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Il Convivio Trimestrale di Poesia Arte e Cultura dell’Accademia Internazionale ‘Il Convivio’ Fondato da Angelo Manitta Via Pietramarina-Verzella 66 - 95012 Castiglione di Sicilia (CT) - Italia Anno IV numero 1 Gennaio-Marzo 2003 12 Poste Italiane sped. in abb. post. art. 2 comma 20/c legge 662/96 D.C.I. – Sicilia Prov. Catania Vittorio Pio Vidotto, Equilibrio cosmico, olio su tela, cm 70x50

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Il Convivio Trimestrale di Poesia Arte e Cultura dell’Accademia Internazionale ‘Il Convivio’

Fondato da Angelo Manitta Via Pietramarina-Verzella 66 - 95012 Castiglione di Sicilia (CT) - Italia

Anno IV numero 1 Gennaio-Marzo 2003

12 Poste Italiane sped. in abb. post. art. 2 comma 20/c legge 662/96 D.C.I. – Sicilia Prov. Catania

Vittorio Pio Vidotto, Equilibrio cosmico, olio su tela, cm 70x50

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Il Convivio

Trimestrale di Poesia Arte e Cultura, fondato da Angelo Manitta e organo ufficiale dell’Ac-cademia Internazionale ‘Il Convivio’

Registrazione al trib. di Catania n. 7 del 28 marzo 2000. Direttore responsabile: Enza Conti Direttore editoriale: Angelo Manitta Redattore: Giuseppe Manitta Redazione: Via Pietramarina-Verzella 66 - 95012 Castiglione di Sicilia (CT) Italia. Tel. e fax 0942-989025, cell. 333-1794694. Conto corrente postale 12939971, intestato a Conti Vincenza. Stampa: Tipografia Messinatype, tel. 090-696841 E-mail: [email protected] Siti Web: http://web.tiscalinet.it/ilconvivio http://ilconvivio.interfree.it http://web.tiscali.it/ilconviviomattinata

Collaboratori: Álvarez Velasco Francisco (delegato per la Spagna), Andityas Soares de Moura (delegato e redattore per il Brasile), Angelucci Sandro (Via Donatello, 25 – 02100 Rieti, tel. 0746-481370), Barone Rosaria, Campisano Cancemi Alfonsina, Dilettoso Maristella (via Basile, 21/G – Randazzo-CT), Giannetto Maria Enza, Izzi Rufo Antonia, Lalli Franco Dino (Via Portella, 23 – Assergi-AQ), Latorre Maria Cristina (rivista telematica), Natale Maria Pina, Perlongo Gaetano (rivista telematica), Tamburrini Bruna (Via Angelelli, 11 – Montegiorgio-AP), Tavcar Giovanni, Topa Pacifico (via S. Paterniano, 10 – Cingoli-MC), Treffiletti Salvatore(sito web).

Soci sostenitori: Ardita P ina, Benagiano Antonietta, Campetti Walter,

Candido Gian Paolo, Cavallo Mario, Chantal Cros, Colajanni Patrizia, Famà Anna, Frenna Michele, Giandolfo Clara, Gulino Rosanna, Guerrera Grazia, Lucha Chamblant, Macchia Maria Flora, Milone Giuliana, Nobis Maria Teresa, Portaro Antonio, Roma Mario, Rusca Zargar Renata, Speranza Vanni, Trevisani Simona, Villarreal Emma.

Soci benemeriti: Frosini Tommaso, Gianquinto Italo, Lauro Milvia,

Natale Maria Pina, Petino Placido. Gli autori di questo numero (il numero tra parentesi indica la pagina): Abbadessa A.(36), Adde J.M.(13), Agustoni P .(43), Albanese M.(32), Ales S.A.(76), Allegrini A.(69), Alvarez V.F.(51), Amendola A.M.(3), Anderson F.I.(44), Andrenacci S.(75), Aragona A.(38), Arcidiacono S.(31), Armini C.(34), Arturo V.(48), Assini A.(75 e copertina), Attolico G.(36), Baccelli V.(77), Bango C.L.(74), Barberi Squarotti(1), Barcella G.F.(7), Belluomini C.N.(35), Berardi R.(67), Boncompagni G.(36), Bonfillon I.(56), Bonucci L.(32), Boschin B.(35 e copertina), Bromuro R.(70), Calabrò C.(9), Calì G.(58), Caminiti L.(38), Campagna V.(37), Campetti W.(31), Campisano C.A.(32), Capuozzo V.(36), Carfora C.(23), Cascino F.(24), Cassarà M.(34), Cassinari R.(34), Castellani F.(63,77), Cavallo M. (11), Cerniglia M.(34), Cernuschi A.(65), Chamblant L.(23), Civitareale P .(61), Colajanni P .(42), Compagnoni S.(36), Conserva A.(33), Consoli D.(15), Contarino R.(69), Coppone F.(63), Cormagi S.(38), Costas E.(48), Coulange P .(56), Cozzubbo P .(37), Craviotto S.(27, 35), Crimi C.D.(13), Critelli Janfer G.(8), Cros C.(53, 57), Curvello A.(44), D’Ambrosio R.(60), Dal Zilio R.(68), Darwish M.(46), De Luca K.(38), De Martino M.P.(36), De Rosa A.(71), De Vincolis

A.(25), Delgado G.(52), Destro J.(88), Dho Bono M.(63), Di Girolamo G.(62), Di Gregorio E.(26), Di Rocco F.(62,65), Di Stefano L.(70), Dussottier J.F.(55), Famà A.(61), Fedele G.(62), Ferrari B.(33), Filippone C.(32), Fratantaro P .(73, 88), Gaccione A.(68), Galliani G.(78), Gambacorta S.(62,63,65), Garcia H.J.L.(49), Gatti P .(58), Gemmellaro F.(6), Giallombardo A.(34), Giandolfo C.(25), Gianquinto I.(28), Gomes G.(47), Gonçales L.(44), Grasso M.(37), Greco A.M.(67), Guerrera A.(33 e copertina), Gugliotta B.(37), Izzi R.A.(70, 72), Lafonteyn M.(51), Landolfi M.(66), Lapisse S.(54), Leonardi G.(37), Leroy J.C.(53), Li Volti G.G.(71), Loretti L.(48), Macchia M.F.(24), Maffia D.(8), Mallia B.(70), Mandy(36), Manzi C.(10), Marcier E.(47), Marquez M.M.(51), Marrodán M.A.(50), Materia G.(35), Mayer S.(7), Mazza S.(76), Meli G.(59), Menna N.(65), Messina A.(63), Messina S.(33, 88), Milone G.(31), Molina L.S.(52), Montebello E.(75), Montero L.J.(49), Mori C.T.(27), Murdaca M.G.(36, 73), Narducci M.(11), Natale M.P.(17), Nibali S.(37), Nigro P .(35,70), Noto A.(38), Occhipinti F.(64), Pace A.(67), Panato M.(31), Pandolfo R.(73), Pangerc B.(40), Paolini P .G.(57), Papillo S.R.(37), Parlato C.(67), Paternò G.(35), Pedullà W.(3), Pereira D.L.(48), Pereira Tk.(45), Pereira T.(48), Perlongo G.(31), Pessoa C.(48), P ianezze R.(68), Piazza G.(63), P iccirilli P .L.(74), P icwick(77), Pinna V.(68), Portano A.(copertina), Putortì C.(30), Quasimodo F.F.(65), Queiroz F.(45), Quinci G.(74), Rampin N.(32), Reis M.de L.(48), Rigano U.(38), Roma M.(54), Romano E.(71), Romeo G.F.(33), Rubbia P .I.(67), Russell P .(22), Russotti J.(78), Sarraméa J.(55), Sciocchetti S.(37), Sciubba R.(34), Sfilio B.L.(26, 88), Sgroi S.(29), Sgroi V.(37), Sofia G.(60), Spina A.(33), Spinella A.(64), Suiffet N.(52), Taceo R.D.(44), Tamburrini B.(14), Teixeira E.(48), Teixeira S.(48), Theobaldo C.(44), Tognacci I.(66), Topa P .(73, 32), Torrente B.(32), Trantino E.(12), Trevisani S.(41), Turano E.(73), Turco B.(64), Tuttolomondo I.(33), Vaccaro A.(69), Vargiu S.(58), Veloso M.(48), Verdura G.M.A.(52), Villarreal E.(60), Vinciguerra P .(66), Zanotta T.(48), Zargar Z.(37), Zingales U.(12), Zingales V.(72).

Associarsi all’Accademia Internazionale Il Convivio è semplice . È suffi ciente versare la quota associativa annua di € 25,00 (adulti), € 20,00 (per asso-ciazioni culturali), € 15,00 (giovani dai 18 ai 24 anni), € 10,00 (ragazzi), sul Conto Corrente Postale n. 12939971 o tramite assegno circolare non tras feribile, oppure va-glia postale o vaglia internazionale (giro postal interna-cional – mandat postal) intestati a Conti Vincenza, Via Pietramarina–Verzella, 66 - 95012 Castiglione di Sicilia (CT) - Italia. Dagli altri continenti: $Usa 25,00 o equiva-lente in altre monete. Socio Sostenitore: € 50,00. Socio Benemerito: almeno € 100,00. Il Socio ha il vantag-gio di: 1) ricevere gratis la rivista; 2) avere inserita una poesia (max. 30 versi) e una recensione durante l’anno, oppure un racconto (max. 2 cartelle), oppure un quadro in bianco e nero e un articolo sulla personalità del-l’artista; 3) partecipare gratuitamente al concorso bandito dall’Accademia; 4) partecipare alle attività del gruppo.

La collaborazione e la distribuzione della rivista sono gratuite, ma si accettano liberi contributi. Ogni autore comunque si assume la responsabilità dei propri scritti. Manoscritti, dattiloscritti, fotografie o altro materiale non vengono restituiti. Attività culturale senza scopo di lucro ai sensi dell’art. 4 del D.P.R. del 26-10-72, n. 633 e successive modifiche.

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Una lettura della Poesia contemporanea attraverso le parole di

Giorgio Barberi Squarotti e Walter Pedullà Interviste di Amalia Maria Amendola, Angelo Manitta e Giuseppe Manitta

Letteratura: verso dove? Intervista a Giorgio Bàrberi Squarotti

di Angelo e Giuseppe Manitta Dopo l’incontro-intervista con Gavino Ledda, l’au-

tore di “Padre padrone”, pubblicata sul numero precedente del “ Convivio”, abbiamo contattato uno dei maggiori critici italiani contemporanei, Giorgio Bàrberi Squarotti. Il motivo? Molto semplice. Dopo aver sentito come un autore costrui-sce la propria lingua e l a propri a opera, diamo la parola allo specialista, quasi in un tentativo di confrontare creatività e critica: due forme espressive che partono dallo stesso punto per raggiungere obi ettivi opposti: razionalità ed emotività. E forse nessuno meglio di Squarotti potrebbe venirci in aiuto, dal momento in cui, oltre ad essere critico, è pure poeta. Al suo attivo conta, infatti, numerosi volumi di versi, il più recente è dell’anno scorso.

Giorgio Bàrberi Squarotti insegna all’università di Torino. Ha collaborato e collabora con note case editrici ed è condirettore delle riviste “ Lettere italiane” e “ Astolfo”. Dal 1960, quando venne pubblicato il testo “ Astrazione e realtà”, numerosi sono stati i suoi testi critici che riguardano figure e tempi della letteratura italiana, da Dante al Manzoni, dal Pe-trarca al Marino, dall’Ariosto al Tasso, dal Boccaccio al D’Annunzio, dal Pascoli a Sbarbaro, a Campana, a Pavese, a Gozzano e molti altri autori contemporanei. Un moto pendo-lare contraddistingue l a sua struttura critico-l etteraria. L’os-cillazione costant e e dettagliat a si risolve in una sintesi inci-siva, in uno scandaglio esauriente dell’opera e dell’autore.

Ogni autore spesso si chiede quale sia la funzione e la valenza della l etteratura oggi. Nel Novecento, più che nei secoli precedenti, si assiste ad un pullulare di poeti, artisti e scrittori, ma sembra che i movimenti artistico-letterari inno-vatori siano ormai diventati sterili e si viva un periodo di ristagnazione creativa. Nel corso dei secoli ogni epoca ha enunciato dei principi artistico-letterari, sono nati dei movi-menti, si sono creat e delle correnti fino alle Avanguardie. Queste ultime danno libertà di scelta contenutistica, espressi-va, metrica, stilistica. Ma è davvero così? La l etteratura è certo un fenomeno in continua evoluzione. Comunque, inter-pellando un “ addetto ai lavori”, chiediamo al Prof. Squarotti:

Visto che i suoi interessi critici vertono, tra l’al-tro, sulla poesia del Novecento, Lei pensa che il poco in-teresse dei lettori di oggi verso la poesia sia dovuto allo strapotere del roman zo o è la poesia che andrebbe rinnovata nella forma strutturale e contenutistica? Non credo affatto che scarso oggi sia l’interesse nei confronti della poesia: direi, anzi, è l’opposto, tanto è vero che molto numerosi sono i poeti e, correlativamente, coloro che li leggono. Se si dà uno sguardo general e sul nostro No-vecento, si può veri ficare quanti siano la durat a e l’esem-

plare valore dei nostri poeti, di quelli altissimi, fondamen-tali, a confronto delle altre lingue, là dove più limitata è la quantità dei narratori che possono ambire alla stessa procla-mazione. Non bisogna lasciarsi sviare dalle mode e dalla pubblicità: i romanzieri, a parte i pochi strenuamente duratu-ri, non reggono più di una stagione; in fretta appaiono, sono recensiti, sono premiati, e molto più in fretta sono dimenti-cati. Il destino dei romanzi d’oggi è uguale a quello degli autori mediocri e vani che l’Ariosto e il Marino vedono nei loro poemi mentre il vento oppure le acque di un rivo si portano via le opere e nessuno più ne ricorda il nome. Ecco: la maggior parte dei narratori d’ora ha nomi subito dimenti-cati, e nessuno più ricorda che cosa abbiano scritto. La nar-rativa è un genere che è arrivato al limite delle peggiori ripetizioni: non che avere uno strapotere, è così fragile da non reggere al minimo tempo.

La letteratura, si tratti della poesia come della nar-rativa o della critica e di ogni altro genere, non è da tutti: è una vocazione, che è, come di ceva Fortini, non necessari a ma fondamentale, perché, senza, comporta la perdita di co-noscenza, comprensione, arricchimento della mente e, in genere, della vita. È vero che la narrativa, comportando un riscontro economico (ma non è poi cosa tanto signi ficativa), è sostenuta dalla pubblicità, ma non mi sembra che si a una faccenda molto importante. Se mai, la pubblicità finisce a renderla simile ai detersivi e ai profumi, e mi pare proprio che non ha da rallegrarsene (e, infatti, i narratori autentici non se ne rallegrano affatto). Quanto a pensare che si debba discorre della necessità del rinnovamento “ strutturale e con-tenutistico” della poesia, mi sembra un discorso senza senso. La poesia è quel che è, e nessuno può correggerla e modi-fi carl a. Dice il Berni, nel capitolo dedicato al Gradasso, buf-fone del cardinale Ippolito de’ Medici, che «la poesi a è co-me quella cosa / bizzarra, che bisogna star con lei, / che si rizza a sua posta, e leva, e posa». Le forme della poesia han-no un’evoluzione che si può giudicare soltanto dopo che il poeta ha scritto: se ci troviamo di fronte a imitatori e a inetti, oppure a innovatori, non nel senso dell’assoluta originalità, che non esiste, ma della gara con i poeti del passato oppure contemporanei in forza delle reinvezioni, delle citazioni, delle ulteriori creazioni a facci a a faccia con gli altri autori di esemplare o sublime invenzioni.

Eugenio Montale diceva che «la poesia si vende come e meglio degli altri generi letterari», ma oggi i tempi sono cambiati. Perché, secondo lei, la poesia degli autori emergenti (per non dire in genere di qualunque libro) non si vende?

Non ha nessuna importanza che la poesia si venda oppure no: è un discorso che mi dà fastidio, mi sembra (posso dirlo?) un poco volgare, non perché il valore economico non abbia un signi ficato autentico, ma perché l a misura dell’arte, di tutte le arti di conseguenza non può essere e non è mai stata il guadagno, la vendita. La poesia

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non ha mai, in sé, comportato i vantaggi economici: tanto per fare un esempio mitico, Omero era povero, ci eco, mendico, eppure i suoi poemi rimangono letti e imparati, e lo stesso si può dire di Dante o dell’Ariosto. Se ci sono, oggi, “ poeti emergenti” o no, se valgono o no, si può sapere soltanto dopo le adeguate letture e i giudizi critici, ma anche in base alla tenacia, al sacri fi cio, all’impegno dello scrivere. Non basta aver scritto qualche verso o qualche libro, come troppi credono (i giovani, soprattutto). Montale, quando pubblicò il primo volume di versi, ebbe come editore un critico e un teorico della politica, e nessuno o quasi se ne accorse allora, ed esiguo era il numero delle copie stampate.

La poesia italiana sembra essersi fossilizzata al-l’ermetismo e alle avanguardie. Se questi movimenti ave-vano intrinseci obiettivi di rinnovamento o di protesta, oggi non sarebbe meglio mettere da parte le protes te e dare una struttura più comunicativa alla poesia?

Non mi sembra affatto che la nostra poesia sia “ fos-silizzata”. L’ermetismo, tanto per parlare del termine quanto mai generico, è da molto tempo fissato nella sua storicità, sia come periodo, sia come autori, tuttavia tutti riferibili ad un momento soltanto della loro vicenda (parlo, per esempio, di Luzi, di Parronchi, di Bigongiari, ecc.). Il che non vuole dire che, dopo, non si possano (anzi, si debbano, necessariamen-te) avere citazioni e forme ermetiche, ma in quanto ogni scrittura poetica è anche citazione e ricreazione di modi e autori del passato. Si pensi, per esempio, alle tante riscritture petrarchesche del Tasso, dell’Alfieri, del Leopardi, di Unga-retti. Quanto alle avanguardie, anch’esse appartengono ad un periodo preciso della nostra storia poetica: gli anni fra il 1960 e il 1970-80, e, in seguito, anche il maggiore poet a d’avanguardia, Sanguineti, che è uno dei sommi del Nove-cento, ha ben mutato modi e discorso, fino a diventare quasi crepuscolare. Oggi la “protesta” come poesia non esiste, se non in qualche provinciale ritardo. La poesia, infine, non può essere, per propria scelta e progetto, “ comunicativa” co-me programma. Tocca al lettore capire e impegnarsi a sape-re. Sono forse “ comunicativi” nel senso della “ facilità” Catullo o Dante, Petrarca e Leopardi o i massimi del Nove-cento, come Pascoli, D’Annunzio, Ungaretti, Montale? È necessario che ci siano adeguati commentatori ed esplicatori, perché il lettore possa comprendere adeguatamente le intenzioni e le forme della poesi a. In sé, il discorso della comunicatività come opportunità o dovere è senza senso.

La letteratura del passato è stata in gran parte predominata dal poema. Quasi, per dirla con Ovidio, ogni uomo tutto ciò che tentava di dire era verso. Si potrebbe dare una maggiore valenza a tale forma espres-siva fondendo il poema classico e il romanzo in un genere nuovo, che sia tra la “poesia pura”, la poesia epica, la narrazione roman zesca? Questo renderebbe la poesia più comunicativa? Se Proust avesse scritto il suo romanzo “Alla ricerca del tempo perduto” in un misto tra prosa e poesia, avrebbe ottenuto maggiori effetti?

In realtà, anche in passato ci sono stati molti generi di prosa in alternativa rispetto alle forme della poesia: i poemi (assolutamente non esclusivi, nelle lingue greca e latina, come genere), la lirica, la didascalica, la tragedia, la commedia, ecc. penso al dialogo (con Platone al culmine), all’orazione, al trattato, allo stesso romanzo, tuttavia molto meno significativo rispetto agli altri generi di prosa, ecc. Ciascun genere ha le sue norme e le sue forme: inventarne di

nuovi mi pare alquanto bizzarro e anche inutile o peggio, cioè un guaio e un gravissimo errore di prospettiva e di concreta conoscenza della l etteratura com’è. Non capisco che senso abbia fondere la poesia pura, l’epica, il romanzo: tanto più, poi, che esempi del genere gi à esistono, come i due “ Orlandi” in Italia oppure il “Roman de la Rose” in Francia oppure il “ Faust” di Goethe. Rabbrividisco, infine, sentendo parl are della recherche scrivibile fra prosa e verso. Ma è già una perfetta congiunzione di verso e prosa! Non bisogna lasciarsi sviare dalla diversità di verso e prosa come se fosse un problema di generi! Ciascun’opera letteraria ha un’assoluta identità e verità ed è del tutto vano immaginare come si sarebbe potuto scrivere in altre forme e strutture.

La poesia italiana contemporanea, se confronta-ta a quella europea, sotto certi aspetti si può considerare di tono minore, pur non mancando poeti di altissima levatura. Si ha l’impressione che la poesia italiana si sia fossilizzata. La lettura di poeti e scrittori s tranieri po-trebbe dare un forte input alla nostra letteratura? E quali autori sarebbero da consigliare?

La nostra poesia del novecento non è assolutamente “minore” rispetto a quella delle altre letterature, anzi, come già ho accennato, presenta culmini altissimi; anche molto significativa è quella di una misura minore. È ovvio che sia i poeti d’ora sia la critica debbano leggere i poeti d’altre lingue; ma è quello che fanno poeti e critici degni di questo nome. Gli altri non contano. La nostra poesi a (ripeto) non è affatto “ fossilizzata”; anzi è vero il contrario. Quanto ai poe-ti “ stranieri” (è un’altra espressione che mi dispiace molto: non c’é diversità se si parla di lezione e valore di poesia), posso soltanto dire che amo più intensamente Eliot, Pound, Stevens, Garcì a Lorca, Rilke, Antonio Machado, Valèry, Yats, Benn, Celan, Kavafis, Dickinson, Auden, Attila, Holan (e altri ancora: la smetto per rendere l’elenco troppo folto).

Letteratura e politica, che spesso sono andate a braccetto, pur apparentemente mantenendo una propria autonomia, possono ancora oggi convivere? Cioè si può fare letteratura, esprimendo una concezione politica? Letteratura e politica non sono mai andate “ a brac-cetto”, se non nei casi peggiori della propaganda, fosse stato il caso di Tirteo oppure degli autori invitati a cel ebrare l e magnifi che sorti dei vari regimi dittatoriali o, comunque, dei partiti che alle dittature si ispirano. È naturale che la lettera-tura esprime speci fi che idee e posizioni politiche, ma soltan-to nell’ambito della sua autonomia assoluta. Penso, per e-sempio, ad Attila o a Gatto o Péguy o Sanguineti o George.

Data la Sua esperien za di critico e poeta, cosa consiglierebbe ad un giovane autore che vorrebbe affermarsi nell’ambito letterario?

Sembrerebbe una battuta banale, ma la sola cosa da fare è, prima di scrivere, leggere e rileggere e non stancarsi mai di comprendere e spiegare a se stessi i testi poetici e prosastici del passato. Ma in ogni caso il probl ema non è di volersi affermare nell’ambito letterario, ma di esserne effettivamente capaci. Scrivere a dispetto del vero e del valore delle parol e e dei testi che si compongono è inutile. La letteratura è un’attività diffi cilissima e rara, e non tutti davvero possono riuscirci. È bene non farsi illusioni: così come io non ne faccio a me stesso, ben conoscendo (con serenità, anzi con letizia) i miei limiti.

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Idea, ispirazione, emozione nella letteratura. Intervista a

Walter Pedullà di Amalia Maria Amendola

Il XX secolo è st ato forse il secolo dei Mani festi

letterari. Ma oggi, nel XXI secolo, ha ancora un senso farne di nuovi? E soprattutto potranno aprire ad una nuova lette-ratura? È possibile un taglio con il passato come è avvenuto tra romanticismo e cl assicismo, tra illuminismo e manie-rismo? L’obiettivo che il Convivio si propone è quello di av-viare un ampio dibattito su un eventuale mani festo letterario che possa coinvolgere e rispecchiare la volontà degli artisti del XXI secolo. Per capire ciò è bene coinvolgere esperti critici da una parte e giovani scrittori dall’altra. Tra i critici, che abbiamo contattato per questo numero del Convivio, oltre a Giorgio Barberi Squarotti, è Walter Pedullà.

Professor Pedullà1, ci dica, com’è nata la sua rivista il Caffè illustrato e a quale pubblico si rivolge?

È una rivista metà e metà, testo ed immagini. Le immagini possono essere delle foto, ma la maggior part e sono delle illustrazioni a colori di disegnatori o illustratori pure di professione, bravissimi, come Cicarè, che sono chia-mati a rappresent are i classici, l’Iliade, l’Odissea, poi La chanson de Roland, ci sarà l’Eneide nel prossimo numero, poi c’è stato il Don Quichotte e Il Codice di Perelà di Palaz-zeschi che è un tras ferimento rapido nel Novecento. Il titolo della rivista nasce dal Caffè, perché io sono stato collabo-ratore, condirettore del Caffè di Vicari. All’inizio ero partito insieme con C elati e Cavazzoni con l’intenzione di ri fare il Caffè, ma ci è stato impossibile riproporre il titolo come fosse una nuova serie perché gli eredi non davano il diritto di usarlo. E allora è nato il Caffè Illustrato, con più illustra-zioni, il che ci obbliga a fare dei pezzi più brevi, fino a di -ventare didascalie delle foto. La gente ama scorrere i gior-nali tante volte senza soffermarsi a leggerli, e allora questa rivista è nata con questa formula, che risulta essere vincente specialmente in un punto: i dossier, che sono delle fotobio-grafie degli autori, di cui i familiari ci raccontano la vita attraverso le foto, evidenziando i momenti più significativi. E, con l’aria di registrare dei fatti, raccontano invece delle storie, da cui vengono fuori il carattere dell’uomo, a sostegno della parte critica. Nei dossier ci sono dei saggi, e poi degli inediti o scritti dispersi degli autori. È una rivista che si rivolge a tutti. La si trova nella Feltrinelli, nel circuito Arion e cerchiamo di diffonderla. Deve essere come succede tante volte per i giornali, che sono fatti per tutti, eppure alcuni non leggono le pagine sportive, alcuni non leggono le pagine mediche, al cuni non l eggono le pagine culturali, ma tutto può essere comprensibile per tutti. L’operazione ha un’evidente ambizione: con la semplicità fare delle cose molto complicate, con la superficialità fare delle cose anche un po’ profonde, e con il gioco fare delle cose serie.

Si potrebbe definire il riso, il comico, la chiave di lettura non solo della sua rivista e dei suoi scritti ma 1 Docente di Letteratura italiana moderna e contemporanea dell’Università “la Sapienza” di Roma. Critico letterario dell’Avanti! Direttore della rivista di cultura L’Illuminista e con A. Cavazzoni e G. Celati de il Caffè Illustrato.

della realtà stessa e del mondo negli anni a cavallo tra il XX e XXI secolo?

La propensione originaria era per il comico perché siamo partiti da un dato di fatto. Io sono uno che ha dedicato studi al comico a partire da un lungo capitolo nella Storia generale della letteratura italiana, di cui sono direttore con Nino Borsellino, edita da Motta e Rizzoli, fino ad un libro che si chiama Le armi del comico che è uscito l’anno scorso per Mondadori. In più ho una mia propensione verso gli scrittori della comicità o almeno per scrittori che non sono sempre comici ma che io analizzo nella fase in cui lo sono, il primo Palazzeschi, il primo Bontempelli, l’ultimo Svevo, il primo Zavattini, certo Landolfi o una fase intermedia di Cal-vino, Campanile. Gli scrittori, diciamo, da Zavattini a Maler-ba, da Arbasino a Manganelli, da Celati a Benni... osservati nei vari gradi della comicità, che sia l’ironia o l’umorismo, la parodia o la farsa, la caricatura, o il gioco, quello più di -sinvolto e quello più leggero, autoreferenzial e fino all’assur-do. Non dimenticando che il comico è l’altra faccia del tragico. Del resto, Max Checov diceva: «I grandi comici non ridono mai».

Quanta influenza hanno avuto su di lei i manifesti delle Avanguardie storiche del ‘900 e il manifesto di Palazzeschi Il Controdolore?

Diceva Palazzeschi: «Bisogna abituarsi a ridere di tutto quello di cui abitualmente si piange». Ridere anche ai funerali... Nella teoria del comico due linee partono dal Futurismo, quella del Controdolore di Palazzeschi, e quella del Teatro di varietà di Marinetti. Da quest’ultima faccio partire una comicità che va fino all’assurdo, dalla prima quella dell’umorismo, di altro spessore. Il comico, il gioco, il fant astico, il plurilinguismo, prima o poi anche quest e eccezioni rientreranno nella norma e faranno pace con il sistema culturale. La comicità è un atto di fforme e di defor-mazione, modi ficazione del sistema, però è un’operazione che si compie sul tempo lungo della tradizione e che poi, invece di essere un elemento contro la tradi zione, si va ad inserire dent ro una tradizione modi ficata di cui è stato corretto un connotato. Come succede alla cultura: non è che cambia tutto radicalmente, ma si aggiunge qualcosa che prima non poteva essere, e che la storia ha fatto maturare, o la scoperta di un linguaggio ha fatto capire. Alla fine noi siamo sempre dentro un’istituzione che è lo scrivere in italiano, il raccontare in italiano, o il raccontare di tutta l’Europa o il mondo, quindi dentro s’inserisce l’elemento dissonante, che viene assorbito, non rigettato, perché l a cultura è in grado di assorbirlo arri cchendosi. Quindi la frattura vi ene ricucita, ma il fatto che resti anche la cicatrice è già un segno che si è prodotto nei confronti della tradi -zione qualcosa, una ferita che ha messo nelle condizioni la tradizione di farsi bella, un’azione cosmetica, che è appunto capacità anche di assorbire il brutto, che può essere il fantastico, la comicità, la maschera comica.

Ci dia una definizione di manifesto o delle indi-cazioni per un manifesto artistico-l etterario che possa rispecchiare le idee di molti...

Un manifesto è un testo che concentra in alcune frasi, nel caso dei futuristi rinvia persino alle conclusioni in grassetto, una teoria della letteratura in forma molto sintetica, indica delle proiezioni d’ordine politico-morale, cioè riassume, nei vari punti in cui si articola, una teoria generale, fatta attraverso delle espressioni essenziali. Nel

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caso dei futuristi, il grassetto finale diventa imperativo, il manifesto diventa l’ordine di fare una determinat a cosa. Possono essere anche i più liberali, quelli che fanno il manifesto, ma se fanno degli interdetti (questo non lo puoi fare, questo lo devi fare), allora il mani festo è pericoloso. È un elemento attivo culturalmente perché fa nascere una spin-ta in una determinat a direzione, ma in altri termini può essere anche pericoloso, sia perché dice sì troppo nettamente sia perché dice no troppo nettamente.

Giulio Ferroni, nel capitolo Ideologie e forme culturali nel tempo del postmoderno sulla sua Storia della letteratura italiana, Einaudi, scrive: «I nuovi scrittori non presentano quasi mai programmi dichiarati ori entati e definiti, si affidano per lo più alla scrittura in modo quasi spontaneo, spesso sottraendosi deliberatamente a ogni coscien za critica». Secondo lei, è possibile oggi un’ag-gregazione di artisti e letterati?

Secondo me è di ffi cile. Se ne fanno, ogni tanto, ma non funzionano quasi più. Perché ci sono delle stagioni forti con un pensiero forte, e da lì nasce il mani festo (perché il manifesto nasce sempre dall’idea di una grande rivolta), che dice di andare in una determinata direzione. In questo mo-mento, siamo tutti a operare come la rosa dei venti, in tutte le direzioni possibili, seguendo le strategie di fondo del post-moderno. Un mani festo quando nasce, se funziona, aggrega in un doppio modo: funziona perché alcuni aderiscono, e perché altri si oppongono, allora l’attrito è un fatto positivo. Se mi chiedono se è bene che ci sia un mani festo, io direi di sì, perché crea conflitto e anche si approfondisce l’indagine. Quelli che sono contrari alle poetiche, ai movimenti, ai manifesti, dicono invece: perchè vi state a domandare per forza dove stavamo andando? Lo capiremo più tardi... Può darsi che la direzione di questi scrittori che non riusciamo ad individuare, la capiremo poi, dalla frequenza, per cui una determinata cosa che tanti scrittori stavano facendo, divent a un connotato di un’epoca, non più soltanto personale.

Cosa ne pensa di un possibile superamento del postmoderno? E della ripresa della forma del poema-roman zo?

Francamente mi sento così disponibile, voglio vedere come funziona. Se uno scrive un poema-romanzo co-me La camera da letto di Bertolucci, mi sta bene, o se scrive un poema in versi che è un romanzo in sé come la Ragazza Carla di Pagliarani, mi sta pure bene. Ci sono tanti che l’hanno pure fatto (come i racconti in versi, di Guido Goz-zano), e quindi c’è una tradizione, e poi non è forse un ro-manzo in versi l’Orlando Furioso? Ho l’impressione che uno dei modi possibili della poesia, è vero, possa anche es -sere il poema-romanzo. Non ci sono degli inconvenienti, perché gli scrittori che operano in questo momento sono costretti a saggiare tutti i modi possibili, più un’altra cosa che possono inventare. Per cui, uno s’interroga persino sulle strutture chiuse, oppure su quelle aperte, o sul verso libero, o trova la rima in funzione ironica (perché alcuni la recupe-rano e ci giocano per riderne). Ci sono degli scrittori che, secondo me, hanno questo elemento lirico fort e, ma sono dei narratori, per esempio il caso più forte è quello di Volponi, un poeta, un lirico, che scrive dei romanzi. La letteratura e l’arte possono incidere sulla realtà?

Non di proposito, ma per equivoco. La prova è nel fatto stesso che mentre uno legge si emoziona, e crede che

nell’emozione ci sia anche un’idea, un’ispirazione, una spinta. Ecco, altro che se la letteratura può incidere... ma non deve t anto proporselo. È la forza delle emozioni. Un artista ci ha fatto capire una cosa che non sapevamo di essere o di avere. Ci sono di quelli che quando leggono dopo un po’ si trovano ad aver acquisito due cose: un po’ di concetti e soprattutto una serie di comportamenti, modi di esprimersi, e quando un modo di esprimersi diventa egemone, altroché se diventa realtà! L’atto culturale è quello che indaga continua-mente sul modo di esprimersi, e allora a quel punto non è l’arte, a quel punto è la comunicazione, e tra la comunica-zione e l’arte ce ne passa. I grandi libri sono quelli per cui eri in un modo, e, a un certo punto, li leggi e ti accorgi che sei diverso perché ti è stat a fatta capire una cosa che prima non avevi capito.

L’arte contemporanea può avvalersi della tecno-logia, ma la letteratura quale strada dovrebbe seguire per innovarsi e creare nuovi linguaggi?

Se serve, pure l a tecnologia, non è male. Polipro-spettivismo, o procedimento onirico, la trascrizione di un so-gno. Il disordine è già una forma. Se composta, diventa un linguaggio. Nell’ipotesi con cui hanno l avorato le prime avanguardie, l’informe non è il contrario della forma ma è una forma particolare, perché parla dalla parte dell’arbitrio, di una parte di un altro che non può essere irreggimentat a nella sintassi. E poi la tecnologia, certo, il montaggio o tec-niche del montaggio che non sono di origine letteraria, eppu-re gli scrittori fanno montaggi, oppure la tecnica del raccon-to che si riscrive come se fosse con un replay, per esempio nel caso di Malerba che prendeva una scena e la ri faceva all’indietro.

Ha mai scritto poesie, racconti…? Niente, neppure quando mi innamoravo, non mi

venivano versi, sempre in prosa... e non ho raccontato mai. L’unica cosa che posso pensare è che ogni tanto mentre fac-cio la critica, racconto, perché è un modo di partire da un punto ed arrivare ad un altro. E poi sono propenso, mentre racconto, a variazioni, digressioni. È un raccontare, la critica: io, invece di parl are di persone, parlo di personaggi. Scrivere deve essere vissuto come un grande vizio, un’espe-rienza radi cale. Io ricordo ogni tanto una frase bellissima di Baudelaire: «Oggi tutti scrivono bene, e ciò è detest abile» cioè non basta scrivere bene come fa una grande civiltà, il punto è oltre, se no si dicono delle cose che sono nell’ordine del sistema linguistico egemone.

Vuoi tradotte le tue poesie o i tuoi racconti in altre lingue europee? Rivolgiti all’Accademia “Il Convivio”, via Pietramarina-Verzella, 66 – 95012 Castiglione di Sicilia (CT) – Italia. Tel. 0942-989025. Chissà! Magari possiamo venirti incontro!

Per maggiori informazioni: mariaenzagiannetto@libero. it

cell. 329-2528543 o la Redazione de “Il Convivio”

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È possibile oggi creare un manifesto letterario? Questa la domanda che “Il Convivio” pone ai suoi lettori per aprire un ampio dibattito artistico-estetico-culturale di Angelo Manitta

Oggi è possibile un mani festo letterario? È possi-bile dare una spinta innovativa alla poesia e alla letteratura? A mio avviso una delle proposte primarie per rinnovare l’arte è quella di contrapporsi a quella imperante, perciò sa-rei tentato di rinnegare le Avanguardie e il Post-moderni -smo, per essere davvero all’avanguardia. È chiaro che l a libertà individuale non può essere intaccata. Ognuno è libero di esprimere se stesso. Io in effetti sono convinto di questo: i grandi autori della letteratura e dell’arte escono fuori da ogni schematismo, ma ciò non deve impedire di porsi degli interrogativi sui principi della creatività. Io sono del parere che bisogna mirare ad sincretismo artistico e letterario per poter poi passare ad altro, sempre fermo restando che i grandi geni esulano da questi principi teorici. I veri autori sincretistici sono quelli che appartengono a tutte le correnti artistiche e a nessuna nello stesso tempo, sintesi del futuro e del passato. Ma un mani festo, a mio avviso, non deve avere l’obiettivo di imporre delle idee o dare delle direttive, bensì semplicemente unire coloro che la pensano alla stessa ma-niera o in maniera diversa per creare un dibattito creativo, migliorativo e progressivo.

È possibile quindi lavorare ad un mani festo lette-rario? È questa l a proposta che il Convivio fa ai suoi lettori, ai suoi amici ed ai critici italiani e stranieri. Il primo pro-blema che ci si pone, però, è se non sia anacronistica quest’idea. Si tratta comunque di un tentativo di smuovere la letturatura e la poesia, volendo imprimere un nuovo corso che possa mirare all’equilibrio ed alla ricerca, alla comuni-cazione e all’umanità, quale essenza e centro di ogni cosa. Ciò porta a porre sul tappeto problemi est etici, metrici, con-tenutistici, di libertà espressiva e di eventuali condizio-namenti. Be’, è un modo per progredire nel tempo.

Ma che cos’è un mani festo letterario? «È un testo – risponde Walter Pedullà nell’intervista pubblicata nelle pagine precedenti - che concentra in alcune frasi, nel caso dei futuristi rinvia persino alle conclusioni in grassetto, una teoria della letteratura in forma molto sintetica, indica delle proiezioni d’ordine politico-morale, cioè riassume, nei vari punti in cui si articola, una teoria generale, fatta attraverso delle espressioni essenzi ali» . Un Manifesto può avere dei limiti? «Possono essere anche i più liberali, quelli che fanno il manifesto, ma se fanno degli interdetti (questo non lo puoi fare, questo lo devi fare), allora il mani festo è pericoloso. È un elemento attivo culturalmente perché fa nascere una spin-ta in una determinat a direzione, ma in altri termini può essere anche pericoloso, sia perché dice sì troppo nettamente sia perché dice no troppo nettamente. »

Ma cosa ne pensa a proposito Luciano Nanni, collaboratore della rivista “ Punto di vista” e tra i fondatori del movimento “ La formica Nera”? «Per quanto riguarda il manifesto, che certuni qui ritengono mezzo superato, sono

d’accordo proprio perché può servire a creare qualcosa di diverso. Come si sa, l’arte non ha progressi in senso stretto, ma cambiamenti. Molto bene che vi siano movimenti arti-stici e letterari: futurismo, espressionismo, ermetismo, ecc. Tutto dipende dai risultati. Il gruppo Formica Nera, essendo di tecnica, si fonda su princìpi etici lasciando ampia libertà creativa. Ogni grande arte è sempre innovativa, anche se può apparire tradizionale, ed è noto che in arte non vi sono progressi ma cambiamenti, comunque sono pienamente d’accordo su questo: occorre sprovincializzare la cultura, aprirsi ad orizzonti più vasti. Quindi un manifesto, pur se-guendo determinate linee, deve tener conto della molteplicità di idee e fermenti, valorizzarli e farli part ecipi nella loro peculiarità, nel contempo evitando per quanto possibile un eventuale sincretismo: còmpito non facile. Ma perché elimi-nare le avanguardie? La Formica nera, per esempio, è sem-pre all’avanguardi a, ma le sue forme sono classiche (canone, forma-sonata, sinfonia) quindi non si tratta di essere o no d’avanguardia, ma di produrre opere personali e signifi -cative... Rimango dell’opinione però che, mentre in poesia, proprio per la sua dimensione creativa, ogni sperimentalismo è concepibile, in narrativa propendo – mi pare che i miei racconti ne diano testimonianza – per una scrittura semplice e comprensibile, quindi costruita in modo da durare nel tempo nella direzione del significato semantico, riservando la difficoltà ai contenuti. Mi va benissimo il dibattito sul Convivio, purché non sia sterile polemica».

Quindi verso dove va e dove deve giungere la lette-ratura e l’arte? Noi cerchiamo con queste breve parole di lanciare un sassolino nello stagno, nella speranza che il sas -solino possa smuovere le acque e che lo stagno possa diven-tare mare aperto e soprattutto che ognuno possa avere libert à di decidere, libertà che sta, a mio avviso, alla base di ogni comportamento ed azione umana. Tu, caro lettore, cosa ne pensi? E soprattutto voi giovani, che sarete i protagonisti del domani, come pensate di rivoluzionare l’arte? È possibile ancora oggi di parlare di rivoluzione? È possibile con l’ini-zio del nuovo secolo e del nuovo millennio voltare pagina?

Una delle idee nuove potrebbe essere quella del romanzo-poema o della novella-canzone. Oggi sarebbe pro-ponibile una tale idea? Abbiamo già posto qualche quesito sia al prof. Barberi Squarotti che al Prof. Walter Pedullà. «Non capisco che senso abbia fondere la poesia pura, l’epica, il romanzo: tanto più, poi, che esempi del genere già esistono, come i due “Orlandi” in Italia oppure il “Roman de la Rose” in Francia oppure il “Faust” di Goethe – risponde Squarotti. - Rabbrividisco, infine, sentendo parlare della recherche scrivibile fra prosa e verso. Ma è già una perfetta congiunzione di verso e prosa! Non bisogna lasciarsi sviare dalla diversità di verso e prosa come se fosse un problema di generi! Ciascun’opera letteraria ha un’assoluta identità e verità ed è del tutto vano immaginare come si sarebbe potuto scrivere in altre forme e strutture». «Ho l’impressione - risponde il prof. Pedullà dell’Università “ La Sapienza” di Roma - che uno dei modi possibili della poesia, è vero, possa anche essere il poema-romanzo. Non ci sono degli inconvenienti, perché gli scrittori che operano in questo momento sono costretti a saggiare tutti i modi possibili, più un’altra cosa che possono inventare».

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La ricerca letteraria: l’Omologismo di Ferruccio Gemmellaro

Raffaela Longo è tra i poeti che hanno fatto proprio il pensiero dell’Omologismo, il Manifesto etico-espressioni-stico del movimento culturale ‘La Copertina’, stilato da Fer-ruccio Gemmellaro. L’intervento che segue è la sintesi di un dialogo tra l’autore del Manifesto e la poetessa cofirma-taria. La peculiarità del testo è che Raffaela Longo s’impe-gna ad interpretare alcuni passi del Manifesto omologandoli in una dimensione di più agevole apprendimento per il let-tore, ricorrendo a miti, a tradizioni e alla comune credenza. Crocevia della civiltà. La prima religione ha avuto il compito di trasferire nel futuro il ricordo di una progredita civiltà scomparsa, forse a causa di un cat aclisma planetario. Il Diluvio è un ricordo acquisito in tutte le civiltà. Il Dio, pertanto, rappresenterebbe l’intelligenza di una razza dissol-ta, che ha lasci ato il ricordo nell’inconscio collettivo; non poteva essere nominato, né rappresentato, poiché era un con-cetto incomprensibile a quanti l’avevano ereditato2. L’uomo, finché l a sua intelligenza non s’avvicinerà a quella perduta, non saprà riconoscere quest’ultima e l’effetto di tale traguar-do potrebbe essere equivalent e alla rivoluzione copernicana. Gli innumerevoli cori andoli intellettivi, pertanto, dissociati tra loro, sono in realtà tessere di un solo macrodisegno. Immaginiamo i tempi diluviali: la scenografia è che, di fronte ad una simile catastrofe, ogni creatura e cosa sono distrutte, sepolte sotto le devastazioni; distrutte finan-che le capacità di lottare con i mezzi tecnologicamente avan-zati. L’unica soluzione è una navicella spazi ale, che possa traslare il genere umano in un secondo, idoneo pianeta, altrimenti, la dimenticanza o il nulla assoluto. In realtà, nel caos delle distruzioni, qualcuno è miracolosamente soprav-vissuto3, ma, alla perdita d’ogni ausilio di sussistenza, gli re-sta solo la primitività dell’uso delle mani e dei piedi per ricominciare. Chi ha consapevolezza del mondo andato per-duto4, lo serba nella mente, oppure lo tramanda al prossimo che può incontrare, reduce a sua volta; ma la conoscenza s’arresta con la morte dei testimoni superstiti e s’affievolisce progressivamente nei posteri. Ciò che è tramandato a voce, infatti, non sempre è percepito correttamente, t antomeno riaffiora del tutto, e il cannibalismo, quella stortura umana, espediente per combattere la mancanza di cibo, infligge il colpo di grazia alla memoria. Quanta strada l’uomo dovrà ancora percorrere per giungere all’identico grado di conoscenza ant eriore alla cata-strofe, e quanto ne viene recuperato? Infinite soluzioni sono adottabili laddove il punto di crisi di un’intera umanità apra un primo crocevia. Il ricordo comune di una civiltà dissolta, reiterato dalle mitologie e dalle religioni, si fa corpo grazi e 2 L’uomo lo interpreta nelle stelle (politeismo arcaico), nel sole, nella luna (monoteismo). 3 Il mito dell’arca. 4 L’Omologismo non cita Dio, il Diluv io, tantomeno una catastrofe universale e il salvifico viaggio interplanetario. Si riferisce ad un Mondo Altro (Alter ES), dove l’uomo aveva raggiunto la capacità intellettiva di formulare la sola risposta utile al bene dell’umanità. L’artista dell’omologismo tende a recuperare questa risposta, tramite il proprio espressionismo, attingendo a quel Mondo Alter sempre latente, ma che l’uomo fa di tutto per oscurarlo.

ad intuizioni individuali e possono stimolare l’uomo a ri-prendere il cammino verso la riscopert a di quelle verità. Intuizione, o meglio, capacità altra che illumina la storia, offrendo soluzioni apparent emente folli, ma che, nel mo-mento in cui la risposta analitica avrà acquisito i mezzi necessari, saranno considerate precursorie.

Ai poeti sono demandati i sogni ed i loro sogni, so-vente, vanno a colmare i buchi neri della storia... (F. Gem-mellaro). Una memoria persa nella notte dei tempi può es-sere recuperat a? Se il DNA non trasmette soltanto i codici fisici, ma anche caratteriali, perché non dovrebbe rilanciare il ricordo? L’uomo del terzo millennio dovrebbe sfidare se stesso nel rileggere e reinterpretare i pensieri filosofi ci, testi-monianze d’intelligenze scomparse e che sono all’origine delle nostre civiltà. Saremmo così spronati a risolvere mille-nari problemi che attanagliano l’umanità intera e cavalcare l’utopia qui considerata; è necessario, allora, rimetterci nel crocevia, snodo del progresso o del regresso umano5. Com’eravamo prima della cat astrofe e quali capaci-tà sono state perdute? Per rispondere, occorre involarci dalla teca6 che ci ritroviamo, per ipotizzare, creare ed illuminare quanto ancora resta ignoto. L’uomo ha dovuto necessa-riamente soddis fare innanzitutto le richieste naturali, per poi ripiegare ai bisogni ancora import anti; questo processo st a finalmente interessando l’umanità, perché solo così potrà riavviare quel percorso che la condurrà ad abbandonare anti-chi canoni di vita, giusto per concentrare ogni s forzo nel -l’affrontare l’immane rischio della sua distruzione. Sia pure nei particolarismi del luogo e delle culture, dovremo affidar-ci ad un’intuizione che ci abbracci nella totalità. Il messag-gio originario di tutte le religioni è identico: l’Amore7; ed è il tramite che realizza la salvezza dell’uomo, poiché esso non condurrà mai alla distruzione di quest’ultimo.

L’Amore aiuta, di fende, accompagna la vita, e chiunque l’abbia compreso con chiarezza l’ha vissuto fino in fondo, qual e esempio da seguire. L’Amore assoluto è l a chiave; nella civiltà primigenia era conosciuta e praticata, poi... lo schianto. Potremmo, ancora, supporre che qualche abitante d’allora, scampato all’ecatombe del pianeta, sia riuscito a scopri re un nuovo habitat, adattandovisi, e che, lo confermerebbero leggende e resti archeologici, quei nostri progenitori siano ritornati, ad intervalli, per osservare quanto sia rimasto sulla vecchia terra. Nulla esclude che tuttora lo faccia, ma che ci lasci al nostro cammino, nel rispetto di quella libertà che ci piace tanto e che è certamente un archetipo, l’altra colonna essenziale di un’evoluta civiltà scomparsa. Libertà ed Amore sono lasciti nella nostra civiltà, consegnati tesori da non disperdere.

5 Una risposta - la terza - che gli artisti devono far propria, che si distingua decisamente dalle due tradizionali, queste patrimonio conflittuale dell’uomo postdiluviano, ovvero, in termini omologistici, dell’uomo mondoquestistico (del Mondo Questo). Un mondo dove, in un dualismo senza scampo - distruttiva distorsione dalla primitiva rivalità (stanziamento sulle rive opposte di un fiume per un pacifico e comune utilizzo delle acque) – l’uomo nasce e muore, vittima dei suoi stessi imagogrammi (questi, le immaginazioni imposte dell’inconscio mondoquestistico, distruttive di un’immediatezza artistica). 6 Il nostro corpo, la materia che custodisce ciò che l’uomo è stato. 7 Un termine, la cui radice, comune ad Amico, si perde nell’oscurità del passato, ma che sarebbe riaffiorata nel nome di un dio positivo, sia egizio, sia etrusco. Una particolarità storico-linguistica: nelle etimologie primor-diali, l’omologo di Amico sta per colui che non può essere mangiato.

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Il personaggio: Sandro Mayer: “Un drammaturgo di Liguria”. Parla l’autore de “Il silenzio dei sogni” in prima nazionale a Borgio Verezzi di Gian Franco Barcella

Sentiamo come ligure lo scrittore Sandro Mayer,

perché ospite di Borgio Verezzi dal 1986 e pertanto siamo legati a lui da un senso di profonda affezione. A questo sentimento ora dobbiamo far sposare quello dell’ammira-zione anche per la sua opera di commediografo. Infatti il palcoscenico di Piazzeta Sant’Agostino ha ospitato la sua prima “ pièce” di teatro al debutto nazionale. Non poteva avere corni ce migliore dello splendido anfiteatro che si affacci a sull’Isola Gallinara gi à magni ficato da Camillo Sbarbaro, il suo dramma dal titolo Il silenzio dei sogni, prodotto da Francesco Bellomo per l a regia di Fernando Balestra. Ci confida l’autore: «Un giorno durante un viaggio in treno ho assistito all’addio fra un ragazzo ed una ragazza: lei, elegante, chiaramente di ottima famiglia, lui probabil-mente un extracomunitario senza l avoro. Avrei voluto parla-re con la ragazza ma provai un senso di profondo rispetto per il dramma che stava vivendo. Captai ugualmente tutto il suo dolore, la paura della solitudine, la disperazione per es -sere stata costretta a rinunciare ad una passione che le aveva fatto apparire la vita, incorniciata dalla felicità. L’idea di narrare una storia d’amore tutta italiana, che doveva affron-tare lo scoglio della di fferenza soci ale, mi piacque moltis-simo. All’inizio pensai ad un romanzo, ma il tutto si con-cretò spontaneamente in un’opera teatral e che ha visto come protagonista non solo la storia di un amore mancato, ma anche il dramma di una famiglia borghese nella quale aveva regnato sovrana l’incomprensione, sposata ad una dramma-tica solitudine. La narrazione quindi, rivela a poco a poco che la vera sventura si cel ava tra le mura di casa di Betta, la giovane soffocata da un padre che si arroga il diritto di scegliere per lei la strada della felicità».

D. Traspare da questo scritto il suo amore concla-mato per i cani, ai quali aveva già dedicato un romanzo?

R. Sì, Betta trova in un cane un conforto che è terapeutico per il suo cuore sofferente. Potremmo definirlo un dono della Provvidenza che l’aiuta a ricostruire il proprio intimo, lontano dalla famiglia.

D. Abbiamo apprezzato anche il suo ultimo scritto in prosa dal titolo Gente di una vita. Può narrare brevemente la trama di quest’opera forse biografica?

R: ‘Gente di una vita’ racconta gli incontri più significativi e gli aneddoti che hanno punteggiato la mia esi-stenza. Potrei definirlo un romanzo-verità. Il protagonista è un uomo che all’età di cento anni, mentre la sua numerosa famiglia gli sta preparando la festa per il suo genetliaco, pre-ferisce restare nella camera a scrivere. Ad un fanciullo, che gli appare come un nipotino, racconta le storie del suo tempo come per un incanto affabulatorio. Scoprirà in seguito che si tratta di un angelo venuto a prelevarlo, il quale gli concederà di portare a termine la narrazione della sua esistenza perché possa lasciare testimonianza compiuta di una vita vissuta fino in fondo.

Trascuriamo gli esiti della rappresentazione teatral e poiché ha gi à avuto recensori ben più titolati. Ci resta nel cuore l’eco degli appl ausi scroscianti che hanno prevaricato anche il bubbolio di qualche tuono dispettoso. Erano meritatissimi anche per i protagonisti dell’opera: Elisabetta Gardini (Cristina, la madre), Renato De Carmine (Paolo, il padre), Veronica Maja (Betta, la figlia), Leonardo De Carmine (Georgi, l’amore mancato di Betta).

43° Premio Paestum Un pubblico dalle grandi occasioni per il conferimento della 43° edizione del Premio Paestum 2002, che è stato assegnato al Palazzo Vanvitelliano di Mercato S. Severi-no, nel corso di una riuscitissima cerimonia patrocinata dal Ministero dei Beni ed Attività Culturali, Regione Campania, Provincia di Salerno e comune di Mercato S. Severino. Il carattere internazionale della rassegna è sta-to messo in risalto dalla presenza dei Consoli Generali del Belgio, della Francia e della Spagna, e dagli artisti concorrenti dai vari paesi d’Europa e da quasi tutte le regioni d’Italia. Quest’edizione, forse più delle altre, ha voluto mettere in evidenza quel sentimento della fratel-lanza latina che è alla base dell’arte e della poesia, della cultura nel mondo. I motivi, che poi sono stati come il tracci ato dell’itinerario percorso dall’Accademia di Pae-stum nei suoi 53 anni di vita, sono stati illustrati dal Pre-sidente Carmine Manzi nella sua prolusione, e poi dal Presidente della Provincia Al fonso Andria, dall’on. Tino Iannuzzi, dal Sindaco Giovanni Romano e dai Consoli Generali di Francia Christine Moro e di Spagna Fernan-do Riquelme Lidón. Un coro di voci per affermare la validità del messaggio della poesia ed il suo contributo alla cooperazione per il ristabilimento della giustizia e della pace nel mondo che è in crescente fermento di an-sie e di vilipendio dei più sacri e nobili ideali della vita. Un intervento molto interessante quello del prof. Alberto Granese, dell’Università degli studi di Salerno, sulla correlazione tra l’operato dell’Accademia di Paestum e la poesia, attraverso la presentazione critica delle due ul-time raccolte di Carmine Manzi “ Le ultime del millen-nio” e “Terra mia”, il volume di poesie illustrato dal pit-tore belga di Charleroi, Salvatore Gucciardo, che trova nell’esplorazione della essenza umana il centro di attra-zione dell’universo e l’espressione più viva dello spirito. Nel gruppo degli scrittori stranieri premiati la pittrice Huguette Girauds per l’opera “ La madre de Plaza de Mayo” (medaglia d’oro) e la pittrice spagnola Charo Marin, mentre hanno ottenuto il Premio Paestum Giorgi-na Busca Gernetti (medaglia d’argento del Presidente della repubblica) e gli scrittori e poeti Claudia Lo Blun-do Giarletta, Maria Grazia Vacchina, Rodol fo Bartolo-meo Tretola, Angela Pastore, Alfonso Tagliamonte (tutti premiati con medaglia d’oro). E poi altri premiati, secondo l’ordine di graduatoria della Giuria presieduta da Carmine Manzi e composta da Pasquale Martiniello, Nunzio Menna, Luigi Pumpo e Franco Salerno. Brillante la giornalista Luisa Trezza nella conduzione del programma e l’attore Roberto Manzi nel recital delle poesie prime classi ficate. Una serata eccezional e di arte e di poesia, anche per ammirare i disegni in mostra di Salvatore Gucciardo, il pittore che onora il Belgio con la sua presenza nel Museo Reale di Charleroi.

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Tensione vitale e affettiva in Dante Maffia: Canzoni d’amore, di passione e di gelosia di Angelo Manitta

«Canzoni d’amore, di passione e di gelosia appaio-no complessivamente come un invito a trovare dentro di noi le stesse motivazioni esistenziali e le stesse capacità d’ascol-to che hanno indotto il loro autore a liberare dei canti di glo-ria, che suonano come dei veri e propri exultet, confortevoli e ripaganti sul piano della valenza sensitiva quanto stimolan-ti su quello della conoscenza curistica». Quest’espressione, tratta dalla prefazione di Luigi Reina, bene evidenzia il nocciolo della poesia di Dante Maffia, nel suo ultimo volu-me pubblicato presso la casa editrice Pagine (Roma 2002). Si tratta di poesie a tema, come già enuncia il titolo: l’amore. Ma il canto per la propria donna diventa anche lo spunto per fare delle ri flessioni su se stessi e sulla vita in un rapporto continuo con l’altro da sé, quasi attraverso la l ettura di un mondo in frantumi, dove per poter apparire come gli altri bisogna adeguarsi a certe consuetudini erotico-affettive. In questo senso, interessante la lirica “ È scandalosa questa poesia”, in cui appaiono brio ed ironia. «È scandalosa questa poesia mi disse / il critico occhialuto, com’è nella tradizione, bisogna che cambi la dedica, che moglie / diventi ragazza o amante o dea, non so, / non moglie, per carità, chi acqui -sterebbe un libro / in cui parlando d’amore ci si rivolge alla moglie / con versi così dolci? / L’amore non sta mai dent ro casa, dici? / Allora divorzierò, farò diventare mia moglie / la mia amante, e poi l e dedicherò questi versi. Il redattore aveva fretta. La moglie lo aspettava / per andare a messa».

La poesia di Maffia gioca proprio sul registro del-l’amore verso la moglie-amante, ma con un tono che vela-tamente svela segreti e suscita passioni, attraverso una ten-sione vitale e affettiva che mostra la genuinità dei senti-menti. Ed è lo scandaglio dell’animo che salva il poeta da sofisticazioni cerebrali e celebrativi, rovistando nella propria anima come in uno scantinato. Emergono allora componenti psicologiche e sensoriali che volgono alla contemplazione e soprattutto alla rifl essione, quasi «naufragar m’è dolce in questo mare». La poesia di Maffia si presenta così espres -sione di una vertigine interiore, di un senso di mistero e di catarsi, oltre che un miscuglio di odori, di colori e di emo-zioni, in un tempo che è vago e impreciso, ma che ha la con-notazione dell’eterno in una ideale «sconfitta della vecchiai a e della mort e». Il tempo però, nel quale « fanno ressa profu-mi lontani e ciclamini sfatti», ha un potere salvifico, pur lasciando emergere la sensazione del vuoto e dell’assenza, sensazione che accresce la presenza.

Un po’ tutta la silloge, infatti, corre su questa mo-dulazione della presenza-assenza dell’amata. Tanto che «inesorabile sarà il vuoto». E: «Se resterai ancora / lontana non avrò più spazio / dentro il mio cuore». Si accende allora il fuoco della passione: «La tua bocca è fuoco. / La tua boc-ca è vento». La vita e l’amore assumono così i colori vivaci e prevaricanti della natura. Tutto il mondo è colore, in un sogno che è candore d’un mandorlo. Il canto, la parola, l’e-mozione, l’infinità dei gesti quotidiani legano l’amante al -l’amata, in una spontaneità e genuinità di sensi e di paragoni,

di metamorfosi personalistiche di sé, quasi immersi «nello spirto silvestre, d’arborea vita viventi» . È questo il sogno di un giorno qualunque, che divent a ideale, che assume valore mitico, che volge ad una trasmutazione di sé in el ementi a-strali attraverso un contrasto tra sentimento e razionalità, tra luci ed ombre, tra materi a e spirito, quasi in una sorta di corrispondenza di colori e di emozioni, in cui immagini metaforiche si uniscono ad immagini reali, dove il paragone fa rivivere il sentimento. Ecco allora «fiori, profumi, luce, lo splendore / del cielo che ritorna fanciullo / e ride azzurro fino allo s finimento. All’improvviso l’anima grida…». Si tratta della forza del sentire in una ri cerca estenuante del -l’altra, ma soprattutto di se stessi, in una coscienza di sapere che «non l’avrei trovat a». È la ricerca dell’incompiuto, in quanto il compiuto e la perfezione non esistono più, nell’ot-tica di un ‘essere’ e un ‘non essere’ che coincidono: «Ciò che non amerai diventerà cenere». La ricerca porta allo smarrimento, lo smarrimento alla perdita di sé. L’uomo allo-ra diventa un ‘detrito’, che si dibatte nella piena. Ma se all’inferno si contrappone il paradiso, all’infelicità si con-trappone la felicità. La riconquista dell’amata (forse non mai perduta) divent a oggetto dei propri sogni, e se ne esaltano l e qualità attraverso la parola. Per lei si scrive ogni poesia, per lei si vive e si muore, per lei si « impara l’allegria». In questo senso la parola assume valore catartico, così come declama la stupenda poesia (forse sintesi dell’intera silloge) dal titolo “ Non c’è domani”: «Non c’è domani / ma ti penso e m’illudo / e cerco di rubarti i sogni, / d’invertire la rotta del tempo e delle primavere. // Ma i sogni hanno il passo troppo lungo / e i miei desideri non sono addestrati. Sono rimasto indietro / come tutti gli affamati» . Alla musa del secolo, armonie... docili armonie! di Gianfranco Critelli Janfer

Gaia Musa, faro divino, incanto sì dorato, piacevole fanciulla dell’astro (Sole) luce, averti incontrato conosciuto, hai destato la Gioia

[del Poeta in cammino, del Cantore della melanconia, ora docile cenno

[del gracile Poetare, sì sentiero felice Tu, angelico inno della Vita,

[dei tuoi occhi languidi, ne fo, un melanconico canto invernale sotto l’albero del Mio Natale, laudando docilmente la tua fat a Grazi a, accogliente cenno, della soave rinascenza delle Arti delle meraviglie

[dei bei canti dei ricordi delle nostalgie pacate delle ore volate via! Sei Tu, delizia e gaudio, a rifarmi Poetare,

[a tornare per ricordare il valore primordiale della Poetica voce del cuore del sentimento

[della Poesia dell’anima... mia! Con speme e candore di dolcezze Poetiche Poeto... ancora Poeto, la tua semplice Mirabile figura d’ornata Natura! A quegli occhi..., solo un grazie di cuore,

[in estasi Poetico ardore! nella meraviglia dei cieli, decanto ancora...!

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Convergenza simbolica tra mare e amare in Una vita per il suo verso di

Corrado Calabrò di Angelo Manitta

Il volume di poesie “ Una vita per il suo verso”, pubblicato di recente dalla Mondadori, raccoglie il meglio della produzione poetica di Corrado Calabrò, calabrese, tra-piantato a Roma. Si tratta di una poesia che rispecchia l’ani-mo e la sensibilità di una meridionalità classica, attraverso la sua antica tradizione lirica e filosofica. In questo contesto il mare divent a concetto-simbolo essenzi ale, così come secon-do Talete l’acqua è l’elemento primordiale. Al mare è colle-gato, quasi in un rapporto biunivoco, l’amore, visto nella va-lenza semantica più vasta. Se mare e amare potrebbero sem-brare termini semanticamente inconciliabili, per Calabrò fanno part e di un intero, quali concetti-oggetti onnicompren-sivi.

Il mare-amare si tras forma così in elemento antropocent rico con caratteristiche metafisiche e divine, qua-si panteistica divinità, elemento vitale ed indispensabile. Il mare si identi fica allora con Poseidone, lettura mitologica di una realtà fisico-contemplativa. Il mare, quale mezzo di viaggio, di amore e di morte, è ri cerca dell’ignoto, e si tra-sforma in strumento di conoscenza. Cosa esiste oltre? Il mare è come una siepe diet ro la quale «interminati / spazi di là da quella, e sovrumani / silenzi, e profondissima quiete / io nel pensier mi fingo; ove per poco / il cor non si spaura» per dirla con Leopardi. Il mare nasconde entro di sé una misteriosa magia che ri chiama l’infanzia, vissuta nel ricordo e nell’immaginazione. Ed è attraverso il magico mare che si compie l’ideale viaggio di Ulisse verso una destinazione apparentemente ignota, ma che in effetti mira alla conoscen-za e quindi alla conquista e alla ricerca della verità. «Navi come aquiloni – scrive l’autore nella poesia “ Gli occhi di Circe” – transumanti ad agosto / per cinerei pianori mare-cielo / sotto gli occhi di roccia della maga». La stessa fisicità di Lucrezio è forza bruta e violenta cont rapposizione uomo-natura in un’onnipotenza di elementi che sovrast ano l’impo-tenza umana. In questo contesto poesia, scienza e natura vanno a braccetto. La poesia si tramuta in scienza dell’essere e dell’esistere. Il mare-amore-amare diventa riverenza e soprattutto rispetto nei confronti degli elementi invincibili.

Il mare è un affresco ideale di emozioni e senti-menti. Il mare è una pittura che si accosta alla poesia, pro-prio come affermava Leonardo nel suo “ Trattato della pittu-ra”: «Per fingere le parole la poesia supera la pittura, e per fingere fatti la pittura supera la poesia». Ed a queste parol e Calabrò sembra ribattere nella sua lirica “ La tromba d’Eusta-chio”: «Cosa ci manca d’un pittore amato? / Forse soltanto il quadro non dipinto». Ma è nella bella lirica “ Il vento di My-conos”, che appaiono i temi essenziali di Calabrò: il mare, l’amore, la classicità, in un’idea generatrice del mondo e dell’universo. Qui aria, acqua, fuoco e terra (secondo la teo-ria di Empedocle) riescono a fondersi, proprio per creare quell’universo sensibile in cui l’uomo vive ed opera. Si tratta di elementi imprescindibili che fanno parte di un tutto che non è caos, ma ordine ed equilibrio. Allora il mare, divent a calore e colore, meditazione interiore e ri flessione personale,

afflato religioso e filosofico in un contesto di universalità dell’esistere, del pensare e del sentire. Il mare-amare è un filo d’Arianna che ti dice: «Fila il tuo tempo come cresce il grano / apri grandi occhi liquidi nel mare: / c’è una ninfa elusiva in ogni anfratto, / gravi i pesci la vanno a visitare».

Il mare appare emblema di un’identità perduta, che si vuole riconquistare e di cui ci si vuole riappropri are. «No, non alziamo gli occhi: è per terra che dobbiamo / tutti e ciascuno cercare in noi stessi / dove sia scomparsa la loro ombra». In questa ricerca e in questo contrasto tra luce ed ombra emerge la personalità umana. L’uomo, “misura di tutte le cose”, si rende commensurabile alla natura, la vita, la morte, la società, la città, il paesaggio. Il mare-amore è quin-di momento di riflessione, ma pure di conoscenza dell’igno-to e dell’oltre, mentre l’uomo, un Acab che lotta contro Mo-by Dick, cioè cont ro le forze spietate della natura, lascia e-mergere i propri sentimenti in una funzione erotico-emotivo-olfattiva, quasi espressione di una concatenazione temporale, in cui passato, presente e futuro si succedono cronologi-camente, ma s’intersecano nella memoria e nei sensi.

Corrado Calabrò presenta così un affresco vivo che corre tra il fisico e il metafisico, dove appaiono forme e co-lori, i più svariati, i più belli, e vi sono aggiunti le emozioni, le più sottili e le più profonde. Da qui si dipana la con-cezione personale ed universale della vita, interpret ata come insularità, anche questa ideale e immaginari a. L’autore pre-senta l’uomo solo, in una solitudine tormentata, ma che non è deserto, solitudine che isola, ma che sa mettere in contatto con gli altri. E la poesia di Cal abrò è fatta di isole vere che diventano emblema di una solitudine interiore. Alicudi, Fili-cudi, la Sicilia, Delo, Nasso, Myconos sono solo un simbolo di questa insularità, di questo deserto che è amare-mare, che è amare-verità.

Il volume di Corrado Calabrò ha fatto discutere a farà certamente ancora discutere, così come ha evidenziato nella sua ampia e puntuale prefazione Dante Maffia, il quale, oltre a t racciare un percorso critico-letterario dell’autore, cerca di capirne l’evoluzione: «D’altra parte Calabrò non avverte l a sua applicazione come un lavorio, così come lo considera tale una mamma che non si stacca dal suo bimbo o l’anacoreta dal suo rosario. Addirittura, a mio avviso, non sarebbe stato male che egli avesse “ rastremato” ancora qual -che ridondanza, avesse rattenuto ulteriormente la sua incli-nazione a ricomprendere tutto nella poesia, avesse rinunciato a qual cosa. Ma Calabrò è questo: uomo e poeta dalle innu-merevoli contraddizioni... Sensitivo e metafisico, plastico e surreal e, amante appassionato e innamorato solitario, pecca-tore bisognoso di espiazione e olimpico esteta pagano, puri -sta e metabolizzatore di termini impoetici, di un vitalismo incoercibile e di una soavità lunare, protei forme e invariante, immerso nel mito e proiettato verso l’astrofisica, allucinato in trance e incontentabile ri finitore, entusiasta e ironico, aurorale e consumato, rispettoso dell’ortodossia metrica e spregiudicato ripudiatore di qualsiasi predefinizione, musi-cale e t agliente, Ulisside e capace di darci momenti d’infini-tesima sensitività, abbandoni di abissale dolcezza…».

E sì, come afferma lo stesso Calabrò, «il contatto è giunto a segno; decodi fi cato, è stato ricodi ficato e ricom-posto: lo schermo interiore s’illumina e noi ‘vediamo’. La poesia, l’arte… ci sottraggono – con un salto in un’altra forma di esistenza – alla camera premortuaria della nostra quotidianità».

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Carmine Manzi, profeta della parola e del sentimento in Le ultime del Millennio

di Angelo Manitta

Se andiamo alla ricerca di uomini di cultura che possano essere simbolo ed emblema di un mondo artistico vivo, e soprattutto di una profonda passione per l’arte, non possiamo che trovarne uno in Carmine Manzi, il quale fin da giovane (ormai ha superato abbondantemente gli ottant’anni) ha sempre proseguito un fine: incidere nella realtà social e attraverso la scrittura. Autore di numerosissimi libri di poe-sia e di saggistica, collaboratore di diverse riviste e quoti-diani, ma soprattutto fondatore e direttore di “ Fiorisce un cenacolo”, oltre che della prestigiosa Accademia di Paestum, egli è grande e profondo conoscitore dell’animo umano, e pieno di passione e di impeto non smentisce se stesso con l’ultima silloge di poesie dal titolo “ Le ultime del Millennio” (Gabri eli, Roma 2002): poesie scritte per lo più negli ultimi tre anni del XX secolo.

La poesia di Carmine Manzi è in genere una poesi a profonda e impregnat a di spunti lirici e di tematiche umane, sociali ed esistenzi ali, ma quest’ultima raccolta mi sembra più profonda delle altre, sia forse perché con l’età l’uomo diventa più riflessivo e si abbandona alla memoria e alle considerazioni filosofiche, sia forse per l’impeto profetico di poesie scritte in un momento particolare: la fine di un mil-lennio. In esse si vuol fare quasi un resoconto della propri a vita, ma soprattutto della finalità che la vita umana e la so-cietà si pongono in un’ottica millenaristica, ma non cata-strofi ca. Il catastrofismo proprio di certe epoche ri fugge, in-fatti, dalla poesia del Manzi. La sua è una meditazione attra-verso l’amore e l a passione interiore colmi di speranza e di emozioni. «Si tratta di uno scorrere fluente intorno a sé, di immagini, di fatti, apparentemente fermi, invece coinvolti nell’evoluzione di un sempre fresco bagaglio di idee e di sentimenti che fanno l a sua storia» scrive Federico Gabrieli, cui fanno eco le profonde ri fl essioni della prefazione di Alberto Granese: «Lo scenario di una natura inquietante e minacciosa diviene ossessivamente dominante con le sue violente raffi che di vento, che travolgono con furi a inar-restabile i teneri germogli e l e torride calure, che inaridi-scono le zolle e prosciugano le sorgenti, ma soprattutto con le sue inattese scosse, le cui micidiali devastazioni riescono a far finalmente capire alle umane creature la loro fragilità».

La poesia di Carmine Manzi è tutta interiore. L’uo-mo si pone a confronto con l’eterno, ma non in una rivalsa sterile, bensì in un colloquio amichevole, in cui l’uomo, goccia infinitesimale, sta in atto di preghiera e di contem-plazione. Anche la poesia è preghiera ed è signi ficativo il fatto che la silloge si apre con i seguenti versi: «E l’ultimo mio canto / sarà ancora una preghiera». La poesia del Manzi corre spesso, infatti, tra canto e preghiera, ma soprattutto attraverso un calarsi nel mondo contemporaneo tramite un lirismo profondo: il mondo odierno sembra impassibile e perciò non compreso: «Questo mondo di oggi non lo com-prendo / che t’è vicino nell’ora del dolore, / perché facile alla commozione, / poi subito ti lascia con te stesso». Si tratta di una solitudine esistenziale, di un isolamento che

pone l’uomo quale monade di fronte all’altro uomo. Quasi, per dirla con il grande poeta l atino Plauto, “ homo homini lupus”». L’uomo è lupo per l’altro uomo, tanto che «non c’è più pace su la terra degli ulivi / l’acqua ch’era chi ara si è inquinata / e non odo stormire l e fronde al vento / dove tra gli alberi facevano nido gli uccelli».

Ogni rifl essione ed espressione lirica assume però in Manzi un valore universale. Ognuno si riscontra nelle sue sottili riflessioni, quasi a scopri re il mistero dell’eterno, ma anche il mistero di se st essi, attraverso la presenza di Dio che ti invita al mistero, «che ci conduce verso l’Infinito». E allora che cosa siamo noi povere creature umane? «La nostra esistenza / - risponde il poeta - è legata ad un filo / che ti scappa di mano / mentre è teso all’infinito / e ti trascina, quando nemmeno lo pensi, / con sé alla deriva, / che s’innalza al cielo / e intorno semina rovina». In quest’analisi metafisica e ri flessiva del presente si intrufol a, come se gli toccasse di diritto, il passato. La ri flessione scorre spesso, infatti, tra passato e presente attraverso i meandri della memoria. Non si tratta però di due entità in contrapposizione tra loro, ma di due elementi di un tutto. Il passato si integra al presente e il presente non è altro che conseguenza del passato. In questa conseguenzialità nasce il desiderio di un mondo migliore, di un mondo che può trovare la sua redenzione attraverso la poesi a e l’arte, ma soprattutto attraverso l’umanità dei suoi profeti. E Carmine Manzi è profeta della parola, oltre che del sentimento, in queste sue «ultime del millennio».

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Mario Cavallo: radici e memoria in un poeta fascinoso e narratore di razza

di Mario Narducci

La civiltà di un popolo si misura dal suo legame con le proprie radici e dalla memoria che esso conserva per il suo passato. Radici e memori a formano di fatto la cultura dei popoli e dei singoli uomini. Se così è, Mario Cavallo, autore dello splendido volume, “Sicilia mia”, un sorpren-dente contenitore di divagazioni poetiche e di “ pezzi” di letteratura che sanno di storia, dimostra pienamente quanto profonda sia la propria cultura.

Radici e memoria, infatti, lo sostengono e lo vivifi-cano pagina dopo pagina, accompagnando il lettore lungo un itinerario di autentica letteratura, anche se l’autore, come av-viene a pagina 77, si schermisce affermando che ha voluto intraprendere questa fatica letteraria «no picchì vuogghiu fa-ri u llittiratu / ma nun vulissa ca li scuparini / cancillassiru i resti do passatu. / Passatu tantu caru e tantu beddu / ca di carusu nun passava mai / ora mi camulia lu cirbi eddu / pic-chì u prisenti è già passatu ormai». Da dove emerge che la preoccupazione principale di Mario Cavallo è soprattutto quella di tramandare quella cultura della memoria e delle radici che altrimenti sarebbe andat a perduta. Cavallo non si definisce un letterato. Noi sappiamo che invece ne ha l a stoffa e il carisma. Un letterato alla Camilleri per il modo di costruire le frasi, inserendo parole dial ettali nel contesto del racconto che così risulta decisamente più avvincente. Caval -lo ha paura degli “ scuparini”, di quanti, cioè, sono gli icono-clasti della memoria e senza di essa vivono, forse perché non ne comprendono il valore. Ma egli sa bene che “ cancellare il passato”, significa tagliare i ponti con le proprie origini, le proprie radici, quindi con se st essi. Cosa che solo l’uomo è in grado di fare, rinnegando se stesso. L’atomica che distrusse Hiroshima e Nagasaki non riuscì a distruggere gli usi ed i costumi delle due città. Altra particolarità: Cavallo sostiene di scrivere in dialetto «picchì mi nescia megghiu l a parola». Ma non è così, o lo è soltanto per quello che riguarda la poesia. Dicevo infatti che in prosa è un aut entico maestro alla Camilleri per ciò che riguarda la facondia, o un Verga per quello che concerne la drammatizzazione del narrato. I temi che Cavallo tratta, tra memori a e attualità, sono quelli della famiglia, dei luoghi dell’infanzia, delle ricorrenze, sacre soprattutto, degli amici, dell’amore. Ma scorrono, nei suoi versi, anche gli strumenti dei mestieri antichi, il dramma dell’emigrazione, i temi del viaggio.

C’è, nella poesia dialettale soprattutto di Mario Cavallo, un misto di tenerezza e di melanconia, ma si intra-vede tra le righe anche l a forza per superare un passato non facile e la speranza di giorni migliori. Ma dove Mario Caval-lo mostra tutto il polso e tutta la grinta di narratore di razza è nel racconto lungo “ La mala Pasqua”, ovvero «come forse Giovanni Verga avrebbe scritto il secondo atto della Caval -leria rusticana». Un vecchio Gesuita gliene offre il pretesto mostrando di sapere davvero qual è la fine di Compare Al -fio. Il Religioso però non si sbottona ed altro non dice se non una frase ri ferita a Santuzza, causa della tragedia: «Santa, sì,

era una diavola». Uno spunto felice per un racconto di qua-lità, che prende il lettore fino all’ultima pagina. Lo sintetiz-ziamo riservando al lettore la gioia della scopert a ed il godi-mento di pagine autenticamente letterari e. Compare Al fio esce di prigione dopo venti anni scontati per avere ucciso compare Turiddu, presunto amante di sua moglie, ma non sa dove mettere la sua dimora. Si ferma dal cognato, marito di sua sorella, ma s’avvede subito d’esser trattato da estraneo, anche se la casa è di sua proprietà. Se ne va e torna nella vecchia casa, prospiciente la casa di Santuzza. Tra i due non corre una parola, ma solo sguardi complici. Finché un giorno lui risponde all’invito di lei ed entra in casa. Faranno l’amore per l e scale e poi nel letto e poi nei giorni seguenti con sempre maggiore bramosia. Finché lei non le confessa d’aver ucciso Lola, la moglie, con un grosso vaso lasci atole cadere appositamente in testa. Santa, inoltre, è sempre più assetata di sesso. Un litigio e compare Al fio le stringe l a gola uccidendola. Ma non vuole tornare in galera. Preferirà gettarsi dal ponte della Torretta. Plausibile o no, il seguito inventato da Cavallo della “Cavalleria rusticana”, è degno di uguale sorte della prima parte del Verga.

La narrazione è prensile, il costrutto delle fars i veloce, le parole dial ettali a fare da sale, il dramma è vivo. Ha detto ironicamente Thomas Merton che «in tanti scrittori la mancanza d’ingegno è un dono di natura». Non è il caso di Mario Cavallo, che unisce ingegno a fant asia e a padronanza della parol a, confezionando in tal modo un piccolo capolavoro letterario. «Fare libri - ha detto qualcuno - è un lavoro da professionisti, come fare orologi». Mario Cavallo fa un mestiere per certi versi vicino a quello citato, l’orafo. Conosce l’arte del cesello e, soprattutto, come si mettono insieme le cose belle per farne risultare un’opera d’arte. Questo volume lo è. Per tale motivi ci auguriamo che la cultura di Cavallo, la sua padronanza della parol a, la sua fantasia e la sua stessa poesia, possano offrirci ancora volumi che hanno un dono raro, quello di farsi leggere con godimento interiore e, perché no, sorriso sulle labbra.

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Sottile vena ironica in Dialogo con Timoteo di Enzo Trantino

di Alfonsina Campisano Cangemi

Conosco Enzo Trantino dagli anni del Liceo, quan-do scriveva per il Giornale di Sicilia, e sono lieta che egli, nonostante la sua frenetica attività di deputato nazional e da nove legislature, di avvocato penalista impegnato in proces-si di grande rilevanza, di Presidente della Camera penale di Catania per tre mandati consecutivi, di redattore, direttore e inviato di prestigiose testate, abbia trovato il tempo per regalarci questo suo splendido “ Dialogo con Timoteo” (Ed. Novecento – Palermo 2002), che rivela una vitalità appas-sionata e impetuosa, espressione di quell’energia che ha ca-ratterizzato la sua vita, simbolo e cifra della sua anima.

Il libro (Premio Capuana 2002), intrigante nei con-tenuti, armonioso ed elegante nella forma punteggiata qua e là da una sottile vena ironica, present a una galleria di perso-naggi, che potresti ritrovare nell’inquilino della porta accan-to o nella collega d’ufficio, i quali invece si colorano di una luce sinistra, inseriti come sono nel beffardo gioco della storia, di cui non puoi mai intuire la conclusione. Storie di ordinaria quotidianità, che inesorabilmente scivolano, a sor-presa, in un finale assurdo e paradossale, spesso tragico-grottesco, come se uno spiritello bizzarro si fosse divertito a sconvolgere i piani degli uomini.

Chiave di lettura del libro è dunque il paradosso. Lo stesso scrittore, grande affabulatore, definisce i quindici rac-conti «un contemporaneo lancio di coltelli, una intimazione a pensare senza riguardi per la lettura quieta». “Dialogo con Timoteo”, come già il precedente “ Certi del dubbio” e-dito nel 2001 a cura della medesima casa editrice Novecen-to, non è certamente una lettura qui eta; è piuttosto una pro-vocazione a guardarsi dentro, a ri flettere sulla propri a impo-tenza a dominare gli eventi, sempre sorprendenti e inattesi, dilaceranti come una folgore a ci el sereno. E nasce quel pic-colo capolavoro di sarcasmo (mi si consenta l’ossimoro!) che è il racconto “ Chi esce riesce” (traduzione in lingua di un famoso proverbio dialettale assai diffuso dalle nostre par-ti). Protagonista è una preside sessantaquattrenne, “ la più ricca del paese, e forse della provincia”, la quale, investito tutto il suo patrimonio in pietre preziose e vasi cinesi, chiusi in una solida cassafort e inaccessibile a chiunque, si ritrova, per un bizzarro gioco del destino, durante un ferragosto as -solato, anche lei rinchiusa in quella trappola, insieme con l e sue pietre che, nella disperazione della fine, ingoia una dopo l’altra. E sapete dove finiscono l e pietre? Nelle avide mani di uno “squartatore”, il quale, preparando il cadavere per l’esame autoptico, ne avverte l a presenza, se ne impossessa vincendo la nausea e fugge via dal paese per godersi altrove l’insperata fortuna. “ Chi esce riesce” dissero i paesani…

E così un rispettabile pensionato, chiamato un tem-po “il ragazzo azzurro” va alla disperata ricerca della sua passata giovinezza, del suo Liceo, del suo banco, ma in uno squallido magazzino costruito dove un tempo sorgeva la sua scuola, trova la morte per infarto, durante una festa preparat a in suo onore dagli ex compagni di classe. E poi c’è Urru, il santone del Camerun, il quale, invocando i suoi spiriti, ritro-va in maniera inspiegabile il prezioso passaporto di una

turista, senza il quale la giovane non sarebbe potuta rientrare in Italia. E fin qui niente di strano. Però Urru, povero africa-no, rifiuta il grosso premio che la turista gli aveva promesso, dando una lezione di perbenismo all’occidente: “ Dare un prezzo a tutto è roba da bianchi”. Potrei continuare nell’a-nalisi dei racconti, ma non voglio togliere al lettore il piacere della sorpresa, anche perché, al di là e al di sopra delle appa-renze, lo scrittore non si diverte affatto a raccontare quest e storie, ma ne soffre, come Pirandello, perché anche lui fa parte di questa umanità dolente, costretta ad amari disin-ganni e trappole mortali.

Ma, se per Pirandello la soluzione era la follia, per Trantino è la speranza. «Ti auguro la speranza, Timoteo; non ti abbatta la paura, imbavaglia le certezze, onora i dubbi, in-namorati sempre più della vita. È fatica bellissima». E io vorrei che i giovani d’oggi, sempre più disorientati e s fidu-ciati, senza modelli esemplari cui riferirsi, senza grandi idea-li in cui credere, possano almeno, nei momenti di grave sconforto, fare ri ferimento a questo nobile messaggio che lo scrittore siciliano ha voluto porre come corollario alla sua opera.

Ugo Zingales e il suo grande

impegno per la diffusione dell’arte e della cultura.

di Enza Conti Ugo Zingales, cultore d’arte, editore, giornalista,

promotore di qualifi cate mani festazioni artistiche e lettera-rie a livello internazionale, è presidente dell’Associazione Siciliana per le Lettere e le Arti, oltre che direttore della rivista “ Quaderni dell’Asla”. Egli ha sostenuto molte ini-ziative culturali come l’istituzione di Pinacoteche e Gal-lerie d’arte contemporanea nei comuni siciliani di Caronia, Patti, S. Stefano di Camastra, donando oltre duecento ope-re di artisti italiani e strani eri. Nell’arco di molti anni con la donazione, poco per volta, di circa ventimila libri e pub-blicazioni di autori vari a quasi trecento biblioteche comu-nali e centri di lettura, ha contribuito quindi alla crescita del patrimonio culturale, letterario ed artistico della Sicilia. L’impegno profuso è certo elogiabile e port a l’isola del so-le a continuare ad essere una delle regioni italiane più vive sotto il profilo culturale. Secondo passate ricerche e stati-stiche, la Sicilia è ritenuta da sempre una delle regioni ita-liane ai primi posti in classifica per il suo vasto e prezioso patrimonio di beni artistici (Musei, monumenti, edifici d’arte, pinacoteche, gallerie civiche, archivi, zone archeo-logiche, cimiteri monumentali, antichi rustici di campa-gna) di notevole interesse economico e social e, oltre che di grande ri chiamo turistico interno ed internazionale per la storia millenaria e per le sue atavi che tradizioni. La pro-posta di Ugo Zingales è quella di incentivare ancora di più le iniziative culturali nei grossi e nei piccoli centri e so-prattutto concedere in affidamento edi fi ci storici rest aurati o in via di rest auro ad Associ azioni culturali che abbiamo mostrato un effettivo impegno nella divulgazione dell’arte e della cultura. Questo è ciò che ci auguriamo pure noi per una crescita complet a e soprattutto sociale dell’individuo.

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Giovanna d’Arco: una strega, una guerriera o una Santa?

di Bruna Tamburrini

Giovanna d’Arco: un personaggio emblematico del-la storia: una santa o una strega? Viene condannata al rogo, nonostante una sua temporanea ritrattazione e giudicata de-gna di morte, oltre che per le sue azioni, anche per aver chie-sto, durante la sua ultima prigionia, di indossare il suo abito maschile, che le era stato tolto in seguito alla sua ritratta-zione. Muore sul patibolo bruciat a come i suoi vestiti e, se-condo il racconto, forse leggendario, di uno spettatore dell’e-poca, in un attimo il fuoco viene tirato indietro per far veri fi -care la sua natura di donna, poi rimesso sotto di lei: così ha fine una vita tormentat a, non accettat a e compresa dalla Chiesa di quel tempo e sempre anelante la figura di Dio.

L’immagine di Giovanna d’Arco è stata oggetto di studio ed anche la filmistica contemporanea ha visto in lei aspetti diversi, a volte spirituali, altre volte più umani. Una cosa è certa, la Pulzella d’Orleans, incarna stereotipi con-temporanei: è una mistica, una profetessa, una guerriera, una santa, ma appare anche una strega nella realtà del tempo. È battagliera, indomabile, asset ata di giustizia, ma anche dub-biosa quando, alla fine della sua prigionia, prima della con-danna, interroga la propria cosci enza e chi ede di confessarsi.

Ma chi è veramente Giovanna d’Arco? Nata a Domremy in Francia, vive un’infanzia povera, ma felice ed è molto dedita alla devozione religiosa come tutta la sua fami-glia. È analfabeta e la sua personalità s’immedesima in un ambiente paesano dove giunge poco la cultura e a volte si è portati anche verso credenze pagane, un ambiente dove l a religione vive spesso di visioni, di profezi e. È un’epoca diffi cile quella in cui vive Giovanna, un’epoca in cui prevale la carestia e vede lo sterminio delle persone con la peste bubbonica. C’è sempre la guerra pronta a flagellare le popo-lazioni, ci sono guerre interminabili e cruente come quella dei Cento anni. In questo contesto, dove non ci sono saldi punti di ri ferimento, convivono visioni angeliche e demo-niache, eresie, profeti e mistici. La società, nella regione francese in cui la ragazza vive, è ricca di queste realtà e il tribunale dell’Inquisizione, già a partire dalla metà del XIII secolo, su invito del Papa Alessandro IV, condanna aspra-mente al rogo tutti coloro che vengono tacciati di eresia. Eppure a Giovanna viene fatto un primo regolare processo che la porterà alla condanna, dalla quale lei riuscirà inizialmente a sfuggire con una ritrattazione quasi coatta.

Inizialmente è fatta prigioniera dai Borgognoni e tras ferita da un castello all’altro, mentre il suo Carlo VII non fa niente per liberarl a. Dopo alcuni mesi gli Inglesi otten-gono la consegna della ragazza e il 21 gennaio del 1431 a Rouen viene fatto, appunto, il processo e Giovanna d’Arco viene accusat a di eresia. Questa condanna ha, indubbiamen-te, un carattere politico, perché in t al modo viene screditato il re di Francia Carlo VII, salito al trono grazie all’intervento di Giovanna. Ma perché la pulzella d’Orleans viene conside-rata una guerriera e quali sono i motivi che l’hanno spinta a combattere in nome di Dio?

Per rispondere a questa domanda bisogna ri cordare la guerra dei Cento anni tra l’Inghilterra, che vuole impa-dronirsi del territorio francese, e la Francia che appare anco-

ra incerta. Nell’ottobre del 1428 gli Inglesi pongono l’asse-dio alla città di Orleans, nel cuore della Francia, e tutti temo-no per l a nazione. Giovanna d’Arco riesce a condurre sul trono Carlo di Valois, il del fino, e prima di tutto si reca da lui cercando di farsi ascoltare. Viene messa alla prova, ma alla fine ce la fa e ottiene un esercito per combattere e guida i suoi soldati alla vittoria che si ha l’8 maggio del 1429: gli Inglesi devono ritirarsi. Il 17 luglio dello stesso anno Carlo, nella cattedrale di Reims, viene incoronato Carlo VII re di Francia. Dopo la ri conciliazione tra il duca di Borgogna e Carlo VII, i Francesi liberano l’intero territorio dalla presen-za inglese, ad eccezione di Calais.

Ritratto di Giovanna d’Arco, miniatura del sec. XV La guerra si conclude con la rinuncia da parte degli

Inglesi ad ogni pretesa sulla corona francese. È stata Giovan-na, allora diciassettenne, la principale artefice della vittoria della Francia? È stato Dio a spingerl a alla guerra? L’imma-gine che ci giunge di questa ragazza si confonde a volte tra il leggendario e l a realtà. A condurla alla guerra sarebbero sta-te le visioni, le voci da lei sentite nell’estate del 1425 e la prima volta nel giardino di casa? Le voci, provenienti da santi e da Dio, dall’arcangelo Michele, da Santa Margherita d’Antiochia e da Santa Caterina d’Alessandria avrebbero comunicato, secondo il racconto di Giovanna, un solo mes-saggio: liberare il suolo francese dall’invasore ed il compito sarebbe stato dato a lei, semplice contadina e pal adina della libertà. Dopo l’incoronazione di Carlo VII l a pulzella, non ancora soddis fatta, muove con alcune truppe verso Compiè-gne assediata dal duca di Borgogna, ma qui viene catturata ed ha inizio il suo calvario fino alla condanna a morte.

Diciotto anni dopo la condanna di Giovanna d’Arco per eresia verrà fatto un nuovo processo dell’Inquisizione con delle inchieste condotte dallo stesso re Carlo VII, quel re che prima l’aveva abbandonata. Verranno ascoltate le testi-monianze della madre e degli amici d’infanzia. Tale proces-so riabiliterà Giovanna togliendole ogni sospetto d’eresia. Nel 1904 la Pulzella verrà dichi arat a dalla stessa chiesa Venerabile, nel 1908 Beata e in ultimo, nel 1920, Santa. _____ Bibliograf ia A.Camera, R. Fabietti, Elementi di storia, dal XIV al XVII secolo, Zanichelli, Bologna, 2001 http://redazione.primissima.it/scuola/dossier/d_giovanna.htm Paci Stefano M., Intervista a Régine Pernoud su Giovanna d’Arco, in http://www.augustea.it/dgabriele/italiano/san_giovanna.htm

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Luigi Capuana: due sonetti giovanili di Dario Consoli

Lo spoglio dei periodici conservati nelle Biblio-teche comunali riserva talvolta delle piacevoli sorprese: è il caso di due rari sonetti capuaniani di cui, da oltre un secolo, non si conservava più memoria: 8 essi non risultano infatti recensiti né da Gino Raya nella sua ampia bibliografia delle opere di Capuana9 né, a quanto ho potuto vedere, altrove. Lo scrittore nativo di Mineo li inviò, allegandovi alcune parol e di accompagnamento, alla redazione di un foglio ‘radicale’ calatino («La Patri a. Organo della Società Democratica in Caltagirone», numero 6, marzo 1863), attestato su nette posizioni antiecclesiastiche. Il periodico si conserva presso la Biblioteca comunale “ Emanuele Taranto” di Caltagi rone. Devo al dott. Marco Montalto, neolaureato in Lettere dell’U-niversità di Catania, la prima segnalazione della notizia.10

È paci fi co che la prima formazione letteraria di un autore lasci un’impronta profonda che, spesso, si rivela fondante anche nelle sue opere più mature e originali. Il caso di Capuana non fa eccezione. Il suo iter formativo è stato tracci ato in modo breve ma effi cace da Ettore Ghidetti, nel Dizionario biografico degli italiani.11 Iniziato agli studi di grammatica presso l a scuola comunale di Mineo, a dodici anni il giovinetto viene ammesso a frequentare il Real colle-gio borbonico di Bronte, da dove ritornerà al paese natal e nel 1855, per motivi di salute.

La prima educazione letteraria di Capuana avviene dunque all’insegna della tradi zione classicista e cattolica: si rammenti che la prima opera a stampa del giovane, appena quattordicenne, è un sonetto del 1853 Per l’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria. E tuttavia Capuana prende presto a guardare oltre i limiti ristretti del collegio borbonico, e comincia a nutrire, per non smarrirlo più, un saldo sentimento patriottico e unitario, infiammandosi alla lettura delle opere di Francesco Domenico Guerrazzi (con cui entra in corrispondenza), e maturando nel clima di rigida restaurazione seguito alla prima, e assai s fortunata, guerra d’indipendenza italiana.

Il tras ferimento a Catania nel 1857, per seguire – ma assai di malavoglia – i corsi di Giurisprudenza presso l’Università degli Studi, lo mette in contatto con vari prota-gonisti della cultura catanese: fra questi il poeta Giuseppe Macherione di Giarre, di lì a poco stroncato dalla tisi, ma specialmente monsignor Lionardo Vigo di Aci real e, il quale intuendo le capacità di Capuana lo coinvolge nella laboriosa opera di raccolta dei Canti popolari siciliani. Ma è da notare come il giovane Capuana, al di l à degli interessi letterari, non tralasci l’attività politica: in seguito allo sbarco di

8 L. CAPUANA, Ad Itala, « La Patria. Organo della Società

Democratica in Caltagirone» , numero 6, marzo 1863. 9 Cfr. G. RAYA, Bibliografia di Luigi Capuana (1839-1968),

Roma, Ciranna, 1969. 10 Cfr. M. MONTALTO, Riviste e letterati a Caltagirone: 1848-

1963, Catania, tesi di laurea in Lettere moderne, Università degli Studi, A.A. 2001/02.

11 Cfr. E. GHIDETTI, Luigi Capuana, in Dizionario biografico degli italiani, XIX, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1976, pp. 247-253.

Garibaldi in Sicilia infatti (cui dedicherà una «leggenda drammatica» omonima, in tre canti),12 nel 1860 viene no-minato – già vicepresidente del Comitato clandestino insur-rezional e di Mineo – cancelliere del nuovo Consiglio civico.

È in questo contesto composito, di partecipazione attiva alla causa unitaria d’Italia e insieme di formazione culturale di tipo tradizionale, che si deve iscrivere anche la produzione dei due sonetti Ad Itala nonché, com’è ovvio, inquadrare la loro lettura.

Il 1863 è un anno nevralgico per il destino perso-nale e per l a poetica di Luigi Capuana: egli infatti, insieme con la decisione di spostarsi a Firenze per inserirsi nel cent ro culturale e politico del neonato Regno d’Italia (e vi resterà fino al 1867), prende anche quella di abbandonare l’attività di poeta lirico. A Firenze - come è noto - Capuana conosce-rà Giovanni Verga, e con lui avvierà un duraturo sodalizio e un rinnovamento radicale delle forme narrative nazionali.

Dunque è in questo tempo di crisi profonda dell a cultura capuaniana che occorre situare i due sonetti inviati dallo scrittore alla redazione de «La Patria» con questa av-vertenza: «Amici Carissimi, Vi mando due poveri sonetti per la innocente Fanciulla cui i Ministri del Cristo niegano il battesimo perché le si vuol dare il nome d’Itala, nome ne-fasto ai nuovi Farisei del Cattolicesimo. Se non vi parranno del tutto cattivi, pubblicateli sul vostro giornale: e Dio mi perdoni il non aver saputo essere moderato ora che i suoi sa-cerdoti ci danno esempi di così funesta intemperanza. Bacia-te per me la soave Fanciulla ed amatemi quanto vi amo».13

Le memorie dantesche costituiscono senza dubbio l’ordito da cui il giovane poet a muove per intrecciare il suo testo: e ciò a causa - è ovvio - di quanto già detto a proposito della formazione tradi zionale di Capuana; ma ancor più per-ché è proprio il poeta fondatore della nazione italiana ad offrire temi e iuncturae funzionali ad un discorso profetico-apocalittico, di rinnovamento etico (e antieccl esiastico) per la neonata nazione italiana, che è quanto preme al giovane mineolo.

Gli «angioletti» che «fan corona» all’innocente Ita-la ricordano gli angeli splendenti come folgori che appaiono a Dante «di sé far corona» nel canto decimo del Paradiso; il «santo nome» d’Italia «che sì dolce suona» è un evidente rifacimento del dant esco «bel paese [...] dove ’l sì suona». Ma è soprattutto il secondo sonetto, di tono particolarmente acceso, a present are la Chiesa di Roma quale l aida mere-trice, proprio come la «puttana sciolta» del Purgatorio di Dante. Riprendendo l’invettiva dantesca contro i papi simo-niaci (Inferno, XIX) la cui «avarizia» (cioè avidità) «il mon-do attrista», anche Capuana adopera immagini giovannee, secondo la lezione dell’Apocalisse: la donna che «Il rapito di Patmo Evangelista» (un verso tolto dalla Bassvilliana di Monti per descrivere appunto san Giovanni) «vide dominar sul mare» è l a stessa che Dante descrive così: «colei che siede sopra l’acque / puttaneggiar coi regi a lui fu vista».

È evidente la ripresa di forme del linguaggio dante-sco: dal fort e verbo «puttaneggiare» al latinismo colto di «fragella»; dalle rime “paradisiache” corona / suona a quelle «aspre e chiocce» come quelle in -ista (la rima presente in Inferno, XIX). Ma vi sono pure echi evidenti di autori altret-tanto canonici e ben presenti alla memoria del giovane Ca-

12 L. CAPUANA, Garibaldi, Catania, Galatola, 1861. 13 L. CAPUANA, Ad Itala, cit., p. 23.

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puana: la rima petrarchesca cruda / ignuda (RVF, XXIII) e quelle dalle Rime del Tasso colpa antica / nemica e priva / arriva.

Concludo qui, per ora, un primo sondaggio di que-ste prime prove di un autore troppo spesso liquidato sbriga-tivamente come “ minore”. Con la certezza che un’analisi ap-profondita delle opere capuaniane coeve e successive (anche dei capolavori posteriori alla prima st agione poetica) potrà mettere sempre più in luce il carattere colto e la fitta trama intertestuale che caratterizzano le scelte linguistiche di un autore tra i più versatili e consapevoli della letteratura ita-liana contemporanea. Ecco i due sonetti:

AD ITALA

I. E tu sorridi ignara, anima bella, Cogli angioletti che ti fan corona Mentre l’onda del ciel che rinnovella Ti niega questa setta di Mammona.

Fin contro un vano suon, hai, s’arrovella L’ira sacerdotal che non perdona! E ti calpesta, o Italia, e ti fragella Nel santo nome che sì dolce suona.

Sorridi, pargoletta peregrina, Cristo ti manderà l’angiol più bello Onde lavarti della colpa antica.

E a questa setta d’ogni ben nemica Che dal suo verbo si fa reo puntello L’ora indirà della fatal ruina.

II.

Quella che vide dominar sul mare Il rapito di Patmo Evangelista, Cerca di gemme e d’or le membra avare, E la blasfema su la fronte trista;

Quella ora sta sul profanato altare Lasciva e fiera della sua conquista; E par che possa in tron puttaneggiare, Non cura se nel ciel fin Dio contrista.

Quella, nel nome di Colui che Mite Da sè chiamossi, fieramente cruda Dalla battesimale onda ti priva.

Lagrime della madre al ciel salite, E sulla fronte di rossore ignuda Chiamate il folgor che sì tardo arriva.

Mineo, 24 Febbraio

Dame, cavalieri e paladini: le più belle storie cavalleresche raccontate da Angelo Manitta

“ Dame, Cavalieri e Paladini” di Angelo Manitta, pubblicato proprio in questi giorni dalla Mursia, è un pia-cevole libro che permette di scoprire il mondo della caval -leria medieval e. Se fino a poco tempo fa il Medioevo veniva tacciato di barbari e da certa storiografi a, oggi si scopre che così non è. Anzi appare un mondo vivo e intriso di nobili ideali. Non solo. Ma ha dato vita ad opere letterari e di ampio prestigio e splendida affabilità. Attraverso questo volume l’autore present a personaggi che rimangono impressi nella nostra mente per la loro grazia e cortesi a, per la loro gene-rosità d’animo e passionalità, per i loro profondi sentimenti e grande umanità, come la regina Ginevra e Lancillotto, Tri-stano e Isotta, Artù, Orlando, il re Carlo e i numerosi Ca-valieri e Paladini. Queste figure vengono presentate nella lo-ro semplicità e nel loro fascino in racconti che ruotano at -torno ai due principali cicli epici del Medioevo: quello bretone, di Artù e dei Cavalieri della Tavola Rotonda, e quello carolingio, di Carlo Magno e dei Paladini di Francia. Ad essi vanno aggiunte, animate dallo stresso spirito, le epopee del Cid e dei Nibelunghi. Un misto di magia, di virtù e di eroismo avvicinano a volte gli eroi medievali a quelli moderni. Ecco perché ancora oggi un libro che narra le più belle vicende cavalleresche può stuzzicare la fantasia dei giovani e dei meno giovani, in un’ideale fusione tra passato e presente, attraverso il filo sottile dei sentimenti di odio, di amore, di rabbia, di generosità. Il libro, per la lingua semplice e accattivante, per l e schede operative post e in appendice e per le schede di approfondimento, è adatto quale testo di narrativa per la scuola media.

Se non lo hai ancora fatto, assòciati al-l’Accademia Internazionale Il Convivio. L’Accademia si sostiene solo ed esclusivamente con la quota associa-tiva dei suoi amici.

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Orazio, il poeta latino precursore dell’umorismo di Maria Pina Natale

È vero che l’umorismo, in quanto genere letterario, nasce in Inghilterra sul finire del secolo XVII. Ma è anche vero che, come peraltro avviene spesso anche in altri campi della cultura, l’umorismo era nato e si era affermato molto prima che gli fossero stati trovati un nome e un posto nella letteratura, molto prima che fosse stato scoperto come gene-re letterario o, quanto meno, come forma letteraria consacra-ta da norme ben precise che gli dessero il crisma d’ingresso in mezzo ai più vecchi e accreditati generi di arte l etteraria, molto prima insomma di fare il suo ingresso ufficiale nella storia. L’umorismo è nato con Orazio nel I secolo a.C. e, nella stessa Roma, si era consolidato poco dopo con Marzia-le, altro argutissimo umorista latino. Ma ai tempi di Orazio e di Marziale l’umorismo non era ancora umorismo, o meglio, non si chiamava ancora umorismo. Anzi autori latini come i due già citati e come molti altri in Roma, che scrivevano opere sul medesimo tono e con la medesima ispirazione di fondo, venivano chiamati poeti “ satirici”.

Anche Dante grati ficherà Orazio dell’appellativo di “ Orazio satiro”, perché anche ai tempi di Dante si ignorava affatto l’esistenza del vocabolo “ umorismo” con tutte le sue conseguenze. La ‘satira’ era dunque il genere cui potevano essere assegnati determinati autori che scrivevano in un certo modo. Quale modo? Vediamolo. A questo punto è d’obbligo anzitutto chiamare in causa a priori una famosa citazione di Quintiliano rimasta proverbiale attraverso i se-coli. La citazione, arcinota, è «satura tota nostra est» . «La satira - diceva cioè Quintiliano con giusto e giustificato orgoglio - è tutta quanta nostra», cioè è solamente romana, latina. Ai Greci era più consona e familiare la poesia giam-bica, cioè l’invettiva. Non avevamo, in altre parole, il gusto raffinato, aristocratico e superiore di una forma dispregi ativa e repressiva che non fosse farcita di volgarità, di derisione spietata, di assoluta carenza di pietà nei confronti del malca-pitato (o dei malcapitati) oggetto dei loro strali. Da qui la poesia giambica, una poesia cioè espressa in versi giambici, il cui sostantivo deriva dal termine greco ‘jambòs’ che origi-nariamente signi fica “ piccola freccia”. E tali erano appunto le conseguenze della poesia gi ambica su coloro che veniva-no presi di mira da tali impietosi poeti. Da ciò si evince inoltre che la poesia giambica è quasi sempre rivolta “ ad personam” e colpisce al cuore come uno strale (talora real -mente mortale) la personalità di colui o coloro cui è diretta.

Di ben altra natura, viceversa, la ‘satura’ latina, di cui, come si è accennato, andavano giustamente orgogliosi i Romani, sia per averla inventata, sia per essersi distaccati di molto da quella che era stata la poesi a giambica greca. La parola ‘satura’ in latino ha un’origine piuttosto singolare. A voler essere esatti, originariamente ‘satura’ è un aggettivo che veniva accoppiato al sostantivo ‘lanx’: satura lanx, che nella sua accezione primigenia, signifi ca ‘piatto ricolmo’. E, in realtà, la satira, così come l a concepì Lucilio, che fu il primo scrittore di Satire (è il momento di chiarire anche que-sto punto), è un’accozzaglia, un riempitivo, un miscuglio, un’abbuffata, come si direbbe con vocabolo meno elitario

ma più efficace e moderno, di cose e persone vari e pre-sentate in forma piuttosto caotica e ironica attraverso i mezzi tecnici più svariati: del racconto, del bozzetto, dell’epistola, della favola. E si riallacciava vagamente lo spirito dell’anti-chissima farsa italica o ‘satura dramatica’. Non per niente su Lucilio peserà da lì a qual che secolo l’impietoso, anche se giusto, giudizio di Orazio, il suo lontano eppure primo epi -gono nel genere satirico. «Fluere lutulentum» sarà il giudizio di Orazio su Lucilio, lo etichetterà cioè come «scrittore fan-goso, farraginoso, pasticcione». Tuttavia, per quanti difetti si potranno rimproverare al povero Lucilio, resta il fatto che con lui un genere nuovo e «del tutto latino» era nato nella letteratura; un genere che non doveva riconoscere paternità alcuna alla dottissima «capta Graecia».

Intanto, a partire da Lucilio, la satira lascia la strada dell’invettiva e del bersaglio personale e divent a fustigatrice dei vizi generali, prende l’aspetto della ‘reprimenda’ moral e senza colpire personalmente nessuno, idealmente, invece, tutti, cioè tutti coloro che deviano dal retto cammino del buon costume, del retto vivere, dell’onesto agire e sentire. Orazio ri conosce nel lontano, arguto scrittore di Sessa Au-runca il suo modello ideale, anche se il giudizio di cui lo grati fica per il suo stile non è affatto benevolo, ma forse è proprio quest’assoluta disistima nei confronti dello stile di Lucilio la molla medesima che lo spingerà a puri fi care i difetti. Ed è anche in tal e perfezione che il critico moderno può e deve scovare l’umorismo di fondo che fa di questo grande poet a latino l’antesignano del genere umoristico, così lento, poi, a fare il suo ingresso uffici ale nelle letterature di tutto il mondo. E vediamo di dimostrare il perché il genere satirico diventa in Orazio un genere squisitamente umori-stico e moderno. Per far ciò dobbiamo anzitutto cercare di definire il termine ‘umorismo’, impresa non facile, poiché il ‘significante’ di tale vocabolo è s fuggente come il suo ‘si-gnificato’ e non si presta a essere rinchiuso facilmente tra pastoie di definizioni, regole, norme, leggi e leggine. Si è già detto che il termine è nato in Inghilterra verso la fine del ‘600. Ma anche i più qualificati umoristi inglesi stentano a trovargli definizioni adeguate. (La qual cosa conferma maggiormente il nostro assunto: che cioè si può essere umoristi senza saperlo di essere e senza sapere se esista o non esista una forma chi amata ‘umorismo’, come è appunto il caso del nostro Orazio).

Anche il famoso Dizionario di Oxford non si esprime, in proposito, in maniera del tutto chiara. Vero è che il vocabolo ‘umorismo’ aveva avuto nella medesima Inghil-terra qualche avvisaglia fin dagli inizi del ‘600, avendo il drammaturgo Ben Jonson, noto per le sue opere teatrali, stu-diato e definito la cosiddetta teoria degli ‘umori’, una teoria cioè che basava le condizioni psicologiche del personaggio su quelle fisiologiche, precorrendo, in questo, la visione scientifi ca di Cesare Lombroso. Ma ‘umore’ è solo una con-dizione transitoria della psiche e non chiarisce per nulla quel ‘significante’ inglese ‘humour’ che in lingua italiana ha tro-vato perfetto gemellaggio nella accezione ‘umorismo’ (e non ‘umore’), per chiarire la qual e non basta una sola parola ma occorrono intere peri frasi affinché il signi ficato risulti più perspicuo e meno s fuggente possibile. L’umorismo, insom-ma, non è arguzia (o, per lo meno, non è solo arguzia), non è satira, non è farsa, non è invettiva. È, sì, l’individuazione dell’aspetto ridicolo della persona, delle situazioni, della società, e anche il sottolinearne e l’enuclearne il diverti-

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mento sotteso, che si ricava cogliendolo talora solo attra-verso una semplice s fumatura, un dettaglio che ad altri passerebbe inosservato.

Tuttavia dietro quel ‘sorriso’, quel ‘divertissement’, c’è sempre come un’ombra, un velo, un che di sfuggente che va diritto al cuore con vago senso di inquietudine, di negati-vità, di patetico e che si potrebbe paragonare vagamente alle nubi che si intravedono dietro il più terso dei soli o, vice-versa, al sole che si intravede e si indovina dietro un ammas-so di nubi. È un miscuglio, insomma, di sorriso (non di riso) e di lacrime a stento frenat e o, viceversa, di lacrime trattenu-te e illuminate da un sorriso. Pertanto l’indefinibilità del termine ‘umorismo’ si può spiegare bene con il suo essere ‘il sentimento del contrario’ di Pirandello. Come ben si vede, l’ambiguità del termine è destinata a portare con sé, nel suo secolare cammino, tale sua natura d’origine e a diventare raffinatezza per pal ati sempre più ghiotti. Prendiamo esem-pio dal Manzoni, che è stato e rimane uno dei più sottili umoristi di tutti i tempi. L’umorismo, nei suoi “Promessi Sposi”, possiamo dire che si spreca. Vi sono addirittura sagome di personaggi costruite a tutto tondo sull’umorismo e per umorismo: don Abbondio, per esempio, don Ferrante, il sarto, Perpetua ecc. Eppure quante ombre, quanta tristezza a ridosso di ciascuna di queste sagome apparentemente così scanzonate e scombinate! E non finisce qui: anche nei personaggi più paludati, più seri, perfino più dolenti, l’umorismo può, d’un tratto, fare capolino nel bel mezzo dei momenti e delle situazioni più inopinate, esplodere anche nel ‘diapason’ più acuto del dramma più intrigante. Si pensi al personaggio di Lucia, per esempio, il più intoccabile nell’architettura manzoniana. Eppure quello spiritello beffardo e squisitamente bonario, che pungola in ogni istante il subconscio del grande scrittore, è capace di rispuntare, forse anche involontaria-mente, forse anche non gradito, in qualsiasi momento della sua creatività, quasi come una seconda irrefrenabile birichi -na natura. La comparazione che abbiamo voluto fare con il Manzoni non è senza una ragione, poiché il medesimo indefettibile ‘humour’ che serpeggia in vene nascoste in tutta l’opera manzoniana è possibile riscontrarlo in Orazio e, an-che qui, nelle opere in cui meno ci si aspetterebbe. Che Orazio abbia meritato l’appellativo di ‘satiro’ perfino da Dante, come si è gi à detto, potrebbe far pensare che l’ironia oraziana sia tutta concentrata nei suoi due libri di “Satire”. Intanto cominciamo con il dire che quest'opera da noi impro-priamente chiamata “Satire” Orazio l'aveva intitolata sempli-cemente “ Sermones”, cioè “ Conversazioni”. In realtà, si trat-ta di una sorta di confidenze che il poeta intende fare ami-chevolmente e scherzosamente con i suoi lettori. Ma poi il contenuto di questi di ciotto “Sermones” si rivelò così argu-tamente ironico e pungente che si è preferito dare fin dal ti-tolo la sensazione esatta di quello che era lo spirito cui tutta l’opera era improntat a. Ma non è tutto; cioè, non è soltanto nelle “ Satire” che si mani festa il carattere ironico di que-st’inguaribile umorista. Come nel Manzoni, così anche in O-razio l’umorismo si coglie a piene mani anche nelle altre o-pere: nelle “ Epistole”, negli “Epodi” (nati addirittura sul mo-dello greco dei poeti giambici e poi, per mancanza di una ve-ra e propria invettiva, per mancanza di personaggi che fac-ciano da bersaglio, anche qui predomina più il senso umori-stico che il senso acido dell’acredine). Ma l’umorismo ora-ziano sprizza qua e là perfino nelle “ Odi”, che dovrebbero

essere rigorosamente opera di alta poesia lirica. E la lirica - si sa - non ha nulla da spartire con la canzonatura. Il lirismo è esaltazione vibratile, è trascendenza della natura inferiore, è attingimento delle vette più alte del parossismo psichico.

Il prof. Rosario Assunto dell’Università di Urbino, nella sua monumentale opera estetica, afferma che la liri ca, come ogni altra forma superiore di arte, se è veramente tale, dovrebbe essere capace di suscitare l’estasi. Io non sarei così estremista; ma che, nella degustazione di un’autentica opera d’arte si possano attingere vertici realmente sublimi e altri-menti irraggiungibili, è una verità inequivocabile. Noi, qui, esordiamo puntando direttamente al cuore dell’umorismo oraziano, cioè partendo dagli “ Epodi” e dalle “Satire” (o “Sermones” che di r si voglia). Osserviamone anzitutto il momento cronologico che ci spiegherà non pochi dei motivi essenziali ed esistenziali predominanti nel corso di quest’o-pera. L’epoca di composizione è il decennio che va dal 40 al 30 a.C., cioè il periodo in cui si svolsero le sconvolgenti battaglie di Filippi (42) e Azio (31), che, grossomodo, apri -rono e chiusero il decennio più drammatico della Roma re-pubblicana e avviarono l’Urbe alla costituzione imperiale. Periodo malsano, torbido, irto d’asperità civili, politiche e militari, in cui i più celebri protagonisti dell’epoca si trova-rono coinvolti su campi avversari nelle più feroci e cruente repressioni che mai si fossero viste dalle origini di Roma.

Odi, rivalità, rancori personali diventarono, in nome della politica, teatri di battaglie, di rivendicazioni personali e faziose che lacerarono la cittadinanza in posizioni tragica-mente attestat e su fronti opposti e insanguinarono con fero-cia la coesistenza civile. Orazio, che nel 42 a Filippi aveva combattuto nell’esercito di Bruto contro Ottaviano, dovette sentire con straziante amarezza la sconfitta subita e, di conseguenza, lo sfacelo dei suoi ideali giovanili che in Bruto avevano trovato rassicuranti certezze e che, ora, con la morte del suo amico e protettore, lo spogliavano di tutte le dolci illusioni di libertà di un appena recente passato, allorché, ap-pena ventenne, giunto in Grecia per completare i suoi studi, vi aveva ritrovato non pochi concittadini fuoriusciti, rifugia-tisi in Atene per coltivare e rinfocolare ideali di libert à repub-blicane, impossibili ormai in Roma, dove la dittatura di Cesare diventava di giorno in giorno più intransigente. Che anzi languivano paurosamente e si accingevano a spe-gnersi del tutto. La morte di Cesare, non solo non aveva frut -tato ai congiurati l’esito sperato ma si era rivelata un falli-mento totale, in seguito al quale anche Bruto era dovuto fug-gire e ri fugi arsi in Atene. In tale circostanza Orazio aveva avuto l’alto onore di essere convocato da Bruto, ultimo ‘manager’ della Roma repubblicana, e di essere arruolato nel suo esercito con il grado di ‘tribuno militare’.

La disfatta di Filippi dunque non poteva non gettare un’ombra di grande sconforto e delusione nell’animo del giovane poeta. Uscire da tale palude alla maniera bucolica, come aveva fatto il più mite Virgilio, non si addiceva al carattere grintoso di Orazio, il quale non sopportava soprat -tutto la rottura fra quelle che erano state le sue aspirazioni e i suoi ideali giovanili e l’amara realtà di cui si trovava ad essere forzosamente succube. Ma sarà appunto tale e tant a acrimonia esistenziale giovanile l a scaturigine del sal e amaro che modellerà tutta la sua futura maniera di vivere, pensare, agire, fare letteratura. Ancora non era nemmeno entrata nella sua vita (e nel suo cuore) la grande amicizi a con Mecenate. Cosicché, tornato a Roma, appena i torbidi

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politici gli consentirono di farlo senza correre rischi mortali, come colui che aveva militato in campo nemico ad Augusto, privo anche degli ultimi mezzi di sussistenza aviti, essen-dogli stati confiscati i beni paterni di Venosa (sua patri a d’origine) come a tutti quelli che avevano combattuto contro Ottaviano, si adattò a un modesto impiego di ‘scriba quae-storius’ (specie di scrivano o segret ario al servizio dei que-stori). Intanto continuava nella sua opera di scrittore di Epo-di, Satire, Odi, Epistole. Dava sfogo in tal modo al profondo senso di amarezza e al tradimento delle sue speranze politi-che giovanili, cercando conforto in una sorta di ‘filosofi a del quotidiano’, che gli scaturiva soprattutto da quei principi di filosofia epicurea, rivisitata in Roma attraverso canoni non proprio rigidamente ellenistici e, in particolare, nel caso di Orazio, conformemente alla sua indole e adattata alla sua voglia di mettere a nudo errori, pregiudizi, tic di una società, rotta ormai ad ogni vizio e libidine. Cause tutte che spingevano il suo spirito, già per natura caustico, a placare le proprie amarezze, sia caratteriali che esistenzi ali, nell’ironia della satira moraleggiante.

È per questo che gli “ Epodi” costituiscono il suo esordio letterario. Era una sorta di risposta sarcastica alle sconfitte giovanili, sia personali che storiche, risposta dal -l’autore medesimo confessata allorché afferma di avere se-guito la scia di Archiloco imitatore però soltanto «numeros animosque» (cioè i versi e lo spirito caustico) «non res» (cioè non l'argomento). Quanto all’argomento (l’abbiamo già detto) aveva preferito come modello l’inventore latino della satira, il poeta di Sessa Aurunca, Lucilio. Quindi non più invettiva, rabbiosa implacabile alla natura di Archiloco, ma una pacat a canzonatura bonaria, senza alcun ri ferimento personale. Naturalmente anche rispetto a Lucilio le cose cambiano di molto se si considera lo stile. E anche a questo abbiamo accennato. Giova tuttavia ricordare ancora qualche dettaglio. A parte le personali caratteristiche letterari e dei due, lontani nel tempo, autori di satire, sarà bene tenere conto anche del fatto che era appena passata in Roma la ventata del neoterismo.

Con tutti i suoi difetti, che avevano sollecitato il grande Cicerone a definire spregiativamente i ‘neòteroi’ ‘cantores Euphorionis’, non si può tuttavia negare che, proprio in virtù della retori ca, il neoterismo aveva contri -buito non poco a raffinare lo stile. Con questo non vogliamo assolutamente entrare in polemica per stabilire se Orazio sia stato influenzato o meno dall’invadenza del neoterismo, an-che se è assolutamente vero che egli, per libera elezione, non fece mai parte di quei ‘poetae novi’ o ‘cantores Euphorionis’ che dir si voglia. E forse neanche il suo stile forbito, aulico, raffinatissimo ha nulla da spartire col neoterismo, essendo piuttosto frutto di evoluzione letterari a generale nella letteratura latina del periodo aureo-augusteo e, in particolare, della serietà di studi e della personalità artistica di Orazio.

Gli Epodi dunque costituiscono il suo esordio lette-rario e fin da questo esordio Orazio si sentì animato da un profondo bisogno etico e didascalico contrariamente ai suoi contemporanei ‘poetae novi’ che propugnavano il principio dell’arte per l’arte. Composti, come già accennato, fra gli an-ni che vanno dal 42 al 30, quindi in un arco di tempo rel ati-vamente lungo, gli “ Epodi” risentono di questa ascendenza-‘durata’. Ne risentono nella misura in cui dagli anni im-mediatamente successivi alla battaglia di Filippi, caratteriz-zati dalla più profonda delle crisi esistenziali del poeta, si

passa ad anni migliori, più tranquilli, in cui l’amarezza della bruciante sconfitta poco a poco si placa cedendo il passo al rifugio in quella rassegnazione filosofica che d’ora in avanti sarà il substrato di ogni modo di pensare e di agire di Orazio e ne caratterizzerà vita e opere. Ma vediamo di renderci più partecipi di tutto quanto affrontato finora in teori a, adden-trandoci nel cuore stesso dell’opera oraziana. E poiché ab-biamo esordito con gli “ Epodi”, restiamoci ancora un po’ per conoscere finalmente dal vivo quest’opera così singolare.

Molto interessante, ai fini del nostro assunto, si presenta l’Epodo secondo. Apparent emente scombinato per quanto si ri ferisce all’argomento trattato, in realtà è tutto un gioco sottile di finzioni e di i ronie che prendono corpo e consistenza dal finale del componimento (una sorta di ‘vene-num in cauda’ alla maniera di Marziale), in cui l’apparente resa del protagonista a una sana vita di campagna, come predicava e, in certo modo, imponeva la volontà e la politica di Augusto, altro non è se non lo spunto per concludere alla fine che, tutto sommato, è preferibile vivere di usura nel grembo della grande città anziché in campagna, affidando a un incerto futuro la propria impreparazione in fatto di agri -coltura. Il sarcasmo scatta in una risat a in quel t erzultimo verso che suona «iam iam futurus rusticus», in cui nessuna peri frasi italiana, per quanto lambiccata, riesce a tradurre l’irridente ironia di quel «iam iam futurus rusticus» e che, solo grossolanamente, possiamo rendere con la frase «il quasi laureando agricoltore», proprio nel bel mezzo di una decisione, così ‘promettente’ in teoria, così aberrante in pratica, ci ripensa, la abbandona di botto e si affretta a ritirare tutto il denaro disponibile per continuare i suoi sordidi affari di usuraio in città.

Qualcuno, in quest’epodo secondo, ha creduto di scorgere, mutatis mutandis, una certa satira al carattere mite e georgico di Virgilio. Se anche così fosse sarebbe un mo-tivo di più per constatare a prezzo di quanta amarezza poteva essere commentato un sincero rapporto d’amicizia, quale era quello che legava i due grandi poeti della Roma august ea. Abbiamo voluto fare di proposito questa breve digressione sugli “ Epodi” accennando soltanto al secondo, che ci è sem-brato il più icastico e idoneo al nostro assunto, appunto per dimostrare, prove alla mano, come anche in un genere di poesia giambica (poiché gli Epodi sono poesia giambica) l a satira oraziana ha tutt’altre caratteristiche della poesi a giambica greca.

E veniamo finalmente alla satira vera e propria, cioè ai diciotto componimenti intitolati “ Sermones” o “ Saturae”, divisi in due libri, 10 nel primo, 8 nel secondo, che rappre-sentavano il ‘clou’ della produzione satirica orazi ana. Il ver-so, qui, è sempre l’esametro. Non più, cioè, i versi che erano stati degli Epodi: il trimetro giambico, i sistemi archilochei, in cui il dimetro giambico la fa sempre da padrone e i due sistemi pitiambici, combinati fra esametro dattilico e dimetro giambico acatal ettico oppure esametro dattilico e trimetro giambico acatalettico. Nelle satire nulla di tutto questo, bensì esametri e solo esametri. Segno che il poet a prende sempre di più le distanze dai poeti giambici greci, anche nei con-fronti della forma, oltre che dei contenuti. Anche per que-st’opera, come per gli Epodi, la data di composizione va dal 12 al 30, quindi ancora una volta si veri ficherà il medesimo cambiamento di umore da uno stato di maggiore asperità all’inizio, a uno stato di superiore pacatezza e serenità di spirito con il passare degli anni e il mutare degli eventi.

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Abbiamo accennato al fatto che il poeta aveva preferito intitolare “ Sermones” quelle che noi oggi chiamia-mo “Satire”, volendo appunto significare che intendeva dare a quest’opera un carattere colloquiale e confidenziale. Non per niente la prima satira si apre con l’invocazione a Mece-nate: «Qui fit, Maecenas…». «Chissà perché, Mecenate ca-rissimo, avviene che al mondo nessuno sia soddis fatto della propria condizione…». Tuttavia, per dovere di cronaca, è importante notare che la numerazione delle satire non ri-sponde ad un ordine cronologico. Abbiamo detto che la pri -ma satira del primo libro esordisce con l’invocazione a Me-cenat e. Questo signi fica che essa è posteriore all’anno 38, anno in cui gli amici Virgilio e Varo presentarono Orazio a Mecenate, che da quel momento lo prese sotto la sua protezione, gli regalò una villa e un podere nella Sabina e divenne per sempre la sua stella polare, l’amico cui Orazio indirizzerà tutte (o quasi) le sue opere. Augusto entrerà molto più tardi nella sua vita e a lui sono dedicati il “ Carmen saeculare”, il IV libro delle “ Odi” e la prima Epistola del libro secondo.

La satira prima è quella dei vari mestieri e lavori dell’uomo che sembra dimostrare la massima: «L’erba del vicino è sempre più verde», poiché, secondo Orazio, ognuno pensa che il mestiere dell’altro sia più grati ficante del proprio. Il tutto, è vero, è condito con l’’acetum’ tipicamente caricatural e dell’arguzia oraziana, ma è anche vero che, dietro questa apparente e sorridente arguzia, rispunta l’om-bra umoristica della componente patetica: il pungolo della incontentabilità umana, tutto sommato, non è tanto da con-siderare per il senso del ridicolo quanto piuttosto per il tarlo della sofferenza che può e sa infliggere a ciascuno di noi. A torto o a ragione, insomma, l’animo umano non trova moti-vo di conforto da questo subconscio motivo esistenziale. A questo punto sentiamo squillare come un campanello d’allar-me. Abbiamo fatto mente locale ai vocaboli che stiamo ado-perando? Stiamo parl ando di ‘subconscio’, di ‘esistenziale’, tutti termini noti a noi, viventi del ventesimo secolo, usciti cioè da esperienze freudiane e parapsi cologiche, al giorno d’oggi ormai viete e scontate. Ma riflettiamo per un momen-to che si tratta di t ermini inesistenti e affatto ignoti ai tempi di Orazio. Eppure l a nostra diagnosi di ‘moderni’ di ‘esperti in materia’ ci spinge a enuclearli con naturalezza dal magma inconsapevole di autori inconsapevoli. Ma inconsapevoli di che cosa? Del signi ficant e, cioè del vocabolo, della forma; non del significato, cioè di una realtà che non ha ancora nome e che tuttavia esiste. Ecco un’altra dimostrazione del nostro assunto fondamentale, della nostra tesi di partenza: le cose esistono, la realtà esiste prima ancora di essere sco-perta, chiamata per nome, entrata a far parte della storia.

Pensiamo ancora per un momento ad un altro e-sempio, ad un’altra famosissima satira: la nona (quella dello scocciatore). L’attacco stesso è un capolavoro di umorismo: «Ibam fort e Via Sacra…». «Passeggiavo a zonzo per la Via Sacra, tutto assorto nei miei pensieri…», in cui quel ‘totus in illis’ ricorda tanto da vicino il placido almanaccare di Don Abbondio sul nome di Carneade in un momento di assoluto ‘relax’, in cui il povero curato era ben lungi dal sospettare la tempesta che gli si stava per scatenare addosso. Sono due momenti identici: a distanza di secoli, di personaggi, di situazioni, i due principi dell’umorismo si incontrano, si ritrovano, si riconoscono, senza essersi mai conosciuti. È il miracolo dell’arte, che, come la verità, è una e una sola e

che, di conseguenza fa pensare alla medesima maniera per-sone disparate nel tempo e nello spazio, sia pure allo stato inconscio. E con la parola ‘inconscio’ torniamo alle mat rici freudiane cui già si è accennato. Gli esempi, se volessimo ricorrere ad una casistica vera e propria, in Orazio si spre-cherebbero. Ma non è la casistica che può darci la cogni -zione sci entifi ca e la dimostrazione matematica del nostro assunto di partenza. Preferirei, se mai, enucleare qualche vena nascosta di quest’umorismo capillare che (lo ripetiamo) serpeggia ininterrottamente per tutta l’opera oraziana e sconfina addirittura nelle Odi e perfino nell’ “ Ars poetica”, che, come tutti sanno, è opera demandata alla normativa e, pertanto, di contenuto affatto serioso. Eppure anche qui lo spiritello beffardo di Orazio trova modo di sprizzare, qua e là, mal contenuto e rendere sapidi anche i precetti più aridi. Si veda ad esempio il «desinat in piscem» che, attraverso l a similitudine della sirena, provoca spontaneamente il buonu-more se ri ferito ad un verso mal riuscito. Lo stesso si dica (ibidem) per la provocante montagna, divenuta poi prover-biale nei secoli, che, dopo i boati del rumoroso parto, parto-risce un ridicolo topo. «Parturient montes nascetur ridiculus mus». Ma neanche le Odi rimangono, come già detto im-muni dall’inguaribile umorismo del poeta. E sì che qui si tratta solo di lirica pura, anzi, diciamolo pure francamente, di lirica altissima, fra le più alte della lirica universale.

Nelle odi Orazio ha profuso tutti i più grandi tesori del suo impegno artistico, ma anche del suo impegno mora-le, filosofico, gnomico, spirituale, sentimentale, patriottico, umano. Ebbene, anche una lirica di così alto contenuto non manca di essere spesso condita del solito sale oraziano, magari un po’ più raffinato, più aristocratico ed elegante, ma sempre dettato dal suo inguaribile ‘humour’. Si pensi, ad esempio, alla teoria del ‘carpe diem’ (fra le più trite dei ricordi oraziani) che cela indubbiamente un senso amaro e disincantato della vita e getta un lungo cono d’ombra sulla palingenesi cristiana. Siamo cioè in un clima tutto pagano, come predi cano la constatazione della fragilità della vita e l’esortazione a non lasci arsi s fuggire qual che raro momento magico, sottinteso in quel ‘carpe diem’. Come pure affatto pagano è il signifi cato di un’altra ode in cui si demanda agli dei ogni responsabilità di futuro: «Permitte divis cetera» (è la nona ode del primo libro, verso 9).

L’atmosfera, come ben si vede, è tutta permeata di paganesimo, condizionat a com’è dalla congerie di dottrine neoplatoniche imperversanti nella Roma augustea e adattat e grossolanamente alla mentalità latina, meno sottile e meno sofisticat a di quella greca. Ma i greci, in fatto di dottrine filosofiche (neoplatoniche comprese) si sentono più respon-sabili perché posti a confronto con un settore dello scibile, nato e cresciuto interamente in territorio ellenico. C’è da os-servare tuttavia che, all’interno di questa atmosfera pagana, segni non pochi e non piccoli di stanchezza si andavano evidenziando, anche e soprattutto a livello letterario. Non soltanto Virgilio con la quarta Ecloga ma anche Orazio, con non pochi e sintomatici concetti inseriti qua e là in tutta la sua produzione, postula la necessità di un rinnovamento mo-rale, che non ha nulla, è vero, da spartire con l’imminenza del Cristianesimo, ma che in certo qual modo, ne anticipa alcuni principi. Uno dei più validi mi sembra quell’‘amor patris’ (in cui quel sintomatico genitivo ha la doppia fun-zione oggettiva-soggettiva) che Orazio privilegiò per tutta la vita, ponendo la figura del padre così in cima ai suoi pensieri

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e affetti da tramandare ai posteri come archetipo insuperato e insuperabile, estraendola, anche dal bagno d’oro dell’umo-rismo, nitida e lucente, mai scevra di quel rispetto formale e sostanziale che fu la costant e caratteristica del rapporto padre-figlio.

Anche quando nella satira sesta parlerà con disprez-zo di chi, trascurando il ‘noblesse oblige’ si avvierà alla villeggiatura verso Tivoli per una strada elegantissima, sulla quale si affacci avano le più sofisticate e miliardarie ville patrizie, facendosi ridere dietro, lui questore, da chi lo vede-va a dorso di un misero asino e con due soli servi di scorta, l’uno con in mano il vaso da notte, l’altro un fiasco di vino, anche in tale circostanza il poeta, colmo di giusto orgoglio, ricorderà per l’ennesima volta il padre, di condizione mode-stissima, è vero, ma che, appunto per questo, aveva libertato il figlio da qualsiasi jugulazione snobistica. Egli, Orazio, figlio di liberto, egli ‘homo novus’ che tal e rimase per tutta la vita, non ha gli obblighi che hanno questori, consoli e ma-gistrati vari nei confronti della società romana. Egli può andare a spasso per il Foro, girando da solo con la sport a della spesa per acquistare quanto gli occorre per la casa e per la mensa. Ma non dimenticherà mai i tempi in cui, ra-gazzino, il padre lo aveva tolto dalle scuole provinciali di Venosa, che pure erano frequentat e dai ricchi figli dei cen-turioni di guarnizione, e lo aveva condotto personalmente a Roma presso i maestri più dotti e più severi, non mancando di sacri fi carsi a condurlo da un maestro all’altro e di incul -cargli, strada facendo, ogni più rigido principio di onestà, di sapere, di moralità, ma anche qualche massima di compor-tamento utilitaristico.

Importantissimo inoltre, sempre a proposito di pre-cognizioni cristiane (che di cristiano, lo ripetiamo, hanno soltanto la fat alità della coincidenza) quel passo delle “ Epi-stole” in cui Orazio sente imperioso il bisogno di iniziare un esame di coscienza e un revisionismo di tutta la sua vita passata, alla luce di un rinnovamento di virtù autentiche, non tradite da dottrine fallaci. Del resto quasi tutte l e “ Epistole” svolgeranno insistentemente questo tema di un voluto, senti-to e drammatico esame di coscienza, sempre condito dal consueto sale umoristico che fa capolino anche attraverso l e opere di carattere moral eggiante. Del resto, il fenomeno della tendenza alla moralizzazione presto comincerà a mani -festarsi anche in Grecia. Ed è fenomeno che può evidenzi arsi benissimo proprio attraverso i toni dell’umorismo, oraziano in particolare, che, spargendo sal e sulle ferite, intende, più che altro, risanare i mali della società, curarne le cancrene, spronare a più alti ideali di vita e di cultura. Si pensi, per esempio, per qualche istante, alla piaga della stregoneria: era così radicata nella Roma imperiale che tutti i tentativi per combatterla rimasero inefficaci.

Svetonio, nella vita di Tiberio, racconta le pene comminate a streghe e stregoni, astrologi e relativi riti magi-ci erano così raccapriccianti da lasciare inorriditi. Ebbene, fu una legge rimast a sempre inevasa. (Tra parent esi, pensiamo, per converso, un solo attimo, a quali aberrazioni non si giunse, in secoli molto più recenti, allorché le medesime leggi, o quasi, furono, viceversa, applicate con esagerato zelo dai vari ‘torquemada’ della storia). Purtroppo, la piaga della stregoneria e delle arti malefiche e ci arlatane non è stata superata nemmeno ai nostri giorni. Certo, nemmeno Orazio si lasciò sfuggire l’occasione di scagliare le punte più acri del suo umorismo contro questo tipo di malcostume. I

nomi di Canidia e Sagana (le streghe dei suoi tempi) ricor-rono frequentemente nella sua poesia e con degna cornice di manifestazioni priapee ai livelli più grossolani e più osceni. Ma giova anche sottolineare che la liberalizzazione sessual e era dilagante ai tempi dell’Impero e fu causa non ultima della sua catastrofe finale. Non ci si meravigli pertanto se anche poeti moraleggianti come Orazio usino in materia un linguaggio caricat amente triviale e immagini di una cert a crudezza forse mai più raggiunte neanche dalle più degra-date porno-star dei nostri t empi. E cerchiamo di concludere questa nostra carrellata dimostrando, con qualche esempio, come perfino nelle “ Odi” l’umorismo dell’Autore è sempre vivo e frizzante e può esplodere anche nei momenti, nelle situazioni, nelle meditazioni più apparentemente aliene. Anche qui l a raffinatissima arte del poeta saprà ammannirci delicatissimi intingoli e salse delicat e rendendole sempre oltremodo gradite ai nostri pal ati, vere chicche alla nostra attesa. Prendiamo come esempio l’ottava ode del libro terzo, in cui liricità e umorismo si sposano a pari merito:

«Ti stupisci che giusto il primo marzo il tuo incallito scapolone Orazio festeggi chissà che con fiori, incensi e col carbone acceso tra le zolle. Che avrà a che fare con le ‘Matronali’ - starai pensando - uno tanto in gamba che sa legger di greco e di latino? Ebbene sì: tu forse ancor non sai che questo è un voto, un voto assai importante da me giurato nel giorno fatale in cui rimasi vivo per miracolo scampato per chissà qual sortilegio a un albero abbattutosi ai miei piedi. Sempre da allora un bel capretto bianco ed un banchetto al dio Bacco promisi. Sempre da allor nel giorno anniversario un’ottima bottiglia di stravecchio, ai bei tempi di Tullo posta al fumo, strapperò, caro amico, insieme a te. E ne berremo entrambi in quantità alla salute del tuo amico illeso. Berremo al lume di lucerne chiare ma lungi da ogni tentazione d’orgia. Niente frastuono. Niente Baccanali. La lirica poi procede dritta per i suoi scopi celebra-

tivi, tutta permeata della più alta perfezione lirica. Ma tor-niamo un momento a quell’attacco, a quell’esordio che è un concentrato di umorismo, questa volta complice della più schietta e buffa ilarità. Immaginiamo il poeta tutto intento a preparare i ‘suoi’ (e sottolineo suoi) riti celebrativi per festeggiare l’anniversario dello scampato pericolo. Anzi, a questo proposito, cade opportuno ricordare un altro celeber-rimo scampato peri colo del nostro simpatico protagonista: quello del lupo della Sabina, incontrato un giorno dal poet a mentre, solo e pensoso, (come il Petrarca 13 secoli dopo) andava su e giù per i campi rimuginando versi in onore di Lalage. Anche in quel terribile frangente il lupo era andato per la sua strada lasciando miracolosamente incolume il poe-ta, che, per inneggiare alla felice circostanza, aveva sciolto uno dei più elevati e commossi canti lirici del suo repertorio: «Integer vitae scelerisque purus…». Questa volta, lo scam-pato pericolo, dell’albero che crolla repentinamente ai suoi piedi, il poeta lo celebra con una vera e propria fest a privata.

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Immaginiamo perciò Mecenat e che, accogliendo di buon grado l’invito dell’amico, si avvicina, vede da lontano quei preparativi. «Diamine! - pensa tra sé - che caspita di riti intende celebrare questo scapolone incallito?».

E per capire questo pensiero di Mecenate bisogna ricordare che il primo marzo era una sorta di ‘Saturnali’ al femminile. Cioè quello che i Saturnali (che, come data, coincideva, grossomodo, col nostro Natal e) rappresentavano per gli uomini, una festa cioè quasi orgiastica durante l a quale perfino gli schiavi, solo in quel giorno diventavano liberi e potevano perfino pretendere di essere serviti dai padroni. (In pratica, naturalmente, non lo faceva nessuno, perché altrimenti il giorno dopo avrebbero pagato a frustat e la propria baldanza). Il primo marzo di ogni anno, invece, la medesima festa veniva organizzata dalle signore dell’antica Roma e prendeva il nome di ‘Matronalia’. Si trattava di una festa in onore di Giunone Lucina, alla qual e potevano parte-cipare esclusivamente le donne sposate, poiché Giunone Lucina era la dea che assisteva l e partorienti, quindi il culto di questa dea era esclusivo appannaggio delle donne sposate. Immaginate perciò il buon Mecenate, che si avvia tutto solo all’invito dell’amico e si accorge e un tratto dei preparativi della festa da una cert a distanza.

Il suo primo pensiero sarà: «Che diamine di fest a prepara questo scapolone impenitente di Orazio, lui, uomo non sposato, in un giorno rigorosamente sacro solo alle donne sposate?». Da sottolineare che un uomo che fosse sta-to scoperto present e a una fest a delle Matronali, sia pure tra-vestito, era passibile di esecuzione capitale sommaria, seduta stante. Perciò Mecenate cominci a a sudare freddo. In fest e orgiastiche di tal genere, potevano essere commesse azioni fra le più aberranti, senza dover rendere conto a nessuno. Più che giustificato, di conseguenza, il panico di Mecenate. Qua-si a confort are se stesso, formula un secondo pensi ero, un secondo interrogativo: «Che ci sia qualche altra festa romana il primo marzo di cui io non sia a conoscenza?». A questo punto la risata sgorga a tutto tondo. Primo: è assurdo che Orazio si celebri da solo le Matronali con tutti i rischi che ne potrebbero scaturire. Ma assurdo anche il secondo interro-gativo perché è impossibile che un uomo colto, importante come Mecenate, che sta tutto il santo giorno gomito a gomito con l’imperatore, che è insomma la seconda autorità di Roma dopo Augusto e tenuto conto che Augusto è un imperatore quasi bigotto e pensoso di tutti i buoni culti tradizionali, che vuole siano ripristinati e osservati addirit-tura a termini di legge, giusta la sua politica di riforme mora-li, religiose, sociali e di costume, è impossibile che Mece-nate, in tali condizioni, possa ignorare che esista (e se esista) qualche altra festa datat a primo marzo. Insomma, in quest’o-de liricità e comicità sono veramente al diapason: un con-centrato di altezza lirica e di comicità umoristica, più uniche che rare. Ci piace concludere così questo nostro insufficient e ‘excursus’ (per una più esordi ente trattazione su un poet a come Orazio ci vorrebbe ben altro). Comunque, sia pure in maniera sommaria e attraverso il solo tema dell’’umorismo’, abbiamo pur potuto scavare attraverso questa personalità forte, complessa, originale qual è appunto quella di Orazio, abbiamo potuto leggere attraverso il suo discorso poetico, intriso di quieto vivere e di superiore visione umoristica e umanistica della vita. Ed è sulle basi di tale ‘discorso poetico’ che egli ha potuto erigere nei secoli e nei millenni il suo «momentum aere perennius».

Peter Russell l’ultimo grande poeta europeo del XX secolo

di Giuseppe Manitta

Con la morte di Peter Russell è andato via l’ultimo grande poeta del Novecento europeo. Candidato al premio Nobel, aveva ottenuto di recent e la cittadinanza italiana, nel-la prospettiva di un aiuto economico da parte dello Stato, se-condo quanto previsto dalla legge Bacchelli. Benché negli ultimi anni abbia confessato di essere stanco di vivere, dalla sua poesia, anche la più recente (certo più cupa), appare un profondo senso della vita e un desiderio di rivincita. Peter Russell, parente del famoso premio Nobel Bertrand Russell, era nato a Bristol nel 1921 e nel 1982 si era tras ferito, insie-me alla seconda moglie e ai tre figli, a Pian di Scò in Tosca-na, dove è andato ad abitare alla Turbina, in un vecchio mu-lino posto in collina. Grande ammiratore di Yeats, scoppiò a piangere nel ’39 quando seppe della sua mort e. Legato da amicizia a Pound, è stato anche nelle grazi e di T. S. Eliot, il quale, quando Russell era ancora studente, gli offrì dei soldi per potere continuare a studiare e a scrivere. Come afferma egli stesso: «Lottavo per sopravvivere e lui mi aiutò». Il suo amore per la poesia e per l’arte non è mai venuto meno. Egli andava alla ricerca della purezza musical e, ma soprattutto di quell’affl ato lirico che può incidere l’animo umano. Stima-tore del Petrarca, è stato grande produttore di sonetti, forse la forma letteraria a lui più congeniale. Semplice e disponibile, era, oltre che un grande poeta, un grande uomo. Più volte è stato vicino al Convivio, ed ha avuto modo di apprezzare l a nostra rivista che ha definito «eccellente». In uno dei numeri precedenti abbi amo dedicato una recensione ad un suo volume di liriche ed una pagina ad alcune sue poesie con traduzione di Franca Alaimo. Con la morte di Peter Russell se ne va via anche una parte di noi stessi. La sua poesi a comunque deve esserci da modello: una poesia sprovincia-lizzata che davvero rispecchia l’umanità.

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Lucha Chamblant: il senso dell’infinito in Il bosco blu di Angelo Manitta La poesia è una necessità interiore, è una espres-sione del proprio stato d’animo, sia esso felice o triste non importa. Ma «se la poesia non viene naturalmente come le foglie vengono ad un albero, è meglio che non venga per niente» scrive a chiare lettere il poeta inglese J. Keats. E l a poesia di Lucha Chamblant è una poesia che sgorga ‘natu-ralmente’ dalla sua penna proprio perché la creatività poetica o figurativa «è la necessità interiore, esasperata di avvici -narsi al divino, è un’illuminazione che scende dall’alto, che appartiene ad un altro piano di coscienza e che sospinge l’anima dell’artista verso l’alto, permettendogli di attingere direttamente alla Fonte Universale che tutto contiene. L’arti-sta si trova così in una dimensione diversa e sente accrescere in sé la necessità della propria espressione, quello è l’istante, è l’acme della creazione umana quando cioè il pensiero fissa, nell’attimo che vola, la cosa che crea». Queste parole, che fanno da premessa alla silloge di Lucha dal titolo “ Il bosco blu”, non hanno bisogno di commento, ma bene evi -denziano il lavorio interiore che scaturisce dalla sua creati-vità artistica. L’uomo la prima cosa che si chiede è qual e sia il senso della propri a esistenza, il perché della luce e del colore, della vita e della morte. Bellissima la poesia che apre la silloge: «La vita è un attimo, un palpito del cuore, un battito di ciglia / o un raggio di sole. // La vita è un sorriso, / un gesto, un paradiso, / è una parola, un fiore, / o un cantico d’amore». Ma se il dolore fa parte della vita, nasce sempre un soffio di speranza, di un amore riscoperto o ritrovato, di un amico o di un’amica che possano esserti vicini. E il ricordo allora assume una funzione catartica: «Nei prati verdi della giovinezza / scambiammo i nostri pensieri / e l e nostre voglie d’adolescenti» . Questo preannuncia una pace, una pace con l’altro ma soprattutto con se stessi, una pace che è quasi un’isola felice, costellata da un gol fo incantato e sognante, terra senza et à, baciata dal sole, in cui il tempo s’è fermato. L’ascolto dei suoni e l’osservazione della realtà portano allora all’estasi e quindi alla meditazione, quasi cul-lando se stessi in un mare d’infinito. Ed è proprio in que-st’infinità, che l’amore ritrova la propri a dimensione emoti-va: annegare nella dolcezza senza fondo di un sorriso per ab-battere quel muro sottile che divide l’odio dall’amore. Ma mi piace concludere questa breve nota con una delle poesi e più significative della silloge di Lucha: “ Incontro”.

Nella selva cobalto della vita, hai brillato più delle altre stelle e m’hai bruciato il cuore.

Come incantata, ti sdegno da sempre, nei meandri celesti, nei mille ghirigori dorati delle meteore, su su, fino alle altre galassie. Noi due, insieme, per mano,

spiriti librati nel vento, rapiti dai colori d’altri mondi, dai soli e dai miracoli del cosmo.

Voliamo eternamente verso l’infinito che ci attrae, alla ricerca di una Verità.

Ciro Carfora e l’incanto di una tenerezza sconosciuta di Enza Conti Il rapporto intenso tra nonno e nipote diventa l’ele-mento fondamentale della poesia di Ciro Carfora, dal titolo “ L’incanto di una tenerezza sconosciuta”. Si tratta dell’alter-narsi di due periodi di vita, quello del nonno, che ha deposto nel “ baule” della fanciullezza il tempo dei sogni, e quello del nipote che è all’alba di quel periodo intenso che gli consen-tirà di tuffarsi in mondi magici. Ma la maturità e l’obiettività nel saper guardare la realtà fa aprire un altro baul e che è quello di un mondo «che sventola bandiere / di dolore». Ec-co la cruda realtà fatta di guerra, di solitudine, di sofferenza e povertà. Ma la voglia di coraggio, e quindi di guardare con più ottimismo alla vita, giunge con un alito di vento attra-verso l’angelico sorriso di un bimbo. I versi, se pur permeati di metafore, attraverso il linguaggio semplice si tras formano in un quadro che prende forma, colori e s fumature di quella primavera che dovrà lasciare il posto all’inverno. «Le sue dita / si arrampicano per i sentieri / delle guance, / solle-citano gli inverni / della barba, / verniciano le imposte / delle palpebre...». Ma l’inverno, il dolore e i sogni diventano solo pensieri e basta un bacio per aprire, come per magia, l’in-canto di un sentimento forte come la t enerezza. E se, come affermava L. Arrèat, « la fonte di ogni poesia è il sentimento profondo dell’inesprimibile», questo si può affermare per i versi composti da Ciro Carfora. L’incanto di una tenerezza sconosciuta di Ciro Carfora

È primavera ed ho deposto i sogni nel baule dei ricordi, troppo greve per poterlo riaprire. Questa mattina, mio nipote sorride, ostenta ingenuità che sembrano dettarmi paragrafi di coraggio in questo mondo che sventola bandiere di dolore. Le sue dita si arrampicano per i sentieri delle guance, sollecitano gli inverni della barba, verniciano le imposte delle palpebre... Il mio bacio sulla sua fronte d’agnello rivela ad entrambi l’incanto di una tenerezza sconosciuta.

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Maria Flora Macchia: concretezza, modestia, amore di Pacifico Topa

È un’ulteriore conferma, se ce ne fosse stato biso-gno, dell’ecletticità di quest’autrice. La policromia pittorica che lei pratica si tras ferisce nella concettuale poetica e riesce a dare quadretti culturali altrettanto vividi e freschi. Sia pur nella diversa trattazione degli argomenti la sua fant asia crea-tiva si sbizzarrisce; la raccolta di liriche Un poeta nella flora (Montedit, Milano 2002) è una lente d’ingrandimento che focalizza i soggetti, mai trascurando gli elementi fonda-mentali della realtà. Leggendo quest’autrice si ha la sensa-zione di vedere riproposto su uno schermo ipotetico il succe-dersi degli eventi umani con tutte le loro carenze, nei loro aspetti meno appariscenti; è una cronaca solerte della verità vissuta, arricchita di pensieri spirituali, di sagge considera-zioni, di elevato senso di realismo. La fantasia, in Maria Flo-ra Macchia, non falsifi ca, non travisa, aleggia delicat amente, senza sovvertire quella realtà che l ei ha davanti a sé. In questa raccolta c’è tanto realismo. «Corre la fanciulla / in-neggiando l’amore / freschezza degli anni / ingenuità di pen-sieri liberi»: una dimostrazione di quanto sopra asserito circa la schiettezza espressiva, la quasi ingenuità creativa, genui-nità assoluta. Qui non vi sono infingimenti, simbologie, esaltazioni morbose, aspirazioni irrealizzabili, c’è concretez-za, modestia, amore per la bellezza della natura, un pizzi co di romanticismo che non disdice mai. Con questa raccolta l’autrice ha voluto dare testimonianza delle sue capacità poe-tiche non solo, ma ha dato sfogo a quella vena ispiratrice che è latente un po’ in tutti, ma solo pochi riescono ad esternare. Qui può parlarsi di semplice e pura poesi a, spoglia d’orpelli altisonanti, modestamente paludata, decorosa, confacente ad un animo gentile, traboccante gioia di vivere, desiderosa di trasmettere ad altri quest a gioiosità. C’è tanta sete d’amore. «Ho bisogno di te / dammi la mano», ed anche: «Vieni amore / spogliami come sai fare tu», espressioni che deno-tano ardore affettivo travolgente e incontenibile.

Filippo Cascino: i colori e i suoni della natura di Enza Conti

“Struggente cinguettio” è una poesia che fa parte di una raccolta di liriche di Filippo Cascino. Si tratta di com-posizioni snelle per la semplicità dei vocaboli, ma nello stes-so tempo intense, tanto da far scoprire, verso dopo verso, sentimenti forti, quali possono essere quelli che nascono nei meandri di un “ Io” non superficial e, ma grande osservatore del mondo. Infatti i colori e i suoni della natura, insieme al sentimento umano, diventano la chiave di lettura dei versi. La poesia è soffusa di una vaga tristezza e sviscera il forte legame che unisce il figlio alla propria madre. Il rap-porto viene esaminato in tutte le sue sfaccettature, tanto da spingere il lettore a calarsi nei versi che prendono vitalità e presentano la madre, un tempo agile e delicat a ma sempre vigile, quale simbolo di sicurezza. Ora, in contrasto, non è più giovane e lesta, anzi lenta trascina il corpo smagrito, con il viso pallido e sfiorito. Sta per giungere alla fine della pro-pria vita. Intanto vi si contrappone il ciclo vegetale, che pun-tualmente esplode in tutta la sua bellezza port ando ancora fiori e canti d’uccelli. Ne scaturisce l’amara consapevolezza che la vita di quella donna è ormai s fiorita, e nemmeno il dolore del figlio le potrà più donare una nuova st agione. Ed ecco che lo sguardo di colui che un tempo vedeva in lei una roccia dove appoggiare il proprio viso, ora va alla ricerca di qualcosa che gli possa dare forza, magari per trovare la ri -sposta lassù nell’azzurro cielo. E la risposta giunge dal cin-guettio struggente di un uccello che richiama alla realtà, mentre il lettore si sente catapultato con il pensiero ad un’al-tra poesia, alla Madre di Giuseppe Ungaretti, in cui il dram-ma della mort e fa nascere l a speranza attraverso un gesto semplice e «come una volta (Madre) mi darai la mano». Da Ungaretti a Cascino ancora speranza: «Mamma, / ritorniamo», ma dove? Verso casa, verso il passato. Struggente cinguettio di Filippo Cascino

Dammi la tua mano, a questo mio mamma. cuore impaurito Fuori è tutto e al tempo che passa, un color di primavera. inesorabilmente. Con passo lento, Ti soffermi ce n’andiamo e mi guardi: nell’aria profumata hai già capito della sera. quali pensieri Mentre mi turbano la mente. ti stringi a me Guardo in cielo così fiera, un passero che vola, guardo, struggente cinguettio con pena, il suo richiamo. il corpo tuo smagrito; Tu, si specchia mi sussurri nei miei occhi un’ultima parola e par di cera, e verso casa, il volto tuo Mamma, pallido e sfiorito. ritorniamo. E penso

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Clara Giandolfo, versi forti e dalla profonda sensibilità di Enza Conti Versi forti, diretti testimoni di una atroce storia vera, al cui apice vi è lo struggente e irrazionale sentimento della gelosia. Così si può sintetizzare la poesia di Clara Giandol fo, “ Strage d’innocenti”, che non canta le “ solite” emozioni di amori spesso platonici, ma veri e profondi sentimenti che spingono anche l’uomo più insensibile a porsi tante domande. Forse per molte non si avrà una risposta. Non si capi rà mai forse che cosa spinga un uomo, un fratello, un padre a scagliarsi con la mano assassina anche cont ro quelle creature che aveva messo al mondo e che avrebbe dovuto amare. Ed è ba-stato un gesto per tagliare in modo inumano, ancora prima di iniziare, la vita della piccola Maria, della sua mamma e dei suoi fratelli. Più che una poesia si può definire una pagina di storia di un paese sconvolto da un gesto irrazionale che ha tras formato un padre in assassino, solo perché appan-nato da un crudo sentimento, se tale si può definire, cioè la gelosia. Quel sentimento un tempo gentile prende sembianze mostruose e fa terra bruci a-ta di “ quella casetta”, prima serena. L’autrice si tras forma in portatri ce di attimi struggenti e, uscendo fuori dei canoni tradizionali della poesia, il suo poetare divent a testimonianza di una realtà vera ed attuale e che dovrebbe far ri flettere magari a coloro che han-no, forse “ inconsapevolmente” e per puro divertimento, scatenato uno stato confusionale ponendo un padre di fronte a mille dubbi. Versi pieni di rabbia, quelli della Giandol fo: «Non resta che chiamarlo / orrendo unico animale, / quale decise diventare / con agire così infernal e!». L’autrice si può definire un’eroina della poesi a perché spezza quell’omertà e allora: Uomini, svegliatevi di fronte a fatti atroci che scuotono «persino gli animali / che fuggono via, / mostrando davanti a quella casa / spaventevole ritrosia!»

Strage di innocenti di Clara Giandolfo Tremendo ricordare quel mai lontano dì quando con madre e fratelli Maria nel nulla svanì la livida alba di quel 29-6 si alzava e in quella casa, terribile entrava a far chiarore su una tragedia allucinante, consumata dal perfido in qualche istante. Giacevano riversi, non so... non fui là i corpi di quattro innocenti dilaniati, da far pietà persino agli animali, che fuggivano via, mostrando davanti a quella casa spaventevole ritrosia! (Com’era bella quella casetta, sino al giorno prima tutta perfetta: da anima veramente gentile, variopinti fiori piantati erano con molto stile; quella casetta meticolosamente ornata, parlava di un’anima ai propri cari dedicata). Ma... il Padre Eterno il Male libero lasciò andare e i Suoi angeli a sé fece ritornare lasciando in pasto al crudo Rimorso quell’uomo di sicuro più feroce dell’orso! (Scusami, orso, se paragono a te un uomo più feroce di cento sciacalli, ahimè! Si offendono invero anche gli sciacalli, che per i piccoli sfamare, cibo cercan per monti e valli!) Non resta che chiamarlo orrendo unico animale, quale decise diventare con agire così infernal e!

20 febbraio 2002 di Adriana de Vincolis

I giorni si susseguivano in un’alternanza di quiet e e disperazione. Quiete a caro prezzo procurat a con ra-ri farmaci, disperazione per non ve-dere la fine del tunnel, la pace estrema cui tutti aneliamo per le troppe sof-ferenze. Alma chiamò Milano, un an-ziano val ente medico che aveva avuto in cura sua madre. Lui le ribadì che bisognava rispettare la volontà del ma-lato, interpretarne, attraverso i ricordi, la volontà che aveva espresso in me-rito precedentemente. Questo non esi-meva dalle responsabilità, ma pot eva essere un atto d’amore. Alma com-prese: avrebbe fatto a sua madre ciò che – in analoghe condizioni – sperava avessero fatto a l ei. Le fiale erano sta-te nascoste nella speranza di non do-verle mai usare, ma il momento era giunto. Da giorni ormai sua madre le aveva fatto cenno di staccarle la flebo, di non insistere più... era troppo stan-ca. Era il 20 febbraio 2002, sua madre spirò serenamente nel sonno. Chissà se anche lei, un giorno, avrebbe trova-to una mano amica, comprensiva e amorevole.

Poeti nella società

Informiamo che il Gruppo culturale Poeti nella società, dopo ben quindici anni di attività, ha cambiato abito, trasformandosi in As-sociazione Onlus, legal-mente riconosciuta, con la denominazione: Cenacolo Accademico Europeo Poe-ti nella società.

Il Cenacolo prosegue la sua promozione culturale con una Rivista alla quale tutti i soci possono colla-borare. Per informazioni: Pasquale Francischetti - Via f.co Parrillo, 7 - 80146 Napoli - tel. 081.752.93.55 sito internet ed e-mail: www.poetinellasocieta.it [email protected]

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Lia Sfilio Borina: Vecchiette perfette, manuale per la brava anziana di Enza Conti «A quelle che vorrebbero rendere eterno tutto ciò che è bello... a quelle che vorrebbero rendere bello ciò che non lo è... alle sognatrici, alle poetesse, a quelle che senza loro colpa non hanno vissuto». Con queste parole, Lia S filio Borina, autrice del volume “ Vecchiette perfette” (Bastogi, Foggia 2002), dedica la sua ultima fatica ai propri lettori o meglio a tutte quelle persone che ad un bel momento della propria esistenza hanno l’opportunità di trovarsi, come di ce-va Dante, «nel mezzo del cammin di nostra vita» e quindi po-ter voltarsi indietro e ripercorrere la vita passata, ma nello stesso tempo continuare a guardare avanti con l’età della sag-gezza. La Sfilio Borina, infatti, prende ad oggetto della sua o-pera, in modo aperto e per certi versi anche un po’ satirico, la terza età, cioè quelle persone che non sono fisicamente trop-po giovani, ma che hanno tanta grinta dentro. E con un tocco spumeggiante l’autrice, tra i ricordi della propria fanciul-lezza, l’analisi psicologica della società e del comportamento umano, nonché di detti e frammenti di episodi vissuti, regala al mondo della cultura un volume, che si trasforma in un vero e proprio manuale con la “ M” maiuscola, che consente per la prima volta di pot er guardare senza veli, con i suoi lati negativi e positivi, il mondo degli anziani, ora ritenuti saggi e indispensabili ora invadenti e inutili. Pagina dopo pagina, si scopre il mondo di quelle persone che non accettano le piccol e rughe sul viso e vanno in cerca di magici elisir o ricorrono alla medicina. Ma in fon-do di quale giovinezza l’uomo va alla ricerca? Sicuramente non di quella apparente, ma di quella interiore che ti conduce lungo la via della vita e ti fa sentire bene con te stessa e con gli altri. E l’autrice affida ai lettori dei fondamentali sugge-rimenti, o meglio dei comandamenti. Infatti Lia Sfilio Borina ricorda che la giovinezza è un fatto interiore e non fatto di apparenze. Quindi non è importante l’apparire, ma l’essere. E soprattutto gli anziani hanno il compito categorico di ricor-darsi che «trasmettere serenità e tranquillità è necessario per infondere speranza ai giovani; anzi, maggiori sono i problemi che la persona anziana ha dovuto affrontare e più la sua mis-sione è efficace: perché, guardandola, i giovani trovino la forza di sperare nella vita». Ecco emergere allora la grande sensibilità dell’autrice che, accanto ad episodi in certo senso satirici, riesce a contrapporre l’importanza del rapporto uma-no basato sulla continuità dell’esistenza. “ Vecchiette perfette” è un libro che alla fine ti con-sente di ri flettere sulle s fumature della vita e su come spesso si giudica o si “utilizza” una persona. Un testo, quello della Borina, che alla fine ti dà la consapevolezza che non è solo un manuale su come vivere bene la terza età, ma è valido va-demecum per tutte l’età. Infatti non è un puro caso che l’autrice inserisca, se pur in forma velata, anche dei suggeri-menti a coloro che vogliono restare “ giovani”. «Dentro di noi dobbiamo trovare le risorse per vivere bene... in quanto non s’invecchia semplicemente perché gli anni passano, ma si invecchia quando non si hanno ideali né sogni». Si tratta quindi di un manuale per raggiungere la consapevolezza che la vita va vissuta con serenità, perché in fondo è l’unico elisir che ti fa guardare con grande coraggio ogni nuova alba.

Enzo Di Gregorio: versi inquetanti in Le infinite latitudini di Maristella Dilettoso

«Dedico queste mie poesie a tutti i perdenti del pianeta terra. Agl’infelici e gli oppressi. Ai disgregati e a tutti coloro che ripongono le loro preghiere strazianti e forsennat e, verso un cielo che per ora è fatto solo di nuvole», così introduce Enzo Di Gregorio la silloge di poesie “Infinite latitudini” (Otma ed., Milano 2002). L’autore è un poeta giovane e ribelle del quale poco o nulla ci è dato sapere, al di là del profilo che di lui ha tracciato Ilaria Provitale in 4° di copertina: «Le sue poesie sono di una potenza lirica agghiac-ciante e rivoluzionaria. Carattere timido, istintivo, pessimi-sta, sarcastico, enigmatico e solitario. Un insieme di caratteri che fanno di questo poeta un seducente trascinatore della poesia. Un libro scritto con una capacità artistica innovativa, scontrosa, raffinata e possent e. Un linguaggio di una geniale filosofia ri creativa, raggiante e inimitabile. Il suo frasario poetico rimane di uno stile incontrollabile imprevedibile così come il suo carattere, pieno di silenzi, che paralizzano chi frequenta questo poeta e chi lo legge».

Volutamente provocatore, nel linguaggio come nel-le immagini, “ poeta maledetto” per vocazione, Di Gregorio urla, per il tramite dei suoi versi, la sua insofferenza agli schemi tradizionali e ai luoghi comuni, la sua invettiva di solitudine. Leggiamo nella prefazione al libro, curat a da Massimiliano Bosco: «Un visionario pessimismo, apparente-mente ispiratore, è la richiesta al prossimo di provare a capire, è la sua denuncia di abbandono proprio verso coloro che la vita la passano senza viverl a», e, più avanti: «La cultura poetica di Enzo Di Gregorio proviene da un illumi-nato istinto autodidatta, laddove la ri flessione, la proiezione critica della propria esistenza prevale sullo studio metodico e filosofico di tecni che imparate a memoria. Il linguaggio è rivolto alla gente di cui Enzo di Gregorio fa parte; solo e solitario appare ma generoso e passionale si concede».

È inquietante il verso di Enzo di Gregorio, non dà certezze eppure anela ad averne, non assopisce, eppure in-consciamente cerca quiet e, non si placa contemplando la na-tura, eppure aspira ad annegarvisi. «Dimensioni e preghiere, anime e labirinti, / ricordatevi di me quando minato nel volo / della mia fuga sarò un frammento di / polvere, che cerca l a gloria attraverso / i luoghi neri della sua distruzione” (Infinite lunghezze). Di là delle strettoie e dei limiti imposti dalla condizione umana, è forse la necessità di confront arsi col mistero: «Siamo grandi. – Vedo il microbo / uomo diffondersi nell’universo. / E contempla la vita» (Astro-nauta), o, attingendo all’infinito, rinvenirvi quella dimen-sione catartica che dia un senso estremo all’umana scon-tentezza: «Il giardino dei miei pensieri è stato / violentato da questa immagine di soluzione. / Solo così potevo avere l a grande visione / logica e colorata. / L’eternità è solo un attimo che non finirà mai» (Fluido magico).

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Racconto

Il viaggio di Elisabetta di Doriana Mori Consoli

Elisabetta fantasticava spesso guardando fuori

dalla finestra della sua stanza. Nonostante fosse felice con i suoi genitori, immaginava luoghi affascinanti oltre l’oriz-zonte della sua valle. Una notte il suo desiderio di cono-scerli si realizzò.

Le apparve un mago su un cocchio lucente che l a invitò a partire con lui. Prima sorpresa e quasi incredula, poi convinta dalle parole del mago, accettò entusiasta e si trovò a volare tra le stelle. In un attimo superarono la valle e i monti. La campagna, i paesi, il mare scorrevano velocissimi sotto di loro. Intanto l’alba e subito dopo il sole illuminarono il cielo e la terra.

In quel momento Elisabetta vide l e strade di una città, in cui la gente camminava in fretta, senza che le per-sone si fermassero mai per salutarsi o scambiare qualche parola. Sembravano tutti affannati a rincorrere chissà cosa. Entravano e uscivano dalle case, dai negozi; passavano tra i banchi dei mercati, dove ogni t anto qual cuno discuteva con voce animata d’affari e mai s’accorgevano di quanto accade-va intorno a loro. In una via un povero chiedeva pane e nessuno l’ascoltava; in un’altra un bambino piangeva solo e gli passavano accanto senza nemmeno vederlo; in un’altra ancora due uomini si picchiavano fra l’indifferenza di tutti.

Elisabetta osservava attonita. Disse al mago: «Non mi piace questa città. Qui regna l’egoismo». Il mago cambiò direzione e sorvolarono una spiag-

gia, dove il mare era blu cobalto, la sabbia color oro, i pini offrivano una splendida ombra fresca a chi si riposava ai loro piedi e molti si divertivano giocando fra i flutti. Tutto sembrava idilliaco, bellissimo.

D’un tratto arrivò da lontano un’onda altissima e nera che fece fuggire quanti erano in acqua. La spiaggia in poco tempo si spopolò, il mare e la sabbia persero di colpo i loro colori vividi e diventarono scuri. Sulla riva si gettavano i pesci e i gabbiani coperti di una sostanza vischiosa che impediva loro di respirare, di muoversi. La distruzione inva-se quel luogo prima ricco di vita. Elisabetta era piena di spavento. Chiese al mago d’andare via. Volarono più in alto, finché la terra diventò un piccolo punto nell’immensità dello spazio cel este. Passavano accanto ai pianeti e alle stelle, che irradiavano luce, pace, tranquillità, ma erano disabitati e aridi. Non si vedevano boschi, fiumi, valli, monti e mari, non c’erano che rocce nude o voragini profonde.

La tristezza invase Elisabetta. Tutto quello che ave-va immaginato non esisteva. Volle tornare a casa. Quando fu di nuovo nella sua st anza, si risvegliò dai suoi sogni e capì che nel cuore delle persone buone ci sono i pensieri più belli, quelli che rendono stupendo ogni angolo della terra.

Non doveva cercare lontano. Bastava guardare den-tro di sé e tra coloro che l’attorniavano per incontrare chi sapeva insegnare e mettere in atto l’amore per gli uomini e per la natura. Sarebbe stato questo il vero viaggio di Elisa-betta: imparare ad amare giorno dopo giorno per tutta la vita.

Di chi son figlio, io... di Silvio Craviotto

Cercherò d’essere breve. Certi fatti, benché accadu-ti in quegli anni lontani che possono essere definiti preistoria di noi stessi, occorre rievocarli in modo assai succinto. Me-glio sarebbe seppellirli in una tomba: quella dell’oblìo. Ma l’impresa è impossibile. Narrarli può comunque essere una liberazione; sempreché non si indugi in particolari che diver-rebbero inevitabilmente morbosi. Non appena ritiratosi dal lavoro, mio padre, uomo ormai socialmente finito, fece ritor-no alla terra, che tanto amava. Amava la rude vita dei campi e la viveva recandosi ogni giorno a lavorare con gli occhi ortolani, che sanno rendere feconda anche l’arida zolla della nostra Liguria. Non operava a scopo di lucro, felice d’essere pagato in natura: frutta, verdura, ortaggi erano delizi a delle nostre povere mense, in tempi di razionamenti e di guerra.

Un pomeriggio tornò a casa sconvolto e con i mise-ri abiti da lavoro inzaccherati di sterco: che tanfo ne emana-va! A mia madre, stupita e spaventata di vederlo conciato in quel modo, spiegò di aver tratto in salvo un’anziana conta-dina, della quale aveva udito l’invocazione d’aiuto: era sci -volata entro un pozzo nero, una di quelle vasche ove conflui-vano gli escrementi per poi essere utilizzati come concime. Ma, nonostante l’intervento di mio padre, la poveretta, intos-sicata dai vapori d’ammoniaca, spirò.

Venne fatta l’autopsia, si svolsero le indagini del caso e tutto confermò trattarsi d’incidente: non fu l’unico del genere. In un paese d’oltralpe perì in tal modo un’intera fa-miglia: tre figli e i genitori. Fu un figlio, il minore, a cadere nel liquame. I due frat elli prima e i genitori poi, nel tentativo di soccorso, seguirono la stessa, orrenda sorte. Il mio povero padre fu convocato in tribunale a testimoniare sull’accaduto e la sua versione venne accettata senza il benché minimo so-spetto. Ma trascorsero circa una decina d’anni e un brutto giorno, passando per caso lungo quelle campagne, incontrai una anziana che viveva ormai solitaria in un casolare sito non lungi dal luogo della tragedia. La salutai, com’è uso tra gente di campagna, e la donna m’invitò a bere un bicchiere di nostralino. Durante la seduta, non tardò a parlarmi di mio padre. «Sai - mi disse - era capo, in fabbrica, addetto ai turni di notte. Ma era uomo molto soccorrevole e non uno stronzo come tanti! Però, un giorno, ne fece una grossa, che avrebbe potuto costargli vent’anni di galera e l a rovina sua e della famiglia...».

Sentii un brivido attraversarmi da capo a piedi e, con voce rotta dall’angoscia, domandai: «Che cosa fece mio padre?». Dopo qualche esitazione, la voce della verità rispo-se: «Tuo padre aveva rubato frutta e verdura nell’orto della mia vicina. Fu preso in flagrante e lei minacciava di denun-ciarlo. Robusto com’era, ben più di te che sei una pappa-molla, lui l’afferrò e la fece ruzzolare nel pozzo nero. La tirò fuori solo quando comprese che ormai era crepata!». Rimasi di sasso. Solo dopo un momento di silenzio, insistei: «Ma come potete affermare una cosa simile?» E lei: «Vidi e ascoltai tutto dalla mia finestra. Se avessi testimoniato, avrei rovinato tuo padre e l a sua famiglia. Ma lui era talmente un brav’uomo che preferii far finta di non sapere nulla!».

Ora, cara lettrice, caro l ettore, sapete di chi son fi-glio, io... (Superfluo dire è costruzione fantastica, ma mio padre salvò veramente una donna finita nel pozzo nero).

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Una passeggiata di Italo Gianquinto

Il vecchio stava camminando tra gli alberi, in un bosco verde nuovo. Stava pensando che Cristo si era battuto per la giustizia dell’oppresso. Neppure lui poteva sapere come gli era venuta i n mente quell’idea. Forse gli era nata pensando a quel giorno quando era andato, con degli amici, alla foce del fiume inquinato.

- Anche la terra è inquinata - aveva detto agli amici, - come l’aria e l’acqua.

- Sì, sì - aveva risposto distrattamente uno di loro, - ma questa è una vecchia storia.

E il discorso sull’inquinamento era finito lì. - Terra, acqua, aria - si era domandato quella volta,

- il necessario per vivere, sono diventate una vecchia storia? Mah.

Tornando al Cristo, stava pensando che era stato il primo a predicare che la terra non è per i latifondisti, ma per chi la lavora e che un pugno di grano e un paio di sacchi di fagioli non compensano una stagione di sudore. A parte il sangue versato nelle lotte per acquisire il diritto di coltivare quella terra.

- Cristo era un partigiano - aveva detto una mezza voce, - che poi certi seguaci hanno fatto figurare come allea-to dei possidenti e dei loro accoliti. E la sua dottrina l’hanno fatta valere solo per gli indigenti. Non diceva forse che l e forze del male, anche se più potenti di quelle degli avviliti, possono e devono essere vinte? E che una volta debellate, bisogna saper preservare quello che si è raggiunto per non farle rinascere dalle loro ceneri, come l’araba fenice?

Dopo aver vagabondato in un labirinto di colori contrastanti ma, allo stesso tempo, armonioso, si era fermato a contemplare il panorama che, improvvisamente, gli era apparso davanti. Tutta quella camminata in salita veniva così giustificata. Poteva vedere un contado che si stava risve-gliando. E, poi, fino al mare.

«Le cose viste dall’alto sembrano più belle, più pulite» aveva pensato.

La lussureggiante campagna, punteggiata dall e macchioline bianche di greggi e mandrie, si stendeva ai piedi del paesaggio ondulato delle colline e boschi e anche dei frutteti in fiore.

Di tanto in tanto poteva vedere i piccoli centri abi-tati e riconoscere quelli più rappresentativi. Tutti arroccati, naturalmente, con il loro speroni di tufo, difesa natural e che li aveva resi inespugnabili. Le vallate si insinuavano tra l e alture e tutto l’insieme offriva contrasti suggestivi. Quello che si poteva provare, di front e a quel quadro così perfetto, era la realizzazione di quanta generosità sia dotata la terra. E non solo verso chi l a rispetta, ma anche, per ora, per chi l a ferisce. Guardando quello che gli si present ava davanti, co-me un regalo inatteso, il vecchio non aveva voluto sciupare quell’istante con parole inadeguate.

Ma stava pensando che se anche si potesse scrivere qualcosa su quello spettacolo, non avrebbe potuto aggiun-gere nulla. Solo lasciare una traccia confusa.

- Anche lo scrivere - aveva pensato, - come la terra, sta morendo.

Lo scrivere dovrebbe essere uno spiraglio di libertà. Ma questo spiraglio sta diventando una vasta caverna colma di sesso e violenza, intesi non come realismo, ma come un modo di vita accettata senza condanna. Che lo scrivere stia morendo è un fatto real e, del resto non è altro che una forma di artigianato.

Il vecchio s’era guardato intorno. Non c’era anima viva. In un certo senso era contento di essere solo con la sua solitudine, per concludere quella giornata con ricordi e pensieri, forse non molto piacevoli e con lo splendore del paesaggio onnipresent e.

Dopo un po’ aveva ripreso a camminare e s’era per-so tra il verde e, poi, senza guardarlo, aveva seguito un sen-tiero in discesa, istintivamente, come lo segue l’asino.

Procedendo con quel passo caratteristico, solo suo, cercando di evitare ciottoli e ramoscelli secchi, il vecchio aveva pensato a tutte quelle cose concepite e mai dette e alla tradizione del silenzio che viene mantenuto sul vasto campo dell’esperienza.

- Non è solo una forma di isolamento - aveva pensato. - Segregandosi in un antro impenetrabile, che si difende come l’orso difende la sua tana, si decide di non far entrare nessuno, amici o no, colpevoli o meno di voler ricreare il mondo come un lager ed esaltare caino. Dove ogni senso di colpa vi ene soffocato dall’affanno di una corsa per mantenersi allo stesso livello sociale degli altri, se non, addirittura, per superarlo.

Dove il tempo per pensare viene a mancare e l’”Io” diventa un altro Dio. Siamo forse tornati ad un’era primordiale, con le sue necessità basilari, sì, ma accresciute dall’avidità, dove quel che conta sono solo i beni posseduti? Uno contro l’altro, uomini contro uomini, uomo contro donna e donna contro uomo, alla caccia del Klondike. Dove la vita non ha più valore, dove il rispetto del diritto, ma anche quello del dovere, sono morti. E dove ci si ammazza come conigli per il possesso di un miserabile piccolo territorio da sfruttare.

C’erano fiori, teneri fiori primaverili, fiori di campo, lungo il sentiero. Nel vederli il vecchio aveva riacquisito fiducia.

- Anche noi dobbiamo superare il nostro inverno quando le speranze s fioriscono per poi, col passar del tempo, rifiorire. Non solo da giovani, ma perfino alla mia età, siamo spesso terribilmente delusi, avidi di conoscere, di scoprire nuove strade, anche se a casaccio e di tentare di capire l a ragione delle cose. Ma lo facciamo veramente per miglio-rarle? O siamo irrimediabilmente ghermiti nel vortice di una danza macabra?

Il vecchio s’era fermato un momento per guardare un masso piantato saldamente sul bordo del sentiero. Aveva avuto l’impressione di trovarsi di fronte ad una scultura mostruosa scolpita da piogge e venti secolari.

- Ecco qui - aveva detto, - un altro gioco della natu-ra. Una figura che entra nella mente per poi creare immagini multiformi che si adeguano all’umore del momento. Forse come i sogni. Quante volte ci svegliamo improvvisamente da un lungo sonno, carico di sogni chiari e concreti, che poi fanno “ pop” e si dileguano come bolle di sapone.

Il vecchio aveva ripreso a camminare, un po’ confu-so. Non era certo di quali sogni stesse rimuginando. Ma l’u-more del momento l’aveva portato a credere che stesse par-lando di quelli che sono fatti tramontare da una minoranza di

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rapinatori di beni e violentatori del mondo culturale, ma an-che dall’incapacità di resistenza della maggioranza avvilita.

- Ma i sogni sono solo poesia. Quindi siamo tutti poeti - aveva pensato. - L’interpretazione della poesia, come quella di un quadro o della musica, è solo personale. Guarda Gluck, per esempio. Lui diceva di cercare di ridurre la musi-ca alla sua vera funzione, quella di accompagnare la poesia, per rafforzare l’espressione dei sentimenti e l’interesse delle situazioni. Mozart, invece, dichiarava che la poesia deve essere figlia ubbidiente della musica. Un quadro può rappre-sentare qualcosa di diverso per ognuno di noi. Si tiene conto di molte cose. Per me, per esempio, quello che più conta è il perché di quella creazione, e l’umore dell’artista che l’ha di-pinto, in sostanza, lo stato psicologico del momento. Se, in-vece, è un quadro della natura, lo devo accettare così com’è, perché con un dio non si discute, ci si può, al massimo, accordare.

Il vecchio si era fermato nuovamente, calcolando quanto gli rimaneva da camminare per arrivare al paese. Per un momento aveva anche sentito che le l acrime gli stavano salendo agli occhi. Ma solo per un momento.

- È la stanchezza - aveva detto. Ma il perché non lo sapeva veramente. Allora si era

ricordato di un giorno, quando un giovane amico lo aveva sorpreso con le lacrime che gli scorrevano sulle guance.

- Cosa fai, vecchio, piangi? - No, sto solo ricordando. - Ma quelle lacrime che scorrono sono reali. - Non esistono lacrime reali, sono solo private. Dopo una buona ora, il vecchio era arrivato al pae-

se. Era un paese domenicale, con turisti che erano venuti dalla città, anche. Guardandoli, non aveva t rovato nessuna affinità con loro, anche se si rendeva conto che ci dovrebbe essere analogia tra esseri umani. Se non altro, originata dalla comune indigenza spirituale.

Si era avventurato per i vicoli stretti e ciottolosi, qualche volta seguito da occhi bigotti che lo osservavano. E questo essere scrutato lo faceva sentire diverso, in sostanza, non imparentato con loro.

- Ogni paesetto, in fondo, è un mondo a sé - aveva pensato. - Ma anche in questi posti ci sono le giornate che vengono e vanno, che rivengono e rivanno con un’imperdo-nabile e crudele imprecisione. Ogni paesetto è un fantasma - aveva poi aggiunto con un sospiro, - che appare, a volte, dalla nebbia del tempo. Come noi vecchi che, col passare de-gli anni, diventiamo spettri che raccontano storie che nessu-no vuol stare a sentire. E che pi antano roseti di cui non ve-dranno più la fioritura, che poi sono roseti personali, spine comprese.

Il regalo di nozze di Santo Sgroi Era tempo di guerra e si conobbero durante uno dei soliti allarmi aerei. Nel correre verso il più vicino rifugio, ad Elsa, spinta dalla folla, saltarono addirittura le scarpine. Gui-do, che le stava dietro, se ne accorse subito insieme al disa-gio di lei nel camminare scalza sul selciato sconnesso della via. Allora, senza tanti indugi, la prese sulle braccia e l a portò così fino al ri fugio, come una sposa novella. Ad Elsa, signorina romantica, quel gesto piacque molto e molto le piacque anche quel bel giovanotto tanto gentile. Così seduti uno accanto all’altra, mentre fuori l’antiaerea faceva un gran fracasso, parlarono a lungo del più e del meno, con giovanile incoscienza, anche perché si sapeva che il nemico sganciava le sue bombe solo su obiettivi militari. Al segnale del cessato allarme, uscirono fuori con gli altri e, ridendo, recuperarono le scarpine di Elsa ancora sul selciato. Naturalmente si rividero molte altre volte, sim-patizzando sempre più al punto che Elsa lo presentò ai suoi. Poi... poi vi fu per lui la chiamata alle armi e con-seguente partenza per il fronte. Succedeva quasi giornal -mente per tanti giovani, in quei tempi, ma per loro due fu quasi una tragedia. Tuttavia Elsa lo accompagnò alla stazio-ne con lacrime e speranze. Speranze che si accrebbero, nelle settimane seguen-ti, alle quasi regolari notizie di lui. Poi, improvvisamente, più niente. Elsa paventava quello che poteva essere succes-so. Perciò, istintivamente, tardò a rivolgersi alle autorità militari. Ma ad un certo punto non poté più farlo e la risposta uffi ciale fu proprio quel che aveva temuto. Guido risultava disperso. Il che equivaleva quasi ad una sentenza di morte. Passarono così tristissimi mesi. Poi un maledetto mattino il nemico non si contentò più di bombardare solo gli obiettivi militari. La città fu dura-mente colpita e specialmente il quartiere di Elsa, addirittura la sua casa. Mentre correva coi suoi verso il rifugio, questi furono entrambi mitragliati sotto i suoi occhi atterriti. Rimase loro accanto come inebetita, incapace di emettere un grido, di fare un gesto qualsiasi. - Purtroppo non c’è ni ente da fare – disse ad un tratto una voce alle sue spalle. Allora Elsa si scosse, si voltò di scatto e vide dietro di lei l’avvocato Lucio Fanti, suo padrone di casa e amico di famiglia insieme alla madre. - Lo so... ma non è giusto! Dovevo morire anch’io! - ribatté, piangendo, finalmente. I due si sprecarono nel farle coraggio e forzandola di raggiungere il ri fugio. Poi a suo tempo, dopo la sepoltura dei suoi cari, le proposero addirittura di seguirli in una loro villa in campagna dove avevano deciso di sfollare. Elsa accettò come un automa, distrutta dal dolore e da febbre nervosa che durò a lungo. Quando finalmente ne guarì, Lucio e la madre raddoppiarono in premure nei suoi riguardi. Al punto che un giorno Elsa, aiutando in cucina l a signora a fare un dolce, si rammaricò di dover presto lasciare quella casa ospitale. - E chi te lo impone? – obiettò la signora.

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- Ma la buona creanza. Ho approfittato fin troppo della vostra gentilezza, della vostra ospitalità quasi da parenti. - Nessuno ti impedisce di farci diventare davvero tali – le fu ribattuto. Allora Elsa aveva capito tutto. Possibile che si fosse arrivati a quel grado di intimità? Ne chiese conferma, anche se non ce n’era bisogno. E, avutala, non nutrendo più spe-ranze sulla sorte di Guido, non rifiutò la richiesta uffi ciale di Lucio, dato che anche lei gli si era affezionata, trovandolo un bel giovane, sistemato, davvero un buon partito. Seguì il fidanzamento, un periodo felice e final-mente la fine della guerra. E si era a poche settimane dalle nozze, quando avvenne quell’incontro inaspettato... La città, quella sera, naufragava nella nebbia. Un mare denso, cinereo, appiccicoso, di cui riuscivano ad avere in qualche modo ragione solo le insegne al neon dei locali e i lampioni delle strade. Ma era una vittoria così stenta, che ad una cantonata Elsa che era uscita per fare delle compere, che poi non aveva fatto, cozzò contro qualcuno. Si giustificarono a vicenda quasi contemporanea-mente. E si sarebbero lasciati dopo quelle poche banali parole, se le loro voci non li avessero addirittura scioccati. - Guido! - Elsa! E per un istante il silenzio, tutt’intorno, fu quasi tangibile mentre i ri cordi tumultuavano in loro. Poi si ripre-sero. Istintivamente lui accennò al suo calvario di guerra, in ospedale prima, poi addirittura in un campo di concentra-mento. Lei alla tragedia dei suoi, alla bontà del Fanti, al suo fidanzamento. - Ma adesso... - Elsa interruppe il suo racconto per cercare nella nebbia la mano di Guido. La trovò e la strinse. – Ma adesso che ci siamo ritrovati – riprese – sento di non essere molto cambiata da quel giorno che ti accompagnai alla stazione. Se vuoi... tutto fra noi può riprendere al punto dove l’abbiamo lasciato. - Non è che non voglia, cara - Guido ritirò la sua mano da quella di lei. - È che non possiamo. Tu per ricono-scenza verso quel galantuomo, io perché sono sposato. Sì, hai sentito bene. Non avendo più notizie, appena tornato dalla prigionia, ho conosciuto una degna ragazza a cui mi sono unito. E aspettiamo presto una creatura nostra... - In t al caso… - visto fallire e non per colpa sua il suo primo amore, Elsa ripiegava istintivamente nel secondo che si era già dimostrato così efficace in passato. - In tal caso... – ripeté – è proprio meglio per tutti e due che non ci si veda più. È quello che credo anch’io, cara. Ci faremmo solo del male comportandoci diversamente. E soprattutto lo fa-remmo a due persone che non lo meritano perché ci sono care. La voce di lui non aveva mai avuto la minima esi-tazione. Era venuta dalla nebbia, senza contorni, e lei poteva sempre far finta di avere tutto sognato. - Addio dunque e auguri per tuo figlio, Guido. - Altrettanti a te per le nozze, Elsa. Addio... Fu solo quando sentì il picchiettio dei tacchi di lei perdersi nella lontananza, che Guido si toccò con la punta di una mano l’orribile s fregio, refrattario a qualsiasi plastica,

che gli deformava il viso insieme alla malattia inguaribile che gli deformava i polmoni. Il marchio di un sadico aguzzino il primo e una conseguenza della lunga prigionia la seconda. Condizione che lo aveva ridotto in breve una larva d’uomo, coi nervi distrutti, che lo forzava ad usci re poco e solo col buio per non destare la pietà di nessuno. E soprattutto che gli aveva suggerito la bugia del suo matrimonio per allontanare per sempre dalla sua vita di minorato l’unica donna al mondo che aveva e avrebbe appassionatamente amato. Quella bugia era st ata il suo povero e insieme sontuoso regalo di nozze. E non importava proprio che si fosse portato dietro il residuo della sua scarsa volontà di vivere – pensò scomparendo nella nebbia. L’importante era che almeno uno di loro due fosse riuscito ad essere felice, nonostante tutto.

I detti antichi

a cura di Concettina Putortì Di grandi valuri sunnu i ditti antichi, chini d’inse-

gnamentu li so frasi (Di grande valore sono i detti antichi e pieni di insegnamenti le loro espressioni).

Cu sapi e taci s’acquista a paci, cu sapi e dici s’acquista nimici (Chi sa e tace acquista pace, chi sa e dice acquista nemici).

Si voi sapiri cu ti murmuria: cu parra mali i ll’autri cu tia (Se vuoi sapere chi ti critica: chi parl a con te male degli altri).

Patri e pat runi hannu sempri ragiuni (Padre e pa-drone hanno sempre ragione).

Cu rici chi ti voli beni cchiù di mamma, di para-bula t’inganna (Chi dice di volerti bene più di una mamma, ti inganna con la parola).

Amicu chi voi beni a lu to amico, non cunfidari tutti lu to cori (Amico che vuoi bene al tuo amico, non confidargli tutto il tuo cuore).

Povuru non è cu non avi nenti, poviru è cu n’ci basta nenti (Povero non è chi non ha ni ente, povero è chi non si sazia mai).

Si l’ortulano ti duna un muluni, non pritendiri tutta la casedda! (Se l’ortolano ti dà un melone, non pretendere i frutti dell’intero orto).

Si la scecca passa la sciumara, non ci rubbari la barda e la sedda! (Se l’asino attraversa il torrent e, non rubargli il basto e la sella, che significa: non approfittare troppo del prossimo).

Si na donna ti duna ‘nbaciuni, non la vardari s’è brutta o s’è bedda! (Se una donna ti dà un bacio non guardare se è brutta o se è bella).

Dammi cu dammi s’acquista l’amicu, non è veru amicu cu pigghia e non duna, a chiddu tenatillu pi nimicu, chi poviru di cori è di natura! (Dare con dare porta ami-cizia, ma non è vero amico chi prende e non dà. Quello tieniti per nemico, che è povero di cuore per natura!).

L’arburu pi com’è faci li frutti, la genti pi com’è faci li fatti! (L’albero dà frutto per quello che è, la gente fa i fatti per quella che è).

L’omu chicchiaruni non vali nu buttuni! (L’uomo chiacchierone non vale un bottone, cioè nulla).

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Poesia Italiana

Tu

di Marisa Panato

Tu che ancora guidi i miei passi lungo i sentieri delle emozioni vere Tu che ancora porti il mio cuore a godere di un sorriso Tu che ancora alimenti in me il piacere di ritrovarti in ciò che scrivo Tu che ancora da lontano mi sorridi tendendomi le mani La pena del papà di Walter Campetti

Ormai i giorni della pena sono trascorsi ma non finiti. Non dimenticherò mai

un così grande dolore credo che questo tormento non potrà essere cancellato dalla mia mente di genitore.

Il ricordo resterà in me dentro di me come una freccia nel cuore. Il mio pensiero per te

resterà nella mia mente come tante pene dolorose. Ciao figlio mio ciao con tutto il cuore dal tuo Papà.

Italietta di Salvatore Arcidiacono

Va Italietta, va procedi pure lungo lo scrimolo e non badare al botro che ti attende. Imbocca pure strade di perdizione poni Cristo in quiescenza e ignora la madonna dei poveri. Celebra il tuo progresso mostra quale vessillo la licenza di uccidere la liceità del furto il permesso di stragi. Non fermarti a ri flettere spera nella canapa esaltati nell’usura fai del violento il nuovo dio poni sull’altare feticci.

Rendi grazie ai Pitecantropi seppellisci il Verbo e osanna a Mammona. Poni su regali arnie la grande cocotte l’orso immondo il caimano tradire le tre tigri artefici di rovine e il pecorone del nulla. Va, italietta, va non badare a Dio anche se lo senti piangere continua a immergere le zampe in tinozze di corruzione pianta chiodi nell’uomo alto nella sua croce. Procedi dritta e sicura mai tanto fiera della fiera della tua condanna. Va, Italietta, va! Non è la storia di un Dio

di Giuliana Milone

Allora la tua Luce spunterà come l’Amore, e le tue ferite ben presto guariranno e la tua giustizia ti camminerà davanti e indietro a te la Gloria del Signore (Isaia 58-8).

Non è la storia di un Dio, né quella di un uomo che volle esser Dio, è la storia dell’uomo che più se stesso non ignora e inizia a ricordare…

Un silenzio di pace scese sul mosaico di antiche pietre aggrappate a monte e pennellate d’Amore erano come sospese nel tempo coagulato per annunciare l’uomo, pensiero di Colui che pose la Parola sulle sue Labbra per parlare al cuore così come richiede, ora, il ritmo della Vita; venne a cancellare menzogneri schemi della guerra e le corazze, scudo al desiderio di far violenza all’altro,

miti tormentati che ancora esplorano il blocco monolitico dell’egoismo; muta, intorpidita, la coscienza osservava la Luce che traspariva dalle Sue Mani e il Verbo scaturito dalle Sue Labbra per indicare di vivere la vita come nessun libro mai sarà in grado di dire. Vivere con Amore fra la caligine di questa Terra afflitta, Terra di uomini che lottano e sono polvere aggrappata all’assenza, al desiderio di potere e orgoglio; ma questa Terra, mai sarà troppo scura perché l’Amore non ne sostenga i lembi… ecco perché Lui venne, perché la Differenza divenisse Uno, perché parole mute iniziassero a dire: imparo, comprendo, sono, amo. Così la Luce che emerse dalla polvere e sempre come il sole si alza, la Terra voltò una pagina della sua storia. L’imperfezione della conchiglia di Gaetano Perlongo

...la perla nasce dall’imperfezione della conchiglia

la poesia... dalla cerebral e entropia

e come non si pensa al difetto della conchiglia ammirandone la perla

così la poesia incontrando la follia ne illumina la notte...

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Campane a vespro di Pacifico Topa

Nell’aria serena del vespro il giorno scolora pian piano ed ecco venir di lontano un debole suon di campana. Nel cielo s’addensa la notte, già l’aria si fa più pungente e tutta s’appresta la gente godersi il riposo serale. I lenti rintocchi per l’aria si spandon con ritmo crescente e invadon la notte silente con onde sonore, lontane. Il suono dilegua, ritorna, giungendo a portare a ogni cuore un dolce messaggio d’amore, unito a tristezza infinita. S’inseguon le note tremanti del bronzo che dondola al vento l’orecchio le accoglie contento com’eco di voci lontane. dall’umile suo campanile si sporge la vecchia campana e lancia la voce sua arcana a tutti augurando il riposo. Aspetto

di Loretta Bonucci

Aspetto che venga la notte per vegliare con le stelle, per bisbigliare con i grilli, per camminare con le lucciole e andare lontano dove c’è pace, dove c’è pane dove c’è acqua, dove trovare il necessario per vivere e che non sia un sogno, ma realtà. Il dubbio

di Michele Albanese

Il buco nero dell’essere trita il dubbio. Il grido rinnova il silenzio e il dente affonda nella mela.

L’ultima luna di Alfonsina Campisano Cancemi

Inutilmente cerco la tua ombra di quercia per sciogliere ai tuoi piedi i petali del cuore in un braciere fumante di silenzi sacerdotessa d’amore sacri ficherò la mia veste per darti la mia pelle nuda

La favola ch’era in me si è spenta e labirintici specchi deformano la mia sete in maschera d’acciaio duro

Mi bruciano le ali lapilli di morte chiudono in un bozzolo nero l’ultima luna

Strapperò alla terra sabbia calda e cenere per la mia carne fragile finché il mare mi coglierà precipite mescolando il suo pianto al pianto mio

Già sui muri si disegna l’ombra gigantesca

Sono stanca di respirare smog stanca di credere nel gioco antico se nera la vertigine si spezza in un caleidoscopio di cuccioli feriti

Che qualcuno mi spalanchi la porta per udire ancora parole di vento sull’ara antica di Pompei dissepolta. Orpello di versi

di Nicola Rampin

Posso trovare una dimensione, immerso nei libri. Questo contenitore culturale e maniacale. Rime baciate, alternate, incatenate ad una penna in un afflato che dura poco più del tempo di prendere un foglio. In un orpello di versi cerco di abbassare la maniglia della porta che sta dentro...

Libellula di Beatrice Torrente

Libellula solitaria danzi sulle punte, seguendo misteriose note che distratto un suonatore ha affidato all’aere. La tua grazia accarezza il vento, il tuo corpo, sinuoso giunco, segue nell’estasi la melodia che tu sola odi. Sospesa tra eternità e tempo affidi all’infinito che ti sovrasta la grazia delle tue movenze ove il tuo corpo si trasfigura e parla il linguaggio dell’anima. ____ La lirica, che affront a il tema della Dan-za utilizzando la metafora raffinata della libellula è un percorso espressivo in cre-scendo in cui la Torrente indaga, ricer-ca, analizza nei particolari. Mentre a-scoltiamo un concerto di misteriose note ed essenze, osserviamo il “ sinuoso giun-co” che danzando segue la scia delle note e dà prova di bellezza, di raffi-natezza, di preziosità di movimenti. Pe-culiare e suggestiva è l’energia che spri-giona la figura, ricca di s fumature, della libellula che vibra libera nell’atmosfera. Affascinati dalla lettura siamo avvolti in un dolce torpore, in uno squarcio di immenso, in cui si muove l a ‘libellula solitaria’ che esplicita con candore il suo mondo interiore. Complimenti alla poetessa perché ha saputo colorare con i suoi versi una lucida tela che descrive la magia e la meraviglia di un attimo di Danza che, s fidando il Tempo, diventa Eterno (Micòl Garbo) Estasi

di Chiara Filippone

Improvvisa, si accende una lampada [in cielo;

s’infiamma, stupito anche il mio cuore; e, felice, mi lascio baciare dal caldo tepore. Quel bianco bagliore, blandisce,

[vezzeggia, accarezza e mi lascia sognare; adombra e, poi, oscura, pian piano, gli opachi pensieri; magica stella, fonte di vita limpida, fiera chiara e lucente, nume possente, ti insinui, pian piano,

[nell’animo mio; lo prendi, lo scuoti, dissolvi

[le torbide nebbie; e..., violento, mi immergi in un mare di luce, dove annego felice.

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Estasi di Alfio Spina

Rimasta sei tra le cose belle di un passato lontano e il tuo volto esprime ancora l’estasi di un tempo allorquando represse emozioni tralucevano amore ai tuoi occhi incantati. ... A notti chiare si cantava sotto le stelle e i nostri sguardi si accendevano di ardori adolescenti, mentre il tempo fuggiva odiato e ad uno ad uno impallidivano i ricordi. Ora, come in un sogno, ti rivedo così com’eri ed io coi miei pensieri trasvolerò negli anni andati per ascoltar da te quelle parole che in suo muto sentire allor ci suggeriva il cuore. Teorema

di Annalisa Guerrera

La colpa non fu né mia né tua ma dei guastagioco, che sconquassano l’equilibrio, spostando la linea del nostro teorema. Tu allora, te la prendesti col destino e trovasti quiete. Io, intontita per sanare la ferita detti ai cani la pelle affamata dei perché, il velo degli occhi per eclissare l’incantesimo del tuo sorriso. Ora, né io né tu incontrandoci ci facci amo un gesto. All’archivio della cenere, ci andrò mentre gli altri dormono, in sordina, mano con mano con l’angelo ladro, e faremo insieme quella salita di bambagia. No, non chiamarmi per l’ultima cucchiaiata d’amore… No, non ammaliarmi con cataplasmi di parole. La tua voce lamentosa invoca sulle tue labbra aride, mammelle di pace. Soldati

di Antonio Conserva

Dritti... Allineati come birilli cadono allo strike della potenza del gioco.

L’inverno di Iole Tuttolomondo

L’inverno ha indurito le zolle.

I campi fioriti sono un lontano ricordo e il mio sorriso è triste come questa pioggia ossessiva, lenta, che rintana le lucertole e priva dei castelli di sabbia le rive d’alghe.

Gli alberi ombrosi invocano il cielo: è una morte apparent e che attende la stagione dei sogni, degli esili germogli. Dov’è Dio? di Suor Barbara Ferrari

Finitezza m’intesse le membra consunte; neuroni in movimento turbolente raffi che di pensieri.

Finitezza e fatica: mani fragili e voce muta, ma tanta verità centellinata nei minuti che corrono – quasi eterni.

Finitezza del cuore: debolezza che consuma notti in veglie, in attimi d’angoscia e flebile speranza.

Dov’è Dio? La storia del mio voto di Francesco Romeo Gazzetta

Alla prima volta votai DC per paura del PC, dei guai vi erano in vista e votai partito socialista. Da sinistra a destra tutti votai, ma i guai non finirono mai. Insistei con il voto di protesta, ma non successe nessun colpo di testa. L’italiano continua a votare DC e al finanziamento dei partiti ha detto sì. Il partito democristiano non è cambiato, ha rubato, mangiato e imbrogliato. Fra clientelismo e immobilismo è nato anche il terrorismo. Si spera che con le elezioni dell’80 il popolo il voto cambia. Sentendo incredulo il risultato, capisco che nulla è cambiato. Un dubbio mi viene in mente che forse io sia un demente?! Finalmente non si dirà più, democristiano ladro e imbroglione, anch’io voterò e mi allineerò all’italiano… drittone.

Il figlio strano di Silvano Messina

Dio, sei un vecchio babbo con la barba bianca e lunga e i capelli canuti che mi accoglie in casa sua per quante volte io possa scappare mi accogli sempre perché sei là ad aspettarmi le persone del mondo non mi potrebbero perdonare ma tu sì mi accompagni in cammini di solitudine per stretti sentieri erbosi in mattini rugiadosi e umidi grigi di nuvole cani mi abbaiano contro, a frotte su di me per impaurirmi ma io ho te e non ho paura persone mi guardano male e mi minacciano ma io non temo la morte né le loro ferite, né i loro giudizi perché ho te e faccio quel che mi illumini per quante volte io possa scappare, Padre dal tuo Regno tu mi accogli sempre per quanto gli uomini mi odiassero tutti e mi uccidessero io non li temo perché sei con me. Sono il tuo figlio che fugge spesso dalla tua Casa o Signore ma torno a te per quanti sforzi faccia il maligno d’impossessarsi di me sono il tuo figlio strano il mondo deve sopportarmi per quanto non vorrebbe ch’io fossi così deve guardarmi perché io ho la mia parte di mondo ch’è il mio corpo e la mia mente non sono isole private né fabbriche ma ho la vita e per quanto a nessuno piaccia la gente deve vedermi così come sono affinché gli uomini sappiano che quel che fanno li tiene lontani da te affinché nessuno possa gloriarsi d’aver fatto ciò che ha fatto nel mondo ma abbia la sua parte di disperazione. Per me tutto il mondo già non esiste Padre, tu m’hai detto che i rimasugli d’esso sprofonderanno nell’Inferno e chi l’ha fautorizzato brucerà eternamente con esso la tua volontà e il tuo Regno sono per me la sola volontà di vivere il mondo per me non esiste e faccio la tua Volontà.

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Il suono della vita di Claudio Armini

Il vento tra i capelli all’orizzonte antiche pietre solo sabbia sotto i piedi e i sandali vogliono tornare indietro ma questo cielo vibra su di me… cosa sarà?

Il mio vecchio pianoforte è ansioso di tornare ad ospitare le mie mani sudate e leggere che nel cuore han già ripreso a suonare ma questo tempo vibra insieme a me… cosa sarà?

Sarà ancora tempo di vivere lontano da qui risalire la vetta “ Energia, sei ancora li?” Da bambino ascoltavo il suono della vita che correva lontano da qui.

Quattro soldi nelle tasche nella testa solo sogni e fantasia l’erba secca tra i binari corre lungo la via della mia vita e questo cielo azzurro sopra di me… cosa sarà?…

Sarà ancora tempo. Una classe speciale di Angela Giallombardo

Alla porta santa uno stuolo festoso gioioso rumoroso di bimbi ciarlanti. Non libri, non zainetti.

Manine alzate verso l’alto levate occhi ancora smarriti spauriti.

Tanta ansia d’entrare. Insieme serrati fortemente abbracciati.

Una classe speci ale una giornata fuori dal normale.

Non campanella che indichi l’ora non banchi né sedie per sedere solo luce, canti e osanna. Il Signore viene uno ad uno ad abbracciare tutti a consolare.

Mare di Massimo Cassarà

Forme sparse acquoree libere d’urlare dentro un deforme catino lì appresso educandosi alla pazienza solcata dagli eventi impariamo a dire “ disperazione”; dalle zattere urinate tra i fuochi delle sponde estreme vedute s’aprono di fauci entrambe affamate: del pane il sudicio sud; dai tuoi glaciali abissi puoi raccontarmi il pensiero in cristallo ed il perduto senso.

Ora ho nostalgia dei tuoi sogni: tiepidi fondali equatoriali tu, che hai luoghi ancora di riposo, rifugi corallini e grotte profonde placide in esse immergi il pensiero stanco.

Spirito domo pare il mio, trascinati gli occhi nella tempesta, nel turbinio, in ogni districarsi fragoroso dalla pace morta, indotta dei potenti. Addio senza ritorno di Mario Cerniglia Addio, amore mio. Vado via, non sono stato il vero amore per te, sento che la mia vita non vive più con te. Non trovo più il mio amore per te. Cosa è la felicità per te insieme a me dopo aver vissuto tanti giorni insieme a te? Se avessi potuto dirti di più, sarei più felice, la felicità non esiste al mondo. Nessuno al mondo può dire: «Sono felice». Verrà un giorno che può finire la felicità di un grande amore, la felicità è volersi bene con la persona che ami per tutta la vita.

Ode all’E.U. di Raffaele Sciubba

Fummo celtica, elladica, germanica gente; latina, etrusca od anche iberica stirpe. Fummo anni, secoli, millenni

[d’atroce odio fraterno; al fin pervenne, d’antica fonte, saggezza. Or siam d’Europa un sol popolo libero; d’etnia, di credo, di fede uni siam

[con gioia infinita.

Acque limpide sgorganti da Shannon sorgive, di Reno germano, oppur di Tevere etrusco, di Senna o Tamigi, di Tago o Danubio:

[colme di storia son acque fluenti in un unico mare. Or siam d’Europa un sol popolo libero; d’etnia, di credo, di fede uni siam

[con gioia infinita.

Monti innevati, oppur anfratti rupestri, nordiche terre, oppure temprati pianori, colli ridenti, campi fecondi, furon

[nei tempi patrie dimor, di vita, di lotte, d’Europa le genti. Or siam d’Europa un sol popolo libero; d’etnia, di credo, di fede uni siam

[con gioia infinita.

Scuola scelta di vita, di pensieri profondi, d’umane virtù, d’arte e di fervido genio; tanti e poi tanti nel mondo furono

[i fermenti, ancor più d’Europa, eccelse furono le menti. Or siam d’Europa un sol popolo libero; d’etnia, di credo, di fede uni siam

[con gioia infinita.

Dopo tanta infausta sofferta mestizia, dopo tanto, tanto fluir ne’ fiumi il pianto, dopo lotte, attese, speranze,

[i cuor novella allietò: «Pax tibi, Europa Patria nostra, atque orbi». Or siam d’Europa un sol popolo libero; d’etnia, di credo, di fede uni siam

[con gioia infinita.

Or salga in ciel, vieppiù forte, l’ode di gloria, or salga in ciel, vieppiù alto, l’inno alla gioia. Voglia, dall’alto, benigno, il gran Padre,

[celest e ed eterno, proteggere i cuori, le menti, le genti. Or siam d’Europa un sol popolo libero; d’etnia, di credo, di fede uni siam

[con gioia infinita. Un raggio di Sole

di Rosalba Cassinari

Ho conservato un raggio di sole nel mio cuore, per riscaldarmi nel tempo delle piogge.

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Covano a lungo tristi rimembranze, osservano in silenzio il risveglio della natura, tra cielo e mare la mente spazia oltre gli orizzonti.

Avverto una sorta di tepore che dona al mio spirito fantastici bagliori d’immagini.

Disegno le onde che increspano le acque. Sul muschio degli scogli s’ode soltanto un tenue sciacquio, rivedo orme sulla sabbia disperse dall’onda.

Un rosso pensiero un mare azzurro porta nel mio spirito la speranza di un domani migliore! Non si perdano nel nulla di Pietro Nigro

Non si perdano nel nulla di un’esistenza dove s’addensano presenze immortali che fondono vergini colori saturi di purezza a ricreare i sogni della mente voli verso mete remote sensazioni che ti fanno possente infinito che ti esalta o illanguidisce il tuo pensiero sfumante nel graduale evolversi amalgama di elaborazioni mentali. Da questo desiderio scaturì il bisogno di dare forma al mistero e dal tunnel del cosmo esplodere nella luce dell’ultimo vero. Il sogno

di Giacomo Paternò

Sogno per tutta la vita di conoscerti: e ora il mio amore appare solo necessità.

Perché sembrava già tutto scritto: le nostre passeggiate gli sguardi, gli abbracci le carezze, i respiri l’incontro dei nostri cuori come le labbra che chiudono fuori il mondo attorno a noi.

Avevo abolito ogni distanza fra me e il Senso fra me e le mie passioni fra me e i miei pensieri che tu dolcemente mi leggevi.

Odio la luce del mattino, perché mi ricorda che il sogno è finito. L’attesa

di Bruna Boschin

Gioca la sabbia tra le mie dita, vela il tuo corpo di sole dorato, teso il tuo piede sulla battigia s’allunga tra l’onde, di mare s’imbeve. Pulsa il desiderio sotto la pelle, brucia il mio corpo accecato di luce, s’inebria nel tuo. Fremito e gioia trascorron nell’aria, istante d’attesa dentro mi stringe, ch’è dolce gustare. Al martire Giuseppe Materia14 di Giuseppe Materia Barbaramente venne fucilato per rappresaglia nei gravi eventi dell’ultimo conflitto che c’è stato. Cinquantaquattro morti innocenti perché un tedesco fu ammazzato da ignote persone incoscienti. È stato veramente sfortunato. Dopo molto tempo a noi parenti è giunta la notizia dolorosa. Fu strappato così alla famiglia un martire della seconda guerra. In Sardegna nella città di Bosa è stato tumulato dalla figlia perché residente in questa terra. 14 Il dott. Giuseppe Materia fu uno dei 54 martiri di Bellona (Caserta), dove venne fucilato dai soldati tedeschi per rappresaglia il 7 ottobre 1943.

Frammenti di Parmenide di Silvio Craviotto

Frammenti non restano che frammenti iatromantici incisi nella roccia restituiti emersi dalle sabbie dalla notte dei tempi

Ogni sillaba è seme che attende d’essere assorbito racconto di viaggi mai avvenuti ma appena sussurrat a può cambiare il corso di una vita

l’ultima parola è la prima la prima è l’ultima chiude il cerchio s’avvolge su se stessa ed è così che inizia un nuovo ciclo ciò che vediamo è solo un’illusione

ciò che tu afferri è privo di sostanza uscito dalla rete che lo avvolse torna all’acque profonde della notte ‘ichtis’ risorge ancora e sempre a nuova vita.

«Chi, dall’arte del linguaggio, si attende soltanto dilettevoli giochi di parole e di immagini, meglio farà a neppure iniziare la lettura di questi testi. Eraclito, Parmenide e Talete ci hanno insegnato la sacralità della parola-seme di pensiero e di vita. Giovanni si è fatto nunzio del ‘Logos’. Chi, dopo i 25 anni d’età, intende continuare ad essere poeta, non può sottrarsi all’imperativo che vuole la Poesia nutrita d’un fondamento filosofico-religioso (orfismo)». Il dono di un’orchidea di Narcisa Belluomini Celeghini

Quando vedi una nonna dai capelli bianchi, non scordare che è anche una donna. Una donna piena d’amore per ogni essere umano, per gli animali, la natura, i profumi, i colori, i suoni, i fiori. Una donna, che per l’esperienza sa apprezzare la vita, che ancora vede l’alba, il tramonto così come fai tu. La sua notte è più vicina, la sua voce pacata è stanca, e nell’ombra del tramonto, gli anni non li conta più, ma, finché vive, ha in sé la femminilità, la dolcezza, l’amore, la voglia di sognare, che le danno forza, e ai quali si tiene stretta con tenacia fino alla fine.

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Traghettatori di Giorgio Boncompagni

Si sono impiccati all’albero maestro della propria esistenza dopo aver servito ai poveri sterco di cani in miseri piatti. Si sono impiccati sbavando danaro rantolando nella clandestinità soffocando cl andestini. Si sono impiccati senza sentire profumo del bosco bagnato... di un neonato... né l’eco di una preghiera che si infrange fra le onde. L’assenza

di Maria Grazia Murdaca Volubili e pronti per l’esodo sono queste immagini sfocat e: assenza che non fece ritorno! Albeggiano ironia e destino nelle nostre vite, rinchiuse in un’ampolla di vetro, sempre più grande, sempre più fragile, cosicché finimmo per appoggiarci nello stesso recinto, non abbastanza forte da reggerci. I sentimenti fluttuavano nell’aria e l’emozione si astraeva dalla ragione, lasciando un fruscio tremante, di passione rivestita da paure. Balcone fiorito

di Stefania Compagnoni

Quando ti affacci al balcone del tuo fiorito sguardo luce calda esce dal tuo sorriso illuminato dalle scintille di sole che compongono la tua sostanza. Il mare degli angeli

di Maria Pia De Martino

In un grigio giorno ad oriente di un’esistenza, scrivo di un mare corsaro dove gocce di stelle hanno trapunto mondi imperfetti. Nubi innocenti hanno pianto dolore in questo mare d’acciaio. Profondo il dolore degli Angeli.

Ed ora di Mandy

Ed ora, che ho dato nome ai miei sentimenti ed al verme che mi divora, che ho dato parola, voce all’abisso che ho dentro, che queste parole sono così risonanti da avere un corpo, che mi ritrovo sopraffatta, terrorizzata davanti a questa realtà che tocco, che mi resta da fare per salvarmi se non tacere e ributtare indietro nella voragine questi mostri orrendi? Come si fa ad annientarsi fuori, esorcizzando le profonde fogne, senza togliersi la vita? Qual è il maledettissimo rituale? Ora che non posso far finta di non aver visto, udito, toccato… Ora che amarti è così pesante, che voler morire è così consapevole ora che non riesco più a respirare soffocat a dai miei demoni che mi resta da fare? Divoratemi, fauci infernali… Sono qui… Eccomi. Padre

di Vittorio Capuozzo

Il tuo sapere non ho voluto conoscere e talvolta ho sbuffato, alle tue parole le spalle ho scrollato. Allora non le capivo, forse non volevo capire; ora le ripeto ai miei figli, avverto gli anni e mi rivedo bambino. La tua mano da tempo non stringo, non ricordo da quando; nella luce di uno specchio attraverso solchi lontani e la memoria non appartiene più ai tuoi sogni di padre. È da tempo che invano cerco i tuoi occhi, una tua carezza, a volte mi regali un sorriso ma nemmeno più sai che sono tuo figlio. La vita sfugge padre, favole e storie non più racconti, ansie e gioie sono solo ricordi, mi lasci col dubbio atroce di non saperti felice. Padre, tu vivrai sempre nel mio cuore e nello sguardo che i miei figli sapranno rubare dai ri flessi di uno specchio.

Olocausti di Alfia Abbadessa

Nella lunga stagione dell’orrore non rondini popolarono i cieli d’Europa ma svastiche e le stelle abiurarono al firmamento per baluginare sinistre sul petto della gente di Sion. Nei campi serrati dal filo spinato la fal ce non colse grano ma uomini di carne ed ossa per tramutarli in fumo e cenere.

Sgomenti, lo leggemmo sui libri di storia, nei ricordi insopportabili dei sopravvissuti e benedicemmo il dono dell’alba nuova. Ci scaldò la lusinga di giorni chiari, senza belve, senza odio.

Invece, dentro il tempo che è il nostro, ancora rabbrividisce Srebrenica al grido inconsolabile del capro innocente sgozzato e New York cerca invano i suoi morti sotto l’esempio sudario dei suoi cieli violati: Ground Zero, dove alti solo ieri rutilavano i sogni… E c’è dove si scommette ogni giorno la vita all’irrompere cieco dei fabbri di morte, al gracchi are vorace di cupe mitraglie: Palestinesi ed Ebrei, due popoli contro, un’unica pena versata sul Muro del Pianto.

Guerre sante di oggi come riti pagani della notte dei tempi, inni sacri come antichi peana… Quante vittime ancora, quanti nuovi olocausti serberà nelle pieghe dolenti del cuore

[dei giusti la funest a memoria del mondo? I buoni sentimenti di Giuseppina Attolico Come essere avvolti in particolari momenti i buoni sentimenti resi accessibili,

[sono in prima linea voluti accettati come sfida della realtà massificante. I buoni sentimenti di ognuno bruciati ai primi errori al complesso della vita,

[che buon sapore di chiedere cosa nascondono i sentimenti, sono sempre lontana messa da parte per i buoni sentimenti. Tolta come spugna di una vita errante. Son capace di dare sentimenti

[accesi pure necessità di spazio calcolare. I buoni sentimenti da raggiungere

[mi rendono pigra di voler determinarmi.

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Oh, donna!! di Giuseppe Leonardi

Oh, donna, tu che sei culla di vita e dei sogni dell’uomo, sei come la luce dell’aurora del mattino che illumini i suoi pensieri.

Senza di te, per lui il mondo sarebbe finito, oh, donna!!

L’uomo sarebbe stato un sentimento sperduto nel nulla, una voce nel deserto a navigare in un mare di solitudine se non ti avesse incontrato.

È la tua femminilità a comporre un concerto dei suoi pensieri perché sei l’emozione dei suoi mattini, l’illusione dei suoi sogni, l’orizzonte dei suoi sentimenti. Vecchia dimora di Melo Grasso

Al negare della quiete notturna i forati dei muri già abitati, scalcinati diroccati, si impregnano del caldo tepore dei primi raggi di sole, e le rondini per nulla spaurite svolazzano e presidiano un dominio assoluto.

L’ombra trafitta e abbattuta rivela la guerra persa, ma sostenuta, nel tentativo di voler rimanere alloggio del nuovo domani. Il noce, all’interno, da sapienti mani forgiato, a quest’uomo ormai imbiancato regge indefesso la volta a scanso di crolli, ferito dall’arsura del tempo emette scricchiolando dolori, quasi piangendo; mentre l’ulivo in cortile, con i rami riferenti e piegati gioisce di passi conosciuti, amici più volte sorretti in giochi sereni e felici.

Deflorata, violentata, dimora di vita passata, di gioventù spensierata, testimone ovattata di concupiscenti amori sgranati ad un mondo di grandi problemi e di arcani misteri, di fanciulli appena svezzati e mai più ad essere, ritornati.

Cerco Speranza di Rosa Papillo Schiavello

Ho sempre pensato al futuro i miei pensieri girano verso la speranza ma più vado verso il mio cammino e sempre mi sento più stanca. Il presente è sempre più duro qualcosa mi viene in mente cerco di ricordare e aspettare una via di speranza devo trovare. La maggior parte della vita si trasforma sempre in infelicità bisogna credere nell’amore di Dio ogni cosa è la Sua volontà. La malinconia mi rende confusa il dolore si trasforma in realtà ma conoscendo la vita del mondo la speranza si potrebbe incontrar. La donna

di Biagio Gugliotta

Lei di sera megera che era. Prima ti fa soffrire e poi ti fa morire. Se la cerchi si fa sentire, ma avuto che t’ha, è senza pietà. Cosa può farti l’amante? Molla la tua difesa! Non essere più falsa e non fare mai farsa. Tu per me

di Campagna Valentina

Tu per me sei come l’alba che sorge dalle montagne, come un raggio che illumina la mia vita con le tue frasi d’amore, gioisci le mie giornate poi come un tramonto svanisci sul mare come un semplice bacio. Per attimi

di Paola Cozzubbo

Per attimi ho avuto la tua visione. Per attimi ho visto il mondo diverso e le illusioni sembrare realtà. Per attimi… tutto poi, è scomparso.

Silenzi di Valentina Sgroi

C’è l’ingenuità di chi dice che chi sta in silenzio non vuole dire niente. Forse è perché certa gente non ha mai provato ad ascoltare i silenzi delle persone. Il silenzio è la migliore voce per chi una voce non ha. Sicilia di Santina Nibali

Sicilia terra splendida dove il sole non tramonta mai. Terra bella e incantevole, piena di sole e di felicità. Spiagge d’oro e mare di diamante terra di tesori incantati. Il sole riscalda i nostri cuori che sono pieni d’amore anche per la gente che dalla Sicilia

se ne va. Romantic moon (a Giovanna) di Sergio Sciochetti

Un petalo di rosa si posa sulla Luna; s’una duna solitaria e ha per aria il tuo respiro. Il mare II di Zarina Zargar15

Il mare è misterioso, suona, balla e canta. Il mare è un pinguino indifeso, è un animale stupefacente, il mare era bello, purtroppo è cambiato. Il suono del mare è rilassato.

15 Ci scusiamo con i lettori e con l’autrice se nel numero precedente per un rifuso la poesia è stata pubblicata con il nome di Samina Zargar.

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Eco di solitudine di Katia De Luca

Paglia del mio giaciglio incrostata di note gravi, e questo flauto di canna che intona muti silenzi.

Ride, supplica, piange e canta, urla, sussurra, allegro, flebile, mite e disperato, crudele, straziante…

Si alza dalla valle delle sorgenti, l’eco di solitudine, e sbatte, corre, si infrange, gira, si spezza, e riprende.

Balla un rondò di pulsazioni, la mia eco di solitudine nascosta diventa rauca, si allontana, si spegne… Mai per sempre di Angela Aragona

Ti amo senza mai innamorarmi di te, perché ogni giorno che ci attende insieme, io temo il tuo amore. Credi io sia forte, ma ti sbagli: nel profondo del mio cuore è l’inquietudine. L’unica mia difesa è non innamorarmi di te oppure amarti sempre. Perché se un solo attimo, io, scivolassi via dai tuoi pensieri non saprei quale tortura potrebbe mai alleviare il mio sconforto, se non ché non poter ritornare al mio amore. Mai, io, ti amo per sempre. Che nessuna macchia di Salvatore Cormagi Che nessuna macchia ti turbi, che nessuna foschia possa mai annebbiare la vista

[dei miei occhi nel guardarti. splende il tuo sorriso alla luce

[del giorno e la notte ridona vigore alle tue

[membra stanche. che la giovinezza non lasci mai

[i tuoi luoghi,

che la dolcezza sia sempre [il tuo saluto al mondo.

Eterna gioia, eterno amore, eterno è tutto in te; spoglie divine di graziosa solitudine. Concedimi un giorno di poter

[annegare dentro di te, di potermi saziare dei tuoi desideri e non lasciare ancora oltre

[che la vita ci tenga lontani.

Poesia e dialetto U llammicu

di Antonio Noto

Ora pi sti festi di Natali nun mi faciti i soliti riali: sciarpi, cruvatti, portampruogghi avannu nun ni vuogghiu. Stavota mi vinni nu llammicu: i cosi aruci di quann’era nicu. Purtati na nquantera i mastazzola, n-tabbarè di firrincozza e di cannola, nzuddi, taralli, cassateddi. No durci da vitrina do durcieri, ma chiddi fatti de fimmini di casa, (russi po furnu e bianchi di farina); cosi frimmati nte casciola, cosi ca lassunu n-sapuri di fumu, di brasci e magghiola. Chisti, u sacciu, vi parunu pinzera di na testa sfasata, di unu ca a centru di mmirnata va lamiannu pi na scagghia i primavera. Perciò mi rici a testa ca pi sta festa amici e parienti nun mi rialunu avannu u restu i nenti. Chiangiri di Umberto Rigano Chianciri ntisi lu suli ca luna, tutti li stiddi paru lagrimari. La terra di niuru vistuta, e cu li figghi sò tutti abbrazzati. Gintili anurati scinziati, dedicu tutti a vui li frasi mia. Di no gnucari tantu ca natura, si mpocu mpaci vulemu ristari. Gas nirvinu, roba nucliari, la terra ne supporta chisti cosi, ca mancu un ciuri si vidi spuntari. Cu tutti sti uprigi ca uprati circati lu mischinu p’aiutari, inveci l’animali di crunari

e nta lu munnu su mali sti cosi. Lu veru scinziatu penza paru, e no li cerca mai tanti tisori. Parra di paci e mai chiui di guerra. Ora l’umanità tantu ci spera. U cani

di Luigi Caminiti

Nu jornu l’omu ti ittau n’ussittu e tu ci dasti amuri scunfinatu, tutt’amuri chi ci putevi dari. Certu c’a ricumpensa fu cchiù ranni di chiddu chi dall’omu ricivisti, ma tu a ‘sti cosi non ci fai casu, non fai quistioni i quantu e squantu. A tia non t’interessa quantu custa amari l’omu e farci cumpagnia. Non si capisci comu pôi amarlu puru se ti mattratta e ti ‘ncatina. Forsi ci vidi cu to sestu senzu preggi ‘mmucciati e meriti sigreti? Quannu tu vardi ‘nstrisicu u patruni cu dd’occhi limpidi, amurusi e duci ci dici cosi chi nun sapi diri mancu iddu cu tutt’i so paroli. Quannu ritorna di locu luntanu ci fai ‘na festa, ci sàuti attornu ci ddicchi i mani e cerchi na cari zza che ti ripaga di tutti ddi jorna chi ti pisaru, sulu, ‘nta tristizza. L’affettu senza scopu chi ci porti du tô patruni ti fa lu patruni. Ccussì ttaccatu sì a la sô vita chi a la toi non ci pensi affattu E, s’iddu mori, tu non voi campari: ti veni amuri puru pi la morti! Si l’amicizia javi ‘na sô facci, jò dicu chi javi propriu la toi e puru l’occhi toi e i tô primuri. Jò vidu o funnu dintr’e tô pupiddi, rifl essu chiaru, comu ‘nta nu specchiu, mê frati veru divintatu cani. Cummettu forsi piccatu, forsi no, ma jò cridu chi un’anima ci ll’hai: anima di cani, anima bedda! E cridu puru chi sarìa cchiù giustu Chi l’omu si chiamassi comu a tia e tu inveci ‘omu’ com’a iddu. Ma si pensu bonu, forsi sbagghiu, picchì ‘nfangau troppu l’anima soi ‘sta bestia cu ddu jammi e na cucuzza. Ci pirdirivi assai ‘nta lu canciu! Scusimi tantu, forsi t’affinnìa, megghiu lassamu i cosi comu stannu.

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Poesia Greca

A Titone

A Titone Zeus donò un interminabile male: la vecchiaia, più terribile persino della morte odiosa… La breve giovinezza

Ma brevicronia16 appare come sogno la giovinezza preziosa. Incalzante e amorfa, la vecchiaia all’improvviso ci incombe sul capo, nemica similmente e spregevole, lei che, ignota, sovrasta l’uomo e offusca la vista e avvolge la mente.

Il figlio di Iperione

Il sole, infatti, ogni giorno sopporta fatiche e mai ci sono attimi di riposo né per lui né per i suoi cavalli, quando l’aurora rododattila17, lasciando l’oceano, solca le vie del cielo. Ma il concavo letto di Efesto, fatto di desideri e d’oro prezioso, sospinto da mani veloci, lo trasporta di notte con gioia nell’estasi del sonno, sulla cresta dell’acqua, sull’onda, dalla regione delle Esperidi alla terra degli Etiopi, finché il carro veloce e i cavalli si fermano e l’Aurora erigenia18 sopraggiunge. Solo allora sale sul carro il figlio di Iperione. La penosa vecchiaia

Quale vita, quale felicità senza la dorata Afrodite? Possa io morire quando non mi stessero più a cuore amori clandestini, doni graditi e alcove che, quali fiori di giovinezza, si mostrano soavi a uomini e donne! Quando poi sopraggiunge la vecchiaia maledetta, che rende gli uomini ugualmente spregevoli e turpi, sempre nel mio cuore sguazzano funesti pensieri né più con la vista è possibile godere la luce del sole, ma odioso divento ai ragazzi, spregevole alle donne. Così penosa la vecchiaia ce l’hanno riservata gli dei. Come le foglie

Ci genera la primavera, bella stagione multicolore, come le foglie quando all’improvviso germogliano ai raggi del sole; simili ad esse per un attimo godiamo dei fiori di gioventù, senza che gli dèi ci svelino né il bene né il male. Ma ci sovrastano le funeste Chere: l’una sostenendo, atroce, destini di vecchiaia, l’altra destini di morte. Fugace frutto è la giovinezza, quasi raggio di sole che sfiora la terra, ma quando si dissolve improvviso questo soffio di stagioni, allora è meglio morire che vivere. Molti mali si riversano, infatti, nel nostro intimo. Uno vede rovinarsi la casa ed è afferrato dalla dolorosa povertà, un altro non può avere figli e, desiderandoli ardentemente, va incontro alla morte, un altro infine è colpito da una terribile malattia. Non c’è, tra gli uomini, nessuno cui Zeus non invia mali infiniti. 16 Brevicronia: breve nel tempo. 17 Rododattila: dalle dita di rosa. 18 Erigenia: mattutina.

Mimnermo (VII - VI sec. a.C.)*

Fr. 4 Diehl

Τιθων' µèν *δωκεν *χειν κακòν 1φθιτον <6> Ζεúς γ<ρας, ? καì θανáτου Cíγιον Eργαλéου.

Fr. 5. Diehl

IΑλλI Kλιγοχρóνιον γíγνεται Mσπερ Pναρ Qβη τιµTεσσα? τò δI Eργαλéον καì 1µορφον γ<ρας Vπèρ κεφαλ<ς αWτιχ´ Vπερκρéµαται, Yχθòρν 6µZς καì 1τιµον, [ τI 1γνωστον τιθε\ ]νδρα, βλáπτει δI Kφθαλµοùς καì νóον Eµφιχυθéν.

Fr. 10 Diehl

IΗéλιος µèν γàρ πóνος *λλαχεν aµατα πáντα, οWδé κοτI ]µπαυσις γíγνεται οWδεµíα bπποισν τε καì αWτ', Yπεì Cοδοδáκτυλος IΗẃς IΩκεανòν προλποeσI οWρανòν εfσαναβg? τòν µèν γàρ διà κeµα φéρει πολυTρατος εWνh κοιíλη IΗφαíστου χερσìν Yληλαµéνη χρυσοe τιµTεντος, Vπóπτερος, 1κρον YφI iδωρ εiδονθI jρπαλéως χẃρου EφI kΕσπερíδων γα\αν Yς Αfθιóπων, bνα δh θοòν mρµα καì bπποι nστoσI pφρI IΗẁς rριγéνεια µóλs. tΕνθI YπεβT<σεθI n>Zν kΥπερíονος υvóς .

Fr. 1 Diehl

Τíς δè βíος, τí δè τερπνòν 1τερ χρυσ<ς IΑφροδíτης Τεθναíην, [τε µοι µηκéτι ταeτα µéλοι, κρυπταδíη φιλóτης καì µεíλιχα δZρα καì εWνT? οwI Qβης 1νθεα γíγνεται jρπαλéα Eνδρáσιν rδè γυναιξíν? Yπεì δI Kδυνηρòν Yπéλθs γ<ρας, [ τI αfσχρòν 6µZς καì κακòν 1νδρα τιθε\, αfεí µιν φρéνας Eµφì κακαì τεíρουσι µéριµναι, οWδI αWγàς προσορZν τéρπεται rελíου, EλλI Yχθρòς µèν παισíν, Eτíµαστος δè γυναιξíν? οyτως Eργαλéον γ<ρας *θηκε θεóς.

Fr. 2 Diehl

´Ηµες δI οzá τε φúλλα φúει πολυáνθεµος Mρη *αρος, [τI αwψI αWγgσI α|ξεται rελíου, το\σI κελοι πTχυιον Yπì χρóνον 1νθεσιν Qβης τερπóµεθα, πρòς θεZν εfδóτες ο|τε κακóν ο|τI Eγαθóν? Κ<ρες δè παρεστTκασι µéλαιναι, µèν *χουσα τéλος γTραος Eργαλéου, δI nτéρη θανáτοιο? µíνυνθα δè γíγνεται βης καρπóς, [σον τI Yπì γ<ν κíδναται réλιος. ΑWτàρ Yπhν δh τοeτο τéλος παραµεíψεται Mρης αWτíκα δh τεθνáναι βéλτιον βíοτος ? πολλà γàρ Yν θυµ' κακà γíγνεται? 1λλοτε οwκος τρυχοeται, πενíης δI *ργ Kδυνηρà πéλει? 1λλος δI α παíδων Yπιδεúεται, ν τε µáλιστα vµεíρων κατà γ<ς *ρχεται εfς IΑíδην? 1λλος νοeσον *χει θυµοφθóρον? οWδé τíς Yστιν Eνθρẃπων, Ζεùς µh κακà πολλà διδο\. *Le traduzioni sono a cura di Angelo Manitta

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Poesia Slovena

A cura di Giovanni Tavčar

Boris Pangerc

Pian piano nel nostro stesso paese

P ian piano saremo stranieri nel nostro stesso paese. La parola farà stanchi progressi e il ricordo ci rammenterà i tempi antichi che legavano la vita da una generazione allaltra.

Da qualche parte si è allentata la vena, da qualche parte è v enuto a mancare il flusso di sangue, da qualche parte si è annebbiata la coscienza. I legami hanno ceduto, ora affluisce sangue straniero nelle nostre contrade; sotto i tetti sode un cinguettio sconosciuto, i bambini vengono allev ati come puledri selvaggi, i genitori stanno scordando la parlata natia.

P ian piano nel nostro paese non ci saranno più conoscenti, pian piano nella nostra parentela non ci saranno più discendenti. Tramonto

Cè solitudine nelle cose, cè solitudine nella gente, non riesco a scacciarla né con il chiasso né con il v ino.

Solitudine che bolle, solitudine che brucia, solitudine che mi strega con lassenzio nelle cose, con lacuta durezza nella gente.

Solitudine tale che mi abbatterei con la macina del mulino, che mi grava sul cuore.

È così solitario oggi il tramonto che mi ubriacherei con il mio stesso sangue e rimarrei a giacere nel v uoto.

Počasi v nai vasi počasi bomo tujci v lastni vasi teko bo la beseda od rok e dober bo spomin ko stari jedri časi so v ezali ivljenje iz roda v rod nekje se je zrahljala ila nekje je zmanjkalo krvi nekje pokončnost se je zalomila in popustile so vezi zdaj tuja kri doteka v klance pod strehami zavdaja tuj čebet otroke v zgajamo kot divje vrance in starem osipa se domač klepet počasi v nai vasi ne bo več znancev počasi iz naega rodu niti ne zanamcev Zaton tega dne

je samota v stvareh je samota v ljudeh in ne morem je pregnati ne s hrupom ne z v inom

je samota ki v re in samota ki ge in samota ki te uroči s pelinom v stv areh in z ostrino v ljudeh

in samota da bi se pobil z mlinskim kamnom ki drska v srce

tako je samoten zaton tega dne da bi se opil od lastne krvi on obleal v praznem

Boris Pangerc è nato nel 1952 a Dolina (San Dorligo della Valle) nei pressi di Trieste.

Dopo aver concluso gli studi obbligatori nel paese natio, si è diplo-mato al liceo scientifico di lingua slo-vena a Trieste. Nel 1978 si è laureato in lingua e letteratura slovena alluni-versità di Ljubljana. Dal 1979 ha inse-gnato in v arie scuole di Trieste e del circondario. C ontemporaneamente ha collaborato come giornalista presso la RTV di Ljubljana, alla radio di C apo-distria e alla RAI di Trieste.

Dal 1974 al 1978 ha studiato canto a Ljubljana. Nel 1978 è entrato a far parte del famoso O ttetto v ocale triestino, di cui è, oltre che cantore, anche presidente.

Nel 1989 è stato eletto presi-dente dellunione letteraria del Litto-rale. Nel 1994-95 ha rivestito la carica di presidente dellUnione dei circoli culturali sloveni di Trieste. C ontempo-raneamente è stato anche nominato di-rettore della scuola media di Prosecco (Trieste). Nel 1995 è stato eletto a sin-daco del comune natio di San Dorligo della V alle, funzione che sv olge tut-tora.

Ha iniziato a scriv ere e a pub-blicare poesie già nei lontani anni sco-lastici. Se ci limitiamo solo alla produ-zione poetica (è autore anche di div ersi libri di racconti e di materiale etno-grafico), possiamo elencare le seguenti raccolte: Lanfora del tempo (1972), È sceso il silenzio (1981), La voce inte-riore (1990), I canti di Breg (1991), Avvicinamento alla poesia (1993), Loro nero (1997). Numerose sue poesie sono state musicate da musicisti triestini e non. A ma in modo sv iscerato la v ita paesana, il contatto con la natu-ra e con la gente. È un appassionato cultore e ricercatore di materiale etno-grafico della sua terra.

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Simona Trevisani

Trad. portoghese di Andityas Soares de Moura Trad. inglese di Maria Enza Giannetto Terni

Chissà oggi, nuvola, cadrai, oppure rumorosamente sola ondeggi lentamente, evitando Terni. Trattieniti erba, resisti anima… ricominciate, isolàti ora, eppure uniti ridendo, oppure piangendo, esasperati, o dio! Dizionario

Sul mio tavolo di legno chiaro ho appena asciugato un lago salato. Mi sentivo dimenticata in una vuota buca delle lettere. Vorrei soltanto trovare nero su bianco: le tue parole… Sensazione dell’altra dimensione

«Dedicata… al nulla di me stessa» Non mi sento a mio agio con la presenza dei miei e a volte sola e triste o con l’amica di passaggio in quei momenti ridendo mi chiedo, mi chiedo se vengo dal lontano spazio nero un poco illuminato dalle stelle. Marzo ’98

Prego rabbiosa, eccovi muscoli invisibili, ovvero incazzati, naturalmente tremanti, eppure rivivono nuovi amori silenziosi, io ormai nego amicizia, lineamenti esprimono paura, erano raggiunti, ma non ancora estinti, nascosti tutti evitano ora gioia, gemono in famiglia, uomini tutti udite ragazza oggi.

Terni

Talvez hoje, nuvem, cairás, ou ruidosamente sozinha ondeias lentamente, evitando Terni. Detém-te erva, resiste alma… recomeçais, isolados agora, todavia unidos rindo, ou chorando, exasperados, ó deus! Dicionário

Sobre minha mesa de madeira clara enxuguei apenas um lago salgado. Sinto-me esquecida na vazia sepultura das letras. Queria somente encontrar o preto no branco: tuas palavras Sensação d’outra dimensão

«Dedicada… ao nada de mim mesma» Não me sinto á vontade na presença dos meus e ás vezes, sozinha e triste ou com a amiga de passagem, naqueles momentos rindo me pergunto, me pergunto se venho do longínquo espaço negro um pouco iluminado pelas estrelas. Março '98

Rogo raivosa, aqui estão músculos invisíveis, ou zangados, naturalmente frementes, todavia revivem novos amores silenciosos, eu já nego amizade, lineamentos exprimem medo, foram alcançados, mas ainda não extintos, agora, escondidos, todos evitam alegria, gemem em família, homens todos ouvi moças hoje

Terni

Maybe today, cloud, you’ll fall down, or noisily alone you rock slowly avoiding Terni. Keep yoursel f grass, resist soul… start again, isolated now, however laughing together, or crying exasperated, o God! Dictionary

On my light-wood table I’ve just wiped down a salted lake. I felt myself forgotten in an empty post-box. I’d only like to find - black on white-: your words. Feeling of the other dimension

«Dedicated … to the nothingness of myself» I feel not at ease with my parents and alone and sad sometimes or with the occasional friend, then I ask myself laughing, I ask myself if I come from the far black space just lighted by the stars. March 1998

I pray angrily, there you go invisible muscles, or rather pissed off, naturally shaking neverthel ess new silent loves revive, I deny fri endship by now, features convey fear, they were reached, but not dead yet, hidden they all avoid the joy now, and moan in their family, men all hear ye girl today.

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Patrizia Colajanni Trad. spagnola di Francisco Alvarez Velasco trad. Portoghese di Andityas Soares de Moura Il re che vuol gareggiare

Il re regale ridea; con la corona novale vincea. Il re giostrale correa e con la gamba leale perdea. Giocare o nuotare a rana: ormai non c’è più l’età, ma più forte del dolore sia va a rifugiare nella tane. Evviva la sincerità! Il tempo

Entrare nel tempo per fare a baruffe con il vento e l’orologio batte l’una e poi le due e scorrono i secondi e poi i minuti. Il vento fugge come il tempo, gli affanni vanno via resta la noia del tempo che scorre per non lasciare in mano nulla quel niente che per niente non si vede. 15 agosto

È tutto buio, silenzioso, misterioso. Pian piano il nero della notte lascia spazio ai primi bagliori. La luce fi evole diventa sempre più insistente; s’infiltra nella mia camera, si posa sul mio letto, turbando il mio sonno leggero. È l’alba. Il canto degli uccelli mi augura un buon giorno e il tubare dei colombi mi ricorda i miei amori. Come vorrei essere in loro compagnia. IO, loro due tanto diversi fra loro e il nostro amore!

El rey que quiere competir

El rey real reía; con la corona noval vencía. El rey justador corría y con la pierna leal perdía. Jugar o nadar cual rana: ya no tenemos edad, pero más fuerte que el dolor va a refugiarse en la guarida. ¡Viva la sinceridad! El tiempo

Entrar en el tiempo por pelear con el viento y el reloj da la una y después las dos y corren los segundos y después los minutos. El viento huye como el tiempo, los anhelos se alejan queda el tedio del tiempo que corre por no dejar en la mano nada esa nada que por nada no se ve. 15 agosto

Todo es oscuro, silencioso, misterioso. Poco a poco el negro de la noche deja lugar a los primeros resplandores. La débil luz se vuelve cada vez más insistente; se infiltra en mi alcoba, se posa en mi cama, turbando mi sueño ligero. Es el alba. El canto de las aves me augura un buen día y el arrullo de las palomas me recuerda mis amores. Cómo querría estar en su compañía. ¡Yo, ellas dos tanta diferencia entre su amor y el nuestro!

O rei que quer competir

O rei real riu; com a coroa campal venceu. O rei medieval correu e com a perna leal perdeu. De jogar ou nadar a rã: já não é mais a idade, mas mais forte que a dor vai refugiar-se nos covis. Viva a sinceridade! O tempo

Entrar no tempo para brigar com o vento e o relógio bate à uma e depois às duas e correm os segundos e depois os minutos. O vento foge como o tempo, as vontades vão embora resta o tédio do tempo que corre para não deixar na mão nada daquele nada que por nada não se vê. 15 de agosto

Tudo é escuro, silencioso, misterioso. Devagarinho o negror da noite deixa espaço para os primeiros resplendores. A luz fraca se torna Cada vez mais insistente; se infiltra no meu quarto, pousa sobre minha cama, perturbando o meu sono ligeiro. E a manhã. O canto dos pássaros pressagia-me um bom dia e o arrulho dos pombos lembra os meus amores. Como queria estar em sua companhia. EU, eles dois tão diferentes entre eles e o nosso amor!

Patri zia Colajanni, nata a Sciacca (AG), risiede dal 1975 a Turate in provincia di Como. Ha conseguito il diploma di maturità a Milano e lavora come docente nelle scuole materne statali. Attualmente collabora ad alcune riviste letterari e, quali “Penna d’Autore” e il “ Convivio”. Ha partecipato a vari concorsi nazionali ed internazioni ottenendo lusinghieri successi. La sua poesia manifesta un profondo desiderio di vita e un’attenta penetrazione psicologica. L’essere umano per l’autrice sembra trovarsi tra il tempo, l’eterno e le interiori emozioni.

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O Convívio - Il Convivio Rassegna di Poesia, Arte e Cultura brasiliana a cura di Angelo Manitta

e di Andityas Soares de Moura, delegato e redattore per il Brasile Rua Theobaldo Tollendal, 144 – CEP 36200-010 – Centro – Barbacena/MG – Brasil.

(e-mail: [email protected] e telefone (0XX) (31) 3226-7116, Belo Horizonte – Minas Gerais).

1 Apresentação

de Andityas Soares de Moura É com orgulho que oferecemos ao leitor de língua portuguesa este primeiro número do suplemento O Conví-vio, que será publicado regularmente no órgão de divulgação da Accademia Int ernazionale Il Convivio. O Convívio nasce da necessidade de uma maior comunicação da Accademia com os escritores, poetas e artistas brasileiros, que desde há muito vêm demonstrando grande interesse em participar do movimento cultural que a mesma inaugurou na Itália há alguns anos. Projetado inicialmente para ocupar um total de seis páginas da revista, espaço que certamente crescerá com o tempo e o auxílio dos leitores, nosso pequeno suplemento literário publicará artigos sobre art e brasileira, textos literá-rios em língua portuguesa – poemas e contos – e traduções de línguas estrangeiras para o português. Além disso, pre-tende-se abrir espaço para escritores de línguas amigas ou irmãs, como o galego e o castelhano, já que apenas reafir-mando a diversidade cultural podemos refletir sobre nossos próprios destinos sem cair em um isolamento prejudicial ao desenvolvimento de qualquer atitude crítica e artística. A finalidade, portanto, dessa iniciativa multi-cultural e multi-linguística é tornar ainda mais fortes os laços literários que unem a terra de Dante – autor da obra que dá nome à Accademia – à de Drummond, poeta-arquétipo da literatura brasileira. Todos aqueles que quiserem colaborar em O Con-vívio devem enviar carta ou e-mail aos endereços acima especi fi cados, sendo certo que o único critério utilizado na seleção do t exto será sua qualidade intrínseca, e não o re-nome – ou a falta deste – do autor ou da escola a que se filia. No número de estréi a contamos com poemas de Leo-nardo Gonçalves, Aricy Curvello e Iacyr Anderson Freitas, três autores que seguem vias di ferentes no imenso universo poético da contemporaneidade nacional. Os outros poetas constantes nessa edição foram escolhidos pelo editor italia-no, Angelo Manitta. Em seguida apresentamos a pintura de Emeric Marcier, artista estrangeiro que retratou o Brasil – e Minas Gerais, em especial – mais perfeitamente do que qualquer um dos nossos. O leitor poderá ler também tradução de poema de Mahmud Darwish, uma das vozes mais significativas da poesia palestina atual, que levanta seu clamor contra o horror do terrorismo israelense. Por fim, encerramos com um poema original de Francisco Álvarez Velasco, poeta espanhol que constrói com obstinação e paciência uma obra de extrema bel eza.

Poemas italianios de Prisca Agustoni* Fare e disfare la stessa bobina e invocare il padre - un padrenostro giostre per spezzare il bendaggio, le bucce e le parole amputate come lividi crescendo in bocca.

dogma

Bisogna credere alle chiavi. La loro forma insegna nuove porte, angoli in cui ancora piove. La pioggia superflua, quella dove l’arenaria cresce e si trasforma in parola. (Da Sorelle di fieno, Belo Horizonte, Mazza Ed., 2002).

Preludio di Prisca Augustoni

: qui non é solamente batucada. Oltre l’angolo l’oceano tatuato

e questa lingua che ripete senzala aipim quintal spiegando le proprie ferite come una seconda pelle (Dal libro inedito Seconda pelle)

* Prisca Agustoni. Nata nel 1975 in Ticino, Svizzera italiana. Dal 1994 al 2002 ha vissuto a Ginevra, dove si è laureat a in Lettere Ispaniche. Attualmente vive tra il Brasile e la Svizzera, dove collabora a riviste e giornali con traduzioni di poesia italiana e iberica. Ha pubblicato le raccolte poetiche Inventario di voci (2001) e Sorelle di fieno (2002).

Os escritores e todos os brasileiros que desejarem associar-se à Accademia Inter-nazionale Il Convivio deverão entrar em contato com a redação no Brasil (endereços acima).

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No quarto de Iacyr Anderson Freitas além dessas paredes se exaure o mundo

o tempo é somente o que se vê no quarto

lá fora uma vertigem que se apaga sempre onde a vista alcança

nesta noite (a mesma do nascimento de tudo) só nosso quarto existe

ao longe sopra um rio com milhares de anos de espera em cada margem com milhares de mortos e cães que choram à porta das cidades e perguntas que ficaram nas valises

nesta noite há somente o que se vê no quarto

algo que de tão pequeno em nós também se exaure (De A soleira e o século, Juiz de Fora, Funalfa/Nankin, 2002) Cézanne

de Aricy Curvello

Jamais quis pintar como um animal

porém na dimensão que nos dá as coisas repletas de reservas, inesgotáveis: a do mundo em sua espessura (não as só palavras em discurso).

Massa sem lacuna: um organismo de cores. A vibração das aparências não [é o berço das coisas. Escrevia como pintor o que não havia sido pintado ainda.

(A criação do que existe [é uma tarefa infinita.)

O som do medo de Taceo Rejala Deiny

Que vem do soprar dos ventos que vem do chorar da criança do tiro das matas da mesa vazia da mulher a reclamar da solidão do homem da despedida de alguém que não volta mais das desilusões, do pecado de não saber mentir nem dizer a verdade de gritar ás quatro paredes de ficar no escuro de sonhar de ter pesadelos de cometer um suicídio de atingir um ideal de sentir medo do próprio medo... a roda de Leonardo Gonçalves 19

fortuna não me veio a tempo estiquei os braços à procura de algumas migalhas

observo os olhos de quem segue atento suas retinas me delatam

persigo sem freio uma chance duvidosa de destino mas nem isso as rodas do meu carro não insistem e envolto em fumaça e silêncio persisto de bicicleta de Leonardo Gonçalves

amar amar amar persigo esse horizonte entre curvas e janelas andar andar andar conheço esse relevo

por apalpadel as O rei da melancolia de Andityas Soares de Moura

És de indomada certeza o semeador pouco convicto

19 Leonardo Gonçalves é poeta e tradu-tor, residente em Belo Horizonte (Minas Gerais), onde cursa Letras na UFMG. Tem publicada uma tradução do Doente imaginário de Molière pela editora Crisálida.

–Tremes ao cogitar as revoluções, os fogos de balões terríveis. A loura maciez das exigências de mais manhãs

após tudo, distinguiremos [as fendas honestas

sem aviso, o leite enegrece na noite de todas as noites Il re della malinconia Trad. di Angelo Manitta

Sei di indomita certezza il seminatore poco convinto

– Tremi al pensare le rivoluzioni, i fuochi di palloni terribili. La bionda morbidezza delle esigenze di più mattini

dopotutto, distingueremo [gli spiragli virtuosi

senza avviso, il latte annerisce

nella notte di tutte le notti

O poema de Carlos Theobaldo

O poema nasce dessa incoerência branco, puro, simples o poema, como uma flor, nasce

O poema nasce assim, sem traumas ou cantos sem sorrisos ou prantros o poema vive

O poema, vivo manifesta-se dessa forma fazendo do seu corpo só seu nosso corpo em norma

O poema é singular único e sereno surge da vontade louca de fazê-lo nascer e dessa ambigüidade jorra pelos versos branco, puro, simples como a vida.

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Poeira do tempo de Fátima Queiroz

Restou de tudo o nada da ternura, da magia travessuras da infância só resíduos.

Ficou o gosto de festa consoadas de Natais o teu choro. O meu medo quase nada.

Restou somente a poeira e nebulosas imagens de velhos retratos gastos, desbotados.

Quase nada restou do alvoroço das crianças da palmatória do mestre resquícios de soluço.

Restou um véu de saudade es farrapado no tempo esvoaçando entre imagens que aos poucos se perderam.

Ficou nada, quase nada apenas restos, migalhas de risos, da casa grande carnavais e nada mais.

Do nada restou um pouco o silêncio de meu pai o olhar de minha mãe sussurro de uma canção.

Restou suave perfume restou a poeira do tempo enfim, de tudo, do nada restou um pouco de mim. Teu Beijo de Teresinka Pereira

O beijo é sua melhor forma de amar. De sua boca vem um sopro [de mágico arti fício que chega até minha boca trazendo-me un paraíso de prazeres. Sua língua é mariposa fresca igual que a manhã que chega rápida e entra pelas janelas. Suas mãos se precipitam ao sereno de meu corpo, enquanto a terra e as estrelas giram perdidamente e eu grito ao tempo imenso que não deixe nunca de ser [em seus olhos o infinito instante do amor total.

Polvere di tempo trad. di Angelo Manitta

Del tutto è rimasto il niente della tenerezza, della magia birichinate dell’infanzia solamente residui.

È rimasto il gusto della festa ricordi di Natale il suo lamento. La mia paura quasi nulla.

Solamente è rimasta la polvere e nebulose immagini di vecchi ritratti stracci ati, scoloriti.

Quasi nulla è rimasto dell’agitazione dei bambini della ferula del padrone reliquie di singhiozzo.

Un velo di desiderio è rimasto stracci ato nel tempo mentre vola fra immagini che a poco a poco si sono perse.

Non c’era niente, quasi niente, solo resti, briciole di risate, della grande casa carnevali e niente più.

Del nulla è rimasto un poco il silenzio di mio padre lo sguardo di mia madre bisbigli di una canzone.

È rimasto soave profumo è rimasta la polvere del tempo infine, del tutto, del niente è rimasto un poco di me. Original árabe da poesia de Mahmud Darwish

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Mahmud Darwish Nota e tradução de Andityas Soares de Moura.

Mahmud Darwish nasceu em Al -Birwah, perto de

Akka (Galiléia), no ano de 1941. Em 1948 sua aldeia foi atacada pelos sionistas e os habitant es levados para outros lugares. Aos sete anos Darwish fugiu para o Líbano em bus-ca de notícias de sua família, que, no entanto, não conse-guiu achar. Um ano depois, o poeta retornou à Palestina, onde encontrou sua aldeia totalmente arrasada. Um assenta-mento israelense ocupava-lhe o lugar. Darwish escreveu seus primeiros textos poéticos quando cursava o primário na aldeia de Der Al-Asad. Foi detido e preso pelos israelenses em diversas oportunidades ao longo de sua infânci a e adolescência, sendo que proibiram-lhe de cursar o ensino superior. Entretanto, foi para Moscou em 1970 e para o Cai-ro no ano seguinte. Desde então tem organizado vári as pu-blicações e centros de pesquisa palestinos. Hoje é presidente da Sociedade de escritores e poetas palestinos. Darwish escreveu uma enorme quantidade de livros e é considerado o poeta mais represent ativo não só da Palestina mas de todo o mundo árabe. Há vários anos é indicado ao Prêmio Nobel.

Em abril de 2002, o exército israelense – em mais uma de suas “ operações anti-terror” – atacou e destruiu o centro cultural Jalil Sakatini (Ramalá), dirigido por Darwish. Antes de tudo, o edifí cio foi saqueado pelas forças militares de Israel que levaram arquivos, documentos e obras de arte e logo depois seri amente dani ficado por explosões de cargas de dinamite. O edifício também era sede da prestigiosa revista literária árabe Al Karmel, editada por Darwish. Horas mais t arde a operação continuou com a invasão da casa do poeta, que há vários meses se encontra no estrangeiro. Desde há muito tempo o governo israelense vê os textos e idéias de Darwish, considerado o poeta nacional da Palestina, com maus olhos. Em abril de 1988 o então primeiro ministro Isaac Shamir iniciou uma ofensiva a Darwish em razão do poema Passando entre as palavras passageiras, que segundo Shamir era «a expressão exata dos objetivos buscados pelo bando de assassinos organizados debaixo do guarda chuva da OLP». Na verdade, o poema é um pedido dirigido aos israelenses para que deixem as terras ocupadas.

O poema abaixo traduzido – Carteira de identidade – foi retirado da antologia espanhola intitulada Palestina 2000 – Histária de un pueblo en sus paisajes, música y poesía de Suhail Hani Daher Akel. Cartei ra de identidade

Escreve que sou árabe, e o número de minha carteira é cinqüenta mil; que já tenho oito filhos, e o nono chegará no final do verão. Isso te enoja?

Escreve que sou árabe, e que com meus companheiros de infortúnio trabalho na pedrei ra. Para meus oito filhos arranco, das rochas,

o duro pedaço de pão, as roupas e os livros. Não mendigo esmolas à tua porta, nem me rebaixo diante de tuas escadas. Isso te enoja?

Escreve que sou árabe. Sou apenas um nome. Espero, paciente, em um país no qual tudo que há existe pela raiva. Minhas raízes, destruíram-se ant es do nascimento dos tempos, antes do começo das eras, do cipreste e da oliveira, antes da primeira das ervas. Meu pai... da família do arado, não de nobres senhores. Meu avô era um lavrador, sem títulos nem nomes. Minha casa é uma choça campesina de canas e tábuas, Isso te agrada?... Sou apenas um nome.

Escreve que sou árabe, que tenho o cabelo preto e os olhos castanhos; que, para maiores detalhes, cubro minha cabeça com um véu; que as palmas das minhas mãos, duras como rocha, picam quando as tocam. E eu gosto do azeite e do tomilho.

Que vivo em uma aldeia perdida, abandonada, com ruas sem nome. E cujos homens todos estão nas pedreiras ou no campo... Isso te enoja?

Escreve que sou árabe; que roubaste as vinhas de meu avô e a terra que eu arava. Eu, com todos os meus filhos. Que só nos deixaste estas rochas... Teu governo não vai também – como se diz – confiscá-las?

Então, escreve... Escreve no começo da primeira página que não odeio ninguém, nem roubo nada de ninguém. Mas, que se tenho fome, devorarei a carne de quem me rouba. Então, cuidado!... Cuidado com minha fome, e com minha ira!

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Emeric Marcier: a pintura como paixão de Andityas Soares de Moura Emeric Marcier, um dos maiores pintores do século XX, nasceu em Cluj, na Romênia, aos 21 de novembro de 1916. Graduado em Milão na Reale Accademia delle Belli Arti de Brera, teve como principal influênci a a ri ca tradição dos muralistas italianos dos séculos XII e XIII. Devido à Segunda Grande Guerra Mundial, o artista judeu é obrigado a deixar a Europa, e após um breve período em Lisboa trans-fere-se para o Brasil, onde é acolhido no Rio de Janeiro por importantes escritores como Jorge de Lima e Mário de An-drade. Naturaliza-se brasileiro e passa a viajar pelo país, realizando magní ficos murais e alguns óleos também notá-veis. As paisagens das cidades coloniais mineiras impressio-naram-no bast ante, de modo que pintou avidamente os cená-rios sombrios e plenos de Ouro Preto, Tiradentes, Mariana e São João d’el Rey. Morreu em 1º de setembro de 1990, na Ille de France (Paris). Seu corpo foi trasladado e sepultado em Barbacena (Minas Gerais, Brasil), cidade na qual viveu grande part e de sua vida. Frise-se que em Barbacena – modelo de paisagem para Marcier – o artista criou uma boa porção de sua expressiva pintura religiosa, especialmente no período de 1947-1951.

Vista de Tiradentes con cruz munemental, 1981 - óleo

O estilo de Marcier é extremamente pessoal e não faz qualquer espécie de concessão. Preferindo os tons escu-ros e frios, constrói cenas oníricas que, com o sabor de uma reminiscênci a há muito sentida, acabam por seduzir o olhar. Influenci ado por Picasso e pelo Expressionismo, o artista, no entanto, sempre deu grande relevo em sua obra à simbologia – e à escatologia – cristã. A paixão de Cristo é um tema in-esgotável para o pintor, que ao representar um Jesus emagre-cido e agônico, humaniza a figura suntuosa do homem-Deus, reaproximando-o da sensibilidade contemporânea. Sua pintura não é feita de tel a e tinta, mas sim de carne do-cemente supliciada e de todas as espécies de líquidos huma-nos: do sêmen alegre das Bodas de Canaã ao sangue negro do Gólgota. Cabe registrar, por fim, que o artista romeno encontrou solo fértil na Minas colonial: o ambiente arcaico e opressivo, carregado de presságios, vivificou sua j á bastante

intensa vivência mística, herança da milenar cristandade européia. Apesar de ter se exercitado em outras tendências, como o auto-ret rato, a paisagem, o figurativismo e o retrato, Marcier imortalizou-se por força de sua pintura sacra, que sem cair na pieguice e no superficialismo que passaram a caracterizar tal gênero na modernidade e ancorada em uma técnica extremamente eficaz e eloqüente, recria a noção do trágico associado ao sublime.

Ouro Preto: vista da igreja de santa Efigênia, 1982, óleo A esse respeito asseverou Ruben Navarra: «A pintu-ra para ele é uma purgação no sentido da teologia como no da tragédia grega. Deve-se admitir que há uma arte de origem trágica podendo nos levar até a consolação, e outra que nos desampara até o medo de viver. Uma arte que solu-ciona e outra que incita os problemas da angústia. Uma arte cuja tensão nos educa para o conhecimento da vida, e outra que nos oprime com a idéia do homem mesquinho demais e irremediavelmente condenado. Essa arte não tem ilusões de salvação. Ela cultiva o sentimento do homem desesperado e não encontra nenhum outro símbolo». (NAVARRA, Ruben in LEITE, José Roberto Teixeira. Dicionário crítico da pintura no Brasil. Rio de Janeiro: Artlivre, 1988.)

Livros recebidos Júlio Saldanha, Pará diverso, edizione dell’Aca-demia de Letras de Pará de Minas, Brasile 1998. Si tratta di una silloge di poesie in cui l’autore «escolheu a palavra para mostrar as riquezas desta terra e el e mesmo hoje enriquece con sua sensibilidade e sua peculiar visão de artista uma ci-dade que é também sua» (Ana Cláudia de Souza Saldanha). Poetrix , antologia di haiku del gruppo poetico bra-siliano “ poetrix” organizzato da Goulart Gomes. «O verso é como remédio: três em um. E cura cotovelo de apaixonado, espinhela caída de donzel a, males da cornucópia, bochicho de esquina de mal-dizer e bem-querer, desigualdades da có-lera social. Tudo em drágeas de colorido humor, no senso e-xato, que não subestima, inteligente, transgressor e, por-tanto, libertário». Gli autori presenti nell’antologia sono: Adriana Zapparoli, Aila Magalhães, Ana Peluso, Andrea Abdala, Angela Bretas, Anísio Lage, Anthero Monteiro,

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Antonio Carlos L. Menezes, Beto Quelhas, Ceci Pinheiro, Djalma Filho, Eliana Mora, Goulart Gomes, Hércio Afonso, Judith de Soza, Jurandir Argolo, Jussara Midlej, Kalos Scissorhands, Kátia Marchese, Lílian Maial, Lorenzo Ferrari, Marcelo Marques, Márcia Maia, Martino Branco, Maura Alexandre, Oswaldo F. Martins, Paula Andrade, Pedro Cardoso, Ricardo Al faya, Rosa Clement, Sara Fazib e Sonia Godoy. Scortecci, antologia di poesie, racconti e narrazioni a cura del Salone internazionale del Libro di San Paolo (Brasile), São Paulo 1999. Tra gli amici del Convivio figu-rano Dilercy Adler e Maria de Fátima Veloso de Oliveira. Maria de Lourdes Reis, Mar Azul, Minas Editora, Marzo 2001. «Trata-se de um pequeno romance (no tama-nho), com unidade temática e temporal, que se passa em dois ambientes, onde não se distingue a ficcão da verossi-milhança; só pelos dados fornecidos pelo livro não se sabe sequer se o fato é real ou fictício… Os personagens essen-ciais se resumem em dois, com ação absorvente de um só… Marina, movida pela mão do amor…» (Enriques do Cerro Azul). Leinecy Pereira Dorneles, Conto de saudade e se-te crônicas do dia-a-dia, Scortecci editora 1994, Brasile. «Textos simples, que pudessem refletir um pouco de mim, e de minha mensagem de paz. Pensei, refleti e decidi. Que os meus textos teriam uma luz. A Minha luz, que deveria bri-lhar de dentro para fora» (l’autrice). Sueli Teixeira, Só Sonetos, Scortecci editora 1998, Brasile. «O livro, que lhes apresento com muita alegria é da autora Sueli Teixeira, que o batizou de “ Só Sonetos”. Título simples, mas integral. Minha alegria vem do fato de que vejo que a minha querida ‘aluna’ aproveitou de modo sur-preendente e rápido as lições que lhe dei; e orgulho – mo-déstia à parte – porque investi na autora a certeza e a per-cepção de sua inteligência e sensibilidade» (Cícero Acaiaba). Terezinha Pereira, Em confidência, Maza edicões, Brasile 2000. «Muitas vezes a memória guarda de maneira difusa o experimentado como se o passado estivesse enco-berto por uma neblina, deixando vislumbrar o acontecido entre nuances de luz e sombra. Esse exercí cio de buscar, de repensar aquilo que não foi esquecido é quase um tomar posse do tempo inteiro, é se fazer propriet ário de uma his-tória em que os elementos da fantasi a se somam aos da realidade para inaugurar um outro momento em que se comprova que toda memória é também fi ccional» (Barto-lomeu Campos de Queirós). Larissa Loretti, A escrita no espelho, Brasile 1991. «Larissa Loretti, com seu talento, transformou-se numa con-quistadora de prêmios, especialmente de primeiras coloca-ções. Quem tem o privilégio de conhecê-la pessoalmente sa-be que ela ultrapassou a fase-do-será, porque já é, sem dúvi-da, uma artista que nos emociona, também através de sua poesias, repletas de lirismo, bem como ao som do teclado, que transborda sua alma sempre jovem» (Jorge das Neves). Si tratta di una raccolta di 14 racconti a sfondo realistico. Maria de Fátima Veloso de Oliveira, Espelho, Ed. Scortecci, Brasile 1989. «Se a poesia é bálsamo e centelha de fogo; se a poesia matiza a noite com réstias de estrelas sem dono; se a poesia responde pela dor dos errantes e está na visão dos pássaros e no acordo das mãos t ecel ãs de

liberdade; se a poesia é o invisível adorno de todas as solidões; se a poesia é o avesso das tristezas, unamo-nos aos seus acordes mágicos em palavras de poetas. Fátima Veloso chega sem os alardes dos madrugadores que tatei am entre as trevas cat ando um raio de sol para tecer o primeiro verso…» (Carlos Jehovah). Therezinha Zanotta Carneiro e Francisco de Oliveira Abib, Abram-se as cadeias, Ed. Stillus artes Grá-fi ca, Brasile 2001. «O livro a partir do titulo é um grito de alerta, quando duas vozes se unem para dar maior resso-nância ao eco na mente e no coração dos seres humanos, convidando-os para uma retomada dos caminhos corretos e mais edificantes» (Petro Bággio). Ely Costas, Alma dos Povos, da antiguidade aos nossos dias, Jotanesi ed. Brasile 1995: «Cenário em que se elaborou a alquimia da vida em comunidade, e o melhor documento vivo em que ainda se possa ler e sentir nas horas presentes, velhas lições do passado» (l’autrice). Elza Teixeira de Freitas, Sem Disfarce, ed. Kome-di, Brasile 1999: «Chega agora a público este “Sem disfar-ce”, volume que se constitui numa antologia com trabalhos poéticos que abrangem a produção de uma década de Elza Teixeira. O público leitor certamente irá se deliciar com a escolha dos temas abordados, com a riqueza das imagens poéticas e com a composição meticulosa de cada verso desta obra». Clevane Pessoa de Araújo Lopes, Sombras feitas de luz, ed. Plurarts, Brasile 2001. «Clevane é uma pessoa cercada de luz. Quem conhece sua pessoa tem como resposta sombras de sua voz, um presente para todos nós. Neste instante, ela nos presenteia esta obra com poemas que vêm povoados de sementes, unindo nossas idéias com a loucura dos lúcidos» (Wagner Torres). Virginia Arturo, Cuentos de Amores y de Odios, Melibea ed., Uruguay. «Los cuentos de Virginia Arturo en-cierran casi la sacrosanta forma del cuento oral, algunos por su brevedad, otros por su trama, pero todos poseen un inde-scifrable y atrapante interés que es lo que el género necesita y exige» (Nelson Cernuschi). Antologia del Concurso Nacional de Poesia Helena Kolody, Brasile 2000. Nell’antologia figura, tra gli amici del Convivio del Brasile, Maria Luiza Figueiredo Fe-derighi con la poesia “ Urgência”. Estros, Antologia del 2001 del Cent ro de Poesia e arte de Campinas, associazione Brasiliana dello stato di San Paolo. Tra gli amici del Convivio figurano Sarah de Oliveira Passarella con il racconto “ Natal Tropical” e Tácito Campos da Silva Pinto con la poesia “Cadê o poeta?”. Dias de Poesia, Agenda 2003-2004. Si tratta di una bella agenda pubblicata in Brasile nello stato di San Paolo e che dà spazio a numerosi poeti emergenti ed affermati. Tra gli amici del Convivio figurano i poeti: Gessy Carísio de Paula, Tácito Campos S. Pinto, Maria de Fátima Veloso de Oliveira, Arita Damasceno Pettená, Lia Gomes e infine con diverse belle poesie Francisco Evandro de Oliveira. Conto e poesia, antologia di poesie e racconti del 4° concorso letterario, a cura del “ Sindacato dos eletrici-tários de Florianópolis - Sinergia”. Ilha de Santa Catarina.

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El Convivio - Il Convivio Rassegna di Poesia, Arte e Cultura in lingua spagnola a cura di Maria Enza Giannetto

e di Francisco Álvarez Velasco delegato e redattore per la Spagna Avda de Portugal, 35, 1°, A – 33207 Gijón (Asturias) - Spagna

1La playa del adiós (al poeta José Hierro, in memoriam)

de José Luis Garcia Herrera. Nunca es tarde para dejar un puñado de versos sobre los muros del tiempo, para rozar el azul de la noche inmensa. Duerme al fin, amigo. Merecido descanso traen en sus picos las aves de tus sueños. Los caminos del mar nos traerán la espuma lejana de tus cálidas palabras, tu voz será gaviota sobre el viento del norte y mano invisible que dibuja gritos en la arena. Para no sentirte solo escribías horas de amistad en la mesa de un Café, frente al papel blanco donde un hombre se desnuda para vestirse de la carne universal de la poesía. Hablabas de los sueños, de las ventanas abiertas al mar del silencio, de los caminos donde se pisa la luz con los pies descalzos... Hierro contra hierro, forjaste la memoria de un tiempo oscuro sin pasado ni futuro, la memoria de un niño preso en los pozos negros; del niño que busca en los mares del cielo los peces amarillos que sueñan las estrellas. Nunca es tarde para despedirse de los ángeles. Quedarán tus palabras, por siempre y siempre, cosidas a la garganta invencible del viento. Hoy te fuiste a pasear por la playa del adiós. Te fuiste, sí. Te fuiste con el agua que teje y desteje huellas de añoranza. Duerme para siempre, amigo mío. Reminiscencias otoñales

de Juan Montero Lobo Un amor certero y fiel te está esperando más allá del Oceano camina en su busca sin pausa no ahogues de nuevo esa pasión amorosa, no dejes que se evapore, huye y rompe con todo lo que te ata en tu cotidianidad sé tu mismo por una vez en tu vida deja el miedo y el temor a un lado sé valiente y lucha por conquistar ese sublime amor que te está esperando con los brazos abiertos, con pasión, huye... huye... sin dilación...

La spiaggia dell’addio (al poeta José Hierro, in memoriam) trad. di Maria Enza Giannetto Non è mai tardi per lasciare un pugno di versi sui muri del tempo, per sfiorare l’azzurro della notte immensa. Dormi finalmente, amico. Meritato riposo portano nei loro becchi gli uccelli dei tuoi sogni. Le strade del mare ci porteranno la schiuma lontana delle tue calde parole, la tua voce sarà gabbiano sul vento del nord e mano invisibile che disegna grida sulla sabbia. Per non sentirti solo scrivevi ore di amicizia al tavolo di un Caffè, di fronte alla carta bianca dove un uomo si denuda per vestirsi della carne universale della poesia. Parlavi dei sogni, delle finestre aperte al mare del silenzio, delle strade dove si calpesta la luce coi piedi scalzi... Ferro contro ferro, forgi asti la memoria di un tempo oscuro senza passato né futuro, la memoria di un bambino carcerato nei pozzi neri; del bambino che cerca nei mari del cielo i pesci gialli che sognano le stelle. Non è mai tardi per salutare gli angeli. Rimarranno le tue parole, sempre e sempre, cucite alla gola invincibile del vento. Oggi sei andato a passeggiare sulla spiaggia dell’addio. Sei andato via, sì. Sei andato via con l’acqua che tesse e scuce orme di nostalgia. Dormi per sempre, amico mio. Reminescen ze autunnali

Trad. di Maria Enza Giannetto Un amore abile e fedel e ti sta aspettando oltre l’Oceano, cammina nella sua ricerca senza pausa, non soffocare di nuovo quella passione amorosa, non lasciare che si volatilizzi, fuggi e rompi con tutto ciò che ti lega alla tua quotidianità, sii te stesso per una volta nella tua vita, metti la paura e il timore da parte, sii coraggioso e lotta per conquistare quel sublime amore che ti sta aspettando con le bracci a aperte, con passione, fuggi... fuggi... senza perdere tempo...

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Picasso, mito universal del arte de Mario Ángel Marrodán

Como vigía plástico del siglo veinte, Pablo Picasso plasmó la realidad de su tiempo con el espíritu de l a época que le tocó vivir tan intensamente. Conocido por todos, pin-tó también para todos los más de veinte mil cuadros que salieron de sus manos. Rompió los moldes habituales de la tradición estética con la vanguardia aplicada a la belleza y fealdad, al horror y la graci a, al realismo y la abstracción que supuso la obra del Picasso artista.

En todo lo que hizo fue él mismo. A nadie se parece sino a sí mismo. Sus diversas épocas conocidas por los colo-res del arcoiris, caracterizaron a su sistema creativo. Asom-bra por lo mucho que aportó, tanto en los desnudos descom-puestos pero plenamente expresivos como por el cubismo casi geométri co que practicó en buena parte de sus pinturas. La personalidad fuerte, única, original del artí fice creador malagueño queda en ejemplo de furia creadora, de riesgo y de audaci a encerrando continuas sorpresas, sin olvidar su laboriosidad ininterrumpida.

Podemos observar, al avanzar por su trabajo, que experimentó cambios como un ser vivo luchando contra la brutalidad social imperante. Fue Picasso un inventor ex-plosivo, revolucionario siempre, onírico, audaz, humanista, vital, poco común, haciéndose inabarcable por su variedad. La excepcional consagración de la cel ebridad llegó con la imagen patética del “ Guernica”, aún cuando ant es la hubiera conseguido la mujer pi cassiana. Picasso protagonizó la gran revolución de las artes plásticas contemporáneas dejando huella imborrable en los anales históricos.

La fama del pintor es una de las más extensas y duraderas que en arte pueda darse. Pablo Picasso, como fi-gura máxima y permanente del art e de nuestro tiempo, pri-mogénito de los pintores españoles del arte moderno, cue-nta con la estimación valorativa y bibliográfica de un mae-stro que todo el mondo respeta y admira.

Sin duda alguna, el signo picassiano ha iluminado los siglos venideros desde la visión del presente. La refu-tación de Picasso es universal y ya mítica. Por tal, diría que se ha convertido él sólo en un hito de la historia de la pintura a la que ha aportado el valor de su genialidad.

Picasso, mito universale dell’arte traduzione di Angelo Manitta

Come esponente pl astico del vent esimo secolo, Pa-blo Picasso ha plasmato la realtà del suo tempo con lo spirito dell’epoca che gli è toccata vivere tanto intensamente. Noto a tutti, dipinse oltre ventimila quadri che uscirono dalle sue mani. Fu l’artefi ce della rottura degli schemi abituali della tradizione estetica con l’avanguardia applicata alla bellezza e alla bruttezza, all’orrore e alla grazia, al realismo e all’a-strazione, che sta alla alla base dell’opera del Picasso artista.

In tutto ciò che fece, egli fu se stesso. Non fu simile a nessuno se non a se stesso. Le sue diverse epoche, svilup-patesi attraverso i colori dell’arcobaleno, hanno caratterizza-to il suo sistema creativo. Stupisce molto per le novità che ha apport ato, tanto nei nudi scomposti ma pi enamente es-pressivi, come per il cubismo quasi geometrico che ha prati-cato in buona parte delle sue pitture. La personalità fort e, u-nica, originale dell’artista malaghegno rimane come esempio di impeto creativo, rischio e audacia, riservando continue sorprese, senza dimenticare la sua laboriosità ininterrotta.

Possiamo osservare, nel progredire del suo lavoro, che ha sperimentato mutamenti come un essere vivente, lottando contro la brutalità sociale imperante. Fu Picasso un inventore esplosivo, rivoluzionario, onirico, audace, umani-sta, vitale, poco comune, e a renderlo prezioso fu la sua va-rietà. L’eccezionale consacrazione della celebrità è giunta con la rappresentazione patetica del “ Guernica”, anche se l’aveva già ottenuta la donna picassiana. Picasso fu prota-gonista della grande rivoluzione delle arti plastiche contem-poranee, e lasciò un’orma incancellabile negli annali storici.

La fama del pittore è una delle più estese e durature che possa aversi nella storia dell’arte. Pablo Picasso, come figura massima e permanente dell’arte del nostro tempo, primogenito dei pittori spagnoli dell’arte moderna, conta sulla stima valutativa e bibliografica di un maestro che tutto il mondo rispetta ed ammira.

Senza dubbio, il segno picassiano può portare luce ai secoli venturi della visione del presente. La fama di Picas-so è universale e ormai mitica. Si può quindi dire che egli si è tras formato da sé in una pietra miliare della storia della pittura alla quale ha apportato il valore della sua genialità.

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Llegabas con tu mano de Francisco Álvarez Velasco

Llegabas con tu mano, tibia mano lentísima traída hasta mi frente, y cubriste mis ojos. Las estrellas brotaban de las noches abiert as más allá de tu olor. ¡Altas noches de agosto! La tierra estaba inmóvil y surcada por ríos de tiempo luminoso. Venías con la mano, modelabas silencios como el viento las lomas. Llegabas de otra orilla, donde las aguas cantan en las claras mañanas junto a un mar infinito y engullen las arenas los ecos engañosos de sirenas antiguas.

Ya es ceniza la luna y su luz es fingida (la luz interminable que incesante fluía y era nido de pájaros, alta brisa en tus ramas, llovía en los trigales de tu vientre, era vuelo de palomas radiantes en el álabe dulce de tus dos lunas plenas cuando abriste las sábanas).

Ya la luna es ceniza y es absurdo su rostro, ese que asoma a veces en la bruma remota de un tiempo ya vivido. Solos de Mélanie Lafonteyn

El niño en el desván soñando y la abuela en el patio cosiendo, el niño en su cama enfermo y la madre en el pasillo suspirando, el niño en un rincón castigado y el adulto sin querer saber gritando.

El hijo en silencio muriendo y la madre de dolor enloqueciendo, el abuelo en el banco del parque gimiendo y el nieto con sus amigos riendo, la abulea bajo el tilo llorando y la hija siempre regañando,

cuerpo dolorido y ellos ausentes, sollozo en la noche y ellos dormidos alma desgarrada y ellos callados,

es la vida entera una soledad acompañada. * Francisco Álvarez Velasco (Cimanes del Tejar – España, 1940) é professor, poeta e tradutor, tendo vertido para o castelhano obras de Marx, Balzac, Poe e Andityas Soares de Moura. Obra poética: Tiempo de maldición, Madrid, Taranto, 1979; En el nombre del árbol (no coletivo Libro del bosque), Gijón, 1984; Tierra (no coletivo TetrAgonía), Gijón, Ateneo Obrero, Col. Deva, 1986; Del vi ejísimo jugo de la tierra, Gijón, Ateneo Obrero, Col. Deva, 1988 e La hiedra del silencio, Madrid, Cuadernos de Cántiga, 1993.

Giungevi con la tua mano Trad. di Maria Enza Giannetto

Giungevi con la tua mano, tiepida mano lentissima portata alla mia fronte, e copristi i miei occhi. Le stelle germogliavano notti aperte oltre il tuo odore. Alte notti di agosto! La terra era immobile e solcata da fiumi di tempo luminoso. Venivi con la mano, modellavi silenzi come il vento le colline. Giungevi da un’altra spiaggia, dove le acque cantano nelle chiare mattine vicino ad un mare infinito e le sabbie inghiottono gli echi ingannevoli di sirene antiche.

È già cenerina la luna e la sua luce è finta (la luce interminabile che incessante fluiva ed era nido di uccelli, alta brezza nei tuoi rami, pioveva sui campi di grano del tuo ventre, era volo di colombe radianti sul dolce calare delle tue lune piene quando apristi le lenzuola).

Già la luna è cenerina ed è stravagante il suo viso, quello che spunta a volte nella nebbia remota di un tempo già vissuto. Soli trad. di Maria Enza Giannetto

Il bambino nella soffitta sognando e la nonna nel patio cucendo, il bambino nel suo letto malato e la madre nel corridoio sospirando, il bambino in un angolo in castigo e l’adulto che grida senza voler sapere.

Il figlio in silenzio morendo e la madre di dolore impazzendo, il nonno sul sedile del parco gemendo e il nipote coi suoi amici ridendo, la nonna sotto il tiglio piangendo e la figlia sempre rimproverando,

corpo dolorante e loro assenti, singhiozzo nella notte e loro addormentati, anima straziata e loro silenziosi,

è la vita intera una solitudine accompagnata. Libri ricevuti Martínez Márquez Miguel, Para una lectura de ‘La Eneida’ Indice onomastico, pagine 83, ed. Argos, Argentina 2002. Dopo la presentazione, un’ampia sintesi dell’Eneide e la biografia di Virgilio, vengono messi per ordine al fabetico i nomi dell’Eneide e i luoghi in cui vengono riportati, accompagnati da alcune essenziali descrizioni. La prefazione al volume è di Julio Requena.

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Desde la sombra de Miguel Angel Verdura Gago

Ladrón amanecer (que) al océano robó azul vida, y rojo negro a sus entrañas.

Pincel bajasube. Subebaja. Se lía, desbarata y relaja por el lienzo vulcano.

¡Pinta la paleta plata! Con sus brumosos ojos: arenas negras y flor, amores verde palma.

Colores y formas, mil veces contados por cantares de son y palabras; ecos de humanas visiones donde solo otra es Maga.

Luz. Cincel implacable de pasados y presentes, fortuna de las ígneas esculturas desde Garachico a Pompeia. Dall’ombra Trad. di Maria Enza Giannetto

Ladro albeggiare (che) all’oceano rubò azzurra vita, e rosso nero alle sue viscere.

Pennello su e giù. Giù e su. Si avvolge, rovina e rilassa per la tela vulcano.

Dipinta la tavolozza d’argento! Coi suoi nebbiosi occhi: sabbie nere e fiore, amori verde palma.

Colori e forme, mille volte contati per canti di suono e parole; eco di umane visioni dove solo diversa è Maga.

Luce. Cesello implacabile di passati e presenti, fortuna di ignee sculture da Garachico a Pompei. En pleuvant

de Salomé Molina Lopez

Pluie gaie; dansante. Cent bourgeons avec cent doigts qui touchent l’air. Pluie rythmique qui essaie comment toucher la terre de la manière la plus douce.

Pacen de Norma Suiffet (Uruguay)

¿Pacen los peces en los prados líquidos

que enjugan sus espacios ? ¿Tienen ojos de luz o de tinieblas en fuentes submarinas ? ¿Escuchan las galaxias sus cantares en abismos perdidos ? Todo es un sueño azul sin esperanza una eterna pesadilla que respira y rompe las estrías de mi alma hasta hacerla noche, luz y sangre. Porque se fue muy lejos mi poeta y no dejó la estela que quería. Quedó el humo gris de la distancia en rimas inconcretas. Pero debo seguir con mi promesa. Debo vivir mi vida sin crisálidas

que se vuelvan alimañas. Debo vivir mi vida sin corales que respiran su luz en los abismos. Debo vivir mi sol con algún grito de luz o de esperanza. Porque sin los espíritus celestes la vida es un erial y no la quiero. Olvido de Gabriela Delgado (Argentina) Navega mi sombra más allá del día. Se consume en el fuego de los sueños. El cielo corona la tarde. En oro. La triste laguna arrulla refl ejos. Mi aliento teje brisas. Se van enredando, silueta y noche. Cielo y tierra. Estrella y agua. Se opaca el brillo de mis ojos. Y por un instante se detiene el tiempo a contemplar el olvido. Lloviendo de Salomé Molina Lopez

Lluvia alegre; danzante. Cientos de yemas con cientos de dedos que tocan el aire. Lluvia rítmica que ensaya cómo tocar la tierra de la manera más suave.

Pascolano Trad. di Maria Enza Giannetto

Pascolano i pesci sui liquidi prati che prosciugano i loro spazi?

Hanno occhi di luce o di tenebra in fonti sottomarine? Ascoltano le galassie le loro canzoni

in abissi perduti? Tutto è un sogno azzurro senza speranza, un eterno incubo che respira e spezza le scanalature della mia anima fino a renderla notte, luce e sangue, perché è fuggito molto lontano il mio poeta e non ha lasciato la stella che cercavo. Rimase il fumo grigio della lontananza in imprecise rime. Ma devo mantenere la mia promessa. Devo vivere la mia vita senza crisalidi che si trasformano in prede. Devo vivere la mia vita senza coralli che respirano la loro luce negli abissi. Devo vivere il mio sole con grida di luce o di speranza, perché senza gli spiriti del cielo la vita è una brughiera e non la desidero. Oblio

Trad. di Maria Enza Giannetto Naviga la mia ombra oltre il giorno. Si consuma nel fuoco dei sogni. Il cielo incorona il pomeriggio. In oro. La triste laguna culla riflessi. Il mio alito tesse brezze. Si vanno complicando, profilo e notte. Cielo e terra. Stella e acqua. Si opacizza la lucentezza dei miei occhi. E per un istante si ferma il tempo a contemplare l’oblio. Piovendo

trad. di Maria Enza Giannetto Pioggia allegra; danzante. Cento germogli con cento dita che toccano l’aria. Pioggia ritmica che prova a toccare la terra nella maniera più soave.

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Le Convite - Il Convivio Rassegna di Poesia, Arte e Cultura in lingua spagnola a cura di Angelo Manitta

e di Frédéric Tessier delegato collaboratore per la Francia

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Angoisses de Jean Claude Leroy Il en faudrait si peu, bien moins qu’une étincelle, pour que le cœur, d’un coup et la raison chancellent, ou que trouvant le goût de l’absurde infini, et l’appel plus pressant pour l’Eternel oubli. Il en faudrait si peu… Un soir plus monotone, une vague à l’âme brusque par une nuit d’automne, il en faudrait si peu pour que, sans même y croire, casse le fil si fin, si ténu de la vie, et qu’on fasse le geste, le dernier dérisoire, qui tranche net enfin et brise cet ennui, cet ennui qui vous tord et vous laisse éperdu, d’angoisse et d’horreur quand la raison bascule, quand on reste si seul affreusement perdu… L’horreur de cette vie devant rien ne recule, et les liens d’ici-bas n’ayant plus d’importance, on brise enfin l’enfer de douleurs de souffrances, ô pauvre esprit fragile, aux autres incompris, sur ton geste fatal nul ne s’est attendri, et ton âme envolée vers des lieux plus cléments, trouvera-t’elle paix, ou les mêmes tourments. Angosce Traduzione di Angelo Manitta Ne occorrerebbe così poco, appena meno di una scintilla, affinché il cuore e la ragione d’un tratto vacillino, sia trovando il gusto dell’assurdo infinito sia la chiamata più pressante per l’Eterno oblio. Ne occorrerebbe così poco… Una sera più monotona, una malinconia brusca per una notte d’autunno. Ne occorrerebbe così poco, senza per nulla crederci, per rompere il filo così fine, così sottile della vita, e che si faccia il gesto, l’ultimo, derisorio, che infine tronchi di netto e rompa questa noia, questa noia che vi torce e vi lascia sconvolto d’angoscia e d’orrore, quando la ragione oscilla, quando si resta così solo spaventosamente perso… L’orrore di questa vita davanti a nulla si ferma, ed i legami di quaggiù perdono ogni importanza, si rompe infine l’inferno di dolori e di sofferenze. Oh povero spirito fragile, agli altri incompreso, sul tuo gesto fatale nessuno si è intenerito, e la tua anima, volata verso luoghi più clementi, troverà forse pace, o gli stessi tormenti.

Ravenne

de Chantal Cros Si vous allez à Ravenne vous aurez l’impression de parcourir un manuscrit à pied. Foison de monuments de cultes célébrés; C’est à chaque tournant qu’on est émerveillé. Baptistère et tombeaux, palais, peintures et fresques; vous parlent en latin comme en un palimpseste. Les cyprès pointent leurs signets dans les jardins des monastères. La ville reste un vaste cimetière de souvenirs hantant les marais, les tavernes. A chaque chapiteau, l’histoire vaut le peine. Le décor est tout faste. Byzance et la reine vous apparaissent dans l’éclat des lueurs des lampes lapidaires, les oscilles des fresques et des ronds sarcophages. Le wisigoth est proche et le païen est là. Vous regrettez que les civilisés aient mis les barbares au pas, Placidia vous enthousiasme. Avouez! vous êtes sous le charme. L’histoire vit à chaque ligne visitée. Précieuse et perle magique, Ravenne a su ressusciter les ors des derniers rois barbares et peuplée son livre d’onciales luisantes telles le phénix. Ravenna Traduzione di Angelo Manitta Se andate a Ravenna avrete l’impressione di percorrere a piedi un manoscritto. Abbondanza di monumenti di culti celebrati; ad ogni svolta si rimane stupiti. Battisteri e sepolcri, palazzi, pitture ed affreschi, vi parlano in latino come in un palinsesto. I cipressi puntano le loro insegne nei giardini dei monasteri. La città resta un vasto cimitero di ricordi che abitano le paludi, le taverne. Ad ogni capitello, la storia vale la pena. Lo scenario è magni fico. Bisanzio e la regina vi appaiono nell’esplosione dei luccichii di lampade lapidarie, le lunette degli affreschi e dei rotondi sarcofaghi. Il visigoto è vicino ed il pagano è là. Vi dispiace che i civilizzati abbiano messo i barbari al passo, Placidia vi entusiasma. Ammettetelo! Sottostate al suo fascino. La storia vive ad ogni rigo visitato. Preziosa perla magica, Ravenna ha saputo risuscitare gli ori degli ultimi re barbari ed ha popolato il suo libro di onciali luccicanti come la fenice.

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L’automne de Serge Lapisse

La feuille s’envole dans une valse d’antan, fait un rebond sur une caresse du vent. Elle plane dans l’air,

virevolte... comme un oiseau, puis pique vers le sol... et va joindre... le tapis.

Automne... tu emportes avec toi les émois ensoleillés des amours buissonnières, les rires épars... les promenades nocturnes, les saveurs des nuits... aux éclats joyeux. Tu emmènes dans ton sillage

les souvenirs heureux de l’été... nés dans le scintillement des vagues, la majesté des grands sommets.

Les baisers passionnés de l’été perdent de leur intensité... Langoureux, ils disposent les amants... à la tiédeur des nuits hivernales sous l’édredon. Les colchiques... embrasent les champs.

Peu à peu toutes les fleurs s’évanouissent. Cette envolée de jaune prépare le dénuement de la torpeur hivernale.

Les raisins dorés par la chaleur estivale font des clins d’oeil... au soleil avant de rejoindre le tombereau... pour allumer les regards... de convives empressés. La nature s’auréole

de reflets épars... rougeoyants, imprégnant le vert... des arbres qui se dépouillent pour les préparer... au deuil de l’hiver.

Des ponts lumineux et légers sillonnent le ciel. Des traînées ocres les emportent dans un mélange de pluie et de soleil. Les peintres... se précipitent

sur leur chevalet capter les nuances feutrées... qui feront la joie des veillées hivernales.

La nature quitte sa tenue de fêt e pour se préparer... aux tornades, emportant sur leur passage... les élans de l’été. Elle s’emmitoufle chaudement.

L’autunno trad. di Angelo Manitta

Il foglio vola via nel valzer d’un tempo, fa un rimbalzo su una carezza del vento. Plana nell’aria,

fa le giravolte... come un uccello, poi sfreccia sul suolo... e va a raggiungere... il tappeto.

Autunno... porti con te i turbamenti soleggiati degli amori tra i cespugli, le risa sparse... le passeggiate notturne, i sapori delle notti... agli scoppi gioiosi. Porti nella tua scia

i ricordi felici dell’estate... nata tra lo scintillio delle onde, la maestosità delle grandi cime.

I baci appassionati dell’estate perdono la loro intensità.... Languidi, dispongono gli amanti... al tepore delle notti invernali sotto il piumino.

I colchici... arrossano i campi. A poco a poco tutti i fiori svaniscono. Questa sfumatura di giallo prepara lo squallore del torpore invernale.

Le uve dorate dal caldo estivo fanno una strizzatina d’occhio... al sole prima di raggiungere il tombarello... per accendere gli sguardi... di commensali zelanti.

La natura si aureola di riflessi sparsi... rosseggianti, impregnando il verde... di alberi che si spogliano per prepararli... al lutto dell’inverno.

Ponti luminosi e leggeri solcano il cielo. Delle strisce ocra li portano in una mescolanza di pioggia e di sole.

I pittori... si precipitano sul loro cavalletto per captare le s fumature infeltrite... che faranno la gioia delle veglie invernali.

La natura abbandona la sua tenuta di festa per prepararsi... ai tornado, portando via al loro passaggio... gli slanci dell’estate che si imbacucca caldamente.

L’associazione CAVAAN

Si tratta di un’associazione culturale per la promozione del territorio delle valli Alcant ara, Agrò e Nisi, presieduta da Mario Roma, sorta da alcuni anni a Giardini Naxos ed operativa su un vasto territorio. Dopo il successo conseguito alla Bit di Milano, ecco che viene pubblicata una brochure di percorsi turistici alternativi che approderà alle Bit di Berlino e Mosca. La brochure, patrocinat a dalla Provincia di Messina, si pone l’obiettivo di diventare uno strumento di divulgazione e di supporto agli Enti locali con un testo tradotto in tre lingue. Quindi accanto alle località che hanno reso famosa l a Sicilia, adesso si affi ancheranno, nei rapporti con tour-operators, agenzie di vi aggio e vettori aerei, località come Motta Camastra, Francavilla, Mojo, Malvagna, Roccella, Forza D’Agrò, Savoca, Alì, Itala e Scaletta Zancl ea. «Lo scopo – ha sottolineato Mario Roma – oltre a sponsorizzare quegli angoli del patrimonio ambientale che non rientrano nei classici itinerari, è quello di offrire ai visitatori delle opportunità nuove attraverso il turismo culturale, ambientale e religioso». Nei prossimi giorni è prevista la presentazione ufficiale della brochure presso la sede della Provincia di Messina, mentre l’associazione sta preparando il calendario delle attività culturali da organizzare nei paesi coinvolti dalla guida turistica.

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Jean Sarraméa, Une année sur l’aile du haïku: vera sorgente di emozioni e di bellezza di Angelo Manitta L’haiku è una poesia brevissima, come è noto, di origine giapponese. Si tratta di una terzina con un ritmo che direi a singhiozzo, per un totale di diciassette sillabe con la disposizione di 5-7-5. Molti occidentali ormai da tempo si sono cimentati in questo genere l etterario da farlo proprio. Tra costoro anche il poet a francese Jean Sarraméa, nato a Château-Thierry, e docente di storia presso il liceo “Saint-Exupéry” di Saint-Raphaël. Dopo l a pubblicazione di ben quattro sillogi di poesie in stile neoclassico, dal titolo “ Cal-mes et tempêtes” (1981), “ Aux soupirs de Clio” (1989), “Au velours de l’espoir” (2000) e “ Une plume aux rayons d’a-zur” (2001), ecco la pubblicazione di 366 haiku (editions Tarmeye 2002) che presentano, attraverso concisione e pro-fondità d’immagini, riflessioni personali con tema la Natura. I brevi componimenti sono una vera e propria sorgente d’emozioni e di bellezza, frammezzata da sogni, illusioni e rifl essioni filosofiche. Ma la struttura del volume segue un ordine ben pre-ciso. Infatti gli haiku sono suddivisi in dodici gruppi, tanti quanti sono i mesi dell’anno, ma è come se facessero parte di una stessa poesia, evidenziando le caratteristiche naturali del mese o della stagione, con l’aggiunta di emozioni e ri-fl essioni personali. Ne scaturisce un profondo equilibrio tra gioia e ricordi, tra armonia e colori. L’anno nuovo è un futu-ro di dolci fiori, mentre Natale è trascorso in un soffio di vento.

In gennaio il fiore di giacinto è un mistero di colori, mentre la mimosa di febbraio spande sull’inverno un profu-mo dorato e la schiuma del mare dà l’impressione di un ros-marino azzurro. Ma ecco che marzo si presenta con la sua violetta che semina i boschi di zaffiro: occhi blu di prima-vera, quando una grande poli fonia si spande per il cielo e le gemme trovano la via della luce, quasi mistero-speranza. Aprile è una dolcezza infinita che offre all’anima fremente la chiave della primavera, una fervente magia di un sole che rinasce, polline e sole che si sposano nella luce dell’ami-cizia. Maggio è una sinfonia di colori, una festa di fiori, un messaggio verde segno di dinamismo. A giugno le lucciole danzano nella penombra, mentre la luna immobile traccia rifl essi. Luglio è un messaggio di gioia, quando l e colombe solcano l’azzurro. Agosto è la luminosità di una stella che porta ricordi felici nella notte vibrante. A settembre il deser-to fiorisce e due tortore si allontanano tracciando nel ci elo un cuore d’azzurro. Giunge ottobre, il mese della vendem-mia, e giunge novembre con il suo freddo intenso e poi di-cembre i cui fiori d’inverno hanno capelli bianchi. Il cerchio sì è chiuso, il lungo cammino è stato percorso attraverso luminosi bagliori di poesia, che hanno espresso la profondità dell’animo e soprattutto la felicità e l’emozione della vita. Se l’haiku è un breve componimento, Jean Sarraméa in effetti lo ha così bene concatenato che ne ha fatto una lunga e stupenda poesia divisa in piccoli flash.

Ô femme de Jacques-François Dussottier

Tu es mon point du jour toi mon rivage, mon embellie mon intime transhumance vers ton être déshabillé de lumière. Aux feux de ma tendresse fleur tremblante de mon émoi j’ai troublé ton regard au tamis de mes mots lilas. Je moissonne des baisers à ta robe d’aube et de vent et je vogue de ton cri à ta lèvre voyageur ébloui de mon rêve habité. Au long de ces vers que j’ai semés pour toi dans l’immense silence d’une larme mon écume court sur ton sable vers l’infini de tes bras. Comme des mots envolés sur le temps je dépose sur ton coeur ce tendre poème je t’aime, t’espère et te nomme toi ô Femme ! Oh donna Trad. di Angelo Manitta

Sei la mia alba, la mia riva, la mia dolce la mia intima transumanza verso il tuo essere svestito di luce. Ai fuochi della mia tenerezza fiore tremante della mia emozione ho turbato il tuo sguardo al setaccio delle mie parole color lilla. Mieto dei baci tra il tuo abito di alba e di vento ed io passo dal tuo grido al tuo labbro viaggiatore abbagliato dal mio sogno abitato. Tra questi versi che ho seminato per te nell’immenso silenzio di una lacrima la mia schiuma corre sulla tua sabbia verso l’infinito delle tue braccia. Come parole volate nel tempo depongo sul tuo cuore questa tenera poesia: ti amo, ti aspetto e ti chiamo, o Donna!

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La geste des Saints, originale silloge di poesie di Irma Bonfillon di Angelo Manitta

«Saint, saint, saint est le Seigneur… / Les anges e les archanges, sans fin, sans lendemain, chantent tes louan-ges» (Santo, santo, santo è il Signore… gli angeli e gli ar-cangeli, senza fine e in eterno, cantano le tue lodi). Con que-sti due versi si apre la silloge di poesie di Irma Bonfillon, che si immedesima nei più grandi personaggi e santi del cristianesimo. Si tratta di una poesia religiosa che scaturisce dall’intimo per raggiungere le alte vette delle liricità, della contemplazione, della ri flessione, ma anche spesso della pre-ghiera. Le diciannove liriche sono quasi un percorso spiri-tuale storico ed umano. Dopo la poesi a introduttiva, la sillo-ge prende l e mosse da uno dei primi personaggi del mondo cristiano, che ha dato origine al mistero dell’incarnazione: Sant’Anna, la madre della Vergine. Le scene sono descritte con familiarità. Il secondo quadro è dedicato a Maria, presentat a come una splendida fanciulla di 15 anni, simile alla primavera. «Il candore è dentro di t e, tu sei la perla del roseto che sospende l’universo nella sua s fera effimera». Tutto il canto, che va sulla scia delle preghiere mariane, è un inno alla Madonna, in una esaltazione umana e divina nello stesso tempo. Il richiamo agli antichi inni dei padri della chiesa, sia orientale che occidentale, è d’obbligo. Ma basti citare il “ Magnificat” (Luca 1, 46): «Quia respexit humi-litatem ancillae suae; ecce enim ex hoc beat am me dicent omnes generationes. Quia fecit mihi magna qui potens est» . In successione il personaggio focale del Cristianesimo è invece Gesù. A Lui, che è il dominatore della storia e il re dell’universo che emana dolcezza, è dedicat a la terza poesia. Segue san Giuseppe, il falegname tutto casa e l avoro, l’uomo che sa curare la sua famiglia e seguirla, colui che a volte non capisce i misteri divini, ma li accetta. Uno dei personaggi più vicini al Cristo è certo Giovanni Battista, colui che per primo ha conosciuto la vera essenza del Messia, ma che forse per questo è stato vittima di Salomé, bella per condannare i profeti. Un inno di alta levatura viene dedicato pure a san Giovanni Evangelista, il bell’adole-scente, figura romantica, sempre presente nei momenti cru-ciali della vita di Gesù Cristo, sia nell’ultima Cena, quando appoggia il capo su di Lui, che sotto la croce, mentre sta per morire. Seguono quindi: san Pietro, san Vincenzo de’ Paoli, alcuni santi della Provenza, santa Blandine, Jeannette, Santa Teresa del Bambino Gesù, san Benilde e non potevano ov-viamente mancare i più grandi santi e apostoli della Chiesa cattolica: madre Teresa di Calcutta che s fida la fame, la mor-te, il destino e persino la polizia, guadagnando il soccorso di promesse fattive a vant aggio dei suoi poveri; San Francesco d’Assisi, cavaliere della povert à e grande inquisitore della ricchezza, servo di Dio che si fa di fensore dei poveri e degli afflitti, ma che nello stesso tempo sa parlare agli animali e comunicare con tutto il creato. Infine una delle liriche più alte e belle della silloge di Irma Bonfillon è dedicata a Santa Teresa d’Avila, una delle più grandi mistiche e la prima donna ad essere proclamata dottore della chiesa, col ei che scrisse “ Il Castello interiore”, in cui la Santa immagina l’anima come un grande castello dalle sette stanze.

La ricerca della pace in Vox Pacis di Patricia Coulange di Angelo Manitta

Il titolo della silloge di poesie (Vox pacis, Nouvelle Pleiade, Paris 2002) della poetessa francese, Patricia Cou-lange, è indicativo ed emblematico. Tema ne è la pace. Ad essa, quasi rovescio della stessa medaglia, si contrappone la guerra e il disordine, stato sociale e politico da evitare per ottenere e conquistare la felicità. L’idea fondamental e che la poetessa vuole comunicare ai suoi lettori viene espressa chiaramente con l’epigrafe tratta da Béla Bartok: «Ma vraie idée génératrice, dont je suis parfaitement coscient depuis que j’ai trouvé ma voie dans l a composition, est l’idée de la fraternité des peuples, la fraternisation malgré toutes l es guerres et querelles». L’aspirazione profonda è quella quindi della frat ernità dei popoli, malgrado tutte le guerre e i dibattiti. È questa la lotta perenne, o meglio la guerra et erna per una stessa pace. Napoleone, che invade la cristianissima Russia, risveglia nella memoria la grande barbarie di un dittatore nazista: «Opera funebre di un passato sempre presente che innalza l’eco di un’umanità che da sempre soffre e subisce la nera follia, la cecità dei popoli, i loro terribili combattimenti e le loro lacrime di sangue». Ma da ciò deve scaturire un Canto che sradica le Tenebre dello stesso crepuscolo per far sorgere una sete insaziabile di pace. Se da una parte le poesi e di Patricia Coulange sono una esaltazione ed una ricerca della pace, dall’altra parte questo obiettivo è possibile raggiungerlo attraverso il canto e la musica. E le sue poesie sono veri e propri canti, che si servono della concisione e musicalità del verso. Il richi amo allo “ Stabat Mater” (che è anche il titolo di una lirica) è il punto di legame tra il canto e il dolore, tra la felicità e l’infelicità, tra la pace e l a guerra. Ed è per quest’ultima che si vuole cant are un definitivo requiem (“ War requiem”). Molti sono i richiami alla musica e a musicisti che hanno inneggiato alla pace e ai suoi frutti. Si citano solo Verdi, Bellini, Gounod, Beethoven, Wagner. Il musicista s’avanza, egli porta il mondo nella sua testa come una roccia erratica che, da una parte all’altra del cielo, risuona di voci lattee, di pace e di armonia. Ma la pace e l’armonia dei cieli devono riversarsi sui popoli, altrimenti tutto si potrebbe vani ficare. Con le sue poesie, infatti, la poetessa sembrerebbe dire: se l’universo è pace e musica perché l’uomo deve distruggere tutto con la guerra? E proprio oggi che spesso si parla di guerra c’è davvero un profondo bisogno di pace.

Libri ricevuti Amoroso, Écrits des Hautes-terres, antologia di autori francesi a cura di Julie Huard e Michel-Rémi Lafond. Ed. Collection “Sentiers”, Canadà, Maggio 2001.

Jeux f loreaux de la marguerite Echeance : 1er Mai. Théme des poèmes: l’eau à l’exception de la mer. Pour renseignements et règlement: Association Rythme et Expression - 23, rue des Prés Burat – F-36400 La Châtre (France).

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Pittura Rubrica a cura di Giuseppe Manitta

Graziella Paolini Parlagreco La pittura di Graziella Paolini Parlagreco ha

«l’obiettivo puntato sulla bellezza da cogliere nei suoi mille momenti di manifestazione, nelle varianze emotive, croma-tiche, formali, che appartengono all’oggetto del desiderio dell’immagine, ma anche alla ricca psicologia del soggetto creatore, inventore, “ falsi ficatore”». Con queste parole intri-se di lirismo Francesco Gallo presenta il cat alogo antologico della pittrice catanese Graziella Paolini Parlagreco. Nelle sue opere si realizza un’intensa profusione psicologica che spes-so viene accompagnata da una fort e simbologia. Le pulsioni interiori trovano la loro materializzazione nella straordinaria intensità espressiva, che si concentra sia nei tratti sicuri e in-tensi delle figure che nel gusto cromatico acceso e funzio-nale. La funzionalità del colore viene esternata nella ricerca dell’essenza del soggetto rappresentato e nelle sobrie e fantasiose pennellat e. Se lo stile della Parlagreco varia in tutto il suo corso artistico, certamente non la passionalità che riporta l’artista al mondo d’origine manifestandosi nella sensualità delle opere e nella ricercatezza del soggetto: «co-me il viaggiatore Baudelairiano, la Paolini Parlagreco è… partita per partire, per andare incontro al nuovo, ma ha poi avuto la sorpresa miracolosa di sentire che quei nuovi per-sonaggi potevano essere anche i suoi» (C. Bo).

Comunque la tematica fondamentale della sua pittu-ra è incentrata sulla figura umana, studiata nelle sue s faccet-tature esistenziali con osservazione attenta e introspettiva. Tratteggia con spontaneità soprattutto le figure femminili, intrise di vitalità metafisica e di bellezza quasi surreale. Ma come si può parlare della pittura di un’artista poliedrica se non si conoscono tutte le s faccettature della sua arte? Per Grazi ella Paolini Parlagreco penso sia fondamentale soffer-marsi, per comprendere al meglio la sua pittura, sulle opere poetiche. I suoi versi sono costruiti «sui ricami essenziali della vita, il senso dell’effimero del tempo, la vanità e l’eter-nità insieme della memoria, la femminea apertura dinanzi ai fatti della natura», come arguisce Ferruccio Ulivi. Il senso del tempo intride tutta la pittura della Parlagreco. In una poesia l’autrice afferma che «si vive dall’inizio il proprio futuro» e poi continua dicendo che la corsa per due rampe di scale diverrà faticosa ricerca di un gradino dopo l’altro con la mano sul cuore «per chi corre e non sa / quanto pesante diventi, / un giorno, una scala». Evidente la metafora scala-vita. Ogni volto sembra mani festare la metafora della scal a: l’incertezza e la paura del tempo che «passa e non s’arresta un’ora», ma anche la sensualità di un amore vissuto, realiz-zatosi o sgretolatosi in quelle immagini statuarie, che hanno sapore dechiri chiano, e poi materializzatosi nei nudi o nei ritratti di giovani fanciulle. È evidente come la pittura della Parlagreco sia stata influenzat a dalla metafisica, dall’espres-sionismo, come anche dall’impressionismo, ma il suo stile rimane sempre originale e molto affascinante. Il cat alogo antologico è dotato di un’ottima veste grafica e le immagini dell’interno sono arri cchite da un

apparato critico che si avvale di recensioni firmate da al cuni dei massimi critici italiani del Novecento. Per dirl a con Leonardo da Vinci la pittura di Graziella Paolini Parlagreco «è una poesia che si vede e non si sente» e la sua poesia «una pittura che si sente e non si vede».

Graziella Paolini Parlagreco, Ragazza nuda con mela,

olio e pastelli su cartone, cm 80x110

Quadro di Cros Chantal

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Sabina Vargiu, nata a Pattada (SS), si è diplomata presso l’Istituto d’Arte di Sassari, dove ha completato i suoi studi sotto la guida di illustri maestri, quali il noto ceramista Silecchia e Paola Dessy. Ha partecipato a numerose mostre collettive e tenuto varie personali con successo di pubblico e di critica. Espone in permanenza in alcune gallerie italiane. Principali partecipazioni a Concorsi di Pittura e Rassegne d’Arte: Telti (SS) 1995 (3° Premio), Oschiri (SS) 1996 (menzione speciale), Vittoria (RG) 1996 (Diploma d’onore), Milano 1997, Cannigione (SS) 1997, Oni fai (NU) 1999 (2° premio), Pattada (SS) 1999, Ozieri (SS) 2000, Olbia (SS) 2000 (1° Pre-mio), Nuoro 2000 (mostra personale). Nella pittura della Vargiu «non esistono paesaggi reali della sua terra osservati da una collina o da un belvedere, le sue sono solo astrazioni e rivelazioni di gioie personali, sentite, di timori e speranze… L’artista è capace di alternare rossi luminosi a grigi sfumati e marroncini, come i paesaggi più irrequieti a quelli più sentiti. La pittura diventa in questo caso, la misura delle sensazioni. Attraverso scale di ‘intensità’ cromatica e formale le immagini invece diventa-no leggere brezze e fresche nature» (Isabella Convertino).

Giusi Calì, Ragazza, olio su tela cm 40x50

Pietro Gatti, promotore dell’indirizzo di pensiero filo-sofico “ Umanesimo armonidico”, su cui ha fondato la sua poetica, nota ed apprezzat a in tante parti del mondo, ideatore dell’ “ armonermetica” e di nuovi schemi metrici, ha recen-temente ideato questa nuova forma di espressività poetica, della quale siamo ben lieti di darne annuncio e di ospitarne un saggio. Si tratta di un nuovo traguardo raggiunto da un letterato che va dedicando la meritoria sua vita alla letteratura ed alla poesia, di cui la sua anima, come rilevato da molti critici internazionali, è naturalmente intrisa. Da parte nostra, a Lui, i nostri complimenti vivissimi con un fervidissimo “ ad majora semper”. Il presente saggio (sulla destra) l’autore lo ha dedi cato alla l etterat a Giovanna Li volti Guzzardi, presidente dell’Accademia letterari a Italo-australiana Scrittori, con sede a Melbourne – Australia – soldalizo del quale il poeta Gatti è Socio sostenitore.

Sabina Vargiu, Natura morta, olio su tela cm 35x50

Giusi Calì, raffinata pittrice catanese, offre nelle sue opere una rappresentazione suggestiva della realtà che la circonda, svelat a nei suoi aspetti più sensuali e poetici. Le campiture semplici, che sanno un po’ di surreale, ritraggono con ammirabile maestria alcuni aspetti della Sicilia. Nel corso degli anni ha raffi anto la sua tecnica raggiungendo pregevoli traguardi. Se apparentemente semplicistiche potrebbero sembrare al cune sue opere, sopraffine è invece il messaggio psicologico che l’autrice vuole dare al fruitore, fondendo la tecnica che predilige (olio) con monumen-talistici effetti e sincera emozionalità. Giusi Calì effonde nelle proprie tele una vibrante sensibilità. La sua arte è un misto, come nell’opera qui presente, tra racconto e fantasia, tra psicologia e cromatismo, tra creatività e tecnica. Siamo di fronte ad una piuttura ben ritmata e di originale compo-sizione.

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Gerlando Meli: Nobel dell’arte a Montecarlo

Ancora un importante riconoscimento all’aragonese (AG) Gerlando Meli, professore e pittore, che al “ Metropole Palace” di Montecarlo ha ricevuto l’ambito premio interna-zionale Nobel dell’arte che è assegnato ogni quattro anni nella città monegasca ai migliori artisti europei. La commis-sione era preseduta da critici e da esperti d’arte assai noti come Chantal Genoix, Jacquelin Cotta, Giorgio Falossi, Christie Grivatz, Francesco Chetta e Jean Jacques Segall.

«Un segno cromatico che conferma le ipotesi de-scrittive, con racconti dell’immaginario inteso nella sublima-zione onirica. L’artista vanta la sua dimestichezza con i messaggi dell’inconscio, creando opere dal rapido gesto e miscelando i colori con intensa attrazione coloristica». Que-sta la motivazione del critico Mariarosa Belgiovine, per cui è stato premiato l’artista di Aragona. Gerl ando Meli, in occa-sione della seconda edizione della “ Sagra del maccu” a Raf-fadali ha donato una delle sue preziose opere al presidente della Regione Siciliana Totò Cuffaro. La donazione è avvenuta davanti ad un folto pubblico, alla presenza dei senatori Sodano e Cirami e del Presidente della Pro loco Antonino Tuttolomondo. L’opera ha come titolo “ La spe-ranza”. Il presidente ha gradito il pensi ero dell’artista e si è congratulato con lui per il gesto e la maestria artistica. «Ho voluto donare un mio dipinto – ha detto il pittore Meli al Presidente – per la stima che ho per Lei e con l’auspicio che possa lavorare per i Siciliani».

Gerlando Meli

E il presidente della Regione Sicilia Totò Cuffaro

Di recente l’artista ha anche donato una t ela al cantante romano Litle Tony in omaggio agli anni Sessanta e Settanta. L’opera del Meli si rifà al movimento astratto-informale che lui predilige per ricordare le mille luci psichedeliche di New York come la maggior parte delle sue ultime opere. Ciò anche in seguito al notevole successo che egli sta riscuotendo in campo nazionale e internazional e con mostre, partecipazioni a concorsi, rassegne d’arte e biennali a New York, Malta, Parigi, Montecarlo, Sanremo, Venezia, Roma. Milano, Firenze, Ferrara, Torino, Palermo, Sirmione. Ha pure esposto con i maggiori nomi dell’arte contempora-nea, dall’81 ad oggi, ottenendo premi e riconoscimenti tra i quali:

trofeo d’oro Zecchino Giglio Rosso dell’Acc. Il Ma-chiavello di Firenze; Trofeo David di Michelangelo, Breno (BS); Diploma di Merito e Diploma di Benevolenza con l’auspicio dell’ex pres. Scalfaro, Avellino; Premio Europeo gran Prix di Parigi; Targa della Repubblica Russa, Mosca. Premi ha pure ottenuto a Roma, Ferrara, Mantova, Vetto (RE), Città del Vaticano, Milano, Firenze, Licata, Malta. È stato insignito di numerosi titoli onorifici e di lui hanno scritto giornalisti e critici d’arte, tra cui M. Freni, Gian-becchina, Cappuzzo, Cal ago do Rosario, F. Chetta, P. Cira-mi, G. Barna. Sue opere figurano nei musei e in collezioni pubbliche e private di New York, Australia, Portogallo, Marocco, Polonia, Olanda, Canada, Turchia, Filippine, Germania, oltre che in Italia.

Gerlando Meli e Little Tony

Gerlando Meli pluriaccademico, pittore e scenogra-

fo, nasce l’11 ottobre 1962 ad Aragona, (AG). Diplomato al Liceo Artistico “ Michelangelo” di Agrigento, ha frequentato l’Accademia di Belle arti dove ha conseguito la laurea in Scenografi a con il massimo dei voti. Scrive di lui il giornalista Melo Freni: «Gerlando Meli, che con la sua ‘globalità’ dichiara la sua modernità, non è superfi ciale, bensì si fa carico dei grotteschi intrecci della nostra quotidianità, infarcita di quel dominante colore delle passioni, del sangue, delle violenze. E che un segnal e come questo arrivi da un lontano paese della peri feria del Sud, vuol dire proprio che a dispetto di paralleli e latitudini, le peri ferie non esistono più, non solo geograficamente ma anche esistenzialmente. Non so se è del tutto un vantaggio per l’umanità, ma dai quadri di Gerlando Meli dobbiamo prendere atto che l’urgenza dell’analisi si è fatta presente anche nella bella terra del realismo lirico».

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Raffaele D’Ambrosio

Raffaele d’Ambrosio, nato in provincia di Foggia, è certamente uno dei pittori italiani più originali e profondi. La sua pittura si immerge nelle radici esistenzi ali dell’uomo e traduce con sublimi immagini una visione paesaggistica del-le emozioni. I materiali da lui usati sono i più disparati: bitu-me, ducotone, carta di giornali, vernici alla nitro e soprat-tutto colore ad olio. Le sue opere rispecchiano l’intensità interiore di un pittore che ritrova nelle forme semplici e nel gusto coloristico la pura contemplazione. Paesaggi che si intessono soprattutto di irregolari impianti architettonici, caratteristici del mondo meridionale. «C’è solo da lasciarsi andare alla tenerezza dei suoi dipinti pensati per illuminare una luce che non cede», ha notato con vibrante sensibilità Sergio Imperio: «paesaggi evocatori di un’assenza, dell’ine-sausto e permanente insoddis fatto desiderio dell’altrove, proprio di chi fa arte con talento e coscienza».

Raffalele D’Ambrosio, Monte S. Angelo, olio, cm 40x50

In effetti l’arte di Raffaele D’Ambrosio e molto

intensa e profonda, ir-rompe nell’animo del fruitore e lo coinvolge con cromie, che risaltano luci ed ombre, nella ricerca dell’assoluto. Immagini semplici e ben strutturate riempiono le sue tele, la cui bel-lezza ritmata a pennellate semplici intona una lirica armo-nica e di suggestiva espressività. L’artista elabora un figura-tivo onirico che ritrae l’essenza delle cose che viene elabo-rata dalla fantasia e da uno stile unico, da un’arte, insomma, che diventa magia e ci permette di conoscere la verità. Una pittura, questa di D’ambrosio, che sa di antico e di moderno, in cui, per dirla con Aristotele, «l’impossibile verosimile» viene preferito «al possibile non credibile».

Emma Villareal, Mi hija Emmita, olio su tela, cm 55x104

Giuseppe Sofia, nato a Milano dove vive e lavora, è un artista che incentra la sua arte sull’osservazione e l’elabo-razione cromatica di svariati temi realistici e caratteristici. L’artista interpreta con liricità ogni particolare, evocando ogni aspetto con rara sensibilità e sapi ente e suggestiva espressità. I suoi paesaggi nascono da emozioni interiori e si traducono in perfette rappresentazioni che sanno di vero. Nella sua arte fantasia e tecni ca si fondono in un connubbio estetico e suggestivo che si convertono in vibrazioni altissime. Giuseppe Sofi a ha maturato negli anni una valida finezza di gusto e una tecnica elaborata. I suoi soggetti risaltano per la loro luminosità, frutto di una raffinata e paziente tessitura.

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Recensioni Anna Famà: la profonda poesia d’amore in La favola di un sogno, ovvero l’amore si fa romanzo (La Procellaria, Maggio 1994).

L’amore, quale sentimento puro analizzato in tutte le sue sfaccettature, è chiave e filo conduttore della pregevole silloge di poesie, “ La favola di un sogno, ovvero l’amore si fa romanzo”. Si tratta dell’amore vissuto, sognato e unico alito di vitalità per l’essere umano. L’autrice con profondità espressiva present a una travagliata storia, tra mille suspence, che va dallo sbocciare del sentimento alla separazione, per poi far ritornare a ri fiorire il rapporto di coppia. Il poet are dell’autrice pone il lettore a ri fl ettere sul vero signi ficato dell’Amore, tentando di distoglierlo dalla corsa caotica della quotidianità, che lo spinge alla ricerca di chissà quale t ra-guardo, ammaliato da futili sentimenti. La ricerca di un senti-mento vero e profondo è l’idea essenziale del libro e l’amore appare dono quando «nasce spontaneo, da seme naturale, sul prato dell’anima, dove il mondo interiore e quello esteriore si toccano e si compenetrano». Senza tale sentimento l’uomo rimane privo di quel pathos che gli consente di rompere le barriere gelide dell’esi-stenza. Ma l’amore non è quello dei gesti meccanici o delle apparenze, bensì la scoperta interiore che apre la luce alle in-certezze e diventa forza psicologica. L’amore fa nascere albe nuove: «Sentii la tua voce, / vidi il tuo volto: / non un tra-monto / chiudeva l’arco di quel giorno... / Nacque un’alba nuova». Ma di quale alba si tratta? Non di certo di quella astronomica che puntualmente sorge ogni giorno, bensì di quella che illumina l’Io, che non potrà mai fare a meno della luce di quel sentimento che unisce gli esseri viventi. La Famà, attraverso la ri cercat ezza aulica di voca-boli, approfondisce il substrato filosofico dell’Amore e non a caso sostiene che esso «è anche una continua ricerca nell’in-timo dell’altro per ritrovarsi. È un continuo guardarsi dentro e verso il mondo esteriore, perché la nostra vita è sì, assoluta, ma nello stesso tempo è indipendente. Da questa s faccetta-tura dell’immenso prisma chiamato amore ha inizio la favola. Una favola che diventa romanzo, se vissuta in quel cerchio magico dello spazio per due soltanto». Ed ecco che partendo dall’amore Anna Famà analizza l’importanza dell’unione tra due persone, vissuta come un dono da coltivare e arricchire, ovvero da vivere come in un romanzo in cui il mondo cir-costante non deve e non può interagire su quello che consente all’uomo di custodire nel cuore il proprio fanciullino. Chi non ricorda i primi battiti di quando l’Amore ha iniziato ad affacci arsi all’orizzonte, anche se platonico, ma pur vero e forte? L’amore cantato dalla Famà è quello che ha colmato la letteratura di ogni tempo: da Dante a Leopardi, da Foscolo a Petrarca. E come Pet rarca l a nostra autrice ha una visione mononucleare del mondo esteriore, che vede l’uomo e il suo profondo sentimento al centro di ogni cosa. La favola di un sogno diventa lo specchio dell’anima dell’autrice che riesce in forma velata a rivelare la storia di un Amore vissuto intensamente, e che si tras forma in “ sorgente da roccia viva”, come evidenzia il titolo della poesia che chiude il volume e ne incornicia l’opera: «Vestendo di reale / la mia fantasia, / su fogli bianchi / scrivevo versi / per darmi vita. / Oggi è la

vita / che mi dà note / per incidere versi / su reali fogli colorati, / musicati dalla fantasia». L’amore è visto quindi come una «pianta di primavera che profuma ogni cosa con la sua speranza, persino l e rovine dove s’aggrappa», secondo l’espressione di Gustave Flaubert. E quindi la Famà si fa messaggera del più alto sentimento universale. Enza Conti Ricordo del tempo migliore in Vecchie storie di Pietro Civitareale (NOUBS, Chieti 2002)

Il racconto di una civiltà, spesso, presuppone un’in-vasione semantica; il confine tra storia e letteratura diventa labile fino all’estinzione. Di questo si tratta: estinzione di una cultura, di un mondo pastorale. L’autore, abruzzese, seb-bene scriva in italiano, conserva tutto il ritmare quotidiano del dialetto dell’Abruzzo interno. Dunque, il dialetto, lingua madre, non appare nella scrittura; tuttavia la corposità, l’esu-berante fisicità dei personaggi, richi amano quel parlare sof-ferto, semplice, rude degli abruzzesi di un tempo. Uno spac-cato di vita rurale, pastorale, un mondo, una civiltà all’inizio della fine, ma eternamente viva nelle azioni e nei pensieri. E tutta una galleria di personaggi reali, uomini, donne, giovani, ma anche le pi etre, le case, le strade, persino le parol e, gio-cano il ruolo che il destino ha loro assegnato. Una rassegna-zione, velata però, di tranquillità e di certezze. Come potreb-be essere diversamente? Filosofie di vita ereditata dalla ‘sag-gezza’ antica, quindi, tutt’altro che ‘ragionata’. Cose che nei paesini del Sud al contempo facevano ‘la miseria’ e la ‘ric-chezza’ di una cultura: il ‘sud’ però non è il contesto geogra-fi co, è l’ideologia della quotidianità, è una natura ancora in-contaminata, avara e generosa. E lo struggente ricordo del tempo migliore, il crepuscolo metafora della vecchiaia, la paura dell’inazione, ma non il non fare, bensì, la rinunci a a quelle certezze che cementavano l’esistenza.

Esistere era a quel tempo, una socialità spesso ‘for-zata’, contava molto di più apparire, «far vedere agli altri» , insomma, l'idea banale di ‘chissà che dice la gente’, in realtà era un paganesimo pragmatico, un non voler conoscere per essere felice, perché i sentimenti ingannano. L’autore, parte-cipa, o meglio, si astiene dal parteggiare, e nella narrazione, assume il ruolo del cronista del tempo. E l a lingua, diventa l'oggetto della narrazione; non è la lingua che racconta, è essa stessa raccontata dalla stori a. Certamente, è un para-dosso linguistico, ma tutta la corposità, tutta la cultura fatta di verità tramandate, danno alla lingua una ‘passività’ che si arricchisce di poesi a, quando vengono fuori i ruoli assegnati ai personaggi. Ecco, allora, il vecchio pat riarca, che dispone di tutto e di tutti; la donna è oggetto, non partorisce, ‘figlia’. È la vecchia lotta di generazione: il figlio che vuole andar-sene cioè il tradimento del padre, di una tradi zione, l’abban-dono della famiglia. Pensieri a contrasto, allora confronto di diverse lingue, sebbene sia il medesimo ceppo: e la rudezza arrogante, che in realtà nasconde una generosità istintiva. È l’uomo ‘eterno’ delle terre d'Abruzzo, l’uomo indistruttibile che si riproduce, che vuole s fuggire alla mort e, perché mori-re è un atto ‘antisociale’. Socialità, che si esprimeva nella partecipazione alla vita di paese, quella di sempre: il fune-rale, le nozze, andare a messa, il giudizio della gente, e poi l’onore, la virilità…. Ma nei racconti, le figure importanti sono le donne. La loro esistenza discreta, dietro le quinte, il loro silenzio sulle violenze dei padri, dei mariti, la loro

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rassegnazione, pane quotidiano delle loro giornate ‘banali’ (ma chi ci dice che la vera forma di rivoluzione sia proprio la banalità?) ma, come sempre, donne forti, vere spine dorsa-li delle storie degli uomini. Dunque, una civiltà che ci appar-tiene, ma che sparisce inevitabilmente, perché il progresso è avido, e i protagonisti di “ Vecchie Storie” intuiscono, il de-clino inesorabile… e non vogliono dirlo nemmeno a sé stes-si. Uomini che non capiscono perché si fa la guerra, ma sa-rebbero pronti a parlar male di un proprio simile, (e questo non è un atto di guerra?); paradossi della civiltà contadina. È una cultura che ci appartiene all’intimità: una religiosità pagana, che genera illusioni sulla morte (e morte e religione non sono forse collegate? - E non è forse la lingua la sorella gemella della religione?). Ecco allora, il cerchio che si chiu-de; lingua madre è il di aletto che appare palesemente nei dialoghi, la scrittura diventa oggetto e si lascia andare, dol-cemente, nello scorrere della narrazione, e diventa ‘koinè’ letterari a di lirismo ‘antico’, ma che, con prepotenza, penetra nelle nostre memorie distratte a ricordarci di che ‘pasta’ sia-mo fatti. Operazione culturale di valore inestimabile che dobbiamo riconoscere all’autore, che pur non vivendo più in Abruzzo, di questa regione incarna l’orgogliosa durezza del-le montagne, e la poesia del tempo andato. Ma forse, non è il tempo che se ne va, siamo noi che decliniamo all’orizzonte.

Francesco Di Rocco Fedele Giorgio e il retrogusto nel romanzo Le stellette che sopportammo, (Menna, 2002, Prefazione di Giovanni Di Girolamo)

Abruzzese d’adozione, Fedele Giorgio è nato a S. Andrea di Conza, vicino Avellino. Oltre che Daniela Donati Guerri eri nel “ Dizionario degli Autori italiani contempora-nei”, pubblicato dall’editore Guido Miano (2° ed., 1996), ne hanno scritto Barberi Squarotti, Baldacci, Cimatti, Esposito e Palanza. Negli anni la sua fama è cresciuta, e quando la sua figura si era consolidata come quella di un poeta pon-deroso, dalla rara sensibilità, ha giocato una cart a inaspet-tata, intitolata “Le stellette che sopportammo”, un romanzo autobiografico di pregevole fattura, ove racconta della du-rezza della vita militare. Abbiamo letto d’un fiato il libro e ne siamo rimasti avvinti. A lettura conclusa abbiamo com-preso di trovarci dinanzi a un’opera meritoria, ricca di contenuti. In particolare, ci ha colpito il retrogusto amaro di quelle pagine lievi eppure affilatissime, perché nonostante l’Autore conceda ampio spazio a momenti divertenti, a notazioni caustiche, a chiose sarcastiche, e benché autocom-miserazione e recriminazioni siano quanto mai lungi dall’ap-partenere alla narrazione (“ egli racconta con crudo reali-smo, cioè in modo disadorno, senza alcun cedimento a for-me di retorica autocelebrativa”, V. Esposito), costante-mente, fra le righe, quasi di soppiatto, s’insinua e affiora, per poi subito ritrarsi e lasci ar di etro sé un’ombra d’inquietu-dine, il sentimento doloroso e dolente di un uomo assorto nel ricordo, che nel raccontare esperienze t roppo spesso spiace-voli, rivive vicende desolanti o morti ficanti. La consape-volezza d’aver dovuto riparare nelle “ patrie caserme” per sfuggire alla disoccupazione (“ scegliere tra il ni ente del dopoguerra e l’arruolamento”, M. I. Affinito), unita a quella d’aver trascorso anni in ambienti ottusi, regolati da norme spesso illogiche (indicativo il sottotitolo del libro, L’acqua non bagna), matura in senso d’abbattimento e s fuma in an-

gosciosa solitudine, sino a rapprendersi in una sorta di gru-mo tormentoso, in una specie di pustola della memoria. Considerare divert ente il romanzo vuol dire distorcerne il significato e fraintendere una scelta dell’Autore, che ha as-sunto il sorriso come pretesto per una ri flessione più accorta, facendo intuire tutto dicendo poco (“ il sorriso che la lettura ci strappa in doviziosa quantità…è sempre un po’ amaro, pensante” avverte G. Di Girolamo). Non si tratta di un’opera allegra, né divertita. Ci sembra, anzi, che sollevi una prote-sta, un appello a una diversa considerazione del fattore uma-no, sia esso entità individuale o risorsa collettiva. Reca in sé la coscienza dell’impossibilità di ricondurre a meri schema-tismi l’Uomo, di costringerlo entro confini che escludano la possibilità d’interloquire, di confrontarsi, disconoscendogli parte della propria identità. Merito di Giorgio, l’aver tra-smesso quel che intendeva senza sproporzioni: non ha for-zato, piuttosto ha mimetizzato le idee principali in un conte-sto più ampio, sviluppato per fasi episodiche e sì autonome, ma accomunate da omogeneità spazio-temporale. La di ffe-renza tra i pi ani formale e contenutistico non risulta però dicotomica, ma si traduce in una complementarietà diversa dalla semplice compatibilità, che agevola uno sviluppo ar-monico dell’insieme. Con “Le stellette” Giorgio traccia un filo di continuità con al cune delle sue più sofferte poesie, specialmente con quelle riunite in “ E siamo ancora qui” (1984), ove fu cantore delle esperi enze distrutte.

Simone Gambacorta Poesia & musica: l’ultima opera di Giovanni Di Girolamo (Cantagallo, Pescara 2002)

Con il volume “ Poesia & Musica”, la produzione letterari a di Giovanni Di Girolamo si arricchisce di un nuovo titolo. Ci siamo occupati più volte dello scrittore abruzzese e abbiamo avuto modo di ri fl ettere sulla sua duttilità artistica, che, se osservata nel più ampio contesto bibliografi co, con-figura una poliedricità d’ingegno mai disgiunta da una ten-sione all’impegno contenutistico. Con questo libro, per la prima volta, Di Girolamo si misura con il dialetto (ancorché certuni componimenti siano in italiano, e tenendo presente che altrove si è cimentato con il romanesco e il napolet ano), ottenendo uno fra i migliori risultati della propria esperi enza artistica. Abbiamo apprezzato che il rispetto dei criteri metrici, dei quali è uno strenuo sostenitore, e l’osservanza delle esigenze proprie del vernacolo non limitano la fluidità e la resa espressiva dei testi musicali. I quali testi hanno anche dovuto tener conto della destinazione musicale, curata da Di Girolamo (autore delle musiche di tre brani) e dai musicisti Vincenzo Pallozzi-Lavorante e Francesco Pincelli, i cui spartiti occupano buona parte del volume. In questa nuova fatica Di Girolamo ha saputo mantenere la s fera creativa distinta, ma non distante, dalle norme tecniche e dai modelli strutturali. È forse questo il motivo che consente di partecipare al microcosmo interiore dell’Autore, che, confor-memente ai propri trascorsi, parl a d’amori perduti o mai nati, d’affetti e sentimenti, di ricordi che stemperano o ravvi-vano attimi di solitudine, d’immagini passate e quant’altro possa annoverarsi nel bagaglio intimo d’un uomo intensa-mente immerso nella vita, sensibile ed attento ad essa, con-sapevole e presente a se stesso anche nel dolore, e tuttavia mai privo di speranza. I testi musicali raccolti nel libro, dun-que, pur di fferendo dalla poesia propriamente detta (i due

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generi sono distinti: da ricordare, in tal senso, una notazione di Vito Moretti, il quale, in un accurato saggio su Guido Giuliante, scrive che “ non è mai lecito accostare un testo per canzone come fosse una poesia”), rivelano una propria componente poetica, poiché Di Girolamo vi ha riversato il suo essere poeta, infondendo all’insieme un importante sovrappiù artistico. Dissentiamo da Michele Ursini quando nella “ Presentazione” ravvisa una non totale “ abruzzesità” del libro, perché se è vero che gli Autori si sono nutriti anche di “ altre culture”, altrettanto lo è che l’opera possa rappresentare un’ipotesi di confronto fra generazioni, atteso che il patrimonio musicale di una terra – analogamente a tutto il resto – non tollera modelli definitivi. Ecco perché, di contro, concordi amo con lo st esso Ursini quando scrive che “gli autori di questo libro sono i continuatori dei grandi artisti di ieri, di F. P. Tosti, di T. Bruni, di G. Albanese, di C. De Titta, di A. Di Iorio, di L. Dommarco, G. Sigismondi”. “ Poesia & Musica”, che in forma di fferent e ha avuto un precedente in “ Canzoni & Canzoni”, un opuscolo pubblicato da Di Girolamo nel settembre scorso, vede accresciuto il proprio valore da un’ultima affermazione del professor Ursini, laddove afferma che “ chi vorrà scrivere una storia della canzone abruzzese, non potrà non passare, per ottenere una certa completezza, da questo libro”. Simone Gambacorta Funzione sociale della parola in Colloqui di Giuseppe Piazza, (ed. La Fenice).

Approfondendo e perfezionando le sue precedenti ricerche espressive, l’autore, con stile incisivo e sicuro, af-fida ai versi l a sua problematica esistenziale. E se in prece-denza la ricerca di una ragion d’essere tendeva a coinvolgere il lettore come elemento sociale, adesso i “ Colloqui” ven-gono intrattenuti con gli alunni, con i figli e soprattutto con la moglie, tendendo a divenire soliloquio. C’è forse in questa limitazione di campo una cert a delusione, maturat a nel tem-po, verso la società contemporanea che non riesce, a parere del Piazza, a darsi un messaggio autentico, superando le vec-chie verità. Da qui la ricerca di una parola nuova e la validità e originalità di un messaggio che l’autore rivolge, al di sopra di mode o tendenze, come padre e come educatore, alle persone a lui più vicine. E nel tentativo di spogliare la parola da inutili rimpianti e sentimentalismi per dare alla parola stessa un valore critico e una funzione sociale, Giuseppe Piazza privilegia la ri cerca linguistica e la qualità dello stile all’armonia del verso e al ritmo melodico. Il testo, che ha già meritato un posto all’Albo d’Oro del concorso Nazionale di Poesia “Spiaggia di velluto” – Senigallia 2002, ben si collo-ca nel vari egato panorama della poesia contemporanea come autentico messaggio di denuncia e di forte e originale comunicazione linguistica ed espressiva. Angelo Messina Maria Dho Bono, riflessione intorno alla realtà in Colori e profumi, (Nuova Impronta, 1998).

Non è da oggi che Maria Dho Bono dedica il pro-prio tempo libero alla poesia. Ciò le ha consentito di accu-mulare diversi premi e ri conoscimenti di prestigio, e di dare alla luce una ventina di raccolte poetiche. In “Colori e profumi”, l’ultima sua fatica letteraria, troviamo una ri cca

sequenza di episodi, di paesaggi, di curiosità, di ritratti che sono un omaggio a Sanremo ed alla magia della sua atmo-sfera, e che contemporaneamente toccano altri temi e perso-naggi. È uno srotolarsi gioioso e voluttuoso di frammenti costruiti, e ricostruiti, usando il cuore e dando libert à a momenti di riflessione intorno alla realtà ed al vivere quoti-diano. «Lo scrivere è per lei – ha evidenziato in apertura della silloge Filippo Chillemi – massima, perdurante gioia e voluttà della vita, che nel tracci are quadri di estrema niti-dezza, si avvalgono (e non poteva essere altrimenti) di una macerata apertura mentale che dal particolare passa all’universale e dall’universale si restringe fino a mettere sul giusto piedistallo anche l’infinitamente piccolo. Davvero singolare, e da incorniciare, la poesia dedicata a Madre Teresa che si conclude con i versi seguenti: «Se ci volgiamo intorno ad osservare... / c’è una Calcutta ovunque... anche qui accanto», quasi a voler suggerire che bisogna rimboc-carsi le maniche e darsi da fare per aiutare in qualche modo quanti sono meno fortunati di noi e sono nati in zone dove il progresso è ancora un’utopia. C’è anche una sottile ironia al fondo del suo discorso liri co, sempre pulito ed essenziale, ben congegnato e ricco di fascino; ed è un’ironia che serve a dare un ulteriore calco di personalità ad una poesia che, non a caso, è stata ormai apprezzat a ovunque proprio per la pienezza espressiva e la verve di cui è pervasa. Fulvio Castellani Amore e morte, l’eterno binomio, ritornano nel romanzo di Filadelfio Coppone Il sogno di una favola (ed. Greco, Catania).

In questa nostra epoca in cui i valori dello spirito sono stati soppiantati dall’edonismo e dal consumismo più sfrenato; in cui milioni di bambini ogni giorno vengono violati e uccisi; in cui la tremolante e accorat a voce del Papa scivola sull’orgia di sangue e violenza che i mass media ci propinano impietosamente, il libro di Filadelfio Coppone na-sce come un fiore che nessuna tempesta potrà stroncare. “ Il sogno di una favola” è un monumento che lo scrittore ha voluto erigere, con la forza del suo folle amore, alla diletta moglie Ida prematuramente scomparsa; un amore nato fra i banchi, che ha il profumo e il candore della giovinezza, in cui i sogni sembrano reali e le favole vere. «Tu sei apparsa / come un fiore / nel mio cuore» – scrive lui. «Il mio cuore ti appartiene, vita della mia vita...» – risponde lei. E corrono l’uno verso l’altra, come il fiume va al mare, per sciogliersi in un abbraccio e poi morire d’amore. Sperano che l a loro modesta casetta venga allietata dalla nascita di un figlio, ma Dio aveva deciso diversamente. Le delusioni li sommer-gono, impietose. E la mancanza di un figlio, che di solito crea dissapori in seno alla coppia, rinsalda il loro amore. «Ti coprivo di baci con gelosa cura, perché avevo sempre paura di sciuparti» . Quanta delicatezza in queste parole! E l ei viene colpita da un terribile male, che lentamente ma inesorabilmente la porterà alla morte, fra il dolore di chi l’aveva conosciuta e la disperazione di Elfio che profonda-mente l’aveva amata. E dalla morte (il pendolo continuerà a segnare per sempre le 6.58, ora del decesso...) si origina la meravigliosa catarsi dell’uomo, che solo in Dio trova il conforto e la forza necessaria per sopravvivere, da sacerdote al servizio dei più deboli, in attesa di ricongiugersi con lei nella s fera dell’eterno amore. «Senza fede si può vivere –

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dice un poeta spagnolo – ma non si può morire». Dunque l’amore vince la mort e e Dio ci toglie questa vita per offrir-cene una migliore fra le sue paterne braccia. E lei muore urlando di dolore, ma sorretta dalla sua incrollabile fede. E il suo messaggio giungerà fino a noi come una carezza nell’ora dell’angoscia, che prima o poi ci colpirà tutti. Il libro, scritto in uno stile semplice e chiaro, present a, con una scrupolosità quasi maniacal e (che perdoniamo al Coppone solo in virtù del suo disperato dolore) tutti i momenti felici e infelici della sua vita con Ida e, per l’intensità dei sentimenti, per la voluttà di talune espressioni, per l’assolutezza dell’amore che tutto in sé assorbe, ci trasport a in un clima romantico ottocentesco, di cui avevamo smarrito il profumo. Alfonsina Campisano Cancemi Franco Occhipinti, Salvatore Giuliano il re di Montelepre mito fantasia e verità (Ed. Martorina, Ispica 2002)

Un’interessante, quanto apprezzabile iniziativa sce-neggiare la vicenda che vide coinvolto Salvatore Giuliano (Turiddu), resosi noto con l’epiteto di “Re di Montelepre”, ci ha pensato Franch Aamir, al secolo Franco Occhipinti. Avvalendosi della pubblicazione di un memoriale redatto da Mariannina Giuliano e Giuseppe Sciortino Giuliano, l’autore ne ha tratto elementi base della vicenda, arricchendoli da considerazioni e precisazioni, allo scopo di presentare questa leggendari a figura della vita siciliana nella sua realisticità, sgombrando la mente da illazioni e false accuse. L’autore si è impegnato a dare una versione quanto mai realistica dei fatti, eludendo ogni enfatismo, attenendosi a quelle che era-no le testimonianze dell’epoca. Ne risulta una Sicilia assilla-ta da astiosità sociali in cui i ricchi proprietari terri eri, osses-sionati dal timore di perdere il loro patrimonio, osteggiavano le correnti proletari e alle quali si erano aggregati i ‘separati-sti’. Occorre fare mente ad un fenomeno, quello del separati-smo, che negli anni 50, serpeggiava minacciosamente ed è comprensibile che ad esso si aggregasse anche la lotta della povertà cont ro la ricchezza. Attorno a questi eventi si svi-luppava una cruenta lotta contro le forze dell’ordine, ivi im-pegnate per controlli e repressione di quello che veniva definito ‘banditismo’. Il testo ha quindi una funzione, oltre che informativa, anche di studio psicologico degli stati d’a-nimo dei diversi protagonisti. Giuliano assurge a capo di questo movimento, ma non lo fa con la tracot anza del criminale, ma con lo spirito determinato di un riscatto del suo popolo, da qui l’alone di gloria di cui era circondato dai suoi seguaci e la persecuzione costante da parte delle forze dell’ordine. Suddiviso in tre atti il lavoro si sviluppa su una sintetica dialogazione, rapidi scambi di battute, quasi scari-che di mitraglia, Giuliano diviene capro espiatorio, ingiusta-mente incolpato della strage di Portella della Ginestra; egli stesso ne riconoscerà l’errore. Da un dialogo con Tecl a si desume anche un riscattare dalla miseri a il suo popolo ed incolpa il destino di quanto accaduto, sintomatica l’afferma-zione. «Anche se ci sono stati dei morti, è stato il destino! Nonostante l’omicidio non mi sentirò mai un assassino». Parole forti di un eroe vendicatore e giustiziere che combatte i carabinieri considerati oppressori. Ne vi ene fuori una figu-ra di Giuliano eroe popolare, coraggioso, sprezzante del pe-ricolo che lotta per la sua libertà della sua t erra oppressa da una tirannia baronal e. Drammatico il dialogo finale fra Tu-

riddu ed Aspanu (Gaspare Pisciotta che sarà il suo esecu-tore) da esso si evince tutta l’amarezza del dover riconoscere che è stato tradito da un fratello di sangue. La rappresenta-zione evidenzia drammaticità e realismo oltre che fantasia.

Pacifico Topa Il passo delle nuvole di Alfina Spinella

Le nubi, questo etereo ed impalpabile elemento che solca il cielo, è il tema scelto da Alfina Spinella che ne fa argomento d’una composizione aleggiante ed evanescente. «Vagano silenziose nella volta stellata / scorrono lente nel quieto turchese di un cielo senza tempo». Un’immaginifica descrizione di nuvole vaganti in un cielo infinito e ricor-rente. Non si conosce l’origine, né si sa quale ne sarà la fine di queste nuvole grigie che, però, hanno il merito di trascinare il pensiero». È il destino di questi batuffoli vaganti, fantasiose forme che corrono spinte dal vento verso un ignoto destino. È vero che osservandole «l’animo ha pace», un senso di quiete s’impossessa di noi. Il loro cam-mino è fantasioso, «avanzano lievi le maestose regine... nel loro movimento hanno la capacità di coprire il sole... dise-gnando ombre sul volto del mondo...». Alle nubi sono colle-gati i sogni e le speranze, ad esse è anche affidato un mes-saggio di serenità e di quiet e, quella che regna nell’immen-sità del cielo ove vagano, impassibili, agli eventi terrestri. Pacifico Topa Vita di collegio di Baldassarre Turco: una rievocazione autobiografica (Autori autogestiti, Genova 2002)

“ Vita di Collegio” di Baldassarre Turco è una rie-vocazione autobiografica di un ragazzo che, per precarietà economica e mancanza dei genitori, perduti assai presto, viene messo in un convento francescano ed i parenti si auspicano che vi possa percorrere l’iter che conduce al pieno apostolato. È apprezzabile, nel ripercorrere gli anni di colle-gio, la spontaneità con cui l’autore est erna i suoi stati d’ani-mo, le sue dubbiezze, la meticolosa osservanza delle regole, assai rigide del collegio stesso. Tarcisio, questo è il suo no-me, non nasconde le sue origini precari e e nell’infanzia vede nel convento dei fraticelli uno spiraglio di vita migliore, possibilità future di vita più serena. Frequenta assiduamente l’ambiente, ne subisce le influenze per certi aspetti anche positive, adeguandosi ad una regola monastica che, per gli aspiranti al sacerdozio, è quanto mai scrupolosa. Interessante sono le concettuazioni che emergono dalla mente di un dodi-cenne che ha uno spirito d’osservazione assai spiccato, ma soprattutto ha concetti eticamente validi che affiorano fra-nando ogni piccola sbavatura di condotta. Ad un certo punto affiorano dubbiezze che possono sconvolgere anche la men-te infantile. Gli impegni di una vocazione ecclesiastica si scontrano con l e naturali tendenze fanciullesche di eludere certe responsabilità. La costant e normativa cl australe basata su assillanti predicazioni, ripetuti richiami al proprio dovere, rifl essioni moralistiche ribadite dai superiori, appelli nella propria coscienza, sono un argomento ricorrente. Indiscussa la valenza applicata nel collegio per avviare i piccoli a quella che dovrebbe poi essere la propria professione religiosa, ma altrettanto discutibile la pervicacia con la quale si vorrebbe, da parte di t aluno, imporre drasticamente una norma di vita.

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Durante tutti gli anni che ha frequentato il convento, Tarci-sio s’è creato una mentalità da adulto che lo ha posto nel co-stante dubbio sulla sua vera vocazione. Il libro è una schiet-ta, sincera, trasparent e, testimonianza di realtà giovanile, con tutte le problematiche che gravitano sulle di fficili scelte che i giovani debbono fare. Nell’amletica dubbia sua situazione il giovane, pur angustiato dal rimorso di dover rinunciare al-la generosità di una benefattrice, rattristato per il dispiacere procurato ai suoi superiori, alla fine viene nella determina-zione di non tornare in collegio, anche perché s’insinua nel suo stato d’animo quel prurito sensuale che è alla base del ragazzo maturo. Tutto sommato il libro è una dimostrazione di realismo, ma anche di razionalità e di onestà individuale, soprattutto perché ri fiuta ogni menzogna o infingimento!

Pacifico Topa L’eterno scorrere delle parole in Squarci dell’ani-ma di Fedel Franco Quasimodo (Montedit, Me-legnano 2002)

Noi siamo l’eterno scorrere delle parole nel tacere più intimo degli occhi. Potrebbe essere questa la “ Summa poetica” della silloge di Fedel Franco Quasimodo. Spesso sappiamo di noi dagli sguardi irreali di qualcosa di incom-piuto, come un’attesa dubbiosa di luoghi “ altri” da noi. Il pulsare d’anima è il silenzio del tòpos emozionale, luogo in-timista di quella penombra alla ricerca della luce. L’autore gioca sulla corda religiosa-intimista, interroga la madre ancestrale del tempo migliore di noi, ma, forse non si aspetta risposte. Allo stesso modo dei preromantici del tardo sette-cento, la parola assume valenza di suono e al contempo libe-ra tutta la sensualità interiore, tutta la fisicità del cristiane-simo. Allora la vita è la festa del corpo, che ogni attimo sfugge al terrore della morte; la memoria, il ricordo, sebbene a volte obnubilati, diventano la carta bianca della scrittura intimista. «Il silenzio dei luoghi è sempre irreale - scrive nel-la prefazione Massimo Barile - e la calma regnante è appa-rente perché l’uomo vive un travaso di emozioni, uno smar-rimento nella luce ed un’ossessione estrema nella continua lotta che è l’esistenza: ci si accorge purtroppo che a volte ogni tentativo di superamento di tale situazione estrema è vano, altre volte perfino impossibile. La vita diventa un li-quefarsi in una macerazione che si fa lamento, nel disperato tentativo di liberarsi da una situazione umana agonizzante». Francesco di Rocco Assassinio in cattedrale di Nunzio Menna

Conoscevo Nunzio Menna come editore, come poe-ta e come critico. Lo conoscevamo anche come direttore del-la longeva rivista “ Verso il futuro” e come fattivo operatore culturale. Non lo sapevamo giallista. Soprattutto, non un giallista raffinato e sottile quale ha dimostrato d’essere con il suo recente “ Assassinio in cattedrale”. In una cinquantina di pagine, Menna costruisce e narra la tragica vicenda di Don Nicola, un sacerdote dal volto umano, disinteressato al “particolare” tanto caro invece al suo “ storico collega” di manzoniana memori a, e molto impegnato nel sociale. Un prete, Don Nicola, che esplica la propria missione interpretandola come volontà d’aiutare sbandati e disadattati: prostitute, tossicodipendenti, manovalanza criminale in ge-nere sono le anime che più ha nel cuore, e che cerca di

ricondurre alla normalità per il tramite della sua figura di conoscitore degli uomini e di ministro di Dio. Un prete, insomma, che è sì un personaggio narrativo, ma anche la trasposizione letteraria di altri veri uomini di Chiesa, votati al recupero di vite disperate e spesso perseguitati, braccati o addirittura condannati da malavita e affini. Ed è proprio la mano della malavita a incombere sul destino di Don Nicola, interrompendolo un giorno come tanti, quando il prel ato beve il vino del proprio calice e, avvelenato, muore. Per la collettività del paese la sua morte è un mistero. Chi poteva volerla? Perché? A quale scopo? A questo punto Menna, con un’abilità che davvero merita d’essere sottolineata, s’adden-tra nell’intricata vicenda e present a i personaggi che la animano. E lo fa, come ha giustamente scritto Isabella Mi-chela Affinito, con «l’intelligenza dell’autore che sa quando e come andare avanti nelle descrizioni dei personaggi... tratti dalla vita attuale come lo strozzino, il protettore delle pas-seggiatrici, l’immigrato, il drogato...».

Con tocchi di penna brevi ma effi caci, l’Autore disegna un quadro che risponde perfettamente ai canoni del giallo tradizionale, ma senza rinunciare a talune scelte che, se non innovative, senz’altro rispondono ad un’esigenza di personalizzare la scrittura e imprimere all’intreccio un ritmo e un’articolazione apprezzabilmente individuali. Il risultato si palesa, a lettura conclusa, come un qualcosa di fresco, omogeneo e vivace. Un insieme ponderato e studiato, progettato e sviluppato in ogni sua componente con uno stile non invasivo. Uno stile pulito, nel complesso lineare, che rinuncia a commenti o considerazioni personali preferendo far parlare i fatti per quello che in effetti sono, e lasciando al lettore la facoltà di trarre le conclusioni che ritiene opportune. Il libro, è il caso di dirlo, si legge tutto d’un fiato. Ma questo non dipende tanto dalle dimensioni del volu-metto, perché c’è da ipotizzare che anche qualora fosse stato più corposo nulla avrebbe perso in fluidità e capacità di coinvolgimento, quanto all’esatta impostazione generale e alle azzeccate scelte dell’autore. Borges, diceva Sciascia, sosteneva che il giallo fosse il genere letterario più onesto, poiché impone all’autore di rispettare la logica e la conse-quenzialità dei fatti, senza nulla concedere a lacunosità e imprecisioni. Un pensiero che facilmente può essere assimi-lato ad “ Assassinio in cattedral e”, un giallo, peraltro, che si fa portatore d’una visione della giustizia non del tutto pes-simista. Pessimista, in verità, sembra che Menna lo sia verso la società qual è l’attuale, con le sue contraddizioni, le sue miserie, con i suoi eroi e, purtroppo, i suoi antieroi. Simone Gambacorta Tutela del diritto all’innocenza in Nel bosco delle betulle amiche di Antonio Cernuschi: (Eupalino Ed., Milano 2002)

«La natura umana difende la sua adulta ingenuità, il suo diritto al candore, la sua voglia di tenerezza nei tanti modi che – dalle caverne ai satelliti – non hanno cambiato né forma né senso». Inizia così la prefazione di Stefano Rolando alla silloge “ Nel bosco delle betulle amiche” di Antonio Cernuschi. E ci sembra senz’altro un buon viatico per chi si accinga a s fogliare le pagine di questo libro di poesia. In effetti, la prima sensazione che accogliamo dalla lettura è proprio quella di un canto impegnato a salvaguar-dare la delicatezza della nostra emotività, la freschezza dei

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nostri desideri di eterni, coraggiosi bambini. Così il «biso-gno di ascoltare, / ancora una volta, / il racconto grande dell’uomo» (“Sai nonno”), l’assenza dolorosa della carezza di quella ‘mano grande’ mutano, oggi, in serena beatitudine perché il poeta ha deciso, «abbracciando il cielo», di correre «a spalancare / ... la finestra dei sogni», di respirare la su «aria azzurra» che si è fatta parol e. Perché, per sua stessa ammissione, «poesia è emozione. / Poesia è l’emozione...». Non si deve pensare, però, ad una liri ca eccessivamente leggera in quanto non mancano, seppure diluiti nell’azzurro rasserenante del cielo (elemento così presente e caro alla poetica del Nostro), spunti che lasciano intravedere l’atten-zione riservata agli aspetti meno edi ficanti del nostro vivere. Valga, a titolo di esempio, in “Passeri”, «auto come for-miche, / sul raccordo di ferro, / navigano nella nebbia / con un carico st anco / di rassegnat a tristezza», peraltro subito riscattata dal verso seguente: «Gioco sulla lavagna di vetro / e disegno il nulla / di un gomitolo infinito». Al lettore dunque il piacere d’inoltrarsi «tra i ricordi e le emozioni / tra nostalgia e tristezza» nel bosco delle betulle amiche. Sandro Angelucci Muore la terra di Pasquale Vinciguerra

Il degrado della natura è il tema che Vinciguerra s’è prefisso e ne ha fatto motivo di una semplice creazione che, per la sua linearità, colpisce e coinvolge. «Muore la terra / muoiono gli alberi...» è una tragica realtà! Lo stato di de-grado ecologico è evidente e non c’è bisogno di sottolinear-lo, la flora e la fauna stanno subendo danni irreparabili: raz-ze di animali, specie volatili, stanno scomparendo, coltiva-zioni intensive industrializzat e stanno compromettendo la stessa sopravvivenza di una microfauna, una volta ghiotto cibo per uccelli. Ma stanno scomparendo anche le tradizio-nali attività agricole. «Muore l’anziano zappatore, / il pasto-rello allegro / il canto degli uccellini, / la vita intensa del-l’aia...» . Questi versi dicono già tutto. Il fascino di una cam-pagna serena, florida, variata, ricca, è stato concellato. «O-vunque è desolazione», lo, si riscontra nei disastrosi eventi di allagamenti, frane, dissesti ambient ali. Ecco allora un mesto rimpianto, un’evocazione dei «campi in festa / torna-no alla memoria», ma ormai tutto è passato. Quella vita sere-na della campagna di qual che decennio fa «è un sogno remoto». L’emigrazione ha creato quest’abbandono, ciascu-no è alla ricerca «di un nuovo programma / che sa di terra lontana / di terra che muore». Quanto realismo in questa creazione! Un’attualità che dovrebbe sconcertare soprattutto gli ambienti responsabili. Pacifico Topa Profonda solitudine interiore nel romanzo Non dire mai cosa sarà domani di Imperia Tognacci, (ed. Laterza, Bari 2002)

L’acquisto di un appartamento situato in una loca-lità montana è l’incipit di questo bel romanzo di Imperia To-gnacci. Una “ casa verde” a due passi dai boschi, che si con-trappone al “ nido d’aquila” appollaiato tra alberi d’antenne e silenzi di cemento nella metropoli (p.9), dove Loretta, io-narrante della vicenda, vive abitualmente con il marito e due figli. Per la prot agonista è un ritorno all’infanzia, a quelle

«immagini del passato, quando si spandeva per la casa il profumo della piadina e l a teglia di terracotta, infuocandosi, sprigionava un calore così forte che, allo stesso tempo, atti-rava e allontanava, spargendo per l’ambiente un odore festo-so» (p.22). Al tempo stesso, però, la casa verde è anche il punto d’approdo dove smaltire le scorie della metropoli e fi-nalmente instaurare rapporti sinceri con gli altri. Infatti, in questo luogo al di fuori dell’avvilente, ma irrinunciabile quotidianità della città, Loretta incontra Maria con la quale entra immediatamente in sintonia. La donna le racconta con spontanea sincerità la sua di ffi cile esperienza vitale. Nel suo passato c’è, infatti, il grande rammari co di non aver potuto avere figli in seguito ad una malattia che le ha precluso per sempre la maternità, violando anche il suo equilibrio menta-le, ristabilito solo dopo una lunga sofferenza e, grazie all’in-contro con un medico omeopata che l’ha aiutato a liberarsi da una grave forma di intossicazione e di dipendenza dai far-maci. Non è accaduto lo stesso ad una sua amica d’infanzia, vittima di un insolito e probabilmente letale innamoramento. Loretta apprende la sua vicenda leggendo alcune l ettere che Paola ha scritto a Maria prima di sparire nel nulla. Un giorno Paola riceve una telefonata da un giornalista che afferma di aver visitato una sua mostra di quadri rimanendone favore-volmente colpito. Poi la telefonata diviene più personale e la donna si sente immediatamente affascinata dalla voce di Al-do con il quale parla senza di ffi coltà. «Le veniva spontaneo aprirgli il suo animo e parlargli di lei, avrebbe potuto rac-contargli qualunque cosa, anche i più intimi segreti» (p.60).

Paola sente che l’uomo le appartiene pur non aven-dolo mai conosciuto, ignorando il suo aspetto fisico, la sua età. Si convince che si t ratta di un’unione di anime che su-pera anche il limite della spazialità. Ma quando un giorno Paola, forse in un momento sbagliato, telefona ad Aldo e si accorge che la sua voce è diversa, addirittura autoritaria, l’intera costruzione mental e crolla fino a farla sentire im-provvisamente avvolta in un vuoto assoluto, che nel tempo sente aumentare dopo ogni telefonata. Un senso di vuoto «diffi cile da definire tanto da poterlo confondere con la pura immaginazione» e che ora «aveva trovato una concret ezza. La sua voce, come l e forze, si era improvvisamente abbassata... Forse tutto questo le succedeva perché Aldo era un sensitivo. L’animo è fatto di energie e lui, non potendola avere fisicamente, senza rendersene conto si appropriava di lei in un altro modo». (pp.82-83). Tutti le consigliano di trascorrere un periodo di tempo in campagna. Paola si decide quindi a partire, ma a questo punto anche le sue l ettere misteriosamente si interrompono.

Ciò che emerge, a nostro avviso, dal romanzo della Tognacci è la profonda solitudine interiore che attanaglia l’universo femminile in bilico tra la percezione della propria racchiusa interiorità e la imponente razionalità della mente e che, in una possibile interpretazione del romanzo, si potreb-be identi ficare, metaforicamente, nella più complessa con-trapposizione tra l’incanto della natura, assoluto territorio dell’anima, e il fascino esteriore della città, tempio della ma-terialità dell’esistenza. Ma la forza del romanzo è anche, e soprattutto, nell’invito a non cedere alla costante insidia di tras formare l a nostra vita in un inutile accumulo di giorni privo di ogni contatto positivo con gli altri e di evitare di diventare «ombre chiuse nei singoli universi, tra altre sco-nosciute ombre» (p.89). Mario Landolfi

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Rosarita Berardi, problemi esistenziali in Navi-gando da ri va a riva, (Ed. Tracce, Pescara 2001).

In un periodo che si snoda intorno a problemi esi-stenziali che naturalmente convergono nell’intimo della sua anima complessa, l’autrice affronta, con risentimento a volte ma sempre con decisione, gli aspetti molteplici dell’esisten-za. Metafore, analogie, stati d’animo che oscillano tra il buio e la speranza, raccoglimento interiore in cerca di un sorriso, il tempo impassibile che scorre e lasci a i suoi segni inde-lebili dentro e fuori di noi, rassegnazione alla vita che offre come piacevole alternativa solo l’evasione nei sogni... «Pen-sare pensieri / e rincorrerli ripetutamente» sfuggendo alla realtà e aggrappandosi alle illusioni... Questi i temi precipui. E poi quadretti idillici, giochi di parole, ri flessioni, esplo-sioni d’affetto, fughe sotterranee per ritrovare se stessi... Molti i parenti o gli amici menzionati ai quali dedica versi. E l’amore?... La poetessa vi inciampa di frequente. «La lingua batte dove il dente duole»: è il suo punto debole, come per ogni donna... “Per un uomo”: «Appartengo solo alla sera / quando mi affaccio sulla mia anima / e con la mano saluto il mondo». La donna si scrolla di dosso l’invadenza di lui e reclama il suo diritto di libertà, non libertà d’arbitrio ma preminenza al divino dello spirito. In “Ti amo”: amore profondo, immenso, struggente, per il suo uomo: «La tua assenza / è troppo mia: morirò». In “Caparbia”: «Mi manchi, ma t’aspetterò...» . La Ballata di Cappuccetto Rosso è la ballata dell’amore: «Quanto suadente è / la tua voce adorata / quando sussurri. T’amo / ad una vita inventata, / ad una vita sognata...». E infine in “ Eva e la mela”: Eva, affamata d’amore, morde la mela, tutta, fino ai semi, e rinasce Fenice.

Antonia Izzi Rufo A mio padre di Anna M. Greco

Un’accorata elucubrazione evocativa per la perdita del babbo, una commovente esternazione che dice quanto grande sia il dolore di chi perde una persona cara. Quegli attimi, gli ultimi, restano incisi nella memoria malgrado tutto. Sono i ricordi di quei momenti che si stampano nella mente... «quando, vicino al letto / per l’ultimo saluto / pativo vedere forzato distacco». Assistere ad un’agonia di un genitore è quanto mai traumatizzante; nel caotico sovrap-porsi di pensieri si cerca di respingere quella realtà incom-bente ed allora gli occhi lasciano scendere l acrime amare, rese ancor più cocenti dalle parole che il morente pronuncia per incoraggiarci ed alleviare il nostro strazio. Ebbene, quelle lacrime diventano l’emblema di una realtà che ci accompagna ogni qualvolta tornano alla mente quegli attimi fatali. Il pianto resta a colmare quel «gorgo di vuoti» , ossia quel senso di solitudine che resta per sintetizzare due eventi di per sé antitetici in cui ci si viene a trovare. «Tu nella morte io nella vita...» . Sono versi ispirati da un cuore sensibile ed affranto di chi vive intensamente questi eventi.

Pacifico Topa Carmela Parlato, ricordi e nostalgia in Obblighi del cuore, (Ed Lalli, Firenze 1984)

Ricordi e nostalgia di tempi e luoghi dell’infanzi a, di persone care scomparse... Di quando, bambina felice, ‘correva tra le siepi di biancospino’ e lanciava in aria ‘la sua

voce d’argento’; della nonna che traboccava d’amore per tutti... Consigli, suggerimenti, riflessioni, sagge conclusio-ni... Rimproveri indiretti, senza ira, a chi non ascolta il cuore... Vari gli argomenti trattati: i problemi dell’uomo, i suoi stati d’animo, la sua lotta per la sopravvivenza; problemi razziali (Il canto di Bessie), problemi soci ali (Jnis Joplin)... Canti elegiaci le sue poesie, lamenti più che versi leggeri che fanno volare su ali di farfalle... E poi l’amore. La storia d’amore, col suo epilogo, è così concentrata: «Il no-stro amore era fatto / di pena scontrosa, / di un rancore che avevamo / ri cacciato molto a fondo / e che risaliva a gal-la...». Già il titolo, “ Obblighi d’amore”, lascia intuire la na-tura del sentimento, che vero amore non è perché fatto di rancore, intrighi, sotterfugi, ostilità, diffidenza, mancanza di fiducia... Un amore pesante, di fficile da sopportare, un amo-re verso il quale «il cuore ha degli obblighi». Un amore, ve-ro amore, è dol ce soffrire, è procedere in sintonia anche at-traverso scontri frequenti, è sapersi librare nell’azzurro, non è trascorrere la vita in lamentele, rimproveri e accuse reci-proche. Amore è disinteresse, spirito d’abnegazione. Amore è quando si riesce a comunicare attraverso un filo magico che non è della terra ma di un’altra dimensione... Nei suoi versi l’autrice manifesta pacat a rassegnazione, ma esprime le sue riflessioni e le sue motivazioni con un senso di amaro.

Antonia Izzi Rufo Realtà-Sogno-Speranza di Antonina Pace

Un titolo emblematico che sintetizza egregi amente il contenuto della composizione. Con una versi ficazione rit-mica l’autrice esprime il sogno naturale di chi è alla ricerca di un amore intenso. L’imprevedibile predomina l’introdu-zione della poesia “ Io t’ho presente mentre mi fuggi”. C’è qui tutta l’evanescenza di un affetto che s fugge. «Come in un sogno tu mi svanisci...» , è l’istintiva conclusione di chi, fugacemente, incontra l’amore. L’istinto acceca ogni pru-denza, ma l’ansia di un sollecito ritorno accentua il pathos affettivo. «Ma pur io spero che un dì verrai / per dirmi: “ Ecco ti voglio amar”». Ma come in tutte le cose belle esse hanno una fine; una partenza, un distacco, situazione dram-matica, angosciante che cel a un nuovo incontro. «Io ti rispo-si: “ Amor vienimi a trovar”». Ma con l’allontanamento sub-entra la preoccupazione, l’atroce dubbio: «Mi scorderai?». Il dubbio dell’oblio è assillante in chi ha riposto tutto il suo affetto nell’incontro. La fant asia allora si sostituisce alla realtà, le congetture più ottimistiche emergono per placare l’ansia che sconvolge. «Ti penso e dico: “Chissà! c’incontre-remo?” Ti penso e a Dio domando: “ Ci sposeremo?». Anto-nia Pace ha percorso, versi ficando, l’iter terreno di chi soffre le pene d’amore e lo ha fatto con tant a schiettezza e naturalità da coinvolgere. Pacifico Topa Immagini fresche e rilassate in Il pulsare del tempo di Idiana Rubbia Paiero, (Laboratorio delle Arti, Milano 1996)

“ Gli echi del canto della notte” aprono la silloge. È l’incedere del mattino con le sue immagini fresche e rilas-sate, le sue musiche, i suoi colori, il suo respiro profondo e il pieno d’aria fresca intrisa di brio, il tutto convergente e rivelantesi «nell’ambiguo, ironico sorriso del meriggio». È il

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pulsare tempo che coinvolge tutte le creature: gli insetti, gli uccelli, i fiori, il tempo «da ghermirsi nel battito / di un’ala di farfalla». Protagonisti diretti - molto spesso sottoforma di metafora - sono gli animali che popolano la natura: lo scia-callo “ che azzanna”, la debole t artaruga straziata dal “ rostro feroce”, i cani che latrano nella notte, la leonessa che fa la siesta e ricorda “ gli assalti di preda”, le lucertole dei tropici. Riferimenti, paragoni, analogie. Siamo poveri impotenti noi esseri della terra, illusi «come la foglia mort a che schiaffeg-gia l’aria, anche se a vuoto come don Chisciotte». Non sia-mo liberi di fare le nostre scelte, di assecondare i nostri desi-deri. Possiamo solo guardare il cielo e le stelle (muti spet-tatori). «Aneliamo al calore: / ma la porta è sbarrata. / Non ci è concesso di entrare» e nemmeno di parl are. E l’amore? «Vivisezionato sembra un insetto / dai connotati anomali». Quando ‘Lui’ la cercherà, ‘lei’ non ci sarà, così all’“As-sente” (Una donna che si vendica ? Un innamorato pentito?): «Se tanto tu l’ami, / quell’uomo (che) non ti ama / io te lo faccio avere» le dice il veggente. «Preferisco l a morte» lei risponde. Però vorrebbe di nuovo «tutti i baci che ha avuto (desiderio represso?), colombe e / falchi e / pipistrelli... e il serpente e il drago». Gli animali, sempre loro: personifi ca-zione dei sentimenti che mettono a nudo la vera identità del-l’uomo con i suoi problemi esistenzi ali, i suoi sfoghi d’ani-mo, il suo rifugiarsi - per trovare conforto – nella poesia. Antonia Izzi Rufo Dentro il cerchio poesie di Vincenzo Pinna, (Betania editrice, Caltanissetta 2001).

Un incipit che capta l’attenzione e l’interesse del lettore, che sprona ad andare avanti per saperne di più. Dapprima la massima di Loredana Bertè, «invocazione a Dio perché gli canti una canzone», poi, al Dio vero natu-ralmente, perché egli, l’autore, «ha dentro di sé un Dio sto-nato che non riesce a cantare». Un’anima complessa, tor-mentata, la sua, uno spirito in fermento che aspira, senza tregua, a qualcosa che esuli da questo mondo imperfetto e soddisfi nel senso pieno della parola. Non sopport a egli e non giustifica il modo di fare e di pensare della gente, anzi ne rigetta ogni asserzione, ogni superfici alità, quasi per timore di esserne contagiato: «Per favore, lasciat emi almeno / baciare quella bella farfalla...» (desiderio di accostarsi al bello e al casto). Non lo appaga il mondo né il sesso né tutto il resto ed ecco l’impulso alla fuga, all’evasione: «Vorrei ballare con la luna, / ma il mio disordine non me lo per-mette». È l’immaginazione che lo rende libero, che lo fa sognare, che lo fa sentire se stesso, l’àncora a cui s’aggrappa per spiccare i suoi voli. E quando la solitudine che sente dentro «non lo fa dormire, non lo fa sentire, non gli fa vedere nemmeno la luna...» , scivola nel suo canale d’emergenza, quello dell’amore, e si l ascia stordi re dai suoi profumi. Un poeta giovane che si sente maturo, già vecchio, già stanco della vita ma che riesce a ritrovare la sua giovinezza quando afferma: «Bambino il mio viso. / Datemi quello che io ho bisogno. / Colleziono figurine». E ancora nella ninna nanna che canta alla sua donna: «Dormi bambina... / Quando ti sveglierai ti porterò sulla luna». Così pure in “ Maschere” dove quel «Giro, giro tondo...» riporta a “ La via del rifugio” di Gozzano: «Trenta quaranta / tutto il mondo canta... 175. Il Pinna è un ragazzo moderno, che pensa con idee moderne, che si esprime con un linguaggio

moderno, ma che anela a sensazioni aut entiche, che trova il suo appagamento completo nei valori veri, universali, eterni. Antonia Izzi Rufo Stile sobrio e misurato di Rosalina Pianezze in La clessidra e la soglia (ed. Leon Spinea, Venezia 2002

In questa raccolta, come nelle sue precedenti, Rosa-lina Pianezze usa uno stile sobrio, misurato e attento e, come dice bene Paolo Ruffilli, «si caratteri zza fin dal suo esordio per un originale equilibrio tra elementi della t radizione e usi linguistici e metrici della contemporaneità...». Questa rac-colta offre per suddivisione vari temi, vi troviamo tra gli altri “ Luoghi dell’anima”: un taccuino di viaggio dove l’autrice descrive per brevi immagini le sensazioni più significative che l’hanno colpita nella terra d’Irlanda, dando al lettore, pur nella brevità ed icasticità dei t esti (e qui sta la sua bravura) elementi più che sufficienti per comprendere la bellezza di questo paese: «lasciami qui: magari / solo un anno, il tempo / di guarire da questo acuto / male d’Irlanda, / il tempo di imparare / i quaranta toni di verde...» . Ma ciò che più sorprende in questa poesia, sono i versi dedicati ai suoi cari scomparsi. Nella sezione “ Il regno impenetrabile”, l’autrice ci fa dono di una memoria che si muove tra le righe discreta e toccante e, pur rimanendo nel cerchio di un linguaggio pacato, sorvegliato, riesce a coinvolgere il lettore evocando emozioni: «Padre, vecchio mio, ricordi / ...Tu, bellissimo pescatore, / forse inseguendo fra i sassi / una trot a ti allontanasti: / ...Quella la prima volta / che ti perdevo... / Ma allora sei tornato / ed hai consolato il mio pianto...» . Ci sono in questi versi anche un diario di vita e di ri fl essione, un prendere atto della caducità del vivere. Una poesia che emerge colta e garbata, cert amente come l’autrice. Rina dal Zilio Magie e verità di Milano nel volume Poeti per Milano – una città in versi di Angelo Gaccione

L’impresa realizzata da Angelo Gaccione – Poeti per Milano, una città in versi, (Viennepierre edizioni, Mi-lano 2002, pp. 412) - è not evole per dimensioni (300 testi e 192 autori), ed è testimonianza innanzitutto di un amore grande per questa città. L’opera, dopo Milano - l a città e la memoria (interviste ai massimi protagonisti della cultura) e la città narrata (testi in prosa), è peraltro la terza di una trilogia dedicata a Milano da Gaccione, e pubblicata dallo stesso Editore. Il risultato, per quel che concerne l’opera complessiva e quest’ultima in particolare, va molto al di là dei singoli testi e della loro specifica qualità. Il rilievo qui deve essere posto sul risultato complessivo di affresco fatto da una coralità di voci, del passato e del present e, che rico-struisce memoria e profondità. Città diventata sempre più metropoli smemorata di sé, ritrova in questi testi l ampi che attraversano un secolo di storia, il XX, restituendo un’i-dentità a un luogo spazio-temporale. E lo fa come sa fare la poesia, andando oltre i fatti, ridando vita ad atmosfere, a e-mozioni e a tutto l’invisibile coperto e sepolto dallo scorrere apparente delle cose, in cui ora dominano lo scialo e lo sfar-zo dell’industria della Moda: l’effimero, la pelle che cambia ogni settimana, i soldi che navigano impudichi e affermano

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il loro modo e mondo, come dicendo che tutto il resto non conta. Il Centro è ora questo, immagine del trionfo di ciò che il dominio dell’epoca appronta. Vetrine splendenti e colora-te, alternate e seriosi ri flessi delle ovattat e stanze delle ban-che. E dentro questa pelle luccicant e, appagata e satura di sé, formiche imbrigliate da tel efonini e altri terminali high tech, afflussi di capitali e persone da ogni parte del mondo, spesso mal gestiti (cioè gestiti secondo l a logica degli interessi dominanti, tanto da farli diventare fonti di mal vivere anziché di ricchezze per tutti. In tale groviglio di reti, reali e virtuali, urbane e mentali, si muove la poesia, intrecciando il proprio corpo col ribollìo metropolitano e tutti i suoi carat-teri, positivi e negativi, Incedendo col suo incrocio di amore e violenza, rivelando spietat a che «il resto del grande male è ancora / lì sottopelle sott’anima» (come dicono i versi a pag. 196 di Livia Lucchini); riaffermandosi come medium indi-spensabile di sapere e conoscenza della complessità della vita. Il libro curato da Angelo Gaccione è prezioso per que-sto, perché non è localistico, non pone Milano al centro del mondo. Parla di Milano per parlare di tutto il resto. Adam Vaccaro Antonio Allegrini, Ritratti e notturni (Ed. Orient Express, Castelfrentano-CH, Giugno 2002)

Antonio Allegrini, poeta, scrittore ed operatore cul-turale di Castelfrentano (in provincia di Chieti), ci sorprende sempre con la sua Poesia carica di umanità e di visionarietà, per il suo contributo concreto di unire mondi lontani ed irraggiungibili con la forza e la musicalità dei suoi versi e delle sue immagini, con la visione unitaria di trascendenza e di concret ezza rivel ata da un tessuto musicale poetico di grande l evatura. Anche in questa sua nuova silloge “ Ritratti e notturni”, raccolta divisa in due parti come esplicitato dal titolo, il poeta è l’affabulatore di leggende ineffabili, il can-tore di miti arcani, dimenticati nel profondo della memoria, l’aedo dello scintillio della notte, delle sue voci e dei suoi sogni e la sua parola è la concreta voce di un vento che è l’alito musicale della Poesia. L’armoniosa bellezza dei ritrat-ti delineati dalla luce della memoria e i notturni dalle sfuma-ture più diafane e misteriose del buio, rivelano paesaggi segreti e affascinanti attraverso una Poesia dalla veste incan-tevole, incontaminata nella bellezza della sua grazi a, illumi-nante e generosa, che si rivela tutta nella sua tangibile perfe-zione e purezza.

Così i ritratti diventano icone di fede nella loro essenza, illuminate d’amore e d’amicizia per un contributo che travalica il ricordo stesso e lo perpetua nell’infinito degli affetti e del tempo.Voci e figure, atteggiamenti e stati d’ani-mo sembrano usciti dal mistero del Creato stesso a descri-verne la forza e la bellezza, a perpetuarne l’appartenenza e la condivisione, in un canto di gratitudine e d’affetto per quegli ideali comuni d’amore per le grandi e pi ccole cose che la vita offre e che l a Poesia rende grandiose. La grandiosità della Poesia di Antonio Allegrini è proprio nella sacralità della parola che si veste della sacralità del Creato e delle sue creature, nella vesti cangianti e multiformi delle loro voci. E queste voci hanno il senso di magico e di misterioso del vento, della notte, della luna e sono la voce del poeta che ne canta la radiosa bellezza e la soffusa malinconia, le mistiche ombre e le loro «chiarità ritmate / dolcemente / su t erreni aperti / nei gesti delle spighe». Il poeta va alla ricerca delle

«perdute cose raccolte dal tempo dell’infanzia l asciate per un’incuria adulta nel castigo di dimenticanze incompren-sibili» e proprio per cercarle si affida alla memoria che possa far sì che esse non siano dimenticat e dagli uomini, ma da essi possedute nel vivo dei loro cuori e nel profondo degli affetti affinché ognuno le custodisca gelosamente nel proprio animo. Nella Poesia, in questa “ effimera bellezza” c'è tutta la grandezza della propria vita, fattasi rivelatrice d’epifani e meravigliose, d’arcane melodie salmodiate dal vento e dalla notte, quella notte illuminata dalla luce della luna, “ increata, lattea” che rapì il poeta stesso che poté così iniziare «un’esistenza parallela alla reale senza più riuscire a risvegliarmi», nel dono di una manifest azione unica ed autentica, un miracolo concretamente realizzato proprio nel-la Poesia perché «la salvezza è stata / vivere le parol e, / allinearle con la voce carezzante / per poi irrimediabilmente / perderl e / nell’aria rarefatta». Il dono di Antonio Allegrini, dunque, è proprio la speranza di poter conquistare, attraverso la purezza ed il candore incontaminati, cioè attraverso la Poesia, la certezza dell’essere vivi, dell’esistere in un contesto di sacralità. Franco Dino Lalli Rosario Contarino, ricercatezza retoria in Declive sgorgar di ritentiva (tip. Etna, Fiumefreddo di S. 2002)

Rosario Contarino, nativo di Riposto, approda alla poesia solo in età avanzata, quando, cessato l’impegno di la-voro, può finalmente dare s fogo al suo desiderio segreto. Pubblica quindi alcune sillogi di poesie, in lingua e in dia-letto, senza alcuna velleità letteraria, al solo scopo, come egli stesso dichiara, di farne gentile omaggio agli amici. È in quest’ottica che bisogna collocare l’ultima sua fatica “ Decli-ve sgorgar di ritentiva” che, nonostante la ricercatezza reto-rica del titolo e la scelta di taluni termini desueti che qua e là appesantiscono la strofa (marezzato, valsente, conquiso, mùrcide, aduggia, rubizza, demolcenti, opratore, ecc.) acco-glie una serie di poesie dal chiaro assunto contenutistico, accessibile a tutti. I temi sono quelli di sempre: il valore del-l’amicizia, che “ come un delicato fiore” va coltivata giorno dopo giorno perché non s’inaridisca; l a precarietà della vita che «non è altro / che un soffio di vento / che tutto via trascina / con impeto cruento»; il rimpianto della giovinezza: «Oh gioventù / mia gioventù lontana / tu sei fuggita / come una saetta»; lo scorrere ineluttabile del tempo, che travolge i sogni e le attese, uccidendo talora anche la speranza; il gioco delle illusioni «ciottoli sparsi / a intralciar la via»; il dramma della solitudine, che tuttavia può essere una condi-zione positiva, quando abbiamo bisogno di fermarci a medi-are: «Sol nel deserto / con il suon represso / godrai la pace / e…troverai te stesso». Un discorso a parte meritano le poe-sie dialettali, molto più armoniose nella forma. Una delle più belle è “Sceccu di travagghiu”, in cui un povero asinello «va ppi na trazzera / storta e strittulidda / e arranca, mischi-neddu/ ccu duluri» . L’animale non può parlare al suo padro-ne, ma i suoi occhi implorano pi età «u pisu mi trascina / versu arreri / e ccu sti petri / pozzu attruppicari» . Ma l’uomo non cede alla preghiera; anzi lo esorta a continuare, con la promessa di un pugno di fieno. La chiusa, che fa dell’ani-male il simbolo di tanta umanità angariat a e violentata dai potenti, è un grido che inneggia alla libert à: «Non haju

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fami…/ strogghimi di ccà / cchiù ca mangiari …/ vogghiu ‘a libertà!». Chiude la raccolta la poesia “ Non mi svigghiati…” che, con il suo disperato desiderio di un mondo migliore, invoca il sonno come panacea ad ogni male.

Alfonsina Campisano Cancemi Brunella Mallia, tematiche di vita in L’isola del Sogno, (Edizioni ASLA, Palermo 2002)

«La nostra poetessa – che si presenta oggi al pubblico con la nuova raccolta dal titolo “ L’isola del sogno” – ha avuto anche in questo campo letterario le vittorie tali da richiamare su di lei tutta l’attenzione possibile, inserendosi giustamente, appunto, nel vasto campo della poesia, affront andone le innumerevoli competizioni e inserendosi dignitosamente sul terreno delle tematiche più ricorrenti e di grande attualità: gli affetti familiari, la natura, i sentimenti lo scorrere della vita quotidiana, gli aspetti sociali, il messaggio di frat ellanza in un mondo senza pace» (Ugo Zingales) Pietro Nigro, dinamismo cosmico nella silloge Alfa e omega, (Guido Miano Editore)

«Gran mistero è la vita e non lo svela / che l’ora estrema…» dice Adelchi morente. «Incomprensibile parola la parola fine / inesplicabile come il principio / imperscru-tabile come il mistero / ermetica come la mente di Dio» scri-ve Pietro Nigro nella sua recente raccolta “ Alfa e omega”. In entrambi, dunque, la ci fra della vita non può che essere il mistero. E nel mistero dell’eternità, senza passato né futuro (dimensioni che il poeta siciliano supera eternando attimo per attimo sensazioni e palpiti, luci ed ombre del quotidiano) il Nostro si perde e si ritrova in un acceso dinamismo co-smico: «Attimo finito che sopravvive / si rigenera / e tenta l’eterno». E l’eterno «splende nei cieli col sole / la luna e le stelle / col volo di uccelli in liberi spazi / sul verde e sul mare… e in te splende, anima immensa / esaltazione estre-ma». In questa spazialità cosmica, in cui si muovono l’essere e il divenire, appaiono e «si fanno vita, materia inert e / caleidoscopi di immagini, di pensieri / di eventi che elabo-rano nostalgie»; e la vita è “ bellezza eterna”, che si deve go-dere ogni giorno, nella buona e nella cattiva sorte, in quanto vivere signifi ca essere parte di un tutto come gli anelli di una catena, partecipare della perfezione assoluta propri a dello stesso Dio, che non va segregato in qual che remoto recesso, ma è in noi, vivo e presente, sempre.

In questa possente concezione, in cui «la memoria dilata il futuro» viene vinta anche la morte, perché lo spirito è eterno e non può spegnersi in un determinato istante. «Un universo infinito / dove passato e futuro non sono / che lo stesso cerchio / di un inspiegabile presente». Dopo quanto si è detto, verrebbe di pensare a Nigro come ad un filosofo, ma la sua concezione della vita, come per il Leopardi delle “ Operette”, piuttosto che essere stesa in un sistema organico, fluttua qua e là, tras formata in immagini liriche luminose, che sgorgano spontanee, come polle fra l’erba. Del resto, in questo concettismo poetico compaiono tutte l e suggestioni della memoria: il sapore della giovinezza con i trepidi sguar-di d’amore, le ferite che l a vita impietosamente regala, le attese deluse, «un fiore insospettato / fra le brulle pareti» . E c’è la Sicilia tutta intera, meravigliosa isola, coi suoi poeti e i suoi miti, con il suo mare e le vergini chiome degli alberi,

le siepi di fi chidindia e le rocce forate dal tempo. Compare persino un «pianoforte scordato, scorato, abbandonato / pia-noforte solitario a fare eleganza all’occhio / arredo d’artista / nel… salotto». Certamente il Nigro, che non è nuovo alla poesia, con questa pregevole raccolta si pone, a buon diritto, fra i grandi poeti siciliani contemporanei.

Alfonsina Campisano Cancemi Antonia Izzi Rufo, lo studio esistenziale di Voli nei sogni, (ed. ALI Penna d’Autore, Torino)

In “ Voli nei sogni” (prefazione di Giovanna Li Volti Guzzardi, presentazione di Emilio Pacitti), Antonia Iz-zi Rufo perviene, con le cose, ad un rapporto di dimensione panica. Canali sensori di inossidabile integrità le consentono di calarsi nell’essenza degli elementi, partecipando al vivere cosmico direi oltre i limiti soggettivi dell’umana percezione. Si tratta di uno studio dell’esistere che “ borgheggia” l’infi-nito, ed è prerogativa di rare sensibilità, predisposte già di per sé a tanto, ma anche affinate da quotidiane esercitazioni dello spirito. Il linguaggio si adegua all’esperienza panica che ne è materia, e divent a vieppiù stringato e metaforico, traducendosi, pagina dopo pagina, in un condensato di tras figurazioni, dove l’elemento reale perde le sue conno-tazioni morfologiche per assumerne altre, universali, dal vasto corredo simbologico e analogico dell’autrice. Aldo Cervo Reno Bromuro, La voce dei naufraghi, (Antologia, Prospettiva editrice, 2002)

«Quest’antologia nasce in opposizione aperta al Racket dell’Arte affinché prevalga il valore umano della poesia. La raccolta è solo una goccia nel grande mare della prepotenza, ma importante è lanciare un salvagente perché, nel tempo, possano diventare dieci, cento (e forse più). Tra le infinite poesie scambiate tra amici, accomunati dallo stesso desiderio di dire agli altri il proprio affetto, iscritti alla medesima Mailing List, “ Naufragi”, ne ho scelto una trentina» (Reno Bromuro). La poliedrica personalità di Pirandello in un saggio di Lino Di Stefano, (Cicero ed., Mazzara del Vallo 1986)

Lino Di Stefano non si stanca di ripercorrere le opere di Pirandello e di ‘penetrare’ sempre più a fondo nel-l’animo del drammaturgo, per conoscerlo meglio, e per farlo conoscere. Nel suo ricorrent e riproporre spunti tematici su di lui, egli non fa che «lumeggiare sempre più la personalità di un narratore che si colloca nel novero dei più ragguardevoli geni dell’umanità», così come scrive in “ Le angosce di Pi-randello”. Il suo studio critico su Pirandello si apre con noti-zie biografi che che danno una prima immagine dell’agrigen-tino, superfi ciale ma incisiva, quasi apparizione scenica che mira a stabilire un primo contatto col lettore e a mostrargli l’ambiente nel quale egli cadde una notte di giugno «senza sapere come... in una campagna d’antichi ulivi saraceni, di mandorli e di viti, affacciat a sul nero mare africano». Di Stefano si cimenta in un’analisi critica globale che abbraccia ogni aspetto della poliedrica personalità del nostro Premio Nobel per l a letteratura nel 1934, del suo animo tormentato,

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del suo desiderio di innovazione e del messaggio di cambia-mento cha lanci a all’uomo «alienato nei suoi rapporti umani e sociali e non comunicante con gli altri» . Egli si ispirava alle dottrine dei pensatori greci, ad Eraclito ed Empedocle... Uomo di vasta cultura, s’interessò di filosofia, psicologia, psicanalisi, teosofia e scrutò a fondo nell’animo umano tanto da fargli asserire: «C’è in noi la presenza di altri esseri nascosti che ci rendono, appunto, uno, nessuno e centomila». Antonia Izzi Rufo Le vie del Cielo antologia del premio letterario ALIAS presieduto da Giovanna Li Volti Guzzardi ( Melbourne 2003)

Si tratta dell’ultima splendida e ben curata edizione dell’antologia, frutto del decimo premio letterario interna-zionale dell’ALIAS 2002, che raccoglie davvero poeti di lingua italiana di tutto il mondo. L’infaticabile Giovanna Li Volti Guzzardi, con suo grande spirito di iniziativa, si fa sempre promotrice di nuove proposte culturali. La premia-zione è avvenuta nell’elegante local e del “ 501 Reception” e patrocinata da diversi collaboratori, tra cui il consolato gene-rale d’Italia a Melbourne, l’Istituto Italiano di cultura e con il supporto della Camera del Commercio ed Industria italia-na, il comune di Moonee Valley e il Victori an Multicultural Commission. Molti sono i cenni di plauso, tra cui anche quelli del console d’Italia, il quale vede nell’iniziativa «non solo un’importante azione di stimolo alla creatività, ma anche e soprattutto un’incomparabile funzione di coesione della nostra stessa comunità, attraverso quelle opere che vanno direttamente a far leva su motivazioni profonde, spes-so tipicamente italiane, facendo scaturire forti sensazioni». Bob Sercombe del parlamento australiano evidenzi a il co-raggioso lavoro di volontariato di Giavanna Li Volti, che si dedica completamente a quest’iniziativa con l’obiettivo di «non far morire l a lingua italiana e port arla avanti in questa bellissima Australia, iniziativa che è apprezzatissima da tutti e soprattutto da me che sono pronto ad aiutarla». In effetti, come afferma la stessa organizzatri ce, sono trascorsi «dieci splendidi anni tra gioia ed affanni, probl emi, sofferenza e stanchezza, ma tutto superato con coraggio e forza d’animo, con simpatia illimitata per tutti, per il sostegno avuto da cari stupendi amici, collaboratori e sostenitori che con tanto af-fetto mi circondano, compresi tutti i cari meravigliosi amici partecipanti al concorso, ma soprattutto l’aiuto e il sostegno di mio marito, i miei figli e i miei nipoti che sono sempre trascurati, e per avermi dato supporto in questa mia missione sublime a cui mi dedico animata dall’amore sconfinato che ho per la poesia e per la lingua italiana e per la letteratura in genere». Che dire oltre questo dell’antologia, del premio e dell’operosità della sua organizzatri ce? Certo si potrebbero dire tantissime altre cose, ma voglio aggiungere solo questo: la grande abilità di Giovanna Li Volti di mettere insieme cultura italiana ed anglosassone, e soprattutto saper unire e amalgamare autori di ogni part e del mondo e di tutte le età. Vorrei anche mettere in evidenza la grande attenzione che la poetessa ha verso Il Convivio, di cui è in Australia la rappresentante ufficiale, e non è un caso che molti dei nostri simpatizzanti figurino anche sulla sua prestigiosa antologia. Questo è det erminato dalla stretta e sincera collaborazione che ci lega entrambi. Ad majora, Giovanna!

Angelo Manitta

Antonio De Rosa e il mal di vivere in Oltre le porte del sole (Cronache italiane, Salerno 2002)

Si tratta di una raccolta di poesie di ampio respiro e dalla tematica più varia. Sono spesso gli aspetti sociali ad essere ripresi con più attenzione dal poeta Antonio De Rosa, nato ad Altavilla Irpina e già autore di diverse opere pub-blicate a partire dal 1985. Nelle sue poesie viene evidenzi ato soprattutto “ il male di vivere”, per dirla con Montale, così come chiaramente lo enunci ano alcuni titoli della silloge. Basti ricordare “ Volto di trageda”, “ Un barbone alla stazio-ne”, “ Un uomo solo”, “L’orfanello”, “ Il delinquente” o an-cora “ Upupe piangete”, “ Quando le carogne”. «Il male dell’esistenza è tanto e tal e che in contrapposizione molti creano il paradiso - scrive nella prefazione Nunziata Orza Corrado, - ubriacandosi di fede, per non sentire il terrore di una vita vissuta per niente. La poesia “ Volto di trageda”… è la riprova dell’orrore che l’individuo sente di fronte all’es-pressione tragica dell’infelicità e della morte». In questa poesia sono racchiusi in effetti tutti i temi che il De Rosa vuole sviscerare e present are al suo pubblico, ma prima di tutto e soprattutto vuole anatomizzare e confermare a se stesso. Da questa ricerca interiore e da questa meditazione tragica sulla vita scaturisce il senso della propria esistenza e dell’anelito verso felicità, in un eterno e perenne contrasto, quasi infelicità e felicità fossero le due facce della stessa me-daglia. Emblematica è in tal senso “ Upupe piangete”: «Pian-gete con le mie muse il male / che si è bruciato nel fuoco del sole. / O upupe, il mio male è finito, piangete ancora da sole, ad alte voci, / voi, indovine del mio trascorso male. / Adesso anch’io sto piangendo, ma piango / dol cemente con l acrime di gioia, libero / dai perpetui affanni». L’obiettivo ultimo che l’uomo si propone, così come canta splendidamente il De Rosa, è quello di possedere la felicità, anche se spesso si scopre che è una vaga chimera, ma non per questo ci si tira indietro. Si tratta di una ricerca che diventa da una parte esistenziale, dall’altra fisica e metafisica. L’uomo, individuo commisurato al mondo che lo circonda, tenta una convivenza con se stesso e con gli altri. La vita è una continua lotta tra bene e male, tra verità e luce, tra bellezza e armonia. La poesia ha, in questo dialettico contrasto, una funzione catartica e mediatrice, da apparire «un’armoniosa cantica di note umane / nell’infinita sinfonia dell’universo». Angelo Manitta Lumareddi, la poesia dialettale di Enzo Romano (edizioni il Centro Storico, Mistretta 2002)

Trovarsi a recensire un volume di poesie dialettali non sempre è semplice, pur conoscendosene il dialetto. Leg-gendo “ Lumareddi” di Enzo Romano, mi sono trovato in questa difficoltà. Ma per qual e motivo? Certamente perché non si è davanti ad un qualsiasi volume di poesia di alettale, scritto così per svago, ma dietro c’è tutta una riflessione linguistica e lessicale, oltre che concettuale. A riprova di ciò ne è la lunga postfazione, in cui l’autore stesso evidenzia i motivi e i criteri seguiti dal punto di vista fonetico-grafico. Ogni dialetto è certo molto più espressivo che la lingua na-zionale, appunto per le sfumature e i suoni che riproduce, ma soprattutto per essere espressione viva di una lingua parlata. La lingua nazionale invece è più amorfa e impersonale. Ma leggendo queste poesie ci si trova anche davanti ad un libro

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dalla profondità psicologica ed espressiva, caratteristica di un popolo, attraverso una ricerca ‘archeologica’ del linguag-gio. Parole ormai andate in disuso, parole che tendono a scomparire, parole rare, ma colte nella viva espressione. En-zo Romano ha insegnato nelle scuole elementari per tanti anni, ora risiede a Calolziocorte (in provincia di Lecco) e conduce corsi di aggiornamento per gli insegnanti della scuola dell’obbligo. Ha pure pubblicato opere didattiche per le scuole. Ma quel che c’interessa è la sua poesia: «Un mondo poetico ricco, che sarebbe riduttivo riassumere in po-che battute. Sentimento, fatica lavoro, sofferenza, ironia sottile, che a volte raggiunge toni anche caustici, irriverenti, fanno tutt’uno, determinando passaggi di tono e continui cambiamenti di ritmo e di costruzione sintattica» scrive nella prefazione Massimiliano Cannata.

E la sua poesia si può davvero presentare come tut-ta una serie di quadri o di scene che scandagliano la psicolo-gia popolare, ma pure i propri personali sentimenti, intaccati dal ricordo e soprattutto dalla nostalgia per il distacco di una terra, la Sicilia, che è madre e matrigna da una parte, ma che è frutto di contrasti tra passato e presente dall’altra. Emble-matico in questo senso e la lirica “ L’èbbichi antichi e-ll’èbbichi murerni” dove al contrasto generazionale s’inter-secano i sentimenti familiari e umani. Non poteva mancare il ricordo della madre: «Era nicuzzu, quannu mi lassasti: tu, ncièlu, ti nni isti; iu, nna lu nfiernu / e-ssulu, arristai, picchì m’abbannunasti…». All’affetto per la madre fanno da con-trappeso il ricordo della casa paterna, l’amicizia e l’amore, attraverso una serie di personaggi che si affacciano alla me-moria, con una vivacità descrittiva e soprattutto con una par-tecipazione emotiva e interiore. Si ricordano a tale proposito le poesie “ A Filippieddu” e “ A n amicu miu”. Ma è il ricor-do del proprio paese a fare da catalizzatore di ogni ri fl essio-ne, lui che afferma di non essere un poeta, nella poesia “ U me paisi”: «S’avissi a fantasia ri lu pueta / e la maestranza c’avi lu pitturi, / mi nn’acchianassi ncapu râ Nivera / e cci facissi n quatru ô me paisi» . Nella poesia di Enzo Romano si può anche notare uno spirito religioso, ma soffuso di ironia e di tradizione. Bellissimo in questo senso è l’incipit della poesia “ Patrinuòstru”: «Patrinuòstru ca ncièlu stai / appin-ziratu pi li fatti tui, / picchì cca nterra n ci scinni mai? / picchi a-nuàuddi nun ci pinzi cchjui?». Infine il volume si conclude con alcune poesie in lingua, in cui evidente è il tono pascoliano. Si tratta quasi di un testamento spirituale, senza però assumerne i modi cocenti dell’oracolo. Poesie queste, però, che sono molto ben lontane dalla genuinità di quelle dialettali.

Angelo Manitta Il lungo viaggio di Là, oltre i campi di Sfax, romanzo di Vito Zingales (Ibiskos, Empoli 2002)

Vito Zingales, nato a Palermo 39 anni fa, lavora presso la prefettura della sua città, occupandosi soprattutto delle vittime della criminalità organizzata. È un viaggiatore, un ‘cercatore’ di emozioni. Ha viaggiato e continua a viag-giare attraverso l’Europa, ma pure in altri continenti. Una delle sue passioni è anche lo scrivere. Scrive romanzi e rac-conti, cogliendo dal semplice l’immensa straordinarietà della vita. Egli si definisce un ‘minimalista decadente’ ed un acrobata surrealista. Ha pubblicato nel 1986 un suo volume di poesie, “ Bucanieri di Balocchi”, con il quale ha vinto

diversi primi premi, ma ora la sua seconda pubblicazione è il romanzo “ Là, oltre i campi di Sfaax”, risultato vincitore al Concorso nazionale di Narrativa Ibiskos 2001. Il romanzo rispecchia un po’ la vita dell’autore. Si tratta di un viaggio, di un lungo viaggio che porta dagli Stati Uniti al Messico, mentre il protagonista Mik Isizureta va per ritrovare la madre ormai vecchia e malata. Siamo nell’ot-tobre del 1994. Una lunga ed inaspettata lettera arriva a Mik, antropologo del Nebraska, da Xelosas, una piccola città mes-sicana, dislocata in un mondo che sfuma tra realtà e fanta-stico delirio. La lettera gli viene inviata da parte della madre Maria, che confida al figlio di essere prossima alla mort e e gli esprime un grande desiderio che cova nel suo cuore: vedere con lui, per l’ultima volta, le scintille dorate del Guantanamo, il grande lago. Il figlio Mik non esita un atti-mo. Abbandona tutto per giungere in tempo all’appun-tamento con la madre, immettendosi in un lungo viaggio con la sua auto che lo riporta a rivivere la sua fant astica adole-scenza. Il viaggio si trasformerà in un grande sogno pervaso da vecchie cantilene navajo e da vivide scene di indomabili Sioux che, al galoppo, liberi e selvaggi, gli corrono a fianco fin sotto agli indefinibili orizzonti curvi e immobili della sua macchina. Si tratta di una corsa contro il tempo, di un inse-guire una meta che va oltre quel sogno che ognuno di noi custodisce nel cuore: la libertà. Ed è proprio su questo incentrato il romanzo, sulla ricerca della libertà e l a risco-perta di se stessi e delle proprie radici, oltre che dei propri affetti familiari. Ma il movente scatenante è la lettera della madre, che scrive: «La vita, lo sai, è una grande incognita, come le strade che attorcigliano Viralte. Eppoi sono vecchia e tutta questa vita che mi gira in cerchio mi stanca. Prefe-risco pensare che il tempo, da qualche parte, magari vicino al Guantanamo, si sia fermato o magari vi stia aspettando per le solite scorribande». Ed ancora continua: «Ma ora sono vecchia ed ho tutto il tempo che voglio. Posso perfino pensa-re a quanto sarà bello il giorno o la notte in cui incontrerò il nostro angelo mondiale. Ma quel mondo, sarà bello come il nostro mondo?». Su questo sogno e sulla ricerca della felicità ruota il romanzo, accattivante e certo avvincente. Antonia Izzi Rufo, La nonna racconta… tra poesia fantasia e realtà (E.di.ci., Isernia 1993)

“ La nonna racconta…” è un corposo volume di racconti, frammezzati da poesie, racconti che traggono spunto dalla realtà ma che hanno e mostrano un’avvincente trama narrativa, proprio come le nonne sanno fare con i nipotini, mentre raccontano fatti veramente accaduti nella loro vita, ma che riescono a trasporre in un mondo fant astico e accattivante. Antonia Izzi Rufo, nata a Scapoli (IS), ha insegnato per quarant’anni presso la scuola elementare di Castelnuovo al Volturno. Benché laureata in Pedagogia, ha scelto di continuare ad insegnare ai bambini, proprio perché amante di quel mondo oni rico e fant asticheggiante che caratterizza l’universo innocente dei piccoli. Quest’alone d’innocenza e d’ingenuità dà l’impronta alle sue opere, scritte con un linguaggio semplice e scorrevole, che solo chi è stato per anni a contatto con i bambini sa ottenere. “ La nonna racconta…” è una raccolta di racconti autobiografi ci e non, adatti ai ragazzi come ad un pubblico adulto. Tra un racconto e l’altro si trovano delle poesie, sprazzi di interiorità che hanno il compito di creare un filo d’unione tra

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il vissuto narrato e la fant asia, e dare quel senso di continuità al tutto, compendio ideale quasi della vita stessa. L’uomo «si schiude alla vita gradat amente, / come un fiore, / ed assimila nella sua mente / l’universo tutt’intero / ed i suoi reconditi segreti» . I racconti hanno una tematica varia, come vari sono i personaggi: bambini, adulti, pescatori, preti, anziani, ragazzi, coppie di sposi, carabinieri… Ma ogni racconto è soffuso quasi dalla nostalgia del ricordo, da un insegna-mento morale, da un consiglio da dare, da un tono fiabesco, pieno a volte di malinconia. «Vedere quell’ombrellone lì, aperto, non ancora rovinato dal vento e dalla pioggia, come se aspettasse il padrone per ripararlo dai raggi del sole, è un po’ triste e un po’ commovente: infatti riporta col pensiero al tempo trascorso, al tempo che non torna più e di cui l’unica testimonianza è il ricordo».

Enza Conti Su il sipario! Un secolo di attività teatrale a Cingoli, un saggio di Pacifico Topa, (ed. in proprio, Cingoli 2002)

Il recente volume, di 70 pagine, è un resoconto det-tagliato e minuzioso delle attività teatrali e musicali a Cingo-li, un paese nella provincia di Macerata, con tutti i suoi pro-tagonisti e soprattutto le soddisfazioni di chi ha lavorato per rendere vivace la cittadina, portando allegri a e svago, oltre che cultura. Si tratta di una raccolta di notizie e immagini desunte da due corposi album contenenti mani festi, locan-dine e soprattutto fotografie delle attività recitative svolte a Cingoli negli ultimi cento anni. “Su il sipario”di Pacifico Topa, uno dei più stretti collaboratori del Convivio, ma pure personalità poliedri ca e versatile, come dimostra anche que-sta sua ultima fatica, è quasi un doveroso omaggio a tutti coloro che hanno re citato e collaborato per il miglioramento sociale ed umano di Cingoli. Per i non più giovani è certo un tuffo gradevole nel passato, mentre per i meno giovani è un far riaffiorare alla memoria eventi spesso vissuti personal-mente. Dal volume emergono i protagonisti, ma soprattutto due figure sembrano prevalere sulle altre: il prof. Otello Gabrielli e la professoressa Lucina Compagnucci Simonetti. Nel libro, che contiene anche un centinaio di fotografi e e migliaia di nomi di persone che hanno partecipato ad attività culturali, ogni cingalese vi si può rispecchiare e vi può leggere la propria storia, se davvero, come si dice, il presente non è altro che il frutto del passato. Per tutto questo non posso che porgere i miei complimenti ed auguri a Paci fico Topa, l’infaticabile e attento promotore culturale.

Angelo Manitta Sabbie mobili, silloge di poesie di Maria Grazia Murdaca

La poet essa Maria Grazia Murdaca, socia del Con-vivio, ha avuto assegnato con la sua raccolta di poesie “ Sab-bie mobili” il secondo premio nel 3° Memorial “Severino Caspanello”. Le liriche in essa contenute sono convincenti e di una cristallina freschezza. La poetessa esterna il suo senso spiccato dell’amore e sono vibranti di passione, di sentimen-to, di emozioni, essendo parte preponderante della vita, fon-dendo i ricordi del passato con il presente, nella ricerca di un futuro migliore, inseguendo l’inesorabilità del t empo che fugge e non ritornerà mai più. Nelle sue composizioni la

poetessa è molto profonda, si esprime con chiarezza ester-nandoci aspettative e paure, silenzi ed emozioni di vita vis-suta. Il volume raccoglie trenta liriche, di cui una dello stesso titolo della silloge: «Tanto amammo l’Amore / tanto vivemmo la vita / da aggrapparci alla ragione, / sprofon-dando i nostri cuori / nelle sabbie mobili / della miseria del mondo». Le sue poesie sono permeate da pulsioni scaturenti dal profondo dell’anima, con un mondo di connotazioni nelle quali emergono abbandoni e chiusure, smarrimenti, rimembranze ancestrali ove la Murdaca esprime un linguaggio ricco di sensazioni, interiorità che sgombera con accenni ora esasperati, ora morbidi, aspri grovigli che si attenuano in splendori di immagini, evanescenze non esplorate, e la poetessa continuerà ad elargirci sempre perle delle sue liriche elegiache. Pietro Fratantaro Elisabetta Turano, la saggezza bucolica in Al di là di tutto (OTMA ed., Milano 2002)

Il romanzo “ Al di là di tutto” è la seconda fatica letterari a di Elisabetta Turano, poet essa e scrittrice contem-poranea, la cui attività lavorativa (a capo del coordinamento delle varie attività di animazione volte ad alleggerire la decenza dei bambini ricoverati) ha sicuramente inciso note-volmente sulla sua attività artistica. Se però il primo libro della Turano nasce direttamente da queste esperienze, “ Al di là di tutto” evade, almeno apparent emente, la realtà contem-poranea e la tristezza esistente per immergersi in un mondo immaginario e sognante. Apparentemente appunto, perché a dire il vero la forza e la saggezza del romanzo sembra essere destinato proprio a coloro che non vedono che il buio intorno a sé. Come afferma la stessa autrice, scenario narra-tivo può essere qualunque e nessuna delle isole greche, mentre il romanzo appare scrigno di tesori antichi e prezio-sissimi, con la saggezza t radizional e della civiltà contadina, che ha saputo instaurare con la natura un rapporto di fiducia, fedeltà e rispetto. Nella prefazione l’autrice stessa afferma: «L’unico luogo uguale per tutti è la culla della libertà. Leggere un libro a volte è come spiccare il volo verso la liberta». Ed in effetti il romanzo ci libera dalla realtà quoti-diana e ci fa tuffare nel mito in una realtà bucolica e semplice in cui viene riscoperto il piacere delle piccole cose. A dare ulteriore forza all’opera, nonché a forni rvi un varietà maggiore, contribuiscono i frammezzi lirici in cui viene espressa tutta la saggezza del passato e che tanto ci ricordano gli scrittori della mitologia classica. Maria Enza Giannetto Lo sfogo degli Angeli haiku di Rina Pandolfo (ed. Venilia, Montemerlo-PD 2000)

La peculiarità di questa silloge di poesie haiku è fornita dal suo essere composto da una varietà di el ementi che, pur mantenendo una loro autonomia e forza singolare, costituiscono un unico libro e sono cuciti dal leitmotiv di base: la presenza di queste guide eteree che sono, appunto, gli angeli. Ognuno dei centouno trittici di versi costituiscono un unico puzzle, quasi come tutte le passioni e le emozioni espresse lo sono dell’intera esistenza umana. Il silenzio, l’oscurità, il vuoto, il dolore, il nulla, la solitudine sono tra i più importanti temi trattati in questa raccolta che si rivela

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quale esplosione di sentimenti. La lettura tutta d’un fiato prima, e le numerose riletture successive alle quali siamo costretti per intenderne profondamente il messaggio, ci lasciano la sensazione d’aver assistito ad uno s fogo da parte di queste creature-guida che stanno intorno a noi e che conoscono tutti i pensieri più nascosti e le paure più recondite della stirpe umana. “ Angeli” è un grido in cui vie-ne messa a nudo davanti ai nostri occhi la realtà quotidiana, una realtà che non solo viene svel ata, ma che deve anche essere ricercata nei frammezzi bianchi, negli spazi vuoti. I versi della Pandol fo rivel ano un indiscutibile talento poetico e un’indubbia perizia nella scansione sillabica (5/7/5) e nel “ fare haiku” («buttar giù come birilli inutili tutti gli orpelli del nostro vivere quotidiano…», Stefano Valentini). La scelta del genere poetico risulta senza dubbio azzeccat a, data l’estrema moralità di questa raccolta in cui gli angeli si presentano quali unici superstiti di quella part e spirituale di cui l’uomo è fatto, ma di cui spesso si dimentica.

Maria Enza Giannetto Clara Lourdes Bango, un volo sul reale e surreale En el andén de la eternidad (Ed. Amaru, Buenos Aires, 2000)

Si tratta della prima silloge di racconti della gio-vane scrittrice argentina Clara Lourdes Bango, che con i suoi 18 anni (l’età che aveva all’epoca della pubblicazione, ora ce n’ha 22) dimostra già una profonda padronanza del linguag-gio letterario. I 18 racconti (quasi uno per ogni anno della sua giovane esistenza) esprimono un innegabile tal ento, una enorme maturità ed elaboratezza linguistica nonché una pro-fonda conoscenza di realtà contemporanee, e si rivelano sor-prendentemente riusciti in alcune conclusioni. Seppur infar-citi di sogno, i racconti trattano t emi estremamente moderni e reali. Il sogno funge da elemento interpretativo, dato che dalla realtà immanente, l’autrice si libra in volo, percorrendo sentieri inesplorati e oltrepassando i confini del reale. Il so-gno, il volo, la realtà, la fantasia si fondono nelle specula-zioni sul quotidiano e su elementi inventati. La realtà è spun-to per quei voli di fantasia attraverso i quali è possibile sor-volare mondi oscuri e incantati. Con questa sua prima rac-colta, Clara Lourdes Bango entra di diritto (e impetuosamen-te) nell’universo letterario contemporaneo, riservandosi uno spazio di osservazione in cui poter tenere d’occhio un giova-ne talento, che con “ En el andén de l a eternidad”, ha gettato il primo seme di un raccolto che sarà sicuramente prospero. Maria Enza Giannetto Giorni, il canzoniere amoroso di Luciana Piccirilli Profenna (ed. NOUBS, Chieti, 2002)

La silloge di poesie “ Giorni” costituisce la seconda raccolta dei versi di Luciana Piccirilli, prolifica poetessa e scrittrice, i cui lavori rimangano perlopiù inediti. La lirica, che dà il titolo all’intera opera, si attesta quale il suo vero e proprio sunto, dato che tutti i temi cardine trattati vi si fon-dono quasi a tessere un’unica trama, non solo poetica, ma anche esistenzi ale. Le giornate, i loro alti e bassi, le sen-sazioni private e i temi universali si amalgamano in un’unica realtà. In quei frammenti di infinito, che sono i giorni, si dipana il groviglio di un’intera esistenza: «granelli di sabbia / nell’infinito / dell’eternità…». Il limite tra passato, presente

e futuro svanisce e il tempo diventa uno spazio unico in cui i momenti vissuti si confondono indefinibilmente. I giorni “lieti” e quelli “ tristi” si mescolano nel ricordo e l’analisi di tematiche universali, quali il dolore e l’amore, si dissolvono in un intimismo più marcato, il cui fulcro è rappresentato dal ricordo del marito scomparso. Ed è proprio intorno al ricordo e all’assenza che ruota l’intera raccolta, tanto da essersi giustamente meritata la definizione, attribuita da Maria Santalucia Semproni, di “ canzoniere d’amore”. Pur nel continuo riferimento al marito e alle gioie passate, le liriche della Piccirilli non scadono mai nel pat etico. Il sentimento di cui sono permeate non è la disperazione, ma piuttosto la malinconia e la nostalgia. E proprio questo velo malinconico e questi toni nostalgici offrono un nuovo punto di vista attraverso il quale la donna-autrice, può rivedere le esperienze di vita e reinterpretarl e. I giorni passati vengono ricordati con serena e pacat a tenerezza, mentre le gioie familiari presenti e future si vestono di nuova speranza. Una filosofia di vita basata sull’imprescindibile rapporto tra le cose e gli attimi risulta, a mio parere, il motivo centrale di tutta la raccolta. Lo scorrere del tempo, così come la morte, sono concetti impliciti in quello dell’esistenza e ciò che resta all’uomo saggio è accettare con contegno l’avvicendarsi delle situazioni e fissare gli attimi immortali nell’eternità. Maria Enza Giannetto La Sicilia di Gaetano Quinci nel romanzo La città di Caino (Acquaviva Ed. Brescia – Firenze)

Gaetano Quinci, affermato poeta, si cimenta per la prima volta con un‘opera di narrativa, che lo pone a buon diritto fra gli scrittori più accreditati del panorama culturale contemporaneo. ‘La città di Caino’ (Premio Approdo 2000), intrigante per la forza del t essuto narrativo e per l’eleganza stilistica, affascina il lettore sia per l’arditezza delle situazio-ni descritte che per la preziosità e la poeticità di talune raffi-nate immagini. Il racconto procede ad andamento circolare: inizia con un vi aggio verso un’ipotetica cittadina si ciliana e finisce con un altro viaggio dalla medesima città verso Mila-no. In mezzo c’è la vita di tutti i giorni, un brulicare di per-sonaggi che fuori dal loro ambiente natural e non avrebbero ragion d’essere; vittime e carnefi ci, tutti nella medesima bar-ca a recitare la loro stramaledetta parte, perché tutti, in un modo o nell’altro, pagano lo scotto dei loro errori, sia che si tratti di debolezze e paure, sia che si tratti di violenze e soprusi. Il libro fornisce della Sicilia uno spaccato vero, ma angosciato e angosciante, perché non c’è pace né giustizia per i poveri, come non c’è supremazia che duri per i ricchi.

In un continuo rincorrersi e superarsi di figure, trionfa solo lei, la morte, descritta con crudezza di partico-lari, che rivelano nell’autore la t eatralità che gli è conge-niale. Si veda, per esempio, la descrizione della morte del povero Cacazza “ sepolto da una colata di calcestruzzo nelle fondamenta di una casa, legato mani e piedi, imbavagliato perché non gridasse e solo, solo tra il fango e le pi etre, e il silenzio dei suoi carnefici, e gli occhi fissi, sbarrati, su quella bocca enorme e tonda della betoniera che, rumorosissima, girava e girava intanto che si chinava verso di lui per vomitargli addosso, in crescendo, la sua valanga di morte”. Al di là dell’orrore che suscita nel l ettore una simile descri-zione, sembra quasi che persino la betoniera abbia un’anima mafiosa, in tutto simile a quella dei boss che la manovrano,

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come se anch’essa volesse “ giustizia”! E il vescovo, “ quel nobile pastore” freneticamente atteso e osannato da tutti, si ferma tre giorni nella città, passando da un lauto pranzo a una cena di l avoro e si trova a suo agio coi “ padroni”. «Un pranzo così è degno del Paradiso!» confessa il vescovo ai fratelli Samporno. E i poveri? I poveri soffrono e tacciono. Non hanno nulla da offrire, ma il vescovo non lo sa, perché non siede a tavola con loro… Le figure femminili o sono fragili e sprovvedute come Mimì, la quale in chiesa, piuttosto che port are invidia alle gran dame impellicciat e e ingioiellate, si sente onorata di trovarsi seduta accanto a loro, o sono spregiudicate e cor-rotte come le sette signore-bene che, svergognate da una se-rie di foto, si ritrovano immortalate nelle loro squallide pre-stazioni erotiche, delle quali tentano goffamente di offrire giustificazioni plausibili, cui nessuno crede: tutte però sono disegnate a sbalzo, cosicché non l e dimentichi più. Ma su tutte spicca Maddalena Malasorti «che seppe sollevarsi da sola, nel silenzio del sogno e della memori a»; l’unica che aveva capito da che parte stava la vera giustizia e aveva avuto il coraggio di ribellarsi allo strapotere. Morirà, con tutte le sue belle idee di eguaglianza fra gli uomini, uccisa dalla Legge, perché i “ sovversivi”, nel regno dei potenti, non hanno diritto alla parola, né alla vita. E così, in un mondo, che non è solo il siciliano, in cui «certuni possie-dono tutto e il superfluo di tutto, e moltissimi altri hanno niente e meno di niente» non può e non potrà mai esistere la giustizia; «non resta – per dirla con il Manzoni – che fare il torto o patirlo».

Alfonsina Campisano Cancemi L’amore via d’accesso all’estasi in Quasi la notte di un tempo di Eliana Montebello (Quattroventi)

La poesia di Eliana Montebello in “Quasi la notte di un tempo”, pubblicato nel 2001, può essere indubbiamente collocata nel genere amoroso. Non si vuole, però, con questo schematizzarla, costringerl a nello spazio angusto di un recin-to, tarpandole per così dire le ali. Tutt’altro, s’intende partire dall’amore per approfondire l’amore. Già Eugenio De Si-gnoribus, in uno dei testi critici che aprono la silloge, indivi-dua un iter sia biografico, quando ci rivela la vocazione pri-maria (la musica) dell’Autrice mutata «dopo la rielabora-zione della perdita» in scrittura, sia artistico nel processo creativo della Montebello. «È l’attesa di un compiersi – sostiene – dalla nostalgia del nido al desiderio di un respiro armonioso, che tutti e tutto comprenda...» . È il cammino, ripreso anche da Pietro Diletti nel suo intervento, verso il superamento dell’incomunicabilità per mezzo dell’amore, l’amore che «secondo il filosofo francese Marcel è l’unica via di accesso all’essere» che, per Heidegger, viene raggiun-to con la comprensione dell’autenticità, nel suo costituirsi, del linguaggio poetico, «cioè l’altro si rivolge a me con una parola-comando etico che suscita la responsabilità rendendo-mi non più soggetto accentrato in me, ma decentrato verso l’altro», afferma Diletti citando anche Levinas. Viaggio, dunque, esplorazione dell’originaria, affascinante, misteriosa terra dell’amore per un’auspicata, speranzosa simbiosi. «Di-stillerò la mia vita, / ogni giorno, nella tua. / L’immenso po-trà urlare che ti amo… / Vivremo in due / nel corpo e nel-l’anima / di un unico albero» canta la Poetessa in “ Riflessi dell’altro”. Il “ canto sommerso” della sua poesia che «buca

l’anima / e anticipa l’essere... / ma sempre... sempre... / in punta di piedi». Con lo sguardo su «l’amaca sospesa tra sogno e memoria», sulla sua «amatissima... dolcissima Urbino» che sembra placare l’ansia di conoscenza (cfr. il testo di A. Ginesi). Ma il viaggio non finisce, nemmeno con quelle «piccole stelle di un cielo nero» che “ parlano” nella lirica eponima che chiude e riapre la raccolta. Sandro Angelucci

Nella foresta di Soignes, romanzo di Adriana Assini (Tabula fati, Chieti 2001)

“ Nella foresta di Soignes” di Adri ana Assini è un racconto alla Umberto Eco, ossia una trama che ci trasborda in clima storico ben delineato con un obbiettivo sempre presente che è quello di determinare le caratterizzazioni dei personaggi che animano la trama. C’è, in questo libro, una sottile, ma indistruttibile trama che lo rende accattivante, conquistando per l a realisticità dialogica, per l a profondità concepitiva, per la ricchezza di considerazioni suggerite dalle circostanze in cui vengono a trovarsi i protagonisti. Sempre ben in vista il gioco psicologico degli stati d’animo e la vivacità discorsiva, frutto di una ri cchezza lessical e, ma anche t ecnico-scienti fica in cui l’autrice dimostra di cono-scere bene l e recondite pieghe dell’essere umano. L’abbon-danza di citazioni proverbiali, la indiscussa e pregevole scorrevolezza stilistica, la diversi ficazione ambientale in cui il tutto si sviluppa, confermano una vastissima cultura natu-ralistica e non solo, dato che lei sa usare la penna come il pennello e si diletta pure nel restauro. Il sapiente uso della dialogazione intercalat a da risposte epitaffiali, la sinteticità descrittiva e la mutevolezza delle circostanze danno ampio respiro al lavoro che si fa leggere con piacere, stimolando il lettore ad immedesimarsi nei differenti stati d’animo che si vengono evidenzi ando. In un clima medievaleggiante alla Robin Hood, si muovono i personaggi caratterologicamente diversi, sempre impegnati ad esternare le loro convinzioni, ad esprimere i loro dubbi, a rimuginare il pentimento. Il tutto si svolge in un clima misterioso e mistico, alieno da ogni grettezza o sbavatura modernistica, sempre attinente alla ca-ducità dell’essere: in lotta per vincere ogni tentazione. Il brigante ed il chieri co sono due tipologie che rispecchiano molte peculiarità recenti, in costante contrasto in una schermaglia di slanci mistici e di diverse reprimende. Un racconto che apre molte porte anche per chi non ha ben chiare certe convinzioni etiche e soprannaturalistiche.

Pacifico Topa Silvana Andrenacci, La raggion de Stato, (Nuova impronta edizione)

A chi non conosce l’Autrice basta leggere questo libro per sapere tutto di lei, quasi tutto. Scrittrice e saggista, sia in romanesco che in lingua, poetessa, giornalista, trage-diografa, “ Revisore dei conti” e membro del Consilgio Di-rettivo del C. R. Trilussa, collaboratrice di note riviste lette-rarie e altro ancora... può, giustamente, considerarsi una donna eclettica che si colloca in molti rami del sapere. Pare, fra l’altro, che la storia dell’antica Roma, e i miti che ne arricchiscono la verità, trovino particolare riscontro nei suoi interessi. Artistici i dipinti del marito riportati in fondo al testo. Ritraggono tutti caratteristici angoli della Capitale.

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Molto bella la lirica “ Musica de Respighi”. Esprime, con ammirevole realismo, l’arte pittorica del Maldini (Maldén) che «pennella col core / archi, colonne, quarche portone,/ le mejo chiese e inortre le funtane» di Roma. In quest’atto unico de “ La raggion di stato” l’Andrenacci fa ancora un’in-cursione nel mondo dei cl assici. Questa volta va a riscoprire Tito Livio, le cui storie sono opera di sci enza più che di letteratura, poesia sebbene scritte in prosa. Empatia con l’Autore dei “ Libri ab urbe condita”? A Tito Livio non importava tanto il raggiungimento documentario della verità, quanto il mostrarci l a storia in funzione del dramma umano che rappresenta. Così declama il Re Tullio Ostilio della tragedia: «Chi vince stapperà sciampagna / e, soddisfatto, proverà er divario / de sottomette er popolo avversario / senza tigne de rosso la campagna». Si tratta in effetti di un atto unico che si rifà alla ben nota leggenda degli Orazi e dei Curiazi che si affront ano tra loro per risolvere l’eterna guerra tra Albani e Romani. Spicca tra i personaggi la figura della candida e passionale Orazia, che è costretta ad affront are la morte per la cecità del fratello, mentre il padre cede ad una logica da ‘ragion di stato’. «L’Andrenacci dimostra di saper gestire al meglio il contrasto di tonalità linguistico-emozionale che caratterizza il parlante autorevole e orgoglioso (Orazio-Padre), chiamato da una particol are situazione ad alternare repentinamente nel suo discorso espressioni commosse e frasi decisamente aspri e dure» scrive nella prefazione Giorgio Roberti . Antonia Izzi Rufo Una recherche fra crepuscolarismo ed insularità: Scagghi di sciara di Senzio Mazza, (Coppola ed., Trapani 2001)

Con questa sua ennesima fatica letteraria, peraltro recentemente presentata al pubblico nella sua città natale, il linguaglossese Senzio Mazza, scrittore e affermato critico d’arte, da anni ormai trapi antato a Scandicci (Fi), realizza una sorta di ideale ritorno a It aca, ovvero alle radi ci, ai luo-ghi, alle tradizioni, alle immagini e al linguaggio della pro-pria terra. “ Scagghi di sciara” è una raccolta di poesie dialet-tali, con testo italiano a front e, introdotte da una prefazione di Marco Scalabrino, che in breve ne coglie e ne illustra gli intenti e le peculiarità: «Lungo il solco tracciato nel secondo dopoguerra del secolo scorso, Senzio Mazza ri afferma l’uso alto del nostro di aletto nella poesia e al cont empo ne ripro-pone il dramma già in atto della scomparsa». Quella che Senzio Mazza s’accinge a compiere attraverso questi versi, è pertanto una duplice operazione di recupero: linguistico-cul-turale nei confronti della parlata dial ettale siciliana, ed auto-biografica, ripercorrendo a ritroso, in una dimensione spa-zio-temporal e, i sentieri della memoria, degli affetti degli an-ni andati. Lo zoom si ferma ad inquadrare struggenti amori giovanili, che rivivono evocati dalla nost algia, l’immagine temuta, ma sempre cara, del monte Etna, la Sicilia madre e matrigna, sovente avara di grati ficazioni verso i propri figli: «Matràstra ppi mia: ‘stu figghiu / spersu a lu munnu / appòia la frunti a li manu / e ti ‘nzonna» (da: “ Sicilia”), campi arsi dal sole che mal ripagano il sudore speso dagli uomini.

Attraverso quest a recherche Mazza ripensa, rivive e ripropone gli odori, i sapori, i canti della terra natia: l a fra-granza del pane appena s fornato, il falò della notte di Natale che illumina incipienti amori, il suono d’una campana,

evocatri ce di passioni mai del tutto sopite, l’attenzione al mondo del lavoro, che dalla fatica contadina traeva la più profonda essenza. Così icasticamente Scal abrino definisce la sua poesia: «Il taglio intimistico, il profilo del quotidiano, gli ambienti provinciali mutuati dal Crepuscolarismo trovano concreta realizzazione – con dovizia l essicale encomiabile ed espressioni e sentimenti autenticamente siciliani – sia nelle forme e con gli strumenti della poesia moderna che di quella tradizionale (versi liberi e strutture metriche classiche, trame veriste e soluzioni simboliste, vibrante timbro sociale e avvertito credo spirituale)».

Eppure, dal canto di questo figlio del sud non emer-gono sterili e lacrimosi rimpianti, ma l’accettazione vi rile e matura delle leggi della vita, con le sue tappe sempre signifi-cative, anche nella loro val enza di rinuncia, a segnare l’inte-ro percorso di un’esistenza, nella sua pienezza, nelle sue diverse, opposte s faccettature, proprio come Mazza riesce a cogliere in questo Frammentu: «Comu la ciùra ‘mpassu-lunùta / va pirdènnu fogghi / ‘ccussì va sfughiànnusi la vita / ‘nfinu a quannu / manca lu sciàtu / e passa lu ventu a scippàri / l’ùrtima fogghia. Tannu / trasi dintra li noti d’un cuncèrtu / e ‘stasiànnu t’attròvi / supra ‘na corda di viulìnu. / Ppi chissu quannu si’ / tra lu vìdiri e lu svìdiri, / facènnuti du’ cunti / ti pari a ièri quann’eri carùsu / e chiddu ca la menti registràu / pari succèssi ora urìtta. / ‘Ccussì purtànnu a lu prisenti / tutta la vita / basta ‘nsonu di musica ppi ghi ri / ànima e corpu dintra all’univèrsu…”

Maristella Dilettoso Antonina Ales Scurti, La spigulatrici di cori, Poesie siciliane italiane (Aiello, Bagheria 1996)

Il volume si fregia, sulla copertina, di due riprodu-zioni d’arte, la prima di Carlo Puleo di Bagheria, conterra-neo nonché allievo di Renato Guttuso, l’altra di Maria Grazi a di Maria, solare artista pal ermitana. D’altronde l’au-trice, Antonina Ales Scurti, da sempre respira l’atmosfera dell’arte. Trapanese, laureata in Pedagogia, prima insegnante nelle scuole el ementari, in seguito funzionaria del Provvedi-torato agli Studi di Palermo, dal 1985 in pensione, con al suo attivo numerose pubblicazioni in poesia ed in prosa (Fuoco d’amore, Mosaico d’amore, La musica del cuore, Fra due barriere, ecc.), oltre a collaborare a diverse riviste ed antolo-gie nazionali ed internazionali, ed avere collezionato vari premi, è President e Fondatrice dell’A.L.A.PA.F. (Associa-zione Lett. Art. Parco Felicità) di Bagheria, che si prefigge l’apostolato attraverso varie forme d’arte ispirat e ai valori di Fede, Pace e Fraternità universale. La stessa Antonina Ales Scurti, una nonnina deliziosa, capace di trasferire nei versi la propria dol cezza e serenità interiore, si dedi ca da anni ad iniziative di bene, indirizzate speci almente verso i giovani.

“ La spigolatrici di cori” è una raccolta di poesie dialettali siciliane con testo italiano a fronte, illustrate da riproduzioni d’arte, e scritte nel periodo 1965/70, cui si aggiungono composizioni più recenti, ed è stato pubblicato a scopo di benefi cenza. Grande sentimento religioso, amore verso la propria terra e per i luoghi in cui è vissuta, rimpian-to per le persone che si sono amate, ormai scomparse, solidarietà universale: questi i temi ricorrenti in una poesia dove non c’è mai disperazione, né st erile fatalistica rasse-gnazione, ma che è sorretta sempre dalla Speranza – anche nell’accezione cristiana del termine, che fa volare alto e che

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si apre verso un oltre - una poesi a che, pascolianamente, sa guardare anche alle piccole cose per scorgervi barlumi di bellezza e perfezione. A riprova di questi sentimenti cristal-lini, e semplici, leggiamo: «Curuzzu beddu, / armuzza gintili / cu la to vucca spanni / rosi e ciuri / paci e conforti duni / a lu mè cori, / cu li beddi paroli / chi sai diri. / Di iornu pensu a tia / a ogni rispiru, / la notti t’arricumannu / a Gesù, Giu-seppe e Maria, / chi nuddu mali / capitassi a tia…» (da Curuzzu beddu); o questa breve elegi a dell’incanto notturno: «Duci, duci / murmura lu mari, / lettu d’amuri, / pi li pisci-teddi / e chiù luntanu / l’arvuli amurusi / annacanu l’aceddi / na li nira silinziusi. / Tuttu ‘ntornu taci / e na stu friscu silenziu / si rispira ‘a paci. / Lu celu è chinu di stiddi / a cen-tu a centu / e ‘nu spicchiteddu di luna d’argentu / s’affacci a e s’ammuccia / na lu firmamentu» (Notti bedda).

Scrive Lina Riccobene: «La voce di Antonina Ales Scurti è voce di poeta che ha sempre qualcosa da dire e la dice con immagini semplici e suggestive, con i versi più sentiti e più belli, nel modo più melodioso e intenso. Ci rammenta, in una trasparenza di classicità e modernità le ragioni profonde ed eterne del dolore e della gioia. I “ suoi” luoghi, i luoghi del cuore ci pervengono come crocevia del mondo e la sua è una tensione esistenzi ale cari ca di ricordi, di dolcezza, di immagini, di malinconia, d’amore».

Maristella Dilettoso Vittorio Baccelli: stile narrativo coinvolgente in Storie di fine Millennio (ed. Prospettiva, 2001)

Già il titolo, “Storie di fine Millennio”, suggerisce atmosfere in verticale o, se preferiamo, argomentazioni in bilico tra il certo e l’incerto, tra il reale e l’immaginario. In effetti, nei vari racconti e nelle fiction, Vittorio Baccelli non lesina commistioni e messaggi, cosicché l e sue storie assumono una fisionomia accattivante anche allorquando da una traccia ben precisa si giunge ad una conclusione avveni-ristica, decisamente imprevista oppure lasciata in sospeso. Lo stile narrativo è dei più coinvolgenti, nel senso che Vit-torio Baccelli sa caval care le emozioni alla grande e al tem-po stesso trovare dei momenti che della realtà hanno soltanto una parvenza, una qualche s faccettatura. Si legge nella postfazione, a cura dello stesso autore, che diversi racconti sono delle rielaborazioni di precedenti narrazioni oppure che sono già stati pubblicati in antologie o su quotidiani. L’anno della messa in onda di tutti i racconti è comunque il 1998, un anno che osiamo definire fortunato per Vittorio Baccelli se si considera che il mosaico narrativo che ne è scaturito è formato da altrettant e tessere intriganti e sinuose com’è appunto il gioco dell’uomo e del mondo, sulla Terra ed in altre realtà. Tre sono l e stanze in cui Vittorio Baccelli ha inserito i vari racconti, ma si tratta di stanze intersecanti e perciò il suo “ viaggio” in direzione del dopo, ossia del post-fine Millennio, ha sì delle tappe e delle soste ma contempo-raneamente trova semaforo verde ai croci cchi del dubbio e dell’incerto. Che dire oltre se non che non sapremo su quale racconto soffermarci più a lungo, per il semplice fatto che ogni narrazione si veste di misteriosa sensualità o profondità e che se “ Patty” si muove sul filo di un erotismo fantastico, al tempo stesso dà spazio a riflessioni che vanno oltre il con-tingente. Per cui ci piace concludere di cendo che è un libro ben riuscito e che merita di essere letto in punta di piedi. Fulvio Castellani

Antologia del Circolo culturale Picwick (Milano 2002)

I 10 racconti selezionati nel concorso letterario “ circolo Pickwik” sono uno spaccato della moderna creati-vità e ripropongono, sia pur nella loro vari egata tipologia, modi diversi di esternare e, soprattutto, un mezzo idoneo per dare s fogo alla verve creativa di autori che hanno saputo esporre con conseguenzialità e linguaggio accessibile le di-verse trame che li caratterizzano. Dieci argomenti che rie-scono a dare la esatta misura delle effettive capacità ispi-rative di chi s’é cimentato in tale genere di agone cultural e; essi hanno anche una val enza oltre che letteraria, anche etica in quanto esaltano il sacri fi cio, la solidarietà, i valori umani, il rispetto della natura e si avvalgono del sentimento affettivo che è alla base della convivenza umana... È stata definita, questa raccolta, un’antologia del “ vero e del bello”, impegnativa platea per aspiranti narratori. Tra i diversi auto-ri segnaliamo: 1)’Athalia e i suoi fratelli’ di Giuseppe Lo Sciuto, definito racconto a “ sfondo sociale”, ambientato nel medio oriente martoriato dagli eventi bellici, consente anche fulgidi esempi di solidarietà che scavalca ogni barriera ideo-logica ed ammorbidisce quel clima gelido e violento che vi aleggia ancora. Una toccante vicenda in un clima di violenza non solo umana, ma anche morale che travolge l’esistenza stessa. 2)Una trama quanto mai fant asiosa sviluppa “ La bella e la bestia: versione ultima” di Silvana De Mari, all’opu-lenza della nobiltà seicentesca fa riscontro la bruttezza della strega vecchia “ sporca e schi fosa”. Una fiaba piena di uma-nità e di sentimento in cui l’immaginario si confonde con la realtà diuturna. 3) “ New Palest” di Giuliano Giacchino è un racconto in cui fant asia e realtà si mescolano dando vita ad una pace psicologicamente assai intensa. Alle sagge considerazioni astrofisiche fa riscontro l’immaginazione infantile che dà s fogo alla sua curiosità per conoscere l’ignoto di New Palest. 4) “ La Ribaltabile” di Paola Ram-baldi è una narrazione di pretto marchio provincial e la cui trama ricalca cert e tipiche situazioni e mentalità in voga e un po’ ovunque il “ ruffi ano” è colui che s’incarica di reperire donne da sistemare, offrendo occasioni di incontri. Ciò che si evidenzi a da questo racconto è la precisione con la quale si catalogano i caratteri, sia dell’uomo timido ed impacciato, che di Malvina, la predestinata vittima degli zingari. Il finale tragico conferisce al racconto quella dram-maticità che sorprende il lettore. 5) Antonella Cavuoto con il suo “Prima” ci introduce in un mondo di introspezione e di ricerca psicologica. L’autrice analizza il dolore, parla di morte, parla di globalizzazione, c’è l’evocazione del passato, la reminiscenza, il tutto con un linguaggio fiorito e ricco di simbologie. 6)Rosanna Figna, col suo racconto “ E.R.G.”, si tuffa nella modernità reclamistica, perché da un distributore di benzina parte il filo del racconto incentrato su un banale fatto comune: la vendita di biglietti della lotteria e relativo smarrimento degli stessi. La narrazione è ri cca di citazioni latineggianti, locuzioni ricorrenti e detti sentinziosi. 7) “ La Collina” di Simona Gauri, è un racconto che, nel suo reali-smo, si inserisce nella realtà. Ambientata in un luogo ove la guerra aveva fatto la sua tragi ca presenza, l’autrice focalizza l’attenzione su una collina la cui descrizione dettagliat a è quanto mai reale. 8) “Sinfonie d’autunno” di Mara Depini è una rivisitazione del passato, una riesumazione d’una esistenza fatta in un momento di fficile, quello di una malata

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che dal letto di un ospedale ripercorre la sua movimentata esistenza. 9)Lucilla Parisi “ Il colore delle nuvole” racconto che, ambientato nella Jugoslavia martoriata dalla guerra, evidenzia il valore di amici zie coltivate fin dall’infanzia. Le tre amiche Nina, Fatima e Sandra vivono la loro esistenza rispecchiando il clima affettivo che è tipico di compagne di scuola, ma c’è anche miseria, abbandono, solidarietà, una trama quanto mai semplice che coinvolge il lettore per la naturalità con cui si evolve. 10) “ Linea di galleggiamento” di Guido Bocchetta è un racconto triller dai risvolti quanto mai realistici, lumeggiante una realtà oggi in gran voga. Il furto su commissione è l’elemento prevalent e, ma i loschi traffici, la sessualità, il giallo finale, sono elementi che acuiscono l’interesse del lettore.

Pacifico Topa Fògghi mavvagnoti di Josè Russotti: radiografia di una paese fra tradizione e sen timento (ed. Libera, Malvagna 2002)

La gente, gli usi, la storia e i sentimenti dei cittadini di Malvagna, (piccolo centro della Valle dell’Alcantara) di-ventano i tasselli dei versi che danno vita al libro di poesie “Fògghi mavvagnoti” scritto e dedicato al proprio paese da Josè Russotti. Non solo recupero della storia locale, ma anche della lingua. Infatti il volume è stato scritto in verna-colo, tant’è vero che i versi diventano testimonianza di quel passato storico, economico e soci ale di un paese prevalente-mente agri colo e che ha vissuto e vive ancora il dramma so-ciale dell’emigrazione, che ha diviso in forma dolorosa molte famiglie. L’autore mette sulle labbra dei propri personaggi il dolore della gente che, consapevole della realtà, trova la forza di andare avanti attraverso l’amore per le proprie origini. Infatti il testo attraverso metafore sviscera storie e narra vicende biografi che. E di metafore il volume è ben ric-co part endo da titolo con fogghi (foglie) e ventu (vento) due parole chiavi, queste, così come scrive nella prefazione Gian-luca D’Andrea, «che mani festano in maniera lampante il ful cro tematico della raccolta: il plesso inscindibile dell’at-taccamento all’origine (Malvagna: luogo d’infanzi a, d’inno-cenza perduta e di rimpianto cocente) trascina con sé la rile-vante constat azione di un destino implacabile, il quale al massimo consente piccole oasi di serenità nell’ambiente fa-miliare». Ancora metafora in “ Conto gli affanni”. Qui la sofferenza porta l’uomo a correre e cadere per poi ri alzarsi nuovamente, fino a quando stanco trova riposo nel buio della sera. Ma “ Fògghi mavvagnoti” soprattutto consente di cono-scere le radi ci culturali e soci ali di un piccolo paese si ciliano attraverso antiche usanze, come le novene fatte all’alba che permette a molti di partecipare alla vita cristiana prima di recarsi al duro lavoro, o le donne che lavavano i panni nelle limpide acque del fiume Alcantara ed ancora il postino con il sacco delle l ettere in cerca di destinatari ormai partiti. Ma alle tradizioni si contrappongono vicende amare in cui passa-to e presente si intrecciano, come l a morte di un drogato e l’atroce dolore della madre. Josè Russoti riesce, con un tocco magico, a tras formare i versi in opere pittoriche quasi si potesse toccare con mano il colore del viso della gente che lavora, soffre e spera, in quel piccolo paese, alle pendici dei Nebrodi. Così «ritonna l’emigranti già vecchiu e l’occhi stanchi / ndâ so terra ingrata chi nun canusci santi, / penza e si dumanna ndô funnu du so cori / c’era propriu bisognu di

vennìri ca a mòriri?». Ma il muro della realtà non pot rà mai cancellare l’amore forte verso il luogo natio sempre più vuoto, tant’è vero che in “ Donna Lucia Pantano”, poesia che l’autore dedica a Garcìa Lorca, verso dopo verso la forza dell’amore è l’unica risposta alla moltitudine di dubbi: «Contadini stanchi / con la vostra pelle bruciata dal sole! / Ah, dove siete. Campagne coltivate / a frumento ed odorosa malva. / Donna Lucia Pantano, / pensarci su non vale a nulla, / e lascia stare il tuo petto in pace, / perché Malvagna non morrà mai. / Almeno nel profondo dei nostri cuori!» . EnzaConti Complicità della notte nell’iter spirituale di Giancarlo Galliani in Notti di guardia (M. Baroni Ed., Viareggio, 1998)

Se la poesia, contrariamente alle vuote e trite parole di tutti i giorni, può comunicare davvero qualcosa; se è in grado di lasciare un’impronta nell’animo di chi l’accoglie e di chi la concepisce, è dovuto, innegabilmente, alla sua più schietta peculiarità e cioè quella di saper disgiungere l’in-gannevole dalla verità, l’ipocrisia dalla sincerità. Si spiega allora il perché di quel ‘sapore inconfondibile’ delle “ Notti di guardia” di Giancarlo Galliani, il perché del suo ‘magico isolamento’ da cui prendere le mosse per partire «alla ricerca della sua umanità profonda ed integra, in un totale assorbi-mento», Come sostiene nella toccante nota, “ Ricordo di un amico”, Rosangela Lazzareschi. Così incisiva la sua rifles-sione da offri rci un quadro completo del poeta e dell’uomo Galliani. Dice ancora la Lazzareschi: »Del resto, che cos’è più vero di noi? Il sogno che scaturisce dal nostro intimo profondo, o il faticoso nostro agitarsi e la maschera con la quale, pusillanimi, recitiamo ogni girono l a ‘parte’ che altri ci impongono?». E come non notarlo questo filo conduttore nei versi del nostro: dalla freschezza disarmante di quelli di “ Un sonetto per mio padre” delle “ Poesie giovanili” e via via, attraverso i t emi più impegnativi della seconda sezione, “ La vita e la morte”, fino agli ultimi della raccolta: «È come se dai sogni dell’infanzia / sorgesse un messaggio di speran-za / a ridar vita al mio cuore stanco». «Giancarlo amava le cose semplici... e la natura», ricorda l’amica Rosangela, «quelle piccole dolci emozioni che agli occhi imbottiti della massa sono insignificanti» , afferma lui stesso, proponendo al lettore alcune sue considerazioni in apertura al testo. E i mo-tivi della poetica pascoliana de “ Il fanciullino”, l’attenzione per gli aspetti meno appariscenti e più genuini del quoti-diano, l’amore rivolto alle creature ed alle mani festazioni naturali sono rintracciabilissimi in Galliani. In “ Notte cam-pagnola”: «Dalla finestra / odo lo scroscio fasciato di silen-zio / del torrente insonne / e qual che raro gracidìo di rane / stona in sordina / timidamente...» . Ci trova concordi, quindi, quanto sostiene, anche sul piano stilisticoformale, Laura Di Simo nell’oculata prefazione ma non condividiamo il suo assunto circa il quale la ‘dimensione poetica’ di Galliani sarebbe «lontana dalla fuga nell’irrazionale fi abesco». Cre-diamo, al contrario, che proprio il conforto del rifugio in «quel silenzio di tregua nel cortile / che ri fletteva i sogni delle stelle», nelle notti di guardia, abbia fatto crescere la forza dell’amore e il coraggio della speranza nel cuore del Poeta lucchese. Sandro Angelucci

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Riviste amiche

«Un’aspirazione chiusa nel giro di una rappresentazione, ecco l’arte» diceva Benedetto Croce ed in effetti solo chi ama l’arte e la cultura con il cuore può mirare al successo, anche perché «l’arte è un’amante gelosa». Nella diffusione delle proprie iniziative “Il Convivio” ha incontrato nel-l’ultimo anno il favore di numerose riviste amiche, sia italiane che straniere, le quali hanno fatto conoscere le nostre attività, promulgando i nostri bandi di concorso o recensendo le opere dei nostri associati. È questo il momento per porgere, a tutti coloro che hanno collaborato con noi e ci sono stati vicini, il più sentito ringraziamento, sperando di fare da parte nostra ancora meglio per il fu-turo. A questo punto credo che sia opportuno far conoscere anche ai nostri lettori le riviste amiche, di modo che attraverso una sinergia culturale anche per il futuro possiamo insieme cogliere ottimi risultati. 3T Lucania Filatelia Club, C. Post. 32 - 85100 Potenza. Association Poétique Henri Pourrat, Bulletin, B.P. 50 – 63240 Le Montdore (Francia) Art et Poésie, dir. Jean-Claude George, 2, rue du Vieux Pont – 55190 Pagny sur Meuse (Francia). A Voz, mensile di retto da Genildo F. Da Silva, A. Dr. José Ruffino, 3625 – Tejipió Recife-PE, CEP 50930-000 – Brasi-le. Il giornale si interessa di arte e cultura generale, ma pure di poesia e letteratura. In uno dei numeri precedenti è stato pubblicato per intero il bando di Concorso del Convivio ed ha dato ampio spazio alla nostra Accademia. Nell’ultimo nu-mero invece in ultima di copertina un ampio articolo di Andityas Soares de Moura, rappresentante del egato per il Brasile del Convivio. A.S.L.A.I., rivista diretta da Maria Teresa Cortelezzi Piazza, via Montesuello 14 - 25128 Brescia. A.U.P.I. News, trimestrale di informazione culturale, dir. Otmaro Maestrini, via Cesariano 6 - 20154 Milano. L’edi-tore di “ Agenda dei Poeti” non manca di farci godere ottime poesie, e soprattutto farci conoscere autori di un certo prestigio. Nell’ultimo numero interessante lo scritto di Remo Manni “ L’arpa magica dello scudiero del re”. Abecês, dir. Valdecirio Teles Veras, Rua Eduardo Monteiro, 151 – 09041-300 Santo André (Brasile). Albatroz, dir. Manuel Vaz, B.P. 404 – 75969 Paris cedex 20 (Francia). Alcai, foglio informativo dell’Accademia di Lettere, Scienze e Arti di Inhumas – GO (Brasile), Caixa Posta 133, Inhumas –Goiás, CEP-75400-000 Brasile. Alhucema, rivista spagnola diretta da Emilio Ballesteros, C/ Ramon y Cajal, 18220 Albolote (Spagna). La rivista, organo dell’associazione cultural e ‘Alhaja’, ha ora cambiato veste. Si tratta di un volume di circa 170 pagine e vengono pubbli-

cate opere di autori di ogni parte del mondo, ma soprattutto della Spagna e dell’america latina. Si occupa pure di teatro. Alla Bottega, dir. Sergio Manca, Via Angelini 16 – 27100 Pavia. Amitiés Littéraires du Gãtinais, M.me Lucette Moreau, 42, rue des Gillets – 45210 Fontenay sur Loing (Francia). Arts – Sciences – lettres, dir. Jocelyn Pinoteau, 46 rue Lauriston – 75116 Paris (Francia). Art et Poésie, dir. Jean-Claude George, 2, rue du Vieux Pont - 55190 Pagny sur Meuse (Francia). Splendida rivista in lingua francese. Atelier, trim. di poesia e letteratura, dir. Giuliano Ladol fi e Marco Merlin, Corso Roma 168-28021 Borgomanero (NO). Atheneum, dir. resp. Andrea Bellucci, dir. editoria-le Fabrizio Manini, via Petrarca 43-45 - 57025 Piombino(LI). Aujourd’hui Poème, mensile d’informazione poetica, direttore André Parinaud, 105 bd. Hausmann - 75008 Paris (Francia). AZ Arte cultura, dir. Antonio Magnifi co, redazione via Athos Ammannato, 19 – 00136 Roma. Bacherontius, dir Marco Delpino, via Belvedere, 5 – 16038 S. Margherita Ligura (GE). Periodico di attualità, cultura, politica e satira, fondato nel 1969. Nell’ultimo numero: “ Il paradiso può attendere” di Valentina Zanardi e l’articolo di fondo di Marco Delpino “Patrimonio dell’uomo per l’umanità”. Balaio Poetico, dir. Murilo Teixeira, Rua Q. Costa, 412 – Vila Bretas. 35 032-630 Governador Valadares–MG (Brasile). Bollettino d’informazione. Ampio spazio è stato dato alle attività del Convivio e per tutto ciò se ne ringrazia il Direttore Murilo Teiera. Bali, Boletim académico Letras Itaocarenses, rivista brasiliana diretta dal dr. Kleber Leite, caixa postal 47, Itaocara–RJ – 28570-970 (Brasile). Si tratta di un bimestrale di 20 pagine con copertina a colori. Tratta di argomenti vari di letteratura, cultura, arte e poesia. Spesso è stato dedicato ampio spazio alle attività del Convivio. Binoculo, mensile diretto da Dias Da Silva (Brasile), R. Pe. Miguelino, 940 – apto. 602 Bairro de Fátima – 60040-300 Fortaleza-CE. Nell’ultimo numero ampio spazio è stato dedicato alla recensione di Andityas Soares De Moura, rappresentante delegato del Convivio in Brasile, su Giuseppe Manitta e la sua recente pubblicazione “ Metore di luce”. Brontolo, mensile satirico umoristico, fond. Nello Tortora, dir. Donatella Tortora, via Margotta 18-84127 Salerno. La rivista si distingue proprio per la satira. Interessante l’articolo di Nello Tortora “ Un’audace rapina”. Capoverso, editore Antonio Alimena, direttore Saverio Basile, viale della Repubblica 237 – Cosenza. La rivista semestrale ospita diversi articoli e poesie di autori italiani. Nel numero di luglio dicembre 2002 interessante l’articolo di Carlo Cipparrone: “ La poesia ha perso peso”. Clarin, dir. Augustin Garcia Alonso, Urazurrutia, 37 – bajos – 48003 Bilbao –Vizcaya (Spagna) Corrente alternativa, direttore Gianni Alasia, c. p. 149, 10123 Chieri (TO). Corriere del cittadino, mensile, dir. Graziano Luigi Vitelli, Via XIX settembre, 1-63100 Ascoli Piceno. Periodico di varia cultura. Devulgação de concursos Literários, rivista ideata da Helena Cristina Tavares Garrido – Caixa Postal 2553 – CEP

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11021-970, Santos – SP (Brasile), divulga concorsi letterari, avendo un’ampia diffusione nazionale. Diario do Nordeste, dir. Amaury Candido, SGAN 910 Conjunto F – Brasilia 70790-100 (Brasile). Dimensão, dir. Guido Bilharinho, caixa Postal 140 – 38001 Uberaba (Brasile) Eventual-mente, rassegna italiana di letteratura ed arti, direttore resp. Francesca Cabibbo, dir. Editoriale Nicola Rampin (via Paolo Braccini, 33/c - 97010 Pedalino (RG). Ferdinandea Notizi e, organo dell’Accademia Ferdinandea di Scienze, Lettere ed Arti, presieduta da Francesco Romeo Guzzetta, Via Condelli, 17 – 95127 Catania. Si tratta di una pubblicazione ad uso dei soci e degli amici dell’Accademia, frutto di amore e di passione per l’arte e la poesia, da parte del suo fondatore e direttore. Fiorisce un cenacolo, dir. Carmine Manzi, vice dir. Anna Manzi, Eremo Italico - 84085 - S. Severino (SA). Si tratta di una delle più prestigiose e longeve riviste letterarie italiane, che si è imposta per l’ampio impegno e preparazione cultu-rale del suo fondatore Carmine Manzi. Nell’ultimo numero i risultati del 43° concorso dell’Accademia di Paestum. Fondation Maurice Carême, av. Nellie Melba, 14, 1070 Bruxelles (Belgio). Fonte de Letras, dir. Sérgio Bernardo, Caixa Postal 89659 – 28610-972 Nova Friburgo –RJ (Brasile). Future Shock, direttore Antonio Scacco, via Papa Giovan-ni Paolo I, n. 6 / M-A, 70124 Bari. Gazeta de Maracanaú, dir J. Damasceno, Rua 16, n° 271 – Maracanaú –CE CEP 61932-190 (Brasile). Gazzettino di Giarre, dir. Salvatore Agati, vice dir. Giuseppe Portale, via Callipoli 18 – Giarre (CT). GSA-Master News, quindicinale per editori e giornalisti, direttore responsabile Domenico Fiordelisi. Hyria, Direttore Aristide La Rocca, Via Tansillo, 4 – 80035 Nola (NA). Prestigiosa rivista che spazi a dalla poesi a, alle recensioni, al teatro, alla pittura e alla critica in genere. Interessante “ L’aumento del PIL prospettiva di un Mezzogiorno competitivo” di Mario Mari. Il Castello, periodico dell’associazione Agirina di Milano, dir. Antonino Rosalia, Via P. Bottoni, 11 – 20141 Milano. Il Ficodindia, Ass. Trinacria, dir. Salvatore Samuel Mugavero, P.O. Box 160 Ermington NSW (Australia). Vengono pubblicati scritti sia in inglese che in italiano. Unisce molti dei nostri emigrati in Australia, e non solo. Il foglio letterario, dir. Andrea Panerini, dir. resp. Massimo Gherardi, via Boccioni, 28 – 57025 Piombino. Il foglio Notizie, libera corrispondenza itinerante, resp. Pasquale Chiaramida, casella Post. 185 – 72100 Brindisi. Organo di informazione e libera corrispondenza itinerante per i soci del Li.S.S.P.A.E. Si ringrazia il direttore per la disponibilità sempre mostrata. Il foglio volante, dir. Amerigo Iannacone, resp. Mario Di Nezza, red. Via Annunziata Lunga, 21–86079 Venafro (Is). Il globo, quotidiano di Melbourne, dir. Germano Spagnolo, 582, Nicholson St., Nort Fitzroy, Vic. 3065 – Australia Il Grande Vetro, direttore Luigi Ivan della Mea, Via Ferrer, 1 – 56029 Santa Croce sull’Arno(PI). Il Grillo, dir. Leonardo Boriani, via Montevideo, 19 – 20144 Milano. Bimestrale di cultura e di poesia. Si distingue per la pubblicizzazione di numerosi premi letterari e per le ottime recensioni scritte da valenti critici. Nell’ultimo nume-ro “Tra sogni e bisogni” di A. Barbagallo, recensita da I. M.

Affinito, entrami associati all’Accademia Il Convivio. Ii precedenza era stato recensito un volume di Angelo Manitta. Il Labirinto, dir. Giovanni Caso, via Ciorani, 1 – Lombardi – 84085 Mercato San Severino (SA). È un mensile d’art e e didattica enigmistica, organo ufficial e dell’Associazione Culturale “ Campania Felix”, già diretto da G.B. Rossi ex regista televisivo. Il poeta di Salerno G. Caso, nell’assumere il compito di nuovo direttore, ha dato particol are spazio alla poesia con una ‘terza pagina’ e in particol are ai cosiddetti ‘Poetici’: testi di poesia nei quali è nascosto un secondo si-gnificato così che gioco e poesia si fondono. Chi fosse incu-riosito a saperne di più può chiedere un saggio della rivista. Il Ponte Italo-americano, rivista internazionale di cultura, arte e poesia, diretta da Orazio Tanelli, 32Mt. Prospect Avenue, Verona – New Jersey 07044 (Usa). Si tratta di una delle migliori riviste in italiano pubblicate all’estero. Nel-l’ultimo numero ampio spazio è stato dato alla recensione di Orazio Tanelli su “Meteore di luce” di G. Manitta. Il Richiamo, bimestrale di Storia e Attualità, direttore Gio-vanni Jorio, Via M.a De Prospero 105 – 71100 Foggia. Nel penultimo numero in copertina una poesia di Giorgina Busca Cernetti. Nell’ultimo numero, dedicato alla festività nat ali-zia, appaiono interessanti articoli sul presepe e sul Natale. Spazio è stato dato anche alle nostre attività culturali. Il Segnalibro, dir. Ruggero Bruno Fontana, Via Ugo de Carolis, 60 – 00136 Roma. Rivista di cultura ed informazione. Nell’ultimo numero: “Bioetica, un problema di tutti” di Manuela Salvador, “ Le nostre morti” di Franca Pacini e “ Copenagen decadence” di Bruno Fontana. Il sodalizio, trimestrale, casella postale 198 – 47900 Rimini Il tecnologo, bimestrale, dir. Antonio Mastominico, Via An-drea Diana 44 - 81036 S. Cipriano D’Aversa (CE). Pubblica soprattutto poesia e saggistica ed è espressione dell’Acca-demia d’arte e cultura “ Il Rombo”. Tra gli autori figurano gli amici del Convivio: Rosa Spera e Vincenzo Cerasuolo. Iornal Cultural, direttore Júlio Cesar Cabral, Caixa Postal 451 Barbacena – MG CEP 36200-000 (Brasile). Issimo, direttore Carmelo Pirrera, dir. responsabile Anna Barbera, Via Norvegia 2/A – 90146 Palermo Jornal da Cidade (Brasile) sito: www.jor.cidade.com.br La Cigogne, bimestrale, ed. Berard Godefroid, 53, rue Van Soust – B-1070 Bruxelles (Belgio). La forêt de mille Poétes, dir. René Varennes, 13, avenue Reignier – 03310 Néris-les-Bains (Francia). L’agora, dir. Vital Heurtebize, 16, rue Monsieur Le Prince – 75006 Paris (Francia). L’area di Broca, dir. Mariella Bettarini, Via San Zanobi, 36 – 50129 Firenze. L’Attualità, pubblicazione del Movimento G. Salvemini, dir. Cosmo Sallustio Salvemini, via P.L. Guerra, 8/C – 00173 Roma. Mensile di ampio respiro, che tratta le tematiche più svariate ed attuali. L’aurelia, direttore Tito Bianchi, Corso Matteotti 305 A, 57023 Cecina (LI). L’Auriga, dir. Gioacchino Florio, organo dello Studio Ralfi. Notiziario di cultura e poesia, che ampio spazio ha dato alle iniziative del Convivio. Studio Ralfi, Via Salso Trav. C, 65 –92027 Licata (AG) tel. 0922-804265, e-mail: ral fi [email protected] L’eco dell’arte, dir. Michele Giordano, Piazza de Gasperi, 41 – 03043 Cassino (FR). Rivista di Politica, cultura e attualità. Negli ultimi numeri: “ La fiat è diventata povera” di

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Mike Del Salso. “ I vincitori del premio nazionale città di Cassino”. Ideatore del premio Michele Giordano. Ampio spazio è st ato dato alle attività del Convivio, per cui si ringrazi a sentitamente il Direttore. L’infinito, dir. Franco Penza, Via Carlo De Marco, 21 B – 80137 Napoli. Lettres et arts septimaniens, fondatore Robert Gi raud, Bibliothèque Municipale, 31 rue Jean Jaurès – 11100 Narbonne (Franci a). Mensile d’informazione in lingua francese, in cui vengono pubblicati anche saggi critici di un certo interesse. L’immaginazione, dir. Anna Grazia D’oria, via Nino Bixio, 11/B – 73100 Lecce. L’isola, Bimestrale, dir. Francesco Paolo Catania, L’altra Si-cilia, Bd. De Dixmude 40bte 5–B–1000 Bruxelles (Bel-gio). Si tratta di una rivista di siciliani, fatta per i siciliani, ma che parte dai siciliani all’estero. Vengono trattati vari argomenti. Tra vari articoli interessanti dell’ultimo numero: “Creeranno un deserto e lo chiameranno stretto di Messina” di Eugenio Preta. Più interessante l’articolo “ Manifestu pi na lingua siciliana unificata”, principio che accettiamo pienamente. L’Ortica, dir. Davide Argnani, Via Paradiso, 4 – 47100 Forlì. La cigogne, dir. Bernard Godefroid, 53, rue Van Soust - 1070 Bruxelles (Belgio). La Copertina, foglio informativo dell’omonimo movimento culturale, Via San Filippo 54, Meolo (VE). Il movimento è stato fondato da Remigio Bottazzi, Sergio Del moro, Ferruccio Gemmellaro, Danilo Sartorelli. Il sodalizio è gemellato, tra gli altri, con Il Convivio. La fonte, dir. Maria Teresa Bovenzi, cond. Mary Attento, via Tevere, 18 –81100 Caserta. La Procellaria, rassegna di varia cultura, dir. Francesco Fiumara, Via De Nava 1C - 89100 Reggio Calabria. Si tratta di una delle più prestigiose riviste italiane, ed Anche delle più longeve. È apprezzabile sia per lo spessore degli articoli di critica, sia per l e recensioni molto ben curat e, ma soprattutto per la qualità dei critic che vi prendono parte, tra cui Ninnj Di Stefano Busà e Francesco Fiumara. La riviera ligure, Fondazione Mario Novaro, dir. Maria Novaro. Corso Aurelio Saffi 9/11 - 16128 Genova. La Scrittura, dir. Antonio Stango, resp. Idolina Landol fi, via di Ripetta, 66 – 00186 Roma. La tribuna letteraria, dir. Giacomo Luzzagni, resp. Stefano Valentini, via Gattamelata, 130 – 35128 Padova. La Urpila, direttrice Norma Suiffet, Casilla 5088 – suc. 1, Montevideo (Uruguay). Semestrale di pubblicazione poetica, curata dalla rappresent ante del Convivio in Uruguay, Norma Suiffet, valida e profonda poetessa. La voce dell’emigrante, dir. Angelo De Bartolomeis, Vico Sportello, 10 – 67035 Pratola P. (AQ). Le funambule, bollettino di arte e lettere, organo dell’associazione “ Echos de Vénus”, pres. Jean Mauget – 15 Place de Navarre – F-33600 Pessac (Francia). Le courri er Francofone, pres. de l’Accadémie francofone, Joseph Krotky, B.P. 716 – F-73017 – Chambery sud Cedex (Francia) Le jornal de la Poésie d’aujourd’hui, dir. Jean-Michel Adde, 3, rue Romain Rolland – 69700 Givors (Francia). Le muse, bimestrale per il mondo dell’arte e della cultura, dir. Paolo Borrato, via Ravagnese Sup., 42 – 89127 Reggio Calabria. Tra i collaboratori Maria Teresa Liuzzo, Paci fico

Topa, Maristella Dilettoso, Luigi Pumpo, Pinella Musmeci. Le nuvole, Bollettino di informazione a cura dell’A.D.I. Responsabile Mari a Pia De Martino, Via Enea, 47 – 80124 Napoli. Si ringrazia la presidente del sodalizio per l’ampia disponibilità mostrata nei confronti del Convivio. Le voci, dir.Claudio Perillo, casella post. 124 – 80038 Pomigliano d’Arco (NA) Les Nouveaux Cahiers de l’Adour, dir. Philippe Saubadine 24, Av. de l’Adour – 64100 Bayonne (Franci a). Si tratta di una bella rivista, in cui si possono leggere poesie, racconti e saggi critici. Lettres et arts septimaniens, fond. Robert Giraud, Bibliothèque municipale, 31 rue Jean Jaurès – 11100 Narbonne (Francia). Libelle, mensile di poesia francese, direttore Michel Prades, 116, rue Pelleport – F-75020 Paris (Francia) Literarte, direttore Arlindo Nóbrega, Rua Rego Barros, 316 - São Paulo - CEP 03460-000 - Brasile. Rivista culturale di autori brasiliani, ma ha rappresentanti e corrispondenti di di-verse nazioni: Germania, Argentina, Cuba, Spagna, Francia, Stai Uniti, Portogallo, Uruguay, Inghilterra, Giappone, Paraguay e per l’Italia il rappresentante è Angelo Manitta. Literatura, dir. Nilto Maciel, Caixa Postal 02205, Brasilia DF – CEP 70.34 9-970 (Brasile). È certamente una delle più prestigiose e più curate riviste brasiliane. Ampio spazio vie-ne dato alla poesia, alla letteratura e alla critica. Nell’ultimo numero sono stat e pubblicate alcune poesie di Simona Trevisani. Ampio spazio è stato dedicato in precedenza alle attività del Convivio, pubblicando anche alcune poesie di Angelo Manitta. Meya Ponte, dir. Arnaldo Setti, Sqs 305 – Bl.J – Ap. 603 – CEP 70352-100 Brasilia – DF (Brasile). Miscellanea, Periodico di arte e cultura, dir. Michele Melil-li, Via tenente Nastri, 30 – 84080 Lancusi (SA). Si tratta di una prestigiosa rivista, che dà ampio spazio ad autori e cri-tici. Pregevole l’impaginazione e l’impostazione. Interessan-te nell’ultimo numero l’articolo di Fondo di M. Melillo “ L’uomo, la terra e… Dio”, come pure “ John Galsworthy: interprete acuto dell’evoluzione soci ale inglese” di Nunziata Orza Corrado. Ampio spazio è stato dato alle attività del Convivio, per cui si ringrazia sentitamente il Direttore. Nemeton, dir. da Enriqueta González, Ap.do de Correos 1.330 Gijón – Asturias – Spagna. Nau, dir. Harley Meirel es, Rua Benicio José Fonseca, 18 – Jd. Clipper - São Paulo – 04827-100 – SP (Brasile) Nuovo frontespizio, dir. Egidio Finamore, Via A. Costa, cas. Post. 198, 47900 Rimini. O Capital jornal de resistência ao ordinário, dir. Ilma Fontes, Rua Laranjeiras, 996 – Aracaju, SE – 49010-000 (Brasile). Un giornale brasiliano controcorrente. Si distingue per gli ampi articoli di fondo. Nell’ultimo numero “ Brasil, abre os olhos sobre nós” di José Moreira Chumbinho. O municipio, dir. João Carlos de B. Brant Ribeiro, rua Cantidio Drumond, 11 – Ponte Nova-MG CEP 35430-228 (Brasile). Periodico brasiliano di varia cultura.. Ampio spazio è stato dato al Convivio. Omero, diretta da Vincenzo Muscarella, Piazza De Nicola, 30 – 80139 Napoli. Paideia – quaderni di poesia, dir. Francesco De Napoli, via G. Parini, 9 – 03043 Cassino (FR). Papirola, dir. Norma Padra, C.C n° 17 Suc. 49(b) – C.P. 1449 Capital – Buenos Aires (Argentina).

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Peloro 2000, diretta da Domenico Femminò, via Duca degli Abruzzi 3, 98121 Messina. Si tratta di una delle più prestigiose riviste letterarie di cultura e attualità della Sicilia. Gli interessi vanno dalla pittura alla critica, alla poesia. Nel-l’ultimo numero “ I voli pindarici di Irene Caterinaki Bruno” di Angela Saya. Inoltre un’ampia recensione è stata dedicata a “ Meteore di luce” di Giuseppe Manitta dalla stessa Angela Saya, per cui si ringrazia l’autrice e pure il direttore D. Femminò, che sempre è stato vicino al Convivio. Penna d’autore, dir. Nicola Maglione, resp. Davide Maglione, Via Sospello, 119/8 – 10147 Torino. Pick Wick, dir. Flavio Casella, via Romagna, 41 - 20052 Monza (Mi). Trimestrale di letteratura poesia e cultura varia. La rivista è organo informativo del circolo culturale Pickwick. Interessant e l’articolo di Franca Oberti, “ Incontro con Hernan Huarache Mamani”. Poeti e pittori del Terzo Millennio, collana di poesi a, pit-tura e critica diretta da Al fredo Varriale (Salerno). Le pub-blicazioni, giunte già al 12 numero, sono frutto di passione e di preparazione culturale. Molti degli autori present ati e dei collaboratori sono Soci ed amici del Convivio, tra cui si ri-cordano Carmine Manzi, Rolando Tani, Pacifico Topa, Bal-dassarre Turco, Giuseppe Vorraro, Adriana Scarpa, Maria Teresa Liuzzo, Pasquale Francischetti, Maria Dho Bono, Pasquale Chiaramida. Al fio Arci fa, Vincenzo Muscarella, oltre a Giuseppe Manitta, Enza Conti e Angelo Manitta. Poeti nella Società, diretta da Pasquale Francischetti, via Parrillo 7 - 80146 Napoli. Rivista di un certo spessore, che si distingue soprattutto per il grande impegno profuso dal suo direttore, che di recente ha fondato l’omonima Accademia. Numerosi sono i collaborati della rivista che figura pure sul Convivio. Ampio spazio è stato sempre dato alle iniziative del Convivio. Di tutto ciò si ringrazia il direttore. Pomezia noti ze, rivista diretta da Domenico Defelice, via Fratelli Bandiera 6 - 00040 Pomezia (Rm). Rivista ri ampio approfondimento critico. Si distingue infatti per i saggi criti-ci di una certa ampiezza e soprattutto profondità. Ciò grazie alla valenza dei collaboratori dell’ottimo poeta e direttore Domenico De Felice. Nel numero di Dicembre “ Domenico Antonio Tripodi: Il colore nella divina commedia” di Dome-nico De felice. Tra gli altri recensori ed autori, Domenico Cara, Tito Cauchi, Antonio Piromalli, Imperia Tognacci, Silvana Andrenacci Maldini. Ampio spazio è st ato dato alle iniziative del Convivio e pure alle recensioni di “ Meteore di Luce” di Giuseppe Manitta. Di tutto ciò si ringrazia di vero cuore il direttore. Presen za, direttore Luigi Pumpo, via Palma 89 – 80040 Striano (NA). Bimestrale di arte e cultura, si distingue per gli articoli di un certo spessore critico. Nel numero di Dicembre interessant e l’articolo di Domenico Cara: Introduzione al nuovo libro di Luigi Pumpo. Prospektiva, dir. Giannasi Andrea, Via Nicolao Arcangelo, 2/C – 00053 Civitavecchia (Roma). Provincia, dir. Rafael Mario Altamirano, libertad s/n., Casa 16 – Barrio Los Olivos – 5870 Villa Dolores (Argentina). Provincia Corvina, dir Eugen Evu, plata George Enescu, 6 – 2750 Hunedoara (Romania). Punto di Vista, trimestrale di lettere e arti, direttore M. Rosa Ugento, C. P. 990 - 35100 Padova. Si tratta di una delle più prestigiose riviste letterarie italiane. La rivista è divisa in rubriche: Archivi storici, Arte, Interventi, Narrativa, Poesia. Ampio spazio è dato alle recensioni. Tra

gli autori: Michele Frenna, Alida Casagrande, Francesco De Napoli, Pietro Nigro, Luciano Nanni. Nell’ultimo numero ampio spazio è dato a “ Meteore di Luce” di Giuseppe Manitta, con la recensione di Bruna Tamburini. Quaderni dell’Asla, ass. siciliana per le lettere e le arti, dir. Ugo Zingales, C. P. 350 poste centrali - 90133 Palermo. Ri-vista di varia cultura, è frutto di grande passione per la Si-cilia e opera per la promulgazione di iniziative culturali serie e durature, tra cui anche la conoscenza e la di ffusione di opere di autori siciliani. Rimbaud, semestrale internazionale, dir. Samuel Brejar, BP 49 – F-22130 Plancoet (Francia) Salpare, Periodico di Attualità e cultura, diretto da Neria de Giovanni, Via Manzoni 67 – 07041 Alghero. La rivista si presenta in una veste molto elegante e gradevole e tratta argomenti di vario interesse. Nell’ultimo numero “ Arte e cultura della pace” di Ugo Mugnaini. Interessant e la rubrica “ Le copertine” della direttrice Neria De Giovanni. Silarus, rassegna bimestrale di cultura fondat a da It alo Rocco, Casella Postale 317 - 84091 - Battipaglia(SA). Si tratta di una delle più prestigiose e longeve riviste italiane. Si è sempre distinta per la qualità degli interventi. La rivista, dopo la morte del fondatore, Italo Rocco, viene portata avanti con la stessa passione e cura da parte dei figli. Interessanti gli articoli di fondo di ogni numero, veri e propri saggi critici. Simposiacus, diretto da Pantaleo Mastrodonato, via La Marina 51, 70052 Bisceglie (BA). Interessanti sono alcune pubblicazioni di un certo spessore. Nel supplemento al numero 4 molto bella è la presentazione del libro “ Lingua etrusca. La ricerca dei Tirreni attraverso la lingua”, ed. Cannarsa, di Angelo Di Mario. L’intero supplemento è dedicato a problemi linguistici. In copertina la pubblicazione dei bandi di concorso del Convivio. Spiritualità e letteratura, dir. Pietro Vassallo, Via M. T. 11, n° 2 - 90132 – Palermo. Talento, diretta da Lorenzo Masetta, capo redattore Grazi ella Granà, C. P. 23 - 10100 Torino. Si tratta di una delle più prestigiose riviste letterarie italiane per il vasto interesse rivolto a tutte le arti. Aprofindete e di un valido spessore critico le recensioni, ma interessanti sono molti articoli. Nell’ultimo numero autointervista di E. Occelli, “ A Stupinigi i capolavori italiani” di Gian Giorgio Massara. “ Un omicidio… una notte al Bistrot” di Graziella Granà. Telescopio, rivista brasiliana diretta da Everi Rudinei Carrara, rua Monte Cast elo 425, 16035-130 Araçatuba-SP (Brasile); e-mail: [email protected]; sito: www.folhadaregiao.com Verso il Duemila, fond. Arnaldo Di Matteo, via L. Guercio, 192 – 84100 Salerno Verso il futuro, direttore Nunzio Menna, Via Scandone, 16 – Avellino. Rivista prestigiosa per la qualità degli interventi critici. Nell’ultimo numero scritti di Flavia Lepre “ Un modo diverso di far poesia”, G.C. Colosso “ Il revisionismo della Storia” e Mario T. Barbero “ Massimo D’Azeglio” e “ Ritor-no al Medioevo”. Ampio spazio è stato dedicato alla recen-sione di B. Tamburrina su “Meteore di Luce” di G. Manitta. Zahav del Mediterraneo, dir. Gaetano Messina, Loc. Calzata, 90010 Campofelice di Roccella (PA). Mensile di Scambio e di inserzioni gratuite. È un ottimo mezzo per conoscere molte realtà locali e soprattutto farsi conoscere. L’idea del suo direttore è certamente apprezzabile.

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Concorsi

Premio Internazionale Poesia, Prosa e Arti figurative “Il Convivio 2003” e premio “Publio

Virgilio Marone” A) Premio Poesia, Prosa e Arti figurative L’Accademia Internazional e “ Il Convivio”, insieme all’o-monima rivista e con la collaborazione del “ Parco dell’Et-na”, bandisce l a terza edi zione del Premio “ Il Convivio 2003”, cui possono partecipare poeti e artisti sia italiani che stranieri con opere scritte nella propria lingua o nel proprio dialetto (se in dialetto è richiesta una traduzione nella cor-rispettiva lingua nazionale). Per i partecipanti che non sono di lingua neolatina è da aggiungere una traduzione italiana, francese, spagnola o portoghese. Il Premio è diviso in 5 sezioni: 1) Una poesia inedita a tema libero. 2) Racconto inedito di massimo 6 pagine (spaziatura 1,5). 3) Libro edito a partire dal 1992 nelle sezioni: 1) poesia, 2) romanzo, 3) saggio. 4) Pittura e scultura: inviare 5 foto chiare e leggibili della stessa opera. 5) Le quattro sezioni precedenti per gli studenti che non abbiano superato i 18 anni o che non abbiano completato gli studi superiori (per i minorenni è richiesta una dichiarazione di autenticità da parte di uno dei genitori o di un’insegnante della scuola frequentata). Scadenza: 30 aprile 2003. Premiazione: Giardini Naxos (ME), presso l’Hotel Assinos: settembre 2003. Si può partecipare a più sezioni, ma con una sola opera per sezione, dichiarata di propria esclusiva creazione. Gli elaborati vanno inviati in cinque copie, di cui una con gene-ralità, indirizzo e numero t elefonico, alla Redazione de “ Il Convivio”: Premio Poesia, Prosa e Arti figurative, Via Pietramarina-Verzella, 66 - 95012 C astiglione di Sicilia (CT) - Italia. Si raccomanda di allegare un breve curriculum. I vincitori saranno avvertiti per tempo. Il verdetto della giuria, resa nota all’atto della premiazione, è insindacabile. La dat a esatta della premiazione sarà comunicat a attraverso la stampa, mentre ai vincitori con comunicazione personal e. B) Premio Publio Virgilio Marone L’Accademia Internazional e “ Il Convivio”, insieme all’o-monima rivista e con la collaborazione del “ Parco dell’Et-na”, bandisce il premio di Poesia in onore di Publio Virgilio Marone, sezione del Premio “ Il Convivio 2003”, al quale possono partecipare poeti e artisti sia italiani che stranieri nelle loro lingue. Per i partecipanti di lingua non neolatina è

da aggiungere una traduzione italiana, francese, spagnola o portoghese. Il Premio è diviso in 4 sezioni: 1) Una poesia inedita a tema libero in versi sciolti. 2) Poesia inedita a tema libero che utilizzi una struttura metrica cl assica (endecasillabo, settenario ecc. ecc.) o forme tradizionali (sonetto, canzone, ecc. ecc. con rime e strofe). 3) Silloge di poesie senza limiti di versi, ma che com-prenda almeno 10 liriche. 4) Poesia in qualunque dialetto europeo con traduzione nella corrispettiva lingua neolatina. Scadenza: 30 giugno 2003. Premiazione: Roma ottobre-novembre 2003. Si può partecipare a più sezioni, ma con una sola opera per sezione, dichiarata di propria esclusiva creazione. Gli elaborati vanno inviati in cinque copie, di cui una con gene-ralità, indirizzo e numero t elefonico, alla Redazione de “ Il Convivio”: Premio di Poesia “Publio Virgilio Marone”, Via Pietramarina–Verzella, 66 - 95012 Castiglione di Sicilia (CT) - Italia. Si raccomanda di allegare un breve curriculum. I vincitori saranno avvertiti per tempo. Il verdetto della giu-ria, resa nota all’atto della premiazione, è insindacabile. La data esatta della premiazione sarà comunicata attraverso la stampa, mentre ai vincitori tramite comunicazione personale. C) Note generali per i due premi precedenti Premi: Trofeo “ Il Convivio” (scultura in bronzo di Nunzio Trazzera), targhe e diplomi. L’Accademia si riserva la possibilità di pubblicare gli elaborati inediti sulla rivista “ Il Convivio” e, dopo averli selezionati, eventualmente inserirli in apposita antologia. La partecipazione al concorso è gratuita per i soci. È gra-dito invece, per spese di segreteria, un libero contributo da parte dei non soci, da inviare in contanti o tramite assegno non tras feribile o da versare sul Conto Corrente Postale n. 12939971, intestato a Conti Vincenza, Via Pietramarina-Verzella, 66 - 95012 Castiglione di Sicilia (CT) Italia. Per ulteriori informazioni scrivere o telefonare alla Segreteri a del Premio, Via Pietramarina–Verzella, 66 - 95012 Castiglione di Sicilia (CT) Italia, tel. 0942-989025, cell. 333-1794694, e-mail: [email protected]

Il presidente del Premio

Angelo Manitta Tra i nostri sostenitori: Parco dell’Etna (Catani a), Vini Torrepalino (Solicchiata-CT), Assoetna (Catania), F.R.A.T Radiatori (Solicchiata), Neoplast Plastiche (Solicchiat a), Comune di Mojo Alcantara (Messina), Hotel Assinos (Giardini Naxos-ME), Ceramiche Consalvo (Francavilla di Sicilia - ME), Cavaan (Giardini N.), Ditta Savoca (Solicchiata), Taverna Naxos (Giardini N.), SiciliAntica (Catania), Emporio carni Rigaglia (Solicchi ata), Dispensa dell’Etna (Castiglione di Sicilia), Rivista Peloro 2000 (Messina), C.R.T. s.n.c. Costruzioni Radiatori e Termo-scambiatori di Franco Treffil etti (Solicchiata ), Edizioni Greco (Catania), Hotel D’Orange (Francavilla di Sicilia – ME), Parkes Top Town Traders (Australia), C.M.I. Computers (Francavilla di Sicilia).

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Premio Agenda dei Poeti 2003 Scadenza 15 marzo. Il premio è diviso in tre sezioni: a) Poesia a tema libero in lingua italiana: si partecipa inviando un massimo di due poesie in sei copie, una delle quali dovrà essere corredata dalle generalità complete dell’autore. B) Poesia in dialetto (con tradu-zione italiana) da inviare in sei copie con generalità dell’autore. C) Libro, anche di narrativa, edito nell’ultimo quinquennio. Si parteci-pa inviando tre copie. Il materiale non sarà restituito. Quota di par-tecipazione per ogni singola sezione per spese di segreteria € 30,00. Il materiale va inviato a: Otma Edizioni, Via Cesariano, 6 – 20154 Milano. Conto corrente post. 16131203. A tutti i partecipanti verrà rilasciato un artistico diploma. Premi per oltre 10.000,00 Euro. Trofeo Agenda dei Poeti, Artistiche coppe, medaglie auree, diplomi e vari altri premi. Per maggiori informazioni tel. 02-312190. Premio Odisseo Scadenza: 15 marzo. Si articola nelle seguenti sezioni: a) saggistica (max 20 cartelle), b) narrativa edita (racconto pubblicato su perio-dico), c) narrativa inedita (racconto di max 20 cartelle), d) raccolta di poesie inedite, e) massimo tre poesie inedite. Inviare il materiale in una sola copia anonime. Generalità e indirizzi devono pervenire in busta chiusa a parte. Inviare a: Ass. Focus, C.P . 104, via Imera 43 –92100 Agrigento. Premi: targhe, medaglie e diplomi. Concorso Disegna il tuo ambiente Scadenza: 20 marzo. Diviso in tre sezioni per le scuole elementari, materne e medie. Si partecipa con un disegno su foglio A4 con tecnica libera. Per ogni elaborato (che può essere anche di gruppo) è richiesto un contributo di € 10,00. Da spedire a: Centro studi Universum Calabria, Via Trapezi, 19 trav. Priv. – 89060 Croce Valanidi (RC). Per informazioni: tel. 0965-641256. Le muse 2003 Scadenza 30 marzo. Richiedere il bando a: Presidenza CDAP, Casella Postale 3 – 01015 Sutri VT (Italia). Allegare francobollo. Premio Nino Martoglio Scadenza 30 marzo. Il premio è diviso in due sezioni: A) poesia in dialetto siciliano per scuole elementari, per scuole medie e superiori, per adulti. Sez. B) Racconto in lingua italiana, massimo tre cartelle, come sopra. È richiesto un contributo di € 6 per tutte le sezioni (tranne per i bambini di scuola elementare). Si partecipa con una sola opera da inviare in tre copie, di cui una con generalità a: Associazione Nino Martoglio, Prof. Lillo Agnello, via S. G. Bosco, 14 - 92020 Grotte (AG). Per informazioni: tel. 0922-943720; 333-34544998. Premio Città di Trecate Scadenza: 31 marzo. Il premio è suddiviso in due sezioni: narrativa e poesia inedita. I lavori vanno inviati in quattro copie, di cui una con generalità, indirizzo e numero telefonico, a Biblioteca civica, Via Clerici, 1 – Trecate (No); oppure Comune di Trecate – Ufficio Cultura – P iazza Cavour, 24 – Trecate; oppure Ferdinanda Zanara, via XX settembre, 18 – Trecate. Non è richiesta tassa di lettura. Premio Nazionale Pompei Scadenza: 31 marzo. Il premio è diviso in quattro sezioni: A) lirica inedita. Si partecipa con non più di tre poesie dattiloscritte, in cinque copie, di cui una con generalità complete, indirizzo e telefono. B) Poesia edita in volume (pubblicato dal 1999 al 2003). In tre copie. C) Poesia religiosa o poesia avente come tema Pompei (non più di tre liriche, in tre copie con generalità). D) Narrativa edita in volume o narrativa inedita. Volumi pubblicati dal 1999 al 2003 o racconto breve inedito di non oltre 8 cartelle. Per ogni sezione è richiesto un contributo di € 20,00. Premi: medaglie, coppe targhe e vari premi. Inviare tutto a Luigi Pumpo, via Palma 89 – 80040 Striano (NA). Tel. 081-8276264, cui si possono chiedere ulteriori informazioni.

Premio San Leonardo Murialdo Scadenza: 31 marzo. Il premio è diviso nelle sezioni: a) Poesia a tema libero, a)bis Poesia a tema: la pace, b) poesia ispirata a S. Leonardo Murialdo, c) poesia in vernacolo, d) poesia a tema libero per ragazzi fino a 18 anni, e) racconto breve o pièce teatrale, f) fotografia. Quote di partecipazione: 15 € per le sezioni a), a)bis, b), c), e), € 10 per la e), € 5 per la f). Le opere inedite da inviare in sei copie, di cui una con generalità e indirizzo. Per i minori è richiesta la firma di un genitore. Premiazione 17 maggio 2003. Le opere da inviare a: Francesco Arcoraci, Premio S. Leonardo Murialdo, via P incherle, 144 – 00146 Roma. Per informazioni tel. 06-5414781. Premio artistico e letterario Marilianum Scadenza: 31 marzo. Il premio, bandito con il patrocinio del comu-ne di Marigliano e il patrocinio morale di Bella Partenope, Il Con-vivio, Leonardo Accademia, Carducci, Oltremarigliano, Il Risve-glio, si articola nelle seguenti sezioni: A) Poesia in lingua; B) Poesia in dialetto napoletano; C) poesia in vernacolo di altre regio-ni con traduzione, D) Poesia in lingua straniera. E) Racconto breve -favola (max. 3 cartelle); F) Artistica = Pittura (max 80x100), Scul-tura - Foto artistica; F) Studenti e giovani max 18 anni, come per adulti, ma senza contributo. Inviare in 2 copie, di cui una con dati personali e telefono. Poesie max. 36 versi. Unire un contributo di € 10,00 per sezione e due bolli prioritari. Inviare a: Premio Marilia-num, C/o Vincenzo Cerasuolo, Corso Umberto I, 259 – 80034 Ma-rigliano (NA). Per informazioni tel: 081-8851716; 329-7473209.

Premio letterario Silarus Scadenza: 31 marzo. È bandito il XXXIV premio Silarus in tre sezioni: narrativa, poesia e saggistica. Ogni autore potrà concorrere per tutte le sezioni con un solo racconto o novella della lunghezza massima di 6 cartelle dattiloscritte, due poesie di max 30 versi, ed un solo saggio critico su personaggi o aspetti originali della lette-ratura contemporanea. I lavori devono essere inediti e redatti in quattro copie, firmate ed inviate a: Segreteria del Premio Silarus - C. P . 317 - 84091 Battipaglia (SA). Tel 0828-307039, fax 0828-343934. Gli elaborati non possono essere pubblicati dai concorrenti né presentati ad altri concorsi fino al 30 dicembre 2003. Premio Umanamente Scadenza 31 marzo. Si può partecipare con poesie inedite e non premiate in altri concorsi. Il premio è diviso in sez. a) ragazzi dai 15 ai 18 anni, b) dai 19 anni in poi. Quota di partecipazione per la sez. b) 12 €, per la sez. a) gratuita. È prevista una sezione speciale per i ragazzi dai 6 ai 14 anni. I testi vanno inviati in 7 copie, di cui una copia con le generalità dell’autore. Per maggiori informazioni rivolgersi a ass. “ Umanamente”, via Samoggia, 3 – 40017 San Giovanni Persiceto (BO). Tel 051-827111. Premio di Poesia Carmela Mancuso Alfieri Scadenza: 31 marzo. I familiari della Prof.ssa Carmela Mancuso Alfieri per onorare la memoria della loro congiunta, indicono la prima edizione di un Premio di Poesia a Lei intitolato. Il premio è destinato agli studenti delle scuole medie inferiori (sez. 1) e delle scuole medie superiori (sez. 2) di Messina e Provincia. Il tema delle poesie è libero, le composizioni non devono superare i 30 versi. Ogni istituto non dovrà inviare più di tre poesie. Ogni poesia deve essere presentata anonima e accompagnata da una busta chiusa contenente nome, cognome, indirizzo e recapito telefonico dell’au-tore. Ogni poesia deve essere presentata in cinque copie ed inviata al comitato organizzatore del V° istituto comprensivo “Giacomo Galatti” di Messina, via Nicola Fabrizi, 153. Si attribuiscono tre premi per ogni sezione. I vincitori riceveranno comunicazione dal Comitato organizzatore, che si riserva il diritto di raccogliere le poesie meritevoli in un’antologia. Tutti i partecipanti sono invitati alla cerimonia di premiazione che avverrà nel salone degli specchi della Provincia regionale di Messina nel mese di Maggio 2003. Per maggiori informazioni telefonare al numero 349-2541847.

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Premio di Poesia Formica Nera Scadenza: 3 aprile. Si partecipa con una poesia a tema libero, da far pervenire in cinque copie, di cui una sola con firma e generalità dell’autore. Per spese organizzative inviare libero contributo sul ccp 28248326. Premi: al primo classificato medaglia d’oro e ai se-gnalati medaglie d’oro. Poesie da inviare a: Luciano Nanni, Casella Postale 1084 – 35122 Padova. Per informazioni: tel. 049-617737. Premio Etolia. Scadenza 12 aprile. Si partecipa con massimo di due poesie. Per informazioni: Francesco Carella, Via Cavour, 37 – 74011 Castellaneta (TA). Tel. 0998442940. Premio Senigallia Scadenza 15 aprile. Si divide nelle sezioni: a) silloge inedita di poesie, b) tre poesie inedite. Da inviare in otto copie, di cui una sola con generalità e indirizzo, a: Ass. “La fenice”, Premio Senigallia, Corso 2 giugno, 16 – 60019 Senigallia (AN). Premi in denaro, diplomi e medaglie. Per informazioni: tel. 071-64815. Premio Italo Carretto Scadenza 30 aprile: Il premio, bandito con la collaborazione del-l’associazione savonese Zacem è diviso in tre sez: A) poesia in lingua italiana a tema libero. B) poesia in lingua italiana a tema libero riservata ai ragazzi sino a 16 anni. C) poesia in dialetto a tema libero. I testi, che non devono superare i 36 versi, possono essere editi o inediti. Si dovranno inviare n° 9 copie, di cui 8 anoni-me ed una con nome cognome, data di nascita, indirizzo, numero di telefono, dichiarazione firmata che trattasi di opera di propria esclusiva produzione e l’indicazione della sezione cui si partecipa. Quota di partecipazione: € 14 per le sez. A e C; € 7 per la sez. B (ragazzi fino a 16 anni). Spedire gli elaborati alla Segretaria del concorso: Gastaldi Ines Loc. Geirolo 12, 17057 BARDINETO (SV) Tel. 019/7908068. Premi: medaglia d’oro e diploma ai primi tre classificati di tutte le sezioni, sono previsti ulteriori premi: trofei, coppe e targhe. Il bando completo è disponibile sul sito http://inesgastaldi.freeservers.com per chiarimenti telefonare alla segretaria tel. 019/7908068 oppure e-mail [email protected] Premio Città di Avellino Scadenza: 30 aprile. Il premio è indetto dall’artista Moschella Gio-vanni. É diviso in 6 sezioni (Poesia, Narrativa, Saggistica, P ittura, Scultura, Grafica, Fotografia e Ceramica): A) poesia in lingua: si partecipa con un’opera, B) poesia in vernacolo: si partecipa con un’opera, C) Racconto (si partecipa con due opere), D) Libro (si partecipa con due opere); E) artistica: 2 foto 10x15 cm per ogni opera presentata. F) Speciale scuole. Si richiede un contributo di € 15 da versare in contanti per tutte le sezioni, per le scuole contributo di € 2 (indicare scuola di appartenenza). Gli elaborati per la sez. A) e B) devono essere inviate in tre copie con nome, cognome, indirizzo e recapito telefonico a: Giovanni Moschella Via Pianodardine 39 – 83042 Atripalda (AV). Sito: www.giovannimoschella.it, tel: 338-8303429; 082-5624239. Concorso racconti romantici del medioevo Scadenza: 30 aprile. Per il bando completo: Centro letterario del Friuli, casella postale 3957, succ. 19 – 34148 Trieste. Tel. 040.814295 - 040.360266 - E-mail : [email protected] Accademia Il Rombo Premi “Campania-G. Bufalino” Scadenza: 30 aprile. Il bimestrale “ Il Tecnologo” e l’accademia Nazionale d’Arte e cultura “ Il Rombo, col patrocinio della Regione Campania e della Provincia di Caserta, indicono e organizzano la XI edizione del premio Campania di Poesia e la VII edizione del premio G. Bufalino di Narrativa e Saggistica. Le sezioni previste sono sei: A) poesia in lingua edita e inedita. B) poesia in vernacolo partenopeo o dialetti regionali con traduzioni edite o inedite. C) Silloge di poesie edite e inedite. D) Poeti in erba fino a 17 anni. E) Narrativa edita e inedita. F) Saggistica edita e inedita. Il premio

Campania si divide in 4 sezioni e si partecipa con: a) tre poesie a tema libero non superante ciascuna versi 40. b) tre poesie dialettali a tema libero max 40 versi. c) silloge di poesie a tema libero max 300 versi. d) ragazzi: una sola poesia di massimo 30 versi. Il premio Bufalino è diviso in due sezioni. Si partecipa con: a) un racconto a tema libero di max 5 cartelle dattiloscritte spazio due. b) un saggio letterario, artistico musicale, cinematografico, teatrale, di max 5 cartelle dattiloscritte spazio 2. La quota di partecipazione per le sezioni a, b, c, e, f, è di Euro 15,00 che va versata sul ccp 14797815 o sul ccbn 10/2414 S. Paolo di Torino SPA di Caivano (679) cab 39780 ABI, intestati al prof. Antonio Mastrominico, via Andrea Diana, 44 – 81036 S. Cipriano d’Aversa (CE). Per i ragazzi la partecipazione è gratuita. Se si partecipa a due sezioni si ha il diritto allo sconto di Euro 5,00. Da inviare gli elaborati in cinque copie di cui una sola firmata e con generalità, telefono e curriculum a “ Il Tecnologo”, Accademia nazionale “ Il Rombo” C/o prof. An-tonio Mastrominico, Via Andrea Diana, 44 – 81036 - S. Cipriano d’Aversa (CE). Ai vincitori saranno assegnati premi vari (anche in denaro), targhe personalizzate, diplomi. Per maggiori informazioni tel 081-8921236 (ore serali), 349-4215834 (ore pomeridiane). Concorso di narrativa Circolo Pickwick Scadenza 30 aprile. Si concorre con un numero massimo di tre racconti a tema libero, in lingua italiana. Lunghezza massima di 20 cartelle (30 righe per 60 battute) o un massimo di 35.000 caratteri spazi inclusi. I racconti devono pervenire in tre copie anonime accompagnate da una lettera contenente il titolo del racconto, nome, indirizzo e numero telefonico dell’autore: una busta affrancata per la risposta. È ammesso anche l’ invio per posta elettronica. La quota di partecipazione è di Euro 15,50 per il primo racconto (per i soci del circolo 10,50). Per il secondo e terzo racconto euro 5,50. La quota da versare tramite vaglia postale, assegno bancario o circolare non trasferibile, o a mezzo cc postale n. 13637467 intestato a Bruno Zanacca. Premi: in denaro più targa. Inviare i lavori a Segreteria Concorso Pickwick, C/o Bruno Zanacca, via IV Novembre, 59 – 20050 Zoccorino di Besana in Brianza (MI). Tel 0362-967155. Per informazioni, anche all’indirizzo di posta elettronica: [email protected] Premio Letterario Carver. Scadenza: 30 aprile. Possono partecipare, con lavori editi in lingua italiana a tema libero, poeti e scrittori di ogni nazionalità. Il premio si articola in due sezioni: Narrativa e Poesia. Ogni opera deve pervenire in triplice copia, di cui una con generalità, indirizzo completo, numero telefonico e firma dell’autore. La quota di iscrizione è di euro 10,00 per sezione. Premi: presentazione e promozione dei libri vincitori, targhe e attestati di merito. Per maggiori informazioni: Premio Letterario Carter – Prospettiva editrice, via Terme di Traiano, 25 – 00053 Civitavecchia – Roma. Tel. 0766-23598; e-mail: [email protected] Premio Marco Tanzi Scadenza 30 aprile. Il premio è diviso in tre parti, intitolati rispet-tivamente a: 1) Marco Tanzi (Poesia: XVII edizione). Inviare sei copie dattiloscritte di tre poesie in lingua italiana. Ogni poesia deve portare in calce nome, cognome, indirizzo completo, numero tele-fonico e data di nascita. 2) Marisa Priori (Poesia edita: XVII edizio-ne) spedire una sola copia di poesie in lingua italiana pubblicato negli ultimi tre anni con generalità come sopra. 3) Livio Paoli (Narrativa edita: XII edizione): inviare quattro copie di un libro di narrativa edito in lingua italiana negli ultimi tre anni con generalità come sopra. Premi in denaro da 200 a 750 €. Saranno segnalati gli autori più meritevoli. Viene richiesto per spese di segreteria il contributo di € 15 da inviare insieme alle opere. La premiazione è fissata per domenica 28 settembre 2003. Chiedere il bando completo al presidente Giovanni Paoli, via Olinto Fedi, 27 – 50050 San Mauro a Signa (FI). tel. 055-8739083, fax: 055-8739822.

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Concorso “Agostino Venanzio Reali” Scadenza: 30 maggio. Si divide in due sezioni: A)poesia adulti e B)poesia giovani. Si partecipa con un massimo di tre poesie non superiori a 40 versi, inedite e mai premiate o segnalate in prece-denti concorsi, in 8 copie, di cui una sola dovrà contenere le proprie generalità (i giovani dovranno indicare anche la data di nascita). Quota di partecipazione: Euro 10 per gli adulti, Euro 5 per i giovani, tramite bonifico bancario c/c 32000 ABI 3556 CAB 67730 o Assegno circolare o bancario non trasferibile intestati alla Tesoreria del Comune di Sogliano al Rubicone. Invio delle poesie alla Segreteria del Premio “Agostino Venanzio Reali”, c/o Comune di Sogliano, Piazza della Repubblica 35, 47030 Sogliano al Rubi-cone (Forlì – Cesena). Premi per la sez. A Poesia adulti: 1º premio Euro 1000,00, 2º premio Euro 500.00, 3º premio Euro 250,00; per la Sez. B: Poesia giovani fino a 21 anni: 1º premio Euro 500,00, 2º premio Euro 250.00, 3º premio Euro 150,00. Segnalazioni speciali per entrambe le sezioni. I poeti premiati e segnalati riceveranno pergamene con profilo critico e un prodotto tipico dell’artigianato locale e saranno ospiti al pranzo offerto dall’Amministrazione Comunale. La premiazione si terrà domenica 21 settembre, alle ore 10.30, presso il teatro “Elisabetta Turroni” di Sogliano al Rubicone, con lettura dei testi e intermezzi musicali. Per informazioni e richiesta del bando: Telefonare al n. 0541948610 dalle ore 9.00 alle ore 13.00. e-mail: [email protected]. Premio Città di Pomezia Scadenza: 31 maggio. L’editrice Pomezia-Notizie bandisce la XIII edizione del Premio “Città di Pomezia”. È suddiviso nelle seguenti sezioni: a) Racolta di Poesie (max 500 versi), possibilmente fasci-colata. B) Poesia singola (max 35 versi). C) Poesia in vernacolo (max 35 versi). D) Racconto o novella (max 6 cartelle). E) Fiaba (Max 6 cartelle). F) Saggio critico (max 6 cartelle). Le opere inedite e mai premiate (possibilmente anche su dischetto) devono pervenire in unica copia a Pomezia Notizie, via Fratelli Bandiera, 6 – 00040 Pomezia (RM). Le opere in lingua straniera devono essere accompagnate da traduzione italiana. Allegare curriculum. È richiesto un contributo di 20 € per la sez. A, di 10 € per le altre. All’unico vincitore della sezione A verranno consegnate 20 copie del quaderno “ Il Croco” sul quale sarà pubblicata al silloge. Per le altre sezioni pubblicazione sulla rivista. Per maggiori informazioni: te. 06-9112113. e-mail: [email protected] Premio “Il Giunco” Città di Brugherio Scadenza: 31 maggio. Il premio è diviso in 4 sezioni: a) poesia italiana o in una lingua europea. b) racconto in italiano o in una lin-gua europea. c) poesia in vernacolo italiano o europeo. d) racconto o progetto a tema. Le opere straniere devono pervenire con tradu-zione italiana. Sono da inviare per le sezioni ‘a’ e ‘c’ due copie anonime e due con generalità. Sez. ‘b’ : una copia con generalità. Allegare breve curriculum. Quota di iscrizione: € 18 per sezione, da intestare a “ Il Giunco”, ccp. 42515205. I premi consistono in denaro, targhe e opere d’arte. La premiazione sarà il 12 ottobre a Brugherio (MI). Per maggiori informazioni: Ass. Il Giunco, Villa Brugherio, 55 – 20047 Brugherio (MI), tel. e fax: 039-870366. E-mail: [email protected] - [email protected] Premio ‘Scriviamo un libro insieme’ Scadenza: 31 maggio. Il tema del concorso è l’amore, per opere edite e inedite. Sez. narrativa (un racconto max 3 cartelle), sez. poesia (una poesia max 34 versi). La partecipazione è gratuita. Le opere devono essere inviate in una sola copia dattiloscritta firmata dall’autore, e allegare a parte un foglio contenente le proprie gene-ralità e breve curriculum, da inviare a A.L.I. Penna d’autore, Casel-la Postale 2242 – 10151 Torino. Le migliori opere saranno pubbli-cate in due distinte antologie, che gli autori premiati potranno chie-dere al costo di euro 14 l’una. I volumi saranno personalizzati per ogni autore. I vincitori delle due sezioni avranno la pubblicazione di una silloge nella collana Penna d’Autore. Sono previsti altri premi. Informazioni: tel. 011-2205902. E-mail: [email protected]

Concorso Internazionale Poetico musicale Scadenza: 31 maggio. Sono previste 5 sezioni: Poesia (massimo 2) edita o inedita (max 40 versi). b) Narrativa e saggistica in lingua italiana (max 7 cartelle); c) Volume di Poesia, Racconto, Favole ecc. in lingua italiana; d) Tesi: che cosa ci vuole per sanare il mon-do, e) Sezione in vernacolo (tutti i dialetti con traduzione italiana, f) Le sezioni a) b) c) d) in lingua tedesca, francese e inglese; e) Brani musicali. Per le sezioni a) b) c) d) è richiesto un contributo di 25,00 euro o Fr. Sv. 50. Premi in denaro, coppe, targhe e diplomi. Inviare le opere in quattro copie, di cui una con generalità, alla se-greteria del concorso, cui si possono chiedere ulteriori informa-zioni: C. Giannotta – Schoenaustrasse 20 – CH – 4058 Basilea – tel 0041 – 61-6932075. Per la sezione e) registrazione su cd o cassetta in unico esemplare per la musica, due copie per il testo.

Premio Misciagni nuestru Scadenza: 31 maggio. L’associazione Culturale “Misciagni nue-stru”, col patrocinio della locale amministrazione (Mesagne – Prov. di Brindisi), incoraggiata dal lusinghiero successo conseguito lo scorso anno, bandisce la II° Edizione Premio Nazionale di Poesia e Narrativa in lingua “Città di Mesagne”. Articolato in categoria A e categoria B, riservata questa ai giovani di età non superiore ai 18 anni. Si partecipa con un racconto breve inedito non premiato, di lunghezza massima 5 cartelle, e/o con numero 3 poesie, inedite e non vincitrici di precedenti premi (max 30 versi). Da inviare in 8 copie, di cui una sola recante in calce generalità complete, indirizzo, telefono e dichiarazione di autenticità. È richiesto un contributo di € 10,00 per la categoria A, di € 5,00 per la categoria B. Sono previsti premi in denaro, i primi due premiati per sezione anche ospitalità per due giorni. Le opere vanno inviate a: Ass. Misciagni nuestru, Piazza Caduti di Via D’Amelio, 12/13 – 72023 Mesagne – BR. Allo stesso indirizzo si possono chiedere maggiori informazioni e il bando completo. Tel. 339-4825889, 3383577260. E-mail: [email protected] Premio ‘D’Annunzio e Michetti’ Scadenza: 30 giugno. L’associazione culturale Argo Noubs bandisce la quinta edizione del premio “D’Annunzio e Michetti”. Vi sono due sezioni: poesia inedita, narrativa inedita. Alla prima si partecipa con max 3 poesie a tema libero, non superiori di 35 versi. Alla seconda si partecipa con un racconto di max 6 cartelle. Da inviare in 5 copie anonime. Inserire generalità su foglio a parte. Ai vincitori vengono assegnati premi in denaro. Quota di parteci-pazione per le due sezioni euro 25,00 per la poesia, euro 20,00 per la sezione narrativa, da inviare in banconote, assegno circolare o vaglia postale intestati a: Francesco Di Rocco, Via Fiume Verde, 24 – 65128 Pescara. Tel 085-4311900, cui vanno inviati gli elaborati e si possono chiedere informazioni e il bando completo. Premio Puglia Viva Scadenza: 30 giugno. La rivista “ Il richiamo” indice la 23ª edizione del Premio aperto agli scrittori in lingua italiana. Il concorso, dotato di ricchi premi, è articolato nelle sezioni: a) Poesia inedita su aspet-ti di Puglia; b) poesia inedita a tema libero; c) aneddotica: brevi episodi e fatti di vita. d) handicap e società: brani in versi o in pro-sa; e) poesia dialettale. Richiesta bando, con affrancatura per rispo-sta a: Giovanni Jorio, via Maria De Prospero, 105 – 71100 Foggia. Concorso internazionale A.L.I.A.S. Scadenza: 30 giugno. Previste quattro sezioni in lingua italiana: 1) Poesia, 2) Narrativa, 3) Primi passi: bambini e ragazzi fino a 16 an-ni, 4) Pittura (inviare foto dell’opera). Gli scritti (che saranno inseriti in antologia) devono essere inviati in 6 copie, di cui una firmata, a: Acc. Giovanna Li Volti Guzzardi – 29 Ridley Avenue – Avondale Heights VIC 3034 – Australia. Per maggiori informa-zioni e bando completo: sito internet: http://go.to/alias e indirizzo e-mail: [email protected] Premi speciali del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e di sua Santità Papa Giovanni

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Paolo II. È richiesta una quota di partecipazione di $ 20,00 australiani o corrispondente in valuta estera. Associazione culturale “Il paese che non c’è” Scadenza 30 giugno. Tredicesima edizione del premio. Cinque sezioni: 1) poesia singola (fino a 3 poesie); 2) silloge di poesie (da 30 a 50); 3) racconto singolo (da 1 a 3); 4) riservata agli studenti; 5) opera edita (poesia o prosa). Inviare in 5 copie a Casella postale 23 – 20025 Legnano. Per informazioni tel. 0331-549218. Premio Agorà per il latino. Il centro studi Agorà indice un certamen di poesia in latino. Si può partecipare con un massimo di tre poesie di max 30 versi per ogni componimento, con traduzione in italiano. Occorre inviare di ogni poesia un originale firmato e con i vari dati anagrafici di residenza, anche e-mail, più quattro copie non firmate. Il concorso è così articolato: a) premio Virgilio per i minori di 18 anni, b) Premio Ovidio dai 18 ai 25 anni, c) Premio Catullo dai 25 anni in poi. Si richiedono Euro 5 per la sez. a) e b). Euro 10 per la sezione c). Saranno premiati i primi tre per ogni sezione. Opere e quote vanno inviate a P iero Borgo, Via Zara 45 – 80011 Acerra (NA), telefax 081-8850793. E-mail: [email protected] Concorso Cinque terre e Val di Magra Entrambi i concorsi sono divisi in cinque sezioni: Silloge inedita, Volume edito di poesia, Poesia singola, Narrativa e saggistica, Poesia religiosa. Per maggiori informazioni: Premio Cinque terre – Ettore Cozzanti, Virginia Sommovigo Conturla – Via Chiodo, 137 – 19121 La Spezia, tel. 0187-736696; 0187-733536. Premio Val di Magra, c.p. 63 – 54011 Aulla (MS).

Lettres et arts septimaniens Associazione e bollettino letterario che bandisce dei Concorsi in lingua francese: “Los Trobadors”. Per maggiori informazioni scrivere a: Bibliothèque Municipale, 31, rue Jean Jaurès – 11100 Narbonne (Francia).

Risultati concorsi Premio Voci e silenzi La giuria del Premio Internazionale “ Voci e Silenzi –Nicola Ram-pin”, formata da Nicola Rampin, Fulvio Castellani, Giusy La Ter-ra, E. Marco Cipollini, Lucia Tumino, hanno conferito il Premio alle seguenti sezioni: sezione racconto inedito “Generazione Eras-mus” di Moroni Lorenzo di Milano; sezione libro edito di narrativa “ Storia di un aspirante pittore” di Giorgio Torelli di Milano (edizioni Samsara); sezione libro edito di poesia “Quel poco che ancora avanza” di Giovanni Tavcar di Trieste (Book editore); poesia inedita, silloge di poesia inedita, poesia a tema e fotografia: premio non assegnato. Premio Europetica 2002 Vincitori ex aequo: Anna Barone, Maria Antonietta Borgatelli, Anna Buono, Anna Maria Cannas, Domenico Cappelli, Pino Ciampi, Paolo Donzelli, Giuseppe Gagliardini, Vania Galassi, Lucia Lo Giudice, Pietro Nigro, Alfonso Tagliamonte. Premio di poesia e giornalismo “La fonte” Nella maestosa cornice del Real Sito Belvedere di S. Leucio di Caserta, sabato 26 ottobre 2002, nella sala delle conferenze, si è svolta la cerimonia di premiazione della decima edizione del Con-corso Nazionale di Poesia e Giornalismo “La fonte – città di Caser-ta”. Sono stati premiati: Poesia edita: 1° Maria Teresa Savino di S. Severo; 2° Ines Betta Montanelli di Prati di Vezzano e Alberto Gatti da Cossato; 3° Alessandra P ittini Monacelli di Monza. Poesia edita: 1° Loriana Capecchi di Quarta; 2° Elena Bonelli di S. Bene-

detto di Caserta; 3° Salvatore Masullo di Caserta. Narrativa: 1° Adriana Assini di Roma; 2° Aldo Giordanino di Asti e Anna Herk-mans di Roma; 3° Michele Vinciguerra di Portico. Poesia in verna-colo: 1° Tania Fonte di Palermo; 2° Luisa Scala di Napoli; 3° Sal-vatore Masullo di Caserta. Saggista e teatro: 1° Emilia Mallardo di Napoli; 2° Gennaro De Stefano di Afragola e Lello Masucci di Napoli; 3° Isaia Fuschetti di Marcianise. Sez. giovani: 1° Elisa Zagaria di Andria; 2° Matteo Pasquini di Coriano; 3° Marina Mastrangelo di Villa S. Vincenzo e Guardiagrele (CH). Il premio giornalistico è stato assegnato alla nota giornalista Lucia Annun-ziata. Sono stati inoltre premiati il giornalista Giuseppe Blasi e l’ex provveditore agli studi di Caserta dott. Francesco Iesu, al quale è andato il premio alla carriera “Città di Caserta” per le scienze umanistiche. Durante la cerimonia è stata ricordata Maria Teresa Bovenzi, direttrice responsabile della rivista del movimento “La Fonte” e recentemente scomparsa lasciando un gran vuoto nel Mo-vimento “ F. Nuvolone”. Premio Europeo Tindari. Si è svolto domenica 29 settembre 2002 a Messina la cerimonia di premiazione del premio Tindari, presieduto da Pietro Fratantaro. Per la sezione fotografia sono stati premiati ex aequo: Mauro Peluso e Sebastiano Zumbo. Premio speciale a Paolo Pergolizzi. Per la sezione pittura primi classificati ex aequo: Caterina Berinato, Mamy Costa, Corrado Guerrieri, P iera Ierna, Maria Pane, Dario P isconti, Concettina Saraceno, Grazia M.P. Scarantino. Per la sezione poesia primi classificati ex aequo: Ignazio Cascino, Paola Cozzubbo, Orazio Antonio Giannico, Maria Grazia Murdaca, Licia Pane, Antonella Puzzangara.

Premio Contea di Modica Si è svolto a Modica la premiazione della 19ma edizione del pre-mio Contea di Modica, presieduto da Lucia Tumino Cannata. Poe-sia singola, classifica per ordine di merito: 1) Maria Grazia Raciti (Palermo), 2) Mario Attard (Malta), 3) Isabella Iuculano (Ragusa), 4) Mariangela Sauto (Caltanissetta), 5) Carlo Nanì (Modica), 6) Lidia Melisurgo (Potenza), 7) Rita Cassarà (Palermo). Poesia in dialetto: 1) non assegnato, 2) Antonino Messina (Modica), 3) Grazia Borrometi (Comiso-RG). Sezione pittura: 1) Maria P ina Scarantino (Caltanissetta), 2) Isabel Wiesner (Mesoraca-CZ), 3) Eleonora Russo (Acireale), 4) Antonio Trogu (Carbonia-CA).

Trofeo Casa Cannata. Si è svolto a Modica il primo Premio “Gaspare Cannata”, Trofeo Casa Cannata, presieduto da Lucia Tumino Cannata. Per la poesia sono risultati vincitori: 1) Giuseppe Isgrò, 2) Isabella Iuculano, 3) Carlo Nanì, 4) Irene Artale, 5) Paola Cozzubbo, 6) Antonino Messina, 7) Antonio Trogu. Per il libro di poesia vincitori: 1) Mariangela Sauto, 2) Rosalia Megna, 3) Lidia Melisurgo, 4) Anna Lucia di Nauta. Per il libro edito in dialetto: P ietro Fiorito. Per la prosa: 1) P iera Zangara, 2) Pasquale Vinciguerra. Sezione stranieri: 1) non assegnato, 2) Concetta Colombo, 3) Mario Attard (Malta).

Premio L’Attualità Il 23-10-2002 si è svolta, nella sala ouverture di via Tripoli a Roma, la premiazione del quarto concorso “L’attualità-Bartalucci”. Premiati narrativa edita: 1) Aldo Giordani con “ Voglia di un Dio Nero”, 2) ex aequo: Adalgisa Biondi e Maria De Masi, 3) Eraldo Vergnani. Narrativa inedita: 1) Lia Sfilio Borina con “Due storie, un’estate”, 2) Angelo Grasso, 3) Fiorella Franchini. Poesia edita: 1) Alessandra Pittini con “L’umidità dell’ombra”, 2) Nina Menegazzi Barcati, 3) Gabriella Gisotti P irrone. Poesia inedita: 1) Orazio Antonio Giannico con “Spazio infinito”, 2) Maria Rizzi, 3) ex aequo: Fedele Boffoli e Fausta Genziana. Targhe speciali a: Giu-seppe Risica per la narrativa, Francesco Alberto Giunta per la narrativa, Flora Battirolo per la poesia. Giuria: Presidente Antonietta Mancuso, Segretaria: Elena Andreoli, membri: Teresa Periotto, Gian Federico Brocco, Flora Longhi.

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Premio Salvatore Zuppardo Il premio Salvatore Zuppardo nasce dall’esigenza di ricordare l’atteggiamento di un poeta ancora giovane, salito nella casa del Padre all’età di 24 anni (la stessa età di Teresina di Lisieux del quale era innamorato), che per pudicizia nascondeva le sue poesie religiose. Poesie che dopo la scomparsa sono state trovate, svelandoci un poeta nascosto, un poeta ricco di bellezza e qualità, doti irrorate dal suo amore per Dio e dalla sua dedizione totale per Cristo e Maria. Salvatore, tra i suoi appunti, ha lasciato scritto: « Mi voglio dedicare a far sempre, col più grande abbandono, la volontà del Signore» . Salvatore è stato amato dal Signore, e in ogni suo attimo esprimeva la gioia di amare e fare del bene; e ringraziava e lodava il Signore per il suo immenso amore e la sua infinita misericordia. « Che cos’è - ha scritto – una piccola sofferenza sopportata con gioia, quando penso che per tutta l’eternità si potrà amare più perfettamente il buon Dio?» . Con questo spirito la giuria del premio, composta da Enzo Salsetta (presidente), Ugo Entità, Antonella La Monica, Emma Corvo, Aldo Scibona ed Emanuele Zuppardo, dopo ripetute disamine degli elaborati, ha deciso di assegnare i premi nel modo seguente: Sezione A, Poesia religiosa: 1) Massimo Cassarà di Gela-CL, 2) Suor Barbara Ferrari di Carbonia-CA, 3) ex aequo: Salvatore Cangiani di Sorrento-NA, Maria Lucia Librizzi di Caltanissetta. Per la sezione B, Poesia a tema libero: 1) Loriana Capecchi di Quarrata-PT, 2) Alfia Abbadessa di P iano Tavola-CT, 3) ex aequo: Gilberto Antonioli di Verona, Patrizia Defranceschi di Corsico-MI. Tra gli amici del Convivio si sono segnalati: Filippo Cascino, Maria Stella Brancatisano, Margherita Neri, Mina Antonelli, Gianni Rescigno.

La cerimonia di premiazione avrà luogo sabato 15 marzo 2003 nei Granai di Palazzo ducale a Gela. Nell’occasione sarà presentata al pubblico l’Antologia poetica che conterrà tutte le poesie premiate e segnalate dalla giuria. « Vi è una poesia del luogo - ha scritto Enzo Salsetta nella prefazione all’antologia dell’anno scorso, – ma vi è anche un luogo della poesia. Il luogo della poesia è il luogo della solitudine ma nessuno è mai solo nella sua solitudine» . La tentazione di ridurre la poesia religiosa a preghiera è facile e molti lavori pervenuti presentano questo limite. La preghiera, quella scritta dall’uomo, è una sorta di rifugio per sfuggire al nichilismo imperante, al caos e al demoniaco. Ciò perché il nascondimento del sacro ha lasciato l’umanità priva di senso. Ma come può il cuore dell’uomo trovare senso se è colmo di vane fantasie, oziose immagini ed egoistici desideri? Compito del poeta è liberare il suo cuore da tutte le cose che impediscono l’Unità di Dio, onde poter consentire l’attuarsi di una vita vissuta in un tempo generatore di senso.

I successi degli Amici del Convivio Silvano Messina, amico del Convivio, ha di recente ottenuto prestigiosi successi, tra cui il sesto premio ex aequo “Giovanni Gronchi” per la sezione poesia edita: concorso letterario internazionale svoltosi a Pontedera (PI) il 17 novembre 2002. Lia Sfilio Borina. La redazione del Convivio si complimenta con la scrittrice Lia Sfilio Borina per i numerosi successi ottenuti nel 2002, soprattutto nel campo della narrativa. Infatti le sono stati assegnati numerosi premi per racconti inediti, alcuni dei quali organizzati dall’Associazione culturale “Amici dell’Umbria”. Si segnalano in particolare: Augusta Perusia (Perugia), Antonelli Castilenti (Castilenti-TE), L’Attualità Bartalacci (Roma), Salvatore Quasimodo (Caltanissetta), D’Annunzio Michetti (Pescara), Mas-simo D’Azeglio (Barletta), Donne di Monferrato (Casale Monfer-rato), Monferrato ti racconto (Altavilla M.), Premio Duomo (Orvieto), Premio Jacopone (Todi), Premio Sesto Properzio (Spello), Premio Clitunno (Spoleto).

Pietro Fratantaro Il barone P ietro III° Fratantaro, cavaliere dell’unione Caval-leria Cristiana Inter-nazionale, presidente della Febac (Federa-zione Europea Beni Artistici Culturali), presidente del Premio Tindari, è stato eletto Deputato al Parla-mento Mondiale fra gli Stati per la Sicurezza e la Pace, il cui Lord Presidente

Mons. Sen. Viktor Busà, lo ha nominato Consigliere diplomatico per le Attività Sociali. Meritato riconoscimento al nostro caro amico, che è anche corrispondente per la Sicilia del Mensile “L’Attualità” di Roma. Questa nomina a coronamento del suo qualificato impegno costante nel campo dell’Arte e della Cultura, per l’organizzazione di mostre e iniziative culturali. All’on. Fratantaro vanno i nostri complimenti e gli auguri per la sua capacità di operatore culturale. Hélio José Destro. Riceviamo dal nostro amico e corrispondente del Brasile, Hélio José Destro, un interessante “Album de vida”, che racconta a tratti attraverso documenti come la famiglia Destro si sia consolidata e abbia fatto fortuna in Brasile. La concessione di partenza dall’ Italia, e particolarmente da Ceregnano in provincia di Rovigo, viene fatta all’avo di Hélio José, Giovanni Destro, il quale si imbarca a Genova per San Paolo del Brasile nel 1895 insieme alla moglie Adele di 44 anni, e ai figli Assunta di 14 anni, Eugenia di 8, Virginia di 4, e Angela di 1, oltre che alla madre Luigia di 69 anni. Successivamente alla partenza nasce un altro figlio Angelo. La famiglia Destro a San Paolo si è consolidata, ottenendo successi tanto che ad Angelo Destro viene persino dedicata una via. L’al-bum racconta fino ai giorni di oggi, con il piacere della riscoperta, una storia simile a quella di tanti italiani emigrati in terra lontana.

Centro culturale Marco Tanzi Si comunicano i risultati del premio di Poesia e narrativa, che si è svolto il 6 ottobre alle ore 10,30 nel teatro “Lux” di San Mauro a Signa. Poesia inedita: 1) Giancarlo Intrerlandi (Acitrezza-CT), 2) Giuseppe Vetromile (Madonna dell’Arco-NA), 3) Luana Innocenti Lami (Pontedera-PI). Segnalati Pasquale Balestrieri, Alda Magnani, P ina Meloni, Rosetta Mor, Irene Mori, Beniamino Schito. Poesia edita: 1) Franco Tralli (Bologna) con il libro “ Il tempo e la sabbia”, 2) Brunella Bruschi con “Drama”, 3) Benito Sablone con “L’angelo di Redon”. Segnalati: Andraous Vincenzo, Curto Francesco, Renato Greco, Antonio Peloso, Selin Tietto. Premio narrativa: 1) Siglinda Gentile Lopes (Arco Felice-NA) con il libro “Pietre al sole”. 2) Marianna Bucchich (Roma) con “Casa in transito”, 3) Laura Malinverni (Novara) con “Una storia del 400”. Segnalati: Anna Aita, Angelo Ambrosino, Emanuele Lo

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Annalisa Grazia Guerrera, poetessa catanese che ha ottenuto il premio speciale per la silloge di poesie al Con-corso “ Il Convivio 2002”, si è distinta nel corso dell’anno in diversi premi, ottenendo prestigiosi riconoscimenti. Si segnalano tra gli altri: Premio Vito Marino per la poesia siciliana con la lirica “ Tramuntu tristi”, Premio narrativa e poesia, concorso Mia Martini, Premio speciale Gravina di Catania, Penna d’Argento a Tremestieri di Catania, Primo premio per la poesia italiana promulgato da “ La crisalide”, Secondo premio per la poesia dialettal e siciliana con la lirica “ L’ultimu preju di li rosi”. Complimenti da parte della Redazione del Convivio alla poetessa. Antonio Portaro. La giuria del premio letterario internazional e Omaggio a Goldoni ha conferito il super-premio “ mondo culturale” con grande medaglione dorato e artistico diploma ad Antonio Portaro, socio del Convivio. La premiazione si è svolta il 20 ottobre a Roma. La Redazione del Convivio, formula i più sentiti complimenti allo scrittore, poeta e saggista.

Antonio Portaro riceve il premio “Omaggio a Goldoni” Adriana Assini, vincitrice del premio “ Il Convivio 2002” per la sezione pittura, ha coronato la sua carriera con altri prestigiosi successi ottenuti quest’anno. Le è stato assegnato infatti il primo premio per l a narrativa da “ La Fonte – città di Casert a 2002”, con il libro edito da Tabula Fati “ Gilles, che amava Jeanne” e il primo premio “Città di Leonforte 2002” con “ Lo scettro di seta”, romanzo edito pur esso da Tabula Fati. I complimenti della Redazione all’amica stimata del Convivio. Bruna Boschin. Nel dicembre del 2002 è stato premiato dal prestigioso “ Premio dialogo fra le religioni”, bandito da S. Vidal-Venezia, il romanzo “ Anima di Seta” dell’Amica del Convivio Bruna Boschin, romanzo edito da Campanotto con la seguente motivazione: «Per l’efficaci a del congegno narrativo che coinvolge il lettore e lo prende alla gola; per la qualità della scrittura, schietta e non ricercata, e così capace di esprimere i conflitti che lacerano e oppongono i vari piani della realtà e dell’esistenza umana; infine, per la delicatezza con la quale la Boschin tratta questioni etiche spinose e controverse, conducendole fino all’epilogo, senza infingimenti né dottrinarismi troppo astratti» . «“ Anime di

seta” è un’atroce e tenera storia che graffia profondamente l’anima, che si proietta, senza usare mezzi termini, con una scrittura cruda e sincera, dentro una realtà fatta di ostacoli morali e materiali, all’interno della quale danzano, in un eterno balletto conflittuale, l’essere e il volere, l’esteriorità e l’interiorità» (Andrea Trimarchi). Bruna Boschin, nata a Salzano nel 1929, ha frequentato la facoltà di lingue e letterature straniere a Ca’ Foscari ed ha insegnato per quarant’anni alle scuole elementari. Ha pubblicato due volumi di poesie: “ Canto d’amore” e “ Niente di nuovo” ed ha tenuto tre personali d’arte grafi ca in provincia di Venezia. Ha scritto pure favole per bambini.

Rappresentanti delegati Sedi “Pioniere” del Convivio

Italia: Acerra (NA): Piero Borgo, Via Zara 45. Aci Bonaccorsi (CT): Leone Salvo, via Stadio, 20; Aci S. Filippo (CT): Pulvirenti Filippo, Via Nizzeti, 155/Z. Acireale (CT): Pinella Musmeci, Via Wagner 30. Agrigento: Beniamino Biondi, Via Alessio Di Giovanni, 22. Assergi (AQ): Franco Dino Lalli, Via Portella, 23. Bellante (TE): Giovanni Di Girolamo, Via Collerenti 42. Belluno: Puglisi Ferruccio, Piazza San Lucano 46. Bitonto (BA): Barone Rosaria, Via U. La malfa 8. Catanzaro: Mario Loprete, Via La Spezia 2. Catania: Grazia Butano, via Castagnola, 7/p – 95121. Formia (LT): Alfredo Mariniello, Via S. Janni P .co “ I Gabbiani”. Giarre(CT): Filippo Nasello, Corso Lombardia 1. L’Aquila: Mario Cavallo, via Castello 2/8. Marigliano(NA): Vincenzo Cerasuolo, Corso Umberto I, 259. Montegiorgio (AP): Tamburrini Bruna, via Angelelli 11. Quinto di Treviso: Rina Dal Zilio, via Marconi, 3. Paternò (CT): Angela Aragona, via Pordenone, 48; e Giacomo Paternò, via Costanzo, 43. Pescara: Francesco Di Rocco, Via fiume Verde, 24. Reggio Calabria: Fiorente Franco, Via Trapezi 19. Roma: Amalia Maria Amendola, via Federico Nansen, 104 B/2. Rutigliano (BA): Albanese Michele, Via Due pozzi 17. Sant’Antonio di Gallura(SS): Serena Careddu, via Giotto, 6. S. Domenica Vittoria(ME), Nino Mantineo, Piazza Germanà, 8; Trappeto: Gaetano Perlongo, via Vittorio Emanuele, 47. Treviso: Ferruccio Gemmellaro, via S. Filippo 54, Meolo (VE).

Estero: Argentina: Buenos Aires: Clara Lourdes Bango, Rue Rio de Janeiro 622 P.B. C – 1405 Buenos Aires. Australia: Melbourne: Giovanna Li Volti Guzzardi, 29, Ridley Ave Avondale Heights 3034 – Victoria. Brasile: Barbacena: Andityas Soares de Moura, Rua Theobaldo Tollendal, 144 – Centro – Barbacena-MG, Cep 36200-010; Brasilia: Nilto Fernando Maciel, Caixa Postal n. 02205, DF-CEP 70.349-970. São Paulo: Arlindo Nóbrega, Rua Rego Barros, 316 - São Paulo - CEP 03460-000. Francia: Lagny sur Marne (77400): Frédéric Tessier, - 62, allée Louis Braille; Flize (08160): Jean-Claude Leroy, 1, rue de l’ Isère; St. Raphael: Jean Sarraméa, 1565 A. Valescure, Bt Al Les Hts de Valescure. Spagna: Gijón (Asturias): Francisco Álvarez Velasco, Avda de Portugal, 35, 1°, A – 33207. Segovia: Juan Montero Lobo, Camino de la Presa 7-3°-D. Madrid: Mélanie Lafonteyn, C/o école maternelle, Plaza de Platón, 1 – 28027 Madrid. Uruguay: Montevideo: Norma Suiffet, casilla 5088 – succ.1.

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Cinzia Civardi Foschia, Ragazza, olio su tela cm 50x60

Montevago, Fiori, tecnica mista su carta, cm 50x70

Milvia Lauro, Venere dei pennelli, olio su tela, cm 50x70

Guido Laperuta, Solitudine, olio su tela, cm50x80