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Hedley Bull: La società anarchica.
L’ordine nella politica mondiale
LA NATURA DELL’ORDINE NELLA POLITICA MONDIALE
Cap. I: Il concetto di ordine nella politica mondiale
L’ordine nella vita sociale
Ordine:
o non è una semplice regolarità, ma un certo numero di cose collegate l’una all’altra
secondo qualche modello (una relazione che contiene quindi
qualche principio riconoscibile)
che conduce a un particolare risultato, tale da promuovere
alcuni scopi o valori
S. Agostino: “la disposizione di realtà uguali e disuguali, ciascuna al proprio posto”
o L’ordine è necessariamente un concetto relativo una sistemazione che è:
ordinata in relazione ad uno scopo oppure
disordinata in relazione ad un altro
per questo a volte si verificano disaccordi nel giudicare se un certo insieme di
disposizioni sociali comporti un ordine oppure no.
o Tre in particolare sono gli scopi primari che tutti i tipi di società ne favoriscono il raggiungimento:
1. protezione dalla violenza
2. cercare di mantenere le promesse, senza il rispetto dei patti risulta difficile
concepire il fatto stesso che gli uomini prendano accordi per facilitare la
cooperazione sociale
3. assicurare che il possesso delle cose rimanga stabile per un certo grado
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o Essi sono:
1. elementari primari -> il raggiungimento di altri scopi presuppone in qualche grado il
raggiungimento di questi, e senza di essi non si può parlare di società o vita sociale
2. universali -> nel senso cioè che ogni società sembra tenerne conto.
o Essi non sono:
1. obbligatori (≠ teoria del diritto naturale): quando sorgono dei conflitti tra questi e altri
scopi, come ad esempio nei periodi di guerra e di rivoluzione, non significa che le società
devono comunque attribuire priorità a quelli primari.
o L’autore ha volutamente definito l’ordine tralasciando il concetto di regola,
convinto del fatto che l’ordine nella vita sociale possa esistere, in linea di principio, senza
regole,
e che sia meglio trattare le regole come strumenti, diffusi e pressoché onnipresenti (es.
regole/leggi che vietino l’assassinio e l’aggressione, proibiscano la rottura dei contratti e
garantiscano la proprietà) per la creazione dell’ordine nelle società umane, piuttosto che
come una parte della definizione dell’ordine stesso.
2. L’ordine internazionale = modello di attività che sostiene gli scopi elementari o primari della società degli Stati, o società
internazionale.
Stati = comunità politiche indipendenti ciascuna delle quali possiede un governo e stabilisce la propria
sovranità in relazione a una particolare porzione della superficie terrestre, e su un particolare
segmento della popolazione umana.
Sovranità interna: supremazia all’interno di quel territorio e di quella popolazione
Sovranità esterna: non supremazia, ma indipendenza dalle autorità esterne, entrambe
possono essere concepite come esistenti sia su un piano normativo sia su un piano fattuale.
o Una comunità politica che semplicemente rivendica un diritto alla sovranità (o che è considerata
dagli altri detentrice di un tale diritto), ma che non può affermare questo diritto nella pratica, non è
uno Stato nel vero senso della parola
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Es. i regni e i principati della cristianità occidentale medioevale non erano Stati: non possedevano i
due tipi di sovranità (non erano superiori a tutte le autorità all’interno, non erano indipendenti dal
Papa o dall’Impero Romano).
Entità come queste finiscono al di fuori dell’ottica delle “relazioni internazionali” (= non le
relazioni tra nazioni ma tra Stati in senso stretto), configurate in una più ampia teoria delle
relazioni tra potenze, in cui le relazioni tra gli Stati rappresentano un caso specifico.
Sistema di Stati o sistema internazionale
= si forma quando due o più di essi (stati sovrani, quindi ≠ entità politiche indipendenti, che
costituiscono un sistema a Stato sovrano) stabiliscono:
un sufficiente contatto,
assumono ciascuno sulle decisioni dell’altro un impatto sufficiente a far si che ognuno si
comporti, almeno in una certa misura, come parte di un tutto.
o Due o più Stati possono esistere senza formare un sistema internazionale,
o Formano un sistema quando -> si trovano in regolare contatto gli uni con gli altri e in aggiunta si
verifica un’interazione tra essi sufficiente ad influire sui calcoli per il comportamento di ciascuno
Interazione diretta - quando sono vicini, o competono per lo stesso oggetto o collaborano
nella stessa impresa
Interazione indiretta - ciascuno deve trattare con uno stesso terzo Stato
Le interazioni tra Stati per mezzo delle quali si costituisce un sistema internazionale possono
prendere la forma:
della cooperazione,
dal conflitto,
della neutralità o dell’indifferenza nei riguardi degli obiettivi altrui
possono essere presenti su una intera gamma di settori (politico, strategico,
economico, sociale)
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Martin Wright -> classifica diversi tipi di sistemi di Stati:
1. sistema internazionale di Stati: quello appena descritto, sistema composto da Stati sovrani. Per
Wright e anche per Bull in questi tipi di sistema è costantemente destinata ad esistere una potenza
dominatrice o egemonica (es. il sistema classico delle città-Stato greche), con una perpetua contesa
su quale Stato debba essere egemone.
2. sistema a Stato sovrano: sistema in cui un solo Stato afferma e mantiene la propria prevalenza e
supremazia sugli altri. (es. relazioni Impero Romano - vicini popoli barbarici)
Distingue tra:
1. Stati primari: composto da Stati
2. Stati secondari: composti da sistemi di Stati (es. relazioni tra cristianità orientale, occidentale e
Califfato). Se in un sistema secondario ciascuno dei sottosistemi di cui è formato contiene una
molteplicità di Stati, con un contatto e un’interazione tra di loro sufficiente, allora l’insieme totale
forma un sistema di Stati primario.
Storia dell’espressione “sistema di Stati”:
o Nel 1675 Pufendorf, trattato De systematibus civitatum: non si riferiva al sistema generale degli
Stati europei, ma a un particolare gruppo di Stati all’interno di quel sistema
il termine “sistema” fu applicato da scrittori del XVIII secolo come Rousseau e Nettelbladt e diffuso
da scrittori del periodo napoleonico (Gentz, Ancillon, Herren): nel momento in cui la Francia
minacciava di distruggere il sistema degli Stati e di trasformarlo in un Impero universale, essi
cercarono di portare l’attenzione sull’esistenza di un tale sistema, e anche di mostrare perché
valesse la pena preservarlo
o Nel 1809: appare “sistema di Stati” per la prima volta, traduzione in inglese di un’opera di Heeren
del 1809. Per quest’ultimo il sistema non era semplicemente una costellazione di Stati, ma
implicava molto di più della semplice connessione causale tra un certo insieme di variabili: “unione
di Stati limitrofi, conformi per religione e cultura, vincolati tra loro per interessi reciproci”,
pensando che farne parte comportasse interessi e valori comuni (per Heeren Napoleone stava
disintegrando definitivamente il sistema degli Stati europei)
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società di Stati o società internazionale:
= esiste quando un gruppo di Stati, conscio di alcuni valori e interessi in comune, forma una società nel
senso che ciascuno si concepisce, nelle proprie relazioni con gli altri, vincolato da un insieme di regole
comuni, e partecipa al funzionamento di istituzioni condivise.
o Se oggi gli Stati formano una società internazionale è perché:
1. accettano le rispettive pretese di sovranità,
2. onorano gli accordi presi e si sentono soggetti ad alcune limitazioni nell’uso della forza
contro gli altri,
3. cooperano nel funzionamento di istituzioni quali le procedure del diritto internazionale, i
meccanismi della diplomazia e dell’organizzazione internazionale generale, i costumi e le
convenzioni della guerra.
o Una società internazionale presuppone un sistema internazionale, ma non il contrario1, non è però
sempre facile determinare la presenza o meno di una società internazionale
es. palesi sono le città-stato greche, i regni ellenistici dalla disintegrazione
dell’impero macedone alla conquista romana, il sistema degli Stati moderni, che
nacque in Europa ed è attualmente esteso all’intero pianeta).
Caratteristica comune per le società internazionale è che tutte sono fondate su una comune
cultura o civilizzazione: lingua comune, comune epistemologia e comprensione dell’universo,
una religione, un codice etico, una tradizione estetica o artistica.
Gli scopi elementari, primari, universali della società degli Stati per avere un ordine
internazionale:
1. assicurare la permanenza della società degli Stati come forma prevalente
dell’organizzazione politica universale, principali attori della politica mondiale e
principali portatori di diritti e doveri al suo interno. Vi sono state nel corso della storia
varie sfide e minacce, in particolare da parte di Stati dominanti (Germania nazista,
Francia Luigi XIV, forse Usa nel XX secolo) o anche da attori non statali (Sacro Romano
Impero, Papato, Nazioni Unite, attore violento nella crisi del Congo 1960-61), che
1 Due o più Stati possono interagire tra loro in modo tale da costituire fattori necessari nel calcolo altrui, senza dover per questo condividere valori o interessi comuni: es. la Turchia, fin dalla sua ascesa nel XVI secolo, aveva un ruolo nel sistema internazionale dominato dagli europei ma non valori/interessi comuni; non fu accettata dagli Stati europei
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sembravano capaci di rovesciare il sistema e la società degli Stati e di trasformarli in un
Impero universale
2. mantenimento dell’indipendenza o sovranità esterna dei singoli Stati.
Di fatto, la società internazionale ha considerato obiettivo subordinato preservare
l’indipendenza degli Stati particolari rispetto a quello di preservare la società stessa:
spesso ha consentito che l’indipendenza degli Stati venisse sacrificata (a nome di
principi come quello della “compensazione” o dell’“equilibrio di potenza” ), producendo
uno stabile declino nel numero dalla pace di Westfalia al congresso Vienna
3. la pace, universale e permanente, scopo subordinato agli altri due, che hanno insistito
sul diritto di ricorrere alla guerra per auto-difesa o per proteggere altri diritti. La pace
qui é in netto contrasto con l’esperienza storica reale = assenza di guerra tra gli Stati
membri della società internazionale.
4. la limitazione della violenza che potrebbe portare alla morte o all’offesa corporale, il
mantenimento dei patti e la stabilizzazione del possesso per mezzo di regole di
proprietà. Si cerca di realizzare questo scopo in diverse maniere: mantenere il
monopolio della violenza e di negare ad altri gruppi il diritto di esercitarla, accettano
alcune limitazioni al proprio diritto di usare la violenza (“guerra giusta”), il
mantenimento delle promesse è rappresentato dai principi pacta sunt servanda e rebus
sic stantibus)
3. L’ordine mondiale
= modelli o disposizioni dell’attività umana che sostengono gli scopi elementari o primari della vita sociale
all’interno dell’umanità intesa come totalità.
Ordine internazionale
= ordine tra Stati, che però sono semplicemente raggruppamenti di uomini, e gli uomini possono
raggrupparsi in maniera tale da non formare Stati.
come membro della società internazionale fino al trattato di Parigi del 1856 e forse non acquisì una piena uguaglianza fino al trattato di Losanna 1923
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o Un po’ di storia: Prima della seconda metà del XIX non c’è stato alcun sistema politico che
abbia unito il mondo nella sua totalità. Il primo sistema politico globale ha preso la forma di
un sistema globale di Stati, arrivando a raggiungere un sufficiente grado di interazione tra i
sistemi politici di tutti i continenti del mondo.
o Diverse fasi di questo processo:
1. gli Stati europei si sono ingranditi ponendo sotto il loro dominio il resto del mondo
(es. dai viaggi portoghesi di esplorazione XV secolo alla spartizione dell’Africa XIX)
2. le aree del mondo così incorporate si sono staccate dal controllo europeo e hanno
preso il loro posto come Stati membri della società internazionale (es. rivoluzione
americana, rivoluzioni anti-coloniali in Asia e Africa)
3. protagonisti della connessione tra le varie parti del mondo non furono solo gli Stati
ma privati individui e gruppi (es. esploratori, commercianti, emigranti, mercenari).
L’ordine mondiale è più esteso di quello internazionale poiché ci si riferisce non solo a quello tra
gli Stati, ma anche a quello prodotto su scala domestica o locale all’interno di determinati Stati;
l’ordine mondiale è più importante perché le unità ultime della società composta dall’intero
genere umano non sono gli Stati (o le nazioni, le tribù, gli imperi, le classi o i partiti) ma i singoli
uomini, che sono permanenti;
L’ordine mondiale possiede una priorità morale sull’ordine internazionale, che se possiede un
valore, ce l’ha solo in quanto finalizzato allo scopo dell’ordine nell’intera società degli uomini.
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CAPITOLO II: Esiste l’ordine nella politica mondiale?
Nonostante per molti l’idea di ordine internazionale non esista, se non come aspirazione, e che la
storia delle relazioni internazionali consiste semplicemente in disordine e conflitto, per Bull:
o attraverso la storia del sistema degli Stati moderni, si comprende che l’idea della società
internazionale è sempre stata presente
questa idea si riflette, almeno in parte, nella realtà internazionale
o i limiti dell’idea di società internazionale come guida alla pratica concreta degli Stati e la
natura precaria / imperfetta dell’ordine a cui essa dà origine
1. L’ordine della società internazionale
La tradizione hobbesiana o realista: concepisce la politica internazionale come uno stato di guerra
permanente
La tradizione kantiana o universalista, nella politica internazionale vede l’attività di una potenziale
comunità dell’umanità intera
La tradizione groziana o internazionalista, vede lo svolgersi della politica internazionale all’interno
del quadro di una società internazionale
1. Le relazioni internazionali:
a. stato di guerra di tutti contro tutti, un’arena in cui ciascuno Stato si misura con gli altri,
gioco totalmente distributivo o a somma zero: gli interessi di ciascuno Stato escludono
quelli di qualsiasi altro.
b. La pace è il periodo di “convalescenza” che sta tra l’ultima guerra e la preparazione di
quella successiva.
c. Le idee della moralità e del diritto sono valide solo nel contesto di una società, ma non in
ambito internazionale dove lo Stato è libero di perseguire i suoi scopi in relazione agli altri
Stati (politica estera degli Stati in una sorta di vuoto morale e legale).
d. Prudenza e interesse sono le sole regole, gli accordi possono essere stipulati ma anche
violati.
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2. l’essenza della politica internazionale risiede nei legami sociale transnazionali che uniscono i singoli
esseri umani, soggetti o cittadini degli Stati.
a. La comunità umana universale esiste solo potenzialmente e una volta realizza relegherà il
sistema degli Stati nel dimenticatoio (gli interessi di tutti formano una cosa sola, quindi la
politica internazionale è un gioco puramente cooperativo, i conflitti di potere esistono ma
solo a livello superficiale tra le classi dominanti).
b. L’essenza della politica internazionale è il conflitto internazionale tra le ideologie, che
divide la società umana in due campi: i fiduciari e coloro che intralciano la comunità
universale degli uomini
3. in ambito internazionale esistono imperativi morali limitanti la sfera d’azione degli Stati di cui la
comunità umana internazionale è il fine e l’oggetto del più altro sforzo etico;
a. le regole che reggono la coesistenza e i rapporti sociali tra gli Stati dovrebbero essere
ignorate qualora lo richiedessero gli imperativi di questa più alta moralità.
b. La 3 si pone a metà tra la 1 e la 2: accettano che i sovrani o gli Stati sono le principali realtà
della politica internazionale: i membri diretti della società internazionale sono gli Stati e
non i singoli esseri umani.
c. La politica internazionale non esprime né un totale conflitto tra gli interessi degli Stati, né
una loro completa coincidenza, ma un gioco parzialmente distributivo e parzialmente
generativo
es. il commercio tra un Paese e l’altro.
d. Gli Stati non sono vincolati solo dalle leggi della prudenza e dell’interesse, ma anche da
imperativi giuridici e morali, e ≠ dalla 2 essi non impongono il rovesciamento del sistema
degli Stati e la sua sostituzione con una comunità umana universale, ma piuttosto
l’accettazione delle condizioni di coesistenza e cooperazione presente in una società di
Stati.
L’idea groziana di società internazionale è sempre stata presente nelle riflessioni sul
sistema degli Stati.
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1.1 La società internazionale cristiana
XV, XVI, XVII secolo processo di disintegrazione dell’organizzazione politica universale della
cristianità occidentale / Stato moderno fase di articolazione.
o Nacquero tre forme di pensiero:
Machiavelli, Hobbes, Bacono -> vedevano gli Stati emergenti confrontarsi nel
vuoto morale lasciato dalla res publica cristiana ormai in declino; scrittori fedeli al
Papato o all’Impero (battaglia di retroguardia in nome dell’autorità universale);
tradizione del diritto naturale.
Grozio, Puffendorf, Gentili, Suarez -> Internazionalisti:
per questi i valori fondanti per la società sono cristiani, anche se la legge naturale, fonte
principale del diritto delle nazioni, è confermata indipendentemente dall’esistenza di Dio.
Per questi teorici della società internazionale le relazioni tra le potenze cristiane erano
differenti rispetto a quelle con altre potenze, infatti esisteva il circolo più ristretto costituito
dalla cristianità, che teneva a distinguersi (in particolare nei confronti degli ottomani), uniti
dalla legge della volontà divina, dai costumi tramandati, dalle regole dello ius gentium, dal
canone e dal diritto romano.
non offrivano nessun chiaro principio guida in base a cui determinare quali fossero i membri
della società internazionale, anche se erano i singoli individui, piuttosto che le loro
aggregazioni o gli Stati, i depositari in ultima istanza di diritti e doveri
Primato del diritto naturale sul diritto internazionale positivo:
o invocando la legge naturale speravano di liberare il diritto delle nazioni dai condizionamenti
delle pratiche esistenti, eredità dell’universalismo della società cristiana del Medioevo che
aveva perso il contatto con le nuove realtà politiche
o i primi internazionalisti (≠ Gentili) hanno difficoltà nel concepire il principio alla base dei
successivi tentativi teorici di vedere la guerra tra Stati come istituzione della società
internazionale, cioè che la soluzione della guerra può essere giusta allo stesso tempo per
entrambe le parti, e non solo nella loro opinione soggettiva, ma anche oggettivamente; così
anche per i trattati, nonostante il principio pacta sunt servanda fosse confermato da tutti,
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venivano concepiti come contratti di diritto privato, validi sempre a prescindere da
qualsiasi clausola rebus sic stanti bus e solo per i principi che li stipulavano e non per i loro
successori
gli internazionalisti contribuirono allo sviluppo del “diritto internazionale”,
ma non cercarono né di fondare il diritto delle nazioni sulla prassi concreta degli Stati né di
interpretare la cooperazione degli Stati nelle attività di rappresentanza diplomatica; inoltre
nessuno di questi teorici discusse dell’equilibrio di potenza o ne tenne conto nell’elaborazione delle
proprie concezioni della società internazionale, esso fu riconosciuto come un’istituzione della
società internazionale solo più tardi, al tempo della lotta contro Luigi XIV.
1.2 La società internazionale europea
Nel XVIII e XIX secolo l’idea della società internazionale assunse una forma differente, allorché la
legge naturale lasciò spazio al diritto internazionale positivo.
1. la società internazionale concepita dai teorici di questo periodo si definiva più come
europea che come cristiana nei suoi valori o nella sua cultura (es. sparirono i
giuramenti religiosi alla firma dei trattati e i riferimenti all’Europa presero posto nei
titoli dei libri).
2. cresceva la percezione della differenziazione culturale (già presente all’epoca della
società internazionale cristiana) da ciò che stava al di fuori: idea che le potenze europee
nelle relazioni reciproche fossero vincolate da un codice di condotta che non si
applicava ai loro rapporti con le altre società meno evolute (nel XIX secolo la dottrina
ortodossa dei teorici del diritto internazionale positivo stabiliva che la società
internazionale era un’associazione europea, a cui gli Stati non europei potevano essere
ammessi solo quando e se avessero raggiunto un livello di civilizzazione fissato dagli
europei (test che la Turchia fu la prima a passare, con l’art.7 del trattato di Parigi 1856
fu ammessa infatti al “diritto pubblico e al concerto d’Europa”).
3. l’iniziale ambiguità dei primi pensatori cede il passo a una chiara esposizione del
principio che la società internazionale è una società di Stati o di nazioni…alcune
caratteristiche fondamentali: tutti i membri hanno gli stessi diritti fondamentali, gli
obblighi sono reciproci, le regole e le istituzioni della società internazionale derivano
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dal loro consenso, i membri della società internazionale appartengono a una certa
entità politica chiamata “Stato”
il “principio di legittimità internazionale” di Wight2 era dinastico, dopo le rivoluzioni divenne
nazionale o popolare: il matrimonio dinastico lasciò posto al plebiscito, il principio patrimoniale al
principio dell’autodeterminazione
1. le fonti delle norme da cui gli Stati erano vincolati: i teorici volsero dalla legge naturale al
diritto internazionale positivo, quindi non teorie astratte su ciò che gli Stati avrebbero
dovuto fare, ma il corpo di leggi consuetudinarie e di trattati relativo a ciò che gli Stati
effettivamente facevano
2. La definizione “diritto delle nazioni”, oltre ad escludere quella di “diritto naturale”, venne
ad indicare abbastanza chiaramente il diritto tra le nazioni e non il diritto comune a tutte le
nazioni; la transizione fu completata da Bentham nel 1789 quanto il termine cedette a
“diritto internazionale”.
3. ricorso della violenza legittima nella politica internazionale monopolio dello Stato
4. regole concernenti la validità dei trattati: nel XIX secolo la dottrina di Gentili (i trattati
restano validi solo finché le circostanza rimangono invariate) venne accettate con
l’aggiunta che spettava a ciascuna delle parti decidere se le circostanze fossero cambiate.
5. sovranità come attributo di tutti gli Stati, ponendo il riconoscimento reciproco come regola
basilare della coesistenza all’interno del sistema degli Stati; alcuni corollari: principio di non
intervento, regola dell’uguaglianza degli Stati rispetto ai loro diritti fondamentali,
autonomia nella giurisdizione domestica
Il diritto internazionale fu riconosciuto come un distinto corpo di norme , emergenti dalla
cooperazione degli Stati moderni, distinto dalle materie di diritto privato, indicato nel XIX secolo
come “diritto pubblico internazionale”:
1. il sistema diplomatico fu istituzionalizzato con il Congresso di Vienna, che elevò alla status
di obiettivo anche la preservazione dell’equilibrio di potenza.
2 questioni relative all’appartenenza di diritto alla famiglia delle nazioni e a come la sovranità su un territorio o una popolazione dovesse essere trasferita da un governo al’altro
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1.3 La società internazionale mondiale
Nel XX secolo l’idea di società internazionale è tornata sulle difensive come nel ‘600 e ‘700:
l’interpretazione hobbesiana o realista è stata alimentata dalle due guerre mondiali e
dall’espansione della società internazionale oltre i suoi originari confini europei
+ la visione kantiana o universalista si è affermata grazie agli sforzi di superamento del sistema
degli Stati, tesi a sfuggire alla logica di conflitto e disordine e alla diffusione della dottrina della
solidarietà transnazionale globale;
o cessò di essere considerata come una realtà specificatamente europea e cominciò ad essere
ritenuta una realtà globale o mondiale.
Intorno al 1880 il giusnaturalista Lorimer scriveva che l’umanità si divideva in civilizzata
(Europa, Americhe), barbara (stati indipendenti dell’Asia) e selvaggia (resto del mondo),
che è la stessa suddivisione fatta oggi dagli scienziati sociali tra società moderne,
tradizionali e primitive.
Oggi la dottrina secondo cui la società internazionale si fonda su una specifica cultura o
civilizzazione è generalmente respinta, anche se va sottolineato che la società internazionale
contemporanea possiede una base culturale, quella della cosiddetta “modernità”, intesa come
cultura delle potenze dominanti.
L’enfasi novecentesca sull’idea di una società internazionale riformata o migliorata, ha
indotto a considerare la Società delle Nazioni, le Nazioni Unite e le altre organizzazioni
internazionali di questo tipo le istituzioni principali della società internazionale, generando
disinteresse nei confronti di quelle il cui ruolo nel mantenimento dell’ordine è in realtà
insostituibile;
sono nati così il rifiuto wilsoniano dell’equilibrio di potenza, il disprezzo della
diplomazia e la tendenza a rimpiazzarli con l’amministrazione internazionale.
Ma quest’idea di società internazionale è effettivamente conforme alla realtà?
2.1 L’elemento della società
Il sistema internazionale moderno riflette di fatto tutti e tre gli elementi elaborati rispettivamente
dalla tradizione hobbesiana, kantiana e groziana:
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guerra e lotta per il potere tra Stati
solidarietà transnazionale e conflitto ideologico trasversale ai confini nazionali
cooperazione e rapporto regolato tra gli Stati.
o Esso è sempre stato presente nel moderno sistema internazionale, è impossibile pensare che:
l’idea dell’esistenza di regole comunemente accettate (il mutuo rispetto della
sovranità, dei patti e le norme che limitano il ricorso alla violenza),
di interessi comuni degli Stati e di istituzioni condivise rese da essi funzionanti (la
diplomazia e le istituzioni comuni),
= abbia cessato di esercitare un’influenza sulla condotta degli attori.
Anche nella fase più acuta di una grande guerra o di un conflitto ideologico l’idea della
società internazionale non sparisce, ma diventa sotterranea continuando a influenzare
la prassi degli Stati
es. le potenze alleate continuarono a rispettare le regole ordinarie della società
internazionale, sia nelle loro relazioni interne che nell’atteggiamento verso i
paesi neutrali; anche nella guerra fredda Usa e Urss non ruppero le relazioni
diplomatiche, non rifiutarono di riconoscere ciascuno la sovranità dell’altro,
non ripudiarono l’idea di un diritto internazionale in comune e non
provocarono la divisione delle NU in più organizzaz. contrapposte
o In un sistema internazionale è necessario avere un pretesto per cominciare una guerra:
Grozio riconosce che se la società internazionale è messa in pericolo dagli Stati pronti
alla guerra per mere motivazioni “persuasive” e non per cause “giustificabili”, essa è
minacciata ancora di più da quegli Stati che ricorrono alla forza senza nessuna
giustificazione. Le guerre prive di cause di qualsiasi sorta sono da lui definite “guerre di
selvaggi” (Vattel parla di “mostri indegni del nome di uomini”).
2.2 La società anarchica
Spesso si è sostenuto che l’esistenza della società anarchica sia smentita dalla presenza dell’anarchia,
intesa come assenza di governo o di autorità.
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È ovvio che gli Stati sovrani non sono soggetti ad un governo comune, diversamente dagli individui
al loro interno, e che quindi esiste “anarchia internazionale” (Dickinson);
per Hobbes l’analogia domestica prende semplicemente la forma dell’affermazione che gli Stati o i
principi sovrani, come gli individui che vivono in assenza di governo si trovano in uno stato di
natura che è uno stato di guerra.
Ma vi sono tre punti deboli nella tesi che gli Stati non formano un società a causa della condizione di
anarchia internazionale:
1) il sistema internazionale moderno non somiglia interamente a uno stato di natura
hobbesiana, secondo il quale senza un’autorità comune non sarebbero potute esistere
industrie, agricoltura, navigazione, commercio o altri tipi di progresso nelle condizioni di vita,
poiché la forza e la creatività degli uomini sono concentrate nel provvedere alla propria
sicurezza nei confronti degli altri.
a. Ma l’assenza di un governo mondiale non è necessariamente un impedimento allo
sviluppo dell’industria e del progresso,
b. al contrario, le forze armate dello Stato, garantendo sicurezza nei confronti degli
attacchi esterni e del disordine interno, stabiliscono le condizioni grazie a cui
possono avere luogo dei progressi economici.
Solo una delle tre caratteristiche principali dello stato di natura hobbesiano può essere
applicata alla condizione delle relazioni internazionali moderne, ossia la predisposizione
costante da parte di ciascuno Stato ad intraprendere la guerra contro qualunque Stato.
2) la critica della società internazionale basata sull’esistenza dell’anarchia si regge su false
premesse: non è vero che la paura di un potere supremo sia la fonte dell’ordine dentro uno
Stato moderno, ma anche senso di comunità, interessi reciproci, volontà generale, abitudine
e inerzia;
a. per questo è preferibile la nozione di Locke di stato di natura: per Locke non esiste
un’autorità centrale capace di interpretare e applicare la legge, per cui in una
tale società ciascun suo membro è giudice della sua stessa causa, e poiché coloro
che cercano di far applicare la legge non sempre prevalgono, la giustizia appare
rozza e incerta.
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3) l’anarchia infine non riconosce i limiti dell’analogia con l’ambiente domestico, gli Stati dopo
tutto, sono molto diversi dagli esseri umani:
a. gli Stati non sono vulnerabili agli attacchi violenti nella stessa misura in cui lo
sono gli individui.
b. Per Clausewitz la guerra era “solo un mal transitorio per il quale può trovare
ancora un rimedio”, infatti è solo nel contesto creato dalle armi nucleari che è
diventato pertinente chiedersi se davvero la guerra non possa essere “qualcosa di
assoluto”, “unico colpo senza durata”.
c. Inoltre gli Stati non sono vulnerabili in maniera uniforme rispetto agli uomini, ma
nella società internazionale moderna c’è stata una persistente distinzione tra le
grandi potenze e le piccole (anche qui solo con la diffusione delle armi nucleari ci
si è posti il problema se “il più debole abbia la forza sufficiente per uccidere il più
forte”).
Crolla dunque la tesi secondo cui, dal momento che gli uomini non possono formare una società
senza governo, anche gli Stati non possono, non solo perché un certo livello di ordine può di fatto
essere raggiunto dagli individui anche in assenza di un governo, ma anche perché gli Stati non sono
come gli individui e hanno maggiore capacità di dare vita a una società anarchica.
3. I limiti della società internazionale
La società internazionale non è che uno solo degli elementi operanti nella politica internazionale
moderna, ed è sempre in competizione con gli altri elementi (lo stato di guerra, la solidarietà o il
conflitto ideologico transnazionale).
L’ordine garantito all’interno della società internazionale moderna è precario e imperfetto.
Dimostrare che la società internazionale ha garantito un qualche grado di ordine non
significa stabilire che nella politica mondiale non potrebbe essere mantenuto più
adeguatamente servendosi di strutture di natura sensibilmente diversa.
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CAPITOLO III: Come si mantiene l’ordine nella politica mondiale?
1. Il mantenimento dell’ordine nella vita sociale
In tutte le società l’ordine è un modello di comportamento che sostiene scopi elementari o primari
della vita sociale.
Il mantenimento dell’ordine presuppone ci debba essere tra i suoi membri la percezione di
interessi comuni negli scopi elementari della vita sociale, che può essere
una conseguenza della paura,
il frutto di un calcolo razionale in base a cui i vincoli necessari al sostegno degli
scopi elementari non possono che risultare reciproci,
oppure esso può esprimere anche la capacità degli individui o dei gruppi di
identificarsi gli uni con gli altri.
o Questo interesse comune nel raggiungimento degli scopi elementari può essere vago e
indeterminato, perciò occorrono delle norme, = principi imperativi generali che obbligano
o autorizzano alcune categorie di persone o gruppi a comportarsi in determinati modi.
Le norme possono avere uno status giuridico, morale, consuetudinario o di
etichetta, o di semplici “regole del gioco”,
però non sono necessarie, infatti è possibile, per esempio, che modelli
ordinati di comportamento possano essere inculcati con il
condizionamento;
secondo la visione marxista invece, le norme non servono come strumenti
dell’interesse comune dei membri di una società, ma piuttosto come
sostegno degli interessi particolari della sua classe dirigente o dei suoi
membri dominanti.
In sostanza le norme devono essere:
1. create/promulgate,
2. comunicate,
3. amministrate,
4. interpretate,
5. essere attuate (necessità di una qualche pena connessa al mancato
rispetto),
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6. legittimate (nella misura in cui i membri di una società le accettano come
valide),
7. flessibili (adattarsi a circostanze e bisogni mutevoli),
8. protette (da sviluppi sociali capaci di minare l’effettiva operatività).
2. L’ordine nello Stato moderno
Per rendere effettive le norme sociali elementari, lo Stato moderno può disporre di una particolare
istituzione, o di un insieme di istituzioni connesse tra loro: il governo.
Esso si distingue dalle altre istituzioni dello Stato per il fatto di possedere il monopolio
pressoché completo dell’uso legittimo della forza stessa, fatta eccezione per certi residuali
diritti di auto-difesa concessi agli individui.
1. crea le norme ma nel senso che impone su di esse un imprimatur, un sigillo o
approvazione sociale
2. provvede a comunicare le norme a coloro che da esse sono vincolati
3. rende operative le norme (traducendole da principi generali in obblighi)
4. interpreta e attua le norme (attraverso l’uso e la minaccia dell’uso della
polizia/forze armate, sanzioni imposte dai tribunali
5. protegge le norme per mezzo di azioni politiche finalizzate a organizzare la
realtà sociale (es. misure prese dal governo per pacificare il dissenso politico)
3. L’ordine nelle società primitive senza Stato
L’ordine all’interno dello Stato moderno è l’effetto, tra le altre cose, del governo;
l’ordine tra gli Stati, invece, non può esserlo, dal momento che la società internazionale è una
società anarchica, una società senza governo.
Ma anche le società primitive senza Stato (es. i Neur, i Dinka occidentali e i Mandari del Sudan
meridionale) presentano alcune caratteristiche dell’“anarchia ordinata”:
esse esibiscono chiaramente un ordine, nel senso che al loro interno la condotta si conforma agli
scopi elementari della coesistenza sociale.
le norme non emanano da nessuna autorità legislatrice centrale, ma sorgono dalla pratica dei
gruppi dinastici o locali nelle loro relazioni reciproche e sono incorporate in una “consuetudine”, a
sua volta confermata da credenze morali e religiose.
19
la conformità alle norme è ottenuta per inerzia e condizionamento, per mezzo di sanzioni morali
come l’esposizione al pubblico ludibrio o alla pubblica riprovazione o per mezzo di sanzioni rituali o
soprannaturali.
Laddove queste sanzioni sono insufficienti a prevenire o a punire una violazione delle norme, vi può
essere un atto di autotutela (self-help) da parte di gruppi all’interno della società che magari
certificano l’infrazione e tentano di ripristinare la loro applicazione.
Differenze tra società internazionale e le società primitive senza Stato:
1. le unità politicamente competenti nei due tipi di sistema (lo Stato nella società internazionale è
sovrano nel senso che detiene la giurisdizione suprema sui suoi cittadini e sul territorio ≠ i
gruppi dinastici/locali che esercitano il potere politico non hanno alcun diritto esclusivo di
questo tipo; in alcune società senza Stato i gruppi dinastici sono divisi in segmenti, e al loro
interno c’è un processo costante di fusione e frammentazione
2. la società internazionale moderna è culturalmente eterogenea. Solo un’autorità centrale può
saldare insieme popoli di cultura eterogenea ≠ omogeneità culturale, cultura intesa come
sistema fondamentale di valori da cui derivano il pensiero e le azioni della società. Solo
un’autorità centrale può saldare insieme popoli di cultura eterogenea.
3. le società primitive senza Stato si fondano su una cultura non solo omogenea, ma con elementi
di credenza mistica o religiosa ≠ la società internazionale invece è parte del mondo moderno,
quello secolare emerso dal collasso dell’autorità ecclesiastica e religiosa, le autorità religiosa
presenti comunque non hanno quell’influenza sulla coesione sociale presente in un sistema di
valori magici
4. differenze di estensione: i Nuer, la società più estesa, contavano 300.000 membri in un’area di
26.000 miglia quadrate, la società degli Stati comprende la popolazione di tutta la terra
5. la coesione sociale e la solidarietà sono molto più forti nelle società anarchiche primitive
4. L’ordine nella società internazionale
All’interno di una qualsiasi società, l’ordine non è una mera conseguenza di fatti contingenti come
questo, ma è il frutto di un senso di interesse comune per gli scopi elementari della vita sociale,
o di norme che prescrivono il comportamento che sostiene questi scopi,
o e di istituzioni che aiutano queste norme a diventare effettive.
Certo dipende anche da alcuni fattori contingenti che produrrebbero ordine anche senza interessi,
istituzioni, norme comuni -> es. equilibrio di potenza
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4.1 Interessi comuni
Il criterio dell’“interesse nazionale” o dell’“interesse dello Stato” in sé non ci fornisce nessuna guida
nell’interpretazione o nella prescrizione del comportamento degli Stati,
i. se allo stesso tempo non si è specificato quali obiettivi o fini concreti gli Stati
perseguano (sicurezza, prosperità, obiettivi ideologici etc.)
4.2 Norme
o Non possono avere uno status di diritto internazionale, di regole morali, di consuetudine o di prassi
consolidata, o può trattarsi semplicemente di pratiche operative, di “regole del gioco”;
non è insolito che una norma da regola operativa divenga prassi consolidata, raggiungere poi lo
status di principio morale ed infine essere incorporata in una convenzione legale.
Sono tante...tre complessi di norme:
a. norme che stabiliscono il “principio normativo fondamentale o costituzionale della
politica mondiale”,
= ossia le regole che identificano l’idea della società degli Stati come principio normativo
supremo dell’organizzazione politica dell’umanità, in contrapposizione a idee alternative
come quella dell’impero universale, della comunità cosmopolita o dello stato di natura
hobbesiano;
i. l’idea della società internazionale individua negli Stati i suoi membri, nonché le
unità competenti a svolgere le funzioni politiche al proprio interno, comprese
quelle necessarie a rendere efficaci le norme principali.
ii. questo principio è inoltre inglobato in numerose norme di diritto internazionale: gli
Stati sono i soli o principali titolari di diritti e doveri nel diritto internazionale;
iii. la fonte principale delle norme sta nel consenso degli Stati, espresso nella
consuetudine o nei trattati.
b. norme riguardanti le “regole di coesistenza” tra i membri della società internazionale;
esse si occupano di:
i. limitare il ruolo della violenza nella politica mondiale
21
ii. restringere il numero delle cause o dei fini per cui uno Stato sovrano può
legittimamente cominciare una guerra
iii. delimitare i modi in cui gli Stati sovrani possono condurre una guerra
es. stabilendo un principio di proporzionalità tra i mezzi e i fini perseguiti
iv. prescrivere il comportamento appropriato al raggiungimento della risoluzione degli
accordi presi -> la norma chiave pacta sunt servanda stabilisce il solo assunto in
base al quale può avere senso il fatto stesso di prendere accordi
v. prescrivere un comportamento coerente con lo scopo della stabilizzazione della
giurisdizione o del controllo di ciascuno Stato sulla propria popolazione e sul
proprio territorio -> la norma pacta sunt servanda stabilisce il solo assunto in base
al quale può avere senso il fatto stesso di prendere accordi
gli Stati perciò non devono intervenire in maniera forzosa o autoritaria ciascuno
negli affari interni degli altri
c. norme volte a recuperare la cooperazione (politica, strategica, sociale ed economica) tra
gli Stati al di là di quella necessaria alla mera coesistenza:
ii. tali norme prescrivono un comportamento appropriato non agli scopi elementari o
primari della vita internazionale,
iii. ma piuttosto a quelli più complessi o secondari, che sono caratteristici di una
società internazionale in cui è stato raggiunto il consenso su una serie di obiettivi
più ampi di quelli legati alla mera coesistenza
4.3 Istituzioni
Nella società internazionale è agli Stati sovrani che spetta svolgere la funzione di rendere efficaci le norme,
così essi svolgono la funzione legislativa, o di creazione delle norme, garantendo ad esse il loro consenso.
o Le regole di normale applicazione, come le regole di coesistenza, sorgono dalla consuetudine e
dalla prassi consolidata, in alcuni casi sono confermate da convenzioni multilaterali, possono
nascere dalla pratica e dalle consuetudini, oppure essere oggetto di espliciti accordi o trattati.
o Gli stati: comunicano le norme attraverso
i. le loro stesse pronunce ufficiali
ii. amministrano le norme
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iii. forniscono la propria interpretazione delle norme legali, morali e operative
iv. in assenza di un’autorità centrale l’attuazione delle regole è compiuta dagli Stati /
v. esercitano il compito di legittimare le norme, promuovendone la ricezione in
quanto degne di valore, e impiegando il proprio potere di persuasione e di
propaganda per ottenere il sostegno dell’intero contesto della politica mondiale
vi. svolgono la funzione di modificare o di adattare alle mutevoli circostanze le norme,
morali e legali, e le regole operative
vii. svolgono quel compito istituzionale che abbiamo chiamato “protezione” delle
norme, ossia tutti gli atti che uno Stato può compiere per mantenere la condizione
del sistema in cui il rispetto per le norme può prosperare
es. i classici atti diplomatici e di guerra con cui gli Stati cercano di preservare un
equilibrio generale di potenza nel sistema internazionale.
Nello svolgimento di queste funzioni gli Stati collaborano tra loro a vari gradi, in quelle che possono essere
chiamate istituzioni** della società internazionale: equilibrio di potenza, diritto internazionale, meccanismi
della diplomazia, sistema di direzione delle grandi potenze e guerra.
**Per istituzione
non si intende necessariamente un’organizzazione o un meccanismo amministrativo,
ma un insieme di pratiche e di costumi costituiti in vista della realizzazione di scopi comuni.
Queste istituzioni non privano gli Stati del loro ruolo centrale nel compimento delle funzioni della società
internazionale, ma sono piuttosto espressione dell’elemento di collaborazione tra gli Stati nell’esercizio
delle loro funzioni politiche, e allo stesso tempo, di mezzi che servono a sostenere questa collaborazione e
a moderare la tendenza a perdere di vista gli interessi comuni.
5. Spiegazioni funzionali e spiegazioni causali
Le norme e le istituzioni sono una parte della causa efficiente dell’ordine internazionale,
1) esse fanno parte delle condizioni necessarie e sufficienti del suo attuarsi.
Non viene accettata la spiegazione struttural-funzionalista che vede il primato del tutto sulle parti
nel rendere conto di ciò che accade all’interno della società, ma semplicemente quest’ultima è
composta da un insieme di elementi in competizione nell’arena della politica internazionale.
23
CAPITOLO IV: Ordine versus giustizia nella politica mondiale
L’ordine
non è semplicemente uno stato delle cose, o una condizione reale o possibile della politica
mondiale,
ma è anche comunemente considerato un valore,
non l’unico e neanche il predominante per la condotta internazionale
es. per le potenze occidentali interessate soprattutto all’ordine ≠ gli Stati del Terzo Mondo
impegnati anzitutto nel raggiungimento della giustizia, che poi è il valore etico che più
frequentemente è stato contrapposto all’ordine.
1. Il significato di “giustizia”
Giustizia è un termine di cui può essere data solo una qualche definizione di tipo personale o
soggettivo.
1. “Giustizia generale” coincide con la condotta onesta o virtuosa ≠ “Giustizia particolare”,
cioè quella che si distingue tra le altre; le domande di giustizia, qualunque sia la sostanza
dei diritti e dei privilegi in questione, sono richieste per un uguale godimento di essi: alcune
persone, tra loro indifferenti per altri aspetti, devono essere trattate come identiche in
relazione a tali diritti.
2. “Giustizia sostanziale” si fonda sul riconoscimento di norme che conferiscono alcuni
specifici diritti e doveri, politici sociali economici ≠ “Giustizia formale” riguarda una certa
applicazione di queste norme a determinate persone, indipendentemente dal contenuto
sostanziale delle norme stesse (es. l’uguaglianza di fronte alla legge)
3. “Giustizia aritmetica” attribuisce uguali diritti e doveri (es. il diritto degli Stati
all’indipendenza e alla sovranità oppure il dovere di non interferire negli affari domestici
24
degli altri) ≠ “Giustizia proporzionale” in cui diritti e doveri sono distribuiti in vista di un
certo fine, e quindi non possono essere uguali (es. dottrina secondo cui l’uso della forza in
guerra o nelle rappresaglie deve essere proporzionato all’offesa subita)
4. “Giustizia commutativa” o reciproca, si sviluppa su un riconoscimento di diritti e doveri per
mezzo di un processo di scambio e contrattazione in cui ciascun individuo o gruppo
riconosce i diritti degli altri in cambio del riconoscimento dei propri ≠ “Giustizia distributiva”
non si genera da una contrattazione ma da una decisione della società nel suo insieme, alla
luce della considerazione del suo bene o interesse comune (essa può portare spesso una
giustizia proporzionale più che aritmetica, esigendo che i ricchi paghino tasse più alte dei
poveri o che il forte lavori più del debole).
Nel fare queste distinzione è importante valutari quali attori o soggetti della politica mondiale sono
considerati titolari di diritti e doveri morali;
in tal senso possiamo distinguere tra giustizia internazionale/interstatale, giustizia individuale/umana,
giustizia cosmopolitica/mondiale.
1.1 Giustizia internazionale o interstatale
Essa ha a che fare con le norme morali che attribuiscono diritti e doveri agli Stati e alle nazioni.
1) Si tratta, per esempio, dell'idea che tutti gli Stati, indipendentemente dalla loro grandezza,
dalla loro composizione razziale, o dalle loro tendenze ideologiche, siano ugualmente
titolari dei diritti di sovranità o dell'idea che tutte le nazioni siano titolari del diritto di
autodeterminazione.
2) La giustizia interstatale può non coincidere integralmente con la giustizia internazionale:
il principio di autodeterminazione nazionale è stato invocato in passato per distruggere
l'integrità sovrana degli Stati, e anche oggi ne minaccia un gran numero;
3) ma oggi si è raggiunto comunque un certo grado di armonia tra i concetti di giustizia
internazionale e di giustizia interstatale dato il largo consenso circa l'idea che gli Stati
debbano essere Stati-nazioni.
1.2 Giustizia individuale o umana
Per essa si intende le norme morali che attribuiscono diritti e doveri ai singoli esseri umani;
25
1) l'idea della giustizia umana ha preceduto storicamente lo sviluppo delle idee della giustizia
internazionale o interstatale, e ha fornito forse la principale fondazione intellettuale a
queste ultime.
i. Ciò significa che gli Stati e le nazioni furono immaginati come detentori di diritti e
doveri perché le singole persone avevano diritti e doveri.
ii. Gli Stati sono gli unici soggetti del diritto internazionale, e gli individui possono
costituire solamente un particolare oggetti degli accordi tra gli Stati.
1.3 Giustizia cosmpolitica o mondiale
Si tratta di idee che cercano di spiegare ciò che è giusto o buono per il mondo intero:
1) si fonda sulla convinzione che tutti gli uomini formano o dovrebbero formare una società o
una comunità il cui interesse/ bene comune deve qualificare o determinare quali siano
effettivamente i diritti e i doveri dei singoli;
2) tutto è in riferimento ai fini e ai valori della società umana universale, i cui membri
costitutivi sono i singoli esseri umani:
ciò comporta un'idea di giustizia che è allo stesso tempo “proporzionale” e “aritmetica”,
“distributiva” e “commutativa”.
Nel dibattito politico attuale giustizia internazionale >giustizia umana>giustizia cosmopolitica che
quasi non appare: la società o comunità mondiale non esiste se non come mito, in potenza.
1) La gran parte dell'umanità politica non possiede i mezzi necessari alla socializzazione e al
reclutamento o all'articolazione e aggregazione degli interessi,
i. nonostante non manchino individui o gruppi non-governativi che si
autoproclamano portavoce del bene comune di “questo pianeta in pericolo”,
opinioni non legittimate da nessun processo politico;
ii. è principalmente attraverso la visione degli Stati che siamo obbligati a cercare una
definizione del bene comune mondiale, e ciò non può che favorire un'ottica
distorta.
2. La compatibilità di ordine e giustizia
La scena internazionale contemporanea è segnata dal conflitto tra
1) gli Stati interessati principalmente a conservare l'ordine e
26
2) quelli che considerano prioritario raggiungere un giusto cambiamento, anche a costo di
sacrificarlo.
o È vero che la giustizia, in ciascuna delle sue forme, è realizzabile solo nel contesto dell'ordine:
solo se c'è un modello di attività sociale in cui gli scopi elementari sono in qualche modo
garantiti, anche gli scopi più avanzati possono essere assicurati.
È vero ad esempio che la società internazionale, attraverso organismi quasi-universali come
l'ONU e le sue agenzie specializzate, è formalmente impegnata nella realizzazione di
qualcosa di più della semplice preservazione dell'ordine minimo e della coesistenza.
o L'ordine internazionale offre un contesto abbastanza ostile ai progetti di realizzazione della
giustizia cosmopolitica o mondiale
es. quando si discute di trasferimento delle risorse dai Paesi ricchi ai Paesi poveri,
l'obiettivo ultimo preso in considerazione non è tanto rendere più ricchi i Paesi poveri, ma
raggiungere una più equa distribuzione della ricchezza tra uomini che fanno parte della
società umana
Se le idee di giustizia cosmpolitica fossero realizzabili, lo sarebbero soltanto nel contesto di una
società cosmopolitica mondiale: le domande di giustizia mondiale sono domande per la
trasformazione del sistema e della società degli Stati e sono intrinsecamente rivoluzionarie.
o Il contesto fornito dall'ordine internazionale è ostile anche riguardo alle domande di giustizia
umana che rappresentano un elemento di grande forza nella politica mondiale attuale:
la società internazionale riconosce quei diritti e doveri dell'uomo che possono essere fatti
valere anche contro lo Stato a cui appartengono i singoli esseri umani: in una situazione in
cui non c'è accordo su che cosa siano i diritti umani e all'interno di quale gerarchia di
priorità essi debbano disporsi, il risultato potrebbe essere solo quello di destabilizzare
l'ordine internazionale.
È qui che la società degli Stati manifesta la sua convinzione che il valore dell'ordine
internazionale è prioritario rispetto a quello della giustizia umana.
L'ordine internazionale non garantisce nessuna protezione generale dei diritti umani, ma
solo una protezione selettiva determinata non dalle qualità ma dai capricci della politica
internazionale
es. processo di Norimberga e nessun processo a russi e americani per guerra
fredda: l'idea di un processo dei crimini di guerra opera in maniera selettiva
27
La società internazionale invece non è fondamentalmente nemica delle idee di giustizia
internazionale.
1) La struttura della coesistenza internazionale dipende da norme o regole che conferiscono
agli Stati diritti e doveri, non necessariamente morali ma anche regole operative codificate
in qualche caso in norme di diritto internazionale;
2) l'idea di giustizia interstatale può rafforzare il sistema della coesistenza tra Stati
aggiungendo un imperativo morale a quelli dell'interesse illuminato e del diritto su cui esso
già si regge.
i. Peraltro l'ordine internazionale è preservato con mezzi che offendono
sistematicamente i più diffusi e fondamentali principi della giustizia internazionale:
ii. non solo oggi ci sono Stati e nazioni a cui sono negati i propri diritti morali e Stati
che non adempiono alle loro responsabilità, ma le istituzioni e i meccanismi che
sostengono l'ordine internazionale, anche quando svolgono bene la loro funzione,
necessariamente violano i principi ordinari della giustizia.
ad esempio il ruolo svolto nell’ordine internazionale dall’istituzione dell’equilibrio
di potenza (essa nega le più comuni nozioni di giustizia, decretando la guerra
contro uno Stato il cui potere minaccia di diventare preponderante, ma che non ha
compiuto nessuna offesa morale o legale), della guerra (ruolo centrale nel
mantenere l’ordine internazionale e realizzare dei cambiamenti generalmente
ritenuti giusti, ma allo stesso tempo può essere uno strumento di violazione del
diritto internazionale e destabilizzazione dell’equilibrio di potenza), del diritto
internazionale (esso condanna l’aggressione ma una volta che questa ha avuto
successo cessa di essere condannata;
3) il conflitto tra diritto internazionale e giustizia è endemico, poiché il punto di partenza del
diritto è dato da una serie di fits accomplis realizzati con la forza e con la minaccia della
forza, e legittimati dal principio che i trattati conclusi sotto costrizione sono validi), le
grandi potenze (ruolo chiave nel mantenimento dell’ordine internazionale, svolto però al
prezzo dell’ingiustizia sistematica nei confronti dei diritti degli Stati e delle nazioni più
piccole).
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4) Non c’è incompatibilità generale tra l’ordine in senso astratto e la giustizia, ma tra le norme
e le istituzioni che oggi sostengono l’ordine all’interno della società degli Stati e le
domande di giustizia:
i. di giustizia mondiale/cosmpolitica, che implica la distruzione di questa società,
ii. di giustizia umana/individuale che la società internazionale può soddisfare solo in
maniera selettiva e parziale,
iii. di giustizia interstatale/internazionale a cui la società degli Stati non è
fondamentalmente ostile, ma di cui può garantire solo una realizzazione limitata.
3. La questione della priorità
Nella politica mondiale la giustizia può essere raggiunta solo attraverso la destabilizzazione
dell’ordine internazionale?
E se è così, quale tra questi due valori dovrebbe avere la priorità?
Dottrina conservatrice/ortodossa:
1. riconosce nella politica mondiale un conflitto costitutivo tra i valori dell’ordine e della giustizia,
2. attribuisce al primo una priorità sul secondo:
nella società internazionale la coesistenza o l’ordine minimo è il massimo che ci si può
aspettare.
Dottrina rivoluzionaria:
1. basata sull’idea del conflitto costitutivo tra il contesto attuale dell’ordine internazionale e il
raggiungimento della giustizia;
2. il rivoluzionario comunque non crede che il mondo finirà e aspira a un ristabilimento
dell’ordine che garantirà i giusti cambiamenti da lui auspicati, dopo un periodo di disordine
temporaneo e forse anche geograficamente limitato
Dottrina liberale/progressista:
o riluttante ad accettare la necessità del conflitto tra l’ordine e la giustizia nella politica
mondiale,
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o essa è portata a vedere nella correzione delle ingiustizie il vero mezzo di rafforzamento
dell’ordine internazionale (es. abolizione dell’apartheid migliore via per integrare gli Stati
neri africani nel sistema di pace e sicurezza);
o ritiene controproducenti i tentativi di realizzazione della giustizia attraverso la rottura
dell’ordine vigente, cercando di persuadere i sostenitori dell’ordine e della giustizia a
rimanere all’interno dei confini di un sistema etico che garantisca entrambi i valori.
Le domande di preservazione dell’ordine e di promozione del giusto cambiamento nella politica
mondiale non sono mutualmente esclusive:
o talvolta c’è spazio per la conciliazione delle une con le altre
es. ciascun regime che garantisca ordine nella politica mondiale avrà bisogno di
soddisfare delle domande di giusto cambiamento se vuole durare,
o talvolta è possibile realizzare un cambiamento ritenuto giusto da tutte le parti coinvolte
con il loro consenso
es. la liberazione dei popoli africani e asiatici dagli imperi europei accompagnata
dalla violenza e dal disordine, subordinando quindi l’ordine alla giustizia.
Il conflitto tra ordine internazionale e domande per il giusto cambiamento sorge nei casi in cui non
c’è consenso su ciò che la giustizia debba comportare, e deve quindi essere affrontata la questione
se la priorità vada attribuita all’ordine o alla giustizia.
L’autore sostiene che l’ordine sia desiderabile e degno di valore sia nelle relazioni umane che
nella politica mondiale: senza un modello di attività umana che sostenga gli scopi
elementari/primari della vita sociale non sarebbe possibile raggiungere o preservare obiettivi più
avanzati.
PARTE SECONDA: L’ORDINE NEL SISTEMA INTERNAZIONALE CONTEMPORANEO
Cap. V: L’equilibrio di potenza e l’ordine internazionale
1. L’equilibrio di potenza
“E’ la disposizione mediante la quale nessuna potenza non si trova nello stato di predominare e di imporre
la legge ad altre potenze” (Vattel).
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Equilibrio di potenza:
semplice -> due potenze, es. Usa-Urss guerra fredda, esso richiede necessariamente una
parità in termini di potenza
complesso -> tre o più, es. politica mondiale attuale con Usa Urss Cina Jap e potenze
europee;
l’equilibrio di potenza comunque è mai stato perfettamente semplice o complesso.
In quello complesso lo sviluppo di una grossa diseguaglianza non pone necessariamente la più
forte in una posizione di preponderanza, poiché le altre hanno la possibilità di unirsi contro di
essa ≠ in quello semplice la sola strategia per la potenza che sta perdendo terreno nei confronti
della rivale è aumentare la sua forza intrinseca.
Equilibrio di potenza generale,
caratterizzato dall’assenza di una potenza capace di dominare nell’intero sistema internazionale
1) Equilibrio locale/particolare, concentrato in un’area del mondo
es. Medio Oriente, sub continente indiano
2) Equilibrio dominante è ancora soltanto un equilibrio particolare, e non deve essere
identificato con l’equilibrio generale o con l’equilibrio del sistema nel suo insieme.
3) Equilibrio subordinato; le potenze che costituiscono l’equilibrio dominante nel mondo
partecipano direttamente ad un equilibrio subordinato
es. usa-urss oggi direttamente coinvolti anche nell’equilibrio mediorientale
equilibrio di potenza che esiste soggettivamente
equilibrio di potenza che esiste oggettivamente
es. nell’inverno 1939-40 era ampiamente diffusa l’opinione che esistesse un
equilibrio militare tra gli alleati e la Germania, ma in primavera combattenti di
poche settimane dimostrarono quanto questa credenza fosse lontana dalla realtà
equilibrio di potenza fortuito,
o emerge in assenza di qualsiasi sforzo cosciente nell’attuarlo da parte dei protagonisti;
31
o può essere immaginato come un semplice momento di impasse in una lotta all’ultimo
sangue tra due potenze contendenti, ciascuna delle quali mira soltanto all’espansione
assoluta ≠ intenzionale, deve la sua esistenza almeno parzialmente alle polemiche
consapevoli di una o di entrambe le parti; presuppone che almeno una delle due parti,
invece di perseguire lo scopo dell’espansione assoluta del suo potere, cerchi di contenerlo
in relazione al potere dell’altro, producendo anche una stima della forza militare
dell’avversario e abbracciando quindi un certo spettro di possibilità.
La forma più elementare dell’equilibrio di potenza intenzionale è un
equilibrio binario in cui una delle due parti persegue una politica volta a prevenire il
raggiungimento del predominio militare da parte dell’altro;
Una forma più avanzata è quella politica conosciuta come
conservare l’equilibrio di potere -> già usuale nel mondo antico Siracusa-Cartagine vs Roma,
ossia un equilibrio ternario in cui una potenza cerca di “difendersi” non soltanto attraverso
l’aumento della propria forza militare, ma anche prendendo posizione a fianco della potenza che
tra le due risulti più debole.
Passo successivo: politica di preservazione dell’equilibrio di potenza all’interno del sistema
internazionale, che presuppone l’abilità di percepire la pluralità delle potenze interagenti come
costituenti un singolo sistema o un singolo campo di forze e un sistema diplomatico continuo e
universale.
Ulteriore passo: tale equilibrio di potenza non deve essere semplicemente generato dalle politiche
consapevoli degli Stati particolari, ma dovrebbe essere uno scopo consapevole del sistema in
quanto tale (tale idea emerse in Europa tra il XVII e il XVIII secolo, elemento di consapevolezza della
coalizione contro Luigi XIV, poi esplicita nel preambolo del Trattato di Utrecht 1713).
2. Le funzioni dell’equilibrio di potenza all’interno del sistema degli Stati moderni
prevenire che il sistema fosse trasformato, per mezzo di conquista, in un impero universale
32
l’esistenza di equilibri di potenza locali ha operato nel preservare l’indipendenza degli Stati,
difendendoli dal pericolo dell’assorbimento o del dominio da parte di un potere localmente
preponderante
l’esistenza di equilibri di potenza generali e locali hanno fornito le condizioni in cui hanno potuto
funzionare le altre istituzioni da cui dipende l’ordine internazionale (diplomazia, guerra, diritto
internazionale, primato grandi potenze)
L’idea che l’equilibrio di potenza abbia svolto funzioni positive in relazione all’ordine internazionale ha
subito delle critiche
es. inizio XX secolo si credeva fosse causa di guerre e conducesse al disprezzo del diritto
internazionale.
o I tentativi di progettare un equilibrio di potenza non hanno sempre prodotto il risultato di
preservare la pace, ma d’altronde la funzione chiave era questa, anche se un obiettivo subordinato
alla preservazione proprio del sistema degli Stati:
1) mantenere l’equilibrio richiede la guerra, estrema ratio mediante la quale controllare la
forza di un potenziale Stato dominante, forse per questo tende ad operare in favore delle
grandi potenze e a spese delle piccole.
o Il paradosso: sebbene l’esistenza dell’equilibrio sia una condizione essenziale del funzionamento del
diritto internazionale, le misure necessarie al suo mantenimento spesso comportano la violazione
degli obblighi stessi del diritto internazionale:
1) “le potenze dominanti sono in condizione di imporre legge sulle altre” (Vattel);
2) mentre le norme del diritto internazionale permettono l’uso della forza solamente “per
riparare all’offesa ricevuta” (Grozio), preservare l’equilibrio di potenza esige l’uso o la
minaccia della forza contro un altro Stato, indipendentemente dal fatto che questo abbia
violato le norme del diritto.
o L’equilibrio di potenza è essenziale per l’ordine internazionale -> critiche a questa dottrina, vista
come parte di una teoria della “politica di potenza”:
ma davvero uno Stato che si trova in una posizione di predominio userà sempre il
suo potere per “imporre legge ad altri?”
interrogativi implicitamente negati dall’azione di quegli statisti che
sono stati alla guida delle grandi potenze e hanno dimostrato
33
rispetto per i diritti degli altri solo grazie alle loro virtù e alle loro
buone intenzioni
concezione kantiana dello Stato costituzionale:
possiede meccanismi interni di controllo del potere dei governanti ed è capace di una condotta
internazionale virtuosa di cui invece lo Stato assoluto non è capace
es. nei primi ’60 le dottrine della Comunità Atlantica, costruita sulla coalizione tra la
potenza nord americana e quelle dell’Europa occidentale
Secondo Acton: il potere stesso corrompe, indipendentemente dalle
ideologie/istituzioni/virtù/buone intenzioni dello Stato che si trova in posizione di predominio:
minaccia che non può essere contenuta da accordi o leggi, ma solo da una potenza
contrapposta
Ci sono dottrine che sostengono anche la tendenza automatica dell’equilibrio di potenza ad
emergere nel sistema internazionale, ma ciò non è vero:
gli Stato sono sempre liberi di scegliere di impiegare le proprie risorse ed energie nella ricerca di
altri fini.
3. La rilevanza attuale dell’equilibrio di potenza
Oggi esiste chiaramente un equilibrio di potenza nel senso che nessuno Stato occupa una posizione
dominante all’interno del sistema internazionale nel suo complesso;
negli anni 50 l’equilibrio era semplice,
mentre negli anni 70 diventa complesso,
= si parla di equilibrio di potenza multilaterale o complesso fra 3/4 potenze.
L’attuale equilibrio di potenza complesso:
1. non è totalmente fortuito, dal momento che c’è un elemento di intenzionalità presente nella
ricerca “razionale” da parte degli Usa, Urss, Cina di politiche volte a prevenire il predominio di
ciascuno degli altri, anche se non si regge su alcun sistema generale di collaborazione o
concerto tra le grandi potenze interessate;
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2. non implica l’affermazione che esse dispongano della stessa forza o della stesso tipo di
influenza o di potere, diversa a seconda dei vari scacchieri considerati, anche se magari
collegati (es. militare, economico, ideologico).
3. non esiste tra le grandi potenze nessun accordo che preveda il mantenimento di un equilibrio
generale di potenza come obiettivo comune, anche se Usa e Urss hanno sviluppato alcune
norme condivise per la prevenzione e il controllo delle crisi e per il contenimento dei conflitti;
4. non si fonda su una cultura comune agli Stati più importanti oggi no tra Usa, Urss, Cina e Jap,
mentre ad esempio nel XVIII XIX secolo vi era una tradizione intellettuale condivisa e valori
comuni, in grado di moderare conflitti di interessi.
Ciascuno di questi malintesi sorge dal fatto che nelle riflessioni odierne l’idea dell’equilibrio di potenza
tende ad essere confusa con quella del sistema europeo dell’equilibrio, in particolare con quello del XIX
secolo.
Attualmente l’equilibrio di potenza sembra svolgere in relazione all’ordine internazionale tre funzioni già
elencate nel paragrafo precedente.
4. La mutua deterrenza nucleare
Dai tardi anni 50 si è affermata un’altra istituzione o quasi-istituzione, che per alcuni aspetti è un caso
speciale di equilibrio di potenza.
che cos’è l’equilibrio del terrore, o la relazione di mutua deterrenza nucleare?
5. La mutua deterrenza nucleare e l’equilibrio di potenza
La relazione di mutua deterrenza nucleare tra due potenze è solo una parte della relazione di
equilibrio di potenza tra loro, essendo quest’ultima costituita da tutti gli ingredienti della potenza
nazionale, di cui solo uno è lo sfruttamento delle risorse nucleari.
in una relazione semplice o binaria di equilibrio è necessaria un’uguaglianza in termini di
forza militare,
una relazione di mutua deterrenza nucleare non richiede ciò: per l’obiettivo della
dissuasione richiede solamente che ciascuna potenza possieda una forza sufficiente a
colpire
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l’irrilevanza dell’uguaglianza di forza nelle relazioni di mutua deterrenza nucleare
tra due potenze è dimostrata nel caso della guerra fredda, nonostante la chiara
superiorità Usa in tutti i suoi più importanti indici, tranne alcune “parità” raggiunte
negli anni sessanta dall’Urss
l’equilibrio di potenza è essenzialmente un fenomeno oggettivo
definito dalla mancanza effettiva di una potenza dominante e non semplicemente dalla
credenza che nessuno Stato occupi questa posizione
la relazione di mutua deterrenza è essenzialmente soggettiva,
o condizione fatta di credenze, di ciascuna parte che l’altra abbia la volontà e la capacità di
esercitare una ritorsione ad un livello sufficiente
o in linea di principio due potenze possono dissuadersi l’un l’altra da un attacco nucleare
bluffando sulla loro volontà/capacità
l’equilibrio di potenza ha come sua primaria funzione
o preservare il sistema internazionale e l’indipendenza degli Stati,
o e comporta il mantenimento della pace solo come conseguenza incidentale
la preservazione della mutua deterrenza nucleare
o ha il mantenimento della pace nucleare come sua prima funzione
6. Le funzioni della mutua deterrenza nucleare
Finora è esistita in maniera non ambigua solo tra Usa e Urss, e ha svolto le seguenti funzioni:
1) agevolato la preservazione della pace nucleare -> rendendo irrazionale il ricorso
deliberato alla guerra nucleare come strumento di politica estera
2) facilitato il mantenimento della pace - > rendendole riluttanti ad entrare direttamente
in ostilità non nucleari per timore di un’estensione nella natura del conflitto;
3) ha garantito anche la pace tra gli Stati alleati delle due potenze, a causa dei vincoli
esercitati da queste sulla loro politica
4) contribuito al mantenimento di un equilibrio di potenza generale nel sistema
internazionale facilitando la stabilizzazione dell’equilibrio dominante, ovvero quello tra
le due grandi potenze.
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Limiti dello strumento della mutua deterrenza:
1) può rendere irrazionale il ricorso alla guerra nucleare come strumento di politica estera in
quanto l’“equilibrio del terrore” può essere improvvisamente ribaltato a favore di una o
dell’altra parte grazie alle innovazioni tecnologiche
2) la probabilità di guerre accidentali o per errore di valutazione, o per controllarle nel caso
dovessero accadere, sono al di fuori del campo di azione che riguarda il mantenimento
della mutua deterrenza nucleare
3) finché è presente è capace di rendere improbabile una guerra nucleare, ma non può fare
nulla per risolvere il problema del contenimento di una guerra nucleare già scoppiata
4) l’idea della deterrenza come fonte di pace nucleare pone una tremenda responsabilità sul
presupposto dell’aspettativa che gli uomini agiscano in maniera razionale
5) preservare la mutua deterrenza nucleare impedisce nel lungo periodo la possibilità di
fondare l’ordine internazionale su una basa migliore, ossia la reciproca minaccia riflette la
debolezza del senso di interesse comune alla società internazionale.
Per questi motivi alcuni teorici propongono di basare la politica e gli accordi riguardo le armi strategiche
sul concetto di difesa piuttosto che su quello di deterrenza;
anche per questo che le grandi potenze, seppur firmando accordi di mutua deterrenza reciproca (es.
Accordi di Mosca maggio 1972) sono riluttanti ad affermare esplicitamente che questa è la base della loro
intesa.
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Le alternative al sistema degli Stati contemporaneo
Possiamo concepire un certo numero di cambiamenti abbastanza radicali nell’attuale struttura politica el
mondo, che rappresenterebbero tuttavia semplicemente una transizione da una fase all’altra del Sistema
degli Stati, e non un superamento del sistema stesso.
Un mondo disarmato:
Gli Stati sovrani cesserebbero di possedere armi e forze militari, fatta eccezione per le questioni di sicurezza
interna....nei piani americani è anche previsto, parallelamente, un simultaneo processo di consolidamento
di un’autorità mondiale, nelle cui mani dovrebbe essere concentrata la forza militare.
Questo non comporterebbe comunque la scomparsa del sistema degli Stati, dell’interazione sistematica tra
di loro e del loro essere parti di una società internazionale.
Solo SE ci fosse anche uno sviluppo di un’autorità mondiale detentrice del controllo sulla forza e di una
legittimità politica sufficiente a minare la supremazia degli Stati nei loro stessi domini, allora si avrebbe
come conseguenza la scomparsa del primo di questi 3 attributi fondamentali.
Un mondo disarmato renderebbe la guerra materialmente impossibile ( argomento nella sua forma forte,
Livtiniov ), oppure, il massimo disarmo possibile renderebbe la guerra semplicemente meno probabile
(argomento nella sua forma debole ).
Tuttavia, la capacità fisica della violenza organizzata è inerente alla società umana, e non può essere abolita
per trattato, vi sarebbe comunque intatta la capacità degli Stati di condurre una guerra ad un livello
primitivo.
-----> Tutto ciò che un trattato di disarmo può fare è proibire certi tipi specifici di armi e forze armate, ma
ciò non farebbe che aumentare l’importanza strategica di qualsiasi elemento lasciato al di fuori della
portata del trattato.
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Il potenziale bellico di una nazione non risiede semplicemente nei suoi armamenti, ma nell’intero
complesso delle sue risorse economiche, tecnologiche, demografiche etc...
Ci sono buone ragioni per sostenere che prima facie un mondo in cui armi sofisticate e forme avanzate di
organizzazione e tecnica militare sono abolite, garantirebbe una maggiore sicurezza riguardo alla guerra;
insomma, i conflitti avrebbero minori probabilità di scoppiare...si può anche pensare che in queste
condizioni una guerra mondiale, qualora dovesse scoppiare, sarebbe meno catastrofica, perchè sarebbe più
lenta e più costosa, comportando un grado minore di distruzione fisica.
Questa visione configurerebbe però un ordine mondiale di natura superiore a quello garantito dalla forma
contemporanea del sistema degli Stati.
-Come mantenere il più alto livello di disarmo possibile, una volta che gli Stati siano riusciti ad ottenerlo?
Comporta un sistema che individui le violazioni del disarmo, e che garantisca la sicurezza delle parti
rispettose dell’accordo.
Tuttavia ci sono buone ragioni per credere che in un sistema di disarmo drastico, una violazione delle
regole con esito positivo, garantirebbe a chi la compie una posizione di predominio militare in relazione agli
altri Stati.
E in che modo l’ordine generale viene garantito? E’ un mondo ancora diviso in Stati sovrani, soggetto a quei
conflitti politici da cui un sistema come questo è sempre stato caratterizzato, insomma l’ordine interno
avrebbe ancora tra i suoi requisiti, quello dell’esistenza nelle mani del governo di una forza armata di
dimensioni sovrastanti.
In altre parole ci possiamo attendere che lo stesso tipo di questioni che sorgono riguardo al mantenimento
dell’ordine nelle attuali condizioni di un mondo pesantemente armato, potranno sorgere anche in un
mondo meno armato.
La solidarietà degli Stati:
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Un’altra possibile struttura è quella in cui ONU, o simili, divenisse la forza predominante nella politica
mondiale.
---> In cui la Carta ONU sarebbe osservata dagli Stati membri nel modo sperato soltanto dai più visionari
fondatori dell’organizzazione.
Si tratterebbe della realizzazione della dottrina groziana dell’ordine internazionale, la quale immagina che
gli Stati, seppur opponendosi alla creazione di un governo mondiale, cerchino tuttavia di offrire una
soluzione alternativa al problema, attraverso una stretta collaborazione e una stretta aderenza ai principi
costituzionali dell’ordine internazionale a cui hanno dato il loro assenso.
-----> Il suo assunto centrale è quello della solidarietà, almeno potenziale, della maggior parte degli Stati del
mondo nel difendere la volontà collettiva della società internazionale di fronte alle sfide che le sono
portate.
Sarebbe una nuova fase del Sistema degli Stati, non la sua sostituzione.
Verrebbero poste restrizioni, abolendo del tutto il ricorso alla guerra per motivi politici da parte dei singoli
Stati, e promuovendo l’idea che la forza può essere usata legittimamente solo per perseguire gli scopi della
comunità internazionale.
---> Nel 1900 la dottrina neo-groziana si è espressa nel Patto Società delle Nazioni, che proibiva agli Stati
membri di entrare in guerra senza prima aver osservato le procedure stabilite, e Carta ONU, che proibisce
l’uso della forza o la minaccia della forza nei confronti dell’integrità territoriale o dell’indipendenza politica
di qualunque Stato, o in qualsiasi altra espressione che non sia coerente con i fini dell’organizzazione.
Il principio di sicurezza collettiva implica che l’ordine internazionale sia fondato non sull’equilibrio di
potenza, bensì sul predominio di una potenza costituita da una combinazione di Stati che operano come
agenti dell’intera società internazionale, e che hanno il compito di individuare le possibili minacce al
sistema e di affrontarle nel caso in cui queste dovessero manifestarsi.
La formula solidarista promette una forma superiore di mantenimento dell’ordine poiché cerca di fare della
forza esclusivamente o principalmente lo strumento della società internazionale nel suo insieme. Essa è
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comunque dipendente dall’effettiva esistenza di un grado sufficiente di solidarietà tra gli Stati nel
riconoscere gli obiettivi comuni e nell’agire in modo da promuoverli.
Nelle concrete circostanze del XX Secolo questa solidarietà non è esistita.
--Azione SDN contro Italia nel 1935, contro Germania in Finlandia, hanno messo a serio rischio l’obiettivo di
prevenire un rovesciamento dell’equilibrio di potenza da parte della Germania.
Un mondo con molte potenze nucleari
Si richiederebbe che le armi nucleari fossero a disposizione non di molti Stati, ma di tutti, o di tutti i gruppi
o blocchi di Stati, per creare un sistema deterrente. Bisognerebbe anche presupporre l’esistenza di relazioni
di mutua deterrenza nucleare tra tutti gli Stati o tra tutti i blocchi, assumendo che ciascuno Stato possa
infliggere danni agli altri e non possa impedire loro di fare altrettanto. ( Sistema a veto unitario )
----> Capacità di ciascuno Stato o gruppo di Stati di porre il veto sul ricorso deliberato e razionale alla guerra
nucleare illimitata da parte di ciascuno degli altri.
( Kaplan, uno stato di natura hobbesiano, in cui gli interessi di tutti sono contrastanti, ne nessun ruolo
all’interno del sistema potrebbe essere riservato a soggetti universali come le Nazioni Unite ).
__>Molte potenze nucleari rappresenta una forma del sistema degli Stati più adatta al raggiungimento
dell’ordine mondiale? Raggiungere gli obiettivi della pace e della sicurezza, generalizzando così il fattore
della mutua deterrenza nucleare che ha contribuito a preservare la pace nelle relazioni tra USA e URSS.
Per Bull viene sopravvalutata la relazione di mutua deterrenza tra sovietici e americani, che comunque non
renderebbe la guerra nucleare impossibile, ma semplicemente irrazionale; non è possibile poi assumere
che la diffusione di armi nucleari è destinata a produrre un sistema a veto unitario.
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Esiste anche un argomento, secondo cui la diffusione delle armi nucleari, rendendo questi mezzi disponibili
a TUTTI, potrebbe promuovere la causa della giustizia internazionale.
Omogeneità ideologica
Un sistema di Stati caratterizzato da omogeneità ideologica, in contrapposizione all’eterogeneità
prevalente nella fase attuale.
---> Ideologi rivoluzionari, abbracciano talvolta l’ideale di una società universale che si sostituisca al sistema
degli Stati; accettano la visione di un mondo che è ancora organizzato come un Sistema di Stati, nel quale
però ciascuno ha fatto propria la vera ideologia. ( Kant all’inizio ci spera, poi perde la speranza, Marx
pensava che lo Stato fosse solo uno strumento della lotta di classe, e che in seguito a una rivoluzione
proletaria universale, lo Stato e il sistema degli Stati siano destinati a sparire ).
Differenza con Grozio:
-->Assume che esisteranno sempre interessi conflittuali tra gli Stati, e si propone di porre loro un freno
attraverso la forza sovrastante di una comunità.
Invece qui, si ritiene che quando la “vera ideologia” sarà universalmente trionfante i conflitti tra gli
interessi degli Stati non potranno esistere, o potranno essere solo di scarsa rilevanza.
Anche gli architetti dell’ONU, pur essendo portatori di una visione solidarista, fecero una concessione al
principio dell’omogeneità ideologica, imponendo agli Stati membri il requisito per cui avrebbero dovuto
essere amanti della pace.
In ogni caso un sistema di Stati fondato su una singola ideologia, qualunque questa possa essere, e libero
da conflitti ideologici, sarà molto probabilmente più ordinato di quello che esiste attualmente.
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Aaron fa osservare la concomitanza delle guerre più importanti e della massima eterogeneità ideologica nel
sistema degli Stati, tuttavia i periodi di omogeneità ideologica, si sono distinti più per la tolleranza nei
confronti delle differenze ideologiche che per l’uniformità. E noi ciò che abbiamo in mente è una sorta di
Santa Alleanza universale, che è capace di far prevalere un’unica ideologia all’interno dell’intero sistema
degli Stati; ciò promette un alto grado di ordine domestico, dal momento che chiunque intenda sfidare il
sistema politico, economico e sociale prevalente, dovrebbe affrontare la società degli Stati nel suo
complesso.
E a supporto del regime esistente possono sempre avere luogo interventi militari
Al di là del sistema degli Stati
3 attributi essenziali:
- Gli Stati sovrani
- Interazione tra loro che sia sufficiente a dare vita a un sistema
- Un grado di accettazione di norme e istituzioni comuni in base a cui gli Stati possano dare vita a una
società
Un Sistema senza società ( manca il terzo )
Esisterebbero degli Stati, e l’interazione tra loro su scala globale, solo che l’accettazione di interessi e valori
comuni, e dunque di norme e istituzioni, verrebbe a scomparire; ci sarebbe comunicazione e negoziati, ma
nessun coinvolgimento in una rete di istituzioni diplomatiche; accordi, ma nessuna accettazione di una
struttura di obbligazioni giuridica internazionale. equilibri di potenza solo in maniera fortuita.
---> Quanti Stati dovrebbero rompere il patto della società internazionale, prima che si possa dire che
questa abbia cessato di esistere? Alcuni Stati potrebbero continuare ad accettare norme e istituzioni
condivise.
Un sistema internazionale senza una società internazionale è già esistito ( vedi Cap 1-2 ).
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E può tuttavia contenere anche elementi di ordine, raggiungendo alcuni Stati un ordine interno anche in
assenza di norme e istituzioni nelle loro reciproche relazioni.
Ma di base sarebbe decisamente disordinato, esemplificando uno stato di natura hobbesiano.
Stati senza sistema
Esistono ancora Stati sovrani, ma non sono in contatto e interazione tra di loro, e non interagiscono in
maniera sufficiente da potersi comportare come parti di un sistema.
Non sarebbe più possibile per gli Stati di ciascuna regione nel mondo rappresentare con il proprio
comportamento un fattore determinante nei calcoli degli altri.
--->Un sistema di Stati globale cessa di esistere semplicemente perchè ci sono alcune società che sono
escluse da esso? ( Papa Nuova Guinea.)
E se esiste un alto grado di interazione a livello economico, ma non strategico?
Il primo sistema di Stati di estensione globale emerse non prima del 1800, e prima le alternative erano una
via più alta verso il conseguimento dell’ordine mondiale?
Rousseau, un mondo di piccoli Stati auto-sufficienti, ciascuno capace di mantenere l’ordine all’interno dei
suoi confini, attraverso la realizzazione della volontà generale della comunità, riducendo al minimo i
contatti con l’esterno.
Cita anche Washington ( avere il minor numero possibile di contatti con l’estero )
Anche Cobden la prescrisse...che credeva nel non intervento nel senso più rigido e assoluto del termine.
Egli era contrario anche all’intervento motivato da ragioni di interesse nazionale, come la protezione del
commercio o la preservazione dell’equilibrio di potenza. ..contro le organizzazioni che si opponevano
all’esistenza della schiavitù negli Stati Uniti. Immaginava anche che l’isolamento politico e strategico,
potesse coesistere con la loro interdipendenza economica.
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Insomma è vero che l’interazione sistematica tra gli Stati ha comportato alcuni costi, ma ha anche portato i
suoi benefici, come l’assistenza al debole etc..
Un governo mondiale:
Non esistono gli Stati sovrani...sarebbe un impero universale basato sul dominio della potenza
conquistatrice; oppure un contratto sociale tra gli Stati, una sorta di repubblica universale fondata su
qualche forma di assenso e consenso.
--> Non c’è mai stato un governo del mondo, ma spesso c’è stato un governo supremo su buona parte di
ciò che per coloro che erano soggetti costituiva il mondo conosciuto.
-->Argomenti a favore, attraverso un autorità suprema si garantirebbe l’ordine tra gli Stati, così come tra i
singoli uomini all’interno dello Stato.
Oggi si dichiara anche spesso che il modo migliore per raggiungere lo scopo della giustizia economica di
ciascun individuo è affidarsi all’azione di un governo mondiale.
--->Argomento contro; si dimostra nocivo nei confronti della libertà e dell’autonomia; impone vincoli sulla
libertà degli individui, i quali se il governo mondiale dovesse agire in maniera tirannica non potrebbero
chiedere asilo politico.
Un nuovo Medioevo
Stati sovrani scompaiono, e sono sostituiti da una versione moderna del tipo di organizzazione politica
universale esistente nell’Occidente cristiano durante il Medioevo.
---->In quel sistema nessuno Stato e nessun governatore potevano dirsi sovrani nel senso moderno, ovvero
detentori di una suprema autorità sopra un dato territorio e sopra un dato segmento della popolazione
cristiana.
Ognuno era obbligato a condividere la sua autorità.
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Il sistema politico che ne risultava era fondamentalmente teocratico, e ciò può sembrare illusorio al giorno
d’oggi, tuttavia lo sviluppo di una versione moderna e secolare di quel modello non è così improbabile: un
sistema di autorità sovrapposte e di lealtà multiple.
E’ riconosciuto il fatto che gli Stati sovrani oggi condividono il campo della politica mondiali con altri attori,
così come nell’epoca medievale lo Stato doveva dividere la scena con altre consociazioni..E se lo Stato
moderno dovesse spingersi sempre più avanti nella condivisione delle sue prerogative con le autorità
politiche mondiali e regionali da una parte e con quelle locali dall’altra, allora potremmo dire che una forma
di ordine politico universale neomedievale ha preso il sopravvento.
Perchè dovrebbe rappresentare una migliore soluzione al problema dell’ordine mondiale rispetto a quella
fornita dal sistema degli Stati? Perchè si riuscirebbe a legare insieme tutti i popoli in una società universale,
evitando allo stesso tempo quella concentrazione di potere inerente alla costituzione di un governo
mondiale.
I dubbi riguardano il fatto che non ci sia nessuna garanzia che un modello del genere possa dimostrarsi più
ordinato e stabile di quello offerto dal Sistema degli Stati; ci potrebbero essere violenza e insicurezza più
diffuse e continue..
Potrebbe anche svilupparsi un’alternativa non conforme a nessun modello precedente di organizzazione
politica universale.