta alle bambine non solo il ventaglio di tutti i lavori domestici,

ma anche l’idea di saper dirigere una casa, antica e sempre nuova vocazione di ogni

donna. Sicuramente non è un gioco femminista, a meno che le bambine non

impongano l’esecuzione dei lavori agli amichetti maschi. Ma la cosa sembra molto

improbabile.

Per chi in particolare?

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Per tutte le bambine che hanno bambole da alloggiare da qualche parte. Non ci

sono controindicazioni, come per le bambole, di cui la casa è un complemento.

FATTORIE ZOO

Se le bambine hanno le case delle bambole, i bimbi possono divertirsi

moltissimo con la fattoria. È anch’essa una casa che rappresenta il bisogno di

protezione di ognuno di noi. Come la casa delle bambole è anch’essa un evergreen,

un qualcosa che, come tutti i classici (vedi anche i castelli), perdura nell’immaginario

collettivo, sfidando la volubilità della moda. La fattoria, così come appare nei giochi

infantili, è composta da tanti animali di plastica, dalla cascina del contadino, dal

fienile, dall’aia, dalla stalla ecc. Sono a disposizione strumenti che oggi non esistono

più o il cui funzionamento è molto cambiato. Eppure il sapore di vita contadina

preindustriale, con i suoi lavori ripetitivi e pesanti, fatti con attrezzi semplicissimi, ma

sapienti, di cui si comprendono subito le funzioni e la filosofia di fondo affascina

sempre. I bambini montano e smontano i pezzi, rifanno la scenografia, si divertono a

conoscere gli animali, che vengono riuniti in fila, separati, ricomposti, fatti mangiare,

chiusi nelle stalle, fatti scorrazzare sul cortile; gli esempi non finiscono più. È un

gioco che fa amare la vita semplice, creando solidarietà fra esseri viventi e

permettendo al bambino mobilità e inventiva. Accanto alla fattoria tradizionale

compaiono tuttavia pezzi moderni (falciatrici, mietitrebbia, trattori ecc), che animano

la scena e fanno felici i maschietti, già desiderosi di impadronirsi di giochi

tecnologici, del desiderio di guidare, dirigere, far funzionare. (I bambini fin da

piccolissimi amano manovrare gigantesche gru, camion, scavatrici).

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Accanto agli animali della fattoria ci sono in vendita anche i sacchetti pieni di

animali cosiddetti selvaggi che formano uno zoo, dove le possibilità di inventiva non

finiscono più. Nelle confezioni ci sono anche scenografie esotiche, che inquadrano gli

animali nel loro habitat naturale. Palme, baobab, laghetti tropicali, villaggi africani

permettono la collocazione adeguata ai vari tipi di animali. Le combinazioni sono

innumerevoli e attivano sensibilmente le fantasie dei bambini.

Per chi in particolare?

Soprattutto per maschietti, sebbene il gioco possa essere bisex. È indicato per

bambini molto teneri, che cercano appoggio e protezione e sono un po’ mammoni,

perché trovano in questa attività il piacere di un luogo sicuro, che ripara e tutela.

Dietro la fattoria c’è l’animo di una mamma protettiva, come in tutte le simbologie

della casa, e dove si è sempre in relazione con qualcuno.

TRENINI E MACCHININE

Chi non ha visto due bambini giocare stesi per terra con macchinine da corsa,

facendo gare fra di loro, battendosi per vincere e facendo vincere la macchinina più

simpatica, quella più amata? Gioco versatile, che si presta a infinite modulazioni. C’è

l’ammirazione per la forma della macchinina, per la marca produttrice, per le

prestazioni. C’è la gara con l’altro bambino per verificare quale automobilina è da

premio, ci sono dispute tecniche, si fa il tifo per una casa automobilistica contro

l’altra. Si fa tifo sportivo, si compongono collezioni da mettere in fila su un ripiano,

ci sono possibilità di scambi con gli amichetti, c’è il momento della vanteria (le mie

macchinine sono più belle), c’è la passione per una bandiera (io tifo per… ). Ci sono i

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sogni di diventare piloti di Formula 1. Le macchine danno slancio alle più ardite

fantasie e identificazioni; il bambino si vede già osannato con in mano qualche

coppa, si vede realizzato. Poi prova sul pavimento a mettere in circuito le mini

macchine, a creare percorsi speciali e a controllare, dopo aver lanciato i pezzi, le

traiettorie, verificando come il piccolo oggetto meccanico risponde a un input. Il

divertimento è massimo, tanto che il gioco può durare all’infinito, diventare

inesauribile. In negativo, ma si tratta di un negativo molto relativo, le macchinine

confinano i compiti all’ultimo posto, scacciano il senso del dovere, prolungano

all’infinito il momento del gioco. Quando un Pierino è impegnato nelle gare, sempre

diverse, sempre emozionanti, è inutile chiamarlo a cena. Sembra diventato sordo. È

possibile che nel gioco intervenga anche il padre, che dovrà qualche volta perdere; in

via di massima la gara si fa però fa con gli amici.

Il ruolo del padre è stato invece sempre indispensabile, si direbbe

protagonistico nel gioco dei trenini e della stazione. I trenini sono ancora più

stupefacenti delle automobili; hanno bisogno di binari e di scambi, di qualcuno che

sappia montare le rotaie, che dribblare gli incroci, permetta tecnicamente le giravolte,

i percorsi in salita, le fermate della stazione, l’ordine di partenza ecc. È un gioco assai

più complesso del precedente, perché impone un montaggio, che i piccoli non sanno

eseguire e per il quale si avvalgono del padre. Il trenino è stato da sempre un medium

eccezionale per l’intensificarsi di un rapporto padre-bambino, per una complicità al

maschile, che rompe l’asse simbiotico con la mamma, alimentando un’identità virile.

Padre e bambino si sentono uniti dal trenino e si distinguono dalla mamma, che viene

riconosciuta come “diversa”.

Per chi in particolare?

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Per tutti i maschietti del tipo “costruttori”, amanti di giochi che li impegnino

nelle loro capacità di logica e costanza. Montare una linea ferroviaria implica il

desiderio di controllare le proprie capacità e di superare i problemi con la razionalità

e l’intelligenza. Il tipo di gioco presuppone anche creatività. La gestione della linea

ferroviaria non esclude varianti e combinazioni ludiche infinite, perché possono

inserirsi nel gioco personaggi, figurine di ogni tipo, che possono attivare ed esprimere

le modalità relazionali del bambino. Oltre che per bambini mentali, il gioco è adatto

come contravveleno ideale per tutti i bambini troppo irrequieti e volubili, che hanno

bisogno di provarsi in un’applicazione che prevede una tempistica più a lungo

termine.

MOSTRI

Sono al top delle vendite e al top della popolarità. Da più di un decennio

spopolano. Corredati elettronicamente, semoventi, quasi umanoidi, fra macchina e

persona, i mostri sono gettonatissimi, dal pubblico dei maschietti. Il loro successo

presso le bambine è invece insignificante. Si tratta di un giocattolo da maneggiare

con cura, perché presenta notevoli rischi. Togliamoci dalla mente che i mostri siano

invenzioni dei produttori di giocattoli e che, se questi non li mettessero in vendita, i

bambini non si occuperebbero di loro. I mostri (streghe, orchi ecc) sono prodotti

autonomamente dalla mente dei bambini, che si creano immagini cattive e

angoscianti per esternare i loro sentimenti distruttivi e negativi. Essi sono dunque

nella mente dei piccoli, impegnati in una strenua lotta contro le loro stesse produzioni

mentali. Devono sconfiggere i fantasmi negativi, che loro stessi hanno evocato; lo

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sforzo è arduo, perché l’automa feroce non suscita solo orrore e terrore; la sua

malefica forza è una forte tentazione di identificazione. I mostri attuali sono un vero

groviglio di armi; hanno una dotazione distruttiva di terrificante potenzialità. Sono

macchine di morte così abnormi, da non temere sconfitte. Annientano senza appello.

Di fronte a queste figure nere e fosche i bambini simulano una grande padronanza di

sé, li azionano come se li padroneggiassero, ma si tratta più di finte che di realtà

effettiva. Il giocattolo può a volte prendere la mano e travolgere i ruoli prestabiliti.

Dipende da come il singolo bambino usa il mostro. Per distruggere altre forze

malvagie? Quindi come una bomba, come un’arma al servizio del bene? Oppure per

sterminare e basta? Oppure come atteggiamento di culto per una forza indomabile

con la quale il piccolo s’identifica suo malgrado? Soprattutto i bambini i più timidi e

introversi possono fare del mostro un’appendice di sé, uno strumento di prestigio

sociale, un oggetto transizionale di cui andare fieri. Un talismano? Sta ai genitori

osservare e valutare e abbinare al mostro altri tipi di giocattoli assolutamente

differenti, far dialogare il bambino e il mostro per comprendere cosa questo

rappresenti nella psiche del bambino.

Per chi in particolare?

Non considero gli automi mostruosi in vendita nei negozi di giocattoli come

regalo ideale. Il gioco va somministrato con oculatezza e riservato ai bambini che

mostrano una certa fiducia in sé stessi, ossia che si ritengono capaci di uccidere i

mostri. (Questi ultimi rappresentano le parti negative del bambino stesso e di tutta

l’umanità; sono il lato bestiale e distruttivo allo stato puro). Se i mostri sono tenuti

sotto controllo e usati per esorcizzare ed esportare il male interno, possono avere una

valenza non negativa e addirittura funzionale. Se invece i mostri attivano giochi di

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identificazione pericolosi, dove il bimbo si sente rappresentato dai mostri per

difendersi dalle paure, il gioco diventa ad alto rischio e va calibrato di conseguenza.

Nei casi più conturbanti, sarà bene ricorrere a uno specialista.

TOMBOLE E LOTTERIE

Quando i bambini sono un po’ cresciuti possono iniziare a fare giochi di

squadra. Oltre ai tanti giochi di gruppo senza giocattoli che fanno i bambini attorno ai

sette anni e oltre, ci sono i giochi strutturati che si fanno insieme, con o senza la

presenza di un adulto. Sono le varie tombole: la classica tombola con i numeri o con

altri simboli (animali, fiori ecc), il gioco dell’oca, del giro del mondo, Monopoli e

infiniti altri, dove, estraendo dei numeri o tirando dei dadi a caso, si vince o si perde,

o per un mero gioco della fortuna o per degli errori di valutazione. Predomina la

cecità del caso. Le lotterie aiutano i bimbi a comprendere come molte cose nella vita

avvengono senza che ci sia un perché vero, una colpa o un merito. Avvengono per

caso, per effetto del calcolo delle probabilità attraverso la via folle dei dadi. C’è il

colpo di fortuna e quello di sfortuna. Come nella vita; si accetta la casualità perché si

può giocarla in mille modi: chi si trova a un passo dalla vittoria alla fine perde, chi si

era in svantaggio può spuntarla e superare il momento nero. Sono un paradosso che

insegna a sopportare e a non trarre toppo facili conclusioni, inducono il bambino a

reggere ai colpi, a non dichiarare vittoria troppo presto e viceversa.

L’altro effetto riguarda il gruppo; le tombole hanno bisogno di aggregazione.

Occorre che un gruppetto sia d’accordo di giocare, patteggiando ora e luogo e

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soprattutto è indispensabile rispettare le regole anche quando non piacciono e paiono

prenderci in giro. È in gioco la lealtà nei confronti delle regole del gioco, che diventa

il vero valore non in questione. Lealtà, patti chiari, volontà comune, sfida del rischio

sono tutti i fattori positivi di questi primi giochi di società. Spesso i bambini si

eccitano moltissimo durante le partite, protestano, sollevano problemi di

correttezza/scorrettezza, si accapigliano, non accettano la regola che avevano detto di

rispettare. Sono tutte prove utilissime per il loro futuro di persone in mezzo a una

società di regole ora favorevoli e ora sfavorevoli, e, soprattutto ora giuste ora

ingiuste. Si tratta di esperienze che indirizzano verso un comportamento di coerenza

con i patti che mettono a nudo se si è affidabili o no.

Per chi in particolare?

Per tutti, maschietti e femminucce, quando arrivano alla soglia dei sei/sette

anni e oltre e incominciano ad apprezzare i giochi di gruppo e di regole. Non c’è

niente di più strutturato di una tombola, dove ognuno si attiene alle istruzioni e non

può trasgredire in nessun modo, pena la scomunica. Chi bara viene espulso. I piccoli

imparano ad accettare le “regole del gioco”. Particolarmente adatto ai bambini

introversi che non sanno stare in gruppo e che, dietro l’atteggiamento passivo e

inibito, sono in realtà dei grandi ribelli. Altrettanto indicato per bambini apertamente

ribelli e renitenti a qualsiasi freno, ancora bloccati nell’area di un narcisismo

“primario”.

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PENNELLI

Come i libri i pennelli non si possono considerare veri giocattoli, sono l’ala

nobile del gioca, il coté educativo alto, di tutto rispetto, mezzi che offrono strumenti

intellettivi preziosi. Tuttavia è bene non distinguere troppo. Per un bambino un

trenino è scuola come un libro e un libro è anche gioco. I pennelli fanno parte di un

dono classico e quindi vanno inseriti nell’elenco per Babbo Natale. Per pennelli si

intende qui tutto quello che serve per dipingere. Mi preme ricordare sempre come il

disegno sia vitale per tutti i bambini, un’attività da far coltivare, in quanto i piccoli

sono pittori nati e trovano nell’arte del disegno eccezionali possibilità per sfogare la

loro creatività, raccontando dietro il velo simbolico i loro vissuti, la loro visione del

mondo, le loro relazioni con i familiari. Accanto ai contenuti simbolici il disegno

affina una manualità fine che potrà trovare applicazione in altre attività e una

costanza nel compito che sarà alla base della capacità di studio. Aiuterà il bambino

alla virtù della pazienza e alla sopportazione dello stress.

Regalate quindi confezioni maxi che stimolino la vista, eccitino la fantasia,

spingano la voglia dei bambini di riversare subito sul bianco del foglio le loro

apoteosi cromatiche, i loro voli pindarici, le loro “follie”. Imparate a vedervi riflessi

nei loro disegni e nei commenti che fanno ai loro lavori, state loro accanto, disegnate

magari a turno un po’ per uno, chiedete che cosa stia rappresentando il vostro

bambino. È un’attività ludico che non solo fornisce stimoli intellettivi, figurativi,

tecnici, concettuali e fantastici, ma che cementa la relazione con le figure parentali.

Niente come il disegno si presta a diventare romanzo, diventando gioco relazionale e

comunicativo. Il bambino può disegnare in braccio o stare seduto sulla sedia accanto

a voi, raccontando quello che esegue o facendosi aiutare. Insomma, un vero gioco a

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due.

Per chi in particolare?

Per tutti indistintamente, bambini e bambine dai due/tre fino ai sette/otto circa.

La passione del dipingere generalmente si spegne lentamente a partire da questa età. I

pochi che la continuano a praticare rivelano attitudine per il disegno. La capacità di

disegnare è una risorsa innata di tutti i bambini, una delle tante skill di un essere

umano, che consente un’estrinsecazione illimitata del mondo interno infantile. Per

iniziare, si può ricorrere ai colori a cera, morbidi, grossi, facili da tenere in mano,

proseguendo con i pennarelli, che costituiscono il top della pittura infantile. Hanno il

pregio di avere colori brillanti e decisi che danno molta soddisfazione, sebbene non

consentano le sfumature. I pastelli hanno nuances cromatiche più delicate e più chiare

e possono essere usati con successo da bambini un po’ più grandi (classi elementari),

mentre gli acquerelli offrono il massimo del piacere perché in questo caso il bambino,

specie se piccolo, abbina il piacere del dipingere con quello di pasticciare con

l’acqua.

DIECI PASSI PER GIOCAREIl decalogo del gioco

1. Prima di fare un regalo al vostro bambino, chiedetevi perché lo fate (per

compleanno, per Natale, perché stato bravo, perché è stato ammalato,

per il piacere di fargli un dono, perché pensate che quel giocattolo gli sia

utile ecc). Ogni regalo deve avere un significato speciale e il bambino ne

deve ricevere il messaggio.

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2. Non comperate continuamente regali, i doni non avrebbero più valore e

non rappresenterebbero più nulla.

3. Non esagerate con i doni minimi, insignificanti che si trovano in buste-

regalo, in confezioni di dolciumi ecc. Sono generalmente di nessun

valore e servono solo a riempire il bambino di cose quasi inutili. Questo

attiva la dipendenza, sono come le sigarette o le chiclets che si prendono

per sedare la tensione o per farsi passare la noia.

4. I doni devono essere significativi sia in quanto sanciscono situazioni

speciali sia come oggetti in sé.

5. Oltre a sancire felicemente occasioni speciali, i doni devono parlare di

voi al vostro bambino. Li deve abbinare al tipo e al valore di relazione

che ha con voi.

6. Quando fate un dono, il focus deve essere puntato sul bambino; si tratta

sempre di un dono fatto a lui, per le sue esigenze. Qualcosa che deve

calzare come un guanto. Dietro c’è la vostra mediazione. Fra due doni

ugualmente graditi, potete scegliere quello che piace di più a voi.

7. Il dono deve poter anche sviluppare qualcosa di positivo nel vostro

bambino. Scartate senza pietà giocattoli che piacciono a voi e basta,

potete suggerire al bambino stesso nel momento della scelta il vostro

punto di vista, lo potete stimolare in un senso più che in un altro, ma

alla fine dovete seguire le sue coordinate.

8. Se scegliete apposta un dono contrario ai suoi gusti, per un fine

educativo, proponetegli la cosa senza imposizioni e lasciate che lui metta

da parte il gioco in tutta libertà. La maggior parte delle volte, nel tempo,

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il gioco suscita interessa e può produrre i suoi frutti.

9. In questi casi è meglio fare il dono come sorpresa, invece che sostituirlo

a un giocattolo che lui si aspettava di ricevere. La frustrazione lo

potrebbe deludere intensamente e il gioco scelto da voi fallire il

bersaglio.

10. Fatelo aspettare un po’ prima di gratificarlo; non per castigo, ma per

aiutarlo a differire l’appagamento e a sopportare positivamente l’attesa. I

doni più sospirati sono i più intensamente goduti.

E I LIBRI? COME MAI NON SONO NELLA NOSTRA LISTA DEI

REGALI?

Non ci sono, sebbene siano il meglio dei doni, perché dedicheremo un ebook

speciale sui LIBRI PER BAMBINI!

www.bambinidavivere.com

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