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Periodico d’informazione della comunità MARZO 2017 Anno 9 - N° 15 edele Fede Parrocchia San Fedele da Sigmaringa Via Mesula, 4 - 00158 | Roma 064500869 3395943523 (don Fabrizio) www.sanfedelemartire.it P. Ventura, «In-segnare» N. Barcherini, «Onora il padre e la madre» A. Franchini, «Fine vita» L. De Petris, «La rinuncia è...» S. Gagliesi, «Tu sei speranza contro...» 4 Don Fabrizio Biffi M. Pisoni, «Pietralata» 2 3 4 2 3 4 Laura De Petris Simona Gagliesi 3 4 Arte Spiritualità Dietro a quello che a tutti gli effetti, per noi uomini, è un totale fallimento, in quella croce che è ancora oggi una follia incomprensibile, c'è l'infinito amore di Gesù per questa scelta di abbracciarla, per poter redimere ogni peccato passato presente e futuro. Questa croce ignobile è fatta di tutto quello che il genere umano ha potuto pensare, ogni scheggia è fatta della nostra invidia, non amore, senso di possesso, chiusura del cuore, ottusità, crudeltà, indifferenza, tiepidezza... Insomma è la “summa” di tutto il nostro non amore verso il prossimo e quindi verso Dio. Gesù se l'è caricata sulle spalle già piagate, l'ha trascinata fino al calvario e ci si è steso sopra non con senso di rassegnazione, ma con un empito d'amore per noi che il cielo non riuscirà mai a contenere. Ecco dov'è la sua gloria: nell'aver scelto di scendere al nostro livello per farsi guardare negli occhi e nel cuore ed alla fine togliere dalle nostre spalle il peso di ogni nostra colpa per espiarla per noi e d'altra p a r t e «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (Gv 15,13). Una cosa sola ci ha chiesto, di credere nella speranza della quale ci ha parlato, di quella che va oltre ogni logica, di quella che riesce a vedere oltre la morte: la speranza che noi siamo chiamati, per mezzo Suo, ad essere felici in eterno ed è proprio per questo che si è sacrificato al posto nostro. Il tempo che ci è dato per scegliere è quello della nostra vita terrena e noi sappiamo che, come il ladrone crocifisso accanto a Lui, Gesù saprà cogliere anche nel nostro ultimo alito di vita, il nostro pentimento e la volontà di corrispondere al Suo amore, basta che siano sinceri. In realtà penso che poi, in fondo, il Signore ci chieda solo di “arrenderci” al Suo desiderio di amarci che non vede ostacoli se non nella nostra volontà; dobbiamo ammettere che da soli non siamo nulla, anzi solo cenere che il vento porta via. Dobbiamo fidarci proprio come il ladrone che, pur sapendo di essersi meritato la condanna, è riuscito a trovare dentro di sé la speranza in quell'uomo crocifisso accanto a lui al punto di dire: «Signore ricordati di me quando sarai nel tuo regno» e Gesù, come ha promesso a quel cuore convertito in punto di morte, non negherà neanche a noi il paradiso. Il questo tempo di questa Quaresima ho pensato di meditare insieme sulla “Corona di Spine” di Gesù. Il Signore viene incoronato, ma in realtà quelle punte si posano sul suo cuore. Questo interessa anche la nostra vita, come dice don Primo Mazzolari: «Il cuore non è fatto per portare delle spine. Se ci si guarda nel cuore, le pene che vi troviamo dentro non le ha messe la gente estranea, quella che passa per la strada, la gente che non conosciamo, la gente che forse non ci vuole bene, perché non si cura di noi, perché non ci rivolge neppure una parola, perché non sa neanche chi siamo. Sono quelli di casa nostra, sono i nostri amici, sono le nostre amiche a mettere le spine». Si, anche Gesù è stato “forato” dalle punte di chi gli era più vicino. È stato lasciato da solo da chi doveva proteggerlo, difenderlo, amarlo. Eppure solo il Signore è l'unico capace di portare il peso del “fuoco amico”, quel tradimento e quell'incapacità di amare che parte da noi, i “suoi amici”. Porta questo peso perché in noi si avverino queste parole: «È necessario che il nostro cuore porti qualche spina. Quali sarebbero le capacità del nostro amore senza le spine? Come sono duri i cuori senza spine! Forse l'affermazione può non piacere. I cuori senza spine capiscono poco, sanno poco, comprendono poco la sofferenza degli altri, finiscono per diventare dei cuori esigenti, tremendamente esigenti, perché hanno l'impressione che tutto debba rivolgersi verso di loro» Lasciamoci perciò trafiggere anche noi dall'amore di Dio che a Pasqua risplenderà nella luce del Suo Significato. Il Suo amore è più forte di ogni spina, di ogni sofferenza. Perciò anche noi viviamo la Quaresima e la Pasqua come conclude il sacerdote: «Raccogliendo questo pensiero del cuore e della spina e vedendolo nella luce dell'esempio del Signore e della sua infinita bontà, mi permetto di dire a tutti quanti i cristiani che in Quaresima ripercorrono il senso della Passione del Signore e della sua infinita carità: il Signore ci aiuti a portare le pene del nostro cuore, a non lasciare che il nostro cuore venga calpestato da alcuna tristezza. Come il cuore aperto del Cristo sulla Croce è diventato per noi una devozione così amabile e così consolante, Dio voglia che tutti possano trovare quell'aiuto, quel riposo e quella consolazione che noi sappiamo trovare nel cuore divino di nostro Signore». Siamo in Quaresima. L'idea della Quaresima è stata sempre associata all'idea della rinuncia: rinuncia al mangiare, rinuncia a ciò che ci fa piacere o ci piace particolarmente. Rinuncia al tempo libero per donarlo a qualcuno impiegandolo nel fare qualcosa per l'altro. Rinunciare. Questa parola rinuncia però, il significato della parola, il Rinunciare, nasconde un valore ed una forza non comune. Gesù dopo essere stato battezzato da Giovanni nel Giordano si reca nel deserto trascorrendovi 40 giorni e 40 notti senza mangiare e senza bere, mortificando tutti i bisogni del corpo, facendo penitenza. Perché lo ha fatto proprio all'inizio della Sua missione qui sulla terra? Cosa lo ha spinto a mortificarsi ed indebolirsi nel momento in cui avrebbe dovuto essere al massimo delle sue forze, dovendo cominciare tre anni di predicazione al fine di portare la Sua Parola nel mondo? Sapeva inoltre che al termine dei 40 giorni, nel momento di debolezza estrema, sarebbe stato tentato dal demonio, che avrebbe insinuato pensieri umani al fine di farlo desistere dalla sua missione. Un famoso detto recita: più il corpo è forte più obbedisce, più è debole, più comanda. Siamo davvero sicuri che il Signore Gesù recandosi in penitenza nel deserto ha indebolito il suo corpo? O forse invece è proprio il deserto la palestra dove è andato Gesù ad allenarsi per correre tre anni verso la Croce e la Resurrezione? Ha cominciato a fortificare il Suo corpo attraverso la rinuncia. Per prima cosa ai bisogni materiali: mangiare e bere; poi ai bisogni spirituali: il desiderio di essere come Dio (pur essendolo in realtà), il mettere alla prova l'amore di Dio, il rinunciare a Dio. La palestra dell'uomo è il mondo. Volendolo, noi potremmo essere costantemente in Quaresima. Quello stato di Rinuncia volto al fortificare il corpo e l'anima. Gesù sapeva che sarebbe morto in Croce e poi Risorto. Noi sappiamo che alla fine della vita c'è la morte ma poi, grazie all'immenso dono che ci ha fatto il Signore, anche per noi ci sarà la Resurrezione. Nel tempo terreno tante volte ci è capitato di morire e poi risorgere: tutte le volte che abbiamo sofferto per piccoli o grandi accadimenti della vita. E come ci fortifichiamo contro il dolore, contro il male, contro le avversità, se non attraverso la costante abitudine a Rinunciare? Il dolore induce spesso a costruirci intorno una corazza per proteggerci. Se non ci siamo allenati nella palestra di Gesù sarà una corazza fatta di odio, di arroganza e di pensieri cattivi che andrà ancor di più ad alimentare il nostro dolore. Se la corazza è quella dell'Amore fin d'ora avremmo vinto la vita eterna. Buona Vita Eterna a tutti noi. Buona Vita Lorenzo. Il Cuore e la Spina «Io sono risurrezione e la vita» Tu sei speranza contro ogni speranza La rinuncia è il rinunciare?

Il Fedele Marzo 2017 - Parrocchia San Fedele da Sigmaringa · d'amore per noi che il cielo non ... la sua vita per i propri amici» (Gv 15,13). ... in passato si era confusi dando

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Periodico d’informazione della comunità

MARZO 2017Anno 9 - N° 15

edele

Fede

Parrocchia San Fedele da SigmaringaVia Mesula, 4 - 00158 | Roma 0645008693395943523 (don Fabrizio)www.sanfedelemartire.it

P. Ventura, «In-segnare» N. Barcherini, «Onora il padre e la madre»

A. Franchini, «Fine vita»

L. De Petris, «La rinuncia è...» S. Gagliesi, «Tu sei speranza contro...»4

Don Fabrizio Biffi

M. Pisoni, «Pietralata»

2

3

4

2

3

4

Laura De Petris

Simona Gagliesi

34

Arte

Spiritualità

Dietro a quello che a tutti gli effetti, per noi uomini, è un totale fallimento, in quella croce che è ancora oggi una follia incomprensibile, c'è l'infinito amore di Gesù per questa scelta di abbracciarla, per poter redimere ogni peccato passato p r e s e n t e e f u t u r o . Questa croce ignobile è fatta di tutto quello che i l g e n e r e u m a n o h a potuto pensare, ogni scheggia è fatta della n o s t r a i n v i d i a , n o n amore, senso di possesso, c h i u s u r a d e l c u o r e , ottusità, crudeltà, indifferenza, tiepidezza... Insomma è la “summa” di tutto il nostro non amore verso il prossimo e quindi verso Dio. Gesù se l'è caricata sulle spalle già piagate, l'ha trascinata fino al calvario e ci si è s t e s o s o p r a n o n c o n s e n s o d i rassegnazione, ma con un empito d'amore per noi che il cielo non

riuscirà mai a contenere. Ecco dov'è la sua gloria: nell'aver scelto di scendere al nostro livello per farsi guardare negli occhi e nel cuore ed alla fine togliere dalle nostre spalle il peso di ogni nostra colpa per

espiarla per noi e d'altra p a r t e «Nessuno ha un amore più g r a n d e d i questo: dare la sua vita per i p r o p r i a m i c i » ( G v

15,13). Una cosa sola ci ha chiesto, di credere nella speranza della quale ci ha parlato, di quella che va oltre ogni logica, di quella che riesce a vedere oltre la morte: la speranza che noi siamo chiamati, per mezzo Suo, ad essere felici in eterno ed è proprio per questo che si è sacrificato al posto nostro. Il tempo che ci è dato per

scegliere è quello della nostra vita terrena e noi sappiamo che, come il ladrone crocifisso accanto a Lui, Gesù saprà cogliere anche nel nostro u l t i m o a l i t o d i v i t a , i l n o s t r o p e n t i m e n t o e l a v o l o n t à d i corrispondere al Suo amore, basta che siano sinceri. In realtà penso che poi, in fondo, il Signore ci chieda solo di “arrenderci” al Suo desiderio di amarci che non vede ostacoli se non nella nostra volontà; dobbiamo ammettere che da soli non siamo nulla, anzi solo cenere che il vento porta via. Dobbiamo fidarci proprio come il ladrone che, pur sapendo di essersi meritato la condanna, è riuscito a trovare dentro di sé la speranza in quell'uomo crocifisso accanto a lui al punto di dire: «Signore ricordati di me quando sarai nel tuo regno» e Gesù, come ha promesso a quel cuore convertito in p u n t o d i m o r t e , n o n n e g h e r à neanche a noi il paradiso.

Il questo tempo di questa Quaresima ho pensato di meditare insieme sulla “Corona di Spine” di Gesù. Il Signore viene incoronato, ma in realtà quelle punte si posano sul suo cuore. Questo interessa anche la nostra vita, come dice don Primo Mazzolari: «Il cuore non è fatto per portare delle spine. Se ci si guarda nel cuore, le pene che vi troviamo dentro non le ha messe la gente estranea, quella che passa per la strada, la gente che non conosciamo, la gente che forse non ci vuole bene, perché non si cura di noi, perché non ci rivolge neppure una parola, perché non sa neanche chi siamo. Sono quelli di casa nostra, sono i nostri amici, sono le nostre amiche a mettere le spine».

Si, anche Gesù è stato “forato” dalle punte di chi gli era più vicino. È stato lasciato da solo da chi doveva proteggerlo, difenderlo, amarlo. Eppure solo il Signore è l'unico capace di portare il peso del “fuoco amico”, quel tradimento e quell'incapacità di amare che parte da noi, i “suoi amici”. Porta questo peso perché in noi si avverino queste parole:«È necessario che il nostro cuore porti qualche spina. Quali sarebbero le capacità del nostro amore senza le spine? Come sono duri i cuori senza spine!

Forse l'affermazione può non piacere. I cuori senza spine capiscono poco, sanno poco, comprendono poco la sofferenza degli altri, finiscono per diventare dei cuori esigenti, tremendamente esigenti, perché hanno l'impressione che tutto debba rivolgersi verso di loro»

Lasciamoci perciò trafiggere anche noi dall'amore di Dio che a Pasqua risplenderà nella luce del Suo Significato. Il Suo amore è più forte di ogni spina, di ogni sofferenza. Perciò anche noi viviamo la Quaresima e la Pasqua come conclude il sacerdote: «Raccogliendo questo pensiero del cuore e della spina e vedendolo nella luce dell'esempio del Signore e della sua infinita bontà, mi permetto di dire a tutti quanti i cristiani che in Quaresima ripercorrono il senso della Passione del Signore e della

sua infinita carità: il Signore ci aiuti a portare le pene del nostro cuore, a non lasciare che il nostro cuore venga calpestato da alcuna tristezza. Come il cuore aperto del Cristo sulla Croce è diventato per noi una devozione così amabile e così consolante, Dio voglia che tutti possano trovare quell'aiuto, quel riposo e quella consolazione che noi sappiamo trovare nel cuore divino di nostro Signore».

Siamo in Quaresima. L'idea della Quaresima è stata sempre associata all'idea della rinuncia: rinuncia al mangiare, rinuncia a ciò che ci fa piacere o ci piace particolarmente. Rinuncia al tempo libero per donarlo a qualcuno impiegandolo nel fare qualcosa per l ' a l t r o . R i n u n c i a r e . Questa parola rinuncia però, il significato della parola, il Rinunciare, nasconde un valore ed una forza non comune. Gesù dopo essere stato battezzato da Giovanni nel Giordano si reca nel deserto trascorrendovi 40 giorni e 40 notti senza mangiare e senza bere, mortificando tutti i bisogni del corpo, facendo penitenza. Perché lo ha fatto proprio all'inizio della Sua missione qui sulla terra? Cosa lo ha spinto a mortificarsi ed indebolirsi nel momento in cui avrebbe dovuto essere al massimo delle sue forze, dovendo cominciare tre anni di

predicazione al fine di portare la Sua Parola nel mondo? Sapeva inoltre che al termine dei 40 giorni, nel momento di debolezza estrema, sarebbe stato tentato dal demonio, che avrebbe insinuato

pensieri umani al fine di farlo desistere dalla sua missione. Un famoso detto recita: più il corpo è forte più obbedisce, più è debole, p i ù c o m a n d a . S i a m o davvero sicuri che il Signore G e s ù r e c a n d o s i i n penitenza nel deserto ha indebolito il suo corpo? O forse invece è proprio il

deserto la palestra dove è andato Gesù ad allenarsi per correre tre anni verso la Croce e la Resurrezione? Ha cominciato a fortificare il Suo corpo attraverso la rinuncia. Per prima cosa ai bisogni materiali: mangiare e bere; poi ai bisogni spirituali: il desiderio di essere come Dio (pur essendolo in realtà), il mettere alla prova l'amore di Dio, il rinunciare a Dio. La palestra dell'uomo è il mondo.

Volendolo, noi potremmo essere costantemente in Quaresima. Quello stato di Rinuncia volto al fortificare il corpo e l'anima. Gesù sapeva che sarebbe morto in Croce e poi Risorto. Noi sappiamo che alla fine della vita c'è la morte ma poi, grazie all'immenso dono che ci ha fatto il Signore, anche per noi ci sarà la Resurrezione. Nel tempo terreno tante volte ci è capitato di morire e poi risorgere: tutte le volte che abbiamo sofferto per piccoli o grandi accadimenti della vita. E come ci fortifichiamo contro il dolore, contro il male, contro le avversità, se non attraverso la costante abitudine a Rinunciare? Il dolore induce spesso a costruirci intorno una corazza per proteggerci. Se non ci siamo allenati nella palestra di Gesù sarà una corazza fatta di odio, di arroganza e di pensieri cattivi che andrà ancor di più ad alimentare il nostro dolore. Se la corazza è quella dell'Amore fin d'ora avremmo v i n t o l a v i t a e t e r n a . Buona Vita Eterna a tutti noi. Buona Vita Lorenzo.

Il Cuore e la Spina

«Io sono risurrezione e la vita»

Tu sei speranza contro ogni speranza

La rinuncia è il rinunciare?

Formazione

Psicologia Il teatro moderno...

Storia

SocietàAnna Franchini

Pierfranco Ventura

Norma Barcherini

2 3

Maurizio Pisoni

Monte Nebo

È l'ennesimo doloroso fatto di cronaca, un

adolescente, con la complicità di un amico con cui

dividere la colpa, in un gesto estremo di ribellione,

uccide i genitori che pagano con la vita

l'inconsapevolezza del grave stato di disagio del

loro figlio. Adolescenti, dai confini

psichici labili, insofferenti alle

limitazioni della propria libertà,

invasi dalla rabbia e dal conflitto

interiore, s i spingono verso

l'annientamento fisico dei loro

genitori in una sorta di macabra

e l iminaz ione de l problema.

L'adolescenza per molti giovani è

basata sul non volere regole, sul

pretendere la libertà di fare quello

che si vuole, quando si vuole, senza

vincoli imposti dalla scuola e dalla famiglia. Le

ragazze, più capaci di tenere il dolore mentale

dentro di sé, lasciano ai giovani maschi il tragico

primato di giungere a tali epiloghi efferati. Le donne

infatti, per indole portate a curare, prima di

diventare aggressive si ammalano loro stesse. Al

contrario, i maschi fanno più fatica e preferiscono

spostare all'esterno la loro sofferenza vendicandosi

di chi ne possa essere la causa. Il ragazzo che soffre

invia segnali di disagio, ma spesso, nei casi più gravi,

i genitori non sono in grado di interpretarli per

mancanza di strumenti, perché assenti, perché

immaturi affettivamente in contesti sociali

emotivamente desertificati. Non

vanno mai sottovalutati i vuoti

affettivi all'interno della famiglia,

causa di blocchi psichici nello

s v i l u p p o e d i u n ' e l e v a t a

conflittualità tra Genitori e Figli,

Figli che comunque manifestano il

b i sogno d i e s se re amat i e

riconosciuti pur nelle loro esigenze

distorte. Figli che sono il frutto di

un fallimento educativo che non ha

saputo creare contenimento e

confini. Genitori che devono saper accogliere e

perdonare, Figli che devono imparare ad “onorare”

chi ha dato loro la vita. Quando si “onora” qualcuno

lo si ama e lo si rispetta. Gesù, il Figlio più bello nato

da donna, ha portato le nostre colpe sulla croce, ci

ha accolto e perdonato “Onorando senza riserve il

Padre Suo”.

Insegnare significa segnare dentro ovvero stimolare la curiosità per fissare la cultura oggettiva consolidata nel p a s s a t o i n m o d o d a a p p l i c a r l a responsabilmente in futuro. Negli ultimi decenni si è invece dato sempre più peso alla formazione basata sul sano rispetto del soggettivismo per favorire la creatività, sguarnendola però spesso del la predetta cultura oggett iva. La severità educativa del passato, spesso concentrata su criteri oggettivi “perfetti” o ideali “rigidi”, è peraltro s f o c i a t a nell'individualismo, invece di sviluppare una sana autonomia al servizio della c o m u n i t à . L a r e c e n t e cultura soggettiva, spesso concentrata sul rispetto delle emozioni e del comportamento psichico, si è peraltro confusa con la

debolezza e la frammentazione in ogni decisione responsabile e duratura, invece di sviluppare l'immaginazione e il rispetto della fragilità umana. I ridotti contenuti e la scarsa integrazione fra la cultura oggettiva e quella soggettiva hanno prodotto paure eccessive e

dubbi pieni di sospetti, specie se le persone si basano sull' equilibrio solo della propria ragione e della propria psiche. Il f a t t o d i m o r i r e è a d e s e m p i o r i m o s s o : l'ospedale deve garantirci tutto, meno quello di morire fra gli affetti. Il r i s p e t t o d e l l a v i t a è confuso: aborti/anno in I t a l i a b e n p i ù d i u n a guerra, prevenibili con i metodi di regolazione naturale della fertilità, per

contro fecondazioni artificiali con rapporti nascite minime/costi massimi

molto finanziati ed embrioni distrutti o congelati a vita, evitabili con le adozioni da sostenere e semplificare. Gli insegnamenti oggettivi erano “la morte ci sorprenda vivi” e “ogni bambino un canestrino”. È curioso notare che anche in passato s i era confusi dando importanza solo alla morte, per cui il giovedì santo era dedicato ai sepolcri, quando Cristo non era ancora morto, e si deponeva il grano bianco fatto crescere al buio, mentre invece quel giovedì fu istituita la Lavanda dei piedi a ricordare l'importanza del servire gli altri e l'Eucarestia per ricordare l'importanza del “tralcio e la vite”. La Pasqua ci ricorda proprio, più che la m o r t e , l a R e s u r r e z i o n e e c o m e guadagnarsi l'eterna felicità amando il prossimo, aiutati dal rimanere legati a Dio, per superare le nostre fragilità lasciandoci amare da Lui che, per evitare critiche soggettive nei riguardi dell'amore verso il prossimo, è morto come l'ultimo dei ladroni.

Fino al secondo dopoguerra Pietralata era una borgata a vocazione agricola. Nata nel 1922, tale sua caratteristica fu consacrata dalla volontà degli agricoltori che vi si stabilirono. La popolazione iniziale di circa 4000 persone era costituita quasi interamente da reduci della prima guerra mondiale e dalle loro famiglie, che avevano acquistato i terreni a prezzo di favore e con particolari modalità di p a g a m e n t o d a l l ' O p e r a Nazionale Combattenti. Per la loro dislocazione i poderi (dell'estensione massima di quattro ettari) , facilmente irrigabili grazie alla vicinanza de l f iume Aniene, erano particolarmente adatti alla coltivazione di ortaggi . Così, i n q u e g l i a n n i l a v i a d i Pietralata, allora sterrata, era percorsa ogni mattina da tanti carretti carichi, a seconda delle stagioni, di carciofi romaneschi, di broccoli, di pomodori, di fave, di zucchine avviati al mercato della Tiburtina Negli anni '40, la “ridente borgata” nelle luminose giornate di sole appariva come un rigoglioso giardino qua e là interrotto da casette a due piani bianche e rosa. Anche per la carenza di mezzi di collegamento con il centro della città, la

separazione tra la gente della borgata e quella della Roma storica era molto marcata. Nel romanzo Una vita violenta di Pasolini, il giovane borgataro , Tommaso, una domenica si avventura a Roma, che gli appare lontana e bellissima al punto che per andarci si è messo il vestito “bono” e alla fine della passeggiata conclude: qui c'hanno un altro modo de comportasse, so' troppo differenti da noi. Poi le cose

cambiarono. Con il bum edilizio la borgata diventò “quartiere”: il quartiere Pietralata, che oggi ha assunto gli aspetti tipici della periferia romana, dove accanto agli orti e ai casolari superstiti coesistono grandi palazzi cresciuti soprattutto lungo la consolare Tiburtina per accogliere le schiere dei nuovi arrivati. Al centro del quartiere, in posizione strategica, rimane il Forte di Pietralata, una delle quindici opere militari realizzate dopo il 1870 per dotare la città di un baluardo difensivo contro aggressioni straniere. Va ricordato che lungo la via di Pietralata,

all'altezza della Vigna Mangani affiora parte dell'opera edilizia dell'antico acquedotto dell'acqua Vergine. L'acquedotto nasce presso il Casale di Salone e con un percorso di circa 19 chilometri giunge al Pincio per andare poi ad alimentare due dei monumenti più simbolici di Roma: la fontana di Trevi e le fontane di piazza Navona.

7 febbraio 2017, ore 11.40: Dj Fabo mette fine alla sua vita stringendo “fra i denti” il pulsante di comando per inoculare il liquido letale che lo farà morire in un tempo rapidissimo. Questa è la realtà nuda e cruda che la stampa ci ha proposto in questi giorni al netto delle implicazioni politiche e morali. Sicuramente le nostre coscienze sono state s c o s s e d a l l a s t o r i a veramente tragica e p i e t o s a d i q u e s t o g i o v a n e u o m o c h e , molto dignitosamente, ha deciso che la sua vita non aveva più senso nonostante l 'amore della fidanzata, degli amici e della famiglia. Sinceramente non mi sento di condannarlo per quella tragica decisione, umanamente comprensibile, ma allo stesso tempo mi chiedo: quando nella solitudine dell'anima scaviamo in noi stessi a che punto incontriamo Dio? Io penso che persino per chi non crede esiste un momento in cui ci si chieda: ma di là Chi c'è, se c'è? A questo punto si crea una dicotomia: o il nulla o una nuova vita. Il nulla non è consolante ed anzi penso aumenti ancor di più l'angoscia che

alberga nelle menti dei malati, troppo seriamente compromessi nel corpo e nell'anima. La Fede invece ci porta ad avere un atteggiamento più fiducioso, meno disperante, e ci dà la certezza che il proprio corpo non è nostra proprietà ma è solo un “custode deteriorabile” dell'anima; per questo non va sottoposto ad accanimento

t e r a p e u t i c o m a a c c o m p a g n a t o , c o m e c i h a i n s e g n a t o Giovanni Paolo II, che alla fine della s u a v i t a d i s s e : ” L a s c i a t e m i tornare alla casa del Padre”. Ma, poiché la Fede è u n a “ c o s a ”

impegnativa, sorge in noi credenti anche un'altra domanda: quali vie deve prendere la nostra misericordia nei confronti di coloro che vogliono percorrere strade diverse? È difficile dare una risposta, ma s i c u r a m e n t e p e n s o c h e l a n o s t r a compassione debba arrivare al punto in cui non vediamo più un uomo che ha cercato solo la sua libertà, ma una creatura del Signore che non ha cercato il suo Creatore. L' abbandono di quella idea meravigliosa

che è la Speranza, porta di accesso alla sopportazione delle tragedie più profonde, come la perdita dei figli che io considero il più alto tasso di dolore che il nostro cuore possa sopportare, porta sempre alla disperazione ed al senso profondo di fallimento. Dobbiamo quindi avere una infinita pietà, per queste sfortunate persone che non hanno motivi di consolazione, ma dobbiamo anche far sentire le nostre voci: la scienza va avanti e ci offre maggiori opportunità di vita ma non possiamo dimenticare che la nostra storia terrena non può essere sempre impostata, orientata, organizzata senza lasciare niente all'imprevisto, a volte nota negativa e a volte stupenda sorpresa. Mi spaventa un'esistenza pianif icata, preferisco lasciare nelle mani di Dio quel pizzico di ignoto che è il sale della vita e trovo disarmonico, rispetto all'armonia perfetta del disegno di Dio, il testamento biologico che mi fa prevedere, anni prima, il mio stato d'animo nei confronti della morte o della disgrazia: noi siamo unici e amati, uno per uno, con un destino che si snoda tra le pieghe della vita secondo le nostre peculiarità ed uno Spirito Divino che ci inonda di tenerezza. Lasciamo che questo sia senza metterci al posto Suo.

In-segnare Pietra a a

nora il padre e la madre Fine v ta