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Educazione Ambientale: dimensione pedagogica e dimensione didattica L’autonomia scolastica ha aperto una prospettiva del tutto nuova nel campo dell’educazione e della formazione e ha definito un nuovo modo di gestione della scuola e di organizzazione didattica. Agli operatori della scuola (ma anche agli organi di gestione riformati) viene riconosciuta una più ampia capacità decisionale in ordine ai diversi aspetti della vita dell’istituzione scolastica e una più piena assunzione di responsabilità. All’interno del quadro normativo generale definito dal Regolamento dell’autonomia- interventi di educazione, formazione, e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo. Tutto ciò ha richiesto e richiede un potenziamento delle capacità progettuali degli operatori scolastici, chiamati a interpretare e sviluppare le indicazioni nazionali in relazione alle opportunità offerte dal territorio e avendo come obiettivo prioritario e fondamentale il perseguimento del successo formativo per tutti gli allievi. All’interno di questo quadro, si sa, il P.O.F. rappresenta lo strumento che la scuola autonoma si dà per realizzare tali obiettivi e per ricondurre ad un disegno unitario e coerente i vari interventi di natura culturale, organizzativa, didattica e gestionale elaborati dall’istituzione scolastica. Ma quale significato assume la progettazione nella scuola dell’autonomia? E la pianificazione? A queste e ad altre risposte cercheremo gradualmente di dare risposta, soffermandoci altresì sulle caratteristiche più importanti del rinnovamento che ha investito, nel suo complesso, l’istituzione scolastica. La piena attuazione dell’autonomia scolastica richiede alle istituzioni scolastiche e a tutto il personale della scuola la revisione di alcuni paradigmi, non più in grado di interpretare il nuovo,e l’adozione di nuove forme di fare e pensare.

Iaquinta - dimensione pedagogica e dimensione didattica - dimensione... · In effetti, non si tratta solo di aggiungere qualcosa di nuovo o diverso ( nuove discipline, nuove attività,

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Educazione Ambientale: dimensione pedagogica e dimensione didattica

L’autonomia scolastica ha aperto una prospettiva del tutto nuova nel campo

dell’educazione e della formazione e ha definito un nuovo modo di gestione della

scuola e di organizzazione didattica.

Agli operatori della scuola (ma anche agli organi di gestione riformati) viene

riconosciuta una più ampia capacità decisionale in ordine ai diversi aspetti della vita

dell’istituzione scolastica e una più piena assunzione di responsabilità.

All’interno del quadro normativo generale definito dal Regolamento

dell’autonomia- interventi di educazione, formazione, e istruzione mirati allo

sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle

famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire

loro il successo formativo.

Tutto ciò ha richiesto e richiede un potenziamento delle capacità progettuali degli

operatori scolastici, chiamati a interpretare e sviluppare le indicazioni nazionali in

relazione alle opportunità offerte dal territorio e avendo come obiettivo prioritario e

fondamentale il perseguimento del successo formativo per tutti gli allievi.

All’interno di questo quadro, si sa, il P.O.F. rappresenta lo strumento che la scuola

autonoma si dà per realizzare tali obiettivi e per ricondurre ad un disegno unitario e

coerente i vari interventi di natura culturale, organizzativa, didattica e gestionale

elaborati dall’istituzione scolastica.

Ma quale significato assume la progettazione nella scuola dell’autonomia? E la

pianificazione?

A queste e ad altre risposte cercheremo gradualmente di dare risposta,

soffermandoci altresì sulle caratteristiche più importanti del rinnovamento che ha

investito, nel suo complesso, l’istituzione scolastica.

La piena attuazione dell’autonomia scolastica richiede alle istituzioni scolastiche e a

tutto il personale della scuola la revisione di alcuni paradigmi, non più in grado di

interpretare il nuovo,e l’adozione di nuove forme di fare e pensare.

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In effetti, non si tratta solo di aggiungere qualcosa di nuovo o diverso ( nuove

discipline, nuove attività, nuove opportunità formative per gli allievi), quanto di

inserire le varie proposte all’interno del nuovo quadro delineato dell’autonomia e

delle diverse attribuzioni assegnate alle istituzioni scolastiche.

Naturalmente, come ogni processo innovativo che inizi la propria storia, è facile

prevedere, in una fase transitoria più o meno lunga, la convivenza di vecchie e

nuove forme di gestione e di elaborazione.

La prospettiva dell’autonomia, e la conseguente definizione del P.O.F., richiede una

revisione dei tradizionali modelli di riferimento riguardanti almeno quattro ambiti,

fortemente interconnessi all’azione delle scuole e al lavoro educativo dei docenti:

Ambito culturale: Abbiamo detto che la prospettiva dell’autonomia richiede un

modo nuovo e diverso di affrontare non solo i problemi di gestione della scuola ma

anche quelli più strettamente legati alla didattica. Infatti, la scuola dell’autonomia

presuppone un più forte protagonismo degli operatori scolastici; sempre più spesso

docenti, dirigenti e personale scolastico in genere, sono sollecitati a dare corpo e

traduzione operativa agli indirizzi di carattere nazionale.

Questo processo, per quanto auspicabile e affascinante, non appare privo di

difficoltà e di ostacoli in quanto “costringe” le istituzioni scolastiche ( e le persone

in esse coinvolte) a fare riferimento alla propria intelligenza, iniziativa

responsabilità.

Non dimentichiamo che lo stato di “minorità” o di “subordinazione”, per quanto

ingombrante e bloccante, risulta comunque fortemente rassicurante in quanto pone le

persone e le istituzioni nella posizione di non dover pensare o assumere

responsabilità.

In altre parole, i prezzi che occorre pagare per lo stato di minorità sono ampiamente

ripagati dal fatto che c’è qualcuno che pensa per noi e verso cui è possibile

indirizzare le nostre critiche o i nostri disagi quando le cose non funzionano come

dovrebbero o quando i risultati non appaiono quelli attesi.

Le istituzioni scolastiche dovranno confrontarsi con le attese del territorio e

negoziare la loro proposta educativa con esigenze di varia natura e provenienza,

senza poter fare appello, entro un certo limite, alle decisioni scaturenti “dall’alto”, ed

anzi facendo leva sulla cultura della scuola e sull’apporto delle professionalità in

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essa esistenti. Si tratta, in altre parole, di dare spazio alla responsabilità, creatività e

originalità dei singoli e delle istituzioni.

Ambito professionale:

Proprio in relazione a quanto appena detto, il processo di autonomia sollecita un più

puntuale affinamento e potenziamento delle competenze professionali dei docenti, in

particolar modo le capacità di progettazione e la predisposizione di percorsi

formativi adeguati alle potenzialità degli allievi e alle opportunità del territorio.

Lo strumento che sotto il profilo culturale, educativo ed organizzativo dovrebbe

esprimere l’identità dell’istituzione scolastica è rappresentato dal Piano dell’offerta

formativa.

Ambito curricolare:

Tre esempi, in particolare, ci aiutano a cogliere l’importanza delle innovazioni che si

ripercuotono sul piano curricolare:

a) Innanzitutto cambia profondamente il rapporto tra Ministero e Istituzioni

scolastiche: la definizione dei programmi nazionali rimarrà un’attribuzione

di competenza dell’autorità centrale ma i programmi stessi si articolano

intorno ad alcuni “traguardi irrinunciabili e ad una serie succinta di tematiche

portanti”. Tutto ciò comporta un sensibile alleggerimento dei contenuti

disciplinari.

H. Gardner ( Sapere per apprendere, Feltrinelli, Milano, 1999) afferma

esplicitamente di auspicare un ‘ educazione che inculchi nei giovani la

conoscenza dei modi di pensare delle principali discipline, ossia scienze,

matematica, arti e storia. All’interno di queste famiglie disciplinari,

l’importante è che gli studenti affrontino in modo approfondito tematiche

importanti, non che studino certe discipline o certe tematiche particolari.

In base a questa prospettiva, tocca alle singole istituzioni interpretare e

sviluppare le indicazioni nazionali in relazione alle opportunità offerte dal

territorio e nella prospettiva della costruzione dei curricoli verticali.

b) Alle singole istituzioni viene riservata una quota del curricolo obbligatorio,

nella misura del 15% dell’orario obbligatorio annuale complessivo, per lo

svolgimento di discipline e attività da esse liberamente scelte.

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c) Le scuole rese autonome, singolarmente o in forma consorziata, potranno

ampliare la propria offerta formativa arricchendo i curricoli con discipline e

attività facoltative e tenendo conto delle esigenze del contesto culturale,

sociale ed economico delle realtà sociali.

Ambito didattico-organizzativo: In questo ambito si registrano i più evidenti

cambiamenti nelle scuole rese autonome. L’autonomia consente alle istituzioni

scolastiche di apportare profondi cambiamenti in alcuni elementi

dell’organizzazione scolastica considerati intoccabili fino a poco tempo fa. Ad

esempio: la classe concepita come unità organizzativa imperante nella didattica

delle scuole ( a scapito di altre forme organizzative verticali e orizzontali),

oppure alle discipline viste come monadi intangibili e autoreferenziali( a scapito

degli intrecci interdisciplinari e delle interrelazioni tra linguaggi diversi), oppure

alle lezioni articolate per unità orarie ( a scapito di altri modelli didattici più

orientati verso un’organizzazione modulare). L’autonomia sollecita le istituzioni

scolastiche a realizzare modelli organizzativo – didattici flessibili finalizzati alla

più efficace esplicazione dell’offerta formativa e al raggiungimento del successo

formativo.

L’autonomia per quanto costituisca un processo auspicabile e necessario per

adeguare il sistema scolastico alla realtà dei tempi, non appare un cambiamento

indolore. D’altro canto sappiamo che ogni cambiamento è complementare alla

resistenza.

Adottare la prospettiva dell’autonomia significa intraprendere un itinerario di

cambiamento dentro l’istituzione scolastica e nei confronti della realtà esterna

perché viene richiesto un nuovo modo e diverso di concepire la progettualità

della scuola e i rapporti con il territorio.

Che cosa ha implicato l’autonomia come nuova prospettiva culturale?

• La promozione della cultura per l’infanzia e per l’adolescenza: la scuola

apre una nuova stagione della vita della persona, promuovendo

potenzialità di autonomia, conoscenza e creatività.

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• La soggettivazione della scuola: la progettualità e la corresponsabilità

comportano il riconoscimento da parte di ogni istituto di essere soggetto

pedagogico ed, in quanto tale, capace di darsi una sua identità, una sua

soggettività formativa. Non solo, perciò, organizzazione amministrativa e

finanziaria, bensì governo di cultura, ricerca/sviluppo.

• Il passaggio verso una logica di corresponsabilità di progettazione e di

pianificazione.

PROGETTAZIONE DI PERCORSI EDUCATIVI.

Progettazione e Pianificazione

Il termine progettare deriva dal latino proìcere (“gettare avanti”), composto di pro

(avanti) e iacere (gettare). Come si vede l’etimo del termine pone in evidenza

l’aspetto previsionale del progetto, ossia ciò che si intende conseguire o realizzare al

termine di un itinerario o intervento.

In ogni caso, ciò presuppone il dare corpo a ciò che non esiste ancora, se non a

livello di desiderio o intenzione.

Il progetto, dunque, è un proiettarsi in avanti, immaginando situazioni, soluzioni e

risultati non ancora presenti ( o meglio, presenti nell’intenzionalità di chi progetta).

Il progetto rappresenta il modo con cui si intende procedere verso il cambiamento (

L.Guasti, P.Plessi , Rapporto sul progetto giovani, Università Cattolica di Brescia

– Provveditorato agli Studi di Piacenza, p.14).

Naturalmente questo proiettarsi in avanti non va confuso con il delirio, perché anzi

uno degli aspetti connessi al progettare è proprio quello di tener conto della realtà,

con le sue risorse, le sue potenzialità, ma anche i suoi vincoli e limiti.

La differenza tra progetto e delirio sta tutto qui: il progetto si misura con la realtà, il

delirio non ha bisogno di confrontarsi con il reale.

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Ma il progettare della scuola è cosa diversa del progettare di altri contesti

professionali, in quanto la scuola non può prescindere dalla realtà dei soggetti

destinatari/attori della progettazione stessa, ossia gli allievi (oltre che della realtà dei

docenti). Questa affermazione determina varie conseguenze sul piano educativo:

a) Un primo aspetto riguarda il carico emotivo e cognitivo richiesto agli allievi

nel processo di apprendimento e di socializzazione. I si riferisce, in altre

parole, a quel carattere di sostenibilità dell’azione progettuale;

b) un secondo aspetto riguarda la cura nella gestione della dimensione

relazionale dell’insegnamento. Porre attenzione a questa dimensione

significa anche considerare il ruolo che esercita la condivisione sociale nella

costruzione della conoscenza e dei significati;

c) un terzo aspetto riguarda il risultato stesso dell’azione educativa che non

può essere concepito solo in termini di “prodotti”; spesso, anzi, la scuola

intende sollecitare l’attivazione di processi (pensiamo, ad esempio, alle

capacità di problem solving), non immediatamente equiparabili ad un

prodotto.

Come si vede, la concezione di progetto in campo educativo è alquanto diversa da

quella del mondo economico e industriale, anche se la scuola può proficuamente

tenere presenti alcuni elementi procedurali di questi contesti per ottimizzare i propri

interventi ( pensiamo ad es. alla rigorosità del percorso metodologico, oppure al

controllo dei risultati, ecc.), ma senza dimenticare che il punto di riferimento

dell’azione progettuale rimane comunque il soggetto che apprende.

Che cosa si intende allora per Pianificazione?

La pianificazione è l’organizzazione coerente ed organica dei diversi progetti

attraverso cui la pianificazione stessa si esplica e si sostanzia; ogni progetto (nel

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nostro caso, ogni progetto educativo) trova giustificazione nel quadro di intendi e di

azioni logiche definite dal piano. ( Il P.O.F. è il quadro di sintesi delle diverse

esigenze dell’istituzione scolastica ma, nello stesso tempo, la matrice da cui

prendono corpo i diversi progetti.

Pianificare significa, quindi, elaborare un disegno complessivo delle azioni che

un’istituzione scolastica intende intraprendere, oltre che considerare le condizioni

(organizzative e materiali) che ne rendono possibile la realizzazione.

La Pianificazione è una sorta di “mappa” dell’identità di un’istituzione; i progetti

costituiscono i caratteri specifici di tale mappa, le forme attraverso cui si realizza e si

estrinseca.

Gli elementi costitutivi di un progetto.

Fatta questa necessaria premessa, possiamo analizzare le fasi significative che

caratterizzano l’elaborazione di un progetto, ossia i passaggi che punteggiano un

discorso progettuale e che costituiscono altrettanti elementi che ci si aspetta di

trovare all’interno di un progetto.

Questi elementi, nel loro insieme, possono essere considerati una sorta di “guida”

all’elaborazione di un progetto e possono contribuire ad ordinare, organizzare e

coordinare i vari “pezzi” della struttura.

Almeno sette sono gli elementi costitutivi di un progetto:

1. Le motivazioni (ossia il perché di un progetto)

Affrontare il “perché” di un progetto vuol dire esplicitare le ragioni che hanno

fatto nascere la proposta progettuale; in altre parole, significa analizzare le

motivazioni che stanno alla base di un progetto.

Un progetto , infatti, non nasce mai dal nulla, ma scaturisce da una storia, da un

retroterra di esperienze, di vissuti, di bisogni.

Nel caso di un progetto educativo, ad esempio, si tratta di esplicitare i problemi

che intende affrontare e di individuare le effettive possibilità di sviluppo. Le

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motivazioni possono scaturire da ragioni istituzionali, ambientali, psicologiche;

in ogni caso rispondono al senso da dare a quello che si fa e al perché lo si fa.

2. Gli obiettivi (ossia dove si vuole arrivare)

Dire che un progetto deve proporsi degli scopi è quasi pleonastico, proprio

perché la stessa definizione di progetto significa “proiettarsi in avanti”, e dunque

identificare una meta da raggiungere.

In realtà si vuole sottolineare la congruenza e la coerenza degli obiettivi di un

progetto in relazione non solo evolutive degli allievi e alle loro effettive

potenzialità, ma anche in relazione alle più generali esigenze formative

dell’istituzione.

In altre parole, l’istituzione esercita una grande azione di filtro e selezione

riguardo alla definizione degli obiettivi, in riferimento alle strutture mentali degli

allievi e alle esigenze pedagogiche e culturali dell’istituzione.

Un’efficace definizione degli obiettivi è possibile se si evitano due contrapposti

rischi: da una il volare troppo alto rispetto alle effettive possibilità degli allievi;

dall’altra il rimanere ancorati a livelli di sviluppo ampiamente superati.

Crediamo che la nozione di zona prossimale di sviluppo, coniata da Vigotskji,

possa aiutare a comprendere il senso di fattibilità di un progetto e degli obiettivi

che si propone di conseguire.

Tutto ciò comporta evidentemente delle conseguenze sul piano operativo che

chiamano in causa direttamente la professionalità degli operatori scolastici; la

conseguenza più evidente è che un discorso progettuale non può prescindere dal

fare i conti con la realtà.

Ciò implica un’attenta lettura della realtà dei soggetti, senza creare indebite

confusioni tra i propri desideri professionali e l’effettiva capacità del soggetto di

raggiungere i risultati previsti.

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Con il termine contestualizzazione possiamo definire quest’azione di ascolto,

lettura e intervento nei confronti della realtà del soggetto; ed è su questo terreno

che può meglio essere apprezzata la capacità degli operatori scolastici di cogliere

e interpretare le sue possibilità e di far emergere le potenzialità.

L’azione della scuola e delle altre istituzioni può essere vista come la ricerca

continua di un equilibrio instabile (cioè provvisorio) tra l’esistente, l’acquisito,

il consolidato, da una parte, e l’ignoto, il nuovo, il possibile, dall’altra. Si tratta

quindi di sollecitare livelli sempre più avanzati di sviluppo, ma senza

dimenticare che occorre fare i conti con la realtà che si ha davanti.

Non si può pensare onnipotentisticamente di cambiare le persone; si può fare

qualcosa si apparentemente più semplice ma che richiede una più alta

professionalità: ossia saper leggere la realtà, intravedervi possibili sviluppi

evolutivi.

3. L’oggetto (ossia il cosa del progetto)

Definire l’oggetto di un progetto ha a che fare con la delimitazione del campo di

intervento e dunque con le scelte che le istituzioni fanno in ordine allo sviluppo

di determinate capacità e competenze.

Tutto ciò è legato anche ai livelli di sviluppo dei singoli soggetti.

Questo problema è legato ad un altro e concerne la prospettiva di lettura che si

adotta nel leggere la situazione degli allievi.

Spesso infatti consideriamo la realtà dei soggetti sotto il profilo della mancanza e

della deficienza, ossia di ciò che essi non sanno fare, e dunque abbiamo adottato

una pedagogia del bisogno, ossia del colmare lacune, del riempire vuoti.

Si può invece adottare una prospettiva delle potenzialità, ossia di valorizzare ciò

che il soggetto sa fare e dunque puntare l’attenzione sugli aspetti di competenza

piuttosto che di lacuna, sul desiderio più che sul bisogno.

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Questa chiave di lettura potrebbe essere utilizzata per scegliere ciò che vale la

pena di sviluppare, ossia il puntare l’attenzione sul potenziamento di ciò che

ognuno sa fare. Questo può anche evitare quelle forme di accanimento

pedagogico che spesso troviamo usate nelle scuole e che tendono a centrare

l’attenzione su ciò che il soggetto non sa fare, rinviando messaggi di

inadeguatezza e di frustrazione.

4. I soggetti (ossia il chi del progetto)

Riguardo all’individuazione dei soggetti che partecipano all’elaborazione e alla

realizzazione di un progetto, è necessario che vi sia una chiara individuazione

delle responsabilità. Il problema più importante da affrontare è quello di

raccordare questi vari interventi sotto il segno della “coerenza”, soprattutto

quando un progetto prevede il concorso di più risorse professionali:

Questo problema risulta ancor più spinoso quando nella realizzazione del

progetto sono coinvolti operatori esterni alla scuola e dove l’azione di

mediazione dei docenti appare dunque ancor più necessaria.

5. Le procedure (ovvero il come del progetto).

Entriamo nel merito delle metodologie e delle forme organizzative.

La categoria della flessibilità, organizzativa e didattica, e la categoria

dell’individualizzazione degli interventi educativi(oggi così presenti) sono

aspetti non nuovi ma che oggi appaiono ancor più attuali in riferimento alla

necessità di far conseguire il pieno successo formativo a tutti gli allievi.

In effetti, quando i parametri di riferimento (didattici, organizzativi e relazionali)

non sono quelli “ordinari”, ma richiedono modelli interpretativi più evoluti e

perfezionati, allora la scuola non può affidarsi alle soluzioni organizzative e

didattiche “ordinarie” ma deve adottare strategie e soluzioni originali e

innovative.

Per essere chiari, il paradigma tradizionale del fare scuola – stratificatosi nel

corso del tempo attorno alla scansione di spiegazione/studio

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individuale/interrogazione – non è più adeguato ad affrontare le sfide poste dalla

società conoscitiva.

Flessibilità e individualizzazione degli interventi devono essere considerati i

due criteri ispiratori di una didattica che voglia garantire il successo formativo

per tutti gli allievi.

6. I tempi (ossia il quando del progetto)

La definizione dei tempi di un progetto è sempre un’operazione complessa e

difficile. Si tratta di ipotizzare di quali tempi hanno bisogno gli allievi per

conseguire le competenze e i risultati attesi.

Occorre anche considerare che i tempi degli allievi non sono in tempi

dell’istituzione; insomma il problema dei tempi e strettamente intrecciato a

quello dell’individuazione degli obiettivi.

Obiettivi troppo ambiziosi (o troppo lontani dalle possibilità dei soggetti)

richiedono necessariamente tempi lunghi ( e in alcune situazioni anche con

tempi molto lunghi non si ottengono i risultati sperati.

La definizione dei tempi è dunque da correlare da una parte alla reale situazione

dei soggetti, dall’altra al tempo che si ha a disposizione; la scuola, ad esempio,

ha tempi predefiniti( un anno scolastico, un ciclo di studi, ecc.). E’ all’interno di

questi tempi che vanno individuati gli obiettivi realisticamente perseguibili.

C’è poi un altro aspetto che riguarda più da vicino la realizzazione del progetto,

ossia la sequenzialità dei tempi e la loro organizzazione in un quadro coerente ed

organico. Alcuni interventi devono essere fatti prima di altri, in quanto ne sono il

presupposto. Si tratta dunque di dare un ordine alle varie azioni e di identificare i

responsabili (dentro la scuola e fuori di essa).

7. La verifica/valutazione (ossia la rilevazione dei cambiamenti)

Anche il problema della rilevazione dei cambiamenti registrati (ossia degli

obiettivi raggiunti) è strettamente collegato a quello della definizione degli

obiettivi. In effetti, possiamo verificare se e in quale misura i risultati attesi

trovano riscontro alla fine di un determinato itinerario educativo – didattico.

In questo caso, però, spesso la scuola si trova a fare i conti con due approcci tra

loro antitetici: da una parte una concezione di valutazione che definiamo

normativa ossia che tende a misurare quanto le prestazioni degli allievi si

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avvicinano ad un quadro predefinito di prestazioni (ad esempio il programma di

insegnamento).

In questo caso, l’insegnante confronta, diciamo così, le prestazioni dell’allievo

con le prestazioni che ci si aspetterebbe di vedere conseguite alla fine di un

determinato periodo di tempo e sulla base di quanto previsto dai programmi di

quel grado scolastico; dall’altra una concezione di valutazione che possiamo

definire idiografica, nel senso che i confronti vengono fatti non tra le prestazioni

degli allievi e quelli predefiniti dal programma di studi, ma tra il prima e il dopo

delle prestazioni dello stesso allievo.

In altre parole, la valutazione è riferita a quanto l’allievo ha conseguito rispetto

alla sua personale precedente situazione e non in riferimento al quadro di

competenze predefinite.

Il metodo dei progetti: un accenno all’origine e agli sviluppi

La pedagogia per progetti venne teorizzata da William Herd Kilpatrick in The

Project Methods nel 1916, partendo dall’impianto deweyano:

• Il soggetto è attivamente attore dell’evento educativo e del suo

apprendimento, attraverso la sua naturale propensione all’attività operativa e

alla ricerca esplorativa;

• L’apprendimento avviene per scoperta ed i suoi risultati non possono essere

stabiliti a priori;

• L’educatore non è un trasmettitore, bensì svolge quella che oggi chiamiamo

azione di regia educativa, nel senso che è mediatore, facilitatore,

catalizzatore della ricerca.

Lo studio di Kilpatrick è molto attento agi aspetti metodologici, ma soprattutto

alle ricadute qualitative dell’educazione nella società e alle istanze filosofiche,

nell’ambito delle quali si avverte la matrice deweyana, arricchita dalla

complessità dell’ idea di progetto e del valore dell’intenzionalità.

L’innovazione risponde alla precisa volontà tipica della società americana del

tempo di agire in termini di efficienza ed efficacia.

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Kilpatrick distinse quattro tipologie di progetti, in stretta interdipendenza ed in

ciascuna traspare quanto il metodo permetta al soggetto protagonista l’esercizio

della decisione, si tratta di un protagonismo reale, che gli permette il

raggiungimento della metico etico-sociale ed il ruolo dell’insegnante assume la

funzione di regista, costruttore di morale:

• Il progetto di produzione: mediante il quale l’alunno si impegna ad

impostare prima e a realizzare poi un’esperinza;

• Il progetto di consumazione: impegna l’allievo nell’utilizzazione

razionale di ciò che si è prodotto o di ciò che si ha a disposizione;

• Il progetto di problema: o ricerca intellettuale: impegna l’allievo nella

ricerca di particolari difficoltà o nella definizione di ciò che si è appreso

nell’esperinza;

• Il progetto di apprendimento specifico: spinge l’alunno al

conseguimento tramite esercizio di abilità specifiche o alla qualificazione

sempre più particolare di propositi personali.

L’iter metodologico Kilpatrickiano è articolato in quattro fasi:

• Fase dell’ideazione, durante la quale emerge l’idea che costituirà il “file

rouge” di tutto l’iter;

• Fase del programma in cui ci si rappresenta un “piano d’azione”

completo, coerente, fattibile, in cui si precisano obiettivi, tempi, soggetti,

risorse, modalità;

• Fase dell’attuazione che sancisce il momento in cui avviene la

trasformazione in atto del proposito attraverso una serie di operazioni

legate all’idea iniziale;

• Fase del giudizio è la fase della considerazione e verifica dei risultati,

per essere, poi, in grado di valutare un possibile trasferimento che genera

un reale cambiamento dell’esistente, trasferimento, garante della

validazione del progetto.

Il progetto è stato e continua ad essere utilizzato, ha segnato una svolta

notevole, basti pensare, appunto alla scuola dell’Autonomia, ed ai PEI precedenti.

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Progetto

Alla base dell’dea di progetto ci sono almeno quattro connotazioni essenziali:

• L’idea di intenzionalità, motivazione ad una diversa visione del mondo con piste di

senso: progetto, quindi, in quanto processo orientato;

• L’idea di relazione, qualsiasi esperienza educativa è sempre un rapporto “intimo

legame tra il soggetto e l’oggetto, tra la coscienza e la realtà;

• L’idea di possibilità, in quanto nessuna concezione deterministica è intrinseca

all’idea di Progetto;

• Il riferimento ad un orizzonte di temporalità futuro .

Derivano da qui le seguenti conseguenze:

• Il progetto è anticipazione rispetto a ciò che avverrà in futuro;

• La categoria intrinseca della “possibilità” chiama in causa la “soggettività” di

chi progetta, la sua autonomia, la capacità di abbandonare concezioni e

procedure deterministiche, sapendosi muovere entro l’ambito del possibile e

dell’incerto;

• Il progetto è espressione di forte intenzionalità;

• Il progetto è assunzione di cultura decisionale;

• Il progetto comporta costruzione del problema;

• Il progetto implica assunzione del “disordine” come elemento costitutivo;

• Il progetto si costruisce come processo, con un andamento che va dal

possibile al reale, assumendo come tratti caratteristici quelli della previsione,

dell’anticipazione e della creatività.

Indicatori di qualità nella progettazione scolastica.

Alcuni possibili indicatori di qualità da tenere presenti nella progettazione

scolastica sono:

• La flessibilità (le scelte innovative compiute da ciascuna scuola rispetto

alle attività didattiche, organizzative, curricolari ed extracurricolari). Il

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principio di flessibilità può essere considerato il filo conduttore di tutta

l’impalcatura dell’autonomia. Essa può dunque riguardare curricoli,

docenti, allievi, tempi, ecc. Va però rimarcato che tutti questi interventi

devono avere un “senso” all’interno del più generale progetto educativo

della scuola. Proprio perché questi elementi definiscono il contesto entro

cui avviene la relazione educativa, è importante recuperare il senso di

intenzionalità e progettualità che essi assumono nell’azione educativa.

In altre parole gli interventi delle scuole dovrebbero essere finalizzati alla

definizione di modelli didattico-organizzativi flessibili e idonei a perseguire

il raggiungimento del successo formativo per tutti gli allievi.

La flessibilità risponde ad un’esigenza etico-progettuale in quanto mira a far

sì che tutti gli allievi raggiungano i migliori risultati possibili attraverso la

predisposizione di itinerari didattico-educativi coerenti con i lori ritmi di

apprendimento.

Va tenuto costantemente presente che la flessibilità è lo strumento che la

scuola utilizza per meglio favorire i processi di crescita educativa di tutti gli

allievi, valorizzando le diversità e promuovendo le potenzialità di ciascuno.

• L’ integrazione ( la coerenza progettuale delle diverse iniziative, nonché

gli aspetti di relazione costruttiva e funzionale della scuola con le

comunità locali);

La dimensione dell’integrazione assume due diverse e concomitanti

direzioni: all’interno dell’istituzione scolastica e nei confronti dell’esterno.

La scuola esprime la propria azione attraverso una pluralit di progetti,

interventi, itinerari educativi: ma tutto questo richiede un’attenta opera di

raccordo e integrazione per evitare la frammentarietà e la schizofrenia dei

processi decisionali.

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• La responsabilità (investe i processi decisionali attivati da ciascuna

scuola, nell’ambito della propria discrezionalità e attraverso il

coinvolgimento di tutte le componenti. Tale responsabilità si esplica

attraverso una analisi di fattibilità e l’individuazione degli strumenti per

raggiungere gli obiettivi formativi di cui rendere conto attraverso

procedure di autovalutazione e verifica interna, indicandone tempi, criteri

e modalità utili anche ai fini delle successive azioni di monitoraggio

previste dall’Amministrazione.

Il principio di responsabilità investe vari livelli, esso va collegato alla

predisposizione di itinerari formativi congruenti con le possibilità di

apprendimento degli allievi.

Ciò implica l’elaborazione di proposte progettuali “sostenibili” per gli

allievi, sia sul piano cognitivo che su quello emotivo.

Si tratta in particolare di:

• Definire obiettivi didattici adeguati alle condizioni degli allievi;

• Tenere conto che le condizioni dell’educatore (l’articolazione del tempo

scolastico, le forme di aggregazione dei bambini, la mediazione didattica,

ecc.) influenzano fortemente gli esiti educativi;

• Modulare gli interventi didattici in relazione agli stili cognitivi degli

allievi, anche attraverso l’utilizzo di codici plurimi e differenziati.

Si tratta, in altre parole, di superare la logica della progettazione per ambiti

separati per pervenire invece ad una forma integrata delle proposte, all’interno di

un quadro coerente ed unitario.

Occorre dunque considerare la correlazione esistente tra le singole proposte ed il

Piano nel suo complesso, e il grado di coerenza tra le prime e il secondo.

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SCHEMA DI PROGETTO

1) Motivazioni………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………

………………………

2) Obiettivi…………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………

………………………

3) Oggetto……………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………

………………………..

4) Soggetti……………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………

………………………

5) Procedure…………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………

………………………..……………………………………………………………

………………………..

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6) Tempi……………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………

………………………..

7) Verifica/Valutazione……………………………………………………………

……………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………

……………………….

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INDICATORI DI QUALITA’ PER L’EDUCAZIONE AMBIENTALE

La valutazione delle esperienze di educazione ambientale è una necessità, soprattutto

interna, comune a tutte le forme di innovazione; un confronto, una verifica dei propri punti

di partenza e dei propri percorsi con degli elementi esterni, fondati però su un modello

condiviso, e quindi su valori comuni, non possono che accrescere la qualità dell’educazione.

L’educazione ambientale proprio perché vuole trattare il complesso e visibile, non può

correre il rischio adottando metodi di valutazione rigidi e quantitativi, di trascurare gli

elementi che più la caratterizzano.

Per valutare la qualità dei progetti di educazione ambientale occorre quindi individuare

quegli elementi caratterizzanti, quegli indizi, quegli indicatori infine che corrispondono a

tratti distintivi e pertinenti del percorso di educazione ambientale.

Con il termine indicatore si utilizza un termine e un concetto che si sta largamente

diffondendo nella ricerca comparata sui sistemi e i processi educativi, sia all’interno di una

singola nazione sia tra nazioni diverse.

Lo scopo di un sistema di indicatori per valutare la qualità dei progetti di educazione

ambientale non è quello di giudicare né di selezionare, ma quello di offrire al confronto e al

dibattito,all’interno e all’esterno dell’istituzione ambientale,un identikit di quello che

dovrebbe essere un progetto di buona qualità.

Ben sapendo che come tutti gli identikit non rappresenta fedelmente nessun progetto reale,

ma che stabilisce un elemento di confronto e di autovalutazione per quegli insegnanti che

guardano all’innovazione come ad un processo di ricerca – azione.

L’educazione ambientale richiede l’esplicitazione delle proprie convinzioni profonde e, tra

queste, di valori che sono in larga parte in contrasto con quelli dominanti, in maniera

largamente implicita, all’interno della società in cui viviamo. Sono fondamentali tra questi:

• La coscienza che l’uomo fa parte della natura e ne ha bisogno sia per la sua

sopravvivenza fisica sia per il suo benessere mentale e psicologico, e quindi il

rifiuto delle posizioni riduttivamente antropocentriche su cui si basa il nostro

sistema economico;

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• la responsabilità verso la specie umana, attuale e futura, e quindi la ricerca di

una società sostenibile, sia dalla specie umana sia dal pianeta, come

contrapposta alla crescita illimitata di popolazione, di produzione, di consumi,

di sfruttamento delle risorse. La coscienza quindi che questo è l’unico pianeta

che abbiamo, e che dobbiamo collaborare e non competere per poterci vivere

nella migliore maniera possibile;

• la coscienza che scienza e tecnologia non possono essere uno strumento per lo

sfruttamento della natura ad esclusivo, e momentaneo, vantaggio dell’uomo, ma

solo uno degli strumenti che permettono una maggiore integrazione tra uomo e

natura;

• il rispetto verso le differenze e anzi la loro valorizzazione nella convinzione che

la variabilità, naturale ma anche sociale e culturale, costituisce sempre una

ricchezza, una assicurazione per il futuro che va gelosamente conservata.

Gli indicatori selezionati sono, pertanto, i seguenti: scuola – territorio, complessità,

lavoro sul campo, trasversalità, ricerca – insieme, relazione gruppo – scuola,

cambiamento, flessibilità, valorizzazione delle differenze, qualità dinamiche.

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Primo Indicatore

SCUOLA – TERRITORIO

CONCRETEZZA RILEVANZA SOCIALE

COMPLESSITA’ LAVORO SUL CAMPO

Il primo indicatore è dato dalla concretezza e rilevanza locale dell’azione educativa

proposta, sia dal punto di vista degli studenti, che da quello della comunità locale, che

dall’azione che può essere effettivamente svolta sul territorio.

Questo indicatore vuole allora descrivere l’esperienza nei suoi principali elementi operativi,

rapporto scuola territorio, lavoro sul campo, tenendo però presente anche il contesto

concettuale all’interno del quale l’esperienza viene proposta, e quindi i diversi piani,

affettivo, cognitivo, sociale o valoriale, coinvolti, le strutture concettuali e l’approccio

sistemico proposti per una educazione alla

complessità.

L’aspetto SCUOLA – TERRITORIO è centrale per l’educazione ambientale; il territorio

non costituisce solo il campo d’indagine ma anche il luogo in cui compiere esperienze

significative, sia di ricerca sul campo che di rapporti sociali in cui la collaborazione con i

referenti esterni e le responsabilità che un progetto si assume verso la società sono elementi

profondi di innovazione scolastica.

La COMPLESSITA’ è uno degli aspetti della complessità ( dopo libri e dibattiti che in

questi anni hanno trattato il tema della complessità bisogna decidere cosa portare nella

scuola e in che modo) intrinseco ad ogni progetto di educazione ambientale è la capacità di

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cogliere relazioni sul piano spazio temporale, attraverso un passaggio dal locale al globale,

coinvolgendosi come soggetto sia sul piano emotivo sia sul piano razionale: senza

rinunciare alla complessità del proprio io.

Il primo indice locale – globale è presente in quasi tutti i progetti: dal riutilizzo della carta

alla depurazione delle acque, dall’analisi del fosforo alla salvaguardia di una zona verde, la

concretezza e localizzazione del problema si agganciano immediatamente con i problemi

più ampi e generali. L’indicatore della complessità non può essere limitato solo a

quest’indice, infatti dai progetti stessi giungono conferme e allargamenti, segno di un

approfondimento all’interno del progetto dei diversi aspetti della complessità.

Il LAVORO SUL CAMPO è condizione essenziale necessaria anche se non sufficiente per

un progetto di educazione ambientale. Oltre però a sapere se effettivamente si va sul campo

un numero di volte significativo, è anche importante sapere cosa si fa e come. L’indicatore

complessità suggerisce infatti accanto alla raccolta dei dati il più neutrale ed oggettiva

possibile che di solito viene proposta, momenti percettivi, di pura ricezione e contatto,

momenti esplorativi ludico avventurosi, momenti di lettura sistemica in cui si faccia

attenzione al tutto e non solo alle parti che si è deciso di analizzare.

Secondo Indicatore

TRASVERSALITA’

INNOVAZIONE EDUCATIVA

RICERCA INSIEME RELAZIONI TRA GRUPPO

E SCUOLA

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Il secondo indicatore di campo è dato dall’innovazione educativa di cui il progetto si fa

portatore, i cambiamenti nell’organizzazione della scuola e del lavoro scolastico, in termini

di metodi e contenuti dell’insegnamento apprendimento e di relazioni interpersonali che il

progetto contribuisce a determinare.

All’interno dell’innovazione gli elementi su cui l’educazione ambientale sembra avere un

ruolo determinante sono la trasversalità delle iniziative, e quindi il colloquio tra le

discipline, ma anche il colloquio tra gli insegnanti come portatori non solo di conoscenze

ma di valori e convinzioni che vanno confrontati.

Altri elementi determinanti sono la possibilità di fare ricerca insieme, studenti e insegnanti,

confrontandosi e coinvolgendosi in percorsi didattici aperti e sempre in una certa misura

imprevedibili, e anche il rapporto che si instaura tra un gruppo di lavoro e scuola nel suo

insieme.

La TRASVERSALITA’, caratteristica dell’educazione ambientale, predisciplinare e

interdisciplinare; anche se questo non vuol dire che deve essere portata avanti in equipe

basta che il singolo insegnante si ponga in un atteggiamento trasversale alle discipline

ricorrendo quando necessario agli esperti.

La RICERCA – INSIEME costituisce un punto d’arrivo quasi il riconoscimento di una

avvenuta profonda modifica nel processo di apprendimento.

La RELAZIONE TRA IL GRUPPO E LA SCUOLA ovvero la presenza di un gruppo,

studenti e insegnanti, in educazione ambientale modifica sempre l’organizzazione e la

struttura tradizionale della scuola. Se così non fosse mancherebbe un requisito

fondamentale, un indicatore implicito che lega in rete i diversi settori esaminati: la

coerenza. ( deve divenire per essere credibile un coerente modello ambientale, come

ambiente fisico, come ambiente sociale come ambiente culturale).

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Terzo Indicatore

IL CAMBIAMENTO

FLESSIBILITA’ VALORIZZAZIONE DELLE

DIFFERENZE

QUALITA’ DINAMICHE

Il terzo indicatore analizza il percorso del cambiamento individuale che viene messo in

atto dal percorso educativo, insieme ai processi che vengono attivati, e ne confronta la

coerenza con le iniziative ambientali contemporaneamente assunte.

Di grande importanza è l’attenzione al cambiamento, di conoscenze, di atteggiamenti, di

valori e comportamenti, come finalità educativa ma anche come analisi degli approcci e

strategie utilizzati per produrlo, e alla consapevolezza delle convinzioni di partenza e di

arrivo, nonché dei percorsi che hanno prodotto il cambiamento.

Indicatori che mostrano la coerenza tra i percorsi educativi e il modello di educazione

ambientale sono la flessibilità come attenzione a raccogliere gli elementi inaspettati e a

tenerne conto lungo il percorso, la capacità di valorizzare le differenze sia nei percorsi

individuali di conoscenza sia nei rapporti che si instaurano nei gruppi, sia infine come

educazione all’incertezza e alla conflittualità, e lo sviluppo delle qualità dinamiche delle

capacità di agire autonomamente e responsabilmente, di prendere decisioni, di convivere

con l’imprevedibilità del reale.

I primi due indicatori disegnano un immagine sincronica del progetto nei suoi diversi

aspetti: esterno e interno alla scuola, il terzo segue diacronicamente il percorso.

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Gli indicatori nel loro insieme costituiscono una rete i cui intrecci vanno al di là del singolo

indicatore di campo, e variano, come importanza, all’interno delle diverse fasi del progetto,

permettendo di costruire reti di relazioni e gerarchie differenti.

Il sistema degli indicatori è molto più della somma delle sue parti e, una volta individuati gli

indicatori presenti in un progetto, e quelli più importanti, i punti caldi, altre letture e quindi

altre reti diventano possibili.

Il sistema degli indicatori consente altresì alcune chiavi di lettura.

La coerenza:l’insieme di indicatori permette di riconoscere se c’è coerenza tra l’approccio

al territorio e l’innovazione scolastica e tra questo e il percorso educativo proposto. La

coerenza tra le fasi del progetto, tra esperienze e conoscenze, tra conoscenze e valori e tra

questi e il comportamento. La coerenza è infine la coerenza del gruppo e del progetto con i

valori che sono stati riconosciuti come fondamentali.

Una seconda chiave di lettura è data dalla complessità: si può riconoscere se la complessità

è vista solo nella sua dimensione culturale o se all’interno del progetto vi è una ricerca per

una complessità di approccio, per un coinvolgimento di piani diversi, cognitivo,

socioaffettivo, ecc, per una complessità di organizzazione del lavoro, modello per una

complessità di relazioni sociali, o infine per una complessità del percorso educativo, unico,

organico, imprevedibile, e sicuramente irreversibile.

Una terza chiave di lettura è la ricerca del processo di trasformazione che il progetto mette

in atto: la trasformazione delle strutture scolastiche, sul piano degli spazi e

dell’organizzazione, e la trasformazione dei rapporti interni alla scuola e alla classe; la

trasformazione dell’individuo, dell’insegnante e dell’alunno coinvolto nel progetto e quindi

anche nella revisione e messa in discussione dei propri valori e dei propri comportamenti.

Queste sono tre chiavi di lettura, tre reti possibili ma altre possono essere trovate a seconda

delle domande che poniamo al sistema di indicatori.

Ogni insegnante, ogni progetto può rileggere se stesso all’interno di queste reti, e scoprire,

se vuole, quali sono rispetto alla propria scala di valori, i maggiori pregi e le più gravi

carenze del progetto che sta portando avanti.

L’educazione ambientale, intesa quale processo educativo idoneo a sviluppare nuove

conoscenze non disgiunta dall’assunzione consapevole di nuovi comportamenti, appare,

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dunque, sempre più il paradigma pedagogico-concettuale a cui molte scuole ispirarono il

proprio slancio progettuale nella costruzione di itinerari multidisciplinari e innovativi.

Sullo statuto epistemologico dell’educazione ambientale e sulle sue valenze formative, in

questi ultimi anni si è sviluppato un acceso dibattito che ha contribuito a precisare e a mettere

a fuoco alcuni aspetti essenziali della riflessione pedagogica a questo riguardo, valorizzando

in primo luogo quelle qualità dinamiche che sono il denominatore più interessante delle

migliori esperienze messe in atto sul territorio nazionale.

Tali esperienze delineano una mappa estremamente diversificata e frastagliata per genesi,

spessore, tipicità, ricaduta e qualità.

Esse, comunque, sembrano avere in comune un orizzonte di senso e prospettiva che le

inquadra in una stagione di sperimentazioni ormai consolidata e “matura” , alla quale ci si

può rivolgere con approccio indagatore per tentarne di configurare, in un quadro

necessariamente composito, le linee progettuali e i punti di forza più rappresentativi.

Dalla ricerca ISFOL sugli “indicatori di qualità” presenti in modo più o meno esplicito nei

progetti di educazione ambientale risulta che tali fattori ricorrenti ed esemplificativi di un

itinerario didattico correlato all’ambiente sono:

- la concretezza e la rilevanza locale (valore fondamentale del “vicino”, direttamente

attingibile ed esperibile);

- l’innovazione educativa ( perseguimento del cambiamento orientato ad una migliore

realizzazione degli obiettivi);

- il rapporto scuola-territorio ( legame con il contesto di riferimento con cui si creano e si

mantengono rapporti circolari);

- la complessità ( pensare per variabili, pensare per relazioni);

- il lavoro sul campo ( raccolta dei dati sul territorio, favorire situazioni e mentalità

esplorative ed euristiche);

- la trasversalità ( approccio sistemico e interdisciplinare);

- la ricerca insieme ( i tradizionali ruoli- ricercatore, insegnante-alunno lasciano il posto al

“ricercare insieme”);

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- le relazioni tra il gruppo e la scuola (il gruppo di ricerca attiva “movimento” verso

l’intera istituzione scolastica e verso l’extra-scuola aprendosi alla verifica dei propri

modelli, processi, percorsi);

- il cambiamento (modifica degli stili relazionali e comportamentali);

- la flessibilità ( disponibilità alla messa in discussione dei propri paradigmi);

- la valorizzazione delle differenze (pluralismo, ricerca di concordanze, rispetto della

divergenza, un tendere conoscitivo verso l’altro da sè).

Gli indicatori di qualità costituiscono una rete spesso sottesa al progetto educativo- i cui

segmenti, variamente presenti e combinati sono la struttura concettuale, l’atmosfera o

humus, in cui si riconosce quella particolare comunità docente nel momento in cui assume e

definisce il proprio progetto educativo e la filosofia che lo ispira.

La pluralità di strategie che l’educazione ambientale può attivare attiene sia alla dimensione

cognitiva sia a quella affettiva, in un intreccio inscindibile di richiami, rinforzi e legami.

All’interno di queste due macrocoordinate le implicazioni formative che ne possono derivare

sono dunque molteplici; esse muovono da un rinnovato e consapevole senso di appartenenza

al proprio ambiente di vita, fino ad attivare la capacità di pensare globalmente, partecipando

delle cose del mondo , guardate e riscoperte per interrelazioni e variabili.

E’ evidente come gli indicatori di qualità sopra riportati non abbiano esclusivo riferimento

con l’educazione ambientale ma, più strategicamente, con l’intera intelaiatura del “progetto

scolastico”: obiettivi, discipline, metodologie, percorsi attuativi, struttura organizzativa,

moduli curricolari, tempi, raccordo con il territorio, orientamento....tutte quelle variabili,

insomma , che fanno della scuola un sistema ad alta complessità, responsabile di un’offerta

formativa che va continuamente adattata e rinegoziata attraverso il tessuto sociale, entro

coordinate di flessibilità culturale, didattica e organizzativa.

Se agli indicatori processuali e metodologici che abbiamo voluto richiamare si aggiungono

alcuni dei più cruciali indicatori qualitativi derivati dal quadro di riferimento teorico

dell’educazione ambientale, quali

- Sviluppo sostenibile

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- Finitezza delle risorse

- Approccio sistemico

- Conservazione della biodiversità

- Senso del limite

- Coerenza pensiero-azione

- Intreccio esperienza-conoscenza

Ci si accorge, così, di quanto ricco e sfaccettato possa essere il contributo che una didattica

dell’ambiente offre alla scuola e all’ampliamento della professionalità docente nei termini di

una cultura della flessibilità e della creatività.

E questo, sia a livello di scelte valoriali (idea di sviluppo, di uomo e di cittadino, ecologia

profonda, , autoformazione, interattività, relazioni spazio-temporali), sia riguardo alle scelte

didattico-metodologiche ( progettualità, collegamento tra sperimentazione e ricerca,

approcci-esperienziali, sensoriali, narrativi, scientifico-laboratoriali, sperimentali, cognitivi,

coerenza programma – programmazione - azione,lavoro di gruppo, interazione scuola-

territorio, moduli sperimentali, adozione di ambienti...), sia, infine, sul piano dell’impatto con

la realtà esterna e con il contesto tecnologico ( rapporto con il mondo del lavoro,

l’innovazione, l’orientamento, la formazione professionale, le istituzioni...).

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La valutazione nei progetti di Educazione Ambientale

Parlare di qualità , soprattutto di qualità di sistemi educativi, pone immediatamente il

problema della valutazione. Per molti decenni in Italia la valutazione comparativa tra

sistemi scolastici si è limitata al confronto di indici statistici, ad es. il numero di allievi per

insegnanti, le risorse per allievo,ecc. spesso poco significativi ed in ogni caso insufficienti a

descrivere le diverse situazioni.

Alcuni anni dopo, nelle conferenze di Washington nell’87 e a Poitiers nell’88 si è

cominciato a richiedere la messa a punto di un sistema di indicatori scolastici validi sul

piano internazionale, e sempre nell’88 è nato ad opera dell’Ocse e del suo comitato per

l’istruzione, il Ceri un progetto di ricerca per la definizione e la sperimentazione nei diversi

sistemi scolastici di <indicatori di qualità dell’istruzione>.

Parlare di valutazione in campo educativo vuol dire parlare di qualcosa che si pensa di

conoscere da sempre, eppure è solo negli ultimi anni che le attività di valutazione hanno

cambiato completamente di status: dalla valutazione come giudizio delegato a chi aveva il

ruolo o l’autorità per esprimerlo –il docente, il capo d’istituto, l’ispettore – si è passati ad

attività di raccolta dati, descrizione, interpretazione che richiedono ricerca, approfondimento

continuo, riflessione.

Gli indicatori di qualità, in un'ottica di mercato e di produttività, sono infatti quasi sempre

concepiti come indicatori statistici, numeri, quantità, capaci di valutare la qualità di qualsiasi

cosa a codesto “giudizio”venga sottoposto: dall’automobile alla sanità, alla scuola, ecc.

La qualità – di per sé non misurabile – non viene negata, ma viene rappresentata, indicata,

attraverso quantità. Anche nelle recenti proposte europee di indicatori per l'istruzione, gli

indicatori proposti sono numeri la cui correlazione con i significati che dovrebbero esprimere

è quanto meno discutibile (per es. il numero di corsi d'aggiornamento offerti agli insegnanti in

un anno non è di per sé segno di qualità nella formazione degli insegnanti).

In Italia d’altra parte, il termine ‘indicatori di qualità’ è stato utilizzato nell'educazione

ambientale in associazione al “paradigma indiziario”, proposto dallo storico Carlo Ginzburg

come paradigma della ricerca storica e sociale in contrapposizione con il paradigma

‘galileiano’ proprio delle scienze naturali.

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In un paradigma indiziario non contano solo le similarità, quelle che permettono di

riconoscere strutture comuni e di generalizzare quindi le conclusioni, ma le differenze, i segni

più o meno evidenti che permettono di ricostruire quello che è accaduto o di avere indizi su

quello che accadrà.

Il paradigma indiziario non solo ha origini antiche - ed è infatti al centro di storie e novelle

dalle Mille e una Notte a Sherlock Holmes – ma è ancora, al giorno d’oggi, il paradigma che

guida il lavoro non solo dello storico o dello psicologo, ma anche del paleontologo o del

medico.

Valutare attraverso un sistema di indicatori viene infatti spesso paragonato ad una diagnosi

medica, ad un check–up, ad un processo cioè che, anche se si basa su una serie di dati il più

possibile documentabili e osservabili, è essenzialmente un processo di interpretazione, che da

un lato ricorre a modelli e teorie e dall’altra ha bisogno di una larga base di esperienza.

A seconda delle rappresentazioni del mondo alle quali si ispirano e del significato che si

attribuisce alla valutazione e alle sue caratteristiche, gli indicatori di qualità possono allora

offrire una metodologia di analisi che risulta ‘isomorfa’ alla complessità e alla variabilità dei

progetti di educazione ambientale e coerente con un approccio socio - critico alla valutazione.

Perché questo accada i sistemi di indicatori devono però rispondere ad alcune caratteristiche:

• Gli indicatori devono riferirsi esplicitamente ad una ‘filosofia di educazione

ambientale’, un quadro di riferimento fondato teoricamente su sistemi di valori e

praticamente su esperienze di educazione ambientale.

• Gli indicatori devono essere, di preferenza, indicatori compositi e qualitativi, costituiti

da altri indicatori e organizzati in indizi che possano essere documentati con chiarezza.

• Gli indicatori devono essere definiti utilizzando sia una metodologia top-down,

ricavando cioè alcuni indicatori dagli assunti teorici e dai valori di partenza, sia una

metodologia botton up, individuando cioè gli indicatori all’interno delle esperienze

concrete e con l’aiuto di coloro che le stanno portando avanti. Questo vuol dire che,

anche se il sistema di indicatori può essere condiviso a livello locale, regionale o

nazionale, la sua articolazione in indizi documentabili dovrà sempre tener conto dei

contesti e delle situazioni concrete, e creare quindi tavoli di negoziazione e

collaborazione tra i soggetti e le istituzioni interessati, così da garantire il rispetto delle

diversità delle concezioni e delle pratiche di EA.

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• Gli indicatori e gli indizi devono essere esplicitati e negoziati sia a priori sia durante la

valutazione, e devono poter essere usati come sostegno per la costruzione e lo

svolgimento di iniziative e progetti.

• Gli indicatori non solo accettano, ma richiedono di essere continuamente aggiornati:

costituiscono non un sistema statico, ma un sistema dinamico, in continua evoluzione.

Un sistema di indicatori di qualità così inteso offre uno strumento che sintetizza e in

qualche modo specifica una filosofia di Educazione Ambientale che, per essere comune

e condivisa, cioè essere effettivamente il punto di riferimento ed il cemento di un

sistema di rete, va costruita assieme e sentita come propria dalle varie parti della rete.

Un sistema siffatto non può allora essere utilizzato come uno strumento fatto per

selezionare, ma deve essere considerato in primo luogo come una mappa che aiuta a

riconoscere dove ogni progetto si colloca rispetto ad un orizzonte qualitativo comune

che si è d'accordo nel raggiungere.

Sembra quindi possibile affermare che, pure sostenendo la necessità e la ricchezza delle

diversità come fonte di evoluzione e cambiamento, ci siano però oggi quadri di

riferimento e percorsi di pensiero e di comportamento dai quali non si può prescindere e

che possono costituire la base comune sulla quale fondare un sistema di indicatori, o

criteri, di qualità per l’educazione ambientale.

Facendo riferimento alla Carta dei Principi di Fiuggi e ad altri documenti internazionali

è possibile stabilire alcune posizioni condivise e condivisibili, su cui fondare un

possibile sistema di indicatori regionale o nazionale:

• In un mondo globale e globalizzato l'educazione ambientale deve fornire uno

strumento di comprensione del presente e di immaginazione di futuri possibili, ed essere

quindi concepita come una educazione al cambiamento - non tanto o non solo delle

modalità di relazione tra uomo e ambiente - ma soprattutto delle modalità di 'pensare'

l'ambiente e di immaginare nuove relazioni.

• L'educazione ambientale accetta di affrontare l'apparente contraddizione tra globale

e locale, e contribuisce a costruire il senso di identità e di appartenenza e a radicare

una pratica della cura e della manutenzione - del pianeta, del territorio e delle relazioni

sociali - fondamentale per la formazione di una cittadinanza attiva.

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• L'educazione ambientale si fonda su processi di partecipazione e di mediazione,

affronta i conflitti accettando anche di non risolverli, e riconosce come prioritari i

processi di costruzione di relazioni e rappresentazioni comuni rispetto alla soluzione

rapida dei problemi.

• L'educazione ambientale deve esser orientata, implicitamente e esplicitamente, alla

costruzione di una società sostenibile, e non può quindi riguardare conoscenze

disciplinari o specialistiche avulse dai contesti locali e dalle azioni concretamente

possibili.

• L'educazione ambientale deve proporre contesti e metodologie coerenti con una

modalità di costruzione delle conoscenze che rispetti non solo la complessità e

l'incertezza dei fenomeni sociali e naturali ma anche la complessità dell'individuo e

l'incertezza del suo apprendimento.

• L'educazione ambientale riconosce la ricerca e la riflessione sulla pratica come

strumento principale per la propria evoluzione e il proprio sviluppo, accetta i vincoli e le

possibilità di errore come parte intrinseca dei propri processi evolutivi, e utilizza i

processi di valutazione ed autovalutazione per procedere nell'incertezza.

• L'educazione ambientale deve essere diffusa sul territorio, integrata ad altre

'educazioni' con obiettivi simili, e estesa a tutte le età e i ruoli. In questa concezione

l'educazione è vista come lo strumento principale dell'umanità per la costruzione del

proprio futuro, non riducibile di conseguenza ad un insieme rigido di tematiche,

procedure, metodologie, ma aperta all'incertezza e all'immaginazione.

Bibliografia

ISFOL, Educazione ambientale:gli indicatori di qualità, Milano, Franco Angeli,1991;

Atti del Seminario INFEA S.Sofia ( 27/28 Novembre 2003); G. Cerini, D. Cristanini, A scuola di Autonomia, Napoli, Tecnodid, 1999.

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Educazione Ambientale: dimensione pedagogica e dimensione didattica

(Docente T.Iaquinta)