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Speciale Vinitaly Periodico di cultura enogastronomica e turismo Con il patrocinio di Anno 2 - Numero 11 - Aprile 2011 Poste Italiane S.p.a. Spedizione in abbonamento postale -70% DCB Milano Copia di cortesia

GUSTARE L'ITALIA 11 - APRILE 2011

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Speciale Vinitaly

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SpecialeVinitaly

P e r i o d i c o d i c u l t u r a e n o g a s t r o n o m i c a e t u r i s m o

C o n i l p a t r o c i n i o d i

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(7 - 11 Aprile)Pad. C - Box 1c

Gustare l’Italia3

A partire da questo numero inizia a collaborare con Gustare l’Italia, in qualità di Direttore Re-

sponsabile, Alessandro Milani. Appassionato di storie, ha scritto e raccontato di sport, viaggi,

tradizioni e soprattutto di cibo, collaborando a radio e importanti case editrici italiane.

A lui un grande augurio di buon lavoro

Cino Tortorella - Direttore Editoriale

Auguri Italia! Ci uniamo a coloro che festeggiano il 150esimo compleanno del nostro Paese, e

invitiamo tutti a celebrare questa ricorrenza assaporando al massimo le sue eccellenze artisti-

che, paesaggistiche e, ovviamente, enogastronomiche.

L’augurio per il 2011 è di gustare l’Italia con le sue tradizioni, il suo territorio e le sue produzio-

ni di qualità più di quanto non avvenga oggi. Alcuni segnali ci avvertono infatti che qualcosa

non va, e che il nostro patrimonio comune non sta vivendo un periodo felice.

Questo numero di Gustare l’Italia vuole dare un contributo per migliorare le cose. Dal punto di

vista culturale si registra una crescente disaffezione verso le tradizioni popolari, che sono me-

no partecipate di un tempo e in alcuni casi rischiano di perdersi. Ecco dunque uno speciale

sulla Pasqua in Italia nel quale raccontiamo alcuni aspetti affascinanti e anche curiosi su come

vengono vissute le festività pasquali dal Nord al Sud della penisola.

Dal punto di vista economico, uno dei settori del made in Italy più famoso del mondo, quello

del vino, sta attraversando un momento contraddittorio: sempre più forte sul mercato estero,

con le esportazioni in continua crescita, sia nei mercati tradizionali, sia in quelli dei Paesi emer-

genti, e invece in calo in Italia.

I nostri connazionali consumano sempre meno il vino italiano. Come mai? È forse anche un

problema di comunicazione? Saranno questi i temi che affronterà Vinitaly, il Salone internazio-

nale del vino e dei distillati che ogni anno si tiene a Verona e che nel 2011 apre i battenti il 7

aprile. Noi abbiamo cercato di fornirvi qualche motivo in più per visitare la fiera presentando

alcuni itinerari gastronomici e culturali nella provincia di Verona.

E infine, ci giungono segnali preoccupanti dal punto di vista della salute e dell’alimentazione.

Pare infatti che i bambini italiani siano in Europa quelli con maggiori problemi di sovrappeso.

Qui, nella patria della dieta mediterranea, seguita e ammirata in tutto il mondo al punto da es-

sere presa come esempio da Michelle Obama nella lotta all’obesità infantile. Per questo moti-

vo la municipalità di New York, nella figura di Eric Goldstein, si è recata a Parma allo scopo di

studiare e riprodurre nella metropoli USA i metodi applicati dal sistema di refezione scolastica

della città ducale. Ce ne parla Giovanni Paolo Bernini, Assessore alle Politiche per l’Infanzia e

la Scuola del Comune di Parma. Sul tema dell’obesità infantile segnaliamo un importantissimo

convegno con medici e politici a confronto che si terrà l’11 aprile a Merine di Lecce.

Affinché i nostri figli seguano una corretta alimentazione occorre intervenire sull’educazione,

indicando loro esempi virtuosi di prodotti che siano al tempo stesso sani e di qualità. Come lo

sono quelli certificati con i marchi di garanzia. A partire da questo numero Gustare l’Italia pre-

senterà ogni mese un consorzio italiano di tutela e promozione: vini e alimenti “trasparenti” per

quanto riguarda la zona di provenienza, le fasi della lavorazione, la qualità e la tracciabilità.

Sarebbe un vero peccato festeggiare il compleanno dell’Italia con prodotti scadenti, magari

importati…

Alessandro Milani - Direttore Responsabile Edito

riale

4Gustare l’Italia

Som

mar

io a

prile

201

16 Intervista a... Giovanni Paolo Bernini (Assessore alle Politiche per l’infanzia e la Scuola del Comune di Parma)

9 ATTUALITA’

32 L’artigiano in cucina Le pentole di rame zincato: le Rolls Royce della cucina

10 Vinitaly, il salotto buono del vino italiano

14 Un mondo di sapori fuori Vinitaly

20 Il vino delle donne

35 IN TAVOLA

36 A tavola con le stelle La cena dell’ariete

43 INSERTO “Speciale Pasqua”

44 La Pasqua in Italia

52 La Pasqua a tavola

60 La colomba pasquale

62 Il dolce centro di Milano

27 IN CUCINA28 L’orto di Aprile Ravanelli - Fragole

Gustare l’Italia5

81 L’Abbacchio Romano IGP

87 RUBRICHE

88 Le lune di Gustare l’Italia “Dal Mago”

66 “Panem Nostrum cotidianum da nobis hodie”

70 Le “Città del Pane”

74 L’artigiano in tavola I decanter: un valido accessorio per gustare il vino

79 I CONSORZI80 I Consorzi di Tutela

94 Libri da mangiare

98 Indice ricette

Direttore Responsabile: Alessandro Milani - Direttore Editoriale: Cino Tortorella

Caporedattore: Raffaele Montagna - Art Director: Daniele Colzani

Segretaria di Redazione: Mara Guerrieri - Responsabile Diffusione: Roberto Zanutto

Grafica e impaginazione: Daniele Colzani - Giovanni Di Gregorio

Concessionaria pubblicità: Soltrade Communication - Via Mirabello, 10 - 00195 Roma

Responsabile Trattamento Dati Personali: Maurizio Villa

L’editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti e la possibilità di richiedere gratuitamente la rettifica o

cancellazione ai sensi dell’art. 7 del D. Lgs 196/2003 scrivendo al Responsabile del Trattamento Dati Personali:

Soltrade Communication - Via Abbadesse, 20 - 20124 Milano

Contatti: [email protected] - www.gustarelitalia.it

Redazioni: Milano: Via Milanese, 5/11 - 20099 Sesto San Giovanni (MI) - Roma: Via Mirabello, 18 - 00195 Roma -

Puglia: Via Trento, 10 - 70017 Putignano (BA) - Sicilia: Via Cannezio, 22 - 97100 Ragusa

Hanno collaborato a questo numero: Paolo Bonagura - Fabrizio Cimino - Alan Mieli - Roberto Mottadelli - Emiliano

Raccagni - Regina Zather - Foto cover: Lidia Montanari - Ente Autonomo Fiera Verona

Fotografi e Uffici Stampa: Lidia Montanari - Arsial Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione dell’Agricoltura

del Lazio - Associazione Città del Pane - Biodiversità Arsial - Consorzio dell’Abbacchio Romano IGP - Ente Autonomo

Fiera Verona - Antichi Mestieri - AtemporaryStudio - Azienda Agricola Masciarelli - Hermitage Relais & Chateaux

In collaborazione con: Visibilia Pubblicità

© Riproduzione (anche parziale) vietata

Periodico di cultura enogastronomica e turismo - Anno 2 - Numero 11Aprile 2011 - Reg. Tribunale di Milano n° 201 del 14/04/2010

www.gustarelitalia.it

6Gustare l’Italia

di C

ino

To

rto

rella

Lo scorso mese di febbraio è giunto in visi-

ta a Parma Mr. Eric Goldstein, Direttore Gene-

rale del Dipartimento Educazione di New York,

per conoscere l’attività che svolge il Servizio

Mensa del Comune di Parma e porre le basi di

una fattiva collaborazione tra le due città.

La visita avrebbe dovuto avere un rilievo mag-

giore sui media perché è stato un avvenimento

di grande importanza che riguarda un problema

di estrema gravità, l’obesità infantile.

Ne parliamo con il Dr. Giovanni Paolo Berni-

ni, Assessore alle Politiche per l’Infanzia e la

Scuola del Comune di Parma.

Dr. Bernini, al termine della sua visita Mr.

Goldstein ha dichiarato “Anche noi possia-

mo insegnarvi qualcosa, ma sicuramente

abbiamo molto di più da imparare da voi”.

È un bel riconoscimento alle iniziative del

suo assessorato per promuovere il benesse-

re e i corretti stili di vita dei bambini della vo-

stra città.

Giovanni Paolo Bernini(Assessore alle Politiche per l’Infanzia

e la Scuola del Comune di Parma)

Inter

vista

a...

Indubbiamente. Pensare che chi si occupa

della ristorazione della mensa scolastica di una

città come New York, che distribuisce 860.000

pasti quotidiani, con una spesa di 425 milioni

di dollari l’anno, sia interessato alle iniziative di

un Comune dove vengono distribuiti “soltan-

to” 16.000 pasti giornalieri con una spesa di 10

milioni di euro annui, ci ha

riempito di orgoglio, an-

che perché l’illustre ospi-

te ha sottolineato il valore

dei nostri progetti, da lui

considerati un modello da

imitare.

È un riconoscimento

particolarmente impor-

tante in questo periodo

mentre si discute delle

iniziative della first lady

Michelle Obama contro

l’obesità infantile, un gra-

L’Assessore Giovanni Paolo Bernini

Gustare l’Italia7

vissimo problema che da anni affligge gli

Stati Uniti.

Il problema è molto serio anche in Italia; nel

2007 il Consiglio Nazionale delle Ricerche, do-

po un’accurata indagine è giunto alla conclu-

sione che i bambini italiani sono i più obesi

d’Europa. La situazione è grave al Nord, dove

un bambino su quattro è in sovrappeso o obe-

so, ma diventa drammatica al Sud, dove pure

è nata la dieta mediterranea.

Questi dati dovrebbero seriamente preoc-

cupare le famiglie, se si considerano i rischi

che corrono i piccoli obesi: dal diabete all’in-

farto, alle patologie di tipo respiratorio, ai di-

sturbi di carattere psicologico.

Eppure combattere questo pericolo non è

così difficile: basta che i bambini dedichino

del tempo all’attività fisica e soprat-

tutto seguano una corretta alimenta-

zione; ecco perché la scuola è molto

importante anche come aiuto per le

famiglie degli studenti.

Proprio questo nostro impegno ha

colpito favorevolmente Mr. Goldstein;

egli ha dichiarato che il livello di quali-

tà del servizio mensa del Comune è di

gran lunga superiore a quello raggiun-

to negli Stati Uniti, e non soltanto nelle

scuole statali ma anche in quelle pri-

vate. Ciò che l’ha colpito di più è che

l’80% dei cibi forniti quotidianamente

ai nostri bambini è di tipo biologico.

Le considerazioni dell’illustre ospite

americano premiano Parma e la ren-

dono un modello per una delle città

più importanti del mondo…

Deve però anche essere per noi uno

stimolo a migliorare ulteriormente un

servizio già eccellente perché molto

c’è ancora da fare.

Mr. Goldstein ha attraversato l’Atlantico

per venire a constatare quanto di buono sta-

te facendo per i piccoli scolari di Parma ed

esportarne il modello a New York.

Penso però che una visita alla vostra città

dovrebbero farla anche molti politici italiani

con responsabilità simile alle vostre anche in

Comuni molto importanti, per capire cosa si

deve fare per il bene dei nostri bambini.

Chiunque verrà sarà il benvenuto; noi conti-

nueremo a fare in modo che i nostri piccoli ri-

cevano pasti di altissima qualità ma, come ho

già detto, siamo coscienti che c’è ancora

molta strada da fare per educare soprattutto

le famiglie, e se la percorreremo insieme po-

tremo raggiungere più facilmente risultati im-

portanti per proteggere la salute e l’avvenire

dei nostri figli.

PATINATA GUSTARE L'ITALIA 210x275 CON 5mm di Taglio.pdf 1 24/01/11 15.35

Gustare l’Italia9

Attua

lità

Vinitaly 2011

10Gustare l’Italia

di R

ob

erto

Mo

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elli

Dal 1967 è il principale punto di riferimento

per il mondo del vino italiano. Non solo un mo-

mento fondamentale per grandi cantine e con-

sorzi di produttori, che ne approfittano per

presentare i loro gioielli enologici, ma anche

l’occasione ideale per fare il punto sull’anda-

mento di gusti e mercati, per riflettere sull’evo-

luzione della cultura del buon bere, nel nostro

Paese e nel mondo.

Stiamo parlando di Vinitaly, il Salone interna-

zionale del vino e dei distillati che ogni anno si

Vinitaly, il salotto buono del vino italiano

tiene a Verona: nel 2010 ha richia-

mato oltre 150.000 persone prove-

nienti da una cinquantina di Stati di-

versi, dall’Europa al Sudamerica.

Dati che fanno capire come, più

che una fiera di settore, Vinitaly sia

un vero e proprio evento. Se non

bastassero le fredde cifre, per ren-

dersene conto basterebbe dare

un’occhiata alle code agli ingressi

(e all’affanno dei giornalisti che ri-

chiedono gli accrediti stampa: un

termometro informale, ma assai ef-

ficace, per misurarne il successo).

I padiglioni mettono in mostra

stand sempre più curati sotto il pro-

filo dell’allestimento e dell’offerta in-

formativa, ospitano degustazioni e

workshop, conferenze e dibattiti a

tema con ospiti internazionali.

Il fascino del vino e la qualità delle

produzioni proposte, in primo luogo

di quelle italiane, sono le ragioni più

evidenti di questo successo

Non le uniche, però.

Se Vinitaly è sulla cresta dell’onda da oltre

quarant’anni, nonostante la nascita di altre fie-

re analoghe, è anche grazie alla sua capacità

di crescere, di rinnovarsi, di non rimanere mai

uguale a se stesso.

In un mondo in rapida trasformazione, gli or-

ganizzatori del Salone hanno compreso che

tutte le edizioni devono avere un carattere

specifico e che è importante proporre sempre

qualche miglioramento: vuoi per tenere il pas-

so dell’evoluzione tecnologica, pur senza per-

Gustare l’Italia11

dere il contatto con le tradizioni e le radici; vuoi

per provare ad anticipare le fluttuazioni delle

tendenze nazionali, europee e planetarie.

Insomma, ogni anno Vinitaly mette sotto la

lente d’ingrandimento un aspetto diverso del

“fenomeno-vino” e prova - spesso con ottimi

risultati - ad avvicinare il prodotto a un merca-

to che muta le proprie esigenze, un mercato

esposto a stimoli nuovi e che si fa sempre più

articolato e interconnesso.

Il 2009 ha visto l’inaugurazione del nuovo Pa-

diglione 1, che ha portato la superficie coperta

del quartiere fieristico a 150 mila metri quadra-

ti, e ha messo al centro del dibattito il rapporto

tra il mondo del vino e le problematiche am-

bientali e di tutela del territorio, inteso in tutti i

suoi aspetti.

Il 2010 ha segnato la svolta multimediale del-

la fiera e l’apertura totale al web, con l’inaugu-

razione di una piattaforma on-line per i giorna-

listi e con l’offerta di nuovi servizi via palmare

per gli operatori e i visitatori.

L’obiettivo del 2011?Comunicare e fare squadra

Date le premesse e le anticipazioni, c’è da

scommettere che quella che comincia il 7 apri-

le sarà ricordata da un lato come l’edizione

che confermerà le scelte di fondo del 2010, e

dall’altro come un momento fondamentale del

ripensamento del marketing e della comunica-

zione del vino, soprattutto di quello proposto

ai consumatori italiani.

I numeri dicono infatti che, a fronte di un ex-

port in netta crescita, nell’ultimo periodo il no-

stro vino ha conosciuto un periodo di flessione

sul mercato interno. Insomma, complici l’arri-

vo sugli scaffali di quantità sempre maggiori di

12Gustare l’Italia

bottiglie estere e un codice della strada sem-

pre più severo nei confronti di chi si concede

un bicchiere di troppo, gli italiani acquistano

sempre meno vino “nazionale”.

Ciò proprio mentre i consumatori d’oltre-

confine vanno scoprendo l’eccellenza dei

rossi e dei bianchi made in Italy, nei quali ri-

trovano un’eco della seduzione dei paesaggi

e della ricchezza enogastronomica del nostro

vecchio Stivale.

A Vinitaly 2011 le aziende italiane si misure-

ranno con la concorrenza straniera, come e

più degli anni passati.

Soprattutto, avranno modo di confrontarsi

tra loro e provare a disegnare una strategia

per rispondere a queste sfide, per riconqui-

stare un mercato interno che, al di là dei suc-

cessi delle esportazioni, continua a essere

fondamentale, sia economicamente, sia cul-

turalmente.

Data per assodata l’eccellenza dei nostri vi-

ni, è evidente che per tornare a crescere c’è

bisogno di comunicare meglio, di proporsi in

modo nuovo e più efficace.

Un percorso che difficilmente può essere in-

trapreso singolarmente dalle varie cantine,

ma che richiede un’azione comune, uno sfor-

zo coordinato nel quale è indispensabile la-

sciare da parte le rivalità di campanile.

Il Salone dovrà essere sfruttato come cata-

lizzatore di energie; va visto come unaprezio-

sa occasione per riflettere insieme a vantag-

gio di tutto il comparto.

Questo è l’anno giusto per cominciare a “fa-

re rete”: un’espressione che oggi va di moda

e spesso viene utilizzata a sproposito, ma

che in questo caso è decisamente efficace,

comunque la si interpreti.

Dopo aver segnato un prezioso gol in tra-

sferta, sarebbe davvero un delitto perdere in

casa perché si rinuncia a giocare di squadra.

Per maggiori informazioni sulla manifesta-

zione: www.vinitaly.com

14Gustare l’Italia

di E

mili

ano

Rac

cag

ni

Verona diventa “caput vini” quando, per

quattro giorni all’anno, dalla sua Fiera sem-

brano passare le sorti di un’intera stagione

enologica, nazionale e non.

Si entra, si cammina di padiglione in padi-

glione, di stand in stand. Si percorre Vinitaly

in lungo e in largo, si assaggia, si discute.

Chi può, se la gode. Chi deve, cerca affari.

Difficile concentrarsi sul resto, a partire dalla

consapevolezza di trovarsi in una città ricca

di luoghi che meritano sicuramente di essere

visti. Non è il momento. E la provincia? Non

se ne parla nemmeno.

Eppure il territorio che gravita attorno al ca-

poluogo scaligero offre un concentrato di pa-

Un mondo di saporifuori Vinitaly

norami che mutano quasi di passo in passo,

con tradizioni custodite da una terra ricca di

storia, prodotti e sapori che ne rappresenta-

no il fiore all’occhiello. Frasi, queste ultime,

buone per tutte le stagioni e tutte le latitudini?

Vero, forse.

Ma un breve viaggio fuori dal cuore di Vero-

na può dare solide conferme a questa tesi e,

soprattutto, indicarci alcune vie che può valer

la pena percorrere.

Lo dicono la geografia e la storia.

Verona è terra centrale ma legata a doppio

filo con i suoi vicini, con i quali condivide pez-

zi di storia e di sapori. In città e provincia si

possono gustare un ottimo baccalà, apprez-

L’arena di Verona: ipotetico punto di partenza del nostro tour per le terre scaligere

Gustare l’Italia15

zare i tortelli o il risotto alla pilota e terminare

una cena con la sbrisolona.

Piatti di confine, adottati, ma in fondo ap-

partenenti a campanili pronti a vantare pater-

nità più certe e che i veronesi non considera-

no come propri.

Sono veronesi, tra l’altro, i piatti di riso, i

bolliti, il radicchio rosso, la soppressa, i mille

vini, le pesche, le sfogliatine di Villafranca, il

dolce pandoro.

Le tre animeLa vera essenza del territorio scaligero si

sprigiona non solo battendo le “Strade dei vi-

ni”, ma scoprendo quali altre forme ha preso

la tradizione contadina accanto al solido ap-

piglio della vite.

Quella della Bassa, con la sua campagna

più padana, risalendo poi la zona dei colli

morenici per tuffarsi nel Garda, fino ad arriva-

re in Lessinia, su quei monti che portano in

Trentino. Tre passaggi scanditi nettamente da

un cambio di terre, di altitudini, di possibilità

di coltivazione. In poche parole, di civiltà, sto-

ria, abitudini, tradizioni.

Una civiltà che oggi si esprime anche e so-

prattutto attraverso una delle agricolture più

ricche e moderne del Paese, la quale sa però

trovare ancora solidi punti di riferimento nelle

proprie radici.

Oltre a queste tre anime, diamo per scon-

tate due tappe che rappresentano i distretti

veronesi più legati alla vite e al vino: la Val-

policella che esprime re Amarone e la sua

corte, ma non solo. Qui nascono anche un

olio fragrante e ciliegie famose.

Poi Soave, meraviglioso borgo che anche il

più distratto dei turisti di passaggio in auto-

strada può scorgere, con le sue mura e il suo

tesoro di vigneti coltivati a Garganega, mate-

ria prima per uno dei vini bianchi bandiera

dell’intero Veneto.

Il radicchio di Verona IGP

Una veduta del castello di Soave: tipica fortezza del Medioevo

16Gustare l’Italia

Proseguiamo oltre, per cercare

tre percorsi che sanno esprimere

altrettante anime di questa ricca

provincia.

La Bassa e la tradizione del riso

Si parte quindi dalla Bassa, scen-

dendo da Verona per approdare a

Villafranca, che eleggiamo a capo-

luogo della prima tappa.

Nome ricordato in tutti i sussidiari d’Italia

per aver ospitato un passaggio chiave del Ri-

sorgimento, con l’armistizio del 1859 tra

Francia e Austria, questa cittadina occupa un

posto di rilievo nella provincia, fin dalla sua

fondazione.

Fu infatti voluta dal Comune scaligero alla

fine del XII secolo per creare un caposaldo

strategico, ma anche un importante mercato

agricolo.

Visitato il Castello duecentesco, ci si può

addentrare verso la Bassa, dove i vigneti fan-

no posto alla coltivazione che ha plasmato (e

sfamato) questa fetta di pianura per secoli.

A Isola della Scala e attorno a più di venti

comuni si snoda infatti la “Strada del Riso”.

“Vialone Nano”, per la precisione.

È la varietà regina di questo distretto, che

ne produce oltre la metà del totale nazionale.

Per nostra fortuna buona parte rimane qui,

dove decine di trattorie lo propongono con le

ricette della tradizione: con salsiccia o carne

di maiale (tastasàl), ma anche con asparagi,

radicchio, zucca, rane o pesce.

Un tempo tutto ruotava attorno a questa ri-

sorsa, che disegna il territorio fisicamente e

anche nella cultura, come testimoniano i nu-

merosi affreschi e dipinti raffiguranti tante fasi

della sua coltivazione ancora oggi visibili sul-

le pareti delle ville di campagna.

Un vero e proprio baluardo di civiltà, espres-

sa anche da quella sottile linea rappresentata

dal modo di cucinarlo.

A occidente, verso la Lombardia e poi il

Piemonte, è il burro a sposarsi col riso, prima

nella tostatura e poi nella fase di mantecatu-

ra, non prima di una lunga cottura nel brodo.

In Veneto, come anche nel vicino Mantova-

no, è più forte la tradizione di cottura che ri-

Il Castello di Villafranca

Gustare l’Italia17

corda il pilaf, con il liquido di cottura

aggiunto solo una volta all’inizio. Non

a caso, Venezia era la porta europea

all’Oriente e Verona ne rappresentava

in questo caso una delle estreme pro-

paggini verso Ovest.

Di terra e di lagoRipartiamo per dirigerci sicuri verso

il Garda di sponda veneta e fare sosta a Lazi-

se, con il suo castello e il porto lacustre che

sa di Serenissima.

Merita una tappa Bardolino: il nome ri-

chiama subito l’omonimo vino, ma questo

centro del basso lago è punto di riferimento

anche per altri incontri. A partire dalla Chie-

sa di San Severo con le sue forme romani-

che, o la vicina San Zeno, già documentata

in età carolingia.

Entrambe valgono una sosta, prima di la-

sciarsi guidare lungo i sentieri che si lasciano

alle spalle il lago per poggiarsi su colline col-

tivate a vite e ulivo, con quest’ultimo a dare

l’olio Garda Dop, che grazie al favorevole mi-

croclima locale si distingue e riempie poche e

preziose bottiglie.

A Cavaion Veronese, non a caso fieramen-

te proclamata Città dell’Olio, ne fanno a ra-

gione un vanto.

Ecco poi Rivoli, teatro nel 1797 di una bat-

taglia durante la prima campagna napoleoni-

ca, un evento che ha lasciato traccia anche

nelle tradizioni contadine: si dice che furono

proprio le milizie francesi a portare da queste

parti una particolare varietà di asparago, det-

to appunto di Rivoli, che si è perfettamente

acclimatato tra i terreni morenici della zona,

diventando di casa.

È ancora tempo per gustarsi il lago, magari

risalendo verso il confine con il Trentino, dove

alle pendici del Monte Baldo si specchia un

Garda fattosi stretto e dove si incontra una

cucina d’acqua dolce, nella quale si affaccia-

no prodotti dai vicini monti:

miele, tartufo e castagne (i fa-

mosi Marroni di San Zeno di

Montagna IGP).

Tra i pesci si distinguono il

carpione - particolare tipo di

salmonide che vive solo qui e

che ai tempi dei Dogi era rino-

matissimo, fritto, per le sue

carni delicate - il coregone, la

trota lacustre e l’alborella.

Il lungolago di Bardolino

Panorama di Bardolino

18Gustare l’Italia

Quest’ultimo piccolo pesce è alla base di

uno dei più interessanti prodotti dell’intero

Garda, l’àole salè, espressione dell’antico

modo di conservare il prodotto, in questo ca-

so in salamoia.

Vero segreto delle famiglie di pescatori del-

la zona, è oggi più che una rarità. Ma soprav-

vive: trovarlo e consumarlo alla griglia o come

condimento per la pasta è un’esperienza

davvero sorprendente.

La civiltà montanaÈ tempo di salire di quota per arrivare in

Lessinia. In questa valle di passaggio, di mal-

ghe e di piste che per secoli hanno assistito

al passare di genti e merci diretti in Trentino e

poi più a nord, sono i profumi di erbe di cam-

po a farsi sentire nell’aria ma anche nel latte

dei pascoli, alla base di caratteristici formag-

gi. Con il Monte Veronese, oggi Dop, in prima

fila. Prodotto in diverse tipologie, nella sua

versione più fresca è a base di latte vaccino

intero e caratterizzato dall’etichetta di colore

verde chiaro.

Vi è poi il Monte Veronese d’Allevo, prodot-

to con latte parzialmente scremato con sta-

gionatura minima di 90 giorni se da tavola

(Mezzano) o protratta anche per 6 mesi e fino

a 2 anni (Vecchio). La tipologia d’allevo mez-

zano si contraddistingue grazie all’etichetta

azzurra, mentre la versione più stagionata si

riconosce dall’etichetta nera.

Infine, esiste un’ulteriore tipologia, denomi-

nata Monte Veronese di Malga. L’origine di

questo formaggio si perde nella leggenda ed

è attribuita all’arrivo in queste valli della po-

polazione dei Cimbri che dalla Baviera e dal

Tirolo vi scesero come coloni alla fine del

Duecento su permesso dell’arcivescovo Bar-

tolomeo della Scala.

Fondarono 13 comunità, che ancora oggi

mantengono vivi gli usi di una vera e propria

enclave formata da otto Comuni. In particola-

re, nella piccola frazione di

Ljetzan-Giazza è ancora viva

la parlata di matrice alto-tede-

sca medioevale, la lingua dei

Cimbri che sopravvive nel Ve-

neto di oggi.

Un’occasione per conosce-

re questa parte di provincia, la

tradizionale “Festa del For-

maggio”, in programma il 30

maggio a Erbezzo. Oltre a Vi-

nitaly, ovviamente…

Forme di Monte Veronese DOP

La frazione di Ljetzan - Giazza

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Il vino delle donne

20Gustare l’Italia

di F

abri

zio

Cim

ino

La Majella, la seconda catena montuosa

d’Abruzzo, ha ispirato molti poeti, scrittori e

compositori. Aspra e imponente, sa essere

anche protettiva - ripara dai venti da ovest -

per chi vive alle sue pendici verso il mare.

Proprio qui si scopre un mondo fatto di

gente che è abituata al lavoro e ne fa un van-

to. Le operose valli della provincia di Chieti,

che dalle pendici della Majella vanno verso il

Mare Adriatico, sono davvero incantevoli e

ospitali.

Qui vive e lavora un’imprenditrice nel cam-

po della produzione del vino di qualità, Mari-

na Cvetic. Serba di Belgrado, è la vedova di

Gianni Masciarelli, uno dei più noti produttori

di vino in Abruzzo e famoso nel mondo.

Alla morte prematura del marito, Marina ha

rilevato l’azienda e la sta conducendo in modo

encomiabile. Gianni aveva già dato il nome

della moglie a una linea di vini di alta qualità

che vengono prodotti in

Abruzzo nelle vigne di

proprietà.

Oggi la vita di Marina

è fatta di aerei e canti-

ne, profumi intensi di

mosti e relazioni frene-

tiche, al fine di miglio-

rare la qualità e la no-

torietà di un prodotto

che deve essere per-

fetto, sempre al massi-

mo livello.

L’azienda si trova a

San Martino sulla Mar-

rucina, un paese di non

più di 1000 anime situato tra la Majella e

l’Adriatico. Qui abbiamo avuto il piacere di in-

contrarla.

Appena arrivati, in attesa di Marina, venia-

mo fatti accomodare in una sala dove trovia-

mo un interessante libro che racconta la vita

di Gianni Masciarelli.

Scopriamo così che Gianni si appassionò

all’attività vitivinicola grazie a suo nonno ma-

terno, Umberto il quale, duro di carattere ma

generoso, forgiò il nipote alla preziosa attività

di produrre vino.

Dopo gli studi universitari in economia,

Gianni fondò, insieme alla sorella Rossana,

l’Azienda Agricola Masciarelli.

Marina arriva dalla cantina e la incontriamo

nel suo ufficio dove mi racconta la sua storia.

Gentilissima, cortese, ma anche forte e osti-

nata, Marina ricorda le principali tappe della

sua giovane ma intensa vita.

Marina Cveticnella sua cantina

Gustare l’Italia21

Dopo un periodo di trasferimenti dalla Ser-

bia all’Austria fino ad arrivare in Germania, in-

contra Gianni Masciarelli in Croazia durante

una vacanza. Si innamorano e in breve tempo

decidono di sposarsi.

Marina si trasferisce in Abruzzo e inizia a

seguire il marito nell’attività di vignaiolo.

Mentre racconta, ricordando Gianni, spesso

si commuove. Si ritiene una donna fortunata

e questo è indice di ottimismo, qualità impre-

scindibile per un imprenditore di successo.

La lingua italiana e le nostre abitudini sono

uno scoglio che lei ha superato facilmente e

in fretta. Il marito, pur essendo per natura ac-

centratore e decisionista, comprese però le

qualità della moglie e le affidò alcune impor-

tanti mansioni commerciali.

Gianni, da grande amante delle cose belle,

acquistò anche un palazzo nobiliare sette-

centesco posto sul cucuzzolo di un paesino

vicino dal nome curioso, Casacanditella.

Il Castello di Semivicoli - questo il nome del

palazzo - venne ristrutturato con tecniche

biocompatibili e, grazie al gusto di Marina per

l’arredo d’epoca e per il design italiano, viene

riportato all’antico splendore.

Oggi è un relais aperto a chi vuole trovare

un luogo dove trascorrere una tranquilla va-

canza all’insegna della pace e della natura.

Una suggestiva veduta degli esterni del Castello di Semivicoli

22Gustare l’Italia

Nel 2008 purtroppo il grande lavoratore

Gianni scompare, all’età di 52 anni, lasciando

a Marina la totale responsabilità di una gran-

de azienda vinicola, oltre che dei tre figli.

Senza perdersi d’animo, Marina ha preso le

redini della Masciarelli, che può continuare il

suo viaggio.

È con questo spirito che Marina ci conduce

poi a visitare una delle vigne di Montepulcia-

no d’Abruzzo, il vitigno abruzzese per eccel-

lenza. Mi spiega che ogni pianta viene potata

e sarchiata in modo da produrre al massimo

due grappoli.

I filari sono ben tesi da strutture e cavi per-

fettamente ordinati e distanziati. Qui si punta

diritto alla qualità a scapito della quantità, se-

condo una politica davvero vincente, se si

pensa che l’Abruzzo è stata per decenni una

regione che produceva vino da taglio da de-

stinare a regioni d’Italia e d’Europa di mag-

gior fama vitivinicola.

I vini di punta della ditta Masciarelli sono il

“Villa Gemma” Montepulciano d’Abruzzo (ros-

so), il Cerasuolo (rosato) e il Trebbiano (bian-

co). L’idea di produrre anche vini di qualità al

di fuori del disciplinare DOC del luogo si è ri-

velata sicuramente vincente e consente oggi

di coltivare e vinificare uve che danno ottimi

IGT (Indicazione Geografica Tipica)

È il caso della linea lanciata da Gianni Ma-

sciarelli, “Marina Cvetic”, il vino delle donne.

Gustare l’Italia23

Il rapporto qualità/prezzo dei vini Mascia-

relli è davvero buono. Si produce vino fermo

da varie uve: il Montepulciano d’Abruzzo ri-

serva passato in barrique, il Merlot e il Caber-

net Sauvignon per i rossi; il Trebbiano e lo

Chardonnay per i bianchi.

Il Montepulciano riserva passato in barrique

è, a nostro parere, il migliore di tutta la linea: il

suo profumo intenso di amarena, il notevole

contributo in tannino, moderato dalle essenze

morbide della permanenza per 24 o 36 mesi in

piccole botti nuove, e la persistenza al gusto

rendono questo vino adattissimo a essere ab-

binato a piatti di carne e soprattutto ai formag-

gi pecorini abruzzesi, come quello tipico di

Marruci di Pizzoli, raro da reperire ma di un gu-

sto intenso e profondo.

Marina vuole farci visitare il Castello di Semi-

vicoli, ristrutturato dall’Architetto Di Zio, lo stes-

so che ha operato nel borgo di Sextantio (San-

to Stefano di Sessanio) in provincia dell’Aquila.

Un lussuoso relais che ha la capacità di in-

fondere pace e serenità già a prima vista.

La sala riunioni al piano terra, dove un tem-

po c’erano le cantine, è davvero accogliente.

Il frantoio ottocentesco con i palmenti prima

e le macine poi, utilizzato per produrre olio

extravergine di oliva e altri oli derivati, è stato

recuperato con tutti gli elementi meccanici

del tempo.

Le sale del primo piano, con la cucina rusti-

ca, la sala degustazione e la suite principale.

Il sottotetto con le altre camere, tutte arreda-

te con grande capacità dal gusto pratico e

moderno di Marina.

La suite più bella è quella del “granaio”,

una grande stanza piena di sole all’ultimo

piano del Castello, con la vista sulle vigne

che degradano verso il mare. Insomma, il Ca-

stello di Semivicoli è un posto dove ci si ac-

corge che il tempo si ferma, e l’aria che si re-

spira ritempra dallo stress.

La splendida suite detta “del granaio” con vista sui vigneti

24Gustare l’Italia

Nelle sale vengono anche organizzate alcu-

ne iniziative culturali. Marina è infatti anche

una donna molto sensibile al sociale, dalle at-

tività per i bambini delle scuole dei paesi vici-

ni ai corsi inerenti il mondo dell’agricoltura,

che nella valle è ancora il settore produttivo

prevalente.

Il Castello ospita molte manifestazioni cul-

turali e musicali, nonché servizi giornalistici di

moda, che sfruttano le caratteristiche sceno-

grafiche della location.

Marina riesce a realizzare le varie iniziative

nonostante tutte le difficoltà burocratiche che

incontra, come purtroppo spesso avviene in

Italia, lasciando incredula una persona che

gira il mondo come lei.

Tornati alla sede dell’azienda Masciarelli

iniziamo la visita alle cantine dove il vino sta

maturando. La prima sensazione è quella di

una pulizia perfetta, dai locali ai tini in legno

che contengono il vino. Anche la zona delle

cisterne in acciaio dà l’impressione di igiene

e di perfetta organizzazione.

Cerchiamo di testimoniarlo con qualche fo-

tografia, ma ciò che una fotografia non può

comunicare sono le sensazioni olfattive che

si percepiscono nella cantina delle barrique.

Il profumo del mosto frammisto a quello del

legno giovane delle piccole ma preziose bot-

ti di rovere è davvero inebriante. Viene voglia

di assaggiare il nettare che riposa per mesi

dentro questi scrigni che rilasciano profumi

ed essenze per conferire al vino quel sapore

inconfondibile.

Dai racconti di Marina emerge come l’amo-

re per il proprio lavoro, eseguito nella più to-

tale semplicità e naturalezza, permetta di ot-

tenere risultati eccellenti.

Marina imprenditrice, madre di tre figli, è

una persona che pretende molto da sé e dal-

le persone di fiducia alle quali delega molto,

ma si aspetta anche i risultati, che puntual-

mente arrivano.

Anche quest’anno la Cantina Masciarelli è

presente al Vinitaly, la rassegna vitivinicola

più importante al mondo.

Benagiano Pastifi cio srlCorso Italia 138-140/b - 70029 Santeramo in Colle (Ba)Tel. 080-3036036 - E-mail: [email protected] - Website: www.benagiano.it

L’amore per la qualitàIl rispetto per la tradizione

In cucina

Gustare l’Italia27

28Gustare l’Italia

di R

egin

a Z

athe

r

Il ravanello o rapanello (Raphanus sativus

radicula), varietà del rafano, è una radice in-

grossata con la polpa bianca.

L’etimologia fa derivare il nome dalla voce

greca raphanos e dal persiano antico rafe.

La coltivazione delle piante di ravanelli risale

agli antichi, ne parla lo scrittore latino Plinio

il Vecchio e lo attestano anche le civiltà egi-

zie, greche e cinesi.

Le varietà di ravanelli si contraddistinguo-

no secondo la forma e il colore: a radice ton-

da e rossa Cherry Belle e Saxa; a radice se-

milunga e bianca Candela di ghiaccio, sono

invece a radice lunga e rossa Candela di

fuoco, Torino, Tabasso.

Il ravanello è coltivato in tutt’Italia e, grazie

alle colture sviluppate in serra, si può trovare

sulle nostre tavole durante tutto l’anno.

I ravanelli

L’orto

di a

prile

La sua disponibilità in natura corrisponde al

periodo primaverile estivo; aprile e luglio so-

no i mesi migliori per la sua raccolta.

Il ravanello ha un buon contento di ferro, po-

tassio, fosforo, calcio e vitamina C. Il basso

contenuto calorico lo rende indicato nelle

diete. Il ravanello può stimolare l’appetito ma

è di difficile digestione.

I ravanelli si vendono a mazzetti e si consu-

mano freschissimi, sfrondando le foglioline; la

conservazione in frigorifero deve essere limita-

ta ad un paio di giorni per non farli avvizzire.

Il caratteristico sapore pungente può essere

attenuato con un semplice accorgimento: ba-

sta pulire i ravanelli, fare con un coltello un ta-

glio a forma di croce, lasciandoli attaccati dal-

la parte del gambo, e immergerli in una ciotola

con acqua fredda per circa mezz’ora.

Gustare l’Italia29

Ricett

e

“Ravanelli al burro per antipasto”

Ingredienti per 4 persone: 4 mazzetti di ravanelli - 50 g. di burro a temperatura ambiente - saleAttrezzatura: 1 coltello - 1 coltello arricciaburro - 4 coppette o ciotole - 4 piatti da antipastoTempo di preparazione: 5’Preparazione piatto: Eliminate solo le foglie sciupate dei ravanelli, lavateli e asciugateli be-ne. Disponeteli al centro dei quattro piatti. Rica-vate con l’apposito coltello dei riccioli di burro e deponeteli intorno ai ravanelli. Mettete nelle coppette del sale fino.Portate in tavola a ciascuno il piatto con i rava-nelli e la ciotola del sale; affinché i commensali possano gustarli rigirandoli prima nel sale e poi nel burro.Vino da accompagnare: Prosecco dei Colli Tre-vigiani (Veneto) o Bianco di Pitignano spumante (Toscana) o Cortese del Monferrato spumante (Piemonte) servito a 8°.

“Insalata risorgimentale”

Ingredienti per 4 persone: 3 mazzetti di ravanelli - 1 cespo di indivia ricciuta - 1 finocchio - 1 co-sta di sedano verde - 4 gherigli di noce sminuz-zati - 3 filetti d’alice - una manciata di olive ba-resi in salamoia - qualche cappero - mezza mela verde affettata sottilmente - 3 cucchiai d’olio extravergine d’oliva - 1 cucchiaio di ace-to bianco - sale e pepe bianco q.b.Attrezzatura: 1 coltello - 1 tagliere - 1 insalatiera - posate da insalataPreparazione piatto: pulite i ravanelli ed affetta-teli sottilmente. Lavate e asciugate bene l’insa-lata, spezzatela con le mani e mettetela nell’in-salatiera. Pulite e affettate sottilmente il finocchio e il sedano, uniteli con i ravanelli all’insalata.Tagliate a pezzettini le alici, lavate ed asciugate bene sia i capperi che le olive ed aggiungete il tutto alle verdure. Distribuite sopra la mela a fettine e i gherigli di noce.Fate sciogliere il sale con l’aceto, mettetelo sull’insalata, aggiungete l’olio e il pepe, mesco-late con cura se servite.Vino da accompagnare: quello del piatto princi-pale, se, invece, l’insalata è servita come entré si può accompagnare con un vino bianco sec-co o rosato

30Gustare l’Italia

Le fragole La fragola è una pianta erbacea perenne con

foglie trifolate e piccoli fiori bianchi, apparte-

nente al genere Fragaria. Quello che noi man-

giamo è un falso frutto, poiché il vero frutto del-

la pianta sono gli acheni ossia i semini gialli che

si vedono sulla superficie della fragola.

Anche se la fragola era conosciuta ed ap-

prezzata già dai nostri progenitori romani,

sembra che la sua coltivazione in Europa si

debba ad un ufficiale francese che, agli inizi

del Settecento, tornò dal Sud America con

una specie indigena di fragola, dalla quale de-

rivano le varietà coltivate oggi.

Ci sono più di venti specie e numerosi ibridi

e cultivar di fragole. Alcune varietà di fragole,

le unifere, danno frutti gros-

si una sola volta in autunno,

altre, invece, (varietà rifio-

renti) producono frutti più

piccoli dalla primavera fino

all’autunno.

Lo sviluppo delle coltiva-

zioni industriali, specie dei

cosiddetti “fragoloni”, tutta-

via ci consentono di aver

diverse specie di fragole

durante quasi tutto l’anno.

Nel Sud Italia le cultivar

più diffuse sono Chandler,

Pajaro, Tudla Miranda; nel

settentrione troviamo Mar-

molada, Elsanta, Idea, Ce-

sena, Dana, Gea, Honeoye

e Addie; la fragolina di Ne-

mi è, infine, famosa non so-

lo nei confini del Lazio.

Le fragole forniscono po-

chissime calorie ma sono

ricche di vitamine C, A e B, acidi organici, mu-

cillagine e zuccheri (fruttosio e saccarosio) e

pertanto possono essere concesse anche alle

persone affette da diabete.

Il loro elevato contenuto di sali minerali le

rende adatte anche agli anemici e linfatici. Uni-

ca eccezione al consumo di fragole è per chi è

predisposto ad allergie od orticarie.

E’ bene conservare le fragole per pochi gior-

ni nel frigorifero, badando a non schiacciarle e

a far circolare aria intorno all’involucro.

Al momento del consumo è preferibile non

lavarle con acqua corrente ma passarle deli-

catamente con un tovagliolo pulito o lavarle

con il vino bianco.

Gustare l’Italia31

Ricett

e

“Risotto rosa”

Ingredienti per 4 persone: 350 g di riso Arborio - 40 g di burro - 1 cipolla media tritata fine - 1/2 bicchiere di vino bianco - 1 l e ½ di brodo ve-getale -1 confezione di fragole - 70 ml di panna da cucina - ½ bicchierino di kirsch - poco par-migiano grattugiato - sale e pepe bianco q.b.Attrezzatura: 1 casseruola - 1 bollitore - tritatut-to - passaverdure - cucchiaio di legno - piatto da portata.Tempo di preparazione: 15’Tempo di cottura: 20’Preparazione piatto: lavate nel vino bianco le fragole, tenetene da parte tre e tagliatele a pez-zetti, passate le altre nel passaverdure.Portate a bollore il bro-do vegetale e mantene-telo caldo. Preparate il riso mettendo il burro nella casseruola e fate-lo sciogliere.Unite la cipolla tritata, fatela tostare mesco-lando bene, aggiungete il riso e poi sfumate con il vino bianco. Incorpo-rate il brodo caldo poco alla volta.Dopo circa 10’ incorporate la purea di fragole e proseguite la cottura. Regolate di sale e pepe. Quando il riso è cotto, togliete dal fuoco, ag-giungete il kirsch, la panna ed una spolverata di parmigiano.Mantecate bene e fate riposare per un minu-to. Versate sul piatto da portata, precedente-mente riscaldato, decorare con i pezzetti di fragole rimaste e servite.Vino da accompagnare: Reggiano Lambrusco Salamino rosato (Emilia Romagna) o Assisi ro-sato (Umbria) o Contea di Sclafani rosato (Sici-lia) servito a 12°.

“Profiterol alle fragole”

Ingredienti per 6 persone: 300 g di beignets già pronti - 250 g di fragole - 4 dl di panna monta-ta - 40 g di zucchero - 1 bicchierino di liquore alle fragole - vino bianco da cucina.Attrezzatura: 2 terrine - passaverdure - una ta-sca da tela da pasticcere con la bocchetta li-scia - piatto da portata per dolci.Tempo di preparazione: 20’Tempo di riposo: 20’Preparazione piatto: pulite le fragole e lavatele col vino bianco. Versatele nella terrina, aggiun-gete il liquore e fatele riposare per 20’. Sgoc-ciolatele e tenetene da parte sei.

Passate le altre al passaverdure, unite lo zuc-chero e mescolate bene per farlo sciogliere.Prendete i beignets, fate un foro sulla sommità di ciascuno. Riempite la tasca da pasticcere con la panna montata e imbottite per ¾ i bei-gnets, deponendoli nel piatto. Unite la panna rimasta al composto di fragole. Terminate di ri-empire i beignets e versate sopra tutta la purea di fragole. Decorate con le fragole rimaste e servite in tavola.Vino da accompagnare: Asti spumante (Pie-monte) o Alto Adige Sauvignon (Trentino Alto Adige) servito a 7 o Vin Santo del Chianti clas-sico (Toscana) servito a 12°.

Le pentole di rame zincato:le Rolls Royce della cucina

32Gustare l’Italia

di R

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Mo

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tavo

la

Gli acciai inossidabili - scoperti dall’ingle-

se Brearly nel 1913 e successivamente per-

fezionati fino agli anni Sessanta

del secolo scorso grazie al ra-

pido progresso della metallur-

gia - hanno scalzato tutto il

pentolame, d’alluminio e di rame

zincato, che faceva bella mostra di

sé nelle spaziose cucine d’anteguerra, op-

portunamente agganciato all’apposito

“appendirame” (si trattava di un telaio in

legno, fornito di numerosi ganci).

Con le pentole di rame venne messo

alla porta anche il “magnano o stagni-

no”, storico artigiano ambulante che ri-

parava le pentole con pezze di rame e

speciali chiodi e le ristagnava all’interno,

tanto che farle risplendere come nuove.

Attualmente è ancora opportuno, possibile,

conveniente cucinare con le pentole di rame?

Il rame è un metallo ad alta conducibilità ter-

mica ed elettrica (superato in tal senso solo

dall’argento); insieme a tante altre qualità -

non per niente è stato usato sempre, fin dagli

albori della civiltà - è batteriostatico, in grado,

cioè, di inibire la replicazione batterica.

Gli utensili da cucina in rame sono consi-

gliati per quelle ricette che necessitano di

giuste temperature e cotture piuttosto lente; il

rame, infatti, come d’altra parte la terracotta,

distribuisce il calore in modo omogeneo e

uniforme, permettendo una cottura tranquilla,

che non stressa i cibi, proteggendone vice-

versa il potere nutrizionale e mantenendone

le peculiarità organolettiche.

Tante sono quindi le indicazioni d’uso: i

paioli per la polenta; le teglie per le pizze, le

cecine, le focacce; le tortiere per la pastic-

ceria e la preparazione di creme e cioccola-

te; i tegami per i legumi, le verdure, i sughi e

quelli per la le carne.

Ovviamente è indispensabile che l’interno

venga stagnato, perché è lo stango e non il

rame - che si ossida facilmente - a essere

adatto al rapporto con gli alimenti.

Inoltre, il rame è ottimo da portare in tavola,

per servire direttamente le pietanze.

Una pentola di rame, dunque, è preziosa,

soprattutto se il metallo è pressoché puro e lo

spessore supera i due millimetri.

le Rolls Royce della cucinaGli acciai inossidabili - scoperti dall’ingle-

se Brearly nel 1913 e successivamente per-

fezionati fino agli anni Sessanta

pentolame, d’alluminio e di rame

zincato, che faceva bella mostra di

sé nelle spaziose cucine d’anteguerra, op-

portunamente agganciato all’apposito

“appendirame” (si trattava di un telaio in

legno, fornito di numerosi ganci).

Con le pentole di rame venne messo

“magnano o stagni-

, storico artigiano ambulante che ri-

parava le pentole con pezze di rame e

speciali chiodi e le ristagnava all’interno,

tanto che farle risplendere come nuove.

Attualmente è ancora opportuno, possibile,

conveniente cucinare con le pentole di rame?

Gli acciai inossidabili - scoperti dall’ingle-

se Brearly nel 1913 e successivamente per-

pentolame, d’alluminio e di rame

zincato, che faceva bella mostra di

sé nelle spaziose cucine d’anteguerra, op-

portunamente agganciato all’apposito

“appendirame” (si trattava di un telaio in

legno, fornito di numerosi ganci).

Con le pentole di rame venne messo

“magnano o stagni-

, storico artigiano ambulante che ri-

parava le pentole con pezze di rame e

speciali chiodi e le ristagnava all’interno,

tanto che farle risplendere come nuove.

Attualmente è ancora opportuno, possibile,

conveniente cucinare con le pentole di rame?

Gustare l’Italia33

Contrariamente al passato, non sono più

tanti gli artigiani che lavorano il rame e che

sanno farlo con la necessaria maestria.

Noi di “Gustare l’Italia” abbiamo scovato

un’impresa artigiana che fabbrica pentole

ancora alla “vecchia maniera” (e giustamen-

te se ne vanta), utilizzando tecniche e cono-

scenze antiche e che ritiene che la lavora-

zione manuale debba avere sempre il

sopravvento sulle macchine, pur moderne e

precise che siano.

Si tratta di “Antichi Mestieri”, una bottega

nata dall’ambizione e dalla testardaggine del

titolare, Mauro Agostini, il quale ha scom-

messo sulla qualità e sulla certezza che an-

che in un piccolo borgo come San Quirico,

nei pressi di Pescia, si potesse avviare un la-

voro apprezzato e riconosciuto dal mercato

dei consumatori.

Certo, l’inizio non deve essere stato facile,

ma la volontà di far riemergere antiche tradi-

zioni di lavoro, la passione per la creazione

di oggetti che abbiano valore nel tempo, la

consapevolezza di offrire prodotti, sì di nic-

chia, ma costantemente certificati per uso

alimentare, hanno portato l’azienda ai vertici

del mercato.

A tali intenzioni e annotazioni di princi-

pio hanno fatto seguito fatti concreti,

diretti a perseguire quella qualità ec-

cellente, che alla bottega viene una-

nimemente riconosciuta. Innanzitutto

la competenza diffusa e specifica

nella lavorazione del rame e l’utilizzo

di una sapienza artigianale, tramanda-

ta negli anni, unita a tecnologie e mac-

chinari di ultima generazione, nel rispet-

to, comunque, del principio che il

procedimento manuale ha la preminenza

sulla lavorazione meccanica.

Poi la scelta dei materiali, del rame e dello

stagno, che vengono utilizzati pressoché

puri e con notevoli spessori, adatti a reggere

anche lo stress di un uso professionale im-

portante e continuato.

Quindi la lavorazione, frutto delle espe-

rienze acquisite, che consiste principalmen-

te nella martellatura (non estetica, ma fun-

zionale alla stabilità e alla resistenza degli

oggetti), nella stagnatura (eseguita rigorosa-

mente in maniera manuale, da valenti mae-

stri) e la “pulimentatura” (effettuata con la

vetriola, un’erba capace di lucidare alla per-

fezione vetro e metalli).

La durata di queste pentole di rame si può

dire illimitata, anche per la possibilità che “An-

tichi Mestieri” di San Quirico - Pescia offre di chia, ma costantemente certificati per uso

alimentare, hanno portato l’azienda ai vertici

A tali intenzioni e annotazioni di princi-

pio hanno fatto seguito fatti concreti,

diretti a perseguire quella qualità ec-

cellente, che alla bottega viene una-

nimemente riconosciuta. Innanzitutto

la competenza diffusa e specifica

nella lavorazione del rame e l’utilizzo

di una sapienza artigianale, tramanda-

ta negli anni, unita a tecnologie e mac-

chinari di ultima generazione, nel rispet-

to, comunque, del principio che il

procedimento manuale ha la preminenza

Poi la scelta dei materiali, del rame e dello

stagno, che vengono utilizzati pressoché

tichi Mestieri” di San Quirico - Pescia offre di alimentare, hanno portato l’azienda ai vertici

A tali intenzioni e annotazioni di princi-

pio hanno fatto seguito fatti concreti,

diretti a perseguire quella qualità ec-

di una sapienza artigianale, tramanda-

ta negli anni, unita a tecnologie e mac-

chinari di ultima generazione, nel rispet-

to, comunque, del principio che il

procedimento manuale ha la preminenza

Poi la scelta dei materiali, del rame e dello

stagno, che vengono utilizzati pressoché

34Gustare l’Italia

r istagnarne

più volte l’in-

terno, qualora ve-

nissero usate con continuità e oltre

misura.

Tortiere, teglie, padelle, paioli, tegami e

casseruole: sono questi i prodotti in catalo-

go, tutti proposti in una vasta gamma di mi-

sure, sia nei diametri, sia nelle altezze e tutti

certificati in conformità alle normative vigen-

ti come adatti per un uso alimentare.

Per informazioni: www.antichimestieri.com

“I consigli per pulire il rame”Molto spesso per pulire il rame è sufficiente una comune saponata, magari

unita a un pò d’ammoniaca.

Se tuttavia il cosiddetto “verderame” (ossido antiestetico e per di più molto tossico) è

piuttosto evidente, si può ricorrere all’acido muriatico, diluito al 20%, o al Sidol (a base

di ammoniaca), storico “puliscirame”.

I professionisti usano l’erba vetriola (Parietaria officinalis) detta anche “muraiola”, che

appartiene alla famiglia delle ortiche e, oltre ad avere proprietà diuretiche, sudorifere,

emollienti, depurative ed espettoranti - per le quali è molto usata in erboristeria e in far-

macia - viene usata per pulire l’interno di fiaschi e bottiglie (da qui il nome di erba vetrio-

la) e alcuni metalli, grazie al fatto che le sue foglie sono appiccicose.

Le nonne (che ne sapevano sempre una in più) facevano sciogliere del sale nell’aceto

e nel succo di limone e poi strofinavano abbondantemente le superfici da pulire con un

panno non abrasivo. Insistevano per

qualche tempo poiché l’ossido di ra-

me è relativamente resistente e, dove

non arrivavano con sale, limone e

aceto, utilizzavano alcool e talco op-

pure segatura.

Una volta terminato lo strofinio, era

sufficiente lavare e asciugare.

Se il colore del rame, a seguito del

trattamento, appariva opaco e spen-

to, provvedevano a lucidare con la

cenere della legna.

terno, qualora ve-

nissero usate con continuità e oltre

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go, tutti proposti in una vasta gamma di mi-

sure, sia nei diametri, sia nelle altezze e tutti

certificati in conformità alle normative vigen-

ti come adatti per un uso alimentare.

Per informazioni:

“I consigli per pulire il rame”“I consigli per pulire il rame”

terno, qualora ve-

nissero usate con continuità e oltre

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casseruole: sono questi i prodotti in catalo-

go, tutti proposti in una vasta gamma di mi-

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certificati in conformità alle normative vigen-

ti come adatti per un uso alimentare.

Per informazioni: www.antichimestieri.com

“I consigli per pulire il rame”

L’erba vetriola

In tavola

Gustare l’Italia35

In tavola

La cena dell’ariete

36Gustare l’Italia

di C

ino

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rella

A ta

vola

con

le st

elle

L’Ariete è il primo segno dello Zodiaco;

secondo l’astrologia è un segno di fuoco,

perfetto dunque per chi si occupa di gastro-

nomia; il suo metallo è il ferro, le pietre pre-

ziose sono il diamante, il rubino, l’ametista; i

suoi colori: rosso vermiglio, il colore del san-

gue e di grandi vini.

Dall’Ariete prendono vita tutti i segni dello

Zodiaco e ha perciò in embrione le caratteri-

stiche di tutti gli altri. Per questo è visto come

il segno più inafferrabile, capace di dar luogo

a personalità assai diverse, ma con un carat-

tere deciso e battagliero; come l’animale che

li rappresenta tendono spesso ad affrontare

Il segno dei Pesci è iniziato il 21 marzo e terminerà il 20 aprile. Ai nati sotto questo segno dedi-

chiamo una fantastica cena ambientata all’”Hermitage Relais & Chateaux” di Breuil - Cervinia

la vita a testa bassa. Loro caratteristiche so-

no però anche la generosità, la sensibilità, il

coraggio, la curiosità continua di nuove emo-

zioni e nuovi traguardi; Ulisse certo doveva

essere un Ariete.

Sono poeti e sognatori, a volte occupati a

costruire castelli in aria, a inseguire chimere

ma spesso, con costanza e testardaggine,

capaci anche di trasformare in realtà le loro

fantasie e i loro progetti.

Doti principali sono la simpatia e la disponi-

bilità nell’aiutare chi ha bisogno; apparente-

mente distratti sono in realtà pronti ad agire

prima che qualcun altro abbia avuto il tempo

Gustare l’Italia37

di riflettere e con grande intuito apprendono

con facilità quando altri impiegano molto

tempo a realizzare ciò che sta accadendo.

Amano l’arte in ogni sua forma, con partico-

lare predilezione per la musica e la poesia.

Leali nell’amicizia, sono incostanti in amore

perché amano l’avventura, sono curiosi e alla

continua ricerca di nuove emozioni, nuove

sollecitazioni.

A tavola però sono per la tradizione, purché

sia di grande qualità ed eleganza; raramente

ricercano nuove esperienze, nuove sensazio-

ni. Ferrian Adrià non è certo il loro chef ideale,

e neppure Davide Oldani o Alain Ducasse,

geniali ma spesso imprevedibili.

Sono pronti invece a fare una anche lunga

deviazione per recarsi al “Pescatore” di Can-

neto sull’Oglio, o a Soriso, o a Milano in via

Montecuccoli per gustare le creazioni di Na-

dia Santini, di Luisa Valazza, di Nadia Moro-

ni… oggi li porteremo da un altro chef che

certamente non li deluderà: Roberto Pession

dell’“Hermitage” di Cervinia, tra le cime inne-

vate della Valle d’Aosta.

L’“Hermita-

ge” si trova un

po’ fuori dal

centro di Cervi-

nia, ai margini di

un boschetto di larici: la leg-

genda vuole che in una grotta

tra questi alberi si sia fermato

a riposare San Teodulo, duran-

te il viaggio intrapreso per por-

tare il verbo di Cristo agli infe-

deli, seguaci di pagani riti d r u i d i c i ;

gli infedeli erano gli svizzeri – ancora ignari di

essere svizzeri – che abitavano al di là dal

colle che mette in comunicazione il Breuil con

Zermatt.

All’ingresso dell’albergo un bassorilievo del

Santo in marmo bianco saluta gli ospiti; nella

hall, dove nel camino sempre acceso scop-

pietta un allegro fuoco, ci si sente subito in

una casa amica; l’ambiente è di una calda

eleganza.

Ogni cosa ci ricorda che siamo in Valle

d’Aosta, in ogni oggetto si sente l’orgoglio di

appartenere alla “petite pa-

trie”: le bamboline, i quadri,

le sculture in legno, i tappe-

ti, i mobili, il parquet del

XVII secolo recuperato da

una vecchia baita.

Ci siamo rivolti all’amico

Corrado Neyroz che è stato

il presidente dei Relais Cha-

teaux d’Italia; egli, pur es-

sendo nato sotto il segno

del Sagittario - è di ascen-

dente Ariete e perciò ha la

giusta sensibilità per creare

con lo chef Pession e Si-

mone Grange, perfetto

sommelier, la cena ideale

per gli Ariete.

38Gustare l’Italia

Corrado ha scelto la sera del 18 aprile per-

ché sarà una notte di luna piena e dalla lumi-

nosa sala da pranzo sarà visibile in tutta la

sua magia il Cervino, la più bella montagna

del mondo.

Le sorelle Mimì e Cicci, rispettivamente zia

e mamma di Corrado, hanno addobbato la

sala con tutte le sfumature del verde e del

rosso di buon augurio e con le scultu-

re dell’artigianato valdostano.

Sulle eleganti tovaglie di lino

sono pronti gli splendidi cali-

ci di Riedl con il delizioso

Perlé Ferrari che rallegrerà la

“tartare di trotella di monta-

gna” servita come “amuse bou-

che” in attesa dell’antipasto che da-

rà il via alla cena.

Gli ospiti, tutti rigorosamente

dell’Ariete, stanno prendendo posto ai

tavoli; tra questi riconosciamo Isabella

Ferrari (nata il 31 marzo) bella e lumi-

nosa, la deliziosa Nancy Brilli (10 apri-

le), Roberta Lanfranchi (7 aprile), Si-

mona Ventura (1 aprile) la cui bellezza

non accenna a sfiorire, la prosperosa

Marisa Laurito (19 aprile), la splendida

Giuliana De Sio (2 aprile), Lilli Gruber

(19 aprile), Irene Pivetti (4 aprile) e poi

ancora: Ezio Greggio, Andrea Giorda-

na, Terence Hill, Omar Sharif, Arrigo

Sacchi, Céline Dion, Corinne Cley, Ca-

therine Spaak e l’eternamente sorri-

dente Ronaldinho…

Ecco, ci sono tutti, il Perlé è già stato

sostituito dal Gewurtztraminer dei

Nussbaumer che da Terlano, in Alto

Adige, è arrivato fin quassù per ac-

compagnare il

“Foie Gras d’oca con spinaci novelli e scalogno confit”

anche se al centro della sala c’è un carrello

di altri straordinari antipasti con il quale si po-

trebbe compiere un percorso all’interno della

gastronomia della Vallée: prosciutto di Bos-

ses, salsiccia di Saint Marcel, “mocetta” (car-

ne di camoscio affumicata) di Valsavaranche,

sua magia il Cervino, la più bella montagna

Le sorelle Mimì e Cicci, rispettivamente zia

e mamma di Corrado, hanno addobbato la

sala con tutte le sfumature del verde e del

rosso di buon augurio e con le scultu-

re dell’artigianato valdostano.

Sulle eleganti tovaglie di lino

sono pronti gli splendidi cali-

ci di Riedl con il delizioso

che rallegrerà la

“tartare di trotella di monta-

“amuse bou-

in attesa dell’antipasto che da-

gastronomia della Vallée: prosciutto di Bos-

ses, salsiccia di Saint Marcel, “mocetta” (car-

ne di camoscio affumicata) di Valsavaranche,

Gustare l’Italia39

lardo di Arnad da gustare col burro

di Brissogne e il miele di Crepin…

Arriva però adesso in tavola il

“Risotto alla valdostanabianco e verde”

un piatto solare e beneaugurante,

come tutti quelli dove è presente il

riso; vi si avverte l’amore per la

propria terra, il rispetto per le se-

colari tradizioni di una regione che

regala generosamente fantastiche

materie prime.

Il risotto è realizzato con la fontina di Marco

Perron che, su all’alpe dominata dalla grande

roccia del Bric Carrè, continua a produrla co-

me centinaia di anni fa.

I Perron sono tra gli ultimi pastori a compie-

re con rigore il rito di una tradizione secolare:

la fontina è uno dei pochi formaggi che va

fatto col latte appena munto, entro due ore al

massimo dalla mungitura, così il latte riporta i

profumi dell’erba dei prati, sa di violette, di

genziane, di nigritella e degli altri mille fiori

dell’alpe.

All’“Hermitage” si può apprezzare in tutta la

sua piacevolezza perché la fontina non è un

formaggio facile da amare; se fosse una don-

na - ed è certamente un formaggio femmina

- apparterrebbe alla categoria di quelle che

sono all’apparenza prive di lusinghe ma che

poi ti fanno innamorare perdutamente: biso-

gna conoscerle, scoprirle, conquistarle.

Quale vino per accompagnare questo piatto

straordinario?

Il giro della Vallée senza muoversi dall’“Her-

mitage” continua in cantina dove, insieme ai

vini delle altre regioni d’Italia e d’Oltralpe

scelti con attenzione e competenza da Attilio

Neyroz, ci sono “tutte” le migliori bottiglie

della Valle d’Aosta: il Torrette di Saint Pierre,

Les Cretes di Aymavilles, lo Chambave Mu-

scadet e quelle dell’Institut Agricole Regional.

San Teodulo ha compiuto una faticaccia per

andare a convertire gli infedeli di oltre Cervi-

no, ma se non l’avesse fatto non ci sarebbero

oggi i preti svizzeri e i canonici che, dopo

aver fondato l’Ospizio del Gran San Bernar-

do, sono scesi a valle, a Saint Remy en Bas-

se, per fondarvi l’Institut Agricole Regional

che oggi produce vini eccezionali: dal Rayon

de Soleil al Pinot Gris di Nus, dal Petit Rouge,

al Gamay, al Rouge du Prieur.

40Gustare l’Italia

del Cervino a deliziare i palati con la sua pia-

cevolezza.

Gli illustri ospiti non fanno in tempo a rimet-

tersi dalla sorpresa che è già pronta un altra

delizia gastronomica; sta arrivando in tavola il

“Maialino da latte con mele renette al Calvados”

Nella scelta del vino da ab-

binare, il sommelier Grange

ha dato la sua preferenza al

“Tresor du Caveau”, una

perla assoluta che accom-

pagnerà in armonia il povero

maialino sacrificato in tene-

ra età per soddisfare i pec-

cati di gola dei vip.

Ormai la cena sta volgen-

do al termine in una atmo-

sfera di allegria; non resta

che gustare l’ultima portata,

il dessert che concluderà fe-

stosamente la serata:

Per il risotto è stato scelto il “Torret-

te” che Roberto Anselmet produce

ad Aymavilles, uno dei vini storici

della valle, un rosso intenso, forte,

profumato, di straordinario vigore,

ottenuto da un uvaggio dei migliori

vitigni che nascono dalle rocce della

Vallée, compreso il delizioso Petite

Rouge.

“Qui le boit, boit de la joie”, dice

sorridendo il maitre mentre lo mesce.

È davvero una scelta perfetta, così

come perfetta è la decisione di ac-

compagnare il prossimo piatto

“Filetto di rombo croccante,crema di castagne con purea

di castagne”

con il “Cervaro”, un bianco favoloso ottenu-

to da uve Chardonnay intorno al castello dei

Conti della Sala immerso nel verde sereno

della campagna umbra.

Le nozze tra il mare e i monti celebrate nella

creazione dello chef sono benedette ed esal-

tate da questo vino fragrante e morbido, pro-

fumato e avvolgente che dai colli dell’Umbria

ha risalito la penisola per arrivare fino ai piedi

Gustare l’Italia41

“Iles flottantes con arance caramellate”

Lo ha deciso la signorina Mimì da sempre

addetta alla scelta dei dolci e chi ha già tra-

scorso qualche giorno all’“Hermitage” lo sa

molto bene; è lei infatti che sovraintende alla

colazione del mattino, un trionfo di sapori e

profumi valdostani (strepitose, sublimi le mar-

mellate), è lei che può farvi gustare le delizio-

se madeleine, quelle rese famose dalla de-

scrizione che ne fa Marcel Proust nella

“Recherche”: conchigliette di pasta così gras-

samente sensuali sotto la loro veste a piega

severa e devota.

Lo stampo delle madeleine di Mimì è antico;

glielo ha lasciato in eredità mamma Letizia in-

sieme al segreto per renderle così gustose,

all’amore per la sua terra, all’arte della perfet-

ta ospitalità.

Le “Illes Flottantes” adempiono perfetta-

mente al compito di concludere la fantastica

cena, aiutate in ciò da un Asti de Miranda, al-

legro come le perline che giocano nel bic-

chiere quando viene versato.

Il plenilunio saluta gli ospiti che stanno per

lasciare l’”Hermitage”, ma qualcuno decide

saggiamente di restare; non sarà facile ritro-

vare un’altra notte incantata come questa.

Se poi a decidere saranno in due, la notte

sarà certo teneramente appassionata; i fortu-

nati ospiti potranno scegliere tra le camere

che danno sulle emozionanti vedute del Cer-

vino e delle Grandes Murailles, in molte delle

quali un caminetto acceso rende ancora più

romantica, se possibile, l’atmosfera.

Ci sarà sul comodino una bottiglia di un

grande vino da meditazione, il “Flappy”, un

nettare dal color d’ambra che l’attento so-

mellier avrà provveduto a far trovare in un

secchiello d’argento.

Accanto a due flûte di purissimo cristallo

una frase sulla quale meditare:

“Nessun mistero al di là del presente,

nessuna ricerca per l’impossibile ,

nessun’ombra dietro la gioia.

Quest’amore fra me e te

è semplice come un canto” .

(Rabindranath Tagore)

Gustare l’Italia43

Speciale Pasqua

44Gustare l’Italia

“Pasqua tanto desiata in un giorno è pas-

sata” recita il proverbio, che sottolinea la

lunga attesa quaresimale che precede il

giorno della festività liturgica più importante

della religione cristiana.

La nota etimologia del termine, per la qua-

le la Pasqua è un “passaggio”, del Mar Ros-

so per gli Ebrei guidati da Mosè e poi dalla

vita terrena a quella celeste per il Cristo ri-

sorto, ben si addice anche a un’interpreta-

zione laica della festa.

La Pasqua è infatti anche il passaggio dai

sacrifici della Quaresima alla festa (anche

dei sapori) della tavola domenicale, ma non

solo: passaggio dalla cucina dell’inverno a

quella della primavera, con le sue primizie, e

di A

less

and

ro M

ilani

La Pasqua in Italia- perché no - anche a un periodo nel quale

si esce di più per una gita o per un pranzo

fuori casa, alla ricerca di nuovi sapori e di

nuove mete. Un detto ben più noto non reci-

ta infatti “Natale con i tuoi, Pasqua con chi

vuoi”?

Nel periodo pasquale, soprattutto in anni

come questo nei quali la domenica di festa

cade alla fine di aprile, anche il clima invo-

glia a scoprire itinerari inediti nel gusto e nel-

le tradizioni del nostro Paese.

I rituali legati alla Pasqua - che non com-

prendono soltanto la domenica della Resur-

rezione di Cristo, ma iniziano spesso già da

quella precedente, la Domenica delle Palme,

e durano a volte per tutta la Settimana San-

Gustare l’Italia45

ta - interessano l’Italia intera, da Nord a Sud e

si intrecciano a tradizioni e cerimonie locali.

Immaginando di poterci spostare lungo la

Penisola come su uno scacchiere, proviamo

a vedere quali sarebbero le “mosse” migliori

per gustare almeno alcune - impossibile rac-

contarle tutte! - delle celebrazioni tradizio-

nali legate a questa festività.

La Domenica delle PalmeIl nostro itinerario virtuale parte dalla Cala-

bria e subito rivela il legame tra sacro e pro-

fano e un’ulteriore interpretazione del signi-

ficato della Pasqua come passaggio.

Una tradizione che da qualche tempo pur-

troppo si è persa e che una volonterosa as-

sociazione locale sta cercando di ravvivare è

quella di Scalea, in provincia di Cosenza.

Qui, durante la Domenica delle Palme, si

poteva assistere a una processione di pe-

scatori che portavano sulla spiaggia, per of-

frirli a tutti i presenti, i primi pesci della nuo-

va stagione di pesca. Lo facevano legando i

pesci a grossi rami di ulivo (le “palme”).

Anche trascurando il legame tra il Cristo e

il pesce, uno dei simboli più ricorrenti

nell’iconografia cristiana, appare evi-

dente come per un paese tradizional-

mente votato all’economia di mare, il

rito segni il passaggio da un periodo di

ristrettezze a uno di festa, con il ritorno

all’attività dei pescatori e all’abbon-

danza di cibo.

Dal mare alla montagna, ma sempre

restando al Sud: un’altra processione

che merita di essere vista la domenica

precedente la Pasqua si svolge a Gan-

gi, in provincia di Palermo, nella ma-

gnifica cornice delle Madonie.

Qui le dieci confraternite del paese

organizzano quasi una sfilata di palme

decorate. Recuperate dieci grandi pal-

me sul litorale - c’è la tradizione di ac-

quistarle a Cefalù - le si intreccia e le si

decora in vari modi, sfruttando la frutta

e i fiori che ormai in questa stagione

sbocciano numerosi.

Processione pasquale a Gangi

46Gustare l’Italia

Giovedì SantoPer il giorno dell’Ultima Cena, nel quale

per i cristiani si celebra l’istituzione dell’Eu-

carestia, ci spostiamo in Umbria, in una del-

le località dove l’atmosfera di devozione e

preghiera è ben presente in tutto il corso

dell’anno, Assisi.

Qui infatti è in uso fin dal Medioevo la ce-

rimonia della Scavigliazione, che avviene

all’interno del Duomo: alla statua che rap-

presenta il Cristo crocefisso vengono tolti i

chiodi e il corpo, deposto dalla croce, viene

disposto su una sorta di lettiga, con la quale

viene successivamente condotto alla Basili-

ca di San Francesco.

Il Venerdì Santo il corpo di Cristo viene

raggiunto dalla processione notturna che

porta alla basilica anche la statua dell’Addo-

lorata, che rappresenta la Madonna che cer-

ca di recuperare il corpo del figlio.

Una volta giunte alla basilica, le due statue

vengono riportate in Duomo per i riti della

Pasqua.

Le processioni, che avvengono appunto di

notte, sono rese ancora più suggestive dal

fatto che sono illuminate dal fuoco delle tor-

ce e dai canti di laude - alcuni dei quali risa-

lenti al Trecento - dei fedeli delle confrater-

nite religiose.

In Puglia il Giovedì Santo è celebrato in

modo particolarmente sentito a Taranto, do-

ve la processione dei Perdoni apre i riti della

Settimana Santa; è infatti soltanto la prima

delle tre processioni che si svolgono in città

nei giorni che precedono la Pasqua. Il po-

meriggio del giovedì i fedeli delle confrater-

nite, a due a due, si recano in visita ai Sepol-

cri, con un ritmo lento che deve significare

fatica e penitenza.

La sera tra giovedì e venerdì avviene la

processione dell’Addolorata, mentre la sera

successiva vengono celebrati i Misteri, cioè

gli episodi principali della Passione di Cristo.

Di origine antica, le celebrazioni della Setti-

mana Santa sono ancora molto partecipate,

al punto che il privilegio di guidare la proces-

Una suggestiva immagine della statua del Cristo crocifisso utilizzato per la “Scavigliazione”

Gustare l’Italia47

sione, che spetta al Troccolante, cioè colui

che regge il troccolo di legno, viene ancora

oggi assegnato mediante un’asta.

Venerdì SantoSpostiamoci di pochi chilometri dalla Pu-

glia e per il Venerdì Santo scegliamo la Basi-

licata, in particolare il piccolo centro di Bari-

le, in provincia di Potenza.

Qui si svolge fin dal Seicento una straordi-

naria Via Crucis, che da un lato conferma la

forte devozione e partecipazione del popolo

lucano, e dall’altra rivela un’ennesima com-

presenza di sacro e profano nelle celebra-

zioni pasquali.

Avviene infatti in questo borgo una della

più spettacolari processioni della Passione

del Cristo, con un corteo che si snoda per

oltre 5 chilometri e nel quale a fianco dei

personaggi delle vicende evangeliche ne

compaiono altri legati alle tradizioni del terri-

torio, tra i quali il Moro e la Zingara (alla qua-

le per questo giorno vengono affidati i moni-

li d’oro di tutte le donne del paese).

Altrettanto spettacolare è la Processione

del Cristo morto che si tiene sull’isola di

Procida, nello splendido Golfo di Napoli.

Nota anche come processione dei Misteri,

è di antichissima tradizione e nasce dalla

presenza sul territorio di numerose confra-

ternite e dalla religiosità degli abitanti, che

preparano i riti della Settimana Santa prati-

camente per tutto l’anno.

Similmente a quanto av-

viene nei centri dalla forte

tradizione carnevalesca, an-

che a Procida spesso le per-

sone lavorano per mesi per

realizzare ogni volta sculture

di mirabile fattura e una pro-

cessione all’altezza.

L’organizzazione spetta al-

la Confraternita dei Turchini,

così chiamati per il loro man-

La processione dei “Misteri” di Taranto

La storica “via Crucis” di Barile

48Gustare l’Italia

tello azzurro portato sopra la veste bianca. Il

rituale inizia alle sette del mattino partendo

dall’Abbazia di San Michele Arcangelo.

La processione viene aperta da uno squil-

lo di tromba seguito da tre colpi di tamburo,

secondo un ritmo che accompagnerà tutta

la durata dell’evento.

Sfilano quindi i Misteri (rappresentazioni in

cartapesta o legno di personaggi ed episodi

della Bibbia), i Misteri fissi (che raffigurano i

momenti salienti della Via Crucis), quindi i

bambini del paese vestiti a lutto, chiamati gli

“angeli tristi”, le statue della Madonna e del

Cristo morto. La processione termina in

piazza Marina Grande.

Domenica di PasquaNel giorno che la liturgia vuole di

silenzio per Gesù Cristo non ancora

risorto, il sabato, le celebrazioni si

fanno meno diffuse e anche meno

spettacolari.

La domenica la festa può quindi

esplodere in celebrazioni molto fe-

stose. Il verbo esplodere non è qui

usato a caso, ma fa riferimento a

quanto accade a Firenze.

Se siete in cerca di un’occasione

per visitare il capoluogo toscano e

le sue splendide ricchezze artisti-

che, il giorno di Pasqua potrebbe

essere l’ideale, e vi imbattereste

anche in una celebrazione unica nel

suo genere, lo scoppio del carro,

legata a una tradizione storico-leg-

gendaria che risale nientedimeno

che alle Crociate.

Si narra infatti che Goffredo di

Buglione premiò con tre pietre del

Sacro Sepolcro il crociato che per

primo salì sulle mura di Gerusalemme, nel

1097: il fiorentino Pazzino, della nobile fami-

glia dei Pazzi. Rientrato in città nacque

l’usanza, il sabato che precede la Pasqua, di

distribuire a tutti i fiorentini il fuoco santo,

creato dallo sfregamento proprio delle tre

pietre del Sepolcro che fu di Gesù.

Passata quasi indenne attraverso le vicis-

situdini della famiglia dei Pazzi, la cerimonia

si svolge oggi nella mattinata di domenica e

consiste nella distribuzione del fuoco santo

in modo molto particolare: un carro, carico

di fuochi d’artificio, chiamato dai fiorentini

“Brindellone”, viene trainato da buoi e posto

davanti al Duomo.

Lo “scoppio del carro” di Firenze

Gustare l’Italia49

Un filo di ferro lo collega all’altare maggio-

re; quando l’arcivescovo inizia a intonare il

Gloria viene lanciata la colombina, un picco-

lo razzo dalle sembianze di una colomba,

che corre sul filo fino a raggiungere i fuochi

sul carro, i quali iniziano ad accendersi ed

esplodere, avvolgendo la piazza e i fedeli in

una nube di fumo e scintille festose.

Altrettanto spettacolare è quanto si ha oc-

casione di vedere a Sulmona, in provincia

de L’Aquila, con la cosiddetta processione

della Madonna che scappa.

Una statua della Vergine viene portata a

braccia dalla Chiesa di Santa Maria della

Tomba verso la piazza del Mercato, dove la

attende quella del Cristo risorto.

Inizialmente la Madonna procede lenta-

mente e veste il lutto, ma non appena si ac-

corge del Figlio risorto inizia a correre e gli

va incontro in tutta fretta; nella corsa perde

per strada il velo nero e il fazzoletto e al loro

posto appaiono il vestito verde simbolo di

festa e una rosa rossa, mentre vengono lan-

ciate in volo alcune colombe.

Iniziano quindi a suonare

le campane per tutta la città

invitando alla gioia.

Se avete scelto di trascor-

re la Pasqua al mare della

Sardegna, potete ritrovare

cerimonie simili, nelle quali

la Madonna incontra il figlio

risorto, anche in molti centri

dell’isola: tra le cerimonie

più famose ci sono quelle di

Oliena e Orgosolo, entram-

be in provincia di Nuoro,

con straordinari cortei in co-

stume, e Sassari.

Nell’altra isola maggiore, la Sicilia, l’arche-

tipo dell’incontro tra la Madonna e il Cristo

risorto si unisce al tema della lotta tra Bene

e Male in rappresentazioni quasi teatrali.

Le più rinomate sono quelle che si svolgo-

no a Adrano, in provincia di Catania e a

Prizzi, vicino a Palermo.

La processione della “Madonna che scappa”

Una processione sarda de “S’Incontru”

50Gustare l’Italia

Nel primo le celebrazioni della Setti-

mana Santa hanno il loro culmine nel-

la Diavolata, o, come la chiamano i si-

ciliani, Li Diavulazzi di Pasqua: alcuni

uomini vestiti da diavoli, per l’esattez-

za Belzebù, Astarot e Lucifero, insie-

me alla Morte cercano di convincere

l’Umanità, interpretata da una bambi-

na, a unirsi a loro, perché Cristo è

morto; contro di essi combatte l’Ar-

cangelo Michele, che alla fine ha la meglio su

Lucifero.

Secondo un copione che prende spunto

dal poema “La resurrezione”, scritto a fine

Settecento dal poeta locale Don Laudani, se-

gue poi l’Angelicata, che celebra l’incontro

tra la Madonna e il figlio risorto.

Sono gli stessi i protagonisti dell’“Abballu

de li Diavuli” che si tiene nel pomeriggio della

domenica di Pasqua a Prizzi: gruppi di perso-

ne vestite da diavoli rossi, accompagnati dal-

la Morte vestita di giallo, percorrono le strade

del paese, durante la processione delle sta-

tue della Vergine e del Cristo risorto, cercan-

do di spaventare e catturare più persone pos-

sibili e condurle all’Inferno.

Il luogo di tormento è in realtà un’osteria

dove i “dannati” bevono e offrono da bere e

non possono uscire se non quando, al termi-

ne della processione, intercede per loro diret-

tamente la Madonna, la quale invierà alcuni

angeli a liberarli.

Anche al Nord le celebrazioni del giorno di

festa attingono da tradizioni antichissime e

da riti di passaggio di origine contadina. So-

no ancora sentiti laddove l’economia rurale

Un momento della rappresentazione dell’“Abballu de li Diavuli” di Prizzi

“Li Diavulazzi” di Adrano

Gustare l’Italia51

è tuttora forte o scomparsa da meno tempo.

È il caso di Bormio, la perla della Valtellina,

nei monti della Lombardia.

Qui si svolgono i “Pasquali”: un tempo le-

gati alla benedizione di cinque agnellini, uno

per ogni rione del paese, rappresentavano la

richiesta di benedizione da parte degli agri-

coltori e dei pastori per una buona annata.

Oggi gli agnellini, vivi e agghindati a festa,

ci sono ancora, ma essendosi persa la tradi-

zione contadina, ciò che porta avanti il rito è

la sfilata dei grandi carri allegorici a tema

pasquale o comunque religioso allestiti ogni

volta in modo diverso dagli abitanti dei rioni,

che alla loro realizzazione iniziano a lavorare

già in pieno inverno.

I carri vengono condotti per le

vie di Bormio dai paesani vestiti da

pastori; una volti giunti nella piazza

principale vengono benedetti e si

premia il migliore.

Lunedì dell’AngeloAncor più che nel giorno di Pa-

squa, usanza vuole che sia il gior-

no successivo, Pasquetta, quello

deputato alla classica gita fuo-

ri porta. Il nome è legato all’ap-

parizione dell’Angelo che an-

nuncia alle donne giunte al

sepolcro che Cristo è risorto.

Alcuni fanno però risalire

l’usanza della scampagnata a

un altro episodio biblico: dopo

la resurrezione, Gesù apparve

infatti a due apostoli in cammi-

no verso Emmaus, fuori le mu-

ra di Gerusalemme.

Ciò viene letto come un invito a uscire dalla

città, magari per un pranzo in compagnia.

Non mancano però altre celebrazioni reli-

giose. Una che in particolare ricorda ancora

una volta la commistione tra cerimonie reli-

giose cristiane e preesistenti riti pagani di

passaggio si svolge a Calimera, in provincia

di Lecce.

All’interno della chiesetta di San Vito, ap-

pena fuori dal borgo, c’è un masso calcareo

con un foro al centro: il rituale prevede che

le persone debbano passarvi all’interno con

tutto il corpo per ottenere prosperità per

l’anno che viene.

I “Pasquali” di Bormio

Il masso calcareo di Calimera

52Gustare l’Italia

Se la Quaresima è stata un periodo di sa-

crifici alimentari, è normale che la maggior

parte dei piatti tipicamente pasquali sia rap-

presentata da dolci.

Ognuno con le sue caratteristiche legate al-

la tradizione locale. In tutta Italia sono ormai

diffusi dolci di fattura industriale come la co-

lomba e il dolce a forma di agnello, ma la Pe-

nisola vanta una straordinaria varietà di dolci

di Pasqua.

Come per le celebrazioni più spettacolari,

anche per i dolci che festeggiano la Pasqua

sulla tavola, il Sud vanta maggiore ricchezza,

ma anche nelle regioni settentrionali esistono

piatti tipici legati alla Settimana Santa.

Sono due i dolci più noti a livello nazionale

che nascono dalla tradizione pasquale e so-

no tipici di due regioni dove - come abbiamo

visto - le feste sono davvero ricche e sentite,

la Campania e la Sicilia. Il primo è infatti la

pastiera napoletana.

Si pensa che la sua origine sia addirittura

più antica di quella della Pasqua stessa, e

che la pastiera fosse preparata in occasione

di alcuni riti pagani legati all’arrivo della pri-

mavera (ancora una volta il “passaggio”) e

sia passata poi nella cultura cristiana a glo-

rificare sulla tavola la festività pasquale. I

suoi ingredienti principali sono la ricotta, le

uova, le spezie (soprattutto la cannella), i

La Pasqua a tavola

di A

less

and

ro M

ilani

Gustare l’Italia53

canditi e il grano bollito, ma il suo nome ri-

corda che un tempo al posto del grano veni-

va utilizzata (e in alcune zone ancora oggi si

usa) la pasta cotta.

Chi contende alla pastiera la palma del più

famoso dolce di origine pasquale è la cas-

sata siciliana.

Oggi viene prodotta ed è godibile per tutto

l’anno, ma un tempo mangiarla rappresenta-

va un vero e proprio rito, con il quale si supe-

rava il periodo quaresimale, fatto di dura asti-

nenza e digiuno.

Il dolce, diffuso in tutta la regione, è origi-

nario di Palermo e in qualche modo condivi-

de con il capoluogo siculo alcune caratteristi-

che ed eredità culturali: il termine cassata

deriva infatti dall’arabo quas’at, dal nome

della grande ciotola dove veniva preparata, e

riporta al periodo della dominazione sarace-

na; le decorazioni del dolce sono tipicamente

barocche, come molte delle straordinarie bel-

lezze architettoniche palermitane, mentre tra

gli ingredienti non mancano i prodotti tipici

della regione, tra i quali l’arancia candita, la

ricotta e la pasta di mandorle.

Meno noti nel resto del Paese ma sicura-

mente conosciuti e apprezzati nelle loro re-

gioni sono altri dolci tipicamente pasquali.

Sempre restando in Sicilia, ora che la cassata

non viene più preparata soltanto per la Pa-

squa, il dolce che si lega maggiormente a

questa festività è la coddura (o cuddhura),

una grande torta tonda che prevede al suo in-

terno la presenza di uova con il guscio (sem-

pre in numero dispari).

È tradizione che siano le giovani donne a

prepararla e a donarla, il giorno di Pasqua, ai

propri fidanzati.

La pastiera napoletana La cassata siciliana

La “cuddhura” siciliana

54Gustare l’Italia

Ritornando sulla Penisola, un altro dolce

di antica tradizione lo si trova in Calabria:

sono le nepicelle, la ricetta delle quali è di

origine araba, come dimostrano anche gli

ingredienti: fichi, spezie, noci, mandorle,

cioccolato e scorza di agrumi.

E il tour gastronomico lungo le dolci ricet-

te pasquali potrebbe proseguire a lungo,

passando dalle scarcelle pugliesi alla pizza

dolce e alla pigna dolce laziali, alla casadi-

na sarda, alla schiacciata toscana e arrivare

all’estremo lembo nordorientale dell’Italia,

nelle province di Gorizia e Trieste, dove la

Pasqua viene festeggiata anche preparando

(e mangiando) la pinza, dolce semplice (a

vedersi più che a prepararsi!) di antica origi-

ne contadina.

L’uovo di PasquaCi siamo soffermati sui dolci, peraltro trala-

sciando quelli che ormai vantano anche una

produzione industriale (come la colomba) e

tante altre ricette locali spesso con una radi-

cata tradizione sul territorio, ma sulla tavola

di Pasqua non mancano i piatti salati, anzi.

Tra le carni la fanno ovviamente da padrone

il capretto e l’agnello, che riportano immedia-

tamente alla Bibbia, con gli agnelli offerti in

sacrificio dagli Ebrei, e poi con la figura di

Cristo, cioè l’“agnello di Dio”.

Capretto e agnello, animali ancora una

volta legati alla cultura contadina e pastora-

le, ma dalle carni non semplici da cucinare e

dai sapori forti, decisi, che spesso contra-

stano con l’appiattimento del gusto al quale

ci hanno purtroppo abituato certi prodotti

alimentari. Ma il vero protagonista di tutta la

cucina di Pasqua, da Nord a Sud della Peni-

sola, è senza dubbio l’uovo.

Le “nepicelle” calabresiLa “schiacciata” toscanaLa “schiacciata” toscana

Gustare l’Italia55

L’uovo è da sempre simbolo della nascita,

e ancora di più di ritorno alla vita. Nei riti

precristiani di molte civiltà antiche l’uovo

rappresentava proprio la sacralità della vita

e la fertilità.

Già nell’Antico Egitto era in uso scambiar-

si uova decorate il giorno dell’equinozio di

primavera. Anche Greci, Romani e Persiani

prevedevano rituali con le uova.

Normale immaginare che quando nell’area

del Mediterraneo si diffuse il Cristianesimo

la trasposizione di questa simbologia nella

figura di Cristo, che risor-

ge, torna alla vita, abbia

fatto dell’uovo un ele-

mento - e alimento - le-

gato alla Pasqua.

Oggi che la festività pa-

squale viene annunciata

prima dai grandi ipermer-

cati che dai pulpiti delle

chiese o dall’arrivo della

primavera, appare evidente

come la tradizione dell’uo-

vo abbia anche risvolti ma-

teriali e commerciali, con le

uova di cioccolato.

Diffuse in molti Paesi d’Europa solo negli

ultimi decenni, si ricollegano però a una tra-

dizione antichissima di regalare o scambiar-

si uova, non di cioccolato ma dipinte o de-

corate, dapprima come si è detto per le

feste di primavera e poi per la Pasqua.

Una testimonianza certa di questo costu-

me risale addirittura al XIII secolo, quando

Edoardo I d’Inghilterra fece annotare tra le

sue spese la preparazione di 450 uova d’oro

decorate da regalare per Pasqua.

Oggi le uova di cioccolato prevedono la

sorpresa, che riporta alla concezione dell’uo-

vo come simbolo del sacro ma anche del

mistero. Anche se spesso la “rivelazione”

La torta pasqualina

degli ovetti regalati ai bambini lascia alquan-

to a desiderare…

Ma non è certo soltanto nella sua variante

dolce che l’uovo diventa l’indiscusso re del-

la tavola pasquale. Le principali ricette della

festa lo prevedono infatti come ingrediente

principale.

La più nota è sicuramente la torta pa-

squalina. Piatto di origine genovese, è ormai

diffuso in tutta Italia e preparato tutto l’anno,

ma il nome stesso ne rivela la vocazione a

celebrare la festa pasquale.

Presente già nella cucina ligure del XV se-

colo, è una torta salata ideale per le gite

fuori porta, in quanto può essere mangiata

anche fredda

A base di uova, ricotta e bietole (ma esi-

stono varianti regionali che utilizzano car-

ciofi e spinaci), vuole la tradizione che deb-

ba contenere 33 strati di sfoglia, tanti

quanti gli anni di vita terrena di Cristo.

Forse ancora più corposa è la torta salata

pasquale che si cucina in Campania, il casa-

tiello. Qui le uova vengono addirittura poste

sulla sua superficie, quasi a rappresentare

un cesto che serve a trasportarle

56Gustare l’Italia

Il cesto in questione è in realtà un impasto

che incorpora anche formaggi, salumi e strut-

to, fattori che ne fanno un piatto unico perfet-

to per la merenda all’aperto di Pasquetta.

Sorte simile tocca alla sguta, il bastone di

pane calabrese nel quale le uova a crudo

vengono cotte insieme all’impasto del pane.

Dolce ma più spesso salata, è uno dei simbo-

li della cucina di Pasqua in buona parte della

regione.

Un’altra torta salata dal sapore tutto pa-

squale è la crescia marchigiana, preparata

con il parmigiano, il pecorino e soprattutto le

uova sode benedette del giorno di Pasqua.

A differenza della torta pasqualina, che da

sola potrebbe fare pasto - o merenda a un

pic nic - la crescia si sposa alla perfezione

con i tanti salumi tipici delle Marche e all’ab-

binamento con un bianco importante come

il Verdicchio.

Se avete deciso di trascorrere le vacanze di

Pasqua nelle Marche, il consiglio è quello di

passare per Urbania, nella provincia di Pesa-

ro e Urbino.

Scoprirete che, duran-

te le feste pasquali, in

Italia con le uova non

solo si cucina ma è an-

che possibile giocare.

A Urbania si svolge in-

fatti una vera e propria

battaglia a suon di uova.

Attenzione, non vengo-

no lanciate; il gioco del

“Punta e Cul” consiste

Il “casatiello” napoletano

La “sguta” calabrese

La “crescia” marchigiana

Gustare l’Italia57

nel colpire, prima con la testa (punta) e poi

con il fondo (cul) del proprio uovo quello de-

gli avversari, cercando di uscirne indenni e

riportarlo a casa intatto.

Una manifestazione dalla dinamica simile,

il “Ponta e Cül” si svolge anche a Fiorenzuo-

la d’Arda, in provincia di Piacenza, sempre

nel giorno di Pasqua. Attività tutte legate al-

le uova rendono meta visitata anche il borgo

appenninico di Tredozio, in provincia di For-

lì. Qui ha luogo un vero e proprio Palio

dell’uovo, con gare di abilità e giochi nel

contesto di una sagra che consacra l’uovo

come il vero protagonista della Pasqua.

Scontri con le uova per colpire quelle degli

avversari hanno luogo anche in Alto Adige,

ma restando nelle regioni del Nord Italia, la

palma del gioco più originale fatto con le uo-

va non può non essere assegnata al “Truc”.

A Cividale del Friuli, e qui soltanto, il gior-

no di Pasqua, fin dal Settecento si pratica

infatti questo gioco che non ha eguali: viene

allestito un rialzo di sabbia ovale, quasi un

circuito, con un punto di partenza posto più

in alto e il resto digradante, dove è posizio-

nata una tegola (cop).

I concorrenti, muniti di uova sode colorate

(rigorosamente di gallina), devono far scen-

dere le proprie (con l’obbligo di toccare il

cop e senza dare loro una spinta) al fine di

toccare quelle altrui eliminandole dalla gara.

Chi viene toccato deve pagare pegno per ri-

scattare il proprio uovo e tornare in gioco.

Un tempo pratica assai diffusa nelle aie e

nei cortili cividalesi, da qualche anno è stata

ravvivata grazie ad alcune associazioni loca-

li e oggi il giorno di Pasqua non è raro vede-

re giovani e anziani che si ci-

mentano nel “Truc”.

Attorno al gioco, adesso co-

me un tempo, sono sorte ma-

nifestazioni anche artistiche, e

il solo fatto di trovare metodi

naturali per colorare le uova

ha portato a creazioni di pre-

gevole fattura… e anche nuo-

ve ricette; facendo cuocere le

uova in un panno con le erbe o

Un momento del gioco del “Punta e Cul”

Una fase di gioco del “Truc”

58Gustare l’Italia

gli altri ingredienti necessari per tingere il gu-

scio delle uova per il “Truc”, si è infatti trova-

to anche il modo per insaporirle in modo tal-

volta insolito.

Per una pratica che ritorna in auge, un’altra

che non ha mai avuto grossa fortuna in Italia,

e che in questo caso non ha nulla a che ve-

dere con le uova. Si tratta del cosiddetto

“presepe di Pasqua”.

Non sappiamo ancora quali siano stati i

motivi che spinsero la Controriforma della

Chiesa cattolica verso un’affermazione netta

della rappresentazione della Natività rispetto

a quella di altri episodi neotestamentari.

Di certo c’è il fatto che già nel Quattrocento,

a Napoli - e in quale altro posto altrimenti? -

era viva una tradizione presepiale legata agli

eventi pasquali.

Cultura che oggi è quasi completamente

scomparsa ma che fino all’inizio del Novecen-

to vantava appassionati e figurinari.

In effetti, pensandoci bene, oltre a una mag-

giore importanza liturgica, quanto narrato dai

Vangeli della vita di Gesù nei suoi ultimi giorni

si presta a raffigurazioni ancora più varie e

spettacolari rispetto all’evento natale.

Basti considerare che questi presepi di Pa-

squa, chiamati anche “Sepolcri a personag-

gi”, comprendevano la Via Crucis, l’Ultima

Cena, Gesù che prega nell’orto del Getsema-

ni e poi centurioni romani, Barabba e Pilato…

tutti episodi che hanno avuto un’enorme va-

lorizzazione nella storia dell’arte.

Ovviamente gli artigiani facevano a gara

per abbellire con le proprie opere le chiese

più importanti del capoluogo campano, ma

non mancava una produzione destinata alla

rappresentazione domestica della Passione,

proprio come accadeva - e accade tuttora -

per quella della Natività.

E chissà cosa avrebbe fatto la creatività

partenopea negli ultimi anni, avendo la pos-

sibilità di inserire i personaggi dell’attualità

non come semplici spettatori della nascita di

Gesù, ma magari come suoi aguzzini sul

Calvario…

L’apparizione di Gesù Risorto a Tommaso nel presepe di Pasqua di Fossò

La colomba pasquale

60Gustare l’Italia

di A

lan

Mie

li

Una cosa è sicura: la colomba è un dol-

ce lombardo. Nessuno ha la certezza circa la

sua origine, sulla quale sono sorte numerose

leggende, ma in tutte le varianti si torna sem-

pre in terra di Lombardia, al massimo con un

pizzico di Irlanda.

Che un pane a forma di colomba - o di un

volatile simile - fosse in uso presso i Romani,

e ancora prima mangiato da Greci ed Egizi,

non è messo in discussione, ma il collega-

mento del dolce che noi conosciamo alla Pa-

squa pare sia faccenda medievale.

Una prima leggenda lo fa nascere a Pavia,

in età longobarda, nel 572.

Pare infatti che alla vigilia di Pasqua, il re

Alboino, conquistata faticosamente la città

dopo tre anni di assedio, fosse deciso a ra-

derla al suolo passando per le armi tutti gli

abitanti; il suo cavallo, imbizzarritosi, si sa-

rebbe però rifiutato di entrare nella cerchia

delle mura fino a quando un anziano pastic-

ciere donò (o fece donare a 12 giovani fan-

ciulle) al sovrano 12 dolci a forma di colomba

in segno di sottomissione dei pavesi.

Solo a quel punto l’animale tornò tranquillo

e Alboino, colpito da quello che gli sembrò un

segno divino, decise di risparmiare la città e i

suoi abitanti.

Un’altra storia - sempre pavese, sempre in

età longobarda - ci racconta della visita del

monaco irlandese Colombano alla regina Teo-

dolinda, a pochi giorni dalla Pasqua; la sovra-

na, volendo rendergli onore, fece preparare

piatti a base di carne, che il monaco rifiutò per

Gustare l’Italia61

osservare la penitenza quare-

simale. Visto però che Teodo-

linda si era offesa, San Colom-

bano chiese di poter benedire

le carni, che si trasformarono

in dolci a forma di colomba.

C’è invece chi fa nascere la

colomba pasquale qualche

secolo più avanti, nel XII: se-

condo questa leggenda, du-

rante la battaglia di Legnano

tre colombe si posarono sui

vessilli delle truppe lombarde

che combattevano il Barba-

rossa. Viste come portatrici di

buoni auspici, furono loro de-

dicati dolci che ne riprendeva-

no la forma.

Molto più prosaicamente, la

colomba come la apprezzia-

mo oggi è nata nei primi de-

cenni del Novecento quando

alla Motta, la nota industria dolciaria - ancora

una volta lombarda, per la precisione milane-

se - si pensò a come utilizzare anche per fe-

steggiare la Pasqua i costosi macchinari usa-

ti per il panettone.

E, ottimizzando ancor di più le risorse, la di-

rezione suggerì ai maestri pasticcieri di utiliz-

zare anche una pasta simile a quella usata

per preparare il dolce meneghino. Nacque

così la colomba Motta, rimasta per molti anni

la più nota e apprezzata in Italia, anche grazie

a vincenti campagne pubblicitarie.

Anche dopo il successo del prodotto indu-

striale, la colomba continua a essere prepa-

rata in modi diversi, da centinaia di artigiani in

tutta Italia, non soltanto in Lombardia.

Così quello che in tutto il mondo è un sim-

bolo di pace, nel nostro Paese continua a es-

sere anche il dolce tipico della principale fe-

sta cattolica di primavera.

Il dolce centro di Milano

62Gustare l’Italia

di A

less

and

ro M

ilani

Se si attraversa piazza San Babila alle pri-

me luci della mattina Milano sembra quasi

irreale, silenziosa, vuota; le poche persone

che si incontrano per strada si conoscono e

si salutano.

Sotto i portici di via Borgogna, pochi metri

dopo la Casa della Cultura si può assistere

anchea quello che in città è ormai un mezzo

miracolo: sentire il profumo delle brioches

appena sfornate.

Se si segue questo miraggio olfattivo si ar-

riva in un posto dove la meraviglia non si fer-

ma certo a cornetti e croissant. Siamo infat-

ti alla Pasticceria Bastianello, attiva, come

ricorda il suo stesso marchio, dal 1950.

Verso le 8 è già un via vai continuo di

clienti, la maggior parte dei quali habitué, e

si capisce che, anche senza bisogno di es-

sere sedotti dal profumo mattutino, in molti

l’hanno eletto a locale d’eccellenza.

Qui incontriamo il direttore, Marco Serra, e

proviamo a chiedergli la ricetta di questo

successo.

Un segreto vero e proprio non c’è, ma ci sono

due fattori fondamentali, che ritengo siano validi

per qualsiasi professione: il primo è sicuramen-

te lo spirito di squadra che esiste nella nostra

pasticceria (che dà lavoro a quasi 40 persone,

ndr), l’altro è l’amore per il nostro lavoro, per ciò

che facciamo.

Gustare l’Italia63

E poi ci sono le motivazioni legate alle scelte

di Bastianello. Anzitutto il fatto di puntare sulla

qualità. Non è una frase banale: qui davvero

ogni singolo ingrediente viene scelto accurata-

mente, perché solo la somma di prodotti d’ec-

cellenza permette un certo tipo di risultati.

Niente nasce dal caso, dal cacao al latte, dal

burro alle nocciole, dai canditi alla miscela di

caffè, per arrivare all’acqua e allo spumante,

che abbiamo deciso di “marchiare” con il no-

stro nome.

E poi presumo ci sia un grande pasticciere…

Esatto, noi siamo un team affiatatissimo che

lavora attorno a un grande artista, la vera e

propria mente creativa del gruppo, che è Nico-

la Gervasio. Quanto si diceva prima sull’amore

per ciò che si fa trova in lui la massima espres-

64Gustare l’Italia

sione. Gervasio ha sempre idee nuove, sta

sempre creando; quasi sta male se non lo fa.

In lui professionalità e fantasia vanno di pari

passo. Anche quando prende spunto da dolci

tradizionali, li reinterpreta a modo suo, non

sono mai una “copiatura”.

Da voi viene tutto prodotto artigianalmen-

te, giusto?

Tutto quanto viene prodotto da noi è artigia-

nale, ed è per questo, e per l’utilizzo di mate-

rie di primissima scelta, che il rapporto quali-

tà/prezzo è così alto.

Dietro ogni prodotto e ogni singolo gesto ci

sono professionalità e lavoro, e questo ha un

suo prezzo, ma ciò che si offre è sicuramente

di altissimo livello.

Una colomba artigianale e una industriale

hanno un profumo e un sapore completa-

mente differenti, quasi non sono più lo stes-

so prodotto.

Crede che la gente apprezzi la vostra scel-

ta di puntare sulla qualità?

Io credo proprio di sì. Un tempo

le persone forse non capivano la

filosofia di Bastianello di creare

sempre prodotti nuovi e di optare

per una maggiore qualità a fronte

di un prezzo superiore.

Oggi invece la nostra clientela è

disposta a spendere di più ma ri-

cevere in cambio un prodotto di

qualità assoluta. La gente è atten-

ta a ciò che mangia, sa ricono-

scere ciò che è buono e ciò che

lo è di meno. E poi il lavoro arti-

gianale offre anche al cliente delle

possibilità in più.

Per esempio?

Per esempio adesso, per Pa-

squa, le uova di cioccolato, che sono tutte

prodotte nel nostro laboratorio, possono es-

sere personalizzate completamente, dalla

decorazione di glassa al tessuto con il quale

possono essere rivestite, fino alle dimensioni

e alla sorpresa da inserire all’interno.

È capitato che qualcuno dei nostri clienti ci

abbia chiesto di mettere dentro le uova alcu-

ni gioielli…

A proposito della Pasqua: noi di “Gustare

l’Italia” le abbiamo dedicato ampio spazio in

questo numero, compresa la copertina (con

l’uovo realizzato proprio dalla pasticceria

Bastianello). È una festa ancora sentita?

Meno se la si confronta al Natale, ma co-

munque è ancora molto sentita. Forse cam-

biano i tempi dell’attesa della festa.

Mentre il periodo natalizio inizia molto pre-

sto e dura per un mese e anche più, sembra

quasi che a Pasqua tutti si ricordino della fe-

sta all’ultimo momento, e si lavora molto so-

prattutto negli ultimi giorni.

È un peccato, soprattutto per i clienti che

Gustare l’Italia65

non possiamo soddisfare, perché non è det-

to che un dolce appena sfornato sia nella

condizione ottimale per essere consumato Il

giorno stesso.

Ogni tipo di prodotto ha bisogno dei suoi

tempi, ma la gente oggi spesso va di fretta.

Noi cerchiamo intanto di portarci avanti, alle-

stendo prima i locali.

Anzitutto con creazioni originali, che cam-

biano di anno in anno, dedicate principal-

mente ai bambini, dalle uova ai cestini con gli

ovetti e i pulcini alle riproduzioni dei perso-

naggi dei cartoni animati di cioccolato.

La Pasqua è infatti ancora una festa sentita

dai bambini, e anche da chi, come me e il pa-

sticciere Gervasio, si ricorda ancora dei gio-

chi pasquali di quando si era piccoli.

Anche gli adulti possono però trovare da

noi uova per tutti i gusti, anche confezionate

cone tessuti pregiati, pronte per diventare re-

gali di alta classe

A fianco della pasticceria avete ormai cre-

ato anche tutta un’altra serie di servizi per il

pubblico…

Da quando siamo in via Borgogna, cioè da

una decina d’anni, abbiamo allargato la no-

stra offerta, che oggi è rappresentata da un

bar, un servizio di catering, aperitivi e ricevi-

menti per feste di laurea.

Stiamo anche pensando di esportare il no-

stro marchio in altri Paesi europei, ma il cuo-

re di Bastianello è e sarà sempre la pasticce-

ria. Tutto ruota attorno a essa, e anche per

noi nulla è confrontabile al piacere di arrivare

qui la mattina presto e fare colazione con un

caffè e una brioche appena sfornata, guar-

dando Milano che si sveglia.

Beh, questo ci rallegra…se anche chi ci la-

vora non riesce a resistere al profumo del

forno mattutino, come potremmo restare in-

differenti noi?

“Panem Nostrumcotidianum da nobis hodie”

66Gustare l’Italia

Per millenni il pane è stato il fondamento

dell’alimentazione umana. È sinonimo di cibo

e a esso si accompagna qualsiasi altra pie-

tanza (non a caso, in questo senso, si usa la

parola companatico, cumpanaticum).

Il pane, più di qualsiasi altro alimento, sazia

la fame, dà energia e si pone, anche in senso

simbolico, come ricompensa del duro lavoro

umano (“d’ora in avanti lavorerai col sudore

della fronte”).

Per i cristiani (cattolici e ortodossi, non per i

protestanti) è il simbolo dell’eucarestia, il sa-

cramento istituito direttamente da Cristo nel

corso dell’Ultima Cena, nel momento in cui lo

distribuì ai suoi discepoli. Ma anche nell’Anti-

co Testamento il pane era ritenuto un dono di

di R

affa

ele

Mo

ntag

na

Dio; infatti Dio stesso parla di sé proprio at-

traverso il pane: al popolo ebraico che marcia

nel deserto dona la manna come testimo-

nianza della sua considerazione.

Nella Bibbia sta scritto che “non di solo pa-

ne vive l’uomo, ma di ogni parola che esce

dalla bocca di Dio”, per dire che proprio co-

me il pane (ma più di esso) Dio è indispensa-

bile alla vita. Gesù Cristo, attraverso il “Padre

Nostro” (la più bella e significativa preghiera

cristiana), ci insegna a domandare il “pane

quotidiano”, quello indispensabile alla vita.

Anzi, Cristo stesso è pane (“prendete e

mangiatene tutti, questo è il mio corpo,...”) e

attraverso questo pane è possibile superare

anche la morte e vivere in amicizia con Dio e

Gustare l’Italia67

nella sua grazia (“chi mangia questo pane vi-

vrà per sempre”).

Già dalla preistoria il pane veniva preparato

macinando rozzamente dei cereali, impastan-

doli con acqua e cuocendoli su delle pietre

arroventate; tale tipo di pane non lievitato (az-

zimo) è uno dei primi citati nella storia e fu

usato dagli Ebrei in fuga dall’Egitto.

Attorno alla metà del terzo millennio a.C.

proprio gli Egiziani scoprirono la fermentazio-

ne (fenomeno diverso dalla lievitazione), che

dona al pane un odore più piacevole di quello

azzimo e una certa, relativa sofficità.

Successivamente, i Greci sperimentarono

con successo l’aggiunta di latte, olio, miele

ed erbette aromatiche e conferirono al pane

l’importanza di elemento basilare dell’alimen-

tazione; furono i primi a panificare di notte

per avere il pane fresco al mattino!

Il pane non fu (e non è) prodotto solo con

farina di frumento, tipica dell’area mediterra-

nea, ma, in base alle diverse latitudini e lon-

gitudini, anche con farine di segale, avena,

mais, riso, patata, miglio, sesamo; alcuni tipi

di pane non sembrano rientrare nella conce-

zione che noi italiani abbiamo del pane stes-

so, in quanto non per tutti sono possibili la

lievitazione e la fermentazione.

Fino a cinquant’anni fa, quantomeno nell’Ita-

lia rurale, tradizionalmente, ogni casa posse-

deva un proprio forno, che serviva per cuoce-

re il pane necessario al fabbisogno familiare;

e un mobile, tra tutti, spiccava per la sua im-

portanza: la “madia”, una sorta di alta cassa-

panca, sul cui piano superiore, sotto un co-

perchio ribaltabile, s’impastava, appunto, il

pane, che, dopo cotto, veniva riposto al suo

interno, ben sistemato dentro i cassetti ai

quali si accedeva attraverso due sportelli po-

sti in basso.

In quest’ultimo mezzo secolo la produzione

del pane si è evoluta non poco e nei Paesi

occidentali si è addirittura notevolmente raffi-

nata, tanto che ormai, per ogni “companati-

co”, esiste il corrispondente “tipo” di pane, la

cui qualità dipende sostanzialmente dal ge-

nere di molitura (procedimento con il quale si

separano con cura tutti i componenti della

macinazione stessa) e dal lievito usato (quello

“di birra” per le produzioni industriali e quello

“naturale”, adoperato quasi esclusivamente

in ambito domestico, perché provoca una lie-

vitazione lenta, ma presenta pani di qualità

decisamente superiore).

I forni, come si chiamavano un tempo le ri-

vendite di pane, si sono trasformati in negozi

eleganti, nei quali si può soddisfare qualsiasi

sfizio, considerata la varietà tipologica di arti-

coli sfornati.

Se avessimo ancora a

disposizione la vec-

chia “madia”, do-

vremmo riempirla

con una vasta

gamma di prodotti

utili a soddisfare

ogni possibile acco-

stamento.

Se avessimo ancora a

disposizione la vec-

chia “madia”, do-

vremmo riempirla

con una vasta

gamma di prodotti

utili a soddisfare

ogni possibile acco-

L’arte della panificazione in Egitto

68Gustare l’Italia

PANE NOSTRO - Matvejevic PredragPane nostro è il frutto di vent’anni di lavoro. Quella del pane è una gran-

de storia, ricca di sapienza e di poesia, d’arte e di fede. Abbraccia l’in-

tera storia dell’umanità; dal giorno lontano in cui i nostri antenati si stu-

pirono per la simmetria dei chicchi sulla spiga fino a oggi, quando

miliardi di esseri umani ancora soffrono la fame e sognano il pane, men-

tre altri lo consumano e lo sprecano nell’abbondanza. Sulle rive del Me-

diterraneo, dalla Mesopotamia alle tavole del mondo intero, il pane è

stato il sigillo della cultura. Ha accompagnato - anche nella forma della

galletta, della focaccia e del biscotto - viaggiatori, pellegrini, marinai. Si

è ritrovato al centro di dispute sanguinose e interminabili: le guerre per

procacciarsi il cibo, ma anche le lunghe controversie sul pane - lievitato oppure azzimo - da usare

per la comunione. Perché il pane è anche un simbolo, al centro del rito eucaristico. E lo si ritrova,

nelle sue mille varietà, in molte opere d’arte, dall’antico Egitto alla pop art.

Edizione: Garzanti - Pagine: 232 - Prezzo: € 18,60

A questo proposito, il Panificio “Colombo &

Marzoli”, che a Varese rifornisce diversi negozi

di vendita, consiglia una “carta del pane” che

ci piace qui sintetizzare allo scopo di allargare

sempre più una cultura gastronomica impron-

tata anche sulla raffinatezza del gusto e del

sapore negli abbinamenti.

La “carta del pane”, dunque, ci suggerisce:

• per crostini e tartine - salmone e caviale:

carré bianco in cassetta classico; carré bianco

al burro a forma di cuore, fiore, esagono, ton-

do; carré integrale in cassetta classico; carré

integrale a forma di cuore, fiore, esagono, ton-

do; carré alle olive in cassetta classico;

• per ostriche e salumi

(speck, bresaola, salami di

cacciagione): pane di segale

in filoni o ciambelle;

• per il fois gras: pan brio-

ches; carré al burro;

• per i formaggi: filoncini alle

noci; filoncini alle noci ed

all’uvetta; carré alle noci in

cassetta classica o a forma di

cuore, fiore, esagono, tondo;

• per i salumi: filoncini fran-

cesi con farina biologica; fi-

loncini di grano duro con farina biologica;

• per la prima colazione: pane in cassetta

di farine miste, nocciole, albicocche secche;

pan brioches;

• per i pasti quotidiani: panini mignon al

latte, di soia, alle olive, alle noci; panini ai

semi di papavero, sesamo e misti; aurora e

barchette di grano duro al latte; pane al latte

con forme diverse; quadrucci francesi;

• pane da tenere per ogni evenienza: pa-

gnotta pugliese da chilo e/o da mezzo; pa-

gnotta e filone francese da chilo e/o da mez-

zo; filoni di grano duro; ciabatta al latte;

ciabatta integrale.

Le “Città del Pane”

70Gustare l’Italia

di P

aolo

Bo

nag

ura

“Quando uno ha fame o si ribella,

o fugge o muore”. Questa dura af-

fermazione ha accompagnato le re-

centi rivolte della fame in Medio

Oriente.

A saziar la fame sembra rimasto,

come nei secoli passati, l’alimento

base, l’affetto sincero, il punto di ri-

ferimento per la dieta mediterranea:

il pane.

Ma il simbolo del pane ha valori

ben più profondi. Il pane è stato ed

è simbolo di povertà, amicizia, pace

e condivisione ma, soprattutto, di

sacralità (pensiamo alla tradizione

dei pani votivi e alla feste collegate

come quella del “covo” a Campo-

cavallo, carro ricoperto di spighe

che riproduce ogni anno un simbolo

di fede diverso).

Tuttora, nei diversi Paesi del mon-

do, il pane viene lavorato secondo

le tradizioni del luogo, che conferi-

scono a ogni territorio una tipicità di

panificazione unica e distintiva.

In Italia esiste una rete di 45 co-

muni che stimola la diffusione della cultura del

pane, tutela la qualità dei pani, promuove la

valorizzazione delle risorse ambientali, pae-

saggistiche, artistiche e storiche dei territori

che hanno la tradizione dell’arte bianca: l’as-

sociazione Città del Pane.

La pala del fornaio per simbolo, la fetta di

pane a forma di Italia per obiettivo. Tutela del

prodotto e promozione del territorio.

La prima passa dalla difesa delle 200 spe-

cialità di pane (metà delle quali iscritte nell’elen-

co del Ministero delle Politiche Agricole, dove

spiccano il “pane di Altamura DOP”, “il pane di

Matera IGP”, “la coppia ferrarese IGP” e “il pa-

ne casareccio di Genzano di Roma IGP”) attra-

verso campagne per l’inserimento della dicitu-

ra “pane fresco artigianale” (acqua, farina,

sale e lievitazione di una notte) sulle etichette

(rispetto al pane conservato con antiossidanti

ed emulsionanti che sta conquistando la gran-

de distribuzione).

La promozione si manifesta nell’organizza-

zione di eventi quali “Pane nostrum” a Seni-

gallia, “Pane in piazza” a Corciano, la “Festa

del pane tradizionale” a Pellegrino Parmense,

la “Festa del pane” di Altopascio (dove nel

Gustare l’Italia71

medioevo i Cavalieri del Tau servivano il pane

ai pellegrini in sosta lungo la via Francigena)

e quelle di Altomonte, Cantiano, Gonnosfa-

nadiga, Genzano di Roma e Savigliano.

Quest’ultima è ogni anno scenario della ce-

rimonia dello scambio dei pani tra i popoli, in-

teso come scambio tra culture, identità. Ma

anche come elemento di integrazione inter-

culturale, come il recente progetto di creazio-

ne di un forno in piazza ad Avigliana, dove

poter cuocere i pani delle diverse etnie resi-

denti sul territorio, con particolare riferimento

alle donne.

Donne che in passato preparavano il pane

in casa, lo cuocevano nel forno pubblico, re-

cuperavano gli avanzi in intingoli che rappre-

sentano la storia della nostra cucina; donne

che oggi, nelle panetterie, fanno le commes-

se lasciando l’odore della farina nei laborato-

ri agli uomini.

Già, il rapporto fra donne e pane è frutto di

diverse lievitazioni. Lievitazione naturale ma

anche sociale, con i laboratori di panificazione

per bambini pronti a

diplomarsi “scultori

del pane”, con i per-

corsi di educazione

alimentare e di lotta

all’obesità infantile

come il “Processo al-

la merendina” per una riscoperta della salubri-

tà della merenda di un tempo, con i concorsi

didattici “I bambini raccontano il pane” e i “I

bambini colorano il pane”.

Lievitazione culturale ma anche turistica,

sulle rotte del “pan turismo” attraverso visite ai

forni accesi, itinerari culturali tra i forni diffusi

(a Maiolo), mostre nei Musei del Pane (ad Al-

tomonte, Cerchiara di Calabria, Sant’Angelo

Lodigiano, Maiolo, Borore, Villaurbana, Sale-

mi e nel futuro Museo Officina del pane a Pel-

legrino Parmense).

Lievitazioni di qualità che corrispondono a

pani di qualità, elementi di cultura materiale

trainante per i nostri territori.

Per informazioni: www.cittadelpane.it

L’unità d’italia è stata costruita anche a tavolaed è ben rappresentata dai prodotti tipici:

auspichiamo una filiera agricola tutta italiana.S P A Z I O E V E N T I - M I L A N O

L’unità d’italia è stata costruita anche a tavolaed è ben rappresentata dai prodotti tipici:

auspichiamo una filiera agricola tutta italiana.

Grafica di Daniele Colzani

INFORMAZIONE PUBBLICITARIA

P e r i o d i c o d i c u l t u r a e n o g a s t r o n o m i c a e t u r i s m o

www.gustarelitalia.it

L’unità d’Italiaè stata costruita

anche a tavolaed è rappresentatadai prodotti tipici:

auspichiamo una filieraagroalimentare

tutta italiana.

Il decanter: un validoaccessorio per gustare il vino

74Gustare l’Italia

di R

affa

ele

Mo

ntag

naL’a

rtigia

no in

tavo

la

Decanter della serie “Vinocchio”

74Gustare l’Italia

Tempo fa (non diciamo quanto!), ancor

giovane e non uso a centellinare ogni aspetto

della vita, un vecchio amico m’insegnò, con-

trariamente a quanto io pensassi, che il vino

non si beve, ma si “gusta”, che non conta la

quantità bevuta, ma la qualità gustata e il

tempo (abbondante) di degustazione.

La miglior degustazione - mi disse - può

avvenire soltanto dopo una corretta “ossige-

nazione”, inframmezzando un adeguato ar-

co di tempo tra la stappatura della bottiglia

e l’assaggio; il vino è un frutto “vivo” della

terra, lavorata con passione e fatica ed è

perciò consigliabile, per rispetto, “farlo re-

spirare”.

La degustazione, quand’è ben praticata,

diventa arte.

Ed è per questo che ci si gio-

va di un accessorio - il decan-

ter - capace di esaltare tutte

le virtù, le caratteristiche

proprie del vino, al di là dei

tipi di uva e vitigno, delle

tecniche di vinificazione

e di invecchiamento:

il decanter dà

modo di

poter ser-

vire il vi-

no in maniera ottimale e funzionale alla mi-

glior degustazione possibile.

Stappare, quindi, la bottiglia e “scaraffare”

il vino, versandolo nel decanter, diventa una

manovra fondamentale foriera di una corret-

ta degustazione; in tal modo il vino si “ossi-

gena” e diffonde tutta la sua fragranza, per-

mettendo di percepire il suo bouquet di

sensazioni aromatiche e profumate.

Il decanter si usa soprattutto per i

vini rossi e, comunque, per tutti i

vini “invecchiati” e ben struttu-

rati, quelli che generano fra-

granze profumate, vistose e

accentuate.

I vini bianchi e i rossi gio-

vani, frizzanti, non hanno

bisogno di decantazione,

ma possono, tuttavia,

nel decanter, essere ap-

poggiati su una base

colorata, contenente

ghiaccio

t r i -

Gustare l’Italia75

tato, per essere rinfre-

scati).

Se non avessi-

mo timore di esage-

rare potremmo dire che

ogni vino ha un suo de-

canter; in ogni caso, biso-

gna preferire quelli in cristal-

lo ed evitare qualsiasi altro

materiale (acciaio, peltro, ra-

me zincato, ceramica e

terracotta) che non

faccia trasparire la

luce; sembra, in-

fatti, che sia pro-

prio la luce (solo

per il tempo di de-

cantazione, cioè, al

massimo qualche ora)

a rendere il vino vivace

ed espressivo.

Come per i bicchieri, il cristallo dev’essere

relativamente sottile e puro, in modo che

possa far apprezzare subito il colore e le di-

verse sfumature che il vino presenta.

Per quel che concerne le forme, si va dalle

più “canoniche” alle più strane e originali: con

o senza manico, tozzi e panciuti, bassi e al-

lungati, con l’imboccatura tagliata o reclinata;

una volta avuto riguardo per una base relati-

vamente larga, atta a incrementare

il processo di “ossigenazio-

ne” e un collo stretto che

consenta una facile mesci-

ta, gli unici limiti sembra-

no essere quelli

Decanter“Alavin” con base

refrigerante

Particolare della base refrigerante “Alavin”

dell’inventiva e del-

la genialità.

Il mercato dei decanter è abbastanza dif-

fuso, sicché è facile reperirli nei negozi che

commercializzano arredi e complementi per

la tavola.

Vi suggeriamo, tuttavia, quelli prodotti da

“Italesse”, un’azienda triestina, giovane e di-

namica che trae la sua produzione dall’espe-

rienza che il titolare ha acquisito nel variegato

mondo della ristorazione.

76Gustare l’Italia

Supportoper asciugatura“Vinocchiodrop”

Decanter della serie “Alchemy”

tano sempre più attenti, curiosi

e sensibili alle proposte che il

mercato presenta.

Le linee di decanter “Alchemy”,

“Alavin” e “Vinocchio”, con i loro re-

lativi supporti per l’asciugatura, sor-

prendono e meravigliano per l’eleganza,

la pulizia, la rigorosità delle forme e la mo-

dernità dei colori.

Esse vengono richieste e utilizzate nelle

più importanti degustazioni internazionali,

in quanto rappresentano la sintesi ottimale

di forme, materiali e tecnologie, finalizzata

a procurare il massimo piacere possibile a

chi della degustazione fa professione o se

ne interessa per passione.

Per info: www.italesse.it

Con precisione, sensibilità e passione

“artigianale” sono nate, così, diverse

collezioni di articoli (tra i quali i de-

canter), tutte create da designer

italiani e realizzate con mate-

riali innovativi.

La filosofia e la politica aziendale - che

hanno cercato e trovato un filo conduttore,

un legame, tra i diversi accessori per “gusta-

re” il vino - attraverso la sintesi costante tra

stilisti, nuove tecnologie e selezione dei ma-

teriali, hanno ottenuto, attualmente, un esito

eccezionale: quello, cioè, di far vivere gli og-

getti al di là della loro funzione.

La tecnologia “xtreme” (brevetto Italesse)

- diretta a conferire alla pasta di vetro una

notevole resistenza, al fine di scongiurare

nefaste rotture - e il “policrystal” (brevetto

Italesse), materiale policarbonato che assi-

cura una straordinaria resistenza e una lumi-

nosa brillantezza, pongono “Italesse” ai ver-

tici dei produttori di accessori destinati a

coloro che consumano buoni vini e che risul-

per asciugatura“Vinocchiodrop”

Per info: www.italesse.itwww.italesse.it

Gustare l’Italia79

I Consorzi

80Gustare l’Italia

di A

lan

Mie

li

Come accennato

nell’editoriale, a partire

da questo numero

“Gustare l’Italia” dedi-

cherà una rubrica a un

prodotto italiano di

qualità certificata.

Dal vino alle carni, dagli

ortaggi alla frutta esistono già forme di tute-

la delle produzioni d’eccellenza, ratificate

con il conferimento di un marchio.

Dal D.O.P., la denominazione di origine

protetta, all’I.G.P. (indicazione geografica

protetta) per i prodotti alimentari tipici al

D.O.C. (denominazione di origine controlla-

ta), D.O.C.G. (per quelli di origine controllata

e garantita) e I.G.T. (indicazione geografica

tipica) per vini e distillati.

I Consorzi di Tuteladei prodotti tipici

Ovviamente i singoli produttori possono

fregiarsi di questi marchi per i loro alimenti

e i loro vini, ma chi tutela e promuove que-

sti prodotti sono i consorzi.

“Gustare l’Italia” vuole a sua volta valo-

rizzare il lavoro di queste realtà, sostenen-

do produzioni che siano di assoluta garanzia

per il consumatore.

Grazie al disciplinare di produzione, oltre

alla conformità alle leggi italiane ed europee,

chi acquista i prodotti a marchio di denomi-

nazione è sicuro che essi

nascono da un territorio

preciso, con il quale in-

trattengono un lega-

me indissolubile e

che sono tracciabili in

ogni fase della loro la-

vorazione.

I privati che si riuniscono

in consorzio hanno anche modo di “fare re-

te” tra loro per diffondere la conoscenza e

l’informazione sul proprio prodotto, ma an-

che per combattere in modo efficace le con-

traffazioni e promuovere una cultura alimen-

tare del buon mangiare e del buon bere.

Al tempo stesso unirsi in consorzio signifi-

ca inoltre offrire al consumatore l’occasione

di trasformarsi in turista e visitare un territo-

rio dove alle eccellenze enogastronomiche

si affiancano anche quelle storiche, artisti-

che e naturalistiche.

Insomma, un’occasione in più per “gustare

l’Italia”!

nazione è sicuro che essi

nascono da un territorio

preciso, con il quale in-

ogni fase della loro la-

I privati che si riuniscono

Come accennato

nell’editoriale, a partire

prodotto italiano di

Dal vino alle carni, dagli

fregiarsi di questi marchi per i loro alimenti

do produzioni che siano di assoluta garanzia

per il consumatore.

Gustare l’Italia81

Nel nostro speciale dedicato alle tradizioni

di Pasqua abbiamo detto che tra le carni più

utilizzate per il pranzo domenicale predomina-

no il capretto e l’agnello.

A Roma, e più in generale nel Lazio questa

tradizione culinaria, legata alla figura di Cristo

visto come agnello di Dio che si offre in sacri-

ficio per l’umanità, è ancora molto sentita, al-

meno a tavola.

Da secoli il periodo primaverile, e in partico-

lare la festa per la Resurrezione di Cristo, sono

considerati l’occasione ideale per macellare gli

agnelli. Anzi, in alcuni casi era l’unico momen-

to dell’anno nel quale ciò era consentito ai pa-

stori, i quali altrimenti potevano macellare sol-

tanto ovini adulti.

Gli agnelli da latte scelti per essere sacrifica-

ti sulle tavole dei laziali sono detti abbacchi.

L’Abbacchio Romano IGPAbbacchio ha un’etimologia controversa.

Sembra certo faccia riferimento al vocabolo

latino baculum, che significa bastone.

Da qui partono diverse interpretazioni del

termine: c’è chi lo collega al fatto che gli

agnelli vengono legati a un palo, un bastone

per non farli scappare, quindi si trovano ad ba-

culum, vicino a un bastone; altri si rifanno al

baculum quale strumento con il quale gli

agnelli venivano uccisi, che venivano quindi

“abbacchiati” (che oggi si usa anche per indi-

care una persona mesta e triste, proprio come

se stesse per essere condotta al macello).

Comunque lo si legga, il vocabolo è ormai

indissolubilmente legato alla tradizione gastro-

nomica laziale di Pasqua.

Affinché questa tradizione non si risolva in

una brutta esperienza - anche a livello econo-

L’abbacchio allo scottadito: il tipico piatto della cucina “romana”

82Gustare l’Italia

mico - il consiglio è quello di rivolgersi a quegli

allevatori e macellai che aderiscono al “Con-

sorzio di Tutela IGP Abbacchio Romano”.

Molte delle carni che nelle settimane prece-

denti la Pasqua compaiono miracolosamente

in grande quantità, nelle macellerie come negli

ipermercati, spesso non sono di agnello da

latte oppure provengono dall’estero (addirittu-

ra dalla Nuova Zelanda).

Il vero abbacchio romano proviene soltanto

da quegli allevatori che rispettano tutte le nor-

me previste dal Disciplinare del consorzio.

Quello dell’“Abbacchio Romano IGP” è un

consorzio giovane: dopo aver ottenuto il rico-

noscimento formale soltanto nel giugno del

2009, è stato ufficialmente istituito nell’agosto

dello stesso anno.

Al 31/12/2010 le aziende assoggettate alla

certificazione IGP erano 220, con oltre 45.000

capi certificati. Attualmente sono iscritti al

Consorzio oltre 80 allevatori e 10 tra macella-

tori e porzionatori.

Gli attori della filiera che possono aderire al

Consorzio sono infatti gli allevatori, tra i quali il

presidente del

Consorzio, Be-

nedetto Toc-

chi, i macella-

tori, i porzionatori

e i confezionatori.

La zona di produzio-

ne dell’“Abbacchio Ro-

mano IGP” comprende tutto

il territorio laziale, il quale, gra-

zie alla natura dei rilievi (vi si trovano

colline e monti calcarei e vulcanici), al li-

vello annuale delle precipitazioni e a una tem-

peratura media annuale variabile compresa tra

i 13 e i 16°C, offre condizioni ottimali per l’al-

levamento ovino di qualità.

Qui gli abbacchi, cioè gli agnelli da latte,

vengono nutriti con latte materno, con la pos-

sibilità dell’integrazione al pascolo con alimen-

ti naturali ed essenze spontanee, escludendo

in modo assoluto (anche per l’alimentazione

delle madri) l’utilizzo di sostanze di sintesi e

geneticamente modificati (OGM).

Non solo. Oltre alle forzature alimentari, gli

agnelli e le “pecore madri” non

sono soggetti nemmeno a stress

ambientali o sofisticazioni ormo-

nali finalizzate a un incremento

della produzione.

L’attenzione nei confronti degli

animali è tale che durante il pe-

riodo estivo si pratica la tradizio-

nale monticazione: le pecore e

gli agnelli vengono portati in al-

tura, di modo che da un lato

possano sfuggire alla calura esti-

va, e dall’altro che le pecore si

nutrano di foraggio fresco.

Non tutte le razze possono fre-

giarsi della denominazione di

“Abbacchio Romano IGP”, che è

infatti riservata esclusivamente

agli agnelli di entrambi i sessi na-

presidente del

Consorzio, Be-

nedetto Toc-

chi, i macella-

tori, i porzionatori

e i confezionatori.

La zona di produzio-

Abbacchio Ro-

comprende tutto

il territorio laziale, il quale, gra-

zie alla natura dei rilievi (vi si trovano

colline e monti calcarei e vulcanici), al li-

presidente del

Consorzio, Be-

nedetto Toc-

chi, i macella-

tori, i porzionatori

e i confezionatori.

La zona di produzio-

Abbacchio Ro-

comprende tutto

il territorio laziale, il quale, gra-

zie alla natura dei rilievi (vi si trovano

Gustare l’Italia83

ti e allevati allo stato brado e

semibrado, di razza Sarda,

Comisana, Massese, Meri-

nizzata italiana, e la pregiata

Sopravissana.

Se risulta sicuramente diffi-

cile per il consumatore verifi-

care che la carne che stanno

per acquistare provenga da

una delle razze citate, lo è

meno il riconoscerle dalle ca-

ratteristiche visibili della car-

ne stessa: quella dell’Abbac-

chio Romano si presenta

rosa chiaro di colore, con il

grasso di copertura bianco,

una tessitura fine, una consistenza compatta e

leggermente infiltrata di grasso.

Il suo sapore è delicato, e sprigiona gli odo-

ri tipici di una carne giovane e fresca. La pre-

senza di grasso, sia di copertura, sia infiltrato

è decisamente scarsa.

La carne viene commercializzata in tagli dif-

ferenti (intero, mezzena, spalla e coscio, co-

stolette, testa e coratella).

Una volta la carne d’agnello era consumata

quasi esclusivamente dalle persone dei ceti

popolari, che peraltro le rendevano onore cu-

cinando anche le interiora.

I nobili la trascuravano a favore di quella di

altri animali, su tutti il capretto, con qualche

eccezione eccellente; per Giovenale, per

esempio, l’agnello giovanissimo era: “il più te-

nero del gregge, vergine d’erba, più di latte ri-

pieno che di sangue”.

Da qualche tempo l’abbacchio è invece

molto apprezzato anche da chef rinomati, che

hanno inventato nuovi modi per cucinarlo, af-

fiancandoli a quelli più tradizionali.

Noi abbiamo chiesto qualche consiglio a

Severino Gaiezza, chef dell’“Enoteca Regio-

nale Palatium”, che ci ha regalato tre ricette di

piatti gustosissimi rigorosamente a base di

Abbacchio Romano IGP.

Il contrassegno del ConsorzioLa carne di Abbacchio Romano deve essere immessa al consumo provvista di contrassegno, costituito dal logo, a garanzia dell’origine e dell’identificazione del prodotto.Il logo è costituito da un quadrato composto da tre linee colorate (una verde, una bianca e una rossa), interrotto in alto da una linea ondulata rossa che si collega a un ovale rosso, contenente una testa di agnello stilizzata.In basso il perimetro è interrotto dalla scritta a caratteri maiuscoli rossi I.G.P. in basso, all’inter-no del perimetro quadrato, è riportata l’indicazione del prodotto “ABBACCHIO” in caratteri ma-iuscoli di colore giallo, e “ROMANO” a caratteri maiuscoli di colore rosso.

84Gustare l’Italia

Ricett

e

Ingredienti per 6 persone: 600 gr di cosciotto d’Abbacchio Roma-no IGP - 200 gr di pane raffermo - 200 gr di pecorino romano DOP - un uovo (si consigliano uova biologiche San Bartolomeo) - 30 gr di mentuccia romana - olio ex-travergine della Sabina DOP - no-ce moscata q.b. - sale q.b. - pe-pe q.b.

Preparazione: disossare il co-sciotto, tritare e aggiungere il pa-ne raffermo, i cubetti di pecorino romano, l’uo-vo, il trito di mentuccia, il sale, il pepe e la noce moscata. Confezionare le polpettine e friggerle nell’olio extravergine.

Ingredienti per la cicoria di contorno: 500 gr di cicoria di campo - 500 gr di brodo di carcasse di cosciotto d’abbacchio - un cucchiaio di con-centrato di pomodoro - un filetto d’acciuga sot-to sale dissalata - olio extravergine della Sabina DOP - uno spicchio d’aglio di Proceno - scaglie

Primo piatto: “Gnocchi di semolino alla romana con ragout d’abbacchio di Sopravissana e chips di carciofi di Ladi-spoli”

Ingredienti per 6 persone

Per gli gnocchi: 1 l di latte della Centrale del latte di Roma- 300 gr di semolino - 250 gr di pecorino di Picinisco - 6 tuorli d’uovo - 150 gr di olio extravergine d’oliva di Canino DOP - no-ce moscata q.b. - sale q.b.

Preparazione gnocchi: far bollire il latte con l’olio, sale e noce moscata, aggiungere il se-molino e cuocere per 5 minuti.

Togliere dal fuoco e aggiungere il pecorino e i tuorli d’uovo mescolando di tanto in tanto.

Antipasto: “Polpettine d’abbacchio di Sopravvissana, cicoria di campo di Sezze e marzolina del frusinate”

di formaggio marzolina - 2 gr di peperoncino fresco

Preparazione insalata: sbollentare la cicoria, scolarla, strizzarla e tritarla. In un pentolotto con olio extravergine fare sciogliere l’aglio trita-to, l’acciuga e il peperoncino, aggiungere la ci-coria, il concentrato di pomodoro e il brodo.

Portare a cottura in 5/6 minuti. Servire nei piatti fondi la zuppa di cicoria e adagiare le pol-pettine e finire con alcune scaglie di formaggio marzolina.

Gustare l’Italia85

Secondo piatto: “Costolette d’abbacchio alla scottadito intingolo di cacciato-ra e puntarelle alla romana”

Ingredienti per 6 persone: 18 costolette d’Abbacchio Romano IGP - 500 gr di puntarelle (cicoria catalogna) - 150 gr di salsa alla cacciato-ra (olio extravergine d’oliva, capperi, olive, salvia e rosmarino) - 100 gr di battuto per le puntarelle (alici, aceto, olio extravergine d’oliva, aglio)

Preparazione: cuocere le costolette d’ab-bacchio sulla griglia. Nel frattempo prepa-rare la salsa alla cacciatora con olio, ace-to, rosmarino, salvia e capperi.

Accompagnare le costolette con le pun-tarelle in insalata.

Versare il composto sul marmo, appiattirlo in uno spessore di 4 cm e con un coppapasta (dal diametro di 3 cm) ritagliare a formelle cilin-driche.

Ungere una pirofila di ceramica e posizionare gli gnocchi, cospargerli di pecorino e gratinare in forno già caldo per 15 minuti.

Servire gli gnocchi conditi con il ragout d’ab-bacchio e chips di carciofi.

Ingredienti per il ragout d’abbacchio: 500 gr di polpa d’Abbacchio Romano IGP - 500 gr di brodo di carne - 100 gr di sedano - 100 gr di carote - 50 gr di cipolla - uno spicchio d’aglio - 10 gr di timo - 10 gr di maggiorana - 6 carcio-fi - olio extravergine d’oliva di Canino DOPfecola di patate

Preparazione ragout: in una pentola capiente brasare gli odori tritati finemente, tagliare la pol-pa di abbacchio a cubetti e aggiungerla al trito, unire il brodo e profumare con il timo e la mag-giorana. Portare il tutto a cottura.

Nel frattempo ottenere le chips tagliando car-ciofi a lamelle, infarinandoli nella fecola di pata-te e friggendoli in olio extravergine d’oliva.

“Enoteca Regionale Palatium”Via Frattina 94 - 00187 Romatel. 06/69202132

ASSOCIAZIONE ITALIANA PAESI DIPINTIVia Magenta, 31- 21100 Varese

Tel. e Fax: 0332 [email protected] - www.paesidipinti.it

MURI D’AUTOREVia Magenta, 31- 21100 Varese

Tel. e Fax: 0332 [email protected] - www.muridautore.it

Gustare l’Italia87

Rubriche

88Gustare l’Italia

di C

ino

To

rto

rella “Dal Mago”

Le lu

ne d

i Gus

tare

l’Ita

lia

Il locale del quale vi parleremo è un clas-

sico esempio della disattenzione degli ispet-

tori delle guide; si tratta del ristorante “Dal

Mago” di Morro d’Alba, in provincia di Anco-

na, un delizioso borgo il cui centro storico è

un gioiello d’architettura, a pochi km dall’ae-

roporto di Falconara.

Questa rubrica è dedicata ai ristoranti immeritatamente ignorati o sottovalutati dalle varie Gui-

de; ve ne sono in tutte le regioni italiane ma la gran parte di loro sono del Sud, e la disatten-

zione nei loro confronti è da riferirsi a diversi motivi, il primo dei quali - forse - è dovuto al fatto

che quasi tutti i critici risiedono al Nord e arrivare a Castrovillari o a Putignano non è come an-

dare a Gallarate o a Busto Arsizio.

Noi di “Gustare l’Italia” ci siamo ripromessi di ovviare - per quanto ci sarà possibile - a questa

situazione; per riuscirci chiediamo la collaborazione degli amici lettori, che stanno diventando

sempre più numerosi anche sul nostro sito www.gustarelitalia.it. Segnalateci i ristoranti che a

vostro giudizio sono sottovalutati dalle guide e penseremo noi a dare loro il giusto riconosci-

mento attribuendogli, visto che soli, stelle e pianeti sono già tutti occupati, la nostra risplen-

dente luna di qualità.

Qualche anno fa, quando l’ho conosciuto

mi sono chiesto per quale motivo molti italia-

ni vanno all’estero alla ricerca di esotiche ter-

re lontane, quando a due passi da casa c’è

ancora tanto da scoprire.

Per ragioni di lavoro giro l’Italia da più di

quarant’anni, percorrendo migliaia di chilo-

Gustare l’Italia89

metri; pensavo di conoscere bene lo Stivale,

anche nei paesini più nascosti, eppure mi tro-

vo continuamente di fronte a sorprese spes-

so molto piacevoli.

Una terra della mia predilezione che crede-

vo non avesse per me più segreti è la regione

Marche, dove torno da anni con allegria per-

ché alla piacevolezza dei luoghi si unisce il

carattere della gente, generoso, gioviale, sin-

cero... gente per la quale, come nel paese so-

gnato da Zavattini, “buongiorno” vuol dire

davvero “buongiorno”.

Eppure mi è capitato di scoprire un paese

del quale ignoravo l’esistenza, gli esaltanti

prodotti della sua terra e un piacevole, gusto-

so e segreto ristorante, rifugio sicuro per

gourmet alla ricerca di una tavola dove poter

gustare antichi sapori e il bed&breakfast

“Shanti House”.

L’uno e l’altro appartengono alla famiglia di

Raoul Romiti, bizzarro e simpaticissimo pro-

prietario. Siamo alla quarta generazione dei

Romiti che hanno inaugurato la trattoria; ha

incominciato il bisnonno Giuseppe detto Pep-

petto alla fine dell’Ottocento, ha continuato il

nonno Spartaco che si è guadagnato dai

clienti il titolo di “Mago” per la sua allegria e

per l’eccellenza della cucina.

È toccato poi a Raoul e alla sua bella mo-

glie Lorena e sono già pronti Heidi e Loris, i

figli che, dopo alcune esperienze in giro per il

mondo, stanno per raccogliere il testimone

da mamma e papà.

Raoul, che per tutti è naturalmente il “Ma-

go”, si è ritagliato il compito di ricercare i pro-

dotti più esclusivi della sua terra dai contadini

della regione; ha creato catene di piccoli pro-

duttori che gli procurano i salumi, i formaggi,

la carne di favolosi polli, conigli e oche e, in

stagione, funghi e cacciagione che la signora

Lorena trasforma in manicaretti che non han-

no rivali nell’entroterra anconetano.

Da ottobre a maggio, per chi ama la cac-

ciagione, il “Mago” è un appuntamento irri-

nunciabile; un drappello di cacciatori batte la

campagna per fornire la cucina di lepri, per-

nici, tordi, beccacce, allodole...

In quel periodo non possono accedere alla

trattoria i vegetariani, le anime sensibili e gli

stomaci delicati. Non è la sola proibizione per

chi si avventura nell’antro del Mago; all’in-

gresso c’è un cartello in dialetto che vieta

tassativamente l’ingresso:

• A chi viene quà giusto pè fasse n’insalati-

na scondita e ‘n bicchiero d’acqua

(se state male state lì a casa).

• A tutti quelli strani che se fa le paranoie e

non se sa quel che vole

(gide dallo pissicologo).

• A quell’altri che non je va bè niente

(gide al mecchedonalde, che è tutta salute).

• Noi qua’, è quattro - dico quattro - gene-

razioni che damo da magnà li mejo cose in

assoluto. Quà se magna e beve come Dio co-

90Gustare l’Italia

manda. Ordunque, tutte ste gente particolari

meno ce viè, mejo è.

Sono soltanto due i vini che si bevono dal

Mago; la sua è l’unica trattoria dove un

gourmet raffinato non considera deplorevole

sentirsi chiedere: “bianco o rosso?” al mo-

mento di scegliere il vino.

Bianco o rosso dunque, ma bianco sta per

“Verdicchio” e rosso sta per “Lacrima”.

Entrambi scelti da Raoul tra quelli prodotti

nelle migliori cantine. Erano anni che avevo

smesso di bere il Verdicchio, perché ogni vol-

ta era un delusione: senza profumo, senza

corpo, senz’anima, un vino spesso anonimo,

inespressivo.

Poi ho assaggiato quello del “Mago”, che

gli arriva per vie misteriose da piccoli produt-

tori il cui nome non rivelerebbe nemmeno

sotto tortura, e mi si è rivelato in tutta la sua

fragranza: terso, vellutato, lucido, gagliardo,

ambra purissima, nato per accoppiarsi con

gli antipasti che inaugurano i pranzi della si-

gnora Lorena, un vino “ben bel po’ buono”,

come dicono gli anconetani per indicare

qualcosa di superlativo.

Ho gridato al miracolo. E non avevo ancora

assaggiato il Lacrima. È curioso che questo

vino sia stato a lungo ignorato anche dai più

attenti intenditori; l’incongruenza è forse giu-

stificata dal fatto che i vigneti sono frazionati

e limitati, i proprietari sono una cinquantina in

circa cento ettari, ognuno gelosissimo del

proprio prodotto e qualcuno addirittura restio

a venderlo.

D’altra parte chi può separarsi con legge-

rezza da un vino così?

Scriveva Omar Khaiam: “Mi chiedo con

stupore: i produttori di vino che cosa posso-

no comprare di meglio di quello che han ven-

duto?” E non conosceva il “Lacrima”.

È difficile da raccontare a chi non l’ha mai

assaggiato. Si può dire che è di un colore

rosso rubino, che ha un bouquet ampio e ric-

co di uva appena pigiata, fragrante, sensuale,

che è di sapore intenso e morbido, pieno e

armonico, allegro e vitale, che mantiene tutto

ciò che promette al primo respiro, appena

uscito dalla bottiglia e aggiunge poi altre sen-

sazioni che attengono al mondo dei sogni e

della magia.

Gustare l’Italia91

D’altronde questa è terra di magia: fino al

XIV secolo, durante il novilunio di Maggio, ar-

rivavano a Morro maghi e negromanti per

procurarsi il Lacrima, del quale si servivano

per fare filtri d’amore, elisir di lunga vita, rime-

di contro l’impotenza e la sterilità.

Al “Lacrima” venivano attribuite

anche qualità che assicuravano a

chi ne faceva un uso costante una

vecchiaia serena e attiva (da que-

ste parti c’è ancora oggi la più alta

percentuale di ultranovantenni lu-

cidi e operosi).

“Dal Mago” non esiste il menù; i

piatti vengono proposti da Raoul

col suo divertente accento mar-

chigiano. Quelli che vengono sug-

geriti sono in assoluto i migliori di

tutta la provincia: i “Tagliolini” fatti

rigorosamente in casa come li fa-

ceva la nonna e poi la mamma di

Raoul, i “Ciavattoni al pepe del

Mago” succulenti, superbi, le

“Mezzemaniche con salsiccia e fa-

gioli”, i “Rigatoni di Lallì”, i “Tortel-

loni giganti cacio e pepe” e, natu-

ralmente, la succulenta polenta

alla marchigiana, che in autunno e in inverno

accompagna strepitosi arrosti di cacciagione.

“Marchescià magna pulenta” (marchigiani

mangia polenta), recita del resto un detto

dell’Italia Centrale.

Non sono proprio piatti leggeri e per animi

sensibili e delicati ma per un gastronomo sa-

rebbe un delitto che grida vendetta non aver

gustato almeno una volta il “Galletto in potac-

chio” del Mago. Viene cucinato in tre versioni:

col galletto, col coniglio o - sublime - con i

capponi che prepara una contadina della

campagna circostante.

Va da sé che il vino da abbinarvi non può

che essere il Lacrima e mai matrimonio sarà

stato più armonioso. Il Mago se lo procura

dai suoi misteriosi fornitori senza nome tran-

ne uno: l’Azienda Badiali che produce il

“Paucca”, nome dialettale dell’upupa, ritenu-

to qui un uccello magico.

È un vino che raggiunge, e a volte supera, i

14 gradi, ma lo senti sempre giovane e fra-

92Gustare l’Italia

grante; nasce ed è subito perfetto così

che alla luna di marzo la sua maturità è

completa e per tutto l’anno mantiene

inalterata la piacevolezza della gioventù.

Il suo colore è un viola abissale come

forse sono le acque del Lete; quando lo si

beve, dopo il terzo bicchiere si dimenti-

cherà ogni tormento, ogni angoscia, ogni

sia pur lieve contrarietà, e ci si potrà libra-

re nell’aria come le creature di Chagall.

Per trascorrere la notte allo “Shanti

House” non occorre però arrivarvi in vo-

lo. Il “Mago” è sempre pronto infatti a tra-

sportarvi con la sua Land Rover per coprire le

poche centinaia di metri che separano la trat-

toria dal b&b.

È stata Heidi a volerla chiamare con la pa-

rola indiana che significa “serenità”, ed è il

nome più appropriato perché qui dovunque si

respira pace e tranquillità.

È un luogo perfetto per la meditazione e

per la contemplazione, ma soprattutto per

l’amore. Sarebbe quasi delittuoso essere soli

in questo luogo: la felicità

non deve essere vissuta in

solitudine.

Byron ha scritto: “Chiun-

que voglia conquistare il pia-

cere deve spartirlo con altri,

la felicità è nata gemella.”

La villa, sospesa nel silen-

zio e circondata dai vigneti,

si trova al centro di una val-

lata che da una parte arriva

fino alle pendici del monte

Conero e dall’altra alle prime

case dell’abitato di Morro,

senza che nulla ne turbi l’ar-

monia e l’incanto.

È la realizzazione del so-

gno di Heidi, una creatura

bella e solare come la mam-

ma, allegra e spiritosa come il padre. Se gli

ospiti sono due innamorati sarà lei che li ac-

compagnerà in una delle belle e accoglienti

camere del relais, dove trascorreranno una

notte indimenticabile.

Per propiziarla farà trovare accanto al letto

un vino da meditazione scelto dal Mago; è

ancora un “Lacrima” nella versione “vino di

visciole” che si ottiene facendo macerare ci-

liege selvatiche - visciole, in dialetto - nel vino

durante la fermentazione. Si crea così un li-

Gustare l’Italia93

quore dal sapore antico, sensuale, penetran-

te, un vino d’amore per trascorrere una notte

“ben bel po’’ straordinaria.

A questo punto ritorno all’inizio di questo

articolo e mi chiedo: è possibile che un loca-

le come questo sia ignorato dalle guide? E

non solo da una o due, ma da tutte, proprio

tutte le più importanti che coprono l’intero

territorio nazionale. È possibile che “Dal Ma-

go” con la sua cucina, con il delizioso

bed&breakfast a pochi passi dal borgo non si

meriti, non dico stelle o soli, ma nemmeno

una misera forchetta, un piccolo gamberetto,

un cappello?

Vado a vedere com’è la situazione a La

Morra d’Alba, in provincia di Cuneo, paese

che ricorda molto il quasi omonimo marchi-

giano (anche il prefisso è quasi uguale, 0173

per La Morra e 0731 per Morro d’Alba).

Entrambi alti sulla collina e circondati da vi-

gneti di vini favolosi. A La Morra sono segna-

lati 3 ristoranti: Belvedere, Bovio e Vineria del

Barolo. A Morro niente.

Per i severi giudici delle guide italiane il ri-

storante “Dal Mago” semplicemente non esi-

ste, e se esiste è paragonato a una banalissi-

ma Pensione Aurora e non è degno nemmeno

di un piccolo cenno.

Mi rifiuto di pensare che un critico gastro-

nomico si sia recato dal “Mago”, abbia as-

saggiato i suoi salumi e i suoi formaggi scelti

con attenzione maniacale, si sia fatto servire

i “Ciavattoni al pepe”, il “Galletto in potac-

chio” o le “Mezzemaniche con salsiccia e fa-

gioli” e non li abbia giudicati degni di una

menzione; mi rifiuto di cre-

dere che dopo aver dormi-

to (magari non da solo) in

una delle deliziose stanze

della “Shanti House” im-

merse nel silenzio assoluto,

non l’abbia ritenuta degna

di essere segnalata a turisti

innamorati…

Per fortuna ci siamo noi

di “Gustare l’Italia” pronti a

intervenire e a dare a Cesa-

re quel che è di Cesare, a

Raoul quel che è di Raoul:

ecco dunque anche per lui,

Lorena, Heidi e Loris la no-

stra luna, luminosa e scin-

tillante come gli occhi degli

innamorati...

94Gustare l’Italia

Libri

da m

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di A

less

and

ro M

ilani

È inutile stare tanto a girarci intorno: l’Unità

d’Italia si è fatta a tavola. Mangiando e beven-

do il conte Camillo Benso di Cavour strinse al-

leanze, intrecciò le sue trame, stipulò patti e

accordi più o meno segreti.

A tavola Garibaldi riceveva a Caprera gli

ospiti italiani e stranieri che gli facevano visita

per proporgli di organizzare rivoluzioni nei vari

Mondi nei quali fu eroe.

A tavola gli italiani hanno imparato a cono-

scersi, dopo che le battaglie e le diplomazie

ebbero sancito l’unità territoriale del Paese.

Già, perché gli italiani prima non si conosce-

vano affatto tra loro, e gli scambi, anche quelli

culinari tra le tradizioni delle diverse regioni,

erano ridotti al minimo, e riguardavano solo al-

cuni ceti sociali.

Sono stati per primi i Mille di Garibaldi a ca-

pire che fuori dai confini lombardo-veneti e

piemontesi esistevano piatti, vini e sapori del

tutto inediti e straordinari, spesso inebrianti.

Ecco dunque l’idea di “Qui mangiava Gari-

baldi”, una - come recita il sottotitolo - “guida

eno-gastro-bellica al Risorgimento”.

I personaggi dell’epopea risorgimentale,

scelti per importanza e cercando di rappresen-

tare quante più regioni italiane possibili, ven-

gono visti attraverso il loro ruolo nell’opera di

unificazione politica del Paese, ma anche alla

luce di aneddoti legati al cibo, alle proprie pre-

ferenze e abitudini culinarie, spesso figlie

dell’area geografica di provenienza.

Si scopre così che Cavour fu, oltre che

un’ottima forchetta, anche uno degli “invento-

ri” del Barolo, oggi una delle DOCG italiane

d’eccellenza mondiale, che Vittorio Emanuele

aveva modi piuttosto rudi, anche a tavola, do-

ve apprezzava i sapori rustici piemontesi, che

Mazzini mangiava poco per poi ingozzarsi di

dolci (dei quali inviava le ricette alla madre),

che Garibaldi era astemio, che Ferdinando di

Borbone conosceva quasi per nome tutti i pro-

pri sudditi napoletani, soprattutto i contadini,

con i quali si fermava spesso ad assaggiare i

“prodotti” del suo regno.

Qui mangiava GaribaldiGuida eno-gastro-bellica al Risorgimento

Gustare l’Italia95

In ogni capitolo, alla biografia del personaggio

segue un itinerario risorgimentale nella città o

nella zona dove egli ha vissuto, per riscoprire le

tracce del Risorgimento presenti ancora oggi.

Fin qui la storia, a volte aneddotica e quasi

romanzata, sorta subito dopo l’Unità per cele-

brarne gli eroi (o per raccontare a tinte più fo-

sche i nemici) e renderli più vicini al popolo.

Oltre alla storia c’è però anche la cucina, che

è più viva e presente che mai: da qui i prodotti

e le ricette dei piatti che, regione dopo regione,

vengono raccontati indugiando su quelli giunti

fino a noi praticamente identici, o su quelli che

hanno a loro volta una storia

degna degli eroi risorgimen-

tali: dal pesto alla genovese

al risotto alla milanese, dalle

crescentine all’acquacotta,

dagli spaghetti alla carbona-

ra alla pasta con le sarde.

Piatti e storie tutt’altro che

banali.

E infine - come poterne

fare a meno? - in ogni capi-

tolo le segnalazioni dei lo-

cali che ancora adesso per-

mettono di assaporare

queste specialità; locali storici perché magari

sono gli stessi che già esistevano al tempo dei

fatti narrati, o perché meglio di altri hanno sapu-

to e sanno interpretare i piatti della tradizione e

permettono, ogni giorno, che essa sia ancora

viva e continui a celebrare l’Unità nazionale.

A tavola. Dove altrimenti?

Giuseppe Garibaldi, Vittorio Emanuele II e Camillo Benso Conte di Cavour

Il calendario dell’anno 1861

“Qui mangiava GaribaldiGuida eno-gastro-bellica al Risorgimento”A cura di: Paolo PaciEdizione: De AgostiniPagine: 284 - Prezzo: € 14,00

96Gustare l’Italia

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Cuochi della domenica - Viaggio verso casa tra ricette e coloriDal centro diurno per persone senza dimora “Binario 95” di Roma nasce questo ricettario che racco-

glie venti proposte gastronomiche di facile preparazione e tre a contenuto speciale, tra le quali una

donata dal famoso chef siciliano Filippo La Mantia.

La gastronomia, in questo caso, è il pretesto per ricordare quanto sia

importante il concetto di casa per una persona che vive per strada.

L’idea di un libro di ricette, sperimentate all’interno di un centro di

accoglienza, nasce dalla constatazione che una persona senza fissa

dimora, oltre ai bisogni primari, necessita di specifici momenti per

rimettersi in connessione con una vita “normale”, fatta di relazioni,

gusto e sensibilità.

Un momento a tavola è, per eccellenza, simbolo quotidiano della

convivialità, della socializzazione e dell’unità familiare. La ricetta di

una vita felice, che chiude il libro, strappa una riflessione necessa-

ria sui diritti inalienabili che ogni uomo dovrebbe avere per natura,

e che spesso non vengono riconosciuti.

Cuochi della domenica può essere acquistato online sul sito www.ecedizioni.it. La casa editrice

lancia, per questo prodotto, un nuovo modo di sostenere la cultura e il sociale: con “Offerta Libra”

è il lettore a decidere il prezzo di vendita. E chi non sarà soddisfatto verrà rimborsato.

Edizione: EC Edizioni - Pagine: 192 - Prezzo: € 9,90

Pane, dolci e biscotti - Leila LindholmL’autrice è una cuoca di enorme successo e carisma.

In questo libro, adatto sia al principiante, sia all’esperto, rivela più di

200 delle sue ricette preferite, dai biscotti, cupcakes, crumble e tor-

te di compleanno ai panini dolci, dal tipico pane croccante della

Svezia alle confetture da spalmarci sopra.

Edizione: Il Castello - Pagine: 224 - Prezzo: € 22,00

Pane, pizza e torte - Leila LindholmDella stessa autrice, questo utilissimo volume vi mostrerà come pre-

parare in casa il pane, la pizza e la pasta fresca, dall’inizio alla fine,

utilizzando il lievito naturale. Inoltre svela un sacco di suggerimenti

per chi vuole scoprire e imparare trucchi preziosi, sia per cuochi

esperti, sia per i principianti assoluti.

Il volume raccoglie più di 150 ricette per ogni occasione, per quel-

lele volte che vi sentite ispirati e per ogni giorno dell’anno.

Edizione: Il Castello - Pagine: 224 - Prezzo: € 22,00

98Gustare l’Italia

Indice

dell

e ric

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di a

prile

29 Ravanelli al burro per antipasto

Insalata risorgimentale

31 Risotto rosa - Profiterol alle fragole

84 Polpettine d’abbacchio di Sopravvissana, cicoria di campo di Sezze e marzolina del frusinate

Gnocchi di semolino alla romana con ragout d’abbacchio di Sopravissana e chips di carciofi di Ladispoli

85 Costelette d’abbacchio alla scottadito, intingolo di cacciatora e puntarelle alla romana

29 31

29

84-85

www.gustarelitalia.it

www.restipica.net

L’Associazione Res Tipica è stata creata dall’ANCI nel 2003 per promuovere in Italia e nel mon-do le identità territoriali e ad oggi riunisce 27 Associazioni di Identità, 1.842 Comuni, 4 Unioni di Comuni, 40 Province, 2 Regioni, 51 Comunità Montane, 8 Enti Parco, 8 Strade del Vino, 11 Camere di Commercio, per un totale di quasi 2000 Enti locali.

Il network, rivolto principalmente ai Comuni di piccole e medie dimensioni, intende preserva-re e favorire l’immenso patrimonio che incorpora i saperi delle comunità, le caratteristiche dell’ambiente e le produzioni tipiche, trasformando questo grande capitale culturale e socia-le in qualità della vita e in occasioni di sviluppo sociale ed economico rispettoso dei valori e della cultura locale.

ASSOCIAZIONE ITALIANA PAESI DIPINTI

Tonno ColimenaUnico, inimitabile, pugliese...

Colimena s.r.l. - Z.I. - Avetrana (Ta) - Tel. 099 - 9707955Filiale: Brugherio (Mb) - Via Manin, 49 - Tel. 039 - 878598www.tonnocolimena.it - [email protected]

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