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Quaderni di Servizio Sociale Il colloquio nella prassi del Servizio Sociale di Antonio Antonuccio

Il colloquio nella prassi del Servizio Sociale · Il compito principale di un uomo è dare origine a se stesso, trasformandosi in tutto ciò che è in grado di essere. Il risultato

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Quaderni di Servizio Sociale

Il colloquio nellaprassi del

Servizio Sociale

di

Antonio Antonuccio

Per tutto ciò che hai donato eper quanto continui a daresenza mai chiedere nulla.

A papà hai donato la tua bellezza, offerto la tua fedeltà,

regalato il tuo amore,assicurato la tua dedizione.

Ai miei fratelli, ed a me,all’amore ed alla dedizione

hai aggiunto tutto il resto.Grazie cara mamma.

Il compito principale di un uomoè dare origine a se stesso,

trasformandosi in tutto ciòche è in grado di essere.Il risultato di tali sforzisarà la sua personalità.

Erich Fromm

PREMESSA

Il servizio sociale è una scienza relativamente giovane; in

generale, nel contesto europeo, come attività, trova la sua genesi

sul finire del 1880, quando a Londra, per opera di Ottavia Hill,

vengono fondate, come evoluzione del volontariato di tipo

religioso, delle società di evidente connotazione caritatevole

(C.O.S. – Londra 1869). E’ proprio grazie a queste società che

sono state poste le basi dei fondamenti concettuali ed etici del

servizio sociale.

Il social work, come da terminologia, ovviamente, anglo-

sassone, negli anni che seguirono, nel nord dell’Europa e negli

U. S. A., ebbe modo di svilupparsi e sedimentarsi grazie alla

creazione delle prime scuole di formazione per iniziativa di

Mary Richmond. Le pubblicazioni della Richmond, negli anni

che vanno dal 1917 (Social diagnosis) al 1922 (What is social

workers?), saranno le basi fondamentali per la costruzione della

metodologia (case-work) e la deontologia del servizio sociale.

In Italia, il servizio sociale muove le sue mosse nei primi

degli anni ’20, quando si fonda a Milano l’ I. I. A. S. (Istituto

Italiano di Assistenza Sociale), nato per agevolare ai lavoratori

l’accesso alle opere sociali. La prima scuola di servizio sociale è

avviata a Roma (1928) per opera di Paolina Tarugi, ricordata

successivamente come la pioniera per l’Italia. Per quanto attiene

la nascita del servizio sociale come professione lo spartiacque

viene considerato l’ormai storico Convegno di Studi di

Tremezzo (CO) che si è tenuto a settembre/ottobre del 1946.

Da allora fino al 2000, tra battute d’arresto e accelerazioni,

grazie alle organizzazioni nate con il chiaro intento della tutela

della professione (Ass. N. A. S. –S. U. N. A. S.), passando per la

nascita dell’Ordine Nazionale della professione (1993),

riconoscimento giuridico del titolo di assistente sociale e

abilitazione all’esercizio della professione (1987), emanazione

del Codice Deontologico (1998), laurea sperimentale e

successiva laurea specialistica presso l’Università di Trieste

(1998/2000) si è arrivati alla conquista di quell’agognata dignità

che, fino ad allora, aveva visto la professione sempre in

posizione di sudditanza rispetto ad altre da tempo consolidate.

Fatto tale escursus storico, possiamo, adesso, affermare che

la professione dell’assistente sociale ha agito con il chiaro

intento di porre costantemente al centro del suo intervento la

vita della persona con tutte le sue dinamiche di relazione.

La persona, pertanto, sia essa da sola, in gruppo o, ancora,

nella comunità, quando si trova in una situazione di disagio,

problematicità e devianza è l’oggetto di interesse ed intervento

del servizio sociale.

L’assistente sociale è il professionista che, appunto,

occupandosi della persona/utente, instaura un rapporto

professionale per il “processo d’aiuto”, sostenendola

nell’affrontare situazioni problematiche di diversa natura.

Nell’ambito del proprio lavoro, l’assistente sociale, così

come altri professionisti, utilizza degli strumenti di lavoro che

gli consentono di perseguire il raggiungimento degli obbiettivi,

nello specifico di aiuto e cambiamento.

Sono strumenti afferenti alla sfera della comunicazione

umana, come colloqui, riunioni, documentazioni, adoperati

dall’assistente sociale per concretizzare il proprio intervento;

essi permettono di avviare il contatto con le persone, primo step

per il processo di risoluzione del problema. Saranno adoperati

con modalità, o meglio, con metodiche differenti, a seconda

dell’interlocutore e degli obbiettivi, che si pongono davanti nel

contesto di cornice nel quale vengono inseriti.

In questo panorama professionale, lo strumento del

colloquio è, probabilmente, quello elettivo perché di contatto

diretto con la persona. Esso rappresenta una forma di

comunicazione (particolarmente strutturata) che si fonda sul

precipuo impegno di comprensione dell’assistente sociale nei

confronti dell’interlocutore. Il primo ha l’obiettivo di conoscere

determinati aspetti o problemi della vita di chi parla e di stabilire

una relazione interpersonale significativa che faciliti la

comprensione e la fiducia; il secondo si propone e/o accetta di

sperimentare una relazione in cui poter avviare una riflessione

su di sé. Così come in un film-documentario sulle svariate

dinamiche delle relazioni umane, tutti quelli coinvolti nel set del

colloquio reciteranno il proprio ruolo, pertanto, secondo un

canovaccio, avremo da una parte l’assistente sociale che, come

un regista, conduce il colloquio facendo domande, abilmente

mirate ad approfondire determinate tematiche considerate utili al

processo, aiuta la persona in stato di bisogno ad esprimere il

problema ed i sentimenti che lo accompagnano e ascolta in

maniera partecipativa ed empatica; di fronte, nell’altra nell’altra

angolazione del set, avremo l’utente che ha il ruolo dell’attore

principale, ovvero di colui che cerca aiuto, per cui rappresenta il

problema ma anche le sue aspettative rispetto al servizio, la sua

percezione dell’operatore al quale richiede ascolto e

comprensione. Nel colloquio del servizio sociale, pertanto,

devono potersi cogliere tutti quegli aspetti, spesso intangibili,

quali solitudine, sofferenza e, in generale, disagio insiti e non

sempre evidenti nelle persone in cerca di assistenza.

Nella metodica di utilizzo, di tale strumento di lavoro non

esiste una tipologia unica, così come l’assistente sociale non è il

solo professionista che se ne avvale. Ogni singolo colloquio di

una serie di colloqui è parte di un processo, di una successione

di steps che, nel tempo, realizzano gli obiettivi del rapporto fra il

servizio e il cliente. Ogni colloquio, però, come singola unità

della serie, già costituisce in sé un processo con un inizio, una

parte centrale e una fine. Il processo del colloquio è il

movimento dinamico, coscientemente messo in atto che,

attraverso fasi successive, realizza gli scopi del colloquio stesso.

Nel colloquio, per fattispecie di servizio sociale, l’assistente

sociale, quindi, si adopera per cogliere i bisogni, definire gli

obbiettivi di cambiamento e sviluppare le varie fasi del processo

di aiuto.

Con l’ausilio di tale strumento, l’operatore del sociale

avvia/promuove con l’utente una dinamica relazionale ovvero,

un processo di scambio e di interazione con il chiaro intento di

agevolare conoscenze adeguate relative a situazioni, disagi e

problemi per i quali è necessario assumere responsabilità e

prendere decisioni.

La monografia presentata, pertanto, ha nel suo intento quello

di proporre, per quanto possibile, una analisi peculiare del come

il colloquio è impiegato con la persona che si rivolge al servizio

sociale (avendo cura di considerare, con riguardo, casi

particolari come l’utente detenuto, il disabile mentale e

l’extracomunitario), dove esso, appunto, configura il più

efficace mezzo per entrare in contatto con l’utenza, in modo da

instaurare un rapporto che abbia, come fine ultimo, il benessere

dell’uomo e della società.

IL COLLOQUIO:STRUMENTO DI LAVORO

DELLE PROFESSIONI

PRIMO CAPITOLO

IL COLLOQUIO PROFESSIONALE

Un colloquio, perché si concretizzi, presuppone che alla

base abbia una forma di comunicazione. In seno alla comunità

degli esperti dei processi comunicativi, tutti convengono che per

avere un atto di comunicazione sono essenziali una serie di

fattori:

un’ emittente, cioè chi avvia la comunicazione

emettendo il messaggio;

un codice, cioè un sistema di riferimento (per lo più

consolidato), comune tra le parti, in base al quale il messaggio

viene prodotto;

un messaggio, cioè l’informazione prodotta e trasmessa

con l’utilizzo delle regole del codice;

un contesto, in cui il messaggio si trova inserito e ne fa

riferimento;

un ricevente (o destinatario), a cui il messaggio è

indirizzato e che lo decodifica.Per la realizzazione di un’efficace forma di comunicazione concorrono anche un insieme di capacità degli attori in gioco

SECONDO CAPITOLO

IL COLLOQUIO: ASPETTI ETICI, LEGALI ED EMOTIVI

Una professione, nel tempo, ovvero da quando nasce e poi si

consolida nella prassi, si caratterizza per la rappresentazione di

comuni denominatori; senza alcun dubbio, conditio sine qua non

per i professionisti che intendono appartenere all’ordine e,

quindi, per coloro i quali intendono esercitare la professione è

condividere e accettare l’esistenza, nei contenuti della stessa, di

regole e principi etici (norme deontologiche) che la

contraddistinguono, assunti in cui credere, portare adeguato

rispetto e conformarsi.

SECONDA SEZIONE

IL COLLOQUIO:STRUMENTO DI LAVORO

DEL SERVIZIO SOCIALE

PRIMO CAPITOLO

L’ASCOLTO NELLA PRASSI DELL’ASSISTENTE SOCIALE

L’accezione di colloquio è di origine latina “colloqui”

composto da “cum” e “loqui” che letteralmente si traduce in “

parlare con ”. Ciò comporta parlare con altri che parlano; se

altri parlano, quindi bisogna ascoltare. Se, però, chi parla espone

un problema ad un altro a cui viene richiesto aiuto per la

risoluzione di un problema (relazione professionale di tipo

asimmetrico), allora l’ascolto assume una valenza più che

particolare, che va oltre il riguardo reciproco, il rispetto

dell’altro che parla, della comune conversazione; in tal senso, si

connota un saper ascoltare che, ricorrendo all’entropatìa

(Einfuhlung), cioè il saper penetrare (quel livello partecipato

della relazione), mette nelle condizioni di appropriarsi della

concezione di malessere e benessere propria dell’altra persona.

SECONDO CAPITOLO

IL COLLOQUIO NELLA PRASSI DEL SERVIZIO SOCIALE

Il colloquio di tale prassi, come già diversamente espresso, è

una forma di comunicazione di chiara connotazione

asimmetrica; esso è condotto dall’assistente sociale con il palese

intento (condiviso tra le parti) di raggiungere uno scopo o una

molteplicità di scopi (il benessere, la fruibilità dei beni); è

utilizzato, altresì, al fine di instaurare, con la persona/utente, una

relazione che faciliti la comprensione reciproca dello status quo,

permettendo di intravedere altre dinamiche possibili (virtuose),

motivando gli attori ad impegnarsi nella realizzazione dei

compiti connessi con le soluzioni prospettate (il cambiamento).

TERZO CAPITOLO

IL COLLOQUIO DI SERVIZIO SOCIALE, LA SUA PREPARAZIONE

ED IL SUO PERCORSO

Il colloquio di servizio sociale è uno strumento di lavoro

non occasionale che, con degli obiettivi, avviene all’interno di

un contesto relazionale; è condotto dall’assistente sociale il

quale ha previsto una preparazione e uno svolgimento che ne

definiscono la struttura formale.

La preparazione del colloquio

Per questo momento della pratica della professione,

l’assistente sociale si mette sempre in discussione con tutta la

sua esperienza, poiché da esso può dipendere l’andamento del

colloquio stesso e l’intero processo d’aiuto; la preparazione va,

pertanto curata con particolare attenzione.

QUARTO CAPITOLO

STRATEGIE E TECNICHE PER LA CONDUZIONE DEL COLLOQUIO

Il colloquio, come anticipato nella premessa e,

successivamente, descritto e riproposto nei capitoli, come

strumento della prassi del servizio sociale, è probabilmente,

quello elettivo, perché di contatto diretto con la persona. Esso, si

diceva, rappresenta una particolare forma di comunicazione ben

strutturata che permette all’assistente sociale di avviarsi verso la

comprensione dell’interlocutore. Nel rapporto duale, permette,

all’assistente sociale di conoscere determinati aspetti o problemi

della vita di chi parla e di stabilire una relazione interpersonale

significativa che faciliti la fiducia; all’utente di proporsi e/o

accettare di sperimentare una relazione in cui poter avviare una

riflessione su di sé.

QUINTO CAPITOLO

IL PRIMO COLLOQUIO

Tutti concordano quanto sia importante per l’assistente

sociale il primo colloquio; con l’avvio di tale intervento, egli

poggerà le fondamenta per l’edificazione del processo d’aiuto.

Come già anticipato nei capitoli trattati, è uno strumento

che va programmato con la giusta cura in tutti i suoi particolari;

con esso il professionista, grazie ad un’adeguata osservazione e

l’uso delle tecniche descritte nel capitolo precedente, avrà la

possibilità di:

cogliere le motivazioni che hanno indotto la

persona/utente a rivolgersi al servizio per chiedere aiuto;

chiarire gli scopi (la reale volontà al cambiamento)

dell’utente e il ruolo dell’assistente sociale e del servizio;

creare quella condizione di fiducia per avviare il

processo d’aiuto, eliminando i timori dell’utente.

SESTO CAPITOLO

IL SILENZIO NEL COLLOQUIO

L’uomo, nella formulazione del suo immaginario, ha

sedimentato l’idea che nell’ambito delle relazioni sociali di tutti

i giorni, il silenzio sia fonte di imbarazzo e diffidenza. In tal

ultimo senso, si è portati ad avere diffidenza della persona che,

in relazione con altri, resta in silenzio, a tal punto da considerala

infida poiché non disponibile ad aprirsi agli interlocutori con

l’atto della conversazione; la persona, a volte, pertanto, si sente

obbligata a parlare anche quando non ha particolari argomenti

da trattare.

SETTIMO CAPITOLO

IL COLLOQUIO RISPETTO AL PROCESSO DI AIUTO

Il colloquio di servizio sociale, oltre che nei suoi aspetti

teorici di natura generale, cioè nella sua strutturazione, nelle sue

varie fasi di svolgimento, nell’utilizzo delle varie tecniche per la

sua conduzione, ecc. … , può essere esaminato anche rispetto

all’utilizzo che il professionista del servizio sociale applica nelle

varie fasi che si susseguono nel processo di aiuto, che

contribuiranno in parte a definire gli obiettivi.

OTTAVO CAPITOLO

PRENDERE APPUNTI DURANTE IL COLLOQUIO

L’atto di prendere appunti durante lo svolgimento di un

colloquio tra un assistente sociale ed un utente rappresenta

un’azione operativa che si presta a più considerazioni, non

sempre connotabili in maniera di ritorno positivo.

In genere, durante le fasi del colloquio, poter prendere nota

in modo esaustivo, di quanto si dice o avviene, comporta,

ovviamente, una minore difficoltà o spesa di tempo per gli

interventi che seguiranno la sua conclusione.

NONO CAPITOLO

LA REGISTRAZIONE ALLA FINEDEL COLLOQUIO

La registrazione del colloquio è un atto della professione

dell’assistente sociale che presenta un duplice aspetto:

1. di natura burocratica;

2. di natura pratico-operativa..

Il primo aspetto, di natura burocratica, è afferente alla posizione

dell’utente rispetto al servizio. Per ogni utente, che si rivolge ad

un assistente sociale di un ufficio di servizio sociale per una

richiesta d’aiuto, si avvia la procedura della presa in carico e

l’apertura del fascicolo del caso. Nel fascicolo, in particolare,

oltre alla documentazione generale dell’utente (anagrafica,

sanitaria, giuridica, ecc.) è presente il diario per la registrazione

degli interventi effettuati per la conduzione del caso. E’ proprio

in questo diario che viene effettuata la registrazione dei colloqui.

DECIMO CAPITOLO

ERRORI E RISCHI DELL’ASSISTENTE SOCIALE

Tutti gli uomini commettono errori, l’assistente sociale, in

quanto tale, è soggetto a questa fatalità e ciò, anche, è

ineluttabile, nella stessa misura degli altri professionisti, quando

svolge il proprio lavoro.

Il servizio sociale, tuttavia, è una professione (senza, però,

volerne escludere delle altre) per la quale necessita un

significativo rigore per la deontologia, quindi una particolare

attenzione nell’esercizio della prassi, poiché chi fruisce degli

interventi e dell’interesse professionale è proprio l’uomo che

vive una situazione di disagio che lo induce chiedere aiuto.

TERZA SEZIONE

IL COLLOQUIO:ALCUNI CASIPARTICOLARI

PRIMO CAPITOLO

IL COLLOQUIO CON IL DETENUTO

Il servizio sociale, in Italia, è approdato in maniera formale

nel sistema penitenziario degli adulti con la promulgazione della

legge di riforma dell’ordinamento penitenziario n° 354 del 26

luglio 1975 (Norme sull’ordinamento penitenziario e

sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà),

dopo che erano stati esperiti più tentativi, anche significativi,

specie nell’ambito del sistema penitenziario dei minori, dove,

peraltro, ormai era un’attività istituzionale consolidata.

SECONDO CAPITOLO

IL COLLOQUIO CON L’UTENTE EXTRACOMUNITARIO

L’immigrazione dai Paesi extracomunitari, negli ultimi anni,

è divenuto un fenomeno assai complesso e sfaccettato

nell'ambito del contesto storico, sociale e politico dell’intera

Europa.

Quando il fenomeno migratorio, intorno agli anni ’90, è

diventato un fenomeno di casa nostra, la valutazione della

politica e delle conseguenti strategie da intraprendere sul tema è

stata improntata sulla base di criteri fondati sui principi di

solidarietà, cooperazione ed uguaglianza sostanziale; azione, in

verità, che ha sempre connotato la politica italiana verso i paesi

esteri in stato di sottosviluppo, criteri che, peraltro, costituiscono

i punti cardine del nostro ordinamento.

CONCLUSIONI

Il colloquio di servizio sociale, così come è stato esposto, tra

gli strumenti professionali, utilizzati dall’assistente sociale, con

buona convinzione è quello fondamentale per convenire al

raggiungimento dell’obiettivo del cambiamento.

E’ da ritenere una forma avanzata di comunicazione che

intercorre tra due o più persone. L’esperienza professionale

maturata nel tempo ha suggerito che va sempre preparato con

estrema accuratezza per evitare di incorrere in spiacevoli

inconvenienti, esso deve essere utilizzato come strumento che

avvicina l’utente all’assistente sociale, giammai come un atto

che distacca, come può succedere nell’ipotesi di un’intervista

con domande e risposte.

Il fatto stesso o, meglio, l’esigenza di preparalo per tempo

connota una posizione di controllo/dominanza dell’assistente

sociale rispetto all’utente. Il gioco dei ruoli, pertanto, impone

all’assistente sociale la responsabilità della conduzione;

responsabilità e non prevaricazione, poiché all’interlocutore, a

garanzia di successo dell’intervento (ma anche per un dovere

deontologico), va concesso lo spazio adeguato per

rappresentarsi. Questo assunto del concedere lo spazio all’utente

è un chiaro monito per attestarsi sulla comprensione e non sul

giudizio; l’utente, così rassicurato dal comportamento non

giudicante del professionista, non avrà molte resistenze per

aprirsi al dialogo costruttivo, permettendo l’instaurarsi di un

rapporto significativo basato sull’empatia.

Con il colloquio l’assistente sociale si proietterà verso

l’utente e la sua situazione/stato di disagio rappresentato

dall’ambiente in cui vive, dalle relazioni significative o meno

che instaura con le persone di tale contesto. E’ lo strumento che

permetterà di conoscere e approfondire quella realtà che produce

scompenso e, ancora, poggerà le basi per avviare il processo per

l’autodeterminazione, individuando ciò che è utile per

l’affrancamento dal problema.

E’ utile comprendere quanto sia importante configurare

l’incontro tra gli attori (utente/assistente sociale) in una

chiara relazione professionale che si svolge nel teatro

dell’istituzione (Ufficio di servizio sociale), con un gioco dei

ruoli e un canovaccio ben preciso. E’ un rapporto che si

instaura chiaramente per un fine riconosciuto e concordato tra

le parti: l’utente parla con l’assistente sociale per aver aiuto

dall’istituzione della quale l’assistente sociale fa parte e la

rappresenta.

Alla luce di quanto detto, il professionista ha quindi, un

posizione di responsabilità verso l’utente e l’istituzione. Il

sapere professionale, che poggia su conoscenze, esperienza,

ruolo definito dalla posizione nel servizio, conferisce

all’assistente quell’autorità, che si trasforma in responsabilità e

servizio perché il processo d’aiuto che verrà avviato sarà in

funzione dell’utente e per l’utente.

Procedendo per comprendere come è strutturato lo

strumento del colloquio, ovviamente, è stato necessario

esaminare tutti quegli aspetti su cui si basa l’agire professionale

dell’assistente sociale.

Nell’utilizzo del colloquio, è stato chiaramente affermato,

quanto sia necessario rifuggire da quell’approccio tecnicistico a

vantaggio di una relazione empatica e di quanto, al contrario, sia

importante consolidare tale consapevolezza.

Il colloquio offre delle informazioni che vanno sapute

interpretare, hanno un chiaro valore perché rappresentazione

dell’utente; è da queste che bisogna partire per sostenere l’utente

all’autodeterminazione che porta al cambiamento. Tutte le volte

che l’utente apprende una modalità per il buon cambiamento, si

crea un doppio beneficio: l’utente riconosce un proprio saper

fare e, affermando e consolidando la propria autostima, permette

all’assistente sociale di accrescere la propria, relativamente al

saper fare professionale.

E’ questa una forma di appagamento di grande portata per

l’assistente sociale, soddisfazione professionale che, però, dovrà

essere utilizzata come adeguata consapevolezza della validità

del suo agire con la giusta metodologia, che giammai deve

giungere al narcisismo ed al delirio di onnipotenza; tuttavia, per

la legge del rovescio della medaglia, è possibile che l’utente, nel

corso del processo d’aiuto, non progredisca o, addirittura, non si

rivolga più al servizio, questo, allora, alla stessa stregua

dell’esempio precedente, ma in maniera inversa, non dovrà

essere motivo di mortificazione o impotenza per il professionista

che, anzi, sarà chiamato ad utilizzarla come stimolo per

progredire nel suo agire professionale.

Il colloquio di servizio sociale, così come fin qui descritto,

si rappresenta come una relazione piuttosto complicata e

laboriosa; è uno strumento di lavoro il quale va usato

dall’assistente sociale con adeguata consapevolezza di

cognizione e razionalità.

E’ importante la consapevolezza del realismo per

riconoscere e far fronte alle situazioni anche estreme, senza

affondare nelle sabbie mobili dei limiti del servizio e lo

sconforto degl’insuccessi per cronicizzazione dello stato di

bisogno; affrontare gli incerti della professione con un sano

eclettismo, fonte dove approvvigionarsi, per procedere con il

giusto entusiasmo per lavorare con la persona e per la persona.

La lettura rende un uomo completo,la conversazione lo rende agile di spirito

e la scrittura lo rende esatto.Francis Bacon

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INDICE

PRESENTAZIONE Pag.INTRODUZIONE Pag.

PREMESSA Pag.

PRIMA SEZIONE

IL COLLOQUIO: STRUMENTO DI

LAVORO NELLE PROFESSIONI

PRIMO CAPITOLO

IL COLLOQUIO PROFESSIONALE Pag.SECONDO CAPITOLOIL COLLOQUIO: ASPETTI ETICI, LEGALIED EMOTIVI Pag.

SECONDA SEZIONE

IL COLLOQUIO: STRUMENTO DI

LAVORO NEL SERVIZIO SOCIALE

PRIMO CAPITOLO

L’ASCOLTO NELLA PRASSI DELL’ASSISTENTESOCIALE Pag.

SECONDO CAPITOLOIL COLLOQUIO NELLA PRASSI DELSERVIZIO SOCIALE Pag.TERZO CAPITOLOIL COLLOQUIO DI SERVIZIO SOCIALE,LA SUA PREPARAZIONE ED IL SUO PERCORSO Pag.