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Per tutto ciò che hai donato eper quanto continui a daresenza mai chiedere nulla.
A papà hai donato la tua bellezza, offerto la tua fedeltà,
regalato il tuo amore,assicurato la tua dedizione.
Ai miei fratelli, ed a me,all’amore ed alla dedizione
hai aggiunto tutto il resto.Grazie cara mamma.
Il compito principale di un uomoè dare origine a se stesso,
trasformandosi in tutto ciòche è in grado di essere.Il risultato di tali sforzisarà la sua personalità.
Erich Fromm
PREMESSA
Il servizio sociale è una scienza relativamente giovane; in
generale, nel contesto europeo, come attività, trova la sua genesi
sul finire del 1880, quando a Londra, per opera di Ottavia Hill,
vengono fondate, come evoluzione del volontariato di tipo
religioso, delle società di evidente connotazione caritatevole
(C.O.S. – Londra 1869). E’ proprio grazie a queste società che
sono state poste le basi dei fondamenti concettuali ed etici del
servizio sociale.
Il social work, come da terminologia, ovviamente, anglo-
sassone, negli anni che seguirono, nel nord dell’Europa e negli
U. S. A., ebbe modo di svilupparsi e sedimentarsi grazie alla
creazione delle prime scuole di formazione per iniziativa di
Mary Richmond. Le pubblicazioni della Richmond, negli anni
che vanno dal 1917 (Social diagnosis) al 1922 (What is social
workers?), saranno le basi fondamentali per la costruzione della
metodologia (case-work) e la deontologia del servizio sociale.
In Italia, il servizio sociale muove le sue mosse nei primi
degli anni ’20, quando si fonda a Milano l’ I. I. A. S. (Istituto
Italiano di Assistenza Sociale), nato per agevolare ai lavoratori
l’accesso alle opere sociali. La prima scuola di servizio sociale è
avviata a Roma (1928) per opera di Paolina Tarugi, ricordata
successivamente come la pioniera per l’Italia. Per quanto attiene
la nascita del servizio sociale come professione lo spartiacque
viene considerato l’ormai storico Convegno di Studi di
Tremezzo (CO) che si è tenuto a settembre/ottobre del 1946.
Da allora fino al 2000, tra battute d’arresto e accelerazioni,
grazie alle organizzazioni nate con il chiaro intento della tutela
della professione (Ass. N. A. S. –S. U. N. A. S.), passando per la
nascita dell’Ordine Nazionale della professione (1993),
riconoscimento giuridico del titolo di assistente sociale e
abilitazione all’esercizio della professione (1987), emanazione
del Codice Deontologico (1998), laurea sperimentale e
successiva laurea specialistica presso l’Università di Trieste
(1998/2000) si è arrivati alla conquista di quell’agognata dignità
che, fino ad allora, aveva visto la professione sempre in
posizione di sudditanza rispetto ad altre da tempo consolidate.
Fatto tale escursus storico, possiamo, adesso, affermare che
la professione dell’assistente sociale ha agito con il chiaro
intento di porre costantemente al centro del suo intervento la
vita della persona con tutte le sue dinamiche di relazione.
La persona, pertanto, sia essa da sola, in gruppo o, ancora,
nella comunità, quando si trova in una situazione di disagio,
problematicità e devianza è l’oggetto di interesse ed intervento
del servizio sociale.
L’assistente sociale è il professionista che, appunto,
occupandosi della persona/utente, instaura un rapporto
professionale per il “processo d’aiuto”, sostenendola
nell’affrontare situazioni problematiche di diversa natura.
Nell’ambito del proprio lavoro, l’assistente sociale, così
come altri professionisti, utilizza degli strumenti di lavoro che
gli consentono di perseguire il raggiungimento degli obbiettivi,
nello specifico di aiuto e cambiamento.
Sono strumenti afferenti alla sfera della comunicazione
umana, come colloqui, riunioni, documentazioni, adoperati
dall’assistente sociale per concretizzare il proprio intervento;
essi permettono di avviare il contatto con le persone, primo step
per il processo di risoluzione del problema. Saranno adoperati
con modalità, o meglio, con metodiche differenti, a seconda
dell’interlocutore e degli obbiettivi, che si pongono davanti nel
contesto di cornice nel quale vengono inseriti.
In questo panorama professionale, lo strumento del
colloquio è, probabilmente, quello elettivo perché di contatto
diretto con la persona. Esso rappresenta una forma di
comunicazione (particolarmente strutturata) che si fonda sul
precipuo impegno di comprensione dell’assistente sociale nei
confronti dell’interlocutore. Il primo ha l’obiettivo di conoscere
determinati aspetti o problemi della vita di chi parla e di stabilire
una relazione interpersonale significativa che faciliti la
comprensione e la fiducia; il secondo si propone e/o accetta di
sperimentare una relazione in cui poter avviare una riflessione
su di sé. Così come in un film-documentario sulle svariate
dinamiche delle relazioni umane, tutti quelli coinvolti nel set del
colloquio reciteranno il proprio ruolo, pertanto, secondo un
canovaccio, avremo da una parte l’assistente sociale che, come
un regista, conduce il colloquio facendo domande, abilmente
mirate ad approfondire determinate tematiche considerate utili al
processo, aiuta la persona in stato di bisogno ad esprimere il
problema ed i sentimenti che lo accompagnano e ascolta in
maniera partecipativa ed empatica; di fronte, nell’altra nell’altra
angolazione del set, avremo l’utente che ha il ruolo dell’attore
principale, ovvero di colui che cerca aiuto, per cui rappresenta il
problema ma anche le sue aspettative rispetto al servizio, la sua
percezione dell’operatore al quale richiede ascolto e
comprensione. Nel colloquio del servizio sociale, pertanto,
devono potersi cogliere tutti quegli aspetti, spesso intangibili,
quali solitudine, sofferenza e, in generale, disagio insiti e non
sempre evidenti nelle persone in cerca di assistenza.
Nella metodica di utilizzo, di tale strumento di lavoro non
esiste una tipologia unica, così come l’assistente sociale non è il
solo professionista che se ne avvale. Ogni singolo colloquio di
una serie di colloqui è parte di un processo, di una successione
di steps che, nel tempo, realizzano gli obiettivi del rapporto fra il
servizio e il cliente. Ogni colloquio, però, come singola unità
della serie, già costituisce in sé un processo con un inizio, una
parte centrale e una fine. Il processo del colloquio è il
movimento dinamico, coscientemente messo in atto che,
attraverso fasi successive, realizza gli scopi del colloquio stesso.
Nel colloquio, per fattispecie di servizio sociale, l’assistente
sociale, quindi, si adopera per cogliere i bisogni, definire gli
obbiettivi di cambiamento e sviluppare le varie fasi del processo
di aiuto.
Con l’ausilio di tale strumento, l’operatore del sociale
avvia/promuove con l’utente una dinamica relazionale ovvero,
un processo di scambio e di interazione con il chiaro intento di
agevolare conoscenze adeguate relative a situazioni, disagi e
problemi per i quali è necessario assumere responsabilità e
prendere decisioni.
La monografia presentata, pertanto, ha nel suo intento quello
di proporre, per quanto possibile, una analisi peculiare del come
il colloquio è impiegato con la persona che si rivolge al servizio
sociale (avendo cura di considerare, con riguardo, casi
particolari come l’utente detenuto, il disabile mentale e
l’extracomunitario), dove esso, appunto, configura il più
efficace mezzo per entrare in contatto con l’utenza, in modo da
instaurare un rapporto che abbia, come fine ultimo, il benessere
dell’uomo e della società.
PRIMO CAPITOLO
IL COLLOQUIO PROFESSIONALE
Un colloquio, perché si concretizzi, presuppone che alla
base abbia una forma di comunicazione. In seno alla comunità
degli esperti dei processi comunicativi, tutti convengono che per
avere un atto di comunicazione sono essenziali una serie di
fattori:
un’ emittente, cioè chi avvia la comunicazione
emettendo il messaggio;
un codice, cioè un sistema di riferimento (per lo più
consolidato), comune tra le parti, in base al quale il messaggio
viene prodotto;
un messaggio, cioè l’informazione prodotta e trasmessa
con l’utilizzo delle regole del codice;
un contesto, in cui il messaggio si trova inserito e ne fa
riferimento;
un ricevente (o destinatario), a cui il messaggio è
indirizzato e che lo decodifica.Per la realizzazione di un’efficace forma di comunicazione concorrono anche un insieme di capacità degli attori in gioco
SECONDO CAPITOLO
IL COLLOQUIO: ASPETTI ETICI, LEGALI ED EMOTIVI
Una professione, nel tempo, ovvero da quando nasce e poi si
consolida nella prassi, si caratterizza per la rappresentazione di
comuni denominatori; senza alcun dubbio, conditio sine qua non
per i professionisti che intendono appartenere all’ordine e,
quindi, per coloro i quali intendono esercitare la professione è
condividere e accettare l’esistenza, nei contenuti della stessa, di
regole e principi etici (norme deontologiche) che la
contraddistinguono, assunti in cui credere, portare adeguato
rispetto e conformarsi.
PRIMO CAPITOLO
L’ASCOLTO NELLA PRASSI DELL’ASSISTENTE SOCIALE
L’accezione di colloquio è di origine latina “colloqui”
composto da “cum” e “loqui” che letteralmente si traduce in “
parlare con ”. Ciò comporta parlare con altri che parlano; se
altri parlano, quindi bisogna ascoltare. Se, però, chi parla espone
un problema ad un altro a cui viene richiesto aiuto per la
risoluzione di un problema (relazione professionale di tipo
asimmetrico), allora l’ascolto assume una valenza più che
particolare, che va oltre il riguardo reciproco, il rispetto
dell’altro che parla, della comune conversazione; in tal senso, si
connota un saper ascoltare che, ricorrendo all’entropatìa
(Einfuhlung), cioè il saper penetrare (quel livello partecipato
della relazione), mette nelle condizioni di appropriarsi della
concezione di malessere e benessere propria dell’altra persona.
SECONDO CAPITOLO
IL COLLOQUIO NELLA PRASSI DEL SERVIZIO SOCIALE
Il colloquio di tale prassi, come già diversamente espresso, è
una forma di comunicazione di chiara connotazione
asimmetrica; esso è condotto dall’assistente sociale con il palese
intento (condiviso tra le parti) di raggiungere uno scopo o una
molteplicità di scopi (il benessere, la fruibilità dei beni); è
utilizzato, altresì, al fine di instaurare, con la persona/utente, una
relazione che faciliti la comprensione reciproca dello status quo,
permettendo di intravedere altre dinamiche possibili (virtuose),
motivando gli attori ad impegnarsi nella realizzazione dei
compiti connessi con le soluzioni prospettate (il cambiamento).
TERZO CAPITOLO
IL COLLOQUIO DI SERVIZIO SOCIALE, LA SUA PREPARAZIONE
ED IL SUO PERCORSO
Il colloquio di servizio sociale è uno strumento di lavoro
non occasionale che, con degli obiettivi, avviene all’interno di
un contesto relazionale; è condotto dall’assistente sociale il
quale ha previsto una preparazione e uno svolgimento che ne
definiscono la struttura formale.
La preparazione del colloquio
Per questo momento della pratica della professione,
l’assistente sociale si mette sempre in discussione con tutta la
sua esperienza, poiché da esso può dipendere l’andamento del
colloquio stesso e l’intero processo d’aiuto; la preparazione va,
pertanto curata con particolare attenzione.
QUARTO CAPITOLO
STRATEGIE E TECNICHE PER LA CONDUZIONE DEL COLLOQUIO
Il colloquio, come anticipato nella premessa e,
successivamente, descritto e riproposto nei capitoli, come
strumento della prassi del servizio sociale, è probabilmente,
quello elettivo, perché di contatto diretto con la persona. Esso, si
diceva, rappresenta una particolare forma di comunicazione ben
strutturata che permette all’assistente sociale di avviarsi verso la
comprensione dell’interlocutore. Nel rapporto duale, permette,
all’assistente sociale di conoscere determinati aspetti o problemi
della vita di chi parla e di stabilire una relazione interpersonale
significativa che faciliti la fiducia; all’utente di proporsi e/o
accettare di sperimentare una relazione in cui poter avviare una
riflessione su di sé.
QUINTO CAPITOLO
IL PRIMO COLLOQUIO
Tutti concordano quanto sia importante per l’assistente
sociale il primo colloquio; con l’avvio di tale intervento, egli
poggerà le fondamenta per l’edificazione del processo d’aiuto.
Come già anticipato nei capitoli trattati, è uno strumento
che va programmato con la giusta cura in tutti i suoi particolari;
con esso il professionista, grazie ad un’adeguata osservazione e
l’uso delle tecniche descritte nel capitolo precedente, avrà la
possibilità di:
cogliere le motivazioni che hanno indotto la
persona/utente a rivolgersi al servizio per chiedere aiuto;
chiarire gli scopi (la reale volontà al cambiamento)
dell’utente e il ruolo dell’assistente sociale e del servizio;
creare quella condizione di fiducia per avviare il
processo d’aiuto, eliminando i timori dell’utente.
SESTO CAPITOLO
IL SILENZIO NEL COLLOQUIO
L’uomo, nella formulazione del suo immaginario, ha
sedimentato l’idea che nell’ambito delle relazioni sociali di tutti
i giorni, il silenzio sia fonte di imbarazzo e diffidenza. In tal
ultimo senso, si è portati ad avere diffidenza della persona che,
in relazione con altri, resta in silenzio, a tal punto da considerala
infida poiché non disponibile ad aprirsi agli interlocutori con
l’atto della conversazione; la persona, a volte, pertanto, si sente
obbligata a parlare anche quando non ha particolari argomenti
da trattare.
SETTIMO CAPITOLO
IL COLLOQUIO RISPETTO AL PROCESSO DI AIUTO
Il colloquio di servizio sociale, oltre che nei suoi aspetti
teorici di natura generale, cioè nella sua strutturazione, nelle sue
varie fasi di svolgimento, nell’utilizzo delle varie tecniche per la
sua conduzione, ecc. … , può essere esaminato anche rispetto
all’utilizzo che il professionista del servizio sociale applica nelle
varie fasi che si susseguono nel processo di aiuto, che
contribuiranno in parte a definire gli obiettivi.
OTTAVO CAPITOLO
PRENDERE APPUNTI DURANTE IL COLLOQUIO
L’atto di prendere appunti durante lo svolgimento di un
colloquio tra un assistente sociale ed un utente rappresenta
un’azione operativa che si presta a più considerazioni, non
sempre connotabili in maniera di ritorno positivo.
In genere, durante le fasi del colloquio, poter prendere nota
in modo esaustivo, di quanto si dice o avviene, comporta,
ovviamente, una minore difficoltà o spesa di tempo per gli
interventi che seguiranno la sua conclusione.
NONO CAPITOLO
LA REGISTRAZIONE ALLA FINEDEL COLLOQUIO
La registrazione del colloquio è un atto della professione
dell’assistente sociale che presenta un duplice aspetto:
1. di natura burocratica;
2. di natura pratico-operativa..
Il primo aspetto, di natura burocratica, è afferente alla posizione
dell’utente rispetto al servizio. Per ogni utente, che si rivolge ad
un assistente sociale di un ufficio di servizio sociale per una
richiesta d’aiuto, si avvia la procedura della presa in carico e
l’apertura del fascicolo del caso. Nel fascicolo, in particolare,
oltre alla documentazione generale dell’utente (anagrafica,
sanitaria, giuridica, ecc.) è presente il diario per la registrazione
degli interventi effettuati per la conduzione del caso. E’ proprio
in questo diario che viene effettuata la registrazione dei colloqui.
DECIMO CAPITOLO
ERRORI E RISCHI DELL’ASSISTENTE SOCIALE
Tutti gli uomini commettono errori, l’assistente sociale, in
quanto tale, è soggetto a questa fatalità e ciò, anche, è
ineluttabile, nella stessa misura degli altri professionisti, quando
svolge il proprio lavoro.
Il servizio sociale, tuttavia, è una professione (senza, però,
volerne escludere delle altre) per la quale necessita un
significativo rigore per la deontologia, quindi una particolare
attenzione nell’esercizio della prassi, poiché chi fruisce degli
interventi e dell’interesse professionale è proprio l’uomo che
vive una situazione di disagio che lo induce chiedere aiuto.
PRIMO CAPITOLO
IL COLLOQUIO CON IL DETENUTO
Il servizio sociale, in Italia, è approdato in maniera formale
nel sistema penitenziario degli adulti con la promulgazione della
legge di riforma dell’ordinamento penitenziario n° 354 del 26
luglio 1975 (Norme sull’ordinamento penitenziario e
sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà),
dopo che erano stati esperiti più tentativi, anche significativi,
specie nell’ambito del sistema penitenziario dei minori, dove,
peraltro, ormai era un’attività istituzionale consolidata.
SECONDO CAPITOLO
IL COLLOQUIO CON L’UTENTE EXTRACOMUNITARIO
L’immigrazione dai Paesi extracomunitari, negli ultimi anni,
è divenuto un fenomeno assai complesso e sfaccettato
nell'ambito del contesto storico, sociale e politico dell’intera
Europa.
Quando il fenomeno migratorio, intorno agli anni ’90, è
diventato un fenomeno di casa nostra, la valutazione della
politica e delle conseguenti strategie da intraprendere sul tema è
stata improntata sulla base di criteri fondati sui principi di
solidarietà, cooperazione ed uguaglianza sostanziale; azione, in
verità, che ha sempre connotato la politica italiana verso i paesi
esteri in stato di sottosviluppo, criteri che, peraltro, costituiscono
i punti cardine del nostro ordinamento.
CONCLUSIONI
Il colloquio di servizio sociale, così come è stato esposto, tra
gli strumenti professionali, utilizzati dall’assistente sociale, con
buona convinzione è quello fondamentale per convenire al
raggiungimento dell’obiettivo del cambiamento.
E’ da ritenere una forma avanzata di comunicazione che
intercorre tra due o più persone. L’esperienza professionale
maturata nel tempo ha suggerito che va sempre preparato con
estrema accuratezza per evitare di incorrere in spiacevoli
inconvenienti, esso deve essere utilizzato come strumento che
avvicina l’utente all’assistente sociale, giammai come un atto
che distacca, come può succedere nell’ipotesi di un’intervista
con domande e risposte.
Il fatto stesso o, meglio, l’esigenza di preparalo per tempo
connota una posizione di controllo/dominanza dell’assistente
sociale rispetto all’utente. Il gioco dei ruoli, pertanto, impone
all’assistente sociale la responsabilità della conduzione;
responsabilità e non prevaricazione, poiché all’interlocutore, a
garanzia di successo dell’intervento (ma anche per un dovere
deontologico), va concesso lo spazio adeguato per
rappresentarsi. Questo assunto del concedere lo spazio all’utente
è un chiaro monito per attestarsi sulla comprensione e non sul
giudizio; l’utente, così rassicurato dal comportamento non
giudicante del professionista, non avrà molte resistenze per
aprirsi al dialogo costruttivo, permettendo l’instaurarsi di un
rapporto significativo basato sull’empatia.
Con il colloquio l’assistente sociale si proietterà verso
l’utente e la sua situazione/stato di disagio rappresentato
dall’ambiente in cui vive, dalle relazioni significative o meno
che instaura con le persone di tale contesto. E’ lo strumento che
permetterà di conoscere e approfondire quella realtà che produce
scompenso e, ancora, poggerà le basi per avviare il processo per
l’autodeterminazione, individuando ciò che è utile per
l’affrancamento dal problema.
E’ utile comprendere quanto sia importante configurare
l’incontro tra gli attori (utente/assistente sociale) in una
chiara relazione professionale che si svolge nel teatro
dell’istituzione (Ufficio di servizio sociale), con un gioco dei
ruoli e un canovaccio ben preciso. E’ un rapporto che si
instaura chiaramente per un fine riconosciuto e concordato tra
le parti: l’utente parla con l’assistente sociale per aver aiuto
dall’istituzione della quale l’assistente sociale fa parte e la
rappresenta.
Alla luce di quanto detto, il professionista ha quindi, un
posizione di responsabilità verso l’utente e l’istituzione. Il
sapere professionale, che poggia su conoscenze, esperienza,
ruolo definito dalla posizione nel servizio, conferisce
all’assistente quell’autorità, che si trasforma in responsabilità e
servizio perché il processo d’aiuto che verrà avviato sarà in
funzione dell’utente e per l’utente.
Procedendo per comprendere come è strutturato lo
strumento del colloquio, ovviamente, è stato necessario
esaminare tutti quegli aspetti su cui si basa l’agire professionale
dell’assistente sociale.
Nell’utilizzo del colloquio, è stato chiaramente affermato,
quanto sia necessario rifuggire da quell’approccio tecnicistico a
vantaggio di una relazione empatica e di quanto, al contrario, sia
importante consolidare tale consapevolezza.
Il colloquio offre delle informazioni che vanno sapute
interpretare, hanno un chiaro valore perché rappresentazione
dell’utente; è da queste che bisogna partire per sostenere l’utente
all’autodeterminazione che porta al cambiamento. Tutte le volte
che l’utente apprende una modalità per il buon cambiamento, si
crea un doppio beneficio: l’utente riconosce un proprio saper
fare e, affermando e consolidando la propria autostima, permette
all’assistente sociale di accrescere la propria, relativamente al
saper fare professionale.
E’ questa una forma di appagamento di grande portata per
l’assistente sociale, soddisfazione professionale che, però, dovrà
essere utilizzata come adeguata consapevolezza della validità
del suo agire con la giusta metodologia, che giammai deve
giungere al narcisismo ed al delirio di onnipotenza; tuttavia, per
la legge del rovescio della medaglia, è possibile che l’utente, nel
corso del processo d’aiuto, non progredisca o, addirittura, non si
rivolga più al servizio, questo, allora, alla stessa stregua
dell’esempio precedente, ma in maniera inversa, non dovrà
essere motivo di mortificazione o impotenza per il professionista
che, anzi, sarà chiamato ad utilizzarla come stimolo per
progredire nel suo agire professionale.
Il colloquio di servizio sociale, così come fin qui descritto,
si rappresenta come una relazione piuttosto complicata e
laboriosa; è uno strumento di lavoro il quale va usato
dall’assistente sociale con adeguata consapevolezza di
cognizione e razionalità.
E’ importante la consapevolezza del realismo per
riconoscere e far fronte alle situazioni anche estreme, senza
affondare nelle sabbie mobili dei limiti del servizio e lo
sconforto degl’insuccessi per cronicizzazione dello stato di
bisogno; affrontare gli incerti della professione con un sano
eclettismo, fonte dove approvvigionarsi, per procedere con il
giusto entusiasmo per lavorare con la persona e per la persona.
La lettura rende un uomo completo,la conversazione lo rende agile di spirito
e la scrittura lo rende esatto.Francis Bacon
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INDICE
PRESENTAZIONE Pag.INTRODUZIONE Pag.
PREMESSA Pag.
PRIMA SEZIONE
IL COLLOQUIO: STRUMENTO DI
LAVORO NELLE PROFESSIONI
PRIMO CAPITOLO
IL COLLOQUIO PROFESSIONALE Pag.SECONDO CAPITOLOIL COLLOQUIO: ASPETTI ETICI, LEGALIED EMOTIVI Pag.
SECONDA SEZIONE
IL COLLOQUIO: STRUMENTO DI
LAVORO NEL SERVIZIO SOCIALE
PRIMO CAPITOLO
L’ASCOLTO NELLA PRASSI DELL’ASSISTENTESOCIALE Pag.