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ORGANO UFFICIALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI GERONTOLOGIA E GERIATRIA Anno IX - N. 2 Giugno 2011 TRIMESTRALE ISSN 1723 - 7750 I luoghi della cura 2/2011 Poste Italiane S.p.A. In caso di mancato recapito, rinviare a Roma Romanina Stampe, per la restituzione al mittente previo addebito pagamento resi 0262 i Luoghi della cura 2_11:- 27-06-2011 14:48 Pagina 1

I luoghi T Giugno 2011 · 2018-04-13 · di una valutazione multidimensionale con la predispo-sizione di un piano di assistenza individuale ... avranno la possibilità di seguire

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ORGANO UFFICIALE DELLASOCIETÀ ITALIANA DI GERONTOLOGIA E GERIATRIA

Anno IX - N. 2Giugno 2011TRIMESTRALE

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EDITORIALEVincent Mor a Brescia: «Dopo l'acuzie: possibili modelli di cura per l'anziano»Renzo Rozzini, 4

ASPETTI CLINICO ASSISTENZIALILa danzaterapia metodo TRASMUDA®

nella riabilitazione della malattia di ParkinsonAntonino Frustaglia, Renata Righetti e collaboratori, 6

La musica e le attività della vita quotidiana: l’esperienza di un Nucleo Alzheimer Nicola Berruti, Anna Maria Scotuzzi, Monica Capra, Gianbattista Guerrini, 11

MATERIALI DI LAVOROLa costruzione partecipata del Codice Etico, degli impegni e delle relazioni dell’Azienda di Servizi alla Persona Golgi-Redaelli di MilanoAdriano Benzoni, Graziano Maino, 16

SPUNTI DI DIBATTITOCaratteristiche e specificità del lavoro con gli anziani: il caso degli Assistenti SocialiCarla Facchini, 20

ASPETTI GESTIONALI NON CLINICICure domiciliari e indicatori di bisogno nella popolazioneAntonio Guaita, Georgia Casanova, 22

Ricerche multicentriche in RSARenzo Bagarolo, 28

Direzione scientifica: Antonio Guaita, Francesco Landi, Ermellina ZanettiComitato editoriale:Renzo Bagarolo, Giovanni Bigatello, Stefano Boffelli, AnnaCastaldo, Chiara Ciglia, Mauro Colombo, Carla Facchini,Antonino Frustaglia, Cristiano Gori, Gianbattista Guerrini,Renzo Rozzini, Marco Trabucchi, Daniele VillaniDirettore responsabileAndrea SalvatiSegreteria di redazioneIole Di Francesco - [email protected] pubblicitàPatrizia Arcangioli, responsabile - [email protected] marketing & sviluppoCarlo Bianchini, [email protected] Fuà, [email protected] Garzonio, [email protected] Regini, [email protected] EDIZIONI INTERNAZIONALI s.r.l.Direzione, Redazione, Amministrazione:Corso Trieste, 42 - 00198 RomaTel. 06/8412673 r.a. - Fax 06/8412688E-mail: [email protected] - Sito web: www.gruppocic.comArea Nord Italia:Via Matteotti, 52B - 21012 Cassano Magnago (VA)Tel. 0331282359 - Fax 0331287489Trimestrale Reg. Trib. di Roma n. 101/2003 del 17/03/2003 R.O.C.: 6905/128611Stampa: LITOGRAFTODI srl - Todi (Perugia)Abbonamento annuo: Italia € 10,00 (una copia € 3,50) - Este-ro € 20,00. L’IVA condensata nel prezzo di vendita è assoltadall’Editore ai sensi dell’art. 74, primo comma, lett. c), D.P.R.633/72 e D.M. 29/12/89. Il giornale viene anche inviato in omag-gio ad un indirizzario di specialisti predisposto dall’Editore.Finito di stampare nel mese di giugno 2011Tiratura di questo numero: 2.500 copie. Testata volontariamente sottoposta a certificazione ditiratura e diffusione in conformità al RegolamentoCSST – Certificazione Editoria Specializzata e Tecnica

Per il periodo 1/1/2010 – 31/12/2010Tiratura media: 3.000; Diffusione media: 2.850Certificato CSST n. 2010-2070 del 28/02/2011Società di revisione: PKF Italia S.p.A.

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Il contenuto degli articoli rispecchia esclusivamente l’esperienza de-gli autori. La pubblicazione dei testi e delle immagini pubblicitarie èsubordinata all’approvazione della direzione dei giornali ed in ognicaso non coinvolge la responsabilità dell’Editore.Ogni possibile sforzo è stato compiuto nel soddisfare i diritti di ripro-duzione. L’Editore è tuttavia disponibile per considerare eventuali ri-chieste di aventi diritto.

La massima cura possibile è stata prestata per la corretta indicazionedei dosaggi dei farmaci eventualmente citati nel testo, ma i lettori sonougualmente pregati di consultare gli schemi posologici contenuti nelleschede tecniche approvate dal Ministero della Salute.

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Organo ufficiale della Società Italianadi Gerontologia e Geriatria

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SOMMARIO

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EDITORIALE

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«Delle cure intermedie tra ospedale e territoriosi devono occupare i medici dell'ospedalein cui il paziente è stato curato nella fase acu-

ta e non i medici di medicina generale che, invece, do-vranno seguire la persona una volta rientrata al suo do-micilio». Non ha dubbi, il prof. Vincent Mor del Dipartimento diSalute pubblica della facoltà di Medicina della BrownUniversity di Providence, negli Stati Uniti. Mor è statoospite dell’Ospedale-Fondazione Poliambulanza diBrescia, in un incontro dal titolo «Dopo l'acuzie: pos-sibili modelli di cura per l'anziano» promosso dal Cen-tro studi sull'Organizzazione Sanitaria dell’UniversitàCattolica di Brescia, presieduto da Renzo Rozzini, e delGruppo di Ricerca Geriatrica, il cui direttore scientifi-co è Marco Trabucchi. L’incontro aveva l’obiettivo di af-frontare un tema di grande attualità, soprattutto dopola delibera regionale lombarda dello scorso 30 marzoche istituisce le “Attività di Cure subacute”. Si tratta diuna presa in carico, in contesto di ricovero protetto, dipazienti affetti dai postumi di un evento acuto o dascompenso clinicamente non complesso di una pato-logia cronica. Rappresentano, quindi, una nuova moda-lità di cura finalizzata ad ottenere specifici obiettivi sa-nitari, erogata senza soluzione di continuità dopo unricovero acuto, o in alternativa allo stesso, per trattareuno o più problemi clinici in fase attiva relativi a pa-zienti prevalentemente anziani ed affetti da patologiecroniche. Secondo la delibera regionale le attività sub-acute devono avere l’obiettivo di erogare le cure, pro-fessionalmente qualificate, necessarie a garantire, peralcune definite tipologie di pazienti, l’uscita dalla faseacuta del ricovero. Le cure subacute possono essereeffettuate o in una struttura indipendente rispetto allestrutture di ricovero e cura per acuti, o in un’area or-ganizzata ad hoc situata all’interno della struttura peracuti stessa. Le cure subacute non devono essere con-

fuse con le attività socio-sanitarie rese a favore di pa-zienti non autosufficienti in condizioni di discreta stabi-lità clinica. Sono cure rivolte a persone che altrimentiprolungherebbero, senza necessità, la durata del rico-vero ospedaliero o potrebbero essere ammesse inap-propriatamente in ospedale. Sono erogate sulla basedi una valutazione multidimensionale con la predispo-sizione di un piano di assistenza individuale struttura-to, che comprende: una valutazione clinica all’ingresso,che definisce durata, terapie, trattamenti ed individua irisultati attesi. Sono infine orientate al recupero del-l’indipendenza ed al rientro dei pazienti al loro domi-cilio. La durata media della degenza in strutture percure sub acute non dovrebbe essere inferiore ai 10/15giorni e non superiore ai 30/40 giorni.Le cure subacute sono considerate necessarie dalpunto di vista medico per soggetti che rientrano neiseguenti criteri:

A) Criteri di arruolamento:1. Il paziente non richiede le cure di un ospedale peracuti ma necessita ancora di assistenza qualificata e diterapie di media complessità.2. Il paziente ha delle necessità mediche più complessedi quelle che potrebbero essere gestite al domicilio.3. Anche se clinicamente stabile, il paziente richiedeancora delle procedure diagnostiche o terapeuticheche non devono essere necessariamente eseguite inun ospedale per acuti.4. Il paziente ha in corso un preciso programma tera-peutico.

B) Le condizioni cliniche del paziente richiedono:1. Coordinamento medico continuo con la necessitàdi un significativo numero di accessi del medico e del-l’infermiere.2. Assistenza infermieristica.

Vincent Mor a Brescia: «Dopo l'acuzie:possibili modelli di cura per l'anziano»Renzo Rozzini

Gruppo di Ricerca Geriatrica, BresciaFondazione Poliambulanza Istituto Ospedaliero, BresciaCentro Studi sull’Organizzazione Sanitaria, Università Cattolica del Sacro Cuore, Brescia

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3. Sulla base delle necessità dei pazienti, l’eventualesupporto di servizi intermedi quali il laboratorio anali-si e la radiodiagnostica.4. Un approccio multiprofessionale e multidisciplinarefortemente orientato al risultato.

L’impiego dei servizi per le cure subacute è indirizzatoquindi: - a pazienti, prevalentemente anziani, dimissibili dal-

l’ospedale, ma non in condizioni di poter essereadeguatamente assistiti al proprio domicilio, per lacomplessità del quadro clinico. In questo modo siriduce la durata della degenza e si assicura al pa-ziente l’assistenza in un ambiente protetto, per ilperiodo necessario;

- a pazienti, prevalentemente anziani e/o cronici, ca-ratterizzati da una tendenza all’instabilità clinica, chevengono segnalati dal medico curante in quanto lepossibilità di assistenza domiciliare non offrono ga-ranzie sufficienti in relazione alla situazione clinicadel paziente, ma che possono essere risolte conmodalità diverse dal ricovero ospedaliero.

Dunque, superata la fase acuta, il paziente – quello an-ziano nello specifico – deve continuare la fase di rico-vero successiva all'interno dello stesso reparto, maga-ri in posti letto dedicati, o deve essere trasferito in al-tre strutture? «Credo che debbano esserci letti dedi-

cati e autonomi rispetto alle realtà già esistenti sul ter-ritorio, quali le RSA, altrimenti – ha spiegato Mor – viè il rischio che la persona in RSA non riceva le ade-guate cure necessarie e che sia costretta a rimanereindefinitamente nella RSA malgrado la sua volontà ini-ziale di tornare nella sua abitazione».Ma i medici che curavano il malato nella fase acutaavranno la possibilità di seguire il paziente anche nellafase successiva? E, in caso contrario, quest'ultimo nonavrà la percezione di essere abbandonato in una sor-ta di “limbo” utile solo a risparmiare sul costo della de-genza media giornaliera? «Sono problemi aperti. Cre-do, tuttavia, che l'ospedale debba essere responsabiledel paziente anche nella fase post-acuta; per superareil problema organizzativo si dovrebbero creare équipespecifiche che siano di collegamento tra l'una e l'altraforma di degenza. Ad una condizione: se il paziente de-ve ritornare nei letti per acuti perché le cure che glisono state prestate non erano adeguate, all'ospedalenon verrà riconosciuto un ulteriore ricovero, ma saràil proseguimento di quello iniziale». La delibera regionale ha assegnato a Brescia 97 postiletto per cure sub acute, organizzati in unità operativedi un massimo di venti posti letto. Un numero certa-mente contenuto rispetto al bisogno – si pensi che al-meno il 20% dei pazienti dimessi ha bisogno di una fa-se post-acuta – ma che potrebbe fungere da volanoalla creazione di una cultura del “post-acuto”.

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PREMESSA

Attualmente le terapie del morbo di Parkinson si fon-dano sul trattamento farmacologico attraverso l’uso didopamina, dopaminosimili e dopaminergici associato altrattamento riabilitativo motorio. Da qualche anno nella letteratura sono apparse espe-rienze di altre terapie riabilitative complementari tra lequali, recentemente, l’arteterapia, la musicoterapia e ladanzaterapia. Queste attività complementari raramente sono state stu-diate con i test specifici della malattia di Parkinson. La ra-gione di questa carenza può essere ricondotta a dueaspetti: – la diffidenza dell’area scientifica verso l’area delle te-

rapie complementari come le arti-terapie;– il timore delle terapie complementari, come le arti-

terapie stesse, a sottoporsi a valutazioni che avven-gono tramite test troppo tecnicisti e distanti dal mododi agire di queste terapie.

La DANZATERAPIA TRASMUDA® ha deciso di sotto-porsi a questo studio perché la sua metodologia è ri-abilitativa e prevede una particolare chiarezza degli obiet-tivi, e dei processi per raggiungerli.

SCOPO DELLO STUDIO

Valutare su un campione di 21 pazienti affetti da malattia

di Parkinson, di cui 16 femmine e 5 maschi di età me-dia di 79,8 anni (con un range compreso tra i 60-90 anni),i miglioramenti ottenuti con un ciclo di danza terapia conmetodo TRASMUDA®. Il numero delle sedute di grup-po per ogni paziente è variato da un minimo di 5 ad unmassimo di 16 ( media 8,9). Il gruppo era composto dapazienti con diagnosi accertata e con trattamento far-macologico specifico ottimizzato rispetto allo stadio evo-lutivo della malattia.

MATERIALI E METODI

I pazienti selezionati provenivano dalI’Istituto GeriatricoRedaelli di Vimodrone (MI); in regime di ricovero (re-sidenziale, riabilitativo, day hospital) e dal domicilio (pertrattamenti riabilitativi di gruppo). Tutti i pazientisono stati valutati da neurologi e sono state compi-late la Unified Parkinson’s Disease Rating Scale (sca-la UPDRS III), lo stadio clinico secondo Hoehn-Yahr,il Mini Mental State Examination (MMSE), l’Indice di Bar-thel (BI) e il test specifico funzionale denominato TRA-SMUDA®TEST.La scala UPDRS III comprende 3 parti funzionali. La pri-ma indaga l’aspetto motorio tra cui il linguaggio, l’e-spressione facciale, i tremori a riposo, la rigidità, la pro-no supinazione delle mani, l’agilità nelle gambe, l’alzarsida una sedia, la stabilità della postura, la marcia nella bra-di e ipocinesia corporea. La seconda parte valuta la de-

La danzaterapia metodo TRASMUDA®

nella riabilitazione della malattia di ParkinsonAntonino Frustaglia*, Renata Righetti** e collaboratori

* Istituto Geriatrico P. Redaelli, Vimodrone (MI)** Scuola di Formazione per Counselor Esistenziali a Mediazione Corporea, Associazione TRASMUDA® e Dintorni, Milano

CollaboratoriPiera Monti, Celia Albanese; Istituto Geriatrico P. Redaelli, Vimodrone (MI)Claudia Vergani, Raffaella Resnati, Vilma Pozzi; Scuola di Formazione per Counselor Esistenziali a Mediazione Corporea dell’ Associazione TRASMUDA® e Dintorni, MilanoAngela Penna, Caterina Vescovi, Elena Barluzzi, Elisabetta Bernardi, Ludovica Gianfilippi, Maria Rocca, Mariagrazia Guglielmucci, Rosamaria Pa-stori; allieve Scuola di Formazione per Counselor Esistenziale a mediazione corporea metodo TRASMUDA®

Debora Perazzone, Ciro Ranieri; Volontari Servizio CivileLanfranco Moroni, Andrea Frontoni e Luigi Spinelli; Volontari Unione Samaritana

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ASPETTI CLINICO ASSISTENZIALI

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pressione, la motivazione e l’iniziativa. La terza parte va-luta le attività della vita quotidiana come la capacità divestirsi, l’igiene personale, il rischio di cadute e gli even-tuali episodi di freezing. Complessivamente il test misuraun punteggio in una scala da 0 a 108 punti ove 108 èla massima compromissione, quindi più il valore è bas-so e meglio sta il paziente.Inoltre, è stata valutata la scala dello stadio clinico secondoHoehn-Yahr con valori variabili da 0 (indicativo di nes-sun segno di malattia) fino a 5, indicativo di massima com-promissione clinica (paziente costretto a letto o in car-rozzina).Oltre alla valutazione UPDRS III si sono indagate le ca-pacità mentali, il comportamento e l’umore inclusi lo sta-to di ansia e la depressione. I pazienti sono stati testatiper il livello cognitivo con il Mini Mental State Examination,e con l’Indice di Barthel per valutare lo stato funziona-le delle persone. Accanto a questi test classici si è spe-rimentato il test specifico funzionale denominato TRA-SMUDA®TEST che indaga con criteri di valutazione da0, indicativo di massima incapacità, a 4, indicativo di mas-sima abilità, varie funzioni che hanno valore moto-rio/funzionale e psicologico/esistenziale. A scopo di va-lutare la massima obiettività, nel TRASMUDA®TEST siè utilizzato, come punteggio finale, il risultato della me-dia dei punteggi di 3 osservatori indipendenti addestratial rilievo dei dati. Le funzioni indagate sono state le par-ti del corpo maggiormente utilizzate, come le braccia ele gambe; la capacità di apertura della chinesfera (inte-sa come lo spazio del movimento e dell’incontro con l’al-tro, ossia la capacità di distensione degli arti e di com-piere dei movimenti nello spazio). La capacità di aper-tura della propria chinesfera può dipendere da una con-dizione fisica-propriocettiva ed essere influenzata da unostimolo simbolico. Gli altri item sono: la continuità delflusso; l’intensità del flusso; l’equilibrio; il radicamento; lacapacità di rilassamento sia da soli sia con un operato-re; l’integrazione ritmica, la marcia (indagata come si-nergismo), la fluidità e la sicurezza motoria; l’integrazionemelodica (con stimolo musicale specifico), la creativitàsia attraverso stimolo simbolico sia con atto spontaneoconcreto; l’iniziativa reciproca e l’espressività.

RISULTATI

Scala UPDRS III parte 1 (motoria). La valutazione otte-nuta dall’analisi ha rilevato un miglioramento degli itemprevisti nella prima parte. Essa esamina la componen-

te motoria che comprende linguaggio, espressione fac-ciale, tremori a riposo faccia mani piedi, rigidità, pic-chiettamento dita, apertura e chiusura mani, prono-su-pinazione mani, agilità delle gambe, l’alzarsi dalla sedia,la postura, la marcia, la stabilità posturale, la bradicine-sia e l’ipocinesia corporea. I valori (variabili da 0 normalitàa 108 massima dipendenza) sono passati da 47,52 al-l’ingresso a 39,5 alla dimissione e 39,2 al follow-up. I datiottenuti indicano un costante miglioramento medio del-la motricità nei vari settori indagati.Scala UPDRS III parte 2 (depressione, motivazione e ini-ziativa). Ognuna di queste parti ha rilevato un miglio-ramento per la riduzione dei valori numerici studiati. Lascala va da 0 (indicativo di normalità) a 8 (indicativo didepressione). In particolare questo item è passato da 8all’ingresso a 6 alla dimissione, per ritornare ad 8 dopola rivalutazione a distanza di oltre 2 mesi. Scala UPDRS III parte 3 (attività della vita quotidiana). Que-sta parte valuta la capacità di vestirsi, l’igiene persona-le, le cadute, gli episodi di freezing e i disturbi sensitivilegati al parkinsonismo. La scala varia da 0, indicativo dinormalità, a 20, indicativo di incapacità. I risultati sono di8,38 all’ingresso, 6 alla fine del trattamento e 8 nel fol-low-up. Con questo item si sono indagate le capacitàmentali, il comportamento e l’umore, inclusi lo stato diansia e la depressione (Fig. 1).I pazienti sono stati testati in ingresso con il Mini Men-tal State Examination, il valore medio del campione stu-diato è stato di 16,7/30 indicativo di una demenza mo-derata.Lo stato funzionale delle persone è stato rilevato me-diante l’indice di Barthel; nel gruppo studiato la mediadell’indice è passata da un valore medio di 60/100, adun valore medio di 85/100 indicativo di una significati-va riduzione della dipendenza funzionale.Risultati analoghi si sono avuti con il TRASMUDA®TEST,la cui scala varia da 0 per l’assoluta incapacità a 140 perla completa capacità funzionale (il valore 140 si ottienesommando tutti i valori massimi degli item). Il valore me-dio, emerso dall’elaborazione delle medie dei punteg-gi dei singoli pazienti reclutati, è variato da 9,11 all’ingressoa 19,6 alla dimissione. Esso è indicativo di un rilevantemiglioramento motorio e funzionale complessivo (Fig. 2) e nei diversi contesti indagati come pazienti incarrozzina (Fig. 3), pazienti con capacità deambulatorie(Fig. 4), oltre ad item quali l’equilibrio (Fig. 5) e l’espressività(Fig. 6).

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CONCLUSIONI

I dati rilevati evidenziano che la danzaterapia metodoTRASMUDA® è in grado di modificare favorevolmen-te i test UPDRS III nelle sue componenti motorie, neltono dell’umore e nelle valutazioni funzionali delle atti-vità della vita quotidiana. Analogamente, il TRASMU-DA®TEST evidenzia guadagni funzionali su tutti i para-

metri indagati confermando una sinergia tra i due test. I pazienti hanno risposto favorevolmente e con ap-prezzamento alla proposta riabilitativa di TRASMUDA®.Il costante sorriso e la gioia che ha accompagnato sem-pre gli incontri sono documentati, oltre che dai dati nu-merici, anche dalle immagini registrate durante diversesedute. Il numero limitato (1 incontro a settimana) di sedute di

Legenda: più basso è il valore, maggiore è il miglioramento delle performance del paziente.Colonne grigio scuro: rappresentano i valori medi dei dati di ingresso.Colonne nere: rappresentano i valori medi dei dati alla dimissione (fine ciclo studio).Colonne grigio chiaro: rappresentano il controllo dopo almeno 2 mesi dalla fine del trattamento (follow-up).

Figura 1 - UPDRS III: motoria (parte 1), depressione (parte 2), attività della vita quotidiana (parte 3).

Figura 2 - TRASMUDA® Test. Valori medi complessivi dei 13 item di ingresso e dimissioni. N.B. Maggiore è il valore numerico migliore è la per-formance della persona.

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TRASMUDA® , da 5 a 16 a seconda dei pazienti, con unamedia generale di 8,9 sedute, lascia intravvedere la pos-sibilità di risultati ancora più incisivi e, soprattutto, più du-raturi (follow-up) ottenibili con percorsi riabilitativi più

lunghi. Ciò indica che è possibile ed auspicabile l’inseri-mento di attività come TRASMUDA® che offrono, ac-canto alla riabilitazione funzionale, anche il recupero del-la consapevolezza delle proprie capacità, un incremen-

Figura 3 - Valutazione specifica dei risultati nei pazienti in carrozzina all’ingresso, alla dimissione e nel follow-up.

Figura 4 - Valutazione specifica dei pazienti deambulanti all’ingresso, alla dimissione e nel follow-up.

Figura 5 - Valutazione dell’equilibrio all’ingresso, alla dimissione e nel follow-up.

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to della propria autostima correlata ad una maggior si-curezza nei vari movimenti. Tutti questi miglioramenti sonoavvenuti con marcata riduzione dello stato depressivo,con la gioia e il piacere di incontrare il proprio corposenza “gabbie”, e nella percezione di una leggerezza efluidità del proprio corpo espressa anche verbalmentedai pazienti stessi (come si evince dalle loro lettere pub-blicate sul sito www.renatarighetti.com).

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Figura 6 - Valutazione dell’espressività all’ingresso, alla dimissione e nel follow-up.

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PREMESSA

È opinione comune che esista un legame tra la musicae le strutture cerebrali, e molteplici sono ormai i riscontridi una significativa influenza della melodia sui neuroni, edi un suo ruolo facilitatore nelle relazioni, anche in pre-senza di severo deficit cognitivo. La musica è stata piùvolte paragonata al linguaggio perché, come tale, è unimportante veicolo di informazioni ma, a differenza del-le parole, l’esperienza musicale è trasversale a tutte leculture, e permette una sorta di dialogo anche quandola malattia oramai impedisce l’utilizzo razionale e se-mantico delle parole.Non a caso, lo studio neuropsicologico della musica fariferimento al “linguaggio emozionale” e apre interessantiprospettive su come il cervello umano risponda agli sti-moli musicali (Peretz et al., 1998; Peretz e Gagnon, 1999).All’interno della neuropsicologia il filone neuroanatomicoindaga il legame tra apprendimento della musica e mo-dificazioni del corpo calloso (Schlaugh et al., 1995) e au-mento del volume del planum temporale di sinistra (Ga-ser e Schlaugh, 2003). La rappresentazione corticale del-la mano è più sviluppata nei suonatori di strumenti a cor-da e l’area della corteccia uditiva è maggiore del 25%nei musicisti rispetto a chi non utilizza alcuno strumen-to. Una lesione cerebrale può causare alterazioni nelleabilità musicali fino ad aversi, a causa di lesioni dell’emi-sfero destro, una sorta di “afasia” musicale in soggetti com-petenti, mentre lesioni a destra possono interferire conla percezione della “prosodia” musicale. Lesioni del lobotemporale destro danneggiano la memoria della musi-ca, mentre lesioni infero-posteriori del lobo frontale pro-ducono deficit del tono.Numerosi Autori segnalano l’attivazione, durante l’ascoltodella musica, di aree contigue a quelle direttamente sti-molate. De Bastiani (Raglio et al., 2001) cita i lavori di

F.H. Rauscher che, estremizzando l’interazione tra mu-sica e processi cognitivi, ha ipotizzato il realizzarsi di mi-gliori performance nella percezione e nelle abilità spa-ziali in soggetti esposti alla melodia entro i tre anni d’e-tà. In particolare, nel libro “Fatti di musica” (2008) il neu-ropsicologo Daniel J. Levitin indica l’ippocampo e la cor-teccia frontale inferiore come le aree attivate maggior-mente durante l’ascolto di una musica a noi familiare. D’al-tra parte, sono ben noti i rapporti tra sistema mnesti-co e funzioni emotive, vista anche la contiguità tra l’ip-pocampo e l’amigdala (ritenuta da sempre la sede del-le emozioni) che viene coinvolta in particolare nel ricordodi esperienze a forte componente emozionale.

MUSICA E DEMENZA

Nella demenza, quando i processi involutivi causano unaprogressiva, inesorabile perdita del patrimonio simbo-lico, la musicoterapia si prefigge di “dar voce alla personache sopravvive anche in quadri clinici profondamente de-teriorati” (Raglio et al., 2001). L’uso della musica può aiu-tare a recuperare, attraverso canali alternativi, il rapportocon la persona che ancora vive in ogni demente, con lasua percezione del corpo, i ricordi frammentati, i desi-deri mal espressi. La musica, in virtù della sua articola-zione fra mente e corpo, e del suo essere stimolo sen-soriale, appare un mezzo particolarmente idoneo allariabilitazione nel paziente Alzheimer con alterate com-petenze simboliche e cognitive (Sacks, 2007).L’intimo riferimento corporeo della melodia (basti pen-sare al costante richiamo del ritmo binario del battitocardiaco o dell’alternanza degli atti respiratori) e il suocollegamento a forme innate di espressione e comuni-cazione (ad esempio grido, lamento, pianto) individua-no un’area di incontro e scambio anche in situazioni di

La musica e le attività della vitaquotidiana: l’esperienza di un NucleoAlzheimer Nicola Berruti, Anna Maria Scotuzzi, Monica Capra, Gianbattista Guerrini

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severa regressione. Come non sottolineare, perciò, cheil ritmo è intrinseco alla vita ed è alla base delle attivitàquotidiane e, per questo, non necessita di processi co-gnitivi integri, né raffinati.Il nostro rapporto con il suono si instaura prima di na-scere, le onde sonore influiscono sulla nostra crescita;l’ascolto della musica ripropone questo atavico legamee ristabilisce il primordiale contatto con la vita, risvegliandola volontà nei soggetti apatici e moderando l’aggressi-vità in altri, come ha rilevato l’esperienza della musico-terapia in campo clinico. In questi casi la musica attiva ilpaziente a livello sensoriale ed emozionale, focalizza lasua attenzione, riaccende i frammenti della memoria (adesempio le cantilene della ninna nanna incorporate or-mai nell’eredità arcaica di ogni individuo), funge da me-diatore relazionale (il canto con l’operatore o gli altri pa-zienti).Liebman e Maclaren (1991) hanno dimostrato nei pa-zienti affetti da demenza di Alzheimer con iniziali disturbidel linguaggio che la produzione linguistica è agevolatadalla melodia (canto), soprattutto se i contenuti e il ma-teriale sono familiari: a dimostrazione che il canto influenzapositivamente il ricordo di parole familiari, e che il ma-teriale musicale si ricorda più facilmente di quello ver-bale. In un soggetto ricoverato, l’individuale patrimoniosonoro (le melodie arcaiche e quelle derivate dal vissutopersonale) si arricchisce del panorama sonoro del luo-go (diventano “suoi” anche i rumori/suoni dell’ambien-te di vita).Trasversale a tutto l’impegno della musicoterapia restail messaggio che la melodia si basa sulla relazione congli individui e l’ambiente, sull’ascolto empatico, sull’ac-cettazione incondizionata dell’altro per come è nel mo-mento presente e sull’utilizzo del suono e della musicacome mezzi per scoprire e sviluppare le risorse residuedella persona, anche se provata dalla malattia.Anche le varie esperienze in musicoterapia riportano chel’uso della musica nel paziente affetto da malattia di Alz-heimer è fonte di divertimento, soddisfazione, benessere;stimola coloro che hanno scarse reazioni emotive o sonodemotivati; aumenta l’autostima; propone al paziente eai familiari un’immagine più positiva del luogo di cura; ac-celera il recupero della parola negli afasici; sposta l’at-tenzione da comportamenti violenti; favorisce l’orien-tamento e l’acquisizione della dimensione spazio-tem-porale (Bellavigna, 2003).Comune a queste ricerche è l’assunto che l’utilizzo delsuono e della musica, nell’ambito di un approccio em-patico con il paziente, rappresenta uno degli strumen-

ti per scoprire e sviluppare le risorse residue della per-sona, anche se provata dalla malattia.

A CIASCUNO LA SUA MUSICA

Dati i molteplici effetti della musica e la forte compo-nente soggettiva, la scelta dei brani musicali deve pre-stare particolare attenzione alle reazioni individuali edallo scopo al quale è rivolto l’utilizzo del brano musica-le. Alcune melodie, infatti, possono essere più capaci distimolare, altre di rilassare e di favorire uno stato emo-tivo profondo.Così, ad esempio, il dott. Takuro Endo, neuroscienziatogiapponese, in un suo studio apparso sul Times nel giu-gno del 2008 segnala come ipnoinducenti alcuni braniquali i “Notturni” di Chopin e il “Concerto n°1 per piano”di Ciaikovskij. Essi inducono nella mente ritmi cerebra-li più tranquilli (onde alpha), riducendo la produzione dicatecolamine e di ormoni dello stress. Altri studi hannoscoperto che, per controllare uno stato di ansia lieve efavorire il rilassamento, le musiche devono essere len-te, con leggere inflessioni su un motivo semplice, comead esempio i canti gregoriani e i brani new age, Bach eSatie. Per entrare in contatto con uno stato emotivo pro-fondo, invece, si preferiscono compositori romantici comeBeethoven (la Pastorale), Brahms, Ciaikovskij (6a Sinfo-nia), Mahler.Secondo l’esperienza del musicoterapeuta Francesco De-licati (1997), molto valido è l’uso delle musiche popo-lari poiché i suoni che hanno radici nel periodo dell’in-fanzia-giovinezza lasciano per tutta la vita importanti trac-ce emotive e sono sempre coinvolgenti. Le canzoni diun tempo erano inoltre più legate alle esperienze di vitavissuta e cariche di una forte connotazione sociale. Ri-creando il clima delle “veglie” serali del passato, quandoattorno al focolare si andava presso una famiglia di ami-ci o parenti e ci si intratteneva con racconti e canti, siaiuta a ricostruire l’atmosfera sociale in cui si sono ap-presi i primi rudimenti sonoro-cognitivi.Questo permette all’anziano, anche demente, di ritro-vare una modalità di comunicazione, di intrattenimen-to e d’interesse. Una sorta di cura contro l’isolamentoe l’apatia, uno spiraglio aperto sui ricordi passati mediatodalle emozioni.Insieme ad un repertorio comune, la nostra “identità mu-sicale” è comunque costituita da una forte componen-te soggettiva e biografica, e quindi la scelta delle melo-die a scopo terapeutico deve prestare attenzione, oltre

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che alle caratteristiche proprie dei brani, soprattutto alleesperienze ed alle reazioni di ogni persona.

LA MUSICA E LE ATTIVITÀ DELLAVITA QUOTIDIANA: L’ESPERIENZA DIUN NUCLEO ALZHEIMER

L’utilizzo della musica con finalità ludiche o di gestionedei disturbi comportamentali nelle persone affette dademenza fa già parte da tempo delle modalità di curadel Nucleo Alzheimer della nostra RSA.La constatazione che la musica è in grado di incidere sulcomportamento del paziente e di facilitarne la relazio-ne con chi l’assiste ci ha indotto a sperimentare l’uso si-stematico di brani musicali in supporto agli interventi diaiuto nelle attività della vita quotidiana, in particolare nelmomento dell’alzata dal letto e dell’allettamento sera-le.È noto, infatti, che per molti pazienti affetti da demen-za (anche in ragione della sindrome afaso-aprasso-agnosica) affrontare attività apparentemente semplici qua-li alzarsi dal letto, lavarsi e vestirsi, o al contrario prepa-rarsi a tornare nel letto e prendere sonno, può esserecausa di irritabilità, di rifiuto dell’accudimento, di aggressivitàverbale e fisica, di vere e proprie “reazioni catastrofiche”spesso difficili da prevenire e da gestire anche da partedi operatori specificamente formati. Proprio con questi pazienti abbiamo deciso di affianca-re alle consuete modalità operative l’uso della musica,nell’ipotesi che un brano musicale gradito al paziente, ri-proposto nello stesso momento della giornata, potes-se:• contenere il disagio legato alla richiesta di prestazioni

complesse e le reazioni comportamentali seconda-rie, contrastando tale disagio con un “di più” di be-nessere;

• migliorare la relazione con il personale di assisten-za riducendone lo stress;

• scandire, con la sua ripetitività, il momento della gior-nata, contribuendo a rinforzare la percezione del tem-po;

• favorire il riposo notturno con minore ricorso alla se-dazione farmacologica.

Le finalità del progetto sono state innanzitutto condivi-se dallo psicologo, dall’infermiera capo sala e dal medi-co con tutto il personale del Nucleo, grazie ad un in-tervento formativo che ha affrontato i benefici della te-rapia musicale e le modalità del suo inserimento nel-

l’assistenza ai pazienti a fianco alle altre strategie di cura(l’atteggiamento corporeo e gestuale, il tono dellavoce, le tecniche di mobilizzazione secondo i principi del-la Kinaesthetics, lo stimolo all’orientamento nelle variefasi della giornata…).Sui 24 ospiti del Nucleo Alzheimer sono stati selezio-nati 9 pazienti “difficili”, nei quali la demenza di grado se-vero (MMSE medio 4/30; Clinical Demential Rating 3.5/5)era complicata da significativi disturbi comportamenta-li quali irritabilità, ansia, oppositività, aggressività verbalee fisica, agitazione psicomotoria (soprattutto al risveglioe durante le manovre assistenziali igieniche o le cure sa-nitarie), lamentosità, vocalizzi (specie notturni), turbe delsonno. In tutti i pazienti erano evidenti problemi di co-municazione con l’ambiente di vita e ridotta autonomianelle attività della vita quotidiana (Indice di Barthel me-dio 46 /100).Sono state predisposte schede di osservazione dell’o-spite nelle fasi critiche della giornata sulle quali il personaleè stato invitato ad annotare, per 4 settimane, il com-portamento del singolo paziente, le sue reazioni all’in-tervento assistenziale, il grado di partecipazione, la ca-pacità di comunicare, le espressioni facciali. Inoltre gli ope-ratori dovevano compilare anche una scheda riguardantele difficoltà da loro incontrate nell’intervento assisten-ziale, annotando – grazie ad un analogo visivo – il livel-lo di stress e di fatica fisica.Contemporaneamente, si è proceduto all’osservazionesistematica del rapporto degli ospiti con la musica in ge-nere e con specifici brani musicali selezionati anche conla collaborazione dei familiari. Durante le fasi “critiche”della giornata, grazie ad uno stereo mp3 si proponevaai pazienti una serie di brani musicali, “calibrando” la du-rata delle musiche sui tempi delle attività di lavoro edannotando le più significative reazioni, positive o nega-tive, ai vari brani proposti, così da individuare, per cia-scun ospite, la batteria musicale che meglio poteva ri-spondere agli obiettivi, e predisporre per ogni ospite unCD personalizzato.Gli operatori sono poi stati invitati ad associare siste-maticamente il brano musicale alle attività di cura, an-notando sulle schede di osservazione sia le reazioni de-gli ospiti che le proprie difficoltà.Nell’arco di 12 settimane, anche a seguito di periodiciadattamenti della metodologia utilizzata, si sono ri-scontrate una riduzione di alcuni comportamenti di stur-banti (Figg. 1 e 2), una riduzione dell’apatia e dell’e-spressione facciale “triste” (Fig. 3) e una maggior colla-borazione degli ospiti nelle operazioni connesse con l’al-

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zata mattutina e con l’allettamento serale. Anche gli ope-ratori hanno segnalato una riduzione della fatica fisica edello stress connesso con le operazioni di assistenza (Fig.4). Si tratta di dati indicativi forniti dalla valutazione di unnumero limitato di casi, il cui esito positivo ci ha peral-tro indotto ad utilizzare in modo sistematico questo ap-proccio nelle attività quotidiane di assistenza e cura.

CONCLUSIONI

Nella storia naturale della demenza, per i caregiver (sia-no essi familiari o operatori professionali) i disturbi com-portamentali rappresentano una delle principali fonti di

impegno fisico, di stress, di frustrazione (e, quando la per-sona vive a casa sua, uno dei maggiori determinanti del-la richiesta di istituzionalizzazione). La conoscenza dei mec-canismi che sottendono tali comportamenti, la capaci-tà di utilizzare adeguate modalità di comunicazione conil paziente, il rispetto dei suoi tempi, dei suoi ritmi e del-le sue abitudini, possono limitare l’entità del problemae migliorare il benessere del paziente e di chi lo assiste.L’uso consapevole della musica e della sua capacità di co-municare con il paziente a livello emotivo, di trasmet-tergli un messaggio di rassicurazione, di tranquillità, di be-nessere, può contribuire a prevenire e contenere i di -sturbi comportamentali e a migliorare la qualità della vitatanto del paziente quanto di chi l’assiste.

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Figura 2 - Riduzione di ansietà e inquietudine nei pazienti.Figura 4 - Riduzione della fatica fisica e dello stress connesso conle operazioni di assistenza riscontrata dagli operatori.

Figura 3 - Riduzione dell’apatia e dell’espressione facciale “triste”nei pazienti.

Figura 1 - Riduzione di irritabilità e aggressività nei pazienti.

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INTRODUZIONE

Questo articolo presenta l’esperienza di costruzione delcodice etico dell’Azienda Servizi alla Persona Golgi-Redaelli (www.golgiredaelli.it). L’ASP Golgi-Redaelli è un’a-zienda che gestisce tre presidi di riabilitazione e di as-sistenza nella provincia e nella città di Milano, per un to-tale di 1500 posti letto, con l’intervento di circa 1400 ope-ratori.Pur non costituendo un obbligo per l’intera azienda –in quanto azienda pubblica – i criteri di accreditamen-to di alcuni servizi da essa erogati prevedevano comerequisito l’adozione di un codice etico formulato, secondole indicazioni regionali, nel rispetto dei principi del de-creto legislativo 231/2001 sulla responsabilità nell’am-ministrazione delle organizzazioni. L’esigenza formale didotare l’azienda del codice etico è stata però utilizzatacome occasione per una ricognizione dei valori tenutia riferimento per le attività istituzionali, i comportamentioperativi, le relazioni con i pazienti e i loro familiari, i rap-porti fra operatori e con l’azienda.Quali i criteri che hanno ispirato il lavoro, l’impostazio-ne del progetto, le attività di elaborazione e lo stesso do-cumento? Li riassumiamo sinteticamente nel breveelenco: - Abbiamo deciso di rintracciare i valori presenti che

guidano le scelte e l’operatività nell’organizzazione,interrogandoci a partire dalle nostre esperienze quo-tidiane.

- Questa ricerca dei valori condivisi nella quotidiani-tà richiedeva l’attivazione di un processo partecipa-to, non delegabile a competenze tecniche cheavrebbero potuto limitarlo ad adempimento.

- È stato costituito un gruppo di lavoro rappresenta-tivo sia della dirigenza apicale, sia delle diverse com-ponenti professionali, con l’impegno a coinvolgere inmodo più ampio l’organizzazione per alimentare il pro-gredire delle attività di costruzione del codice.

IL PROCESSO DI ELABORAZIONEDEL CODICE E LE MODALITÀDI PARTECIPAZIONE ADOTTATE

Il codice etico prodotto è frutto di un lavoro che ha rac-colto contributi e apporti diversi. Descriviamo per som-mi capi le fasi di lavoro sviluppate tra aprile e dicembre2010 per dare conto delle forme di partecipazione rea-lizzate.

Incontri preliminari con la direzione generale e le di-rezioni di istituto per impostare il piano di lavoro.Inizialmente è stata verificata la fattibilità del progettoe si sono concordate linee e passaggi operativi perelaborare il codice etico con il direttore generale, ildirettore amministrativo e i direttori dei tre istituti.Risultato di questa fase di impostazione è stata l’i-dentificazione dei criteri di lavoro, la stesura di un pro-getto di massima, l’istituzione di un gruppo di lavo-ro rappresentativo delle diverse professionalità e del-le diverse sedi operative aziendali e l’incarico ad unconsulente di accompagnare il percorso.

Costituzione del gruppo di lavoroLo scopo del gruppo di lavoro era di favorire l’incontrotra le molteplici competenze professionali e attingerealle esperienze dei diversi ruoli per evidenziare i co-

La costruzione partecipata del CodiceEtico, degli impegni e delle relazionidell’Azienda di Servizi alla PersonaGolgi-Redaelli di MilanoAdriano Benzoni*, Graziano Maino°

*Azienda di Servizi alla Persona Golgi-Redaelli, Istituto Golgi, Abbiategrasso (MI)°Pares società di ricerca, consulenza, formazione e documentazione, Milano

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muni riferimenti valoriali, le eventuali aree di critici-tà e i potenziali rischi, e per concordare indicazionie disposizioni ritenute capaci di rispondere alla com-plessità delle attività aziendali rivolte agli utenti e ailoro familiari. La scommessa era quella di riuscire ad attivare un pro-cesso di partecipazione sostenibile, tenendo presentii vincoli e la complessità di coinvolgere in modo este-so l’insieme del personale: 1400 lavoratori, in sedi dif-ferenziate e distanti, tutti con problemi di disponibi-lità di tempo.

ElaborazioneIn questa fase, l’obiettivo del gruppo è stato quellodi identificare temi, questioni e impegni significativi daraccogliere nel codice. Il gruppo ha quindi cominciatoil suo lavoro aprendo un articolato confronto per cer-care di riconoscere quali fossero i valori di riferimentoche orientano, motivano e alimentano il lavoro nel-le diverse aree di intervento aziendali. Il gruppo hainoltre definito una prima struttura del documento.Successivamente, l’attenzione è stata rivolta all’indi-viduazione dei potenziali rischi per l’organizzazione,analizzando le situazioni di rischio che si possono in-contrare nel lavoro individuale, di équipe o nel piùampio funzionamento organizzativo, basandosi sul-l’ipotesi che i rischi segnalino dimensioni da presidiare,situazioni avverse da prevenire, questioni per le qua-li l’organizzazione opportunamente potrebbe dare(e darsi) indicazioni di condotta.Una fase ulteriore del lavoro del gruppo è stata de-dicata all’identificazione degli interlocutori a cui si ri-volge l’azienda attraverso le sue attività, a comincia-re dagli utenti e dai loro familiari per comprender-vi però anche interlocutori sociali e istituzionali e for-nitori, e degli impegni che verso di loro l’azienda, equindi i suoi operatori, si assume.L’elaborazione nel gruppo di lavoro è stata arricchi-ta dal contributo di sottogruppi di approfondimen-to invitati a confrontarsi con i colleghi di lavoro, chehanno curato la stesura di contributi preparatori ehanno condotto una prima lettura di revisione del-le diverse bozze prodotte.Il lavoro del gruppo, fin dal primo incontro, è anda-to a costituire un testo di riferimento che veniva viavia arricchito, trasformato e modificato sulla base del-la discussione e dell’evoluzione dei contenuti emer-genti.

Presentazione e consultazioneLa bozza di codice è stata infine presentata e discussain tutte e tre le sedi di lavoro con gli operatori, i rap-presentanti delle associazioni dei familiari, delle or-ganizzazioni di volontariato che operano negli Istitutie delle organizzazioni sindacali presenti in Azienda,con lo scopo di ricercare il confronto e promuove-re l’apporto di diversi punti di vista per arricchire iltesto del codice. La metodologia di conduzione de-gli incontri ha garantito la possibilità di far emerge-re molte osservazioni e di trovare il modo parteci-pato di sintetizzarle per poterle trasmettere algruppo di lavoro, che le avrebbe dovute successiva-mente discutere per valutare come eventualmenteassumerle nella bozza definitiva.

Validazione e adozioneIl passaggio successivo è consistito in un esame ap-profondito della proposta di codice etico a cura del-la Direzione Generale. Il testo vagliato è stato sot-toposto infine all’organo di governo, il Consiglio diAmministrazione, che lo ha formalmente approva-to.

Divulgazione del Codice eticoÈ stata prevista un’ampia divulgazione del codice nel-le diverse aree organizzative dell’azienda e in occa-sione di incontri con gli interlocutori sociali e istitu-zionali affinché il documento sia conosciuto e assuntocome strumento di orientamento dei comportamentie delle relazioni nell’ambito dell’ASP Golgi-Redaelli.

I CONTENUTI DEL CODICE ETICO,DEGLI IMPEGNI E DELLE RELAZIONIADOTTATO

Il nostro codice etico raccoglie e mette a disposizionevalori e riferimenti emersi dal dibattito, rintracciabili nel-la rilettura delle esperienze. Il lavoro sul codice etico ei risultati ai quali si è giunti poggia sull’idea che sia pos-sibile chiedere impegni alle persone che lavorano nel-l’organizzazione a fronte di un impegno reciproco chel’organizzazione prende nei confronti dei diversi inter-locutori con i quali entra in rapporto. Il titolo dato al do-cumento lo riconosce come strumento che è servito peraccordarsi sui significati che si attribuiscono agli impe-gni che l’Azienda si assume e che chiede ai suoi lavoratorie agli orientamenti da considerare nelle relazioni.

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Idea di responsabilitàPreliminarmente si è reso necessario concordare nelcontesto aziendale cosa significasse il termine re-sponsabilità: “La responsabilità organizzativa e personaleè la cura che si riserva agli altri, a se stessi e alle ri-sorse comuni”. Il valore della cura degli altri è mes-so in relazione con l’attenzione e la consapevolez-za che ciascuno è esortato a rivolgere a se stesso,e con l’invito ad allargare lo sguardo alle risorse adisposizione, riconoscendole come beni comuni peri quali è necessario un uso consapevole e propor-zionato.

Impegni reciprociQuesti gli impegni che l’Azienda Golgi-Redaelli assumeverso le persone alle quali offre i propri servizi, i di-pendenti e altri interlocutori rilevanti:- assicurare standard di qualità elevati, esplicitando-li nella carta dei servizi;- garantire l’informazione trasparente e completa suiprotocolli diagnostici e di cura adottati per favorirel’assunzione di decisioni consapevoli;- assumere le misure necessarie per garantire che luo-ghi e processi di lavoro siano sicuri per gli operato-ri e quindi per gli utenti;- riconoscere gli ambiti di autonomia decisionale in-dividuali, chiedendo a ciascuno di rispondere delle pro-prie scelte;- sottoporre a verifica i risultati delle attività indivi-duali, di gruppo e dell’organizzazione;- promuovere la diffusione della conoscenza sulle stra-tegie aziendali;- vigilare sulla corretta gestione delle attività ammi-nistrative e rendicontare in modo trasparente l’usodelle risorse;- avere rapporti con fornitori impegnati a osserva-re le normative in materia di rapporto di lavoro e ditutela della sicurezza;- investire nella ricerca scientifica confrontandosi conaltre realtà del settore anche appartenenti a conte-sti culturali differenti;- promuovere l’innovazione con lo scopo di miglio-rare la qualità dei propri servizi e rendere più effi-ciente l’utilizzo delle risorse;- valorizzare e tutelare il patrimonio materiale e cul-turale che l’Azienda ha acquisito nel tempo.

RelazioniIl codice contiene inoltre orientamenti affinché le re-

lazioni fra le persone che lavorano in azienda, le per-sone ospiti e i loro familiari soddisfino le reciprocheesigenze, sollecitando in particolare a: - prendere in considerazione i punti di vista e le opi-nioni degli utenti e dei familiari, dei volontari e dei col-leghi;- comunicare in modo chiaro e completo per met-tere gli ospiti nelle condizioni di poter decidere inmodo consapevole;- garantire alla comunicazione tempi, modi e luoghidedicati;- offrire cure personalizzate prestando attenzione allavolontà dell’ospite;- promuovere e sostenere la collaborazione con i col-leghi anche se di aree professionali diverse;- condividere nell’ambito dell’équipe le informazio-ni di cui si dispone, valutando le conseguenze dei pro-pri apporti e delle proprie affermazioni;- rispettare le norme emanate da organismi so-vraordinati o stabilite dall’Azienda;- rilevare le criticità con la consapevolezza della loroutilità per migliorare i servizi.

Riconsiderando gli impegni e le relazioni, per sintetizzarele possibili focalizzazioni significative, ci sembra possibi-le rintracciare alcuni riferimenti valoriali: l’attenzione perla trasparenza, la ricerca della qualità, l’impegno per unlavoro sicuro, il rispetto della legalità, l’investimento nel-la ricerca scientifica e l’apertura all’innovazione, la curaper le persone e per un uso attento delle risorse.

Significato dell’esperienzaGuardando al percorso compiuto si possono valorizzarealcuni aspetti interessanti che riportiamo schematica-mente:– la formulazione del codice etico è stata un’occasio-

ne per i dipendenti di poter riflettere e discutere del-la cultura e del senso del loro lavoro, in una situazionestrutturata e legittimata, collocandoli ad un livello nelquale sono altre, di norma, le autorità deputate a pro-nunciarsi;

– la discussione per il codice etico è stata impostata espli-citamente per valorizzare quello che si sta facendo edal quale estrarre il meglio, auspicandone la diffusio-ne e il rafforzamento;

– è stata l’occasione per definire regole condivise e, quin-di, norme interne, e ci si è chiesti come si possa ri-uscire a relazionarsi con i principi di legalità traducendolinel contesto organizzativo;

– è stato rivolto lo sguardo in modo esplicito anche alle

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attese e alle posizioni degli interlocutori chiave:utenti, familiari e lavoratori;

il percorso e il prodotto sono diventati – e sono statiriconosciuti – come un lavoro e un risultato organizza-tivo, prodotto di un’esperienza collaborativa dove è sta-to valorizzato il contributo di ciascuno.

COME UTILIZZARE IL CODICEETICO?Prima di tutto ci si dovrà confrontare con il codice perverificare nella pratica quanto sia rispettato.Si dovrà poi lavorare sulla “veridicità” di questo docu-mento per provare ad adeguare e migliorare le moda-lità di lavoro, per stimolare l’attenzione al verificarsi deirischi che sono stati indicati. L’idea è di considerare il do-cumento come una produzione imperfetta che deve su-scitare attenzione, non esaurita, non completa, ancoraaperta, emendabile, integrabile, arricchibile, trasforma-bile, che ancora può essere messa a punto per le esi-genze che si determinano.

Infine è stato previsto che, per porre in essere azioni dimiglioramento, tutti gli utilizzatori siano tenuti a segna-lare all’Azienda (Comitato di Vigilanza), eventuali disap-plicazioni, criticità, suggerimenti o modifiche necessarie.

BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA

Bellotto M, Cubico S. I valori personali in ambito lavorativo. In: Argentero P,et al. (a cura di), Psicologia del lavoro, Cortina, Milano 2008:233-55.

Nussbaum M. Giustizia sociale e dignità umana, Il Mulino, Bologna 2002.

Nussbaum M. Capacità personale e democrazia sociale, Diabasis, ReggioEmilia 2003.

Weick e Sutcliffe, Governare l’inatteso. Organizzazioni capaci di affrontarele crisi con successo, Cortina, Milano 2010.

Regione Lombardia D.G.R. VIII/3776 del 13.12.2006 “Determinazioni in or-dine alla gestione del servizio socio sanitario regionale per l’esercizio2007”. Linee Guida per l’adozione del Codice Etico e dei modelli di orga-nizzazione e controllo delle Aziende Sanitarie Locali e delle Aziende Ospe-daliere.

Decreto legislativo 231/2001 “Disciplina della responsabilità amministrativadelle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive dipersonalità giuridica”.

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GLI AMBITI D’INTERVENTO, IL TIME-BUDGET E IL LAVORODI ÉQUIPE

Tra le figure professionali presenti nei diversi servizi so-cio-assistenziali un ruolo centrale è ricoperto dagli As-sistenti Sociali (AS), per i loro compiti sia di front officedi base, sia decisionali nel processo della presa in cari-co, sia di gestione e controllo dei diversi enti o servizi.Evidenziare i contesti lavorativi in cui gli AS operano, lastrutturazione temporale delle attività svolte, il rapportocon le altre figure professionali e il grado di interesse ver-so il proprio ambito di intervento è dunque anche unmodo per effettuare una prima ricognizione sull’asset-to dei servizi, sulla loro organizzazione e sulle eventua-li criticità. Obiettivo di questo lavoro è rilevare l’eventuale speci-ficità degli AS che operano nei servizi rivolti agli anzia-ni, a partire dai dati emersi da una ricerca nazionale con-dotta nel 2008 su 1.000 iscritti1 all’Ordine degli AS (Fac-chini, 2010).Anzitutto, si rileva che gli anziani costituiscono, per gli AS,una delle fasce di utenza più consistenti: ben il 19,3% licita, infatti, come destinatari principali del proprio in-tervento. Tale percentuale diventa ancora maggiore trachi lavora per i Comuni (23,3%) e, in particolare, tra chiopera in centri con meno di 10.000 abitanti (34,8%, con-tro il 10% di chi lavora nelle grandi città) e nelle regio-ni del Nord (il 30,1% contro il 15% delle regioni del Sud).I dati sono interessanti perché testimoniano non tantoun’oggettiva maggiore problematicità sociale degli anzianinei piccoli centri, specie del Nord, quanto che negli al-

tri contesti le loro domande di sostegno entrano mag-giormente in concorrenza con quelle provenienti da al-tre fasce di popolazione. Tali domande, determinate daun lato dall’elevata disoccupazione e povertà giovanilee adulta delle regioni del Sud, dall’altro dalla consisten-te presenza di soggetti a forte marginalità sociale nellegrandi città, comportano specifici interventi e servizi, ri-dimensionando, conseguentemente, la portata di quel-li destinati agli anziani. Si può ipotizzare che tale ridi-mensionamento in alcuni casi sia solo ‘relativo’ ma che,specie nei contesti in cui minori sono le risorse eco-nomiche a disposizione per le politiche e i servizi sociali,esso incida invece pesantemente sulla capacità di ri-spondere alle esigenze degli anziani lasciando molte ne-cessità inevase.Consideriamo ora il peso rivestito dalle attività con-cretamente svolte dagli intervistati, utilizzando, come in-dicatore, il loro time-budget. A riguardo, risulta centraleil rapporto diretto con gli utenti, che assorbe circa il 40%del tempo complessivo, ma consistenti sono anche le at-tività di front-office di base, ossia dedicate al Segretaria-to sociale (15,3%), quelle impiegate per le pratiche am-ministrative (15,7%) e il lavoro di rete (16,2%); minoriquelle destinate ad attività di coordinamento (11,8%) e,soprattutto, a ricerca e formazione (5%). Molto simili i dati di chi lavora con gli anziani, anche se,in questi casi, aumenta il tempo dedicato al segretaria-to sociale (20,1%) e alle pratiche amministrative (17,1%).Vale a dire che se il lavoro diretto con gli utenti costi-tuisce comunque la componente prevalente del lavorodi AS (Fargion, 2006), l’area ‘anziana’ risulta un po’ più con-notata in termini amministrativi e routinari che in ter-mini di intervento sistemico e progettuale.

Caratteristiche e specificità del lavoro con gli anziani: il caso degli Assistenti SocialiCarla Facchini

Facoltà di Sociologia, Università di Milano Bicocca

———————————————————————1 Gli intervistati sono stati estratti in modo casuale dagli elenchi degli iscritti agli ordini regionali: di essi, quelli effettivamente occupati come AS sono stati730.

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Consideriamo ora la collaborazione con altre figure pro-fessionali. La quasi totalità degli intervistati (97,9%) si rap-porta nel proprio lavoro con altri AS; molti anche quan-ti operano con psicologi (89,3%), medici (83,9%) edu-catori (81,3%); meno numerose, invece, le collaborazionicon infermieri, fisioterapisti (62,3%) e ASA (58,4%) e, so-prattutto, sociologi (33,3%). I dati evidenziano anche comei rapporti con le altre figure professionali siano di nor-ma positivi (solo il 5-10% segnala rapporti ‘difficili’); l’u-nica eccezione è costituita dai medici, rispetto ai qualirapporti difficili salgono al 15%.Tra chi lavora con gli anziani si rafforza, comprensibilmente,la collaborazione con figure sanitarie o assistenziali (me-dici, infermieri, terapisti, ASA, la cui presenza sale, ri-spettivamente, al 90,8%, 82,3% e all’83,7%), mentre de-cresce quella con gli educatori (presenti comunque nel66,7% dei casi); si accentuano anche, se pur di poco, letensioni con i medici, segnalati dal 17,8% dei casi. Tali dati,che testimoniano la pluralità delle diverse professioni neiservizi socio-assistenziali e il ruolo centrale di quelle sa-nitarie nell’ambito ‘anziani’ pongono, implicitamente, la ri-levanza del saper lavorare in équipe (Campanini, 2002),cioè la capacità di adottare stili collaborativi tra profes-sioni che hanno non solo difformi competenze ma, spes-so, anche difformi approcci rispetto sia alla gestione deisingoli casi, sia alle strategie complessive con cui impo-stare interventi e servizi.

LA VALUTAZIONE DATA AL PROPRIOAMBITO DI INTERVENTO

Consideriamo infine l’interesse che gli AS dichiarano peril proprio ambito d’intervento. In generale, esso risultadecisamente elevato (la quota di chi dichiara, su una sca-la da 1 a 10, un interesse superiore a ‘8’ è attorno all’80%),ma tende ad attenuarsi tra chi opera con gli anziani, por-tando la quota di chi è molto interessato al 70%2. Que-sto dato, che conferma i risultati di una ricerca sugli im-matricolati al corso di laurea in Servizio Sociale da cuiè emerso come gli anziani siano la fascia di utenza con

cui si è meno interessati a lavorare (Facchini, 2004), ap-pare problematico specie se si considera che, come il-lustrato, gli anziani costituiscono una delle fasce di uten-za più rilevanti per questa professione. Diverse le ipotesi che si possono formulare a riguardo.La prima è riconducibile al fatto che mentre lavorare sualtre fasce a rischio della popolazione sia lavorare su ‘al-tro’ da sé, lavorare con gli anziani e con le tematiche del-l’invecchiamento implichi un confronto con le immagi-ni ‘future’ di sé, della propria vecchiaia, delle proprie ma-lattie. Comporta dunque la necessità di un impegnati-vo confronto con il proprio vissuto personale, con i pro-pri timori e con le proprie paure. La seconda è che gliAS ritengano che, mentre altri campi d’intervento per-mettano non solo di incidere positivamente sulla situa-zione ma anche di risolverla, gli interventi che riguardanogli anziani possano sì tamponare i problemi, ma ben dif-ficilmente risolverli. Vale a dire che, mentre gli interventiper la popolazione giovane-adulta possono essere visticome tendenzialmente risolutivi della problematicità ini-ziale, quelli rivolti agli anziani tendono ad essere consi-derati come in grado, al massimo, di rimediare tempo-raneamente una situazione destinata comunque ad evol-versi negativamente: un rammendo dunque, e non unaristrutturazione risolutiva del ‘caso’. Ne consegue la rilevanza di una specifica formazione, ini-ziale e in itinere, in grado di motivare l’intervento in que-st’ambito, evidenziandone le peculiarità interdisciplina-ri e le dimensioni culturalmente più innovative che lo con-traddistinguono.

BIBLIOGRAFIA

Campanini A. Il modello sistemico, Carocci, Roma 2002.

Facchini C. Le tematiche dell’invecchiamento tra forte richiesta del ‘merca-to’ e modesto interesse degli studenti: alcune ipotesi e qualche possibilestrategia, I luoghi della cura 2004(3):5-7.

Facchini C. (a cura di) Tra impegno e professione. Gli assistenti sociali co-me soggetti del welfare, Il Mulino, Bologna 2010.

Fargion S. Il servizio sociale. Storia, temi e dibattiti, Laterza, Bari 2009.

———————————————————————2 Inoltre, solo in questo caso, sono presenti, pur se minoritari (7%), punteggi pari o inferiori a 6.

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Negli ultimi anni l’impiego dei servizi domiciliari ècresciuto di oltre un punto percentuale (da 3,8%a 4,9%) mentre rimane stabile la copertura ter-

ritoriale fornita dai servizi residenziali (3%). Cresce mag-giormente l’assistenza integrata di tipo sanitario (ADI)rispetto al servizio assistenziale comunale SAD e diventala componente predominante della cura domiciliare(dall’1,6% al 3,5%). Una crescita, quella dell’ADI, spronataanche dalla presenza di obiettivi di copertura minima (3,3%) da raggiungere omogeneamente a livello nazionalee regionale, così come concordato e promosso nel Qua-dro di Sviluppo Nazionale 2007-2013 (Pesaresi, 2010).Viene spontaneo chiedersi se la dimensione del servi-zio a livello regionale sia in rapporto con qualche indi-catore di bisogno, così da poter formulare una stima –anche indicativa – sull’ appropriatezza della risposta che,almeno in parte, possa giustificare le differenze regionaliesistenti.Punto di partenza della nostra riflessione è che l’ap-propriatezza della risposta delle cure domiciliari cor-risponda alla capacità di coprire adeguatamente i bi-sogni per i quali è previsto l’intervento. In Italia non viè, però, una cultura della rilevazione dei “bisogni”, al-meno non a livello quantitativo: dati sintetici non sonodisponibili né a livello nazionale né nella maggior par-te delle regioni. Si è provato perciò a trarre qualche ri-ferimento quantitativo di appropriatezza – seppur in-diretto – dal rapporto tra la diffusione del servizio do-miciliare e alcune dimensioni di fragilità presenti nellapopolazione a cui dovrebbe essere indirizzato. In par-ticolare, ci si è soffermati sull’ età avanzata (>75anni),la solitudine e la disabilità, tre elementi che certamentedefiniscono la clientela “naturale” dei servizi di cura adomicilio. Si rifletterà quindi sull’esistenza di una cor-relazione tra copertura territoriale del servizio domi-ciliare – sanitario e sociale – e i valori regionali e na-zionali di tali indicatori indiretti.

RAPPORTO TRA CURE DOMICILIARIE ULTRA 75ENNI

Un indicatore indiretto della relazione fra quota di as-sistiti a domicilio e bisogno può derivare dal rapportocon la popolazione ultra75enne, che è quella che più frui-sce dei servizi di assistenza. Nel secondo rapporto sull’assistenza agli anziani non au-tosufficienti in Italia viene detto: “(…) Oggi, come noto,i grandi anziani (75+) costituiscono il target principaledell’assistenza continuativa e questo dato si riproponenell’utenza dell’ADI… gli ultra75enni rappresentano laquota più alta degli assistiti, raggiungendo quasi ovunque,e talora superando, i 2/3 degli anziani seguiti (…) Daticonfermati anche da altri studi, ad esempio nelle Mar-che la percentuale di assistiti risulta il 12,7% per gli ul-tra65enni ma quasi 20% per gli ultra75enni…” (Guaitae Casanova, 2010).Ciò avvalora la valenza – come indicatore di appro-priatezza – del rapporto fra presenza di ultra75enni nel-la popolazione e percentuale di assistiti in ADI e SAD.La distribuzione regionale della copertura dei due ser-vizi relativa ad anni se non coincidenti, simili, è descrit-ta in Tabella 1.L’elaborazione del rapporto tra tassi di copertura e po-polazione 75enne (Fig. 1) mostra come esista una cor-relazione positiva e statisticamente significativa, anche sedebolmente (P<0.05, r = 0,444), tra ADI e la popola-zione ultra75enne. In pratica, le regioni con più 75enni hanno tendenzial-mente un più alto tasso di assistiti ADI. Invece la quotadi assistiti totali (ADI+SAD) nelle varie regioni non hauna distribuzione correlabile con la presenza di ul-tra75enni. Nella Figura 1 la distribuzione delle regioni rispetto allamedia italiana individua quelle che pur avendo alto tas-so di ultra75enni hanno basse quote di assistiti (riqua-

Cure domiciliari e indicatori di bisognonella popolazione Antonio Guaita*, Georgia Casanova**

* Fondazione Golgi Cenci, Abbiategrasso (MI); ** Università “Vita e Salute” San Raffaele, Milano

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dro in basso a destra) o, al contrario, alta quota di assi-stiti pur avendo meno ultra75enni (riquadro in alto a de-stra). Sono invece espressione di un certo equilibrio leregioni che stanno nel riquadro in basso a sinistra (mi-nor quota sia di ADI sia di ultra75enni) o in alto a de-

stra (più alta quota sia di ADI sia di ultra75enni). Ad esem-pio, la provincia autonoma di Bolzano e la regione Val-le D’Aosta hanno tassi di assistiti ADI molto bassi, tra loronon diversi (0,50 e 0,30), a fronte di una diversa presenzapercentuale di ultra75enni, meno di 8 e quasi 10% ri-

Tabella 1 - Il contesto regionale: indicatori demografici di rilievo e copertura delle cure domiciliari rispetto alla popolazione anziana (65+)%1.

———————————————————————1 Elaborazione su fonte ISTAT dati demografici al 1-1-2007; ADI Ministero Sviluppo economico – Monitoraggio QNS al 1-1-2007, a sua volta richiamo deidati SNN annuario sanitario 2007; SAD dati relativi al 1-01-2006 – censuaria comuni ISTAT.

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spettivamente (7,87 e 9,70). All’inverso, Sicilia e Lazio han-no simile la quota degli ultra 75enni (8,64 e 8,87), men-tre assai diverso risulta il tasso degli assistiti ADI (1 e 3,80).Per meglio comprenderne il significato, il dato va com-parato anche con la presenza del servizio di assistenzacomunale SAD che è particolarmente sviluppato sia inValle d’Aosta che a Trento e Bolzano, facendo suppor-re una certa attività di “supplenza” fra i due servizi. Que-sto, se vero, dovrebbe generare una correlazione negativastatisticamente significativa fra presenza di ADI e presenza

di SAD e una analoga positiva con i 75enni: ma tale cor-relazione non esiste, né esiste alcuna correlazione fra SADe popolazione ultra75enne.

CURE DOMICILIARI E PRESENZADI ANZIANI CHE VIVONO SOLI

Un’altra possibile analisi del rapporto fra servizi e bi-sogno espresso dalla popolazione degli anziani, riguar-

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———————————————————————2 Elaborazione su dati Istat e Dipartimento DPS 2007.

Figura 1 - Popolazione 75+ e copertura ADI: Distribuzione delle regioni rispetto alla media italiana nel rapporto fra 75enni nella popola-zione e presenza di ADI sul territorio2.

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da gli anziani che vivono soli (Tab. 1). In realtà, analiz-zando la distribuzione degli anziani ultra60enni soli nel-le regioni italiane e la quota totale ADI e SAD di assi-stiti, non si trova una correlazione (totale ADI +SAD:“r”:-104, p:0,655; ADI:“r”:-192; p:0,405; SAD:“r”:0,161;p:0,292).

CURE DOMICILIARI E PRESENZADI DISABILI ANZIANI CHE VIVONOIN FAMIGLIA

Ancora più pertinente rispetto al bisogno assistenzialeè l’analisi del rapporto fra assistiti a domicilio e quotadi disabili anziani che vivono in famiglia. In questo casoi dati ISTAT sono riferiti al 2004-2005 e riguardano gliultra 75enni non autosufficienti che vivono a casa (esclu-si quindi i ricoverati in struttura residenziale).Ci si è basati sui valori assoluti dei maggiori di 75 annisia della popolazione sia dei disabili, ricavando la relati-va quota percentuale sui coetanei (Tab. 2)La quota totale (SAD+ADI) degli assistiti, ma anche lasola ADI non mostra alcuna relazione con questa po-polazione di sicuri bisognosi (correlazione disabili in fa-miglia ultra75enni *100 con la quota di assistiti:Totale:“r”-0,273; p:0,245; ADI:“r”:-0,034; p:0,888).Nella distribuzione regionale fra percentuale di assistitiADI e ultra75enni disabili al domicilio (Fig. 2) vi è un cer-to equilibrio per le regioni come Piemonte e Liguria chepresentano minor quota sia di SAD che di ultra75ennidisabili o, all’opposto, come la Sicilia con più alta quotasia di SAD che di ultra75enni disabili (nella Figura il ri-quadro in basso a sinistra e in alto a destra). Si nota chela Valle d’Aosta, pur con una percentuale di disabili mol-to più bassa, ha una quota di assistiti simile a quella del-la Sicilia. La Basilicata ha una bassa percentuale di SADe la più alta quota di disabili anziani in famiglia.Curiosamente vi è una correlazione negativa con il SADcomunale, come se l’intervento comunale, laddove sonopiù presenti questi anziani, fosse minore (“r”:-0,54; p:0,014). Come spiegare lo scarso ruolo del SAD per questi an-ziani? Si può pensare che questa popolazione partico-

lare di disabili anziani sia portatrice di bisogni comples-si, spesso sul versante sanitario e quindi più bisognosadi ADI o di altre risposte; però neppure l’ADI cresce alcrescere della loro presenza percentuale. In effetti, sem-bra che le risposte a questi bisogni siano altre, in parti-colare la residenzialità. La quota di ricoverati è infatti inrapporto inverso, altamente significativo, con la per-centuale dei disabili che troviamo a domicilio (correla-

Tabella 2 - Il contesto regionale: indicatori di disabilità e disabilità75+3.

———————————————————————3 Elaborazione su dati Istat (Health for All 2005).

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zione fra disabili ultra 75enni a domicilio e ricoverati inresidenza nelle regioni:“r”=-0,735; p <0,001).

RAPPORTO CURE DOMICILIARIE CURE RESIDENZIALI

Un altro aspetto importante del rapporto fra dimensionedei servizi domiciliari e bisogni degli anziani non auto-sufficienti è la relazione con gli altri servizi che a loro sonosoprattutto rivolti, primi fra tutti i servizi residenziali, co-munque intesi. Se si analizza la possibile relazione di queste percentualicon le percentuali riportate per i servizi domiciliari, non

si trovano correlazioni statisticamente significative. Vi èsolo una tendenza che riguarda il SAD, ma è verso unacorrelazione positiva e non negativa (cioè al crescere deiricoverati aumenta anche la quota degli assistiti a do-micilio). Approccio di integrazione e non di alternanzatra cure domiciliari e RSA che trova riscontro anche neidati di altri paesi europei (Gori, 2001).

CONCLUSIONI

Nell’analisi dei dati sulla copertura ADI offerta dalle va-rie Regioni l’unico rapporto di correlazione riscontra-to è quello con la quota di anziani ultra75enni. Né la pre-

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Figura 2 - Presenza disabilità 75+ e copertura ADI: riportata la distribuzione delle regioni rispetto alla media italiana (2007).

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senza degli anziani soli né di quelli disabili si correla conla quantità di servizio domiciliare offerto dalle regioni.Risulta inoltre un ruolo debole del servizio comunale diSAD, specie di fronte alla disabilità, la cui presenza si cor-rela essenzialmente con la quota di anziani ricoverati nel-le residenze. La quota di assistenza domiciliare risulte-rebbe quindi più giustificata dalle scelte dell’offerta e dal-le politiche regionali che non dalla dimensione dei bisognia cui rispondere. Una tendenza di strategia orientata almantenimento della struttura, che la teoria delle orga-nizzazioni etichetta come elemento tipico della culturainterna di ogni struttura. Ci si chiede ora, però, se i ser-vizi domiciliari – e più in generale il sistema di offerta –alla luce delle finalità del proprio intervento debbano cer-care una strategia che integri maggiormente strategia si-stemica – comunque fondamentale – ad una strategiadi appropriatezza di risposta.

BIBLIOGRAFIA

Gori C. I servizi sociali in Europa: caratteristiche tendenze, problemi. Ca-rocci editore, Roma 2001.

Guaita A, Casanova G. I bisogni e le risposte. In: NNA -Network Non Au-tosufficienza- (a cura di) L’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia:secondo rapporto, Maggioli Editore, RSM 2010.

NNA -Network Non Autosufficienza- (a cura di) L’assistenza agli anzianinon autosufficienti in Italia. Rapporto 2009, Maggioli editore, RSM 2009.

Pesaresi F. Dove va la realtà italiana. In: NNA -Network Non Autosuffi-cienza- (a cura di) L’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia: se-condo rapporto, Maggioli Editore, RSM 2010.

Tabella 3 - Il contesto regionale - i ricoverati in RSA (2007)4.

———————————————————————4 Elaborazione dati Rapporto NNA 2009.

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INTRODUZIONE

I cambiamenti demografici ed epidemiologici degli ulti-mi due decenni, in particolare la prevalenza delle pato-logie cronico-degenerative, stanno costringendo i pae-si con elevato indice di invecchiamento (Italia compre-sa) a rivedere in modo radicale il sistema di welfare so-ciale e di cure sanitarie. La prassi medica prevalente, fon-data sulla sola diagnosi e cura delle malattie (scarsa pre-venzione), si dimostra poco efficace nel rispondere alladomanda di salute dei pazienti “cronici”, profondamen-te influenzata dallo stato funzionale e da altri fattori di“contesto”, compresa la condizione esistenziale. Quan-do tempi, luoghi e modalità di vita e cura si sovrap-pongono, il raggiungimento dell’efficacia e appropriatezzadelle cure non può prescindere dal considerare, oltre allecondizioni morbose, la diagnosi funzionale, il “setting” dicura, le abitudini di vita, la biografia, la cultura, il reddito,le aspettative ed esperienze del paziente. Questo ap-proccio globale e attento alle diverse dimensioni dellapersona malata (in particolare quando fragile e multi-problematica) si è dimostrato più efficace nell’affronta-re i problemi di salute quando sono molteplici, com-presenti e interattivi. La medicina della cronicità (e/o del-la complessità) deve trovare difficili equilibri fra diversetensioni, dalla standardizzazione delle cure alla perso-nalizzazione dell’intervento, passando per il confronto deirisultati, senza perdere di vista il controllo dei costi eco-nomico-sociali e l’equità nelle cure erogate. Lo svilup-po di questo approccio clinico-assistenziale globale hatrovato dei saldi fondamenti metodologici nella valuta-zione multidimensionale, nel riferimento scientifico del-le evidenze clinico-assistenziali (Ebm e Ebn), ed il con-fronto delle buone prassi. Questo approccio non è esen-te da rischi e criticità poiché ancora oggi si stima che soloil 30% delle decisioni clinico-assistenziali vengono assuntesulla base della forza delle evidenze; la maggior parte distudi e trial considerati in letteratura vengono condot-ti escludendo per problemi essenzialmente metodolo-gici i pazienti anziani, fragili e multiproblematici; la valu-tazione multidimensionale è spesso citata ma poco pra-

ticata e le buone prassi soccombono sotto la pressio-ne delle urgenze/emergenze; dobbiamo però essere con-sapevoli che l’alternativa rischia di essere l’abbandonodi questi pazienti ad una medicina esclusivamente pal-liativa.

LA RETE DEI SERVIZI RSA Le Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA) sono luoghidi cura specificamente deputati ad accogliere e curareanziani fragili, disabili e multiproblematici, garantendo inambito residenziale sostegno di tipo sanitario (medico,infermieristico, riabilitativo) e socio-assistenziale (tutelae assistenza alla non autosufficienza); dove presenti e ade-guatamente diffuse, si stanno dimostrando un nodo fon-damentale della rete dei servizi di cura a lungo termi-ne LTCF (Long Term Care Facilities), acronimo con cuisi definisce una serie eterogenea di servizi a caratteresanitario e socio-sanitario (strutture residenziali per an-ziani e disabili, riabilitazione, hospice, ecc.). In Italia si con-tano oggi circa 200.000 posti letto di RSA, anche se ilfabbisogno stimato è di almeno il doppio, la distribuzioneterritoriale è disomogenea e la presenza prevalente nel-le regioni del Nord Italia (solo in Lombardia sono ac-creditati a fine 2009 circa 56.000 posti letto). Le RSA,oltre a non rappresentare un sistema diffuso di cure nelpaese per complesse motivazioni storiche e socio-eco-nomiche che non verranno trattate in questa sede, sonoalla ricerca di una più precisa e migliore identità di ser-vizio nel rapporto che possiamo definire fra “conteni-tore” e “contenuto”. A sostegno e conclusione si riportaquanto efficacemente espresso nel quaderno del Mini-stero della Salute dedicato all’assistenza all’anziano: “LeRSA devono ‘specializzarsi’ in nuclei al cui interno cura-re individui con problematiche cliniche simili? Devonoessere strutture residenziali che forniscono assistenza sa-nitaria a soggetti non assistibili a domicilio, o devono an-che rappresentare un riferimento erogatore di servizi perla comunità (centri diurni, ambulatori, assistenza domi-ciliare)? Ancora, devono prevedere posti letto per de-

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Ricerche multicentriche in RSARenzo Bagarolo

Piccolo Cottolengo Don Orione, Milano

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genze temporanee di sollievo o dedicarsi soltanto allaresidenzialità stabile? Devono porsi come alternativa, aminor costo, rispetto a strutture lungodegenziali riabi-litative? Per tutte queste domande non vi è ancora unariposta definitiva; sono aperte allo studio, alla speri-mentazione, alla costruzione di servizi fondati su di-mostrazioni di “efficacia”.

LE RICERCHE MULTICENTRICHE

Il sistema di Clinical e Nursing Evidence permette diorganizzare le informazioni clinico-assistenziali basan-dole su prove di efficacia e sulla validità e forza scien-tifica; ha avuto un grande impulso nell’era digitale perla possibilità tecnica di gestire grandi quantità di dati intempo reale (database) e per la grande diffusione e op-portunità offerte negli ultimi anni dall’ICT (InformationCommunication Tecnology) in ambito sanitario. Tuttociò aumenta le possibilità di accesso, scambio e con-fronto delle informazioni scientifiche da parte degli ope-ratori, ma richiede un cambiamento culturale ed un ag-giornamento e sviluppo di competenze professionalinella gestione dei dati e delle informazioni che, para-frasando R. Kane, possiamo riassumere così: abbiamotanti problemi, ed i dati che abbiamo a disposizione sonoa volte troppi, altre volte pochi: occorre individuare qua-li sono i dati significativi (indicatori) e i punti di vista peresaminarli. Le RSA possono diventare luoghi significa-tivi per la ricerca scientifica relativa alle modalità di cura,assistenza e gestione delle persone anziane e fragili, cosìcome avviene da molti anni nelle Nursing Home e In-termediate Care Facilities del Nord America. Ciò per-metterebbe di acquisire e diffondere nuove e fonda-te conoscenze in campo geriatrico e di poter fornirequalche risposta ad alcune delle domande formulatein premessa. La diffusione ed il successo delle ricerchemulticentriche in RSA dipenderanno prima ancora chedalle risorse economiche (pure importanti), dalla cul-tura professionale e dalle competenze che gli opera-tori che vi operano sapranno mettere in campo. A con-clusione, a semplice titolo esemplificativo, si riportanoalcuni studi condotti presso alcune RSA della Lombardia.Le prime due esperienze fanno riferimento a studi mul-ticentrici di ambito più territoriale condotti con mol-to sforzo e impegno in alcune RSA lombarde, che sualcuni problemi specifici hanno condiviso analisi e con-frontato prassi d’intervento. Le due successive espe-rienze fanno riferimento all’adesione di una struttura

LTCF a programmi di studio multicentrici su scala eu-ropea (modello network) su nutrizione e infezioni conl’utilizzo di strumenti validati e standardizzati a livellopiù ampio.

ESPERIENZE

2004 Stipsi e anziani. In questo studio multicentrico ditipo osservazionale, condotto su 376 anziani accolti indiversi setting di cura di circa 10 RSA Lombarde, sonostati rilevati i dati di prevalenza del problema stipsi, i fat-tori correlati, ed individuato il rischio di sovraesposizione(1:5) al trattamento con lassativi in RSA, proponendo-si il compito di diffondere e implementare linee guidae raccomandazioni di buona pratica presso queste edaltre strutture residenziali per anziani.

2006 Fragilità e Instabilità clinica. In questo studio mul-ticentrico retrospettivo, condotto sull’analisi della do-cumentazione clinico-assistenziale di 544 pazienti accoltiin 3 RSA di Milano, è stata valutata l’incidenza dell’in-stabilità clinica in RSA tramite la rilevazione deglieventi clinici avversi (ACEs), il suo rapporto con indi-catori di stato (fragilità) e di esito (decesso, sopravvi-venza e ospedalizzazione); infine analizzata la coeren-za con la classificazione regionale SOSIA per la tariffa-zione delle prestazioni. I risultati hanno evidenziato cheFragilità e Instabilità clinica possono essere fattori indi-pendenti che si correlano nella gravità solo nelle fasi ter-minali di vita, e che il sistema di classificazione SOSIArileva la complessità clinica tramite la comorbosità, manon l’instabilità clinica, non “premiando”, in tal modo, com-portamenti virtuosi e appropriati di gestione degli even-ti clinici avversi all’interno delle Strutture RSA nelle fasiterminali di vita.

2009 Nutrition day in Europe. L’Istituto Piccolo Cotto-lengo Don Orione di Milano ha aderito, nel 2009, al-l’indagine annuale multicentrica europea (www.nutri-tionday.org) sulle problematiche della nutrizione e mal-nutrizione in Nursing Home. L’indagine è stata condot-ta con strumenti standardizzati che hanno permesso diconfrontare con dati e indicatori comuni (Tab. 1) la pro-pria realtà di servizio con situazioni comparabili in Eu-ropa (Nursing Home). L’acquisizione ed il confronto diquesti dati hanno rappresentato il punto di partenza perazioni di miglioramento su aspetti poco presidiati del pro-blema e l’adozione di nuove e/o più efficaci prassi di in-

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tervento sui problemi nutrizionali delle persone fragili.

2010 Progetto HALT (Healtcare Associated Infectionsin Long Term Care Facilites). La LTCF Piccolo CottolengoDon Orione di Milano ha aderito, nel 2010, allo studiomulticentrico di prevalenza puntuale sul controllo del-le infezioni correlate all’assistenza e l’utilizzo degli an-tibiotici. In carenza di risorse e competenze da dedicareal problema specifico (costituzione del CIO), l’adesio-ne al protocollo Europeo HALT (promosso dalla Re-gione Emilia Romagna) è stata l’occasione per dispor-re di una metodologia di indagine “validata” che, sep-pur finalizzata alla costituzione di un database dedica-to, ha permesso di utilizzare uno strumento valutativoche, oltre ad acquisire dati, restituiva un report con l’a-nalisi dello stato di controllo delle infezioni in struttu-ra. Nella Tabella 2 sono riportati i dati raccolti per l’in-tera LTCF e nei diversi setting di cura; sono infatti pre-senti, oltre ad un servizio RSA, un servizio di riabilita-zione estensiva, ed una residenza sanitaria per disabiliadulti (RSD).

CONCLUSIONI

Negli ultimi anni, nella cosiddetta società della conoscenza,l’ICT ed i network di patologia e professionali hanno avu-to un grande sviluppo, sebbene la loro diffusione sia an-cora disomogenea e spesso poco programmata. L’in-tervento geriatrico e gerontologico potrà avere un fu-turo se produrrà e saprà gestire informazioni utili e affi-dabili nei diversi aspetti di vita e di cure dell’anziano, inparticolare quello fragile. Quindi lo sviluppo di reti di co-noscenza, finalizzate al supporto e all’implementazionedel sistema di sostegno e cure dell’anziano, diventa un“caveat” dell’attività geriatrica. Occorre sottolineare chele reti professionali, anche per obiettivi specifici, nasco-no dalla disponibilità e volontà degli operatori di condi-videre competenze ed esperienze, prima ancora che dal-la disponibilità tecnologica. Iniziare a partecipare e/o pro-grammare studi di ricerca multicentrica tramite le reti in-formatiche rappresenta ormai una modalità piuttosto sem-plice, sostenibile e generalmente efficace per connette-re e sviluppare conoscenze anche in ambito geriatrico.

ASPETTI GESTIONALI NON CLINICI

I luoghidella cura

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Tabella 1 - Confronto tra i dati dell’Istituto Don Orione e i dati europei relativi all’indagine annuale multicentrica europea sulle problematichedella nutrizione e malnutrizione in Nursing Home.

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BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIACONSIGLIATE

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http://asr.regione.emilia-romagna.it/wcm/asr/aree_di_programma/rischioinfettivo/htm

Tabella 2 - Dati relativi alla Long Term Care Facilities (LTCF) Don Orione e nei diversi setting di cura.

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