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The Logique de la Philosophie of Eric Weil – a German Jewish pupil of Cassirer, emigrated in France after the coming to power of Nazism (which he will even fight with a false identity, ending up in a prison camp for many years) – is a hard, deep, often difficult work, rich in interpretative hints and seldom matched in the 20th century for the insight and breadth of his theoretical suggestions. The big challenge of this work lies in its attempt to build a circular and self-grounding system of categories (as the Logique presents itself), that nevertheless wishes to be post-hegelian – both in its problematic framework and in its results; post-hegelian, although its crucial moment is, from many points of wiew, precisely the category of Absolute, that is to say, Hegel's philosophy. Is it really possible to make Hegel's philosophy a moment of a rational wohle which transcends it? The difficulties lying under Hegel's philosophy can be centered in a single point: as Weil puts it, on the inability to define the grounding role that violence carries out for philosophy. On this crucial knot, Weil claims, Kant surpasses Hegel. Weil tries to take advantage of such an inability to realize the possibility – which after Nazism and the two world wars has become ethic and historical urgency – of a logic of philosophy: of a veritable self-comprehension of philosophy. Aim of this work is to disclose presuppositions, motives and difficulties of this overcoming of Hegel. Hegel's philosophy, we believe, proves itself to exceed the category of Absolute, indeed to go beyond its meaning as a step toward Weil's own logic of philosophy; in spite of that, Weil's interpretation of Hegel's philosophy focuses on some significant questions, such as the relation between history, violence and reason, that compel Hegel's conceptual tissue to uncover sides which would otherwise remain hidden.
Citation preview
IL DISCORSO ASSOLUTO E LA VIOLENZA. Sull'interpretazione di
Hegel nella Logique de la Philosophie di Eric Weil.
Premessa
Eric Weil, ebreo tedesco allievo di Cassirer, esule in Francia all'avvento del nazionalsocialismo (che
combatterà sotto falsa identità, finendo in un campo di prigionia per molti anni) e poi naturalizzato
francese, è stato un fine e profondo conoscitore del pensiero hegeliano, tra i maggiori della sua
epoca. Da lui doveva imparare molto persino Alexandre Kojeve, nei lunghi colloqui dei primissimi
anni trenta, prima che il filosofo di origine russa desse avvio al fortunato ciclo di seminari all'Ecole
Pratique sulla Fenomenologia dello Spirito1. Agli studiosi di Hegel il suo nome è noto soprattutto
per il mirabile saggio Hegel e lo Stato (1950), a cui si deve non poco dell'interesse rinato intorno al
filosofo di Stoccarda a partire dalla metà degli anni '50. Il procedere cristallino dell'argomentazione
e il rigore dell'analisi testuale rendono quest'opera un punto di riferimento ancora saldissimo in
materia: insuperata è la chiarezza con cui Weil fa piazza pulita delle superficiali e pretestuose
etichette di oscurantista e reazionario che ad Hegel erano state affibbiate dopo il 1848, ed avevano
quindi imperversato per un secolo. Hegel viene ricollocato all'altezza del campo problematico, delle
tensioni e delle contraddizioni della società moderna: lui, che forse più di ogni altro ne ha compreso
la struttura storica fondamentale, la forma dello spirito che essa incarna, ne ha esplorato i pericoli e,
parimenti, le possibilità di realizzazione di un ordine razionale ad essa immanenti. Chi apra il
volume weiliano Philosophie Politique (1956)2, che segue Logique de la Philosophie (1950) e
precede Philosophie Moral (1963) nella composizione del “trittico” sistematico weiliano, ritroverà
l'incedere argomentativo hegeliano ad ogni passo, ne ripercorrerà le figure concettuali (a partire
dall'importanza assunta dalla categoria di universale concreto) in un contesto che dona loro attualità
1 Secondo quanto riportato da Marco Filoni nella bella biografia kojeviana Il filosofo della domenica (Bollati Boringhieri 2008). Ovviamente lo Hegel di Kojeve doveva risultare tutt'altro da quello di Weil.
2 Un'opera la cui profondità fu immediatamente colta da Francesco Valentini nel suo importante libro del 1958 La filosofia francese contemporanea (Laterza).
e vividezza: esse divengono i nodi strutturali delle dinamiche di socializzazione intrinseche alla
società moderna, così come lo scandaglio per saggiarne la Vernunftigkeit e le possibilità etiche.
Anche la produzione filosofica autonoma di Weil, pertanto, si pone sotto il segno di Hegel, per due
motivi fondamentali: le categorie della ragione sono suscettibili per Weil di uno svolgimento
autonomo e di peculiari potenzialità conoscitive, non riducibili ad apparato epistemologico delle
scienze positive, ma volte all'apertura della possibilità di una vita sensata e giusta; esse tuttavia, ed è
il secondo motivo, acquistano il loro carattere vivente solo nella concretezza dell'agire storico
dell'uomo, e attraverso il suo linguaggio e le sue pratiche danno forma alla realtà. Weil è stato tra i
pochi filosofi autentici del ventesimo secolo che abbia saputo mantenere con Hegel un rapporto di
assimilazione critica costruttivo e fecondo; per questo la prestigiosa assegnazione a Weil
dell'intervento di apertura, significativamente intitolato Hegel et nous, al congresso internazionale
hegeliano di Urbino del 19653 rappresenta a mio avviso il riconoscimento più adeguato del suo
contributo ad un compito che ancora oggi merita di essere perseguito, in modo forse sempre più
urgente: far sì che Hegel ci parli, liberare il potere della sua filosofia di interrogare ancora il nostro
presente e di destrutturarne la presunta razionalità, disponendo il pensiero e l'azione alla razionalità
autentica della Vernunft. In questo Weil è stato maestro; lo studio della sua interpretazione di Hegel,
che occupa il presente lavoro, deve essere inteso secondo quanto Adorno ebbe a dire,
polemicamente, di Croce: piuttosto che chiedersi che cosa di Hegel sia vivo o morto, ovvero che
senso abbia ancora Hegel per il presente, occorre domandarsi quale sia il senso del presente di
fronte ad Hegel.
Per quanto il profilo dello Hegel di Weil risulti in modo abbastanza netto anche dai pochi scritti
(oltre a Hegel e lo Stato) a lui esplicitamente dedicati, è tuttavia all'opus magnum di Weil, la
Logique de la Philosophie, che dobbiamo rivolgerci. Opera complessa, profonda, a tratti ostica,
ricchissima di spunti interpretativi e con pochi eguali nel secolo ventesimo per capacità di
3 Vale la pena di ricordare che Weil ha intrattenuto con Urbino (e poi con Pisa, in entrambi i casi grazie all'interessamento di Arturo Massolo, il quale ha insegnato in entrambe le città lasciando segni profondi) un rapporto molto intenso, i cui frutti sono maturati nella luminosa figura di Livio Sichirollo: a Sichirollo dobbiamo la traduzione in italiano degli scritti di Weil e la promozione degli studi weiliani in Italia.
penetrazione ed ampiezza delle proposte teoretiche. Ancora poco studiata, è probabilmente a
tutt'oggi, come scriveva Gian Mario Cazzaniga un quarto di secolo fa, in anticipo sui tempi. 4 La
sfida di Weil si misura tutta nella costruzione di un Sistema categoriale che sia circolare ed
autofondato (così si presenta la Logique), ma che si vuole post-hegeliano - nell'impianto
problematico tanto quanto nei risultati - nonostante il suo asse portante sia la categoria di Assoluto,
ovvero la filosofia di Hegel: la categoria in cui, per Weil, il discorso filosofico si rende intelligibile
a se stesso, si autocomprende. E' pertanto nel percorso accidentato e forse impraticabile di una
critica immanente ad Hegel che si gioca il successo della proposta filosofica autonoma di Weil; un
percorso per il quale sembra mancare il terreno sotto ai piedi non appena lo si intraprende: come è
possibile accettare la filosofia di Hegel e al contempo ambire ad uscirne in modo positivo, se essa
pretende di dominare la sorgente di ogni significato del reale? É veramente possibile fare del
sistema hegeliano un momento di uno sviluppo razionale che lo trascende? Può Hegel essere per
Weil ciò che Spinoza fu per Hegel?
Lasciamo per adesso in sospeso questa domanda (che poi è la domanda del presente lavoro) e
limitiamoci a confermare quanto già abbiamo anticipato: solo alla Logique possiamo rivolgerci,
perché qui soltanto il confronto di Weil con Hegel dissolve i confini dell'interpretazione e diventa
questione radicale posta alla filosofia: la questione che la filosofia deve porre a se stessa per esser
tale, per restare fedele alla propria vocazione e definire il proprio compito. Logica della filosofia
significa precisamente questo: comprensione della filosofia come condotta umana che dischiude
una possibilità peculiare di comprensione dell'esperienza, quella che ne rivela il senso complessivo
e l'espressività razionale, esperienza della verità. Su questo terreno Weil si confronta con Hegel e
con la dialettica, e tenta di uscirne vincitore: tenta di dimostrare che la filosofia di Hegel è un
gradino necessario (l'unico veramente necessario) ma non riesce ad adempiere al compito che si
propone, quello di aprire all'uomo la possibilità di una vita giusta e felice; tenta quindi di elaborare
una strategia razionale, cristallizzata in Sistema, che faccia tesoro della dialettica ma ne superi le
4 Nella presentazione del testo weiliano L'Action in Marx e i suoi critici, a c. di G.M. Cazzaniga e Domenico Losurdo, QuattroVenti, Urbino 1987.
difficoltà interne.
Queste difficoltà si possono per Weil concentrare in un unico punto: l'incapacità del sistema
hegeliano di comprendere il ruolo fondativo che la violenza svolge per la filosofia. Su questo nodo
decisivo, per Weil, Kant sopravanza Hegel5. Su tale incapacità teorica, che dopo le due guerre
mondiali e il nazionalsocialismo è divenuta anche imprescindibile urgenza storica ed etica, Weil fa
leva per superare Hegel e realizzare la possibilità (di nuovo: teorica, storica, etica) di una Logica
della filosofia, di una auto-comprensione veritativa del discorso filosofico.
In questa sede il nostro scopo non può consistere in una analisi della progressione categoriale della
Logique; il nostro testo di riferimento sarà al contrario l'Introduzione all'opera, che ci permette di
articolare due livelli di discorso:
– una panoramica sui concetti-chiave della Logique e sui suoi nodi tematici strutturali, che ci
permetta di coglierne la portata e le motivazioni filosofiche di fondo;
– un contestuale rendiconto del confronto critico con Hegel che innerva fin dalla radice
l'albero concettuale della Logique.
Può essere opportuno, per chiarezza ermeneutica, anticipare le conclusioni che ne trarremo:
riteniamo che la filosofia di Hegel si dimostri in realtà eccedente rispetto alla categoria di Assoluto,
e quindi alla funzionalità come gradino necessario verso una Logique de la Philosophie: essa
contiene in sé istanze problematiche, raccolte intorno al rapporto tra ragione, violenza e storia, che
ne impongono un ridislocamento complessivo e si mostrano infine solidali proprio al domandare
radicale weiliano che si proponeva di superarle. Ma, ed è questa forse la motivazione più intima
della presente ricerca, è appunto l'interrogazione filosofica di Weil che sollecita il tessuto
concettuale hegeliano a rivelare aspetti che forse, altrimenti, rimarrebbero celati alla comprensione.
I. DISCORSO E VIOLENZA COME FATTORI COSTITUTIVI DI OGNI MODO DI VITA.
Volgiamoci adesso ad una introduzione ragionata ai concetti operativi fondamentali della Logique,
quali discorso, violenza, categoria e attitudine, cercando allo stesso tempo di portare allo scoperto il
5 Questo filo conduttore struttura i saggi weiliani contenuti in Problèmes kantiens (1963).
principio che la informa e lo scopo filosofico che la anima. Come già abbiamo anticipato, la
sistematicità è probabilmente il tratto più appariscente – per molti il più sospetto - dell'opera, oltre
che quello che più deve alla lezione hegeliana: la Logique si presenta come una successione di
categorie filosofiche (Verità, Non-Senso, Vero e Falso, Certezza, Discussione, Oggetto, Io, Dio,
Condizione, Coscienza, Intelligenza, Personalità, Assoluto, Opera, Finito, Azione, Senso e
Saggezza) che trova conferma della propria validità nella circolarità che riesce ad imprimere al loro
ordine. Lo svolgimento categoriale ha in sé, inscindibili, un momento logico ed un momento
storico, ma dal lato della storia le categorie della Logique non coincidono con le singole filosofie,
come accade nella Storia della Filosofia di Hegel, quanto piuttosto con modelli ideali di
organizzazione di un discorso coerente; dal punto di vista logico, Weil si premura di distinguerle
dalle categorie metafisiche, ovvero quelle di Aristotele, Kant e della hegeliana Logica dell'Essere:
“categorie metafisiche: ossia le categorie sviluppate della metafisica per le scienze particolari.
Sono quelle alle quali di solito si pensa quando si parla di categorie … quei concetti
fondamentali che determinano le questioni secondo le quali considerare o analizzare o
discutere tutto ciò che è per sapere cosa ne è. Sono metafisiche nel senso che solo la scienza
prima, quella dell'Essere in quanto tale, può fornirle; ma sono per essenza scientifiche nel loro
uso; detto altrimenti, sono elaborate dalla metafisica ma non la indirizzano.”6
Per contro, la Logique
“si occupa delle categorie metafisiche solo in quanto mettono in luce le categorie filosofiche,
quei centri di discorso a partire dai quali un'attitudine si esprime in modo coerente (oppure,
nel caso delle attitudini che rifiutano ogni discorso, può essere colta dal discorso della
filosofia)”.7
La curvatura che Weil imprime a quella che, comunque, non rinuncia a caratterizzare come filosofia
prima8 si lascia comprendere proprio a partire da tale distinzione: la Logique non è una filosofia
6 Logica della Filosofia, Il Mulino 1997, trad. it. Livio Sichirollo, p. 207 in nota.7 Ivi, p. 208.8 Ivi, p. 104: “nel corso di tale lavoro essa si costituisce come filosofia prima, fondamento di ogni filosofia ulteriore,
qualunque sia il suo nome: ontologia, morale, psicologia, politica, filosofia della natura, dell'esistenza o della scienza; nella Logica della Filosofia tutte si comprendono, tutte, nel loro senso per l'uomo che le fa.”
dell'Essere, ma una filosofia del Senso; suo oggetto sono i principi discorsivi o traducibili in
discorso (come, al limite, i miti, o in generale i sistemi simbolici) che orientano i modi di vita, e che
essa “libera” dalle attitudini, dai modi di vita concreti per comprenderli globalmente come discorso
dell'uomo, come possibilità di esperienza. La comprensione delle categorie filosofiche in un unico
discorso sistematico non struttura un sistema dell'Essere, ma le restituisce alla vita in quanto opera
dell'uomo, precipitato del senso del suo agire concreto nella comunità e risultato di scelte: a
sorreggere il discorso filosofico è un peculiare circolo ermeneutico di de-reificazione delle strutture
di senso dell' θοςἦ e loro comprensione quali manifestazioni della libertà dell'uomo come rifiuto del
non-senso e della violenza. La Logique muove dal presupposto che tale comprensione potrà
pretendersi fondata solo se il discorso stesso sarà portato ad autocomprendersi, se si rifletterà in se
stesso scandagliando tutte le possibilità categoriali che gli sono aperte. Il discorso filosofico che
comprende se stesso in una Logique ordinerà le categorie come possibilità particolari, coerenti in se
stesse ma vincolate ad un'attitudine determinata e a specifici assunti discorsivi, seguendo il filo
della coerenza assoluta, del discorso illimitatamente coerente: discorso che comprenda tutta la
realtà e se stesso; come vedremo, si tratta proprio della affascinante e problematica rilettura
weiliana di Hegel.
“La logica della filosofia è così la successione dei discorsi coerenti dell'uomo, e il suo orientamento
è dato (per noi) dall'idea del discorso coerente che comprende se stesso.”9 Alla progressione delle
categorie corrisponde una gerarchia di attitudini che, pur non confutabili perché in sé coerenti,
saranno più o meno adeguate nel manifestare la loro verità, ciò che le sostiene e le fonda come
possibilità umane:
“Questi discorsi saranno particolari, poiché le attitudini che vi prendono coscienza di sé sono
attitudini particolari dal punto di vista del discorso coerente, attitudini che distinguono tra un
essenziale e un inessenziale, e di conseguenza non accettano nel suo carattere positivo tutto
quello che è loro dato e che riconoscono come dato.”10
9 Ivi, cit., p. 104.10 Ivi.
Ogni modo di vita, ogni attitudine, in se stessa e per essere tale, è pertanto una maniera specifica di
rifiutare la violenza, di organizzarne l'irriducibile possibilità in un positivo e gerarchico complesso
di senso; l'esperienza umana, come condizione positiva della propria globale sensatezza, accoglie in
sé il negativo, la propria ineliminabile finitezza ed esposizione alla nientificazione di sé, e impernia
su di esso un rapporto peculiare, che la costituisce e la struttura. Questa la condizione originaria di
esperienza che la distinzione tra un essenziale e un inessenziale, immanente ad ogni attitudine,
manifesta e realizza; adattando liberamente una terminologia kantiana, potremmo scorgere, come
elemento costitutivo di ogni attitudine e pertanto come fondamento della sua esplicitazione
discorsiva, una dialettica tra Schranke e Grenze: la mobilità della Schranke che definisce il rapporto
tra valori essenziali ed inessenziali, manifestandosi nell'azione come progressiva riduzione e
delimitazione dell'inessenziale e della violenza da parte della ragionevolezza, ha come suo
fondamento una Grenze che preliminarmente articola il loro rapporto secondo una modalità
peculiare, una determinata attitudine, la quale trova in tale limite costitutivo la propria
intrascendibile condizione di senso. Il limite e la finitezza che inficiano ogni modalità
dell'esperienza umana, e che consistono in uno strutturale rapporto alla violenza e alla negatività,
parimenti ne definiscono il carattere qualitativo determinato, la modalità specifica che l'azione dei
singoli può realizzare e approfondire; suggestiva è la consonanza con la hegeliana dialettica del
limite nella Logica dell'Essere: il discrimine che situa il punto in cui il qualcosa, allo stesso tempo, è
e non è, la sua intrinseca contraddizione con se stesso, la soglia del proprio nulla e della propria
inevitabile dissoluzione, è parimenti ciò che de-termina e costituisce il qualcosa nella sua qualità
specifica, e perciò fonda la possibilità di quel rapporto a sé nell'alterità che riceve una prima e
significativa tematizzazione, immediatamente dopo, con la dialettica tra finito e infinito.
Echi kantiani ed hegeliani confluiscono pertanto nell'analisi che Weil compie della struttura formale
dell'esperienza come attitudine, attualizzazione nel vissuto di condizioni di senso che il discorso
può esplicitare. Ogni attitudine si situerà tra i poli della coerenza assoluta, dell'inclusione del
positivo come tale in un discorso che comprenda tutta la realtà, e dell'assoluto non-senso, del rifiuto
di ogni discorso, quali estremi che non rimangono semplici astrazioni, ma rappresentano possibilità
reali immanenti al discorso e all'azione; il loro insorgere storico, da Weil categorizzato come
Assoluto e Opera, dischiude al contrario la possibilità stessa di una Logique de la Philosophie, della
radicale comprensione dello statuto e dei limiti della pratica filosofica.
Discorso assoluto ed assoluta violenza, abbiamo detto. Ma il terreno che si apre tra questi due
estremi, e in cui si situano le attitudini concrete, non le appiattisce, come abbiamo anticipato, in una
completa equivalenza dei loro assunti. Se la violenza ed il rapporto alla violenza, rivelandosi come
costitutiva Grenze di ogni modalità di vita, non sono eliminabili, vi sono attitudini che ignorano la
propria condizione di possibilità, esprimendosi in forme esclusiviste e unilaterali, ed altre che
invece essenzialmente la manifestano e la custodiscono; è il caso della categoria di Action che,
trasponendo nella concretezza dell'agire proprio l'intreccio tra finito ed infinito, tra Assoluto e
violenza, che definisce ogni attitudine come tale - come possibilità d'esperienza – è in grado di
rendere intelligibile la possibilità di una politica adeguata alle proprie funzioni e ai propri limiti.11
La Logique profila pertanto un movimento ascendente tra possibilità discorsive che permangono
scelte libere ed inconfutabili (e in questo senso non sono sottoposte ad una Aufhebung dialettica),
relativamente coerenti, ma che sono gerarchizzate in base alla loro maggiore o minore capacità di
esprimere il proprio fondamento originario come esperienza del senso e della libertà. Resta da
capire in che modo la filosofia stessa può dirsi scienza del senso, come può realizzare e manifestare
nel proprio discorso, rendendola essenzialmente intelligibile, la possibilità originaria dell'esperienza
che sottende ad ogni θος. ἦ Questo il compito che Weil assegna all'Introduzione alla Logique.
II. IL FILOSOFO E LA COMUNITA': SATISFACTION E CONTENTEMENT
L'Introduzione alla Logique è un testo filosofico autonomo e autosufficiente. Scritto
successivamente alla Logique, ne è in effetti una interpretazione-riscrittura secondo altri parametri
11 La categoria di Action, il cui riferimento storico e sociale essenziale è la pratica -più che la dottrina- marxista, rappresenta la condizione di intelligibilità della Filosofia Politica, proprio come quella di Conscience è alla base della Filosofia Morale.
organizzativi12 ma giungendo alle stesse conclusioni. Per noi, presenta l'indiscutibile vantaggio di
anticipare il significato e la portata delle nozioni introdotte da Weil, che potranno comunque essere
legittimate solo dallo svolgimento categoriale vero e proprio; ma in un certo senso il movimento
che l'Introduzione articola è a tutti gli effetti un altro sistema, che ritorna circolarmente sui propri
presupposti e si riflette in se stesso. La sua immanente scansione vive di tre momenti: riflessione
sulla filosofia, riflessione della filosofia, filosofia e violenza. Un ritmo triadico, che tuttavia,
rispetto al precedente hegeliano, non segna una progressiva autonomizzazione del movimento auto-
riflessivo secondo lo schema identità-distinzione-identità ripristinata, ma configura un moto
rovesciato: in un primo momento la filosofia, interrogata sulla sua essenza, esibisce determinazioni
ad uso di una riflessione su di essa, ad essa esterna e presupposta; in un secondo momento la
riflessione si fa immanente alla filosofia, è riflessione della filosofia stessa che si comprende
secondo i propri mezzi e, con il discorso assolutamente coerente - con Hegel -, giunge a porre
compiutamente i propri presupposti; in un terzo momento, che è lo specifico weiliano e si pensa
come superamento di Hegel, la filosofia è costretta a fare spazio al proprio altro, la violenza:
filosofia e violenza. Esperienza del senso assoluto del vivere umano – in quanto comprensione della
condizione originaria di ogni senso –, la filosofia rinuncia a porsi come l'Assoluto dell'esperienza,
scoprendosi strutturalmente infrangibile da ciò a partire da cui si costituisce, ovvero il non senso e
la violenza; e così facendo scopre il suo valore come possibilità dell'uomo, come scelta libera e
radicalmente contingente. Per Weil, solo dismettendo i panni curiali di Assoluto dell'esperienza e
accettando la propria finitezza, la filosofia può assumere radicalmente la propria vocazione di
esperienza assoluta in quanto comprensione dell'unità dinamica di θος ἦ e λόγος, in termini weiliani
di attitudine e discorso.
Che cos'è l'uomo? Quali sono le determinazioni essenziali della sua natura? Sarebbe difficile negare
che è proprio questo il problema della filosofia; in ogni caso con tale domanda inizia l'Introduzione:
con tutta evidenza si tratta del filo che Weil assume per indirizzare il pensiero verso l'essenza della
filosofia e il suo senso. Se si vuole, è l'indice dell'inflessione antropologica del pensiero di Weil,
12 Per questo aspetto si veda l'incisivo saggio di P.F. Taboni (1981).
come autorevolmente sottolinea Paul Ricœur13; ma, nelle intenzioni di Weil, lo è soltanto perché la
filosofia in quanto tale è, nella sua essenza, antropologia. L'uomo, dunque. L'uomo, si sa, è ζῷον
λόγον χονἔ , essere dotato di ragione e di linguaggio. Ma cosa stiamo dicendo veramente dell'uomo
quando pretendiamo di definirne la natura? Quale pre-comprensione dell'umano stiamo facendo
agire?14 In effetti, nota Weil, l'uomo per lo più non è affatto ragionevole e non dispone di un
linguaggio ragionevole. Definire l'uomo per genere e differenza specifica avrà allora il senso di
individuarne la Bestimmung nel senso di destinazione, ciò che l'uomo è tenuto a fare per essere
davvero se stesso. Noi non sappiamo pertanto che cosa significhi ragione, ma il tentativo stesso di
definire l'uomo ci rivela che non può trattarsi di una proprietà dell'uomo come il verde è la
proprietà delle foglie; l'uomo non esiste alla maniera delle cose naturali, sebbene possa spingersi,
come possibilità-limite, a diventarlo: l'uomo è ciò che fa, è il suo proprio divenire:
“l'uomo è addirittura l'essere che non è poiché è per essenza il proprio divenire, e questo
divenire non è un divenire naturale e descrivibile, ma il suo proprio farsi (se-faire)”.15
Questa destinazione essenziale dell'uomo, questo suo esser sempre e drammaticamente consegnato
alla propria storicità, illumina indirettamente, imponendoci di sottrarlo al modo d'essere delle cose,
proprio l'essenza del λόγος che sappiamo definirlo:
“la ragione non si descrive dall'esterno, come un altro, è lei che che descrive se stessa,
ammesso che si descriva: si mette in movimento, si genera, si produce, è oggetto solo perché –
e nella misura che – è soggetto, ed è soggetto solo separandosi da tutto ciò che non è oggetto e
opponendovisi”16.
Vi è una sorta di sintassi che informa il discorso delle grandi filosofie, asserisce Weil, e in ognuna di
esse è difficile non ritrovare questi caratteri associati all'atto razionale; essi evocheranno
13 Nel suo intervento Da l'Absolue a la Sagesse raccolto negli atti del convegno weiliano di Chantilly (1982). 14 Il metodo dialettico di Weil è a nostro avviso fecondato dalla lezione hegeliana, ma quasi come un lascito
inconsapevole, introiettato grazie ad una tenace lettura dei testi. Ciò che Hegel fa e che finisce per fare anche Weil non coincide infatti probabilmente con ciò che Hegel sostiene di fare, né tanto meno con ciò che una lunga tradizione afferma che Hegel starebbe facendo; l'essenza del suo procedimento consiste nel dislocare un livello di senso del discorso oltre i limiti all'interno dei quali pretende di valere: un sistematico straniamento del punto di vista, che Weil pratica in quei momenti della sua analisi in cui compaiono espressioni come: “ma cosa intendo realmente dicendo questo? Ciò che ho fatto ha davvero il senso che gli ho attribuito facendolo?”.
15 Logica, cit., p. 12.16 Ivi, p. 14.
inevitabilmente l'idea di un infinito sulla base del quale le cose finite, ciò che è al modo di un
oggetto, possano essere conosciute e valutate. Il λόγος non può non essere concepito, in prima
istanza, come atto puro, ciò che è in senso primo ed eminente perché non sopporta alcun predicato,
l'indicibile. E tuttavia, prosegue Weil, ciò che ogni filosofia fa per comprendere l'uomo –
comprenderlo, non spiegarne la genesi naturale: si tratta di comprendere l'uomo per se stesso e per
la vita, non per la scienza - è proprio dire l'indicibile, parlare della Ragione. E non potendo
attingere alla Ragione nella sua purezza, ne svolgerà necessariamente una fenomenologia nelle
azioni umane.
L'uomo è il suo proprio divenire, abbiamo detto. Ciò significa, nel piano concreto sul quale adesso
ci dobbiamo collocare, che l'uomo non vuole essere ciò che è, che è l'unico tra gli animali ad
utilizzare il suo linguaggio per dire no. Di più: il suo linguaggio è lo strumento di questa sua
essenziale negatività, egli parla solo di ciò che non è.17 Il linguaggio è pertanto l'elemento che situa
l'uomo nel costitutivo superamento di sé, nell'eliminazione della sofferenza, nella ricerca, secondo il
termine di Weil della satisfaction. Ecco che, ricalibrando l'essenza della Ragione su quello che si è
palesato, a livello fenomenologico, come il comportamento fondamentale dell'uomo, Weil può
affermare:
“il linguaggio è ragionevole se e quando permette questo intervento dell'uomo nel dato, questa
trasformazione della natura – nulla di più, nulla di meno: non conta che l'efficacia. Essere
ragionevole significa: essere capace di realizzare la propria negatività, non solamente dire no
a ciò che è, ma produrre da ciò che è ciò che non era ancora”.18
Di rimando, siamo ragguagliati su quello che, a questo livello, non può non essere il senso
dell'opzione filosofica: “se l'uomo è l'essere che non si accontenta del dato, non si accontenterà
neanche di quell'essere dato che è il suo proprio e che consiste nel negare il dato”.19 Il filosofo,
17 Proprio il tentativo di dire immediatamente ciò che è, come insegna Hegel nella dialettica della Certezza sensibile, si rovescia nel proprio opposto, nel dire solamente l'universale. Ma così facendo rivela l'essenza del linguaggio, il suo essere strumento di negatività del dato in quanto dato. Che poi Weil giunga a pensare, al termine della Logique, il linguaggio come poiesi e avvento del senso, non toglie nulla a questa straordinaria scoperta, in quanto si colloca ad un altro livello analitico – che proprio Hegel contribisce ad aprire.
18 Logica, cit, p. 17.19 Ivi.
rendendosi conto che la modificazione del dato in vista della satisfaction non libera dal dato in
quanto tale, ma anzi vi rimanda strutturalmente, riproducendo in modo incessante il desiderio e
l'insoddisfazione, agisce per liberare l'uomo dal desiderio, per negare la negatività: così facendo,
dissolve l'identificazione tra ragione ed efficacia – e, contestualmente, tra bonheur e satisfaction –
collocando in una nuova dimensione di senso l'atto razionale: da strumento di negazione del dato, di
perseguimento della satisfaction, a libera πράξις in vista dell'εὐδαιμονία, libera in quanto liberatrice.
L'atto filosofico istituisce la dimensione della ragionevolezza ponendo in essere uno scarto
essenziale tra satisfaction e contentement, il termine con cui Weil traduce εὐδαιμονία20. La Ragione
diviene, per usare il termine di Weil, presenza, atto puro, negazione del negativo, della naturalità e
dell'insoddisfazione dentro e fuori l'uomo.
Così facendo ci siamo impadroniti, afferma Weil, dell'unità dei problemi filosofici: ne abbiamo
decifrato l'originaria costellazione di senso. In merito, un'osservazione di carattere generale sullo
stile argomentativo della Logique può essere opportuna. Ciò che ad una prima lettura più colpisce
della Logique de la Philosophie è forse l'apparente ingenuità con cui Weil svolge una
fenomenologia della vita filosofica nei suoi aspetti più basilari, rivolgendosi in particolare al genio
greco, in cui il filosofare è essenzialmente un modo di vivere. La cifra stilistica dell'argomentare
weiliano consiste, in larga parte, in una teatralizzazione del pensiero: in una costante traduzione del
mondo dei concetti in scelte effettive di individui concreti in un contesto drammatico; la scena
primordiale di questo teatro filosofico è la contrapposizione del filosofo, che ricerca la felicità ed il
Bene e tiene un discorso su di essi, alla comunità, che tiene a sua volta un discorso, ma parla il
linguaggio del lavoro e degli interessi particolari. Si tratta, se si vuole, di una sorta di catarsi del
pensiero, che tuttavia non mira tanto a ristabilire nella sua purezza il filosofare delle origini, bensì a
chiarire, della filosofia, il persistente statuto problematico: il filosofare è un problema, poiché la vita
sensata e felice, per il filosofo e per la comunità, non può presentarsi come una scelta disponibile tra
le altre, più o meno appetibile ma comunque già istituzionalmente definita, ma sempre e soltanto
20 Anche se non possiamo in questa sede approfondire questo essenziale riferimento -in primis- aristotelico, è bene tenere presente che per molti aspetti Aristotele è, insieme a Kant e Hegel, il filosofo di Weil.
come un enigma. La ricerca del contentement da parte del filosofo avviene sempre sullo sfondo di
una comunità organizzata secondo un determinato θοςἦ e codificata in assetti di senso che
definiscono gli ambiti dell'agire strumentale e della satisfaction. Da tutti coloro che, indisturbati,
continuano ad agire secondo questi criteri, il filosofo sarà guardato con un atteggiamento che oscilla
dalla curiosità all'indifferenza fino all'ostilità, ma la cui cifra complessiva resta un'alterità
incolmabile. A partire da qui possiamo capire come questa opzione stilistica non sia estrinseca, ma
abbia un preciso valore contenutistico, in quanto traduce in comportamento concreto proprio quel
rapporto tra filosofia e violenza che si tratta di comprendere quale condizione di possibilità della
filosofia stessa. Infatti, il rifiuto della filosofia da parte della comunità non può non diventare un
problema per il filosofo; non un problema pratico, poiché nulla di male può capitare a chi persegue
la σοφία, la presenza: al limite, potrà essere ucciso, ma rimanendo certo di disporre del bene più
grande, la libertà, rispetto al quale la morte non può nulla e che anzi finisce per avvalorare. Il rifiuto
della filosofia è un problema filosofico, concernente lo statuto e le possibilità della ricerca
filosofica; questo perché l'accontentarsi della satisfaction e della ragione meramente strumentale
non è un errore che la filosofia possa confutare con argomenti particolarmente convincenti o
logicamente inattaccabili, ma è una disposizione anteriore a qualsiasi sistemazione discorsiva.
Il riconoscimento, da parte del filosofo, della libera possibilità di rifiutare la filosofia, benché
frustrante, rende in verità il servizio più prezioso a chi sappia disporsi a comprenderne il portato di
senso. Esso ci dice, infatti, che anche la filosofia è dovuta ad una libera scelta anteriore qualsiasi
giustificazione: “il filosofo sceglie liberamente la ragione, liberamente – quindi senza ragione”.21
Ogni argomento in favore della ragione portato al non filosofo presuppone la scelta a-ragionevole
della ragione: a-ragionevole non perché irragionevole, ma in quanto atto originario di istituzione
della possibilità di ragionevolezza e di comprensione. Alla possibilità di rifiuto della filosofia,
all'irriducibile dato di un altro della filosofia, il filosofo deve l'intelligibilità stessa dell'opzione
filosofica, come generata dalla libertà e per la libertà contro il non senso e la violenza: una
scaturigine anteriore a qualsiasi distinzione vero-falso, a qualsiasi argomento e pertanto alla
21 Ivi, p. 29.
comprensione stessa.
Weil non esita a tirare le somme del ragionamento fin qui condotto: alla lunga tradizione secondo la
quale la filosofia nascerebbe dallo stupore e dalla meraviglia, Weil oppone la nascita della filosofia
dalla paura. Il filosofo, per Weil, è vile, in un senso del tutto specifico e primario rispetto alla viltà
ordinaria. Non è infatti vile perché manchi di coraggio, o perché fugga di fronte al pericolo. Al
contrario, da questo punto di vista il filosofo è l'uomo più coraggioso, in grado di affrontare la
morte o il toro arroventato senza temere di perdere il bene essenziale, la cittadella interiore della sua
libertà ragionevole. Il filosofo è vile perché teme di temere, perché teme la paura stessa; la paura è il
sentimento dell'uomo di fronte alla violenza e alla nientificazione del senso del suo esistere: il
filosofo sa che può dominarsi di fronte alla violenza, ma avverte che la violenza del proprio
desiderio, della natura in lui e fuori di lui, è altrettanto in grado di scalzare le sue difese. Proprio
perché armato e coraggioso contro il non senso, il filosofo ne percepisce il potere nientificante: solo
a lui, che può sconfiggerla e sempre la sconfigge, è intelligibile la violenza come violenza; al non
filosofo, al contrario, non è accessibile tale comprensione, mostrandosi la violenza sempre e
soltanto nel suo aspetto “ontico”, già incanalato secondo assetti di senso destinati ad esorcizzarla e
come annullamento di aspetti limitati e parziali del proprio esistere.
Paura della paura significa quindi paura della violenza come tale. In quanto sentimento dischiuso
unicamente dalla scelta per la filosofia, esso rivela al filosofo il senso della filosofia stessa:
strutturalmente rapportata al suo altro, al non senso, la filosofia nasce come scelta primaria e
ingiustificabile per il senso. Ma in tal modo, al filosofo è aperta una via di parziale riabilitazione del
mondo del desiderio e della comunità del lavoro e della satisfaction, nella misura in cui il suo
proposito diviene l'eliminazione della violenza e l'instaurazione di una comunità, per quanto
possibile, ragionevole: questo Weil intende proclamando “la necessità per la filosofia di realizzarsi
nel mondo della violenza”22.
III. COERENZA DEL DISCORSO ED INCOERENZA DELLA COMUNITA'
22 Ivi, p. 33.
Questo il quadro in cui la filosofia rende intelligibile a se stessa la propria possibilità: essa può
adesso riflettersi in se stessa e valutarsi in basi ai propri parametri. Il primo di questi parametri è la
coerenza. Un discorso coerente è un discorso non contraddittorio: il filosofo sa di poter misurare le
proprie ragioni sulla base delle contraddizioni che induce nei discorsi degli interlocutori; la
necessità di coerenza stringe in un legame inscindibile filosofia e logica, soprattutto nella misura in
cui questa si presenta come dialettica, come la logica del dialogo e della confutazione nel dialogo.
Ma la filosofia è ben lungi dal poter ritrovare nella logica tutti gli elementi per comprendersi nella
propria specifica possibilità, per riflettersi in se stessa. Al contrario,
“la contraddizione non può presentarsi che là dove qualche cosa, fosse pure una sola tesi, è
riconosciuta come valida da tutti i partecipanti del dialogo …. non bisogna discutere con colui
che nega i principi, quelle tesi che, evidenti per tutti, non richiedono e non ammettono
discussione ma formano gli elementi sui quali ogni discussione si fonda”.23
La logica pertanto non costruisce il discorso, ma lo depura dalle contraddizioni, è eminentemente
όργανον; la filosofia, per intendersi in maniera radicale, deve rimandare strutturalmente alla
sostanza sociale nella quale il dialogo sorge; vi è dialogo, infatti, solo nella misura in cui si è
partecipanti di una comunità che hanno già rifiutato la violenza, e che della comunità accettano
l'essenziale, ovvero che vi sia un θος: ἦ che poi alcuni ritengano che debba essere conservato, ed
altri modificato, è tutto sommato secondario rispetto a questo fatto fondamentale. La filosofia nasce
nel dialogo come tentativo concertato di coerentizzazione logica degli assunti soggiacenti al
peculiare modo di vita della comunità.
Tutto questo è essenziale, eppure non è sufficiente a tracciare un quadro in cui il modo
specificamente filosofico di esperire il mondo possa dispiegare tutte le proprie potenzialità. La
violenza è infatti esclusa solo tra i partecipanti del dialogo, ma l'organizzazione sociale impedisce,
ad esempio, a barbari e schiavi di prendervi parte. Le specifiche clausole di esclusione vigenti nella
società si riflettono e si ripercuotono nelle modalità del dialogo, falsandone in partenza gli assunti,
poiché proprio la necessità, ad esso intrinseca, di una coerenza e di un accordo assoluti, proietta la
23 Ivi, p. 37.
filosofia in una dimensione universalistica sconosciuta all' θος ἦ che si propone di discutere.
Significativa è la situazione teorica che Weil introduce ai fini di una auto-riflessione della filosofia:
essa ne richiede una completa storicizzazione, vincolandola alla presa di coscienza di un
determinato modo di vita; ma così facendo, lungi dall'essere appiattita sulla storia e relativizzata, la
possibilità filosofica manifesta una propria originaria ed irriducibile autonomia, che si palesa nel
momento in cui il filosofo è costretto, per tener fede ai propri assunti, a distaccarsi proprio dalla
comunità che intendeva sostanziare e legittimare. La filosofia come libera autocoscienza della
comunità pone così in essere una differenza reale tra se stessa e la comunità, tra θος ἦ e λόγος, nel
momento stesso in cui si proponeva di annullarla; e questo non perché il modo di vita della
comunità sia completamente irragionevole, ma in quanto rivela una ragionevolezza solo parziale,
una qualità specifica, un modo peculiare di gestire ed organizzare la violenza e la negatività che
potrebbero annientarla. Ogni comunità, per istituirsi come tale, deve sacralizzare determinati aspetti
della propria vita sociale ed esprimere una qualche concezione del giusto e del bene che
inevitabilmente polarizzerà l'insieme dei “veri uomini” escludendo i non uomini. La filosofia, se da
un lato accetta preliminarmente i principi inevitabilmente particolaristici, dall'altro ne rivela il limite
costitutivo, la Grenze che inficia ogni modo di vita e lo costringe al trapasso; valutando in modo
libero la tradizione, essa ha già sorpassato la tradizione stessa, che non resiste al vaglio della
ragionevolezza che si vuole libera e fine a se stessa. Weil si appropria qui della magistrale lezione
hegeliana dell'introduzione alle Lezioni sulla filosofia della storia, in cui si mostra la sostanziale
parentela, come agenti della negatività e della dissoluzione, di pensiero e temporalità. La comunità
è già divenuta un problema, il filosofo è già solo di fronte alla violenza che essa permetteva di
escludere, nella misura in cui il pensiero può agire come libero elemento di valutazione della
tradizione.
La tragica dissoluzione delle forme comunitarie in cui la filosofia si radica e cresce concretizza
un'esigenza che fin dal principio era operante come intima qualità del λόγος filosofico: adesso non
basta più l'accordo con i partecipanti al dialogo, evento che in realtà accompagnava e legittimava il
mutuo riconoscimento dei “veri uomini” tra di loro; di fronte alla violenza, alla morte della
comunità, tutti gli uomini sono uguali, non vi sono né barbari né schiavi. L'accordo dell'uomo in
quanto uomo con se stesso, la coerenza assoluta e completa si mostra adesso come il vero τέλος
della filosofia: questa crisi, afferma Weil, “segna la data di nascita dell'ontologia”.24 In questo
contesto, che sancisce de facto il definitivo distacco tra dialogo e discorso, tra dialettica e filosofia,
anche la contraddizione vede ridefinito il proprio ruolo; se in precedenza, nel contesto del dialogo
della comunità,
“ciascuno degli interlocutori tentava di mostrare che l'altro non solo diceva qualcosa in
contraddizione con le affermazioni del suo avversario, ma si contraddiceva negando un
principio che aveva ammesso (con tutti i veri uomini)”,25
adesso la contraddizione minaccia ogni uomo in quanto uomo, non perché egli non è in accordo con
se stesso – come potrebbe essere altrimenti, nota Weil, se non vi è nessuno che lo contraddice? - ma
perché egli è assolutamente esposto alla violenza in lui e fuori di lui. Il discorso dell'ontologia deve
adesso eliminare la contraddizione “tra ciò che l'uomo dice della realtà e la realtà stessa”: deve dire
l'Essere26.
L'Introduzione ripercorre così in se stessa le conclusioni già raggiunte e le approfondisce,
sostanziandole di contenuti che soltanto adesso si mostrano esplicitamente: ciò che qui siamo
tornati a pensare è la differenza tra satisfaction e contentement, tra la ragione strumentale della
comunità che non conosce se stessa ed i propri limiti costitutivi e la presenza del filosofo che ha
elaborato la tragica finitezza del modo di vivere tramandato ed è solo di fronte alla violenza, che gli
si mostra in tutta la sua purezza. Adesso siamo però in grado di apprezzarne lo spessore e valutarla
nelle sue conseguenze; un aspetto è subito chiaro: la scelta del filosofo per il discorso ontologico,
radicata in un dato θοςἦ ma strutturalmente al di là di esso proprio nella misura in cui ne manifesta
i limiti, non è silenzio ed indifferenza per la comunità in cui sorge, ma elaborazione di un discorso
che mira alla comprensibilità assoluta, che quindi si rivolge ad una data comunità e si concretizza in
24 Ivi, p. 44.25 Ivi, p. 45.26 Ivi. La Logique categorizzerà questo passaggio come transizione dalla Discussione all'Oggetto.
un sistema di scienze in grado di agire su di essa. “Il filosofo deve farsi uomo di scienza (e deve
formare uomini di scienza) per poter vivere come filosofo: tutto ciò che è deve essere penetrato di
ragione, formato e riformato dalla ragione”27. Il discorso ontologico, se non vuole restare
nell'ineffabile dell'Essere puro, deve aprirsi alla molteplicità e al divenire, realizzare un'unità
strutturata ed articolata di Essere e Discorso. Ma ciò implica inevitabilmente la pluralità dei
discorsi ontologici; come se non bastasse, ciascun discorso “è determinato da ciò che ne costituisce
l'essenziale, e l'essenziale è determinato dal discorso”28. Il germe della negatività, che la filosofia
sembrava aver vinto e relegato nella vita storica, irrompe nel cuore stesso della costruzione
ontologica, sancendo la pluralità irriducibile dei discorsi filosofici e la loro incommensurabilità;
ciascuno è infatti imperniato su assunti determinati, proprio come l' θος ἦ della comunità, e trae da
questo limite, al contempo, la sua qualità specifica e la sua unilateralità e finitezza: assunti che, lo
sappiamo, sono sottratti al potere della confutazione logica, poiché rappresentano scelte libere di
condotta della propria esistenza. Al massimo, come ci insegnerà la Logique, potranno esprimere in
modo più o meno adeguato la loro originaria condizione di senso come esperienza di libertà.
In ogni caso, siamo di fronte ad un vero e proprio fallimento dell'ontologia, del Discorso unico
intorno all'Essere. Si tratta di un fatto che manifesta un tratto peculiare della filosofia tout court:
senza pregiudicare l'assoluta comprensibilità da parte di tutti gli esseri razionali, il discorso
filosofico è costitutivamente plurale, in quanto autoriflessione di esperienze sempre particolari e
situate culturalmente e storicamente. La pluralità delle filosofie è per Weil, in clamorosa
contrapposizione agli scetticismi di ogni epoca, la manifestazione tangibile della verità della
filosofia stessa come tale.
IV. IL DISCORSO ASSOLUTO ED IL MONDO MODERNO
E tuttavia, se l'ambivalente fallimento dell'ontologia è evento che, storicamente insorto, pure
manifesta una necessità razionale intrinseca all'esperienza filosofica, esso è del pari indice e
27 Ivi, p. 52.28 Ivi, p. 53.
rivelatore di una determinata situazione storica, quella che Weil chiama la nostra situazione. Il
mondo moderno, per Weil, ha rinunciato all'ontologia in senso classico, come discorso sull'Essere;
parimenti, non ha ripristinato la cornice particolaristica propria della comunità tradizionale e
preludio, via trapasso e dissoluzione delle proprie forme, al discorso ontologico.
“Noi siamo tra coloro che, di fatto, hanno perduto la comunità, che non si preoccupano più di
una sua possibile perdita, della sua morte, ma le hanno attraversate, e sanno che la vita
continua e continua a essere sopportabile”29
Di conseguenza, non indugiamo nella costruzione di un discorso che legittimi la determinata
compagine sociale che ci individua, come era quello dei veri uomini, ma disponiamo di un
linguaggio ragionevole, del linguaggio della lotta, del lavoro e della satisfaction, divenuto
assolutamente pervasivo e apparentemente auto-fondato. Weil sta parlando dell'Illuminismo e di
quel principio discorsivo di orientamento, la Condizione, che permea la società moderna, la società
della perdita della fede, e rigetta qualsiasi legittimazione che non sia interna ai propri parametri di
efficienza: la categoria in virtù della quale, per Weil, siamo gli eredi degli antichi servi.
E tuttavia, prosegue Weil, non possiamo dirci eredi diretti, poiché siamo, altrettanto, gli “eredi del
discorso”:
“la nostra storia è tale che, non avendo più signori, dobbiamo assumerne la funzione … noi
abbiamo così un linguaggio, il linguaggio che ci serve nella nostra vita e per la nostra vita, e
un discorso per mezzo del quale cerchiamo di fare nostra la nostra vita.”30
Eredi degli antichi servi e degli antichi signori: nel riproporre e rileggere la parabola
fenomenologica hegeliana, Weil si distacca dalla teologia atea di Kojéve, nella misura in cui
signoria e servitù non valgono come poli di un conflitto tra parti contrapposte che decifra il senso
della Storia e la conduce alla sua fine, ma come momenti il cui modo specifico di interrelazione
definisce i caratteri dell'epoca moderna rispetto a quella antica: quei caratteri all'origine di maniere
assai diverse di condurre il ragionamento filosofico. D'accordo con Kojève, Weil vede sorgere la
29 Ivi, p. 58.30 Ivi, p. 59.
possibilità di un discorso dell'Assoluto dai tratti specifici dell'epoca moderna, ma a differenza del
filosofo russo non vi legge la fine della Storia tout court (né in senso logico-categoriale né,
ovviamente, in senso storico-sociale), quanto una maniera specifica di organizzazione del discorso
filosofico, quella maniera che, della filosofia, rivela la categoria fondativa e ne consente la
compiuta autoriflessione: come già sappiamo, essa non è tutto ciò che dell'essenza della filosofia
può esser pensato. Seguiamo Weil nei passaggi in cui, sullo sfondo dell' θοςἦ della società moderna,
si staglia la possibilità del discorso assolutamente coerente, per Weil realizzata da Hegel, il quale
porta a compimento l'autoriflessione del pensiero filosofico – senza penentrarne, per Weil, l'essenza.
Non possiamo non ereditare il modo di essere dell'antico servo che lotta contro la natura e dispone
solo di un linguaggio tecnico, se non appropriandoci anche dell'esigenza di discorso universale
incarnata dai “veri uomini” della comunità tradizionale:
“Non possiamo scegliere tra i molteplici discorsi dei signori, noi che viviamo nella, con e
contro la natura del mondo esterno, e non possiamo tuttavia vivere senza un discorso che dia
senso al nostro lavoro, alla nostra vittoria, alla nostra vita.”31
L'uomo della società moderna vive nella Condizione, nella lotta e nel lavoro; e tuttavia la sua vita è
divenuta un problema. Determinato dal complesso di condizioni sociali e dalla divisione lavorativa
dei ruoli, e oggettivato dal discorso scientifico ad esse solidale, l'uomo scopre tuttavia che, se fosse
completamente determinato, non potrebbe neppure tenere un discorso e porre domande: se un fondo
di libertà ed indeterminatezza non agisse in ogni sua condotta, egli non potrebbe neppure pensare la
determinazione. Qui la radice del problema trascendentale: è il discorso stesso che è divenuto
problema, e proprio per questo giunge a pensarsi come possibilità specifica di libertà; questa la
torsione assunta dall'esigenza veritativa sottesa alla conoscenza filosofica, quale si ripresenta nella
cornice dell' θος ἦ moderno: la categoria di Coscienza ne svilupperà i momenti fondamentali.
“Non si tratta più dell'accordo dei discorsi individuali, tutti ricavati da principi riconosciuti da
coloro che discutono, non si tratta di una scelta tra i discorsi che riguardano l'Essere: ciò che è
divenuto problematico è il discorso stesso, la possibilità di parlare di ciò che è in quanto è, o
31 Ivi, p. 62.
meglio, la possibilità di conciliare la libertà dell'uomo con le determinazioni della scienza”.32
Comprendendo la possibilità della libertà, l'uomo mostra a se stesso la possibilità del discorso come
luogo di manifestazione del senso della propria esperienza in quanto esperienza di libertà. Ma in
questo modo anche la filosofia è messa in grado di porre nuovamente e con radicalità il problema
del proprio senso: se, ora come allora, essa trova la sua origine “nella forma concreta dell'esistenza
di questa comunità”33, come libera valutazione e riflessione su ciò che, nella comunità data, vale
come vero, sacro e bene, adesso può concepire questa presa di coscienza come manifestazione della
libertà umana che si esplica in ogni esperienza. Potendo parlare della libertà solo per viam
negationis e quindi solo a partire dal dato, ma certi che ogni dato, nella misura in cui è oggetto
d'esperienza, rivela una maniera peculiare di concretizzare la libertà che risiede al fondo di ogni
esperienza, alla filosofia è dischiusa la possibilità di un discorso assoluto sulla totalità del reale, che
ne riveli il senso globale come manifestazione di libertà. Weil concepisce questo nodo concettuale
in stretta connessione con le possibilità di socializzazione etica intrinseche al “sistema della
proprietà e del diritto”, al mondo della morale privata e formale: possibilità interpretate dalla morale
kantiana in modo veritiero ma superficiale, e invece portate a piena coscienza nella Sittlichkeit
hegeliana.
Il discorso filosofico giunge in tal modo a comprendere la vita come contraddizione, come
dialettica di Condizione e Coscienza, di determinazione e libertà: come conflitto insuperabile che, al
contempo, è coerenza assoluta e completa, come processo di liberazione nella lotta e attraverso la
lotta che è parimenti Libertà realizzata e presente. Il discorso comprende in tal modo tutta la realtà
in modo coerente e completo, proprio in virtù del fatto che ha interiorizzato la negatività della
contraddizione e della violenza della particolarità, e ne ha fatto il motore positivo di sviluppo
dell'unità di discorso e realtà, di vita e ragione; con Hegel la filosofia esplicita a se stessa la propria
categoria, il discorso assolutamente coerente, nella misura in cui mette in luce ciò che, fin
dall'inizio, si è mostrato come il suo tratto essenziale: la rivelazione nel discorso dell'unità di senso
32 Ivi, p. 64.33 Ivi, p. 62.
dell'esperienza umana come modo determinato di superare e comprendere la negatività e la
violenza. Adesso la Ragione presente e operante nel mondo mostra al discorso esattamente gli stessi
tratti (“wer die Welt vernünftig ansieht, dann sieht sie vernünftig an”, aveva affermato Hegel nelle
sue Lezioni sulla filosofia della Storia): quelli della libertà reale dell'uomo nella temporalità, nella
particolarità e nella determinatezza della sua esperienza.
“C'è dunque una saggezza, ma è una saggezza che è tutta discorso, e quel che essa coglie non
è al di fuori del tempo, ma il tempo che essa riempie.”34
C'è pertanto saggezza, prosegue Weil, ma “non c'è il saggio”: l'individuo non sfugge alla violenza,
al proprio trapassare, anche se può comprendere e superare la propria finitezza in quanto il mondo
in cui vive e l'esperienza complessiva che vi conduce sono formati dalla ragione, in cui cioè egli sia
riconosciuto nel suo valore universale in quanto essere razionale.
V. OLTRE IL DISCORSO ASSOLUTO.
Fin da adesso è chiaro che per Weil la piena riflessione della filosofia in se stessa, risultato della
scoperta del Discorso assolutamente coerente come categoria che opera in ogni tentativo di
comprensione filosofica, non è tutto e non dice tutto. Anzi, rischia di obliare proprio il fatto
fondamentale: che la filosofia non è il tutto dell'esperienza nonostante ne sveli il senso totale, che è
e resta una possibilità dell'uomo, il quale può anche decidere di ignorare i principi di orientamento
del proprio agire e continuare a viverli inconsapevolmente. Per Weil, insomma, il principio
corrosivo della finitezza e del trapasso, che inficia ogni esperienza umana, non risparmia neppure la
conoscenza filosofica: deve essere al contrario custodito come condizione originaria di sensatezza
della filosofia stessa. Lo scacco della filosofia hegeliana, realizzato dalla rivolta violenta contro il
discorso assolutamente coerente35, dalla scelta insensata per il non senso dell'esperienza, assume per
questo motivo un valore emblematico: rimanda al destino e al limite di ogni discorso filosofico
34 Ivi, p. 77.35 Nella successione categoriale vera e propria, l'Opera incarna il rifiuto dell'Assoluto. Seguono poi il Finito (che
categorizza l'esistenzialismo), l'Azione e infine Senso e Saggezza, le due categorie in cui la Logica della Filosofia diviene infine per se stessa intelligibile.
nella misura in cui sprofonda ciò che si voleva Assoluto e compiuto, immette l'alterità e la morte in
ciò che sembrava non avere un Altro. Il tragicismo della filosofia di Weil non scaturisce dalla mera
constatazione della finitezza ineliminabile dell'essere umano: piuttosto, preservare il senso di una
filosofia che patisce lo stesso destino dell' θος ἦ da cui sorge, pensarne fino in fondo la storicità, è
l'unico modo per scorgervi una esperienza del senso assoluto del vivere umano, dell'unità dinamica
di vita e discorso che ogni esperienza realizza per essere tale.
Il terzo momento dell'Introduzione alla Logique, “Filosofia e violenza”, argomenta questo
passaggio a partire dal pensiero della violenza pura, che si rende intelligibile in seguito al rifiuto del
discorso assolutamente coerente. In base a questa possibilità di intelligenza, tutti i tratti qualificanti
l'esperienza filosofica che si sono mostrati fino a questo momento vengono ripensati e riorganizzati
sulla base di un ultimo e definitivo centro di discorso. Ne seguiremo alcuni tratti, che ci
permetteranno di approfondire il nesso tra violenza, storicità della filosofia e significato del progetto
della Logique.
Come già sappiamo, l'Assoluto vive della contraddizione e dello scarto tra particolare e universale,
proprio perché ne fa i momenti del suo processo unitario di auto-esposizione nel discorso; questo
comporta che tale unità non si stabilisce a livello della particolarità come tale, che pertanto dispone
sempre del potere di rifiutarsi alla sintesi, di rifugiarsi nell'insensatezza e nel silenzio. L'esperienza
del singolo può accedere alle forme infinite e perfette della Ragione, ma rimane sempre esposta alla
violenza e può volgersi verso di essa; comprendere fino in fondo la violenza come l'Altro della
filosofia significa per Weil trovarvi la ragion d'essere persino delle esperienze pienamente
ragionevoli, che più di tutte sembrano dominarla e vincerla: esse sono tali poiché conducono ad
espressione perfetta una maniera specifica di affrontare e dominare il non senso, di vivere il proprio
limite come condizione costitutiva. Seguiamo Weil in una pagina particolarmente chiara e
significativa:
“L'uomo sta nel mondo (compreso come il mondo in cui vive) in una certa maniera, vive in
una determinata attitudine. Questa attitudine non è per forza cosciente: di solito non lo sarà,
ma si realizzerà, negando, nell'azione, nel sentimento, nel linguaggio non coerente, non
ritornando su se stessa; ma è sempre possibile al discorso cogliere quell'attitudine – al
discorso, ossia all'uomo che ritorna su ciò che fa, sente ed esprime, che vuole trasformarlo in
un discorso coerente, e per far questo rende conto a se stesso della misura nella quale la sua
vita è universale e valida per tutti gli uomini.”36
Una radicale e ineliminabile storicità della filosofia è il correlato essenziale della pluralità delle
filosofie e delle attitudini. Storicità della filosofia che integra una altrettanto radicale dimensione
filosofica della storia: se per storia intendiamo l'opera dell'agire umano sempre orientato da
determinate attitudini il discorso che la filosofia conduce inerisce strutturalmente alle attitudini, non
essendo altro che il loro senso complessivo come esperienza di libertà.
Comprendere la filosofia a partire dal proprio Altro, dalla possibilità irriducibile della violenza,
rende intelligibile l'unità di filosofia e storia, in un senso, come ormai è chiaro, che Weil vuole
tenere distinto dall'accezione hegeliana. Un indice preciso di questa distinzione lo fornisce il testo
immediatamente successivo:
“ Una volta compiuta tale presa di coscienza, quel discorso agisce a sua volta: l'uomo che ha
compreso ciò che fa non è più l'uomo che lo ha fatto, e la sua presa di coscienza è nello stesso
tempo la comprensione immediata della sua attitudine e il suo liberarsene.”37
Il discorso filosofico rivela, dell'esperienza che si trova a categorizzare, il senso complessivo che
agli attori dell'esperienza stessa rimane celato; ma così facendo introduce uno scarto, un
differenziale tra discorso e realtà, proprio nel momento in cui sembrava sancirne l'unità di fondo.
Weil insiste sulla contingenza di tale presa di coscienza:
“ma questa presa di coscienza, ripetiamolo, non avviene né sempre né per necessità: non c'è
attitudine nella quale l'uomo ... non possa trovare soddisfazione e alla quale non possa
attenersi”.38
Tutto ciò è incontestabile, e tuttavia, laddove questa presa di coscienza avviene, incrina
36 Logica, cit., p. 100-1.37 Ivi.38 Ivi.
necessariamente la superficie compatta dell'attitudine comunitaria nel momento stesso in cui si
propone di portarla alla sua verità, di manifestarne la globale sensatezza come esperienza umana.
Essa diviene allora principio di formazione di una nuova attitudine che si contrapporrà in modo
violento alla precedente: in termini hegeliani potremmo dire che, nata dalla scissione e dalla
lacerazione – dalla violenza – come insopprimibile bisogno di unità e di conciliazione degli opposti,
la filosofia, nel suo compimento, finisce per ripristinare la scissione stessa, e quindi il bisogno di sé.
Come vedremo, è questo un lato troppo spesso negletto della riflessione hegeliana, che proprio
l'interpretazione weiliana di Hegel ci permette di discernere e portare alla luce.
VI. CATEGORIE FILOSOFICHE ED ATTITUDINI PURE.
Sappiamo che il discorso filosofico si presenta in veste irriducibilmente plurale; si profila adesso, in
virtù dell'apporto analitico della negatività e della storicità strutturale inerente all'esperienza
filosofica, una peculiare dialettica di compresenza e conflitto delle attitudini e dei discorsi filosofici,
che costituisce la dimensione dinamica della loro strutturale compossibilità, laddove staticamente
esse appaiono come mere possibilità equivalenti poste una accanto all'altra. La filosofia costituisce
una libera possibilità sottesa ad ogni attitudine, nella misura in cui consiste nell'organizzazione
discorsiva delle strutture di senso che ogni attitudine incorpora; adesso la concretezza del conflitto
storico tra attitudini ci suggerisce che non tutte, tra esse, hanno in ogni momento la capacità di
tradursi in piena autocomprensione filosofica, anche solo per il fatto che la categoria che comprende
un'attitudine si scontra con le comprensioni della stessa attitudine che fanno leva su altre
categorie39. Leggiamo, in un passo poco successivo a quelli succitati, che
“l'uomo nella sua esistenza, dunque, nella sua vita, agendo, parlando, esprimendosi,
addirittura tacendo, presenta un lato sempre comprensibile al discorso che cerca di
comprenderlo, e nulla è del tutto estraneo all'uomo quando si tratta dell'uomo”;
e tuttavia, prosegue poco sotto Weil,
39 Vi è dunque la concreta dinamica storica di intreccio tra diverse temporalità discorsive alla base di quella fondamentale nozione ermeneutica della Logique che va sotto il nome di ripresa: approfondiremo oltre questo punto decisivo.
“se ogni individuo può essere compreso, se un discorso può sempre integrarlo nel mondo della
coerenza, i discorsi degli uomini sono compresi solo in rapporto a certe attitudini che
chiameremo pure o irriducibili. Sono le attitudini di cui abbiamo appena parlato, quelle che si
trasformano in discorsi coerenti (la coerenza è determinata in ogni caso concreto dalla natura
dell'attitudine), che si comprendono da sé, perché è loro essenziale volersi comprendere.”40
Sembra pertanto che il pluralismo weiliano non rigetti ogni gerarchia di valore, ma sviluppi anzi un
parametro immanente per ordinare le attitudini secondo la loro maggiore o minore capacità di
tradursi in discorso coerente: se tutte si basano su interni criteri discorsivi di orientamento, solo
alcune potranno articolare in un medesimo discorso tutti gli elementi che le definiscono; solo per
determinate forme del legame sociale le strutture di senso che ne polarizzano i valori fondamentali
possono essere condotte ad una piena auto-trasparenza filosofica: in molti casi, esse conterranno
momenti non assimilabili dal discorso filosofico perché pertinenti ad altre logiche organizzative. A
ben vedere ciò è in effetti il caso più frequente, proprio nella misura in cui piano storico e
dimensione filosofica di autocomprensione del discorso, pur intrinsecamente connessi, non
coincidono meccanicamente. La successione delle categorie logiche non rispetta il corso storico,
sebbene tragga dalle attitudini storicamente insorte la propria linfa vitale; il mondo storico acquisirà
viceversa concretezza solo nella compresenza e nel conflitto di logiche diverse di integrazione della
particolarità; anche laddove una soltanto giunge ad egemonizzare l'orizzonte storico, essa vivrà di
ibridazioni, di urti e di frizioni con temporalità altre.41
Siamo di fronte ad un quadro di diffrazione strutturale del complesso di senso dell'esperienza
vissuta, nel quale persiste una costitutiva permeabilità reciproca delle diverse sfere discorsive, ma in
cui certamente il passaggio - finora aproblematico - dalla vita al discorso, dall'attitudine alla sua
presa di coscienza filosofica, si scontra con un medium discorsivo di attriti e resistenze specifiche
che rischia di essere difficilmente scalzabile. Non sfugge a Weil – l'abbiamo presentito nella lettura
40 Logica, cit., p. 102.41 Esemplare a nostro avviso è la logica che presiede allo sviluppo del Capitale all'interno della teoria marxiana: il
processo di autoriproduzione del legame sociale capitalistico giunge a dominare l'intero quadro del ciclo riproduttivo sociale soltanto in un processo combinato di sussunzione di differenti modi lavorativi.
weiliana della filosofia di Hegel come discorso che coglie il farsi concreto della ragione assoluta
nell'agire dei singoli - che soltanto questo tempo denso, fatto di inversioni e rotture, fornisce
concretezza alle strutture linguistiche e discorsive incarnate nei comportamenti dei soggetti: in
nessun modo il solo binomio universale-particolare potrebbe esaurire la ricchezza e la creatività
dell'esperienza vissuta. La Logique de la Philosophie acquisisce spessore e problematicità proprio
in virtù della comprensione fenomenologica delle direttrici di senso fondamentali di questa
situazione densa e sfaccettata, senza arrendersi al totem della complessità sistemica e della
molteplicità incommensurabile dei discorsi particolari e delle attitudini. Si sarà notato come solo nel
quadro di un serrato svolgimento delle implicazioni del nesso filosofia-violenza, e quindi
integrando e rielaborando tutti i contenuti dell'atto filosofico a partire dalla negatività che fin
dall'inizio lo accompagna, è possibile a Weil dispiegare la multilateralità e la complessità della
dimensione storica della filosofia: solo a partire da questo livello di auto-intendimento della
possibilità filosofica possiamo apprezzare in tutta la sua portata l'operazione ermeneutica weiliana
che sottende alla nozione di attitudine pura e a quella correlativa di categoria filosofica, chiarendo
in questo modo i pilastri della costruzione sistematica di Weil, che fino ad ora abbiamo solo
genericamente intravisto.
“L'attitudine pura è dunque definita in rapporto al discorso filosofico, al nostro discorso. In
quanto attitudine non si distingue affatto dalle altre; la sua differenza sta solo in questo tratto
(essenziale per la filosofia): essa elabora per sé in un discorso ciò che nel suo mondo è per lei
l'essenziale … in breve, essa coglie l'essenziale del suo mondo come concetto. Concetto che
indicheremo con il nome di categoria”.42
La categoria è il correlato dell'attitudine pura e la definisce come tale; il suo referente filosofico più
prossimo è certamente Hegel (sebbene, per un aspetto specifico che vedremo, anche la ripresa del
contesto gnoseologico kantiano gioca un ruolo importante per quanto riguarda la nozione di
ripresa): significative consonanze possono essere riscontrate con il presentarsi della Categoria nella
Fenomenologia dello Spirito come unità dell'essere e dell'io o idealismo dell'esperienza della
42 Logica, cit., p. 102.
coscienza. Tuttavia, in primis, per Weil la categoria filosofica non ha una genesi dialettica, ma
analitico-regressiva, è una sorta di astrazione-idealizzazione a partire dai centri discorsivi del
vissuto: non a caso Weil, nel saggio La filosofia del diritto e la filosofia della storia hegeliana,
rimprovera a Hegel l'assenza di una presentazione regressiva e condizionale dei risultati della
propria filosofia, nonostante essa sia implicitamente operante43; in secundis, Weil distingue, come
sappiamo, le categorie filosofiche dalle categorie metafisiche. La nozione di categoria filosofica è
lo strumento operativo fondamentale della Logique, che permette di districare un filo coerente di
discorso dallo spesso intreccio che sorregge le strutture di senso e di orientamento della vita
comunitaria: consente in tal modo di ordinarle e disporle secondo criteri immanenti di progressione,
senza tradire le loro dinamiche specifiche di interazione e la loro qualificante storicità.
Weil sottolinea a più riprese il nesso tra origine del discorso filosofico e trapasso dell'attitudine dal
quale sorge:
“in qualsiasi momento l'uomo può assumere qualsiasi attitudine; ma non in un momento
qualsiasi per sé, per il proprio discorso. Egli sarà, ad esempio, soddisfatto del suo mondo; ma
non si saprà soddisfatto proprio perché lo è e così il suo mondo non gli si manifesta: vivrà in
questo mondo e il suo discorso riguarderà solo ciò che si incontra al suo interno”.44
Pertanto, solo quando il mondo in cui vive cessa di accontentare l'uomo, quando mostra i segni del
proprio tramonto nella sua incapacità di riflettere i propri presupposti e valori fondanti nell'agire dei
singoli, sorge il bisogno della filosofia. Il discorso filosofico comprende il mondo presente come un
tutto, ordinando secondo le sue strutture fondamentali i diversi livelli di esperienza in cui si articola:
ne coglie così la categoria filosofica, sviluppandone la forma peculiare in un discorso coerente; in
questo modo è però già oltre il mondo che mira a categorizzare: ne rivela al contrario la storicità e
la finitezza45, poiché la filosofia lo coglie come mondo violento. “Di epoca in epoca la violenza si dà
nel discorso quel che può negare, e cogliendosi come libertà nel suo discorso e insieme contro il suo
43 Pur non potendo pronunciarci sulla plausibilità di questa critica, essa ci sembra comunque precorrere alcune delle proposte più recenti della letteratura hegeliana, in particolare i saggi di Angelica Nuzzo. Il saggio citato è raccolto in Hegel e lo Stato e altri scritti hegeliani, a c. di A.Burgio, Milano 1988.
44 Logica, cit., p. 106.45 Che qui, nella concezione della filosofia come coscienza critica della contemporaneità, sia presente Marx mi sembra
fuori discussione. Ciò che va valutato è quanto, di questo nodo essenziale, sia già operante in Hegel.
discorso, produce la filosofia”46. Su questo punto Weil, ci sembra, recupera la sostanza della
filosofia hegeliana, proprio nel momento in cui, tematizzando l'Altro della filosofia all'origine del
discorso filosofico, vorrebbe maggiormente distaccarsene. Nata dalla scissione e dalla violenza di
un mondo storico che non soddisfa più i singoli, la filosofia ne comprende i centri vitali e l'intima
ragionevolezza, ma ponendosi all'esterno di esso e svincolando in tal modo gli individui dal suo
abbraccio: nell'attualizzare lo scarto potenziale e la negatività insite nella differenza tra vita
irriflessa e presa di coscienza, la filosofia stessa mina i presupposti dai quali nasceva, e si appresta a
tramontare esattamente come l'attitudine vissuta che categorizza; il discorso filosofico, infatti, pur
intenzionato a comprendere l'uomo nell'interezza delle sue attività e delle sue manifestazioni – pur
guidato dall'idea della coerenza assoluta - trova il proprio senso soltanto nei contenuti concreti e
nelle condizioni del mondo dal quale sorge: “come ogni discorso storico sull'uomo parla dell'uomo
eterno, dell'uomo come è in se stesso, così ogni discorso che riguarda l'essere eterno dell'uomo è per
essenza un discorso storico”.47
Nella sua intrinseca scaturigine di senso, la filosofia si mostra pertanto come discorso violento
contro la violenza del mondo storico. Ciò che Weil sta formulando non è, in senso stretto, una teoria
dei cicli storici che preveda un percorso obbligato di nascita, crescita e morte di una determinata
attitudine e della categoria che la comprende. Ogni attitudine resta infatti una possibilità presente e
reale dell'uomo, un modo di vivere nel quale può trovare soddisfazione: nessuna di esse si trova in
qualche modo “confutata” per ciò che viene superata da altre attitudini che guadagnano l'egemonia
storica; ciò a cui ciascuna deve rinunciare sono piuttosto le pretese di assolutezza della propria
modalità di organizzazione dell'esperienza. La Logique, pertanto, non ne profila una successione in
chiave meramente storicistica, come se ogni attitudine fosse il necessario esito storico della
precedente: non in questo senso si dà unità di filosofia e storia; e tuttavia il loro ordine logico, pur
distinto, non può essere completamente svincolato dalla loro efficacia storica: opera nel tessuto
della Logique, ad esempio, una forte divaricazione tra categorie del mondo antico e categorie del
46 Logica, cit., pp. 107-8.47 Ivi.
mondo moderno; piuttosto, tale ordine manifesterà aspetti dell'esperienza umana che non sono
riducibili al mondo nel quale appaiono ma acquistano senso e validità universali:
“l'uomo è uno, il discorso è uno, la storia è una: per questo la comprensione è possibile. Ma
questa unità non è lineare. E' vero che per la logica della filosofia le categorie formano una
successione, che le attitudini, per lei, si presuppongono a vicenda, che una nuova attitudine
nasce solo dopo che la precedente si è formulata in un discorso coerente: ... soltanto allora la
ricerca del contentement sostituisce il perseguimento delle soddisfazioni che, in maniera
implicita e inconscia, aveva impegnato l'uomo”.48
E' vero, insomma, ma solo secondo i parametri che la filosofia, in quanto libera πράξις in vista
dell'εὐδαιμονία , dà a se stessa. Ma la filosofia non è tutto, sebbene riveli quella condizione di senso
che permette di pensare la realtà e la storia umana come un tutto; prosegue infatti Weil:
“ma se la realtà è comprensibile solo nell'idea sviluppata della comprensione, la realtà non
segue lo schema della successione delle categorie, schema del tutto legittimo per la logica
della filosofia, fonte di ogni riflessione sulla legittimità, ma legittimo e necessario solo per
questa logica.”49
VII. L'UNITA' MEDIATA DI FILOSOFIA E STORIA.
Queste considerazioni consentono di chiarire in modo ormai esaustivo il peculiare statuto di una
logica della filosofia:
“non logica nel senso della non-contraddizione poiché si occupa di soluzioni tra loro
contraddittorie e che si contraddicono … ma logos del discorso eterno nella sua storicità,
compreso da se stesso e compreso come possibilità umana che si è scelta”.50
La Logique ordina in un unico discorso le attitudini che sono in grado di comprendersi
compiutamente, di tradursi in una categoria filosofica, secondo la loro capacità di esprimere la loro
originaria condizione di sensatezza, il rifiuto della violenza e del non senso concretizzato in una
48 Ivi, p. 112-13.49 Ivi.50 Ivi, p. 110.
determinata modalità di organizzazione dell'esperienza vissuta. Essa manifesta pertanto il λόγος
eterno, l'intrascendibile condizione di possibilità dell'esperienza, come libertà nella condizione,
negazione dell'insensato sviluppata nell'unità di vita e discorso; e ne manifesta del pari la storicità,
in quanto limite qualitativo che, rivelato da ogni discorso come la propria intrinseca destinazione –
ogni categoria sorge da determinati bisogni e ne articola i contenuti specifici -, lo condanna del pari
alla possibilità del rifiuto violento, alla rottura del proprio orizzonte di senso e quindi alla
formazione di una configurazione storica inedita: l'apertura alla novità e alle possibilità creatrici
della libertà umana ci pare la cifra complessiva dell'argomentare weiliano.
Un aspetto ulteriore deve essere portato alla luce; da quanto detto intorno al rapporto tra categorie
ed attitudini, dovrebbe esser evidente come “le categorie precedono, per la filosofia, le attitudini”,
poiché solo in base al discorso coerente incentrato intorno a determinate configurazioni
esperienziali è possibile discernere un modo di vita nella sua specificità e singolarità; tuttavia, le
attitudini “hanno la precedenza nella storia”, in quanto il discorso che le comprende le presuppone
essenzialmente: in questa inversione si palesa una volta di più l'interna differenza e articolazione
che Weil pensa nell'unità di storia e filosofia restituita dalla Logique. Altrimenti detto: l'uomo
“vive nel suo mondo storico e non si preoccupa della purezza logica della sua attitudine e del
suo discorso: la purezza ha importanza solo a partire da quando un uomo vuole comprendere e
comprendersi in modo totale. Solo allora emergono le categorie costitutive del discorso e le
attitudini costitutive della storia del discorso, solo allora il discorso della comprensione
diventa l'essenziale, ma lo diventa per se stesso, cosciente di questa libera limitazione,
cosciente di essere una delle possibilità dell'uomo”.51
In questo passo, cristallino, emerge da un lato il rapporto tra la storicità della filosofia e il suo valere
sempre come una condotta possibile - comunque rifiutabile -, dall'altro l'irriducibile autonomia della
sfera di comprensione che dischiude: non si dà un aspetto senza l'altro, non si dà relatività senza
assolutezza e assolutezza senza storicità. Ma più nello specifico, questo scarto strutturale ha una
conseguenza analitica importante: se la realtà storica è comprensibile nella sua categoria
51 Ivi, p. 113.
fondamentale solo quando si è pienamente dispiegata e mostra i segni del tramonto, nel processo del
suo dispiegamento gli individui comprenderanno la realtà e la loro azione a partire da altre
categorie. Se già sappiamo che la realtà storica, in merito ai principi discorsivi che innervano i
comportamenti, è strutturalmente diffratta e sfaccettata a livello sincronico, una peculiare inversione
e commistione categoriale la sostanzia anche a livello diacronico.
“All'inizio di una nuova epoca – quando un nuovo interesse, volendo distruggere un mondo
invecchiato, organizza un mondo nuovo – è dunque la vecchia categoria che coglie la nuova
attitudine e parla della nuova categoria, e, parlandone, la nasconde anche e la snatura.”52
Il discorso che l'uomo tiene in questo caso sarà una ripresa di una vecchia categoria da parte di una
attitudine che non si comprende ancora nella sua purezza: le riprese della categoria, ad esempio
della categoria di Oggetto o di Personalità, emergono sempre prima della categoria che meglio
riesce ad interpretare il mondo nel quale sorgono. La nozione di reprise in Weil è assolutamente
decisiva, non solo per il fatto che il paragrafo sulle riprese che conclude ogni analisi delle categorie
contiene squarci di interpretazione e ipotesi ermeneutiche straordinariamente brillanti: il farsi
concreto della realtà non avviene mai all'insegna della categoria che ne svela il senso complessivo –
la filosofia arriva sempre troppo tardi, sembra ripeterci Weil con Hegel – ma è sempre orientato da
complessi discorsivi ibridi e non in grado di tradursi in un discorso coerente;
“le riprese sono la realtà vivente dell'uomo nel mondo mentre la categoria pura è l'arresto, non
della storia, ma della storia di quell'uomo o di quella comunità.”53
Solo le riprese concretizzano insomma l'unità di ragione e realtà, di filosofia e storia, in quanto
intessono la trama categoriale che, inconsapevolmente e in maniera incoerente, sorregge le azioni
umane e consente l'introiezione dei principi discorsivi che informano una data epoca o una data
comunità: introiezione che inevitabilmente li maschera e li dissimula proprio nella misura in cui li
realizza54. Su questa trama agisce l'operazione di riduzione fenomenologica che isola i poli
52 Ivi, p. 117.53 Ivi, p. 582.54 Un esempio a nostro avviso perfettamente calzante di questo nodo teorico è, nuovamente, la teoria marxiana del
Capitale: se le categorie che formano e costituiscono la realtà capitalistica in senso forte sono tematizzate dalla critica dell'economia politica, gli attori e gli individui concreti, che la realizzano con le loro azioni, si interpretano con le categorie superate dell'economia politica: in questo modo essi riproducono il rapporto capitalistico proprio
categoriali che permettono di ordinarla e segnarne le scansioni di senso; o piuttosto, utilizzando
Kant, le riprese sono gli schemi che connettono i piani autonomi del discorso categoriale e degli
accadimenti storici, e pertanto la manifestazione della loro profonda unità nella distinzione. La
ripresa è da un lato un principio analitico indispensabile, in quanto connette la logica della filosofia
alla concreta analisi storico-filosofica; dall'altro è la nozione “speculativa” che consente la
comprensione del medium discorsivo che sempre avvolge l'esperienza vissuta e le conferisce un
senso; è infatti la chiave per categorizzare quella logica naturale delle esperienze e connetterla alla
logica “profonda” della categoria filosofica, che sulla prima si innesta in un movimento triplice di
posizione e presupposizione: se storicamente la categoria presuppone la logica naturale del vissuto,
e quindi la propria elaborazione/dissimulazione sulla base di categorie anteriori, logicamente essa
riorganizza il tessuto discorsivo delle riprese in base al senso complessivo dell'attitudine in cui si
inseriscono; ma solo per riaprirsi, in un terzo momento, alla vita e restituire se stessa al vissuto
quotidiano dal quale era partita (dischiudendo in questo modo la possibilità del proprio rifiuto e
superamento). Questo circolo della comprensione filosofica ci sembra, una volta ancora, recuperare
un aspetto essenziale della filosofia hegeliana proprio nel momento dell'Introduzione alla Logique
specificamente weiliano – ovvero, per Weil, post-hegeliano.
VII. CONGEDO DA HEGEL?
In conclusione, è opportuno tornare ancora una volta sul rapporto di Weil con Hegel. Nel corso di
questo lavoro, in modo trasversale, abbiamo segnalato alcuni punti che possono valere come
problematizzazione di quel superamento di Hegel che lo stesso progetto di una Logique vuole
incarnare. A nostro parere, è possibile spingerci ancora oltre, fino a sostenere che i motivi filosofici
che qualificano il progetto della Logique sono fondamentalmente operanti anche all'interno del
pensiero hegeliano, che quindi ben difficilmente può essere confinato nella categoria di Assoluto: in
nella misura in cui lo dissimulano e si interpretano in modo feticistico, ponendo a fondamento il mondo atomistico della circolazione. Tanto più significativo è questo isomorfismo della teoria del Capitale con la concezione weiliana della filosofia – una parentela che non traspare né dalle pagine dell'Action, in cui Weil tiene maggiormente presente Marx, né dai pochi scritti di argomento marxiano – nella misura in cui la critica dell'economia politica è la comprensione del mondo capitalistico come crisi e tramonto, in stretta analogia con la categoria filosofica di Weil, che dell'attitudine correlativa rivela la ragionevolezza interna tanto quanto i limiti costitutivi.
questa sede non possiamo tuttavia superare lo stato di abbozzo e di proposta di discussione; non ci
ritrarremo pertanto dal rischio di unilateralità insito in questo tipo di operazione.
Una citazione dall'introduzione alle lezioni di storia della filosofia può fornire alcune suggestioni:
“la filosofia è del tutto identica con lo spirito del suo tempo. Essa non sta al di sopra della sua
epoca, ma ne è la coscienza, è il sapere di ciò che è sostanziale: è il sapere pensante di ciò che
caratterizza un'epoca. Altrettanto poco un individuo sta al di sopra del proprio tempo; ogni
uomo è figlio del suo tempo; ciò che in una certa epoca è sostanziale è l'essenza propria
dell'individuo, il quale lo manifesta nella forma che ad esso è peculiare … non si può balzar
fuori dal proprio tempo, come non si può svestirsi della propria pelle”.55
Queste frasi famose profilano una concezione del sapere filosofico che Weil assimila nell'essenziale,
ma il seguito è senza dubbio sorprendente:
“tuttavia, la filosofia, quanto alla forma, sta al di sopra della propria epoca, poiché essa è il
pensiero di ciò che è lo spirito sostanziale del proprio tempo … lo spirito del suo tempo ne è il
contenuto più determinato e più terrestre, sebbene essa, come sapere, sia parimenti fuori dal
suo tempo e si ponga di fronte lo spirito come oggetto; questo vale però solo sul piano
formale, giacché essa non ha altro vero contenuto”.56
La presa di coscienza di un mondo storico è il coronamento della filosofia come sapere della realtà
ragionevole, identificazione di ragione e oggettività; e tuttavia non sopprime un residuo irriducibile
di negatività e di alterità, che anzi si divarica in vera e propria scissione: è vero che la differenza
riguarda unicamente il sapere e la forma, ma il sapere, nota Hegel, non è vuoto contenitore che si
limita a registrare la realtà, bensì la determinazione essenziale dello spirito, l'unità di senso
dell'esperienza concreta. Pertanto,
“la differenza formale è anche una differenza reale ed effettiva. Il sapere è poi anche ciò che
produce una nuova forma entro lo sviluppo dello spirito. Gli sviluppi dello spirito sono modi
del sapere; mediante il sapere lo spirito pone una differenza tra il sapere e ciò che esiste;
55 Lezioni sulla storia della filosofia, trad. e cura di Roberto Bordoli, Laterza 2009, p. 26-27.56 Ivi.
questo riceve a sua volta una nuova connotazione e così sopraggiunge una nuova filosofia”.57
Il germe della negatività pervade le singole filosofie nel momento stesso in cui si compiono e
celebrano la propria identità della realtà, condannandole al tramonto insieme al mondo dal quale
sono sorte: Weil ritroverebbe in questo aspetto della filosofia hegeliana la sostanza della propria
concezione dell'unità di filosofia e storia. Ma i punti di contatto non si fermano qui: sappiamo come
per Weil sussista una filosofia come auto-comprensione dell'uomo nonostante i singoli discorsi
filosofici non possano aspirare all'assolutezza; ora, per Hegel, il tramonto della filosofia non è
un'accidentalità estrinseca alla costituzione della comprensione filosofica, ma la sua necessità più
intima che, nel trapasso e nella dissoluzione, attiva e concretizza la dinamica non relativa del
pensiero: la filosofia, nella sua stessa dissoluzione, riproduce il bisogno di se stessa, restituisce il
pensiero alla realtà e ne stimola la rinascita. La comprensione filosofica, pertanto, perpetua il
proprio principio nella necessità del tramonto delle proprie forme particolari, poiché imprime il
sigillo del senso, dell'unità della vita e del discorso, in ogni nuova configurazione esperienziale: ci
sembra proprio questa l'essenza dell'insegnamento di Weil. Tanto più che, come per Weil, l'unità di
filosofia e storia trova la sua possibilità in una dinamica fondamentale ed originaria del pensiero:
come scriveva Hegel in Glauben und Wissen, “il primo compito della filosofia” consiste nel
“conoscere il nulla assoluto”58, poiché “da questo nulla e da questa pura notte dell'infinitezza la
verità si innalza come da un abisso misterioso, che è il suo luogo di nascita”59. Lo spirito, è noto,
ritrova se stesso anche nella più estrema dissoluzione, e la capacità di guardare in faccia il negativo
e la morte fonda la sua assolutezza: il senso da attribuire alle note proposizioni hegeliane, però, è
quanto mai problematico. Ebbene, ci sembra che proprio la Logique, e nello specifico la sua
conclusione – ovvero il luogo in cui Weil si propone di superare Hegel – gettino involontariamente
una luce considerevole sui propositi hegeliani. Il sapere assoluto, infatti, il momento in cui lo spirito
celebra la propria assolutezza e che Weil ritiene di poter codificare con la categoria di Assoluto, si
57 Ivi. Su questo tema, Arturo Massolo, amico ed estimatore di Weil, aveva visto lontano: “se la filosofia ha in sé una necessaria opposizione alla realtà, che cosa è la filosofia della storia, possibile unicamente nella riconciliazione di ragione e realtà, se non la morte della filosofia?” in La storia della filosofia come problema, Vallecchi 1967, p. 186.
58 In Primi scritti critici, a cura di R.Bodei, Mursia 1971, p. 231.59 Ivi, p. 252.
mostra in realtà eccedente rispetto alla sistemazione weiliana; il culmine dell'assolutezza dello
spirito consiste nel saper sopportare il peso della negatività e del nulla assoluto: nel saper accettare
il proprio limite costitutivo e consegnarglisi liberamente, accogliendo il negativo – la violenza, nei
termini di Weil, al proprio interno. Il sapere assoluto, infatti, ripristina l'alienazione, che consiste in
un “licenziare sé dalla forma del suo Sé” che “è la libertà suprema e la sicurezza del suo sapere di
sé”: il sapere assoluto conosce sé stesso e realizza la propria assolutezza solo in quanto conosce “il
negativo di se stesso o il suo limite”60. Il movimento di alienazione di sé da se stesso, è l'incessante
presentarsi dello spirito “nella forma del libero, accidentale accadere”.61
La conclusione della Fenomenologia ci indirizza, anche grazie a Weil, su un sentiero della filosofia
hegeliana ancora trascurato, o comunque messo in sordina dagli aspetti più appariscenti del suo
pensiero, al clamore dei quali, va detto, Weil stesso indulge nel capitolo sull'Assoluto. Questo testo
– ma non è l'unico – ci dice che consustanziale allo spirito è il suo liberare sé da se stesso, il suo
licenziarsi come puro evento senza senso ed accidentale: il suo accogliere il non-senso, la violenza,
l'immediatezza pura come proprio limite intrascendibile. La violenza, il negativo, non è semplice
momento strumentale di una totalità compiuta, ma il nulla della ragione al quale essa liberamente si
dispone per conoscere se stessa nella propria verità; detto altrimenti, la violenza è sì “l'esterno”
della potenza della sostanza, secondo le parole della Scienza della Logica62, ma in quanto la
sostanza del pensiero, l'intima strutturazione del reale e dell'esperienza, non può non estrinsecarsi,
non può non accogliere l'esteriorità e l'immediatezza come proprio presupposto e limite costitutivo.
In questo respingere sé da sé si radica la negatività di ogni comprensione filosofica anche nel suo
lato storico: comprendendo la propria epoca comprende, del pari, la necessità del proprio
superamento e implica l'apertura al nuovo e all'inedito. Un destino che non risparmia lo stesso
60 Fenomenologia dello Spirito, trad. di E. De Negri, Firenze 1960, p. 304 vol. II.61 Ivi.62 La violenza in quanto tale è, secondo le parole della Scienza della Logica, la potenza come un esterno, il lato estrinseco ed accidentale di una attività del concetto che compenetra ogni lato della realtà. Il costante subire violenza da parte di altri è fattore ontologico consustanziale al finito, poiché è la sua accidentalità strutturale reinterpretata in termini di rapporto con altri esistenti; ma l’accidentalità, per Hegel, si rivela attivo mezzo di estrinsecazione dell’ente: altrettanto la violenza subita nasconde una attività originaria, celata sotto l’apparenza (Erscheinung) della passività. Per Weil, al contrario, se il subire e il praticare violenza è connaturato al singolo in quanto individuo, esso non è necessariamente il lato fenomenico di un originario estrinsecarsi del senso e dell'unità di vita e discorso: è questo al contrario un processo derivato, che in Weil si fonda su quella possibilità prima e irriducibile del è riferimento del non senso a se stesso, dell'esclusione violenta di ogni discorso, della violenza per la violenza.
sistema hegeliano; tuttavia nella misura in cui, come crediamo, esso condivide i caratteri weiliani di
una logica della filosofia, esso comprende e illumina il senso universale e non transeunte di questa
propria destinazione.
Opere di Weil.
• Logique de la philosophie, Vrin, Paris, 1950.• Philosophie Politique, Vrin, Paris, 1956.• Philosophie Moral, Vrin, Paris, 1961.• Problèmes kantiens, Vrin, Paris, 1970 (II ed. accresciuta).• Essais et conférences, 2 voll, Vrin, Paris, 1991. (rist.)• Philosophie et réalité. Beauchesne, Paris, 1982.
Scritti in traduzione italiana.
• - Filosofia e politica, trad. di L. Morra Massolo, Vallecchi, Firenze, 1965.Contiene: Pensiero dialettico e politica (1955); La logica nel pensiero aristotelico (1951); La morale di Hegel (1955); Hegel e lo Stato (1950); Scientificità della filosofia (inedito).
• - Filosofia politica, trad. di L. Battaglia Cofrancesco, Guida, Napoli, 1973 (II ed.).• - Problemi kantiani, presentazione di P. Salvucci, trad. di P. Venditti, Quattroventi, Urbino,
1980.• - Dell’interesse per la storia e altri saggi di filosofia e storia delle idee, a cura di Livio
Sichirollo, Bibliopolis, Napoli, 1982.• - Hegel e lo Stato e altri scritti hegeliani, a cura di A. Burgio, Guerini, Milano, 1988.• - Aristotelica, a cura di L. Sichirollo, Guerini, Milano, 1990.• - Logica della Filosofia, a cura di Livio Sichirollo, Il Mulino, Bologna, 1997.• - Pensare il mondo. Filosofia dialettica realtà, a cura di M. Filoni, con un saggio di L.
Sichirollo, C.R.T., Pistoia, 2000.
Opere di Hegel.
• Gesammelte Werke, hrsg. im Auftrag der deutschen Forschungsgemeinschaft,Hamburg, Meiner 1968 ff.
Traduzioni italiane utilizzate, cui vanno riferite tutte le citazioni:• Primi scritti critici, a cura di R. Bodei, Mursia 1971.• Fenomenologia dello Spirito, a cura di E. De Negri, La Nuova Italia 1960.• Scienza della Logica, trad. it. di A. Moni rivista da C.Cesa, Laterza, 2004.• Enciclopedia delle Scienze Filosofiche in compendio, parte I, trad. it. di V.Verra, UTET,
1981.• Lezioni sulla Storia della Filosofia, a cura di R. Bordoli, Laterza 2009.• Lezioni sulla Filosofia della Storia, a cura di G.Bonacina e L.Sichirollo, Laterza 2004.