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Il genio e la macchina Bizzarrini e Lampredi. Due storie dell’auto italiana A CURA DI V ITTORIO R IGUZZI

Il genio e la macchina. Bizzarrini e Lampredi

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Page 1: Il genio e la macchina. Bizzarrini e Lampredi

Il genio e la macchinaBizzarrini e Lampredi. Due storie dell’auto italiana

a cura di Vittorio riguzzi

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Catalogo realizzato in occasione della mostra

Il genio e la macchinaBizzarrini e Lampredi. Due storie dell’auto italiana

Dal 17 luglio al 13 settembre 2010Sala Esposizioni, Fondazione GeigerCorso Matteotti 47, Cecina (LI)

Mostra e catalogo a cura di Vittorio RiguzziHanno collaborato: Federico Gavazzi, Alessandra Scalvini

Testi in catalogo di:Jack Koobs de HartogFederico GavazziGiorgio MarzollaVittorio RiguzziMaurizio Tabucchi

Graphic design e impaginazione: Giulia Cassani - Studio KiroFotografie automobili: Luca Stazzoni, Mattia Voso, Lorenzo Gori, di SM Photo Art (Firenze)17-13: dall’ Λ all’ Ω e Ritorno

Bandecchi & Vivaldi - EditoreISBN 978-88-8341-937-1

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INTRoDuzIoNE ................................................................................................................................................5

GIoTTo BIzzARRINI .........................................................................................................................................9

GIoTTo BIzzARRINI: INGEGNERE, CoLLAuDAToRE E IMPRENDIToRE GENIALE ...................................13

IL GRANDE, GENIALE PRoGETTISTA GIoTTo BIzzARRINI? .......................................................................15

BIzzARRINI 5300 STRADA ............................................................................................................................17

BIzzARRINI 128P ..........................................................................................................................................21

BIzzARRINI 500 “MACCHINETTA” ...............................................................................................................25

ASA 1000 GT ...................................................................................................................................................29

BIzzARRINI KJARA ......................................................................................................................................33

AuRELIo LAMPREDI ......................................................................................................................................39

FERRARI 250 GT.............................................................................................................................................47

FIAT DINo SPIDER .........................................................................................................................................51

FIAT 125 SPECIAL .........................................................................................................................................55

FIAT 131 ABARTH ..........................................................................................................................................59

I N D I C E

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di Vittorio riguzzi

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Giotto Bizzarrini

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di Federico gaVazzi

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di Federico gaVazzi

GIoTTo BIzzARRINI

Giotto Bizzarrini nasce il 6 giugno 1926 a Quercianella, pochi chilo-metri a sud di Livorno, e fin da giovanissimo mostra uno spirito indi-pendente e intraprendente. Giotto si avvicina a quelle che sono le sue grandi passioni, l’aerodinamica e la progettazione aeronautica, ma la tradizione di famiglia lo conduce al mondo delle automobili. In base all’usanza che voleva i figli ripercorrere le orme del padre, nel 1945 si iscrive alla Facoltà di Ingegneria a Pisa, e sceglie di specializzarsi in Meccanica. Mostra un forte senso pratico e tutti suoi i studi e i suoi progetti sono orientati verso soluzioni immediatamente verificabili al banco prova o su strada.

Nel 1953 discute una brillantissima tesi di laurea su un motore 750 cc quattro cilindri in linea, raffreddato ad aria, già pronto per la stra-da. Le sue competenze sulla meccanica e la passione per l’aerodinami-ca lo portano a modificare il telaio di una Fiat 500 Topolino: nasce la 500 “Macchinetta”, che si distingue dalla versione di serie per il muso basso e lungo in grado di fendere l’aria, l’inclinazione del parabrezza molto più pronunciata, la linea morbida del tetto e della coda bomba-ta; il motore viene arretrato il più possibile per ripartire meglio i pesi e viene aumentata la potenza fino a 30 cavalli.

Appena laureato ottiene il posto di Assistente volontario alla Catte-dra di “Macchine, tecnologie e meccanica agraria”, sempre presso l’università di Pisa, e subito comincia ad inviare richieste di colloquio presso le maggiori aziende automobilistiche italiane. Poco dopo è a La Spezia per un incarico alla oto-Melara, fabbrica che produce armi e cisterne.

Nell’estate del 1954 Giotto fa il suo ingresso all’Alfa Romeo dove lavora come ingegnere collaudatore prima sulle vetture di serie e poi al reparto sperimentazioni dell’azienda. Qui è a stretto contatto con piloti famosi come Giovanbattista Guidotti e Consalvo Sanesi e di-venta lui stesso un ottimo pilota collaudatore in grado di verificare direttamente l’efficacia delle soluzioni tecniche e delle modifiche che di volta in volta apporta alle vetture.

Nel 1957 Bizzarrini entra in Ferrari, scelto da Enzo Ferrari, proprio per rimpiazzare uno dei piloti collaudatori, Sighinolfi, morto in un in-cidente all’Abetone. Alla fine degli anni Cinquanta è già responsabile

del settore sperimentale e di sviluppo delle auto Gran Turismo e Sport. Qui lavora con Carlo Chiti, ex collega all’Alfa Romeo, che lui stesso aveva fatto assumere. Bizzarrini lavora alla Ferrari Testa Rossa 12 cilindri 3 litri, alla Testa Rossa 500 Mondial 2 litri, alle varie versioni della Ferrari 250 (250 GT SWB, 250 Spider California, 250 GTo). Ancora alle prese con la 250 GTo, è coinvolto nell’episodio che di-venne famoso come “l’epurazione” e che vide Enzo Ferrari licenziare Gerolamo Gardini e tutti gli ingegneri che ne presero le difese. Nel 1961 Giotto è fuori dalla Ferrari.

La Ferrari 250 GTo è il capolavoro dell’ingegnere in Ferrari e una delle vetture della casa di Maranello più belle di sempre. L’auto è un’evoluzione della 250 SWB che nasce nel 1961 dall’esigenza di di-fendere il titolo costruttori Gran Turismo dagli assalti della nuova Ja-guar E-Type: Bizzarrini arretra il gruppo motore-cambio, spostando il peso verso il centro dell’automobile e consentendo un profilo del muso diverso e più affilato; altre modifiche alla carrozzeria migliorano an-cora l’aerodinamica e la GTo fin dalle prime prove è già velocissima. In seguito perfezionata da Mauro Forghieri e Sergio Scaglietti, la vettura vinse tre campionati del mondo consecutivi. Tra i piloti che la guidarono i più famosi furono Lorenzo Bandini e Stirling Moss.

Nel 1962 insieme a Chiti, Gardini e con il sostegno economico del conte Giovanni Volpi di Misurata, fonda la ATS S.p.a. (Automobili Tu-rismo e Sport), che ebbe vita breve ma permise a Giotto di tornare a lavorare al telaio della Ferrari 250 SWB e realizzare la “Breadvan”, battezzata così per la lunga coda tronca.

Già nel 1960 comincia la collaborazione con l’ASA (Autocostruzio-ni Società per Azioni), azienda di proprietà dei De Nora, che aveva acquistato i diritti per produrre la “Ferrarina”, una piccola GT car-rozzata Bertone. Bizzarrini apporta alcune modifiche su quella che era già l’ASA 1000 GT che ne migliorano assetto e tenuta di strada. L’ASA 1000 GTC è la versione con carrozzeria in alluminio e motore elaborato da 994 cc.

Negli stessi anni Bizzarrini dà vita a Livorno ad una società battez-zata Autostar con lo scopo di progettare nuovi motori. Il lavoro più importante fu per Ferruccio Lamborghini che commissionò un motore

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di grossa cilindrata da installare su vetture da Gran Turismo. Nelle intenzioni del committente, il motore doveva avere almeno 350 caval-li. Bizzarrini crea un V12 di 3,5 litri di potenza addirittura superiore che, ceduto alla Lamborghini, viene installato sulla prima auto della casa modenese, la 350 GTV, ed in seguito sulla celebre Miura.

Dal 1961 Bizzarrini lavora per la ISo Rivolta di Bresso (MI), l’azien-da di Renzo Rivolta che produce elettrodomestici e piccole auto e che vuole cominciare la produzione di vetture Gran Turismo. L’ingegnere lavora alla ISo Rivolta GT 2+2 e progetta la ISo Grifo A3L e la ISo Grifo A3C. La Grifo è un coupé con meccanica e telaio progettati da Bizzarrini, carrozzeria disegnata da Bertone, e motore Chevrolet V8 da 5300 cc in grado di erogare 400 cv di potenza. La Grifo A3L viene presentata al Salone dell’Automobile di Torino nel 1963. Da subito l’idea di Bizzarrini è quella di orientare questa vettura alle corse e la versione che ne deriva viene denominata Grifo A3C, dove la C sta per “corsa” o “competizione”: la carrozzeria è in lamiera o vetroresina e realizzata da Piero Drogo. L’auto partecipò a diverse corse (Sebring,

Le Mans, Nürburgring) ottenendo ottimi risultati, e tali affermazioni favorirono la vendita della versione stradale.

Rotti i rapporti con la ISo, Bizzarrini si mette in proprio e converte la Autostar in Società Prototipi Bizzarrini, poi Bizzarrini s.p.a. Con alcune lievi modifiche alla carrozzeria la A3C diventa una vettura stradale e prende il nome di Bizzarrini 5300 GT Strada (5300 GT America, per il mercato americano): questo è senza dubbio la crea-tura più celebre dell’ingegnere livornese, che continua ad affidarsi al V8 Chevrolet. La fabbrica a Salviano (LI) produsse circa 150 vetture tra il 1964 e il 1969. La versione scoperta è il bellissimo 5300 Spider SI. Anche se le vendite vanno molto bene, subentrano problemi con i fornitori di motori e carrozzerie. Interrotta la collaborazione con la Drogo Sports Cars, una vettura viene carrozzata da Neri e Bonacini e fornita di un motore Ford V8: nasce la “Nembo”. In seguito il carroz-ziere a cui si affida è ancora una volta Salvatore Diomante di Torino. Per le carrozzerie in vetroresina invece ha rapporti con i Cantieri Nautici Catarsi di San Pietro in Palazzi (LI).

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Bizzarrini lavorò anche ad una versione più piccola della GT Strada, la 1900 GT Europa: l’auto che in origine doveva essere spinta da un propulsore Fiat 1500 cc, alla presentazione al Salone di Torino del 1966 monta un motore opel-GM da 1900 cc. La vettura fu prodotta in soli 17 esemplari, uno di essi spider. Allo stes-so salone, è presente anche una vettura dalle caratteristiche opposte, la GT America 7000, con motore Chevrolet da 7 litri, derivata anco-ra dalla 5300 GT Strada. Con questa vettura Giotto fa il suo sostanziale debutto in Ameri-ca, cominciando rapidamente a farsi conoscere al pubblico statunitense e costruire quello che sarà poi il mito del genio dei motori italiano. Già l’anno dopo, nell’agosto del ’67, Playboy usa parla della vettura come “il bambino pro-digio dell’ingegnere italiano Giotto Bizzarrini”. Tra l’inverno del 1965 e la primavera del 1966 nasce anche la P538 (posteriore, 5.3 litri, 8 cilindri), pensata esclusivamente per le corse: si tratta di una barchet-ta a motore posteriore con telaio tubolare leggero; il motore mon-tato sul primo prototipo è un Lamborghini V12 da oltre 400 cv, poi viene installato il solito affidabile Chevrolet Corvette V8 da 5300 cc alimentato da carburatori Weber. Due vetture, iscritte ufficialmente dalla casa, parteciparono in quell’anno alla 24 ore di Le Mans con ot-time prestazioni ma scarsa fortuna, dovendosi ritirare dopo pochi giri. Furono apportate alcune modifiche ai prototipi originali, che mon-tarono tetti in plexiglass, e su commissione del Duca d’Aosta venne realizzata anche una versione coupé. Il telaio della P538 sarà la base della Bizzarrini Manta, la prima realizzazione di Giorgetto Giugiaro dopo il suo divorzio da Bertone e la creazione della sua nuova società Italdesign.

Nel 1969, per le difficoltà economiche incontrate dalla piccola im-presa in un mercato dominato dalle grandi case automobilistiche, ma soprattutto per la speculazione di alcuni finanziatori, la Bizzarrini s.p.a. è costretta a chiudere. Il marchio “Scuderie Bizzarrini” ha di-versi passaggi di proprietà, mentre l’ingegnere prosegue la sua attività di progettista realizzando numerosi prototipi e offrendo consulenze e lavori di ricerca a svariate aziende automobilistiche. Si ricordano

tra gli altri la AMX/3, prototipo sviluppato per l’American Motors Corporation, il prototipo P128, che monta il motore della Fiat 128 Ral-ly elaborato e partecipa alla Targa Florio del 1973, e la monoposto Bizzarrini F3 del 1981. Collabora anche con Kawasaki al motore 900 cc testata 4 valvole e con Gilera per un motore 350 cc.

Nel 1989 un gruppo di ingegneri di Ascoli Pi-ceno ha avuto l’idea di avviare una società con l’intenzione di costruire “copie” delle vetture prodotte negli anni Sessanta da Bizzarrini. Giotto, poco propenso per carattere ad auto-celebrarsi o a tornare su progetti passati, si ri-fiuta di sostenere il progetto ma li aiuta nella realizzazione di una nuova vettura sportiva, la Picchio, con motore BMW. La vettura riscosse

un discreto successo nei diversi campionati nazionali, soprattutto nel-le gare in salita.

L’attività di Bizzarrini prosegue intensa e con la stessa determina-zione, nonostante gli anni che scorrono. Nel 1990 viene presentata la Bizzarrini Bz-2001, derivata dalla meccanica della Ferrari Testaros-sa. Il progetto è sviluppato con gli studenti messicani della scuola di Pasadena, California, per conto di una società privata. Il motore è un V8 6000 cc da 650 cv.

Nel 1998 inizia un progetto in collaborazione fra la Scuderia Bizzar-rini e l’università La Sapienza di Roma: il prototipo Bizzarrini Kjara viene esposto al Salone di Torino nel 2000, si tratta di una vettura ibrida spinta da un propulsore 2.5 litri Turbodiesel Lancia e un moto-re elettrico da 40 KW. La ricerca su forme di propulsione alternative ed ecologiche lo interessa e lo porta a collaborare anche con la ETA S.r.l.

Superati gli ottanta anni di età Bizzarrini continua ad essere total-mente preso dalla sua passione. A livello internazionale è considerato dagli esperti uno dei più grandi ingegneri di sempre, personaggio di culto nel mondo dell’automobilismo. I suoi capolavori sono realizza-zioni immortali che hanno rivoluzionato la storia delle auto da corsa e delle vetture Sport e GT.

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di Jack koobs de Hartog

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Nato in una bellissima località costiera a sud di Livorno in Toscana,

il motto personale di Giotto Bizzarrini è: “Memento Audere Semper”

cioè “Ricorda di osare sempre”.

Inutile dire che lo ha sempre seguito alla lettera.

Fin da giovane, quando lavorava come ingegnere e collaudatore all’Al-

fa Romeo e alla Ferrari, Bizzarrini ha sempre coltivato il desiderio di

diventare pilota di Grand Prix. Questa speranza era ben fondata, in

quanto sui tracciati staccava tempi migliori rispetto ai piloti ufficiali

Ferrari delle categorie Formula 1, GT e Sport Cars. Questo sogno

fece capolino dal cassetto quando incontrò Juan Manuel Fangio. Nel

circuito di Modena, l’ingegnere ebbe l’opportunità di gareggiare con-

tro l’argentino e rimase esterrefatto. “Quel pazzo non aveva paura di

niente! Era impossibile batterlo”, mi disse. “oltre al suo straordinario

talento, contava al 150% anche sulla vettura preparata per lui dagli

ingegneri”. In seguito a questa sconfitta capì che non avrebbe mai

eguagliato la bravura di Juan Manuel Fangio. Ripose quindi il suo

sogno nel cassetto per diventare il famoso ingegnere che è oggi. E

Giotto, infatti, ha davvero lasciato il segno! In particolare ricordiamo

il telaio dell’Alfa Romeo Giulietta, la Ferrari 250 Testa Rossa, gli

altri modelli 250, la 250 GT SWB, la famosa 250 GTo, la Ferrari

“Breadvan”, il motore Lamborghini V12, la ASA 1000 GTC, tutti

i modelli Iso Rivolta e, ovviamente, i suoi fantastici prototipi (A3C,

5300 GT Strada, 1900 GT Europa e P538). C’è forse un altro inge-

gnere in grado di esibire un curriculum del genere? È un vero peccato

che la comunità automobilistica italiana non abbia ancora conferito

a Bizzarrini i dovuti riconoscimenti per tutte le sue creazioni passa-

te, mentre il rispetto che merita giunge puntuale dalla stampa inter-

nazionale. Inoltre, viene addirittura sminuita la forte influenza che

Bizzarrini ha avuto sui modelli Iso Rivolta, in netto contrasto con

i comunicati stampa risalenti al periodo in cui furono lanciati tali

modelli. A quei tempi era necessario sfruttare al massimo l’affermata

reputazione di cui godeva Bizzarrini nel settore automobilistico. ora

sembra che tutti abbiano dimenticato che i modelli Iso Rivolta furono

costruiti grazie alle competenze tecniche e alla fama di questo perso-

naggio proveniente dalla Ferrari e ideatore del motore Lamborghini

V12. Grazie al nome di Bizzarrini, la Iso ha potuto anche rilanciare

l’immagine dei propri frigoriferi e delle proprie motociclette. In caso

contrario avrebbe continuato per sempre a produrre “ovetti su ruote”.

Giotto è un uomo testardo, puntiglioso, difficile?

Di sicuro lavorare con lui può non essere semplice. Ma non c’è niente

di strano in questo, stando a quanto ho imparato da uno dei miei guru

del marketing Paul Arden: “I migliori [creativi] hanno la mente a

senso unico, dispongono di una visione “a tunnel”. È ciò che li rende

unici nel loro genere. Non amano i compromessi e rischiano facilmen-

te di mettere in soggezione gli altri, soprattutto i giovani. Ma se si fa

capire loro che si desidera davvero realizzare qualcosa di buono, la

risposta sarà positiva. Perché anche loro condividono lo stesso desi-

derio. L’importante è far capire loro di avere le idee chiare e di volerle

perseguire fortemente. Così facendo, anche in caso di discussioni, vi

sarete guadagnati il loro rispetto. Se non dovessero mostrarlo subito,

non preoccupatevi, avverrà in seguito. Non ho mai detto infatti che

sarebbe stato facile! Le probabilità di raggiungere una posizione la-

vorativa migliore non sono molto elevate, ma sicuramente sarà stato

più stimolante che lavorare per il tipico datore di lavoro mediocre”.

una saggia lezione che mi ha sempre accompagnato e che è sempre

stata efficace ogni volta che ho avuto a che fare con questo genio.

Non abbiamo mai avuto scontri veri e propri perché sono sempre sta-

to attento a lasciargli lo spazio necessario e meritato, a differenza

di quanto hanno fatto molte altre persone. Mia moglie Marijke ed io

siamo sempre desiderosi di incontrare nuovamente Giotto e Rosanna.

Giotto Bizzarrini avrebbe la reputazione di cattivo manager?

Ma non esiste! Spesso le sue qualità gestionali vengono messe in dubbio?

Ingiustamente!

A metà degli anni ‘60 ha fondato in poco tempo una rinomata azienda

in grado di fornire consulenze e produrre vetture ammirate da tutto

il settore automobilistico. Le sue competenze nell’ambito del mar-

di Jack koobs de Hartog

GIoTTo BIzzARRINI: INGEGNERE, CoLLAuDAToRE E IMPRENDIToRE GENIALE

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di Maurizio tabuccHi

keting erano del tutto innovative

ed era estremamente temuto dalla

concorrenza. un ottimo inizio con

la A3C! un’eccellente vettura che

ha progettato, prodotto e messo su

pista. Con un budget estremamente

contenuto, Bizzarrini ha catturato

l’attenzione della stampa di settore

italiana e internazionale. Tuttavia,

a causa delle normative italiane,

l’omologazione del modello ha ri-

chiesto circa due anni. Anche il set-

tore delle automobili sportive si è opposto insieme ad alcuni fornitori

ausiliari che a volte arrivavano a triplicare i prezzi nel momento in cui

capivano che la società di Bizzarrini avrebbe avuto un grande succes-

so. Nonostante ciò, il giovane imprenditore si affermò sul mercato e nei

primi due anni di vita della sua società, riuscì a vendere ben 30 auto-

mobili destinate ai mercati esteri sportivi più importanti. La maggior

parte di queste vetture è stata venduta in seguito alla partecipazione

e ai risultati conseguiti nei principali eventi sportivi del settore. Infat-

ti, la sua società aveva raggiunto il successo in brevissimo tempo dopo

la sua fondazione, dimostrando di avere familiarità con le quattro P

del marketing: Prodotto, Prezzo, Punto vendita e Promozione. Inoltre,

Bizzarrini ha dimostrato di possedere anche la rarissima quinta “P”,

ovvero la Passione! Sono convinto che, attualmente, tra computer e

strategie di marketing, sia impossibile trovare un imprenditore alle

prime armi alle prese con questa nicchia estremamente specializzata

del settore automobilistico, in grado di eguagliare i risultati conse-

guiti da Bizzarrini. ufficialmente, gli furono promessi sussidi e fondi

governativi per lo sviluppo d’impresa.

Sulla base di queste garanzie e promesse, Bizzarrini fece crescere

l’azienda investendo in risorse umane, nuovi edifici, pacchetti azionari

e attrezzature. Ma, per ragioni non dichiarate e a volte dubbie, non

ricevette mai alcun finanziamento.

Di conseguenza, Bizzarrini dovette cercare altre fonti di capitale ca-

dendo purtroppo nelle mani di finanziatori disonesti che lo porta-

rono a dover abbandonare la sua

carica all’interno del Consiglio di

amministrazione, privandolo di tut-

ti gli asset dell’azienda. Accadde

addirittura che gli ultimi prototipi

dell’azienda, furono costruiti senza

l’intervento di Bizzarrini, che ave-

va già lasciato il consiglio d’ammi-

nistrazione. Tale fallimento non è

quindi da attribuire a Giotto Biz-

zarrini. Nessun imprenditore (forse

a causa della concorrenza) può so-

pravvivere a lungo in una tale situazione senza cadere in bancarotta.

Nemmeno Bizzarrini è stato risparmiato. Egli sostiene di essere stato

vittima di una sorta di complotto organizzato segretamente per esclu-

derlo dal mercato poiché costituiva una spina nel fianco al consolidato

potere politico di grandi aziende come Ferrari, Maserati e Lambor-

ghini.

Eventi del passato a parte, Bizzarrini, dall’alto della sua professionalità,

sa esattamente cosa vuole creare e come affrontare i problemi tecnici e

le trappole disseminate sul percorso verso il raggiungimento dei propri

obiettivi. A differenza di molti altri ingegneri, conosce ogni più recon-

dito aspetto della fase produttiva e, ancora più importante, ne conosce

le ragioni. È estremamente difficile trovare un ingegnere-collaudatore

preparato come Bizzarrini, dotato anche della passione per la proget-

tazione. E viene rispettato per questa sua qualità. Nel corso degli anni,

molti importanti costruttori del settore automobilistico hanno bussa-

to alla sua porta per ricevere consulenze. Forse non tutti sanno che,

perfino la Ferrari ha segretamente richiesto la consulenza di Bizzarri-

ni: le vetture venivano trasferite nella sua piccola officina per chieder-

gli di risolvere i problemi tecnici riscontrati nei progetti di Formula 1.

Bizzarrini ha osato e non ha mai dimenticato di osare!

Abstract da: Bizzarrini P538 Anniversario, di Jack Koobs de Hartog, di prossima pubblicazione.

[email protected]

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IL GRANDE, GENIALE PRoGETTISTA GIoTTo BIzzARRINI? No, LuI SI DEFINISCE MECCANICo CoLLAuDAToRE!

di Maurizio tabuccHi

L’officina ce l’ha a Rosignano Solvay, ma l’ha

chiusa “per raggiunti limiti di età” ci disse quasi

un anno fa.

oggi si può incontrare a Quercianella, dove ha le

sue radici. Abita in una traversa della Via Aurelia,

quella strada divenuta famosa per “Il Sorpasso”

del grande regista Dino Risi; in quei giorni - era il

1962 - quando venne girato il film Giotto aveva

trentasei anni, l’anno prima aveva lasciato la Fer-

rari abbandonando un posto sicuro, il suo sogno di

progettista, pardon meccanico collaudatore, come

lui ama definirsi. E si accingeva ad intraprendere

l’attività di costruttore con quelle bellissime per

tutti e solo per lui fallimentari (dal punto di vista

economico) GT Strada, tutte fatte a Livorno, tran-

ne il motore il 5300 otto cilindri Chevrolet, ma

che lui aveva reso più potente.

La carrozzeria in vetroresina gliela realizza il can-

tiere Catarsi di San Pietro in Palazzi, nei pressi

di Cecina, il resto lo fa da sé. Di cosa non è ca-

pace Giotto? un’avventura la sua, un’avventura

che finirà male sotto l’aspetto imprenditoriale, ma

magnificamente per il successo internazionale che otterranno le sue

berlinette. un’avventura delle tante, come quando durante la guerra,

mentre piovevano i bombardamenti americani, si tuffava in mare a

raccogliere i pesci morti per le esplosioni. “Il ponte non lo prendevano

mai... ma il fritto era assicurato”.

I livornesi sono un po’ matti, coraggiosi, allegri, estroversi, un po’ di-

versi dagli altri toscani, perché Livorno ha una storia particolare, af-

fascinante; la città la vollero sviluppare i Medici, più o meno quando

ormai Pisa, l’antica Repubblica Marinara, era agli sgoccioli è proprio

il caso di dirlo, perché il mare si stava lentamente allontanando; ma

soprattutto ormai sotto il dominio della Repubblica Fiorentina. I Me-

dici vollero la città porto franco per favorirne il

popolamento. E fu così che a Livorno arrivarono

da tutto il Mediterraneo, dall’oriente, dalla Spa-

gna, portando le loro culture, le loro storie, le loro

religioni, il loro carattere. un’abitudine (si fa per

dire) dei livornesi, dei “risicatori”, come si chia-

mavano da queste parti, era quella di aspettare

che le navi si arenassero sulle famose Secche del-

la Meloria per prenderne possesso. E il primo co-

raggioso che riusciva a salirvi, superando indenne

non tanto il braccio di mare che le separava dalla

costa, ma la competizione con gli altri contenden-

ti, ne diventava per legge il proprietario.

Questo racconta Bizzarrini quando parla della

sua storia, delle sue avventure, dei suoi successi,

delle sue sconfitte. Da noi è famoso, ma in Ameri-

ca, quando lo invitano per gli eventi legati alle sue

automobili gli stendono il tappeto rosso. Perché,

come un altro celebre toscano, l’immenso artista

di Vicchio del Mugello, ha inventato la Ferrari

GTo, l’altra o di un altro Giotto.

un nome che ricorre nella famiglia; il nonno Giot-

to non aveva studiato, ma divenne dottore honoris causa, tante furono

le sue pubblicazioni scientifiche. Autodidatta, geniale, straordinario.

Come il nipote? Sì come il nipote. Il quale ricevette da Enzo Ferrari

un ordine: Bizzarrini mi devi fare una macchina che vada forte, ma

forte da essere la più veloce Granturismo di tutti i tempi. E nacque il

mito, la vettura più famosa al mondo. “Io non ho mica fatto granché;

Ferrari mi dette una vecchia berlinetta da modificare e mi rinchiu-

se in un piccolo locale ricavato in fabbrica, a Maranello, lontano da

occhi indiscreti. Nessuno, dico nessuno, nemmeno la progettazione,

doveva sapere quello che stavo facendo. Tutti i giorni veniva a vedere

cosa combinavo e alla fine gli dissi: ingegnere, guardi, non s’illuda,

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che un po’ di tempo ci vuole! Ma rimasi anch’io sorpreso, quando la

macchina, la “Papera”, fu pronta. Finì che avevo fatto presto, quasi

non ci credevo, ma io non ho compiuto alcun miracolo, la macchina

c’era già! La carrozzeria? Mi servii di un volenteroso carrozziere lì

vicino che modellò l’alluminio; niente di speciale. La vera GTo, quella

di serie - si fa per dire - arrivò dopo, ma anche la mia andava, eccome

se andava!”.

oppure quando, non molto tempo fa, lo chiamarono alla Ferrari: “Ci

avevano finito la strada da me! Per risolvere il problema alla galleria

del vento”. Lui aveva realizzato la sua galleria artigianale, mecca-

nica, con due stadere, rudimentale, ma che andava benissimo; quella

supertecnologica di Maranello, invece, non voleva proprio funzionare.

“o non lo vedete che lo strumento sente le vibrazioni dell’automobile;

cambiategli posto no?”. E da quel giorno il sonno dei tecnici Ferrari

fu molto più tranquillo.

onoriamo Giotto Bizzarrini, teniamocelo stretto; dopo di lui fine della

leggenda, in un mondo ormai preda dei computer, freddo, globalizzato.

Quelli della sua generazione se ne sono andati e non è un caso che

questa Toscana, una regione all’avanguardia, culla della cultura rina-

scimentale, lungimirante, saggia, prima nazione al mondo - il Grandu-

cato - ad abolire nel 1787 pena di morte e tortura, abbia dato i natali

a tanti personaggi dell’automobile che oggi purtroppo non ci sono più.

Se ne sono andati Aurelio Lampredi, livornese anche lui, grande pro-

gettista Ferrari e non solo. Se n’è andato il pistoiese Carlo Chiti, che

tutti ricordano in Ferrari nel 1961, trionfatore tanto con le Formula 1,

quanto con le Sport, e poi alla testa dell’Autodelta. E se n’è andato

anche Franco Scaglione, lo straordinario designer fiorentino che vive-

va a Suvereto.

I magnifici Quattro? Forse sì, perché in questa zona d’Italia si sono

concentrati alcuni dei più grandi cervelli dell’Automobile, quella con

l’A maiuscola.

Grazie Giotto, grazie della tua storia, grazie del tuo mito, grazie della

tua amicizia.

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Bizzarrini 5300 Strada

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Dimensioni L/W/H 4394/1730/1110 mmPasso 2451 mmPeso 1252 kgCapacità serbatoio 130 litri

Motore e trasmissioneMotore GM / Chevrolet CorvetteDistribuzione punterie meccanichePosizione motore centrale – anterioreAlesaggio x corsa 101.6 x 82.55 mmCilindri V8Valvole OHVValvole per cilindro dueVolume 5359 ccCambio 4 rapporti + RMRapporto di compressione 11:1Alimentazione un carburatore HolleyPotenza massima 365 CVPicco di potenza 6000 giriTrazione posteriore

Telaio Tipo Pianale di lamiera con struttura tubolareSospensione anteriore a ruote indipendenti, bracci triangolari, molle

elicoidali, ammortizzatori telescopici, barra stabilizzatrice

Sospensione posteriore Ponte De Dion, molle elicoidali, ammortizzatori idraulici, montanti longitudinali, barra stabilizzatrice

Freni a disco (posteriori montati all’uscita del differenziale)Sterzo a circolazione di sfereRuote, cerchi ant./post. 6x15 / 7x15Carrozzeria alluminio

Prestazioni Velocità massima 259 kmh

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Bizzarrini 128P

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Dimensioni L/W/H 4394/1730/1110 mmPasso 2451 mmPeso 1252 kgCapacità serbatoio 130 litri

Motore e trasmissioneMotore GM / Chevrolet CorvetteDistribuzione punterie meccanichePosizione motore centrale – anterioreAlesaggio x corsa 101.6 x 82.55 mmCilindri V8Valvole OHVValvole per cilindro dueVolume 5359 ccCambio 4 rapporti + RMRapporto di compressione 11:1Alimentazione un carburatore HolleyPotenza massima 365 CVPicco di potenza 6000 giriTrazione posteriore

Telaio Tipo Pianale di lamiera con struttura tubolareSospensione anteriore a ruote indipendenti, bracci triangolari, molle

elicoidali, ammortizzatori telescopici, barra stabilizzatrice

Sospensione posteriore Ponte De Dion, molle elicoidali, ammortizzatori idraulici, montanti longitudinali, barra stabilizzatrice

Freni a disco (posteriori montati all’uscita del differenziale)

Sterzo a circolazione di sfereRuote, cerchi ant./post. 6x15 / 7x15Carrozzeria alluminio

Prestazioni Velocità massima 259 kmh

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Bizzarrini 500 “Macchinetta”

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Dimensioni L/W/H 3225/1270/1320 mmPasso 1990 mmPeso 500 kg

Motore e trasmissione Motore FiatDistribuzione monoalbero in testaPosizione motore anterioreCilindri 4 in lineaValvole per cilindro dueVolume 569 ccCambio 4 rapporti + RMRapporto di compressione 7:1Alimentazione Due carburatori Dell’OrtoPotenza massima 28 CVTrazione posteriore

Telaio Tipo tubolareSospensione anteriore a ruote indipendenti, bracci oscillanti,

balestra trasversale, ammortizzatori idrauliciSospensione posteriore a ruote indipendenti, balestra, ammortizzatori

idraulici, supporti in gomma, barra stabilizzatrice

Freni a tamburoSterzo a vite e settoreRuote, cerchi ant./post. 4.25x15 / 4.25x15

Prestazioni Velocità massima 150 kmh

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ASA 1000 GT

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Dimensioni L/W/H 3900/1550/1200 mmPasso 2200 mmPeso 780 kgCapacità serbatoio 60 litri

Motore e trasmissione Motore ASADistribuzione monoalbero in testaPosizione motore anterioreAlesaggio x corsa 69 x 66.5 mmCilindri 4 in lineaValvole per cilindro quattroVolume 1092 ccCambio 4+2 rapporti (overdrive su terza e quarta

marcia) + RMRapporto di compressione 9.1:1Alimentazione due carburatori Weber doppio corpo DC0E

40Potenza massima 102 CVPicco di potenza 6800 giriTrazione posteriore

Telaio Tipo a traliccio in tubi d’acciaioSospensione anteriore a ruote indipendenti, bracci oscillanti, molle

elicoidali, ammortizzatori idrauliciSospensione posteriore ponte rigido, bracci oscillanti, molle elicoidali,

ammortizzatori idrauliciFreni a disco con servofrenoSterzo a cremaglieraRuote, cerchi ant./post. 5.70x13Carrozzeria alluminio

Prestazioni Velocità massima 190 kmh

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Bizzarrini Kjara

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Dimensioni L/W/H 4100/1950/1180 mmPasso 2500 mmPeso 1116 kg

Motore e trasmissione Motore FIAT Lancia 2.4 turbodiesel + Motore

elettrico OEMER da 40 kWPosizione motore centrale – posterioreCilindri 4Valvole per cilindro dueVolume 2400 ccCambio 5 rapporti + RMAlimentazione SovralimentatoPotenza massima 170 CVTrazione integrale

Telaio Tipo struttura space frame in acciaio con elementi

in carbonioSospensione anteriore a ruote indipendenti, quadrilateri sovrapposti,

ammortizzatore idraulico, molle coassialiSospensione posteriore a ruote indipendenti, quadrilateri sovrapposti,

ammortizzatore idraulico, molle coassialiFreni a disco autoventilatiRuote, cerchi ant./post. 11x17Carrozzeria fibra di vetro

Prestazioni Velocità massima 230 Km/h

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Aurelio Lampredi

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di GiorGio Marzolla

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Era nato a Livorno verso la fine della Prima Guerra Mondiale, il 16

giugno 1917, da famiglia tipicamente livornese con il padre vice capo

ufficio in un’azienda cantieristica per la riparazione dei rimorchiatori.

Dopo i regolari studi tecnici consegue il diploma in ingegneria mec-

canica all’istituto Tecnico Superiore di Friburgo nel Baden Württem-

berg in Germania, sede di un’antica università.

Il suo primo lavoro a 20 anni è già impegnativo: dal 1937 al ‘39 la-

vora infatti all’ufficio progetti motori avio della Piaggio. Questa era

un’azienda ligure fondata a Genova nel 1884 da Rinaldo Piaggio per

la lavorazione del legno e degli arredamenti navali. La società, passa-

ta nelle mani dei figli Armando ed Enrico, si occupò anche di aeronau-

tica, quando gli aerei erano prevalentemente di legno. Erano i tempi in

cui l’aeronautica italiana era all’avanguardia e l’esperienza acquisita

in questi due anni tra questi motori gli sarà preziosa per i suoi pro-

getti nel campo delle automobili. La Piaggio é più nota al pubblico

perché nel 1946, grazie all’ingegner Corradino D’Ascanio, realizzò la

Vespa, successo mondiale.

Per un breve periodo di circa un anno, Lampredi è assunto come pro-

gettista all’acciaieria Bossoli di Livorno ed impara molte cose sui

metalli e sul modo di trattarli; la conoscenza dei metalli e delle loro

lavorazioni sarà un’esperienza fondamentale per il suo lavoro futuro

nel campo dei motori. Si ricorda che anche Henry Ford, all’inizio del-

la sua carriera, lavorò in una fonderia e questa esperienza gli fu poi

preziosa quando si trattò di far fondere il monoblocco del suo motore

8 V.

In piena Seconda Guerra Mondiale, nel 1941, fu assunto da un’altra

azienda aeronautica prestigiosa, le officine Reggiane Caproni di Reg-

gio Emilia dove rimane alla progettazione motori fino al 1945, al ter-

mine delle ostilità. Le officine Reggiane producevano il famoso caccia

RE 2000, considerato uno dei migliori di tutta la guerra.

Lampredi alla Ferrari

Intanto Enzo Ferrari, che si è ormai definitivamente staccato dall’Al-

fa Romeo, si mette in proprio a costruire automobili ed ha necessità di

ingegneri progettisti con esperienza nel campo dei motori.

Ferrari era uno straordinario progettista e animatore di uomini, non

di motori, ed aveva estremo bisogno di un valido elemento con pre-

parazione e capacità tecniche elevate. Alle Reggiane lavorava un pro-

fessore di Modena a cui Ferrari chiese se conosceva qualche giovane

ingegnere bravo e il professore, che aveva molto apprezzato il giovane

Lampredi, glielo segnalò. Quindi fu convocato alla Ferrari dove Giu-

seppe Busso gli fece un interrogatorio di terzo grado, rimandandolo a

casa con l’auto stop, senza una parola. una domenica mattina di due

settimane dopo, suonano alla porta di casa ed è Ferrari in persona che

gli dice “Venga subito con me, da domani stesso”. Così nel 1946 Lam-

predi entra alla Ferrari, che era allora una piccola fabbrica artigiana-

le, come vice capo dell’ufficio Tecnico diretto da Giuseppe Busso, un

ingegnere di valore e di vecchia maniera con cui si scontra Lampredi,

il quale non sempre è d’accordo con lui per completa diversità di ve-

dute nel tipo di motori da costruire e nel modo di farli.

Per cui, quando gli viene prospettata la possibilità di inserirsi in una

fabbrica dal nome glorioso come l’Isotta Fraschini di Saronno, che

ha la velleità di far rinascere la marca e di rilanciarla sui mercati in-

ternazionali con una nuova prestigiosa automobile di lusso, Lampredi

accetta.

Dobbiamo ricordare che nel 1946 la Ferrari era una piccola azienda

appena nata mentre l’Isotta Fraschini, fondata il primo gennaio 1900,

era stata una delle fabbriche più rinomate nella costruzione di auto di

gran lusso, ampiamente esportate e con fama mondiale.

Lampredi viene assunto nel 1946 e si trasferisce a Milano per metter

mano al progetto del motore a 8 cilindri a V della Monterosa che sarà

prodotta in due esemplari, funzionerà benissimo ma rimarrà allo stato

di prototipo e non entrerà mai in produzione.

di GiorGio Marzolla

AuRELIo LAMPREDI

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Fu un tentativo prematuro di far rinascere la prestigiosa marca Isotta

Fraschini, in un’epoca dell’immediato dopo guerra, il 1947, in cui la

motorizzazione era prevalentemente su due ruote e c’era una grande

richiesta di auto minime ed economiche, come la 500 e poi la 600

Fiat.

uscito Busso dalla Ferrari, Lampredi, dopo pochi mesi di assenza,

viene richiamato dal Commendatore nel settembre 1946 ma con il

patto “io torno, ma voglio trovare strada libera” e diventa Responsa-

bile della Progettazione, incarico principe in una fabbrica di macchine

da corsa, ruolo che manterrà per otto anni fino al 1955, libero quindi

di esprimere le sue idee, sempre sotto la guida di Ferrari. Qui trova

l’ingegner Giacchino Colombo come collaboratore esterno di Ferrari,

valente progettista di motori da competizione, considerato uno de-

gli uomini più importanti nell’automobilismo sportivo italiano. Aveva

iniziato nel lontano 1924 all’Alfa Romeo sotto Vittorio Jano che nel

1937 l’aveva mandato alla scuderia Ferrari di Modena dove progettò

l’Alfa Romeo 158, la 308, la 312 e la 316 assieme all’ingegner Ri-

cart, tutte vetture molto innovative. Tornò alla sede di Milano dell’Al-

fa dopo due anni nel 1939 dove passò tutto il periodo della guerra.

Enzo Ferrari, che lavorando per l’Alfa aveva già conosciuto le sue

capacità, lo chiamò come collaboratore a Modena nel 1945 all’inizio

delle sua attività di costruttore. Colombo, con la sua esperienza in

Alfa fatta con Jano e Ricart, gli progettò quel primissimo 1500 a 12

cilindri a V, progenitore di tutta la serie dei motori a 12 cilindri della

Ferrari ed anche la vettura, la 166 che doveva ospitarlo.

Alla fine del 1947 arriva Aurelio Lampredi. I due tecnici, entrambi

validissimi, hanno differenti vedute e si accende tra di loro una rivali-

tà che Ferrari non frena fino a quando il più anziano Colombo torna

per un breve periodo all’Alfa Romeo e poi si trasferisce alla Maserati

dove progetta gli straordinari motori a 6 cilindri 2000 e 2500.

Questo primo motore 1500 a 12 cilindri aveva avuto una gestazione

difficile. Colombo aveva fatto girare l’albero motore su cuscinetti di

banco in “metalbianco” come si usava negli anni ‘30, ma questi non

reggevano il carico. Allora aveva ideato dei cuscinetti flottanti, non

bloccati all’esterno “per dimezzare le velocità periferiche”, che però

si rivelarono un disastro. Allora ripiegò sui rullini di banco e di biella

(i cuscinetti “ad aghi”), sistema complicato e costoso che obbligava

ad una lavorazione particolare dell’albero motore e alla costruzione

di speciali rullini, sistema che non dette mai grandi risultati special-

mente in affidabilità. Eppure pochi anni dopo, il giovane ingegnere

Giulio Cesare Carcano progettò la famosa Guzzi 500 a 8 cilindri a V

con l’albero e le bielle che giravano su rullini. Quel motore sviluppava

68 CV a 12.000 giri che, all’epoca, erano un’enormità. A Hockenheim

nel ‘56 la 8 V stabilì il giro più veloce a 199 km/h di media col pi-

lota Kavanag e nel ‘57 raggiunse 275 km/h sul rettifilo di Terracina.

Ancora migliorata fino a portarla a 75 CV vinse la prima gara del

Campionato Italiano e la Coppa d’oro a Imola nel ‘57, quando un

accordo tra le maggiori case motociclistiche italiane fece terminare

la partecipazione alle gare.

Questo motore Ferrari da 1500 cc. era troppo frazionato ed addirit-

tura c’era un modello, la 125 di F. 1, munito di compressore come

l’Alfetta 159. Lampredi mette subito le mani sul 12 cilindri di Co-

lombo che dava solo 60/65 cavalli a 5600 giri e lo progetta da capo,

togliendone i difetti e specialmente i diabolici rullini, incrementando-

ne decisamente la cilindrata a 3300, poi 4100 ed infine a 4500 cc e

naturalmente la potenza che raggiunge i 350 CV a 7000 giri. Con la

sua esperienza in campo aeronautico, non crede nei turbo per i motori

della auto ed infatti il suo 12 cilindri è un motore aspirato, contraria-

mente all’Alfetta. Quando al banco provano il motore con il capo della

sala prove Luigi Bazzi, fedelissimo di Ferrari fin dal tempo dell’Alfa,

questo sviluppa una tale potenza che Bazzi dice subito “Si è sballato

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il banco prova”: per due giorni smontano e rimontano il banco ma il

motore dà sempre la stessa altissima potenza. Lampredi azzarda: “E

se fosse proprio questa la potenza giusta? I miei motori sono sempre

stati potentissimi. Vengo da un campo, l’aeronautica, dove l’uomo del

cielo è attaccato al motore e se il motore non è potente viene giù come

una pera”.

un grande passo avanti nei motori sportivi fu l’adozione di cuscinetti

di banco e di biella a guscio sottile. Lampredi li aveva già visti du-

rante la guerra sui motori aeronautici, preda bellica Pratt & Whitney

americani e Rolls Royce inglesi, ma nel ‘47 aveva fatto la conoscenza

col signor Vandervell che produceva questi cuscinetti a guscio sottile.

Precedentemente il motore Ferrari, come si è detto, ruotava su rullini

ma era una soluzione costosissima e fragile. Quindi vengono adottati i

cuscinetti inglesi a guscio sottile acquistando in prestazioni e special-

mente in affidabilità.

Nel 1950 si corre il primo campionato mondiale di piloti e marche.

L’Alfa Romeo partecipa con la 159 e i piloti delle tre F, Farina, Fangio

e Fagioli vincendo undici gare e facendo conquistare a Farina il primo

titolo mondiale. Le Ferrari 4500 di Lampredi invece mancavano an-

cora di affidabilità. Ma l’anno dopo, nel 1951, la Ferrari guadagna il

suo primo successo in Formula 1 con Froilan Gonzales (el Cabezon)

a Silverstone con la 375 F 1 e Ascari al Nürburgring vince di forza

con la sua Ferrari dimostrando che il motore di Lampredi è veramente

molto potente ed ora anche affidabile. Questo aveva ormai sorpassato

in prestazioni l’Affetta 159 che, dopo quell’anno, pur vincendo il cam-

pionato del mondo con Fangio, abbandonò le corse. All’Alfa correvano

con una macchina del 1938 che, anche se aggiornata e potenziata,

non poteva più competere con i nuovi motori. Anzi, già troppo aveva

fatto e vinto.

Quando a Monza al Gran Premio d’Italia, le Ferrari arrivarono prima,

terza, quarta e quinta con il solo Farina inserito al secondo posto

sull’Alfetta 159, si capì che questa macchina aveva fatto il suo tem-

po. Raccontava Lampredi: “All’Alfa Romeo si comportarono da gran

signori. Mi chiamarono subito al loro box dove c’era il direttore gene-

rale dell’Alfa che mi disse: “Così giovane! Lei ha ucciso l’Alfa, questa

macchina gloriosa l’anno prossimo non correrà più. Il nostro ciclo è

finito, noi ci ritiriamo dalle gare”. Il primo telegramma di felicitazioni

che Lampredi ricevette fu proprio quello dell’Alfa Romeo. Così finì

imbattuta la straordinaria Affetta 159 superata da un altro astro

nascente italiano: la Ferrari. Il motore 4500 a 12 cilindri a V, ridotto

in seguito di cilindrata a 3000, equipaggiò la famosa Ferrari 250 e le

serie successive che, vestite magistralmente dai più abili carrozzieri,

ne fanno ancor oggi le più ambite automobili d’epoca. Questo propul-

sore aveva parecchie particolarità tecniche tra cui le canne avvitate

alla testa senza l’interposizione di guarnizioni di tenuta.

Nel 1951, una domenica mattina verso le 11, Ferrari entrò nell’uf-

ficio di Lampredi informandolo che avevano cambiato i regolamenti

della Formula 1 e che bisognava progettare un nuovo motore, non

più da 4500 cc ma solamente da 2000. Data l’ora, Lampredi voleva

andarsene a casa a pranzare in famiglia ma Ferrari gli chiese solo “di

buttare giù un’idea” e mentre Lampredi disegnava, lo rifornì di panini

e Lambrusco per non distaccarlo dal tavolo di lavoro. Alle 5 del po-

meriggio il progetto di un motore 2000 col frazionamento ridotto a

4 cilindri era pronto. Passato poi ai collaboratori Rocchi, Salvarani,

Fochi che lo misero al “pulito”, dopo due mesi il motore altamente

competitivo girava al banco prova.

Nacque così la 4 cilindri 2000 “500 di Formula 2”, doppia accen-

sione col cambio in blocco col differenziale, che non perse mai una

corsa e con cui Alberto Ascari vinse per due anni il campionato del

mondo di Formula 2 nel 1952 e nel 1953, che aveva sostituito la For-

mula 1. Da questi successi venne l’idea di fare una macchina Sport

con questo motore e un telaio sempre a passo corto; così nacque la

Sport Mondial (che dal ‘56 si chiamerà Testa Rossa), altra vettura

sempre vincente. Nella Mille Miglia del 1954 arrivò prima nella sua

classe di due litri. Con la cilindrata aumentata a 2500 questo motore

equipaggiò l’imbarcazione di Achille Castoldi che batté il record mon-

diale di velocità nel 1953. Su questo motore Lampredi montò per la

prima volta il tubo di scarico sdoppiato 1-3 e 2-4, che oggi si trova su

molti motori a quattro cilindri. La dote principale era, oltre all’alta

potenza, l’affabilità. Lampredi aveva fatto il basamento in ghisa a

doppia parete per avere la massima rigidità accoppiata alla massima

leggerezza. La qualità di questo basamento era tale che fu adoperato

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anche per motori di cilindrata superiore come il 3000 e poi il 3500.

Con il motore a 4 cilindri, Ferrari tenta l’avventura di Indianapolis

e si presenta alla corsa con una monoposto, alla guida di Alberto

Ascari, ancora con le ruote a raggi Borrani rinforzate, mentre tutte

le macchine americane montano robuste ruote a disco. Sono proprio

le ruote che tradiscono Ascari in corsa, che si trova a gareggiare tra

macchine altamente specializzate e con grande esperienza per quel

tipo particolare di competizione. Lampredi, quando rimase solo al

reparto progettazione, chiamò presso di sé due ragazzi, Rocchi e Sal-

varani, che avevano lavorato con lui alle Reggiane e che “si era tirato

su” insegnando loro per bene il mestiere. Il primo lo adibì ai motori

e il secondo alle ruote dentate e poi ai telai quando in Ferrari arrivò

Colotti che aveva la passione degli ingranaggi. Costui si specializzò

proprio nei cambi e creò poi una sua attività per la costruzione dei

cambi per le macchine sportive. L’ufficio tecnico diretto da Lampredi

aveva quindi Rocchi ai motori, Salvarani ai telai e Colotti alle tra-

smissioni, coadiuvati da altri più giovani tra cui Fochi, che lo seguirà

poi all’Abarth e con cui progetterà e porterà in produzione il Volumex

per le Lancia da Rally. Aveva quindi creato un gruppo formidabile di

tecnici che, nel tempo, faranno grande la Ferrari.

L’attività di Lampredi alla Ferrari è frenetica e produce a getto con-

tinuo motori e soluzioni tecniche che portano le auto del Cavallino

a vincere in tutte le categorie e in tutte le gare. Nel 1948 e nel ‘49

Clemente Biondetti vinse la 1000 Miglia con la Ferrari 166 S e Luigi

Chinetti la prima 24 ore di Le Mans del dopoguerra. Nel ‘50 fu la vol-

ta del gentleman driver Giannino Marzotto che vinse la 1000 Miglia

con la 195 S (motore da 2341 cc.) in abiti borghesi e passerà alla

storia come “il pilota in doppio petto blu”.

Solo negli anni 1951/53 in Ferrari si costruirono 21 tipi di motori che

portarono a vincere la 1000 Miglia nel ‘51 con Villoresi, nel ‘52 con

Bracco e nel ‘53 con Giannino Marzotto. In realtà dal 1948 al 1957

(l’era di Lampredi), tutte le 1000 Miglia furono vinte dalla Ferrari

eccetto negli anni ‘54 e ‘55, mentre nel ‘56 e ‘57 le auto col Cavallino

fecero il vuoto dietro di loro arrivando I, II e III.

L’ingegner Ildo Renzetti era stato a lungo alla Moto Guzzi all’epoca

della famosa 8 cilindri 500 cc., moto potente e vincente ma anche

pesante e quindi difficilmente manovrabile. Renzetti voleva seguire

un’altra via e provare a costruire un motore monocilindrico da 500

cc. che sperava sviluppasse almeno 50 CV, creando quindi una Guzzi

da corsa molto più leggera e manovrabile della 8 cilindri e abbastanza

potente da essere competitiva. Nel 1955 Ferrari, che aveva saputo

di questo progetto, pensa che un motore da competizione a due soli

cilindri ad alta potenza possa avere delle caratteristiche di leggerezza

e di coppia vincenti nei circuiti ovali americani ed incarica Lampredi

di progettarne uno. Nasce quindi il progetto della 252 F.1 da 2500

cc., di cui viene costruito il solo motore con l’altissimo rapporto di

compressione di 13:1 che, messo al banco, scoppiò letteralmente spa-

rando la testata sul soffitto della sala prove. Da questo episodio iniziò

il famoso “scontro silente” finito con la rottura con Ferrari che si

risolse nel 1956, quando Lampredi approdò alla Fiat chiamato da

Gianni Agnelli in persona che gli aveva detto tempo prima “Se lascia

la Ferrari, venga da noi”. Al momento della liquidazione Enzo Fer-

rari voleva da Lampredi la ricevuta a testimonianza che tutto fosse

stato saldato, l’altro invece voleva prima l’assegno per poi consegnare

in seguito la ricevuta. Finì che in una mano uno teneva la ricevuta

e nell’altra mano l’altro teneva l’assegno che si scambiarono nello

stesso tempo.

Lampredi alla Fiat

La struttura tecnica del reparto progettazione della Fiat era com-

posta da 4 persone: l’ing. Ettore Cordiano (direttore progettazione),

l’ing. Felice Cornacchia (direttore progettazione vetture), l’ing. Aure-

lio Lampredi (direttore progettazione motopropulsori, cioè motori e

relative trasmissioni) e l’ing. zandonà (capo sperimentazione); l’inge-

gner Ildo Renzetti (che veniva dalla Guzzi) era invece alla sperimen-

tazione e dipendeva da zandonà.

Alla Fiat quella era l’epoca dei “Cavalieri” che, pur non essendo lau-

reati, detenevano il potere nei reparti tecnici, che erano detti “trita

ingegneri”. Molti giovani ingegneri furono infatti “tritati” ma Lam-

predi resistette. Era un motorista completo con buone conoscenze di

sala prova ma era soprattutto un grande progettista, un vero genio

nel disegno e nella velocità ad eseguire disegni schematici in cui non

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compariva mai il numero 17, magari un 16,99 ma mai un 17. Lam-

predi era molto prolifico e progettò per la Fiat, come aveva fatto alla

Ferrari, tutta una serie di motori per auto di grande serie e sportive.

Inventò la camera polisferica con albero a camme semilaterale per il

motore modulare (quasi una novità per l’epoca) con 4 cilindri in linea

per le nuove berline 1300/1500 e con 6 cilindri per le “ammiraglie”

1800/2100 poi evoluto in 2300 cc. Per la 124 berlina progettò un

motore ancora ad albero a camme laterale e valvole allineate coman-

date con aste e bilancieri secondo la tecnica corrente all’epoca ma

per le sue versioni sportive, le ben note 124 Sport Coupé e Spider,

progettò il bialbero mosso da cinghia dentata.

La qualità di questo progetto è dimostrata dal fatto che il “bialbero

Lampredi” è stato montato su diverse automobili con cilindrate diffe-

renti ed è stato in produzione dal 1966 fino all’anno 2000, equipag-

giando vetture Fiat e Lancia, veicoli commerciali e macchine sportive.

Era partito da una cilindrata 1200 per arrivare al 2000 Abarth da

corsa. C’era allora in Fiat una guerra feroce tra i reparti Progetta-

zione e Sperimentazione; quello che proponeva l’uno veniva bocciato

dall’altro, ma anche in questo caso Lampredi dimostrò il suo straor-

dinario senso pratico facendo sperimentare i suoi motori da un altro

reparto e mettendo poi tutti davanti al fatto compiuto e a motori

sempre innovativi e di alte prestazioni. oltre a tutti i motori sportivi

e da corsa come aveva prodotto alla Ferrari, Lampredi si dedicò an-

che ad una auto economica e nuova per la Fiat: la prima “trazione

anteriore”, la 128, uscita nel 1969 con il gravoso compito di sostitu-

ire la straordinaria 1100, uno dei grandi successi della Casa. Risolse

l’eterno problema tra economia di costruzione e prestazioni adottan-

do la trazione anteriore, mantenendo lo schema dei 4 cilindri 1100 cc.

ma progettando il motore posto di traverso e con valvole inclinate a

comando diretto mosse da un asse a camme in testa comandato da

cinghia dentata. La configurazione detta ad F, dette ottimi risultati ed

una potenza di 55 CV del motore che equipaggiò la berlina a due o

quattro porte e la familiare, tutte dotate di sospensioni a quattro ruo-

te indipendenti. Come tutte le costruzioni di Lampredi, quest’auto era

suscettibile di evoluzione tanto che presto le si affiancarono la Sport

Coupé 1100 e 1300 (1971), la Rally (1972), la Special 1100/1300

(1974), la 128 Coupé 3 P (1975), la nuova 128 (1976) e la Coupé

3P speciale (1979).

La Fiat doveva ancora stupire perché nel 1980 uscì dal reparto pro-

gettazione un motore completamente nuovo, non nella sua struttura

ma nel metodo di costruzione. Si trattava del famoso FIRE, il primo

motore italiano costruito interamente da sofisticati robot. Robot che

costruivano interamente motori, da noi non si erano mai visti.

Questo fu il primo di una serie di nuovi propulsori che non avevano

nessuna derivazione dai motori dell’era Lampredi (che intanto nel ‘77

era andato in pensione ma era rimasto come consulente) e rappresen-

tò un grande punto di svolta nell’industria automobilistica in quanto,

eliminata ormai la vecchia catena di montaggio di tipo fordiano, a cui

tutte le fabbriche del mondo si erano ispirate senza mai uguagliarla,

venne costruito senza mano d’opera. Solo tecnici. Fu quindi una svol-

ta epocale che tese ad eliminare l’operaio generico trasformandolo in

un lavoratore molto più qualificato che venne chiamato tecnico.

Lampredi aveva come principio che ogni idea doveva avere uno svi-

luppo nel tempo per cui i suoi motori erano suscettibili non solo di

miglioramenti ma di notevoli incrementi di cilindrata e di potenza.

Quando con l’accordo Fiat - Ferrari il motore Dino arrivò in fabbrica,

era un 2000 cc ed aveva il basamento in alluminio. Lampredi non

amava molto l’alluminio che era stato invece il cavallo di battaglia

del mitico ingegner Cappa della Fiat degli anni ‘20, perché riteneva

che l’alluminio non avesse le caratteristiche meccaniche adatte a re-

alizzare componenti strutturali quali un basamento motore; quindi

lo trasformò in 2400 cambiando il basamento da alluminio in ghisa,

più pesante ma anche molto più rigido. Alla Fiat mancava anche da

tempo un’auto di prestigio; c’era l’ottima e veloce 125 ma occorreva

una macchina di livello superiore. L’occasione del motore Ferrari fece

nascere il progetto dell’ammiraglia 130. Il motore della Fiat 130, pur

con la stessa impostazione generale del Dino, era un progetto total-

mente di Lampredi quindi completamente diverso dal Dino. Nacque

infatti con la cilindrata di 2800 cc. nel 1969, con il cambio automa-

tico di serie (a richiesta quello meccanico), ma c’era già in cantiere

la 3200 che uscì due anni dopo, con nuovi interni molto eleganti, più

potente e veloce, affiancata da uno splendido Coupé dovuto alla Pi-

Page 44: Il genio e la macchina. Bizzarrini e Lampredi

44 45

ninfarina. Purtroppo la prima versione della 130, più povera e meno

potente, aveva bruciato l’immagine del modello che non ebbe mai suc-

cesso commerciale in Italia, anche per l’elevato bollo di circolazione,

ma ne ebbe un po’ di più all’estero, specialmente in Germania. Aveva

all’inizio anche qualche difetto: soffriva di vaporizzazione della ben-

zina nel carburatore a motore molto caldo. L’auto si fermava e non

voleva più saperne di partire. Queste grandi Fiat erano usate anche da

molti importanti funzionari e parlamentari tra cui Giulio Andreotti la

cui 130, quando arrivava ad un certo punto del percorso dalla casa

del politico al Parlamento, ad una curva intorno ad una fontana nel

traffico cittadino si fermava e l’autista non era capace di avviare nuo-

vamente il motore. Bisognava lasciarlo raffreddare. Andreotti, ormai

abituato al problema, scendeva e faceva la piccola parte del percorso

restante a piedi. Questo fatto preoccupò molto la Fiat per la figura

e l’immagine della marca, per cui spedirono a Roma il Capo delle

Progettazione Lampredi per risolvere il problema. E lui lo risolse ab-

bastanza rapidamente, sistemando un piccolo serbatoio a fianco del

carburatore in modo tale che potesse assorbire i vapori della benzina,

continuando così a far funzionare il motore.

Proprio in quell’epoca fu fatta una prova comparativa di partenza a

freddo tra un auto di una nota casa automobilistica tedesca e la 130;

la prima partiva al primo colpo mentre la 130 faticava. Questo espe-

rimento fu ripetuto più volte la mattina presto con le due macchine

affiancate e lasciate all’aperto tutta la notte ottenendo sempre gli

stessi risultati finché un tecnico Fiat si accorse che il motore dell’au-

tovettura tedesca prima della prova era già caldo in quanto un mec-

canico della casa, la mattina prestissimo, si incaricava di metterlo in

moto e di scaldarlo ben bene!

un altro progetto di Lampredi in collaborazione con la Fiat Brasi-

liana di Belo Horizonte fu quello del piccolo motore di 1050 cc., che

fu montato anche in Italia sulla Fiat 127 seconda serie e sulla Rit-

mo. Intanto negli anni ‘50 c’era stata l’uscita dalla Cisitalia di Carlo

Abarth che, dopo aver diretto la Fabbrica per alcuni anni, si mise in

proprio con la sua società “Abarth” affiancandosi, per la progettazio-

ne motori, all’ingegner Stefano Iacoponi; la fabbrica era allora molto

piccola e nel 1959 non vi lavoravano più di 150/180 persone. Carlo

Abarth non aveva conoscenze ed esperienze scolastiche ma aveva al-

cuni interessanti principi: diceva infatti che “non sei padrone di una

cosa, se non sai spiegarla anche a tua nonna”, ovvero bisogna essere

semplici anche nelle questioni tecniche. Infatti alla Cisitalia, lui aveva

semplificato la D 46 sostituendo il sofisticato cambio a tre rapporti

semi automatico con un normale cambio a 4 rapporti della Fiat 1100

e apportando altre semplificazioni che incrementarono le prestazioni

della piccola monoposto. Diceva anche che “se si capiscono le ragioni

dell’errore, quello diventa esperienza”. Citava Tom Edison : “Il genio

è formato dall’ 1% di intuizione e dal 99% di sudore” ed aveva un

forte senso di autocensura. In modo quasi unico, Carlo Abarth sape-

va trovare il buono anche nelle idee sbagliate. La famosa Marmitta

Abarth, che fece la fortuna dell’Azienda, era stata progettata dall’Ing.

Savonuzzi della Cisitalia, dopo aver osservato il silenziatore di un fu-

cile. Queste marmitte erano anche esteticamente molto belle e Carlo

Abarth, che aveva uno spiccato senso commerciale, le piazzò in tutte

le vetrine dei negozi di abbigliamento di moda anche femminile di

Torino, facendole notare al pubblico elegante. Nel 1971 Carlo Abarth

cedette la sua Azienda alla Fiat ma si trovò in casa parecchie auto

usate nelle corse. Il suo spirito commerciale gli suggerì di metterle in

vendita nel modo più appropriato e infatti riuscì a vendere con gran-

de successo queste sportive non come “auto usate” ma come auto

“ex Casa” e a caro prezzo. Gianfranco Bossù, che aveva lavorato con

l’ing. Lampredi, ricorda che quest’ultimo, quando era all’Abarth, fece

la Fiat 124 Rally Abarth, la 131 Abarth, la 128 Abarth e la Ritmo

da 125 CV. Tutti questi motori erano derivati dal famoso ed ecletti-

co bialbero Lampredi mosso da cinghie dentate. Lampredi conosceva

bene i compressori volumetrici, provenendo dall’aeronautica prima

alla Piaggio e poi alle Reggiane e infatti, quando si trattò di fare una

vettura sovralimentata, nel 1980/81 non scelse il turbo ma il com-

pressore volumetrico e riprogettò da capo il Volumex per la Lancia.

Quando Lampredi era amministratore delegato e responsabile pro-

gettazione motori della Fiat, un suo allievo livornese come lui, l’inge-

gner Iacoponi, responsabile dei motopropulsori dell’Abarth, riprese in

mano il motore Lampredi della Ritmo riuscendo a portarlo a 130 CV.

Nel 1976 Iacoponi passò alla progettazione motori alla Fiat, sotto

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44 45

la direzione di Lampredi, di cui prese il posto quando questi andò in

pensione un anno dopo; a quel tempo in questo reparto lavoravano

circa 100 persone. L’ing. Lampredi era un uomo un po’ difficile e non

era molto diretto come Abarth o Ferrari tuttavia, a detta di molti, era

un vero maestro per quanto riguardava i motori ma era meno abile

nella messa a punto degli stessi. Lampredi divenne amministratore

delegato dell’Abarth nel 1974 e mantenne i due cappelli all’Abarth e

alla progettazione motori della Fiat; qui lavorava, come suo assisten-

te, l’ing. Mario Petronio che Lampredi volle trasferire all’Abarth nel

1975 con l’incarico di Responsabile dei Motori. Per ragioni commer-

ciali all’Abarth, che di fatto era il reparto corse della Fiat e poi della

Lancia, arrivò dall’alto l’ordine di far correre al campionato rally la

Fiat 131, che in realtà era l’automobile meno adatta sia per correre

che per disputare un tale tipo di competizione. In quel periodo di lavo-

ro frenetico (l’obiettivo era molto ambizioso e il tempo estremamente

compresso), finito il consueto lavoro in Fiat, Lampredi passava la not-

te in Abarth, obbligando Petronio a ricominciare da capo la sua gior-

nata lavorativa invece di terminarla. Lampredi volle un motore adatto

ai rally che avesse una buona coppia ai bassi regimi e un regime mas-

simo di rotazione non troppo elevato. Si misero tutti d’impegno e a

forza di modificare, di trasformare, di incrementare e di irrobustire,

montando il bialbero a 4 valvole “Lampredi”, riuscirono a far vincere

il Campionato del Mondo Rally alla Fiat 131. Correva voce a quei

tempi che la Fiat avesse speso 7 miliardi di lire per ottenere una mac-

china capace di vincere il Campionato del Mondo. Diceva Angiolini, il

direttore della Scuderia Jolly Club di Milano, che con i soldi si può far

vincere un Gran Premio anche ad una macchina da cucire.

Le Abarth dell’epoca di Lampredi vinsero il Campionato del Mondo

Rally nel 1977, nel 1978 e nel 1980, inoltre il motore della Lancia

Delta integrale che vinse era l’ultimo derivato dal motore Lampredi

per i rally. Alla progettazione dell’Abarth e della Fiat c’erano rispet-

tivamente l’Ing. Iacoponi e l’Ing. Petronio. Quando Lampredi andò

in pensione nel 1977 ai due furono scambiate le posizioni: Petronio

all’Abarth e Iacoponi alla Fiat. Intanto successe che alla Lancia (or-

mai diventata Fiat) la nuova Gamma del 1976, l’auto più prestigiosa

della marca che avrebbe dovuto rilanciare il nome della Lancia ormai

un po’ offuscato, aveva un motore di nuova progettazione a 4 cilindri

contrapposti 2000 e poi 2500 cc, che ebbe una lunga serie di proble-

mi tecnici legati soprattutto alla scarsa rigidezza del suo basamento

in alluminio (avvalorando quindi la teoria di Lampredi) e che non fu

certo un successo commerciale. Questa fu l’occasione di un grande

cambiamento: incorporare tutto il reparto progettazione motori del-

la Lancia (che era ancora separato) nel reparto progettazione della

Fiat diretto da Lampredi. Finirono quindi i motori Lancia e quella

tradizione che in passato aveva dato tanti capolavori ma che, da pa-

recchi anni ormai, non riusciva più ad esprimere nulla di significativo.

un’altra notevole realizzazione di Lampredi fu creare un Diesel per

le automobili, abbandonando i pesanti motori di derivazione dagli au-

tocarri e partendo invece da un motore a benzina quindi più leggero

e di dimensioni più ridotte anche se opportunamente rinforzato. Fu

un’idea poi seguita da altri costruttori che dette luogo ai moderni

motori Diesel ad alto rendimento. Così nacque il Diesel 1700 che

equipaggiò la Ritmo Diesel; la testata di tale motore progettata da

Lampredi aveva la precamera di combustione “Ricardo”, secondo la

tecnica corrente all’epoca. In quegli stessi anni la Cadillac Americana,

sotto la pressione di severe leggi anti inquinamento, aveva tentato la

stessa via: far derivare i motori Diesel dai motori 8 cilindri a benzina

di alta cilindrata che equipaggiavano da anni le vetture, senza rinfor-

zarli opportunamente come aveva fatto Lampredi. La conclusione fu

disastrosa perché questi grossi Diesel Cadillac non avevano durata e

si rompevano. La pressione delle pompe di iniezione dei motori Diesel

era allora di 125/150 bar mentre ora, con l’attuale sistema Common

Rail ideato dalla Fiat ed ora standard praticamente universale di tutti

i motori Diesel per autotrazione, arriva a 2.000 bar.

Lasciata la Fiat per limiti di età nel 1977 la Casa non volle perdere

un così geniale progettista e ne fece un consulente nel Centro Ricer-

che con un proprio staff tecnico.Dal 1981 Lampredi fu docente al

Politecnico di Torino dove insegnò ciò che aveva fatto per tutta la sua

carriera: Progettazione dei motori di autoveicolo.

Terminò la sua vita a 72 anni, nella sua casa paterna a Livorno, sua

città natale, il 1 giugno 1989.

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Bialbero Lampredi

Il motore bialbero FIAT, progettato da Lampredi e

conosciuto anche come “bialbero Lampredi” è il propulsore montato su quasi

tutti i modelli FIAT e Lancia a partire dal 1966 fino al 2000.

Il nome deriva dal sistema di distribuzione, che presenta due alberi a camme in testa, ovvero po-sizionati direttamente sulla testata del motore e azionati da cinghie dentate in gomma con arma-tura in acciaio (se il motore ha due bancate di cilindri ovviamente gli alberi sono due per ogni testata). Gli alberi a camme in testa, agiscono direttamente sulle valvole con punterie a bicchie-re o bilanciere a dito, in un sistema di grande rigidità e precisione. Questo sistema evita i lun-ghi bilancieri presenti su altri sistemi di distri-buzione, come quelli montati dalla stessa FIAT e basati sulle punterie meccaniche (come quello in mostra), consentendo di ridurre al minimo le masse degli organi preposti all’azionamento di ciascuna valvola ed ottenendo un controllo estre-mamente preciso della stessa. Il motore può così raggiungere regimi di rotazione particolarmente elevati, cosa che lo rende ideale per le compe-tizioni. Le valvole sono disposte con un’angola-zione di 90° e possono indifferentemente essere due o quattro per cilindro (in questo caso con l’aggiunta di controalberi di equilibratura).

Il “bialbero Lampredi” fu montato per la prima volta sulla FIAT 124 Sport, introducendo nel campo delle vetture di serie italiane una solu-zione sperimentata fino a quel momento solo nelle vetture da gara americane; il motore della 124 presentava già, per il comando degli alberi, la cinghia dentata in gomma, soluzione inedita per il periodo. Tutte le versioni del motore furono create sullo stesso basamento e, con il sempli-ce aumento dell’alesaggio dei cilindri, fu facile aumentare la cilindrata senza stravolgere l’ar-chitettura di base del motore. Furono prodotte anche versioni ad iniezione e sovralimentate.

Dizionarietto

albero a caMMe - Albero dotato di una serie di eccentrici che comandano il movimento delle val-vole nei motori a quattro tempi. Questo organo meccanico ruota con velocità dimezzata rispetto all’albero a gomiti, dal quale viene azionato per mezzo di catene, cinghie dentate o ingranaggi

aste - Sono piccoli alberi metallici che trasmet-tono il movimento comandato dall’albero a cam-me quando questo non si trova montato sulla te-stata. Sono quindi necessarie solo nei motori che hanno gli alberi a camme nel carter.

bilancieri - Sono elementi meccanici che hanno il compito di trasmettere allo stelo della valvola il movimento originato dalla camma. I bilancieri oscillano intorno a un perno situato in posizione quasi centrale rispetto alla propria lunghezza.

caMMe - Sono superfici cilindriche non circolari che nella rotazione si comportano in modo ec-centrico rispetto all’albero al quale sono solidali. Sono ricavate in un unico pezzo solidale all’albe-ro con il quale ruotano e che si chiama, appunto, albero a camme.

cilindro - L’organo all’interno del quale scorre il pistone che, con il suo movimento rettilineo al-ternato, determina lo svolgimento delle varie fasi del ciclo di funzionamento del motore.

cingHia dentata - La trasmissione può avvenire tramite una cinghia che agisce su tamburi, o rulli, dentati. corredata di tendi cinghia con rullini e richiede la messa a punto solo al montaggio, poi-ché la cinghia non presenta dilatazione con l’uso.

distribuzione - Viene detto “complesso della distribuzione” l’insieme degli organi preposti al controllo del flusso dei gas che entrano ed esco-no dai cilindri, ossia le valvole e tutti i compo-nenti che ne assicurano il funzionamento (albero a camme con le relative ruote dentate di coman-do, bilancieri, punterie, ecc.).

Molle - Le molle a spirale sono interposte fra lo stelo della valvola e la testata, e hanno il com-

pito di mantenere la valvola permanentemente in contatto con il profilo della camma, oppure con la sede circolare praticata nella testata. Le molle si fissano allo stelo per mezzo di piattelli a forma di semiluna, che si incastrano in una sca-nalatura praticata nello stelo.

Pistone - È l’organo mobile, alloggiato all’in-terno del cilindro e collegato tramite lo spinotto alla biella, che funge da autentica “parete mo-bile” della camera di combustione e che, con il suo movimento, provvede a richiamare la miscela aria-benzina dall’esterno, a comprimerla succes-sivamente, a ricevere quindi la pressione dei gas in espansione e infine a espellere i gas combusti dal cilindro.

Punterie e Pastiglie - Le punterie mettono “a punto” la posizione di riposo fra le valvole e i relativi organi di azionamento a freddo. Questi elementi si incorporano ai bilancieri o alle aste di spinta. In altre soluzioni, alle punterie si in-tercalano delle pastiglie calibrate collocate den-tro bussole di alloggiamento oppure sulla stessa valvola.

testa - Detta anche testata, è il componente che chiude superiormente il cilindro e nel quale, nei motori a quattro tempi, sono alloggiati organi come le valvole, le punterie (o i bilancieri) e assai spesso uno o due alberi a camme.

ValVola - Nella meccanica (come pure nell’idrau-lica e nella pneumatica) si indica con questo ter-mine un dispositivo per mezzo del quale si regola il passaggio di un fluido: consentendolo, parzia-lizzandolo o impedendolo del tutto a seconda dei casi. Le valvole possono essere a funzionamento automatico oppure essere pilotate da un sistema di comando. Hanno forma a fungo e la corona circolare della loro testa appoggia su una sede circolare al termine del condotto; l’estremità opposta costituisce lo stelo, che riceve la spinta dall’organo di azionamento.

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Ferrari 250 GT

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Dimensioni L/W/H 4700/1710/1350 mmPasso 2600 mmPeso 1280 kgCapacità serbatoio 100 litri

Motore e trasmissione Motore FerrariDistribuzione Monoalbero a camme in testaPosizione motore anteriore longitudinaleAlesaggio x corsa 73 x 58,8 mmCilindri V12Valvole per cilindro 2Volume 2953 ccCambio 4 rapporti + RMRapporto di compressione 8.8:1Alimentazione 3 carburatori doppio corpo Weber 36 DCL

6235 CVPotenza massima 240 CVPicco di potenza 7000 giriTrazione posteriore

Telaio Tipo traliccio tubolare in acciaioSospensione anteriore a ruote indipendenti, quadrilateri deformabili,

molle elicoidali, ammortizzatori idraulici, barra stabilizzatrice

Sospensione posteriore ponte rigido, bielle longitudinali e balestra longitudinale semiellittica, ammortizzatori idraulici, montanti longitudinali

Freni a disco (posteriori montati all’uscita del differenziale)

Sterzo a vite e settoreRuote, cerchi ant./post. 6.50x15Carrozzeria alluminio/acciaioPrestazioni Velocità massima 230 kmh

19

59

-63

Fe

rra

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50

GT

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FIAT Dino Spider

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19

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FIA

T D

ino

Sp

ide

r 2

00

0

Telaio Tipo tubolareSospensione anteriore a ruote indipendenti, con triangoli

sovrapposti, molle elicoidaliSospensione posteriore ponte rigidoFreni a discoSterzo a cremaglieraRuote, cerchi ant./post. 6x14

Prestazioni Velocità massima 201 Km/h

Dimensioni L/W/H 4134/1710/1270 mmPasso 2280 mmPeso 1150

Motore e trasmissione Motore Ferrari/FIATDistribuzione quattro alberi a camme in testaPosizione motore anterioreAlesaggio x corsa 86 x 57 mmCilindri V6Valvole OHVValvole per cilindro 2Volume 1987 ccCambio 5 rapporti + RMRapporto di compressione 9:1Alimentazione 3 carburatori Weber 40 DCN 14 invertitiPotenza massima 160 CVPicco di potenza 7200 giriTrazione posteriore

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Fiat 125 Special

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Auto

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Dimensioni L/W/H 4223/1313/1440Passo 2505Peso 1055Capacità serbatoio 45 litri

Motore e trasmissione Motore FiatDistribuzione doppio albero a camme in testaPosizione motore anterioreAlesaggio x corsa 80 x 80 mmCilindri 4 in lineaValvole per cilindro 2Volume 1608 ccCambio 5 rapporti + RMRapporto di compressione 8.1:1Alimentazione un carburatore Solex C 43 paia 31Potenza massima 101 CVPicco di potenza 6400 giriTrazione posteriore

Telaio Tipo carrozzeria autoportanteSospensione anteriore ruote indipendenti, bracci trasversali inferiori,

molloni elicoidali, ammortizzatori telescopici, barra stabilizzatrice trasversale, puntoni per bracci inferiori

Sospensione posteriore assale rigido, balestra (bilama), due puntoni longitudinali, ammortizzatori telescopici

Freni a discoSterzo vite e rulloRuote, cerchi ant./post. 5x13

Prestazioni Velocità massima 170 Km/h

19

71

FIA

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Sp

ec

ial

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FIAT 131 Abarth

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FIA

T 1

31

Ab

art

h

Telaio Tipo monoscocca portante in acciaioSospensione anteriore a ruote indipendenti tipo McPherson,

barra antirollio, montanti telescopici e ammortizzatori a gas

Sospensione posteriore a ruote indipendenti tipo McPherson, barra antirollio, montanti telescopici e ammortizzatori a gas

Freni a disco autoventilantiSterzo a cremaglieraRuote, cerchi ant./post. 10x15 / 11x15 su asfalto; 8x15 / 8x15 su

terraCarrozzeria profilati in fibra e vetroresina, alluminio

Prestazioni Velocità massima Oltre 200 km/h

Dimensioni L/W/H 4190/1820/1360 mmPasso 2490 mmPeso 980 kgCapacità serbatoio 60 litri

Motore e trasmissione Motore FiatDistribuzione doppio albero a camme in testaPosizione motore anterioreAlesaggio x corsa 84 x 90 mmCilindri 4 in lineaValvole per cilindro quattroVolume 1995 ccCambio 5 rapporti + RMRapporto di compressione 11:1Alimentazione iniezione indiretta KugelfisherPotenza massima 240 CV Picco di potenza 8000 giriTrazione posteriore

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Finito di stampare nel mese di luglio 2010presso Bandecchi & Vivaldi - Pontedera (PI)