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Il capitolo XIX comincia con il duello tra Orlando e Manicardo. Sfidato in battaglia dal saraceno per ottenere la sua spada Durlindana, Orlando perde di vista il suo avversario; la fortuna vuole che il suo nemico venga trascinato via dal suo destriero e, perso per il bosco, scopra i nomi di Angelica e Medoro incisi sugli alberi e sulla vicina montagna. Dopo aver raggiunto la caverna, nido d’amore dei due amanti, legge l’epigramma lasciato da Medoro in cui ringrazia l’antro di aver dato a lui e ad Angelica un fresco riparo durante il giorno. Sconvolto e meravigliato, Orlando è tormentato dal dubbio: è bene credere alle parole scolpite nell’antro? Ma quando raggiungerà la casa del villano, il pastore gli racconterà la singolare storia di Angelica e Medoro, ora marito e moglie. Ogni speranza di poter conquistare la regina del Catai è ormai persa. Tra le fronde più oscure della foresta, Orlando si abbandona alle lacrime e l’ira invade il cuore del paladino che, strappate le vesti, distrugge la caverna dei due amanti e sradica con la sua immensa forza ogni albero che incontra sul suo cammino. Il canto è incentrato interamente sull’evoluzione del personaggio di Orlando: da paladino, emblema di saggezza e di valore, si trasforma in un antieroe, una pazzo furioso, da cui lo stesso autore invita a tenere le distanze. Infatti

Il Capitolo XIX Comincia Con Il Duello Tra Orlando e Manicardo

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Page 1: Il Capitolo XIX Comincia Con Il Duello Tra Orlando e Manicardo

Il capitolo XIX comincia con il duello tra Orlando e Manicardo. Sfidato in battaglia dal saraceno per ottenere la sua spada Durlindana, Orlando perde di vista il suo avversario; la fortuna vuole che il suo nemico venga trascinato via dal suo destriero e, perso per il bosco, scopra i nomi di Angelica e Medoro incisi sugli alberi e sulla vicina montagna. Dopo aver raggiunto la caverna, nido d’amore dei due amanti, legge l’epigramma lasciato da Medoro in cui ringrazia l’antro di aver dato a lui e ad Angelica un fresco riparo durante il giorno. Sconvolto e meravigliato, Orlando è tormentato dal dubbio: è bene credere alle parole scolpite nell’antro? Ma quando raggiungerà la casa del villano, il pastore gli racconterà la singolare storia di Angelica e Medoro, ora marito e moglie. Ogni speranza di poter conquistare la regina del Catai è ormai persa. Tra le fronde più oscure della foresta, Orlando si abbandona alle lacrime e l’ira invade il cuore del paladino che, strappate le vesti, distrugge la caverna dei due amanti e sradica con la sua immensa forza ogni albero che incontra sul suo cammino.

Il canto è incentrato interamente sull’evoluzione del personaggio di Orlando: da paladino, emblema di saggezza e di valore, si trasforma in un antieroe, una pazzo furioso, da cui lo stesso autore invita a tenere le distanze. Infatti Ariosto impedisce al lettore di immedesimarsi nel protagonista. Rallentando la tensione narrativa per mezzo della metafora del “vaso” (ottava 113) o delle sue considerazioni (ottava 112) collocate per l’appunto in un momento di grande drammaticità, l’autore non desidera che il lettore incolpi Angelica di aver scatenato la pazzia dell’eroe, bensì l’incapacità di Orlando di accettare la realtà: è lui stesso infatti il responsabile della sua pazzia. Con questo espediente, Ariosto prende le distanze dalla tradizione dell’amore cortese non per una responsabilità morale (come era successo nella Commedia di Dante), ma per indurre gli intellettuali ad assumere una presa polemica contro questo genere letterario e soprattutto verso coloro che considerano la realtà come eterna e immutabile. Rimanere ancorato a questa mentalità ormai superata è nocivo a tal punto che la follia di Orlando è proprio dovuta all’aver considerato la realtà nei termini di questa dimensione morale.

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Non manca nel testo il tema della fortuna che modifica gli eventi, espresso ad esempio con il paradosso della lingua araba (ottava 110) che dopo aver favorito e aiutato Orlando, ora gli rileva una notizia terribile che può fargli pagare tutti i vantaggi ottenuti: il fidanzamento di Medoro e Angelica.

Plasmatore della storia del poema è Ariosto, il quale suggerisce anche in che maniera il lettore deve rapportarsi con il testo. Sia alla fine del primo canto dell’Orlando Furioso che del XIX infatti sono presenti gli indicatori di trapasso con i quali l’autore governa l’intreccio (“quel che”).

Il canto, come il resto del poema, recupera i temi del petrarchismo ( fiede) usando il piano narrativo di Boccaccio. Lo squilibrio mentale di Orlando è descritto con numerosi chiasmi del testo (“ fissi nel sasso, al sasso indifferente”), metafore (il vaso) e similitudini (visco).