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3 a EDIZIONE WALTER FERRERI L’ABC dell’astrofilo e delle osservazioni GUIDA PRATICA ALL’ASTRONOMIA

GUIDA PRATICA ALL'ASTRONOMIA

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3 a

EDIZIO

NEWALTER FERRERI

L’ABC dell’astrofiloe delle osservazioni

GUIDA PRATICA

ALL’ASTRONOMIA

L’astronomia non è riservata agli scienziati o a chi può accedere ad apparecchiature costosee complicate: chiunque può dedicarsi ad essa! Anche un ragazzo può osservare una cometa, seguire un’eclisse, sorvolare le montagne

della Luna, cercare nebulose e galassie. Molti astronomi famosi hanno cominciato proprio così…

Ma innanzitutto occorre imparare a osservare il cielo: basta armarsi di pazienza e di una guidasicura, come questa Guida pratica all’Astronomia, giunta alla 3a edizione, completamenterivista e aggiornata.Osservare il cielo significa risvegliare un istinto primordiale: tutti noi, fin dall’infanzia, abbiamorivolto lo sguardo alla volta celeste, guardando con meraviglia il Sole, la Luna, le stelle, lemeteore. L’osservazione del cielo costituiva un’attività importante per l’uomo preistorico. Già gli antichiEgizi e i Babilonesi, migliaia di anni fa, dall’attenta osservazione degli astri ricavarono calendariabbastanza precisi. Però, solo le osservazioni fatte da Galileo e da altri scienziati all’iniziodell’epoca moderna costituirono i primi grandi passi verso l’astronomia scientifica. E anche oggilo studio del cielo si basa fondamentalmente sull’attività osservativa.

Già a occhio nudo si possono riconoscere e apprezzare molte meraviglie del cielo. L’importanteè sapere come guardare e che cosa cercare. Le costellazioni possono essere rintracciate eidentificate; lontano dalle città si possono localizzare alcuni ammassi stellari, qualche nebulositàe le comete più luminose. Si possono seguire i movimenti della Luna e dei pianeti più luminosi;inoltre, si può assistere alle “piogge” di meteore.

La prima volta che si osserva il cielo attraverso un buon binocolo si rimane incantati, scoprendoparticolari come le montagne e i crateri lunari, le macchie solari (osservando con un filtroopportuno!), i quattro satelliti principali di Giove, alcune stelle doppie e ammassi stellari.

Per chi coltiva verso l’astronomia un interesse più che passeggero, è però indispensabilel’acquisto di un telescopio. Buoni strumenti anche di dimensioni modeste possono dare risultatisorprendenti soprattutto sulla Luna, dove crateri, montagne e valli manifestano tutti i loropittoreschi ricami con il variare delle ombre. I pianeti sono soggetti più difficili, ma dettaglicome le fasi di Venere, le calotte polari di Marte, le fasce di Giove e gli anelli di Saturno sono allaportata di questi telescopi. Gli stessi strumenti, equipaggiati con bassi ingrandimenti e portati lontano dalle luci cittadine,svelano le meraviglie dell’universo siderale. Così, appaiono le più celebri nebulose e galassie,che però svelano le loro strutture più delicate e i loro fantastici colori solo attraverso la ripresafotografica.

La Guida pratica all’Astronomia è divisa in 15 capitoli, raggruppati in due parti: • L’ABC dell’astrofilo, dove si impara a orientarsi in cielo, a utilizzare il telescopio,

a fotografare il cielo.• L’ABC delle osservazioni, dove si impara come osservare la Luna, i pianeti, le stelle,

le nebulose e le galassie.

Buona lettura e, soprattutto, buone osservazioni del cielo!Walter Ferreri

L’ ASTRONOM IA: UNA SCIENZA

ALLA PORTATA DI TUTTI

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Per tenersi aggiornati sui fenomeni celesti, sulle scoperte astronomiche, sulle novità nel campodella strumentazione, ricordiamo la lettura del mensile Nuovo Orione, in edicola ogni ultimogiovedì del mese.

nuovo

In copertina: Le “grandi comete” sono tra gli oggetti celesti che attirano di più l’attenzione di chi osserva il cielo. Questa è la cometa C/2006 P1McNaught, che ha manifestato questa coda spettacolare all’inizio del 2007, purtroppo solo nei cieli dell’emisfero meridionale.

Finito di stampare nel mese di settembre 2010 da Rotolito Lombarda SpA per conto di Gruppo B Editore Srl. Milano

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❍ Come orientarsi in cielo: stelle e costellazioni .............................................................................. 4

❍ Coordinate celesti ......................................................................................................................... 9

❍ Le magnitudini stellari .............................................................................................................. 13

❍ Il primo strumento di osservazione........................................................................................... 18

❍ La scelta del telescopio ............................................................................................................ 23

❍ Come usare il telescopio (I parte) ............................................................................................. 29

❍ Come usare il telescopio (II parte) ............................................................................................ 35

❍ Come fotografare il cielo .......................................................................................................... 41

❍ Fotografare attraverso il telescopio .......................................................................................... 47

❍ Osservare la Luna ..................................................................................................................... 53

❍ Osservare i pianeti interni ......................................................................................................... 61

❍ Osservare i pianeti esterni ........................................................................................................ 68

❍ Osservare gli asteroidi e le comete........................................................................................... 75

❍ Osservare le stelle variabili e le stelle doppie ........................................................................... 83

❍ Osservare gli ammassi, le nebulose e le galassie ..................................................................... 90

ABC dell’astrofilo

ABC delle osservazioni

INDICE

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Orientarsi tra le stelle del cielo non è così difficile come pensano coloro chenon le conoscono; l’importante consiste nell’identificare le principali

e utilizzarle come “chiavi”

Forse il primo e più grande proble-ma che incontra il neoappassio-nato di astronomia è come rin-

tracciare praticamente in cielo gli astridi cui legge le favolose descrizioni. Madove sono le mitiche orse, il giganteOrione o i brillanti pianeti?

I punti cardinaliPrima di tentare qualsiasi forma diidentificazione conviene orientarsi sta-bilendo dove si trovano i punti cardi-nali dal proprio sito osservativo. Natu-ralmente basta trovarne uno, poiché glialtri, come è noto, si susseguono a 90°lungo la linea dell’orizzonte.Per un primo approccio può andar bene

l’indicazione data da una bussola, il cuiago calamitato non si dirige proprio ver-so il nord geografico, ma bensì versoquello magnetico. Per l’Italia il divario èdi circa 4°-6°, nel senso che l’ago puntadi questa quantità più a ovest rispetto alpolo geografico. Un altro metodo consi-ste nel vedere dove sorge e/o tramontail Sole; tutti sanno che sorge a est e tra-monta a ovest, ma a rigore questo è verosolo agli equinozi. Negli altri periodidell’anno appare spostato verso nord osud di una quantità (amplitudine) chedipende in gran parte dalla latitu-dine.Tutto sommato, il metodo più sem-plice per stabilire con ragionevole preci-sione il nord, e di conseguenza gli altri

punti cardinali, è quello che si basasull’ombra proiettata dal Sole al mezzo-giorno vero locale. Quest’ora corrispon-de sensibilmente alle ore 12 (ore 13quando è in vigore l’orario legale estivo)più o meno 4 minuti per ogni grado aovest o a est rispetto al meridianodell’Europa centrale, quello che in Italiapassa per l’Etna e per Termoli (Molise).Per esempio, per Milano, che si trova5°48’ a ovest di questo meridiano, occor-re aggiungere 23 minuti alle ore 12.

La stella PolareGuardando lungo la direzione indicatadall’ombra del Sole al mezzogiorno delluogo, a circa metà strada tra lo zenit e

Come orientarsi in cielo:stelle e costellazioni

ABC dell’astrofilo

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Per determinare i punti cardinali si può fare riferimento a dove sorge e tramonta il Sole, rammentando che solo agli equi-nozi sorge esattamente a est e tramonta esattamente a ovest.

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l’orizzonte, è visibile di notte una stellaluminosa ma non particolarmentesplendente: la stella Polare. Il suo rico-noscimento è facilitato dal fatto che es-sa appare piuttosto isolata, cioè si tro-va in un’area di cielo priva di stelle lu-minose. Sfortunatamente, in questi ul-timi anni l’inquinamento luminosodelle città ha accresciuto la difficoltà discorgere le stelle fino addirittura aquelle luminose come la Polare! Quin-di, per questo riconoscimento occorreconsiderare un cielo che non sia pro-prio quello di una grossa città o co-munque inondato da fiotti di luce arti-ficiale. Ovviamente, è pure importante di-sporre di un orizzonte libero e averecon sé una semplice mappa stellare perconsultazione. Una tale mappa, comequelle presenti negli atlanti geografici,riporterà le stelle principali e in parti-colare, vicino al polo celeste nord,quelle dell’Orsa Maggiore e di Cassio-pea. Le prime sono visibili soprattut-to in primavera e le seconde in autun-no. Forse, il metodo pratico miglioreper arrivare alla Polare consiste pro-prio nell’utilizzare come riferimento lesette stelle principali dell’Orsa Mag-giore, cioè quelle che costituiscono ilGran Carro. Questo è facilmente rico-

noscibile in cielo guardando appros-simativamente verso nord e tenendofra le mani una mappa di riferimen-to. Prolungando di quattro volte emezza la direzione che da β conducead α, si arriva alla stella Polare. È que-sto il motivo per il quale le stelle α e βdell’Orsa Maggiore sono chiamate “ipuntatori”.

In viaggio tra le stellePer iniziare il nostro “viaggio” tra lecostellazioni è molto più utile il GranCarro che non la stella Polare. Le settestelle o “sette buoi” degli antichi roma-ni (septem triones, da cui la parola “set-tentrione” per indicare il nord) sonouna vera chiave del cielo.Abbiamo già detto che il prolungamen-

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Con vari allineamenti tra le principalistelle dell’Orsa Maggiore si arriva fa-cilmente alla stella Polare e ad alcunecostellazioni appariscenti come i Ge-melli o il Leone.

La stella Polare (in alto a destra) si trova lungo un allineamento formato da Merake Dubhe, due stelle dell’Orsa Maggiore chiamate “i puntatori”.

to di β Ursae Majoris verso α della stes-sa costellazione conduce alla Polare; unprolungamento nel senso opposto chescaturisca dalle stesse stelle e maggioredel 50% ci fa approdare invece nella co-stellazione del Leone, una delle pochein cui la disposizione delle principalistelle ricorda realmente il nome dellacostellazione.Le stelle della coda dell’Orsa Maggiore,ε, ζ e η, descrivono una curva; prolun-gandola si arriva a una stella moltobrillante dell’emisfero boreale: Arturoin Bootes. Questa è la più luminosa anord dell’equatore celeste e raggiungela sua massima visibilità in primavera.Un ulteriore prolungamento di questa

curva porta a un’altra stella luminosa:Spica nella Vergine.Un prolungamento condotto da δ versoβ, di circa 4 volte la distanza che separale due stelle, ci fa conoscere i Gemelli,costellazione zodiacale caratterizzatada due stelle brillanti: Castore e Polluce.La nostra cartina celeste indica altri al-lineamenti grazie ai quali è possibilerintracciare Vega nella Lira o Deneb nelCigno.Quasi opposta all’Orsa Maggiore ri-spetto alla Polare, e visibile soprattuttoin autunno, brilla la costellazione diCassiopea. Le sue stelle principali for-mano una caratteristica “W” o “M”,che ne rende facile l’identificazione. A

differenza dell’Orsa Maggiore, però,nessuna stella di Cassiopea offre un al-lineamento preciso verso la Polare.Oltre l’Orsa Maggiore, l’altra costella-zione-chiave per antonomasia è Orione,il cui inconveniente è quello di vedersisolo per circa 6 mesi all’anno, da ottobrea marzo. Ciò che rende Orione una co-stellazione-chiave è la sua figura facil-mente riconoscibile; è impossibile nonnotare questo gigante mitologico quan-do campeggia a sud nel cielo invernale.Le sue stelle più appariscenti sono Be-telgeuse in alto a sinistra e Rigel in bassoa destra. A metà distanza tra questi astridi prima grandezza spiccano tre stelletra loro ugualmente luminose (che costi-tuiscono la “cintura” di Orione), note se-condo la tradizione popolare come i“Tre Re” o i “Re Magi”, ma all’astrono-mia ufficiale rispondono alle lettere gre-che di δ, ε e ζ. Prolungando la direzioneche unisce δ con ζ, si arriva alla stellapiù luminosa del cielo: Sirio, nel CaneMaggiore. Un prolungamento nel sensoopposto, ma un po’ deviato verso l’alto,come illustrato nella nostra figura, ci faincontrare Aldebaran, la stella α del To-ro. Ancora un po’ più in su ci si imbattein quello che è forse l’ammasso apertopiù bello: le Pleiadi. La cartina di pagina 8,con Orione al centro, mostra gli altripossibili allineamenti, che consentonodi identificare altre stelle e costellazioni.

Un cielo in movimento

Contemplando il cielo stellato per di-verso tempo ininterrottamente, non sitarda ad avvertire un movimento lentoma regolare delle stelle da est versoovest. Questo movimento appare soli-dale intorno a un punto che per gli os-servatori boreali è situato nella costella-zione dell’Orsa Minore mentre perquelli australi giace nell’Ottante: questidue punti sono detti poli celesti. Dovel’orizzonte è libero, l’impressione chese ne ricava è quella di una grande sfe-ra cava, sulla quale sono incastonate lestelle. A differenza degli antichi, oggisappiamo che la sfera cava o sfera cele-ste è solo un’illusione dovuta all’enor-me distanza degli astri, ma si parlaugualmente di essa perché rappresentaun comodo sistema per descrivere eraffigurare i movimenti apparenti degliastri. Un altro punto fondamentale del-la sfera celeste è lo zenit, che è il puntoche sta a perpendicolo sulla testadell’osservatore ed è individuato dallaverticale, cioè dalla direzione del filo apiombo. Il cerchio massimo della sferaceleste a 90° dallo zenit si dice orizzonteastronomico e si distingue dall’orizzontefisico che può essere delimitato da col-line, pendenze del terreno, ecc.Gli osservatori boreali sono fortunatinell’avere vicino al polo una stella piut-tosto luminosa, chiamata appunto stel-la Polare. Essa non si trova esattamente

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Il cielo invernale è dominato da Orione, una costellazione-chiave per antonomasia.

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sul polo celeste nord, contrariamente aquanto ritengono alcuni, ma a una cer-ta distanza che varia lentamente coltempo e che attualmente (2010-2020)vale 43’ (minuti d’arco), ovvero 1,5 vol-te il diametro apparente della Luna.Nella sfera celeste tutte le distanze simisurano in gradi sessagesimali. La di-stanza tra un polo e l’equatore vale90°, tra i due poli 180° mentre l’equato-re si estende per una lunghezza di360°. In totale la sfera celeste viene co-sì a comprendere circa 40.000 gradiquadrati, che sono suddivisi fra 88 co-stellazioni.A seconda della posizione dell’osser-vatore sulla Terra, la sfera celeste ap-pare più o meno inclinata rispettoall’orizzonte. Per un osservatoreall’equatore essa si presenta verticalecon l’equatore celeste che passa allo ze-nit. A una latitudine intermedia tra ilpolo e l’equatore, come è il casodell’Italia, la sfera celeste è inclinata dicirca 45°, e la grande maggioranza de-gli astri sorge e tramonta percorrendoun arco che li conduce alla massima al-tezza rispetto all’orizzonte quandotransitano a sud (a nord per l’emisferoaustrale).Gli astri che distano dall’equatore ce-leste più della differenza tra 90° e la la-titudine non tramontano o sorgonomai, quindi si mantengono sempre vi-sibili e sono chiamati “circumpolari”.Quelli che hanno una distanza a suddell’equatore celeste maggiore delladifferenza tra 90° e la latitudine nonsono mai visibili e rimangono sempresotto l’orizzonte. Naturalmente per gliastri che sorgono e tramontano la du-rata di visibilità varia a secondadell’arco percorso e va da pochi minu-ti (per gli astri più a sud) a quasi 24 ore(per quelli quasi al limite della calottacircumpolare) con tutti i possibili valo-ri intermedi.La sfera celeste, a causa del moto diur-no della Terra, appare ruotare di circa15° all’ora, cioè circa 360° ogni 24 ore.Esattamente, una rotazione completa èdi 23 ore e 56 minuti; 24 ore è l’inter-vallo mediamente richiesto al Sole perritornare nella stessa posizione. Infatti,nell’arco di un giorno il Sole si spostada ovest verso est di quasi un gradoper il moto di rivoluzione della Terra.Delle 88 costellazioni che occupano lasfera celeste, solo una parte è accessibi-le alle latitudini dell’Italia (circa i 2/3)e di questa solo poche, come il Leone olo Scorpione, sono veramente appari-scenti. La maggior parte delle costellazioni ècostituita da stelle relativamente debolie in linea di massima la forma cui dan-no luogo è distinguibile solo sotto cielipiuttosto bui. Questo è il caso, ad esem-pio, di Ercole od Ofiuco. Altre ancora,infine, rappresentano una sfida al ten-tativo di identificazione, come la Giraf-

fa o la Lince, costituite da astri deboli,difficili da percepire. Ma sotto un cielolimpido, non inquinato da illuminazio-ne artificiale e senza Luna, in compa-gnia di una carta stellare, a poco a pocoogni osservatore si familiarizzerà conla sfera celeste.

I pianetiNel corso di questa “esplorazione” pri-ma o poi ci si imbatterà in qualche“stella” brillante non segnata sullemappe stellari: un pianeta. I pianetiche, con maggiore facilità, si possonoscambiare con le stelle sono Marte e

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Questa foto mette in evidenza l’appariscenza della costellazione di Orione. Le trestelle ζ, ε e δ ne costituiscono la cosiddetta “cintura”.

Saturno. In genere brillano quanto Ve-ga o Antares, ma presentano una lucepiù ferma. Giove è sempre più lumino-so di qualsiasi stella e questo consentedi riconoscerlo con facilità; oltre tuttola sua luce bianco-gialla appare molto

ferma, priva di tremolio. La posizionedi questi e degli altri pianeti rispettoalle stelle e costellazioni è comunquefacilmente dedotta dalle nostre effeme-ridi. Per esempio, per il 21 gennaio2002 l’A.R. (Ascensione Retta) di Marte

è di 0 ore e 5 minuti; la declinazione di+0°15’. Da una cartina celeste che ri-porti le coordinate, si vede che Marteera nei Pesci. In tale epoca il pianetabrillava con magnitudine +1,0.Mercurio e Venere sono così vicini alSole che si manifestano generalmentein un cielo chiaro, dove il paragonecon le stelle non è neppure possibile.Per Venere questa impossibilità al pa-ragone si estende alla magnitudine, in-fatti il pianeta è sempre molto più lumi-noso di qualsiasi stella, per esempio250 volte più della Polare. Gli altri pia-neti sono così lontani da essere invisi-bili a occhio nudo (a rigore, Urano puòessere intravisto sotto un cielo moltofavorevole, e sapendo esattamente doveguardare).Sotto un cielo mediamente limpido,una vista normale arriva a scorgerequalche centinaio di stelle, che posso-no arrivare fino a 2000 sotto un cielomolto buio di alta montagna. Con l’al-ternarsi delle stagioni, si rendono visi-bili altre stelle che prima si trovavanodalla parte del Sole, mentre parte diquelle precedentemente visibili scom-paiono. Considerando anche quelle del cieloaustrale, si arriva a un totale di circa6000 stelle su tutta la volta celeste ac-cessibili a occhio nudo, ovvero sino al-la 6ª magnitudine.

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Una delle poche costellazioni che ricordano la figura di cui portano il nome è il Leone, facilmente riconoscibile nelcielo primaverile. La stella più luminosa della costellazione è Regolo, in basso a destra.

Facendo riferimento a Orione, è possibile individuare le costellazioni circostantie un gran numero di stelle luminose.

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Capire e utilizzare i sistemi di riferimento usati in tutto il mondodagli astronomi professionisti e dai dilettanti impegnati

L’argomento inerente alle coordina-te celesti è in genere quello menoaffascinante per i neofiti e il meno

gradito nell’ambito dell’astronomia pergli studenti dell’ultimo anno di liceo.Spesso questo si verifica perchél’insegnamento di questa parte fonda-mentale dell’astronomia avviene in mo-do del tutto scollegato rispetto alle altre,senza che vi sia verso di far rientrare inmodo armonico con gli altri questo pez-zo di “puzzle”.Secondo noi, la causa va ricercata so-prattutto nella mancanza di un collega-mento pratico. D’altro canto, rimanereall’oscuro di queste nozioni, per unastrofilo, significa non poter accedere aun livello un po’ più alto di quello con-templativo, né la presenza di molta e/obuona apparecchiatura si deve riteneresostitutiva a un’eventuale imprepara-zione astronomica.Per cercare, almeno in parte, di superareil problema, tratteremo l’argomento informa un po’ insolita, evitando accade-miche e pedanti elencazioni.

Le misure della sfera celeste

La volta celeste che ci sovrasta e sullaquale appaiono incastonate le stelle vie-ne definita dagli astronomi “sfera cele-ste”. Essa può essere immaginata comeun’enorme palla vuota con la Terra alcentro e con le stelle disposte sulla suasuperficie interna.Di notte sembra che la volta celeste sisposti lentamente da est verso ovest.Questo movimento apparente, che gliantichi ritenevano reale, è dovuto allarotazione della Terra.Analogamente a quanto è stato fatto perla Terra, anche la sfera celeste è statasuddivisa in un reticolo di meridiani eparalleli. Il parallelo principale o fonda-mentale è l’equatore celeste, così chiamatoperché non è altro che la proiezione sul-la sfera celeste di quello terrestre. Esso èperpendicolare all’asse del mondo, checoincide con l’asse di rotazione terrestre.L’equatore celeste divide la sfera celestein un emisfero boreale o settentrionale ein uno australe o meridionale. Riferi-

menti fondamentali sono anche i poli:celeste nord e celeste sud. Anch’essi sipossono definire come la proiezione sul-la sfera celeste di quelli terrestri.L’equatore celeste e i poli celesti sono iriferimenti basilari per tracciare e descri-vere un ipotetico reticolato per “impri-gionare” gli astri con i sistemi di coordi-nate. Come nel caso della latitudine sullaTerra, iniziamo a considerare una coor-dinata che si misuri in gradi sessagesi-mali, con valore 0° all’equatore, +90° alpolo celeste nord e -90° al polo celestesud. Nel sistema maggiormente usato,tale coordinata prende il nome di declina-zione ed è analoga alla latitudine terre-stre. Quindi, un astro situato sull’equa-tore celeste ha declinazione (Dec.) = 0°, ametà strada tra equatore e polo celestenord Dec. = +45°, e sul polo celeste nordDec. = +90°. L’altra coordinata, analogaalla longitudine terrestre, prende il no-me di ascensione retta (A.R.) e vieneespressa in ore e minuti. Il punto d’origi-ne dal quale si inizia a contare questacoordinata è il cosiddetto punto vernale oprimo punto d’Ariete, cioè quello doveviene a trovarsi il Sole all’inizio della pri-mavera. Questa origine è certamentemeno arbitraria di quella terrestre. Infat-ti, Greenwich venne scelto come meri-diano di longitudine 0° per la presenzadi un importante osservatorio, ma ancordi più per l’influenza britannicadell’epoca, mentre il punto vernale èl’incrocio da sud a nord tra il percorsoapparente del Sole (eclittica) e l’equatoreceleste. Il conteggio avviene in senso an-tiorario; il meridiano che passa per ilpunto vernale ha A.R. = 0h, quello a estdi 15° A.R. = lh, quello a est di 30° A.R. =2h e così via fino a 345° o A.R. = 23h.Le carte stellari sono suddivise secondoi valori di Dec. e A.R. e le effemeridi ditutti gli astri vengono date con questivalori.Guardiamo, per esempio, le coordinatedi Saturno pubblicate nel numero difebbraio 2002 di Nuovo Orione. Da esse silegge che Saturno il 2 febbraio 2002 ave-va: A.R. 4h26m; Dec. +19° 59’. Ora, andia-mo a verificare nella carta stellare estrat-ta da un atlante celeste. Vediamo subito,facendo un riscontro come in un giocodi battaglia navale, che il pianeta si tro-va nella costellazione del Toro e a norddell’equatore celeste. La coordinata Dec.ci dice esattamente che si trova 19° e 59’a nord di questo cerchio massimo. Cosìsi procede anche per gli altri corpi cele-

Coordinate celest i

ABC dell’astrofilo

La volta celeste che ci sovrasta viene definita dagli astronomi “sfera celeste”. Iprincipali cerchi massimi in essa presenti sono l’orizzonte, l’eclittica (percorsoapparente del Sole) e l’equatore celeste, che il Sole attraversa agli equinozi. Il cer-chio massimo passante per il nord, punto gamma, sud e punto omega (equinoziodi autunno) prende talvolta il nome di primo meridiano.

sti. Per esempio, la galassia M 104, cheha coordinate A.R. 12h 40m,0 – Dec. =–1l°,37’, viene a trovarsi presso il confi-ne meridionale della costellazione dellaVergine, esattamente dove è segnatanelle carte celesti.

Il Tempo SideraleA causa del moto di rotazione della Ter-ra, la sfera celeste appare ruotare da estverso ovest. Per conoscere quale valoredi A.R. sta transitando davanti a noi,occorre conoscere il Tempo Siderale(T.S.). Quest’ultimo, per definizione,non è altro che l’A.R. degli astri chepassano in meridiano, cioè in direzionenord-zenit-sud. Per esempio, quando lePleiadi passano in meridiano, il T.S. è3h46m.Ma come fare per conoscere il T.S.? Ilmetodo canonico prevede un conteggionon difficile, ma un po’ noioso. In alter-nativa, noi proponiamo la tabella 1, do-ve è indicato il T.S. a Greenwich a 0h diTempo Universale, cioè a 1h di TempoMedio Europa Centrale (quello seguitoin Italia dall’autunno alla primavera) o a2h di Tempo Legale Estivo.La tabella ci fa vedere, per esempio, cheil 26 febbraio a 0h di Tempo Universale aGreenwich in T.S. sono le ore 10 e 20 mi-nuti. Abbiamo detto a Greenwich, ma inItalia? Niente paura. Basta aggiungeretanti minuti quanto è il numero dei gradiest moltiplicato per 4 della località cui ci

si riferisce. Per esempio, un osservatorea Cremona, che si trova 10° a est diGreenwich, aggiunge 40 minuti; un os-servatore a Termoli (Molise) aggiungeun’ora esatta, perché questa città si trova15° a est del meridiano zero. Per ottenerei valori alle date intermedie, basta inter-polare con delle semplici proporzioni.Facciamo un altro esempio. Vogliamoconoscere il T.S. a Roma il giorno 22aprile. Dalla tabella, abbiamo che il 18 ilT.S. vale 13h e 45m e il giorno 26 14h e 17m.Per 8 giorni, la differenza è di 32 minuti,e quindi per 4 giorni è di 16 minuti. Rica-viamo un T.S. di 14h01m, al quale bisognaaggiungere 50 minuti poiché Roma sitrova 12°,5 a est di Greenwich. Quandoil nostro orologio segna le ore 1 (o 2 se èin vigore l’orario estivo), il 22 aprile aRoma transitano in meridiano le stellecon A.R. 14h e 51m (Bootes, Vergine, Bi-lancia, ecc.). Se, come accade più fre-quentemente, il conto ci interessa farloper una certa ora, bisogna aggiungerequesto lasso di tempo, dopo averlo tra-sformato in tempo di Greenwich (Tem-po Universale). Se, per esempio, voglia-mo sapere qual è il T.S. o quali stelle ci

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Di notte sembra che la volta celeste sisposti lentamente da est verso ovest,facendo apparire tutti gli astri muover-si secondo la direzione indicata in fi-gura, attorno alla direzione del Polo.

Porzione di mappa stellare con il reticolo di A.R. e Dec. in corrispondenza della posizione occupata da Saturno (vedipallino rosso nei pressi dell’eclittica) nel febbraio 2002.

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passano “davanti” il 18 febbraio a Romaalle 21 (T.M.E.C.), abbiamo:

T.S. a Greenwich a 0h di T.U. 9h 49m +T.M.E.C. (21h) trasformatoin T.U. 20 00 +longitudine est di Roma 0 50 =

30h 39m –normalizzazione 24 =T.S. alle ore 21 a Roma il18 febbraio 6h 39m

In questo conticino abbiamo trascuratoalcune piccole quantità per rendere iltutto più semplice, in particolare nonabbiamo tenuto conto che a 20h di T.U.corrispondono circa 20h e 3m di T.S. (ogni24h la differenza è di 4m). Per tenere con-to di tale quantità, bisogna aggiungereun minuto ogni sei ore. In ogni caso,non è praticamente possibile raggiunge-re una precisione maggiore di ± 2 minu-ti, perché la tabella 1 si riferisce a un an-no “medio”. Il valore del T.S. varia diqualche minuto di anno in anno, princi-palmente a causa del giorno in più difebbraio che, come è noto, si ha ogniquattro anni.

Il sistema altazimutaleIl sistema di coordinate che ha comepiano fondamentale quello dove si troval’equatore celeste e che utilizza l’A.R. ela Dec., viene definito il terzo poiché pri-ma di esso si considerano l’altazimutale(1°) e l’equatoriale (2°) con l’angolo ora-rio.L’altazimutale, correttamente, è il primoa essere preso in considerazione poichéha come cerchio massimo di riferimentol’orizzonte e come punto lo zenit dell’os-servatore, quello più alto della sfera ce-

leste, a 90° dall’orizzonte. Gli strumentifondamentali dell’astronomia, come cer-chi meridiani, cannocchiali dei passag-gi, ecc. forniscono le coordinate in que-sto sistema, il cui interesse a livello ama-toriale è piuttosto limitato. Però, una re-cente serie di telescopi per appassionati,elettronicamente molto avanzati, ripro-pone il sistema altazimutale come vali-da alternativa a quelli equatoriali, nono-stante che le sue coordinate varino gene-ralmente da istante a istante e da luogoa luogo. Per questo motivo, le carte stel-lari non riportano questi dati. Ma i tele-scopi ai quali facciamo riferimento han-no un computer incorporato che evitaall’osservatore la necessità di conoscerela sfera celeste e qualsiasi sistema di ri-ferimento.Nel sistema altazimutale, l’altezza si mi-sura in gradi da 0° (orizzonte) a +90°(zenit); l’altra coordinata, l’azimut, si mi-sura lungo l’orizzonte anch’esso in gra-di da 0° (sud) a 180° (nord), sia versoovest sia verso est.

Il sistema equatorialeIn astronomia, il secondo sistema dicoordinate ha come piano fondamentalequello in cui si trova l’equatore celeste.Tutti i cerchi massimi che passano per ipoli celesti sono detti cerchi orari; quelloche passa per lo zenit coincide con il me-ridiano. Quando un astro, nel suo motoapparente da est verso ovest, incrociaquesto cerchio, si dice che “passa in me-ridiano”. Ciò avviene due volte per ognirotazione terrestre, a intervalli di 12h. Sel’altezza dell’astro sull’orizzonte è mas-sima, si ha la culminazione superiore, sel’altezza è minima o negativa (quandol’astro si trova al di sotto dell’orizzonte)si ha la culminazione inferiore.

Anche nel secondo sistema c’è la decli-nazione, ma l’altra coordinata si chiamaangolo orario. L’angolo orario si misuralungo l’equatore celeste dal meridianofino al cerchio massimo in cui si troval’astro. Poiché questa coordinata variada istante a istante, non è possibile indi-carla sulle mappe, a differenza dellaDec., ma la sua variazione è lineare, adifferenza dell’altezza e dell’azimut, al-meno tanto quanto è uniforme il motodi rotazione della Terra.

Altri sistemi di coordinateOltre a questi sistemi, in astronomia sene usano altri due, ovvero il quarto e ilquinto.Nel quarto sistema il cerchio massimodi riferimento è l’eclittica, la linea lungola quale si muove apparentemente il So-le per effetto del moto di rivoluzionedella Terra. I punti fondamentali sono ipoli dell’eclittica. La prima coordinata,la latitudine celeste, è analoga alla decli-nazione, ma si differenzia da essa per-ché si conta dall’eclittica anzichédall’equatore celeste. La longitudine cele-ste è l’altra coordinata; anch’essa comel’A.R. inizia dal punto gamma, o puntovernale, ma si conta lungo l’eclittica ingradi e primi anziché lungo l’equatoreceleste in ore e minuti.I professionisti per certi lavori sentonola necessità di impiegare il quinto siste-ma di coordinate, che ha come pianofondamentale quello in cui si troval’equatore galattico, cerchio massimo in-dividuato dalla Via Lattea, la cui incli-nazione è di 62°20’ rispetto a quello ce-leste. Le coordinate si chiamano latitudi-ne e longitudine galattica; la prima si mi-sura in gradi lungo i cerchi massimi pas-santi per i poli galattici, la seconda in

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Il sistema di riferimento più usato nell’osservazione è quel-lo che ha come coordinate l’A.R. e la Dec. (δ). La prima si mi-sura dal punto vernale (γ); la seconda dall’equatore celeste.

Nel sistema altazimutale le coordinate sono l’altezza h el’azimut A; il cerchio fondamentale è l’orizzonte.

ore e minuti lungo l’equatore galatticoin senso antiorario. Il “punto vernale”della longitudine galattica è il centrodella nostra galassia, le cui coordinatenel terzo sistema sono: A.R. = 17h42m,4;Dec. = -28°55’ (2000.0).

La precessione degliequinozi

Spesso, dopo l’elencazione dei valoridelle coordinate nel terzo sistema se-gue una cifra, per esempio 1950.0 o2000.0, oppure le stesse cifre senza ilpunto zero. Questa precisazionedell’anno a cui si riferiscono le coordi-nate è imposta dal fatto che l’asse di ro-tazione della Terra (che punta appros-simativamente verso la stella α UrsaeMinoris – la Polare – e che definisce siail polo celeste sia il punto vernale) nonè immobile, ma si sposta lentamente insenso orario, percorrendo una circonfe-renza apparente sulla volta celeste, edando così luogo all’importante feno-meno conosciuto sotto il nome di pre-cessione degli equinozi. Una rotazionecompleta dell’asse terrestre richiedecirca 26 mila anni, durante i quali ilpunto gamma – origine dell’A.R. – at-traversa tutta la sfera celeste. Questo si-gnifica che le coordinate degli astricambiano lentamente ma continuamen-te, aumentando la propria A.R. fino a24h per poi ricominciare da 0h. Per unastella situata sull’equatore celeste, l’au-mento dell’A.R. vale circa 6 minuti o1°,5 al secolo; una quantità piccolanell’arco della vita umana, ma di cuioccorre tenere conto. Per questo, dopo il valore delle coordi-nate dovrebbe comparire l’anno al qualesi riferiscono. La posizione delle stelle equindi gli atlanti stellari si riferiscono in

genere all’equinozio 1950 o 2000. Quellirelativi al 2000 sono migliori per la no-stra epoca. In linea di massima, il diva-rio è così piccolo da essere trascurabilese l’equinozio di riferimento dista 10 omeno anni dalla data di osservazione;

così, gli atlanti e le posizioni al 2000 so-no ottime dal 1990 al 2010.Le effemeridi dei pianeti pubblicate neiprincipali almanacchi e nella rivistaNuovo Orione si riferiscono all’equinoziodell’anno in corso.

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Tempo siderale medio a Greenwich

(a Oh di Tempo Universale)

Tabella 1

DATA T.S. DATA T.S.

2 gennaio 6h 44m 2 luglio 18h 41m

10 gennaio 7h 15m 10 luglio 19h 13m

18 gennaio 7h 47m 18 luglio 19h 44m

26 gennaio 8h 18m 26 luglio 20h 16m

2 febbraio 8h 46m 2 agosto 20h 43m

10 febbraio 9h 17m 10 agosto 21h 15m

18 febbraio 9h 49m 18 agosto 21h 46m

26 febbraio 10h 20m 26 agosto 22h 18m

2 marzo 10h 40m 2 settembre 22h 45m

10 marzo 11h 12m 10 settembre 23h 17m

18 marzo 11h 43m 18 settembre 23h 49m

26 marzo 12h 15m 26 settembre 0h 20m

2 aprile 12h 42m 2 ottobre 0h 43m

10 aprile 13h 14m 10 ottobre 1h 15m

18 aprile 13h 45m 18 ottobre 1h 47m

26 aprile 14h 17m 26 ottobre 2h 18m

2 maggio 14h 41m 2 novembre 2h 46m

10 maggio 15h 12m 10 novembre 3h 17m

18 maggio 15h 44m 18 novembre 3h 49m

26 maggio 16h 15m 26 novembre 4h 20m

2 giugno 16h 43m 2 dicembre 4h 44m

10 giugno 17h 14m 10 dicembre 5h 16m

18 giugno 17h 46m 18 dicembre 5h 47m

26 giugno 18h 17m 26 dicembre 6h 19m

Il secondo sistema ha come coordinate l’angolo orario H ela Dec. (δ). Anche qui il cerchio massimo fondamentale èl’equatore celeste.

Nel quarto sistema, il cerchio massimo di riferimento èl’eclittica e la coordinata che si misura lungo di essa è lalongitudine celeste.

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Una breve rassegna sulle magnitudini, le “grandezze” utilizzateper indicare la luminosità delle stelle

Che le stelle non appaiano tutteugualmente brillanti è un fattocosì evidente che tutti lo possono

notare al primo sguardo. Naturalmente,ciò che noi osserviamo oggi valeva an-che nel passato, quando venne realizza-to il primo catalogo stellare. Fu proprioallora, nel II secolo avanti Cristo, che ungrande astronomo greco, Ipparco di Ni-cea, decise di suddividere le stelle in ba-se alla loro luminosità. Egli definì le piùbrillanti di 1a grandezza, quelle un po’più deboli di 2a, quindi quelle più fievo-li di 3a, poi 4a, 5a e 6a. La scala risultò con-gegnata in modo tale che una stella di 1a

grandezza era all’incirca 100 volte piùluminosa di una di 6a, con i numeri piùpiccoli che indicavano le brillantezzepiù intense. Di conseguenza, il rapportotra una classe e la successiva, che Ippar-co cercò di mantenere costante, risultòdi un fattore 2,5 in luminosità. Ipparcoparlava di “grandezze” (con lo stesso si-gnificato di “magnitudine”, che derivadal latino) non solo perché – secondo leidee correnti dell’epoca – pensava che lestelle più brillanti fossero fisicamentepiù grandi, ma anche perché queste sul-la retina dell’occhio producono un’im-magine di maggiori dimensioni. La sca-la così concepita, tramandataci da Tolo-meo, non era del tutto arbitraria, poichérispettava le sensazioni della nostra vi-sta, che sono di tipo logaritmico e non li-neare. Questo comporta che l’energia lu-minosa non produce sui nostri sensi unasensazione equivalente alla sua inten-sità, ma molto inferiore, come possiamoverificare, per esempio, uscendo da unastanza. All’esterno, in pieno giorno, laluce è tipicamente 100 volte maggiore,ma a noi il divario appare di gran lungapiù contenuto.

La suddivisione modernaLa scala di Ipparco, per quanto basataesclusivamente su impressioni visive,fu adottata tale e quale fino al secoloXIX, quando l’utilizzo di strumentiscientifici più raffinati dell’occhio uma-no richiese una precisazione matemati-ca di tale suddivisione. Poiché, in me-dia, come aveva già osservato W. Her-schel, le stelle di prima grandezza sonocirca 100 volte più luminose di quelleappena visibili a occhio nudo, si è con-venuto, seguendo la proposta di Pog-son (1857), che le grandezze apparentidi due stelle le cui luminosità siano nelrapporto di 1 a 100 differiscano di 5

unità esatte. Se ne deduce che il rappor-to degli illuminamenti di due stelle lecui grandezze variano di una sola unitàè di 100,4= 5��100� = 2,512.Per evitare confusione con il concetto digrandezza inteso come dimensione, siutilizza il vocabolo “magnitudine” (ab-breviato in m), che comunque non ha so-stituito del tutto il termine “grandezza”.Se una stella è cento, diecimila, un milio-ne di volte meno luminosa di un’altra, lasua magnitudine è rappresentata da unnumero che supera, rispettivamente, di5, 10, 15 unità quello che indica la ma-gnitudine della stella più brillante.

L’occhio umano è in grado di stimare fa-cilmente una differenza di 0m,5 (0,5 ma-gnitudini), mentre le moderne misurefotometriche sono in grado di darci ilvalore della luminosità con la precisionedel centesimo di magnitudine.

Il “punto zero”La precisione matematica richiedevaperò anche un “punto zero” ben deter-minato nella scala delle magnitudini.Questo punto di riferimento venne scel-to nella stella Polare (α Ursae Minoris)assegnandole, nel massimo accordopossibile con la scala di Ipparco, una

Le magnitudini stellari

ABC dell’astrofilo

Che le stelle non appaiano tutte ugualmente luminose è evidentissimo al primosguardo, come dimostra questa fotografia di Orione e Sirio (in basso a sinistra).

magnitudine di 2,0. Una volta così preci-sata la scala, si vide che alcune stelleparticolarmente luminose sbordavanodalla prima grandezza; per esempio,Capella, Vega e Arturo divennero digrandezza 0 e Sirio – la più brillante –divenne di grandezza -1,5. In questastessa scala, che non vale solo per le stel-le ma per tutti gli astri, Venere arriva a-4,5, la Luna piena a -12,6 e il Sole a -26,7magnitudini.All’altra estremità si hanno le stelle ac-cessibili agli strumenti; un binocolo ri-vela quelle di 8a-9a magnitudine, unpiccolo telescopio quelle di 11a-12a euno grande rende accessibili quelle di16a-17a.Per evitare possibili confusioni, alla cifrache indica la magnitudine si antepone ilsegno, ma di fatto questo è spesso omes-so nel caso di valori positivi.Sfortunatamente, la stella Polare a un’in-dagine più approfondita si rivelò legger-mente variabile; la sua scelta come riferi-mento non era stata felice. Per ovviare aquesto inconveniente, si optò per tuttauna serie di stelle detta “sequenza polareinternazionale”, comprendente le ma-gnitudini fotografiche (vedi più avanti)di 329 stelle situate attorno al polo cele-ste nord. Con i nuovi riferimenti, moltopiù affidabili, la Polare dimostrò di va-riare tra i valori 2m,1 e 2m,2.

Magnitudini visuali e fotografiche

Con l’uso di strumenti, e soprattuttodella lastra fotografica, già nel secoloXIX si notò che alcune stelle che all’os-servazione visuale, cioè guardando di-rettamente sia a occhio nudo che attra-verso un telescopio, mostravano unacerta magnitudine, in fotografia ne esi-bivano un’altra. Tipico è il caso di Betel-geuse, in Orione, che vista a occhio ap-pare luminosa all’incirca come Rigel, ma

che nelle prime fotografie mostravad’essere molto più debole. Questo è do-vuto al fatto che alcune stelle emettonopiù luce in un colore (o meglio a unacerta lunghezza d’onda) mentre altre so-no più brillanti in un altro. Una stella co-me Betelgeuse, che emette molta luce ditonalità rossa, e assai brillante con un ri-velatore particolarmente sensibile a que-sto colore, ma all’epoca delle prime ras-segne fotografiche del cielo (fine Otto-cento) il materiale disponibile era sensi-bile solo alla regione violetto-blu dellospettro, cioè fino a onde di lunghezzapari a circa 520 nm (nm = nanometro = 1miliardesimo di metro). Allora non eraancora disponibile la tecnica dell’ag-giunta di coloranti per estendere la sen-sibilità verso maggiori lunghezze d’on-da. Quindi, con le emulsioni dell’epocaera possibile registrare l’immagine degliastri solo in base alla loro luce blu-vio-letta e ultravioletta. Di conseguenza, lefotografie non mostravano le diversestelle con le stesse magnitudini misuratea occhio, la cui massima sensibilità spet-trale è intorno ai 560 nm, ciò che corri-sponde ai colori verde-giallo. Per distin-guere queste due diverse intensità, sidefinì magnitudine fotografica (mpg) quellaricavata dalle lastre dell’epoca e magni-tudine visuale (mv) quella determinata aocchio. Verso la fine del secolo XIX, sigiunse alle emulsioni ortocromatiche (=dalla sensibilità cromatica corretta) che,in barba al significato del nome, nonrappresentano correttamente i vari colo-ri, poiché la loro sensibilità non si esten-de oltre il giallo. Soltanto con l’arrivodelle emulsioni pancromatiche (= sensibi-li a tutti i colori) divenne possibile regi-strare anche le lunghezze d’onda oltre i590 nm. Tra i materiali usati in astrono-mia, i tipici rappresentanti di questeclassi erano: il 103aO (sensibile fino alblu, materiale “ordinario”); il 103aD(sensibile fino al giallo, materiale orto-cromatico); 103aF (sensibile fino al ros-so, materiale pancromatico).Quindi, non soltanto le stelle appaionovariare la loro magnitudine dall’osser-vazione visuale a quella fotografica, mapure da pellicola a pellicola!L’esigenza di conoscere la magnitudinea diverse lunghezze d’onda ha portatoalla definizione di indice di colore. Esso èla differenza tra due magnitudini dellastessa stella ripresa in due diversi colori.L’indice di colore mpg-mv è la differenzatra la grandezza apparente fotografica equella visuale. Per definizione, tutte lestelle bianche (più precisamente quellecon spettro AOV non arrossate) hannoindice di colore uguale a zero. Le stelleazzurre hanno indice negativo, mentrequelle gialle, arancioni e rosse hanno in-dice positivo.Spesso si sente parlare di magnitudini fo-tovisuali (mpv); esse si ottengono con lastreortocromatiche e un filtro (giallo) che la-sci passare la radiazione oltre i 500 nm.

Le magnitudini così ottenute, per stellenormali, sono equivalenti a quelle visua-li. A questo punto possiamo precisarecon quali combinazioni emulsione-filtrosi ottengono le due magnitudini.- Magnitudini fotografiche (mpg): emul-sione ordinaria o non sensibilizzata tipole Kodak IIaO o 103aO senza filtri conrifrattori fotografici o con riflettori daglispecchi argentati; con un filtro che bloc-chi l’ultravioletto sotto i 360 nm (peresempio lo Schott WG 360) con riflettoridagli specchi alluminati. Oppure, in as-senza di emulsioni “ordinarie”, quelledivenute oggi comuni (pancromatiche)con un filtro che isoli la regione spettra-le compresa fra 350 e 470 nm.- Magnitudini fotovisuali (mpv): emulsio-ne ortocromatica tipo la 103aD più filtroGG 495 o Wratten 9.

Magnitudini assoluteLe magnitudini di cui normalmente siparla e quelle che abbiamo indicato fino-ra, sia visuali che fotografiche, sonoquelle apparenti, cioè quelle che vengo-no osservate dalla Terra, indipendente-mente dal fatto che la stella sia più o me-no luminosa o più o meno lontana. Unastella può apparire più brillante di un’al-tra solo perché più vicina, così Sirio ciappare più splendente di Deneb, ma inrealtà è quest’ultima a emettere più luce.Per conoscere l’effettiva luminosità diuna stella è necessario calcolare quantosarebbero brillanti se fossero situate allastessa distanza. Si è universalmente con-venuto di fissare questa distanza stan-dard uguale a 10 parsec o 32,6 anni-luce.Il parsec, abbreviazione di parallasse-se-condo, è la distanza alla quale il raggiodell’orbita della Terra è visto sotto l’an-golo di un secondo d’arco.

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A Claudio Tolomeo si deve il grandemerito di averci tramandato (tramitel’Almagesto) il catalogo stellare e lasuddivisione in ‘grandezze’ dovute alsuo predecessore Ipparco.

All’inglese Norman Pogson (1829-1891) va il principale merito dellamoderna suddivisione della lumino-sità delle stelle.

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La magnitudine assoluta di una stella èquella che essa avrebbe alla distanza di10 parsec (parallasse di 0”,1). La scaladella magnitudine assoluta è ulterior-mente definita dicendo che una stellabianca (di spettro AO) di sequenza prin-cipale, cioè nella fase in cui le reazioninucleari avvengono in modo analogo alSole, ha una magnitudine assoluta di 0,0.Quando di una qualsiasi stella, oltre allamagnitudine apparente (m) è nota la di-stanza, si può determinare la magnitu-dine assoluta (M) con la seguente for-mula:M=m + 5 - 5 log rdove r è la distanza in parsec.Facciamo un esempio con Sirio. Questastella, che ha una magnitudine apparen-te di -1,5, si trova a 8,7 anni-luce da noi,

ovvero a 2,67 parsec. Si ha:M = -1,5 + 5 - 5 log 2,67M = 3,5 - 5 × 0,426 = +1,4 (magnitudineassoluta di Sirio).Ecco invece cosa diverrebbe la luce sola-re se la nostra stella fosse a 10 parsec:M = -26,7 + 5 - 5 log 0,000005M = -21,7 + 26,57 = +4,87.Il Sole diverrebbe una stellina a mala pe-na visibile a occhio nudo.La magnitudine assoluta ricavata è dellostesso tipo di quella apparente impiega-ta nel calcolo; essa può essere visuale,fotografica o di qualche altro genere. Lamagnitudine assoluta visuale si indicacon MV; quella assoluta fotografica conMpg, ecc.Quando si parla genericamente di ma-gnitudine, si sottintende quella appa-

rente visuale, quindi quando si trovascritto che una certa stella ha magnitudi-ne +2, si intende mV . In sigla, la magni-tudine assoluta è sempre indicata con laemme maiuscola; quella apparente sem-pre con la emme minuscola.

Magnitudini delle stelle più brillanti

Nella pratica astronomica, la “grandez-za”, cioè l’illuminamento prodotto dallastella di cui si vuole avere la magnitudi-ne, si determina con speciali fotometridetti fotoelettrici. Mediante tali apparec-chi l’illuminamento prodotto da unastro è rapportato a quello di una stelladi cui sia nota la luminosità o con una“stella artificiale”, cioè con una luce diconfronto dell’apparecchio e se ne hacosì la misura.Le stelle più brillanti ottenute da questemisure sono elencate in tabella 1.

Considerazioni varieAvendo preso conoscenza della scalaastronomica dello splendore delle stelle,facciamo ora qualche considerazioneper fissare le idee.Calcoliamo, per esempio, quante stelledi terza grandezza occorrano per averela luce di una di prima. Una stella di 3m

è 2,52, cioè 6,3 volte meno luminosa diuna di prima perché vi sono due gran-dezze di differenza e perché il divariocostante tra una e la successiva vale2,5. Dunque, per avere l’equivalenza diquest’ultima occorrono 6,3 stelle di ter-za magnitudine, 15,8 di quarta, ecc. Perraggiungere la luminosità di una stelladi prima grandezza occorre il numero

La stella Polare (immagine più intensa con alone) venne scelta come punto diriferimento per la misura delle magnitudini stellari. Ma, per il motivo spiegatonel testo, tale scelta non si rivelò felice.

J. Herschel nel 1849 suggerì per lemagnitudini stellari una progressionerelativa all’elevamento a potenza, mal’ambiente astronomico preferì unascala logaritmica.

di stelle di altre grandezze elencatonella tabella 2. A occhio nudo è possi-bile percepire le stelle fino alla 6m, maquesto richiede un cielo molto limpidoe buio. Chi vive in città, normalmentearriva a scorgere fino alla 3m e, in casiparticolarmente sfavorevoli, solo finoalla 2m. All’opposto, alcuni dalla vistaparticolarmente dotata e in condizionieccezionalmente favorevoli giungono ascorgere stelle di 7m.Infine, la tabella 3 indica con quale ma-gnitudine massima si presentano i pia-neti visti l’uno dall’altro in ordine decre-scente secondo la loro “grandezza”.Da notare che la Terra vista da Venere,quando i due pianeti sono alla minimadistanza, brilla tanto quanto tutte le stel-le visibili se la loro luce fosse concentra-ta in un unico punto!

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Nella tabella, la lettera d indica una stella doppia con una differenza tra le componentiinferiore a 5 magnitudini. Il valore riportato è quello derivante dalla somma di entrambe lestelle. La lettera v indica una stella variabile.

STELLA MAGNITUDINE DISTANZA MAGNITUDINE

APPARENTE (PARSEC) ASSOLUTA

α Canis Majoris, Sirio –1,5 2,67 +1,4

α Carinae, Canopo –0,7 55,5 –4,4

α Centauri, Toliman, d –0,3 1,31 +4,1

α Bootis, Arturo –0,1 11,2 –0,3

α Lyrae, Vega +0,0 8,13 +0,5

α Aurigae, Capella +0,1 13,7 –0,6

β Orionis, Rigel +0,2 200 –6,4

α Canis Minoris, Procione +0,4 3,48 +2,7

α Eridani, Achernar +0,5 43,5 –2,7

β Centauri, Agena, d +0,7 62,5 –3,3

α Orionis, Betelgeuse, v +0,7 175 –5,5

α Aquilae, Altair +0,8 5,10 +2,3

α Tauri, Aldebaran, v +0,9 20,8 –0,7

α Crucis, Acrux, d +0,9 66,7 –3,2

α Scorpii, Antares, v, d +1,0 160 –5,0

α Virginis, Spica, d +1,0 47,6 –2,4

α Piscis Austrinis, Fomalhaut +1,2 6,94 +2,0

β Geminorum, Polluce +1,2 10,7 +1,0

α Cygni, Deneb +1,3 460 –7,0

β Crucis +1,3 90,9 –3,5

α Leonis, Regolo +1,4 25,6 –0,7

ε Canis Majoris, Adhara +1,5 83,3 –3,1

α Geminorum, Castore, d +1,6 13,9 +1,0

λ Scorpii, Shaula +1,6 38,5 –1,3

γ Orionis, Bellatrix +1,6 140 –4,1

Quando si parla di magnitudini, senza ulteriori precisazioni, si intendono quel-le apparenti. Le magnitudini assolute, invece, tengono conto del reale potereemissivo della stella. Per esempio, in Cassiopea le stelle che ci appaiono piùbrillanti sono α e β perché sono vicine, come dimostra il grafico qui sopra (l.y.= anni luce), ma quella che emette più luce è la γ, come dimostra il riquadro adestra, dove i dischi corrispondono alla magnitudine stellare assoluta M (inproporzione il Sole è in basso a sinistra).

L’aspetto di molti corpi celesti varia aseconda che li si fotografi in luce bluTabella 1

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Numero di stelle equivalent i

a una di 1a grandezza

di 2a grandezza 2,5

di 3a grandezza 6,3

di 4a grandezza 16

di 5a grandezza 40

di 6a grandezza 100

di 7a grandezza 250

di 8a grandezza 630

di 9a grandezza 1600

di 10a grandezza 4000

di 11a grandezza 11000

Tabella 2

Magnitudine massima dei pianeti

Venere visto da Mercurio : –7m,7

Terra vista da Venere : –6m,6

Terra vista da Mercurio : –5m,0

Venere visto dalla Terra : –4m,5

Venere visto da Marte : –3m,2

Giove visto da Marte : –2m,8

Marte visto dalla Terra : –2m,8

Mercurio visto da Venere : –2m,7

Terra vista da Marte : –2m,6

Giove visto dalla Terra : –2m,5

Giove visto da Venere : –2m,4

Giove visto da Mercurio : –2m,2

Saturno visto da Giove : –1m,9

Tabella 3

o rossa. Qui la nebulosa Trifida o M20 (da sinistra a destra, in luce blu, verde e rossa) “perde” quasi completamente lasua parte inferiore blu quando viene ripresa in luce rossa.

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Quale strumento acquistare quando si inizia a conoscere il cielo e si desideraottenere una visione più ricca di quella di cui è capace il nostro occhio

Q uasi tutti coloro che si appas-sionano di astronomia sentonoprima o poi il desiderio di pos-

sedere uno strumento che sia in gradodi far vedere direttamente le meravi-glie celesti descritte con molta prodiga-lità nei libri divulgativi.Appena il neoappassionato inizia ainformarsi, si accorge che il mercato of-fre molti articoli, che spesso più cheaiutarlo nella scelta non fanno altro checonfondergli le idee. Il fatto è che diquesti strumenti appositamente conce-piti per l’osservazione del cielo, i tele-scopi, ne esistono molti modelli e ov-viamente ogni produttore e/o vendito-re porta le argomentazioni più convin-centi per esaltare i propri. Poiché lascelta di un tale strumento, con qual-che pretesa di serietà, dovrebbe esserecompiuta dopo una serie di considera-zioni e in base a un minimo di espe-rienza, dedicheremo a essa tutto ilprossimo ABC, considerando qui altristrumenti di minor impegno.Il primo che vale veramente la pena diconsiderare è il binocolo. Questo “dop-pio-cannocchiale” è il compagno idealedi molti osservatori e il suo acquistonon viene rimpianto anche quando sipossiede un potente telescopio, poichéne rappresenta un complemento e nonun fratello minore. Un binocolo, inol-tre, offre del cielo una visione non trau-maticamente diversa da quella che siha a occhio nudo e quindi non poneproblemi di riconoscimento del campoinquadrato.

La scelta del binocoloMa quale binocolo scegliere? Senzadubbio un modello prismatico e conobiettivi sui 50 mm di diametro.Per scopi astronomici è da scartare l’ac-quisto di modelli galileiani o da teatro,cioè quelli senza prismi, che sviluppa-no da 2,5 a 4 ingrandimenti, sia perl’avvicinamento eccessivamente bassoche per il modesto diametro degliobiettivi. Gli obiettivi sono costituiti dauna semplice lente convessa e gli ocu-lari da un’unica lente concava. Nei mo-delli più impegnativi si usa come obiet-tivo un doppietto acromatico. Il fattoche l’oculare debba essere posizionatoprima del fuoco rende questi binocolimolto compatti. Un’altra controindica-zione al loro acquisto proviene dalprezzo, non sempre più basso a ontadelle minori prestazioni, perché soven-

te tali binocoli vengono impreziositi dafregi di nessun interesse per l’osserva-tore del cielo.Un discorso analogo vale per i binocolicon prismi “a tetto”, resi costosi daquesto particolare tipo di prismi e van-taggiosi solo per la loro estrema com-pattezza. Tali binocoli presentanoobiettivi dal diametro molto modesto,che consente di avere un guadagnopiuttosto contenuto rispetto all’occhioumano nel rilevamento di oggetti de-boli.Se non vi sono esigenze particolari, perl’osservatore del cielo la scelta dovreb-be cadere su un modello prismaticoclassico, cioè con i cosiddetti prismi diPorro e obiettivi sui 50 mm di diame-tro. I modelli con prismi di Porro (dalnome del grande ottico italiano del se-colo XIX Ignazio Porro) sono riconosci-bili perché le lenti degli obiettivi nonsono allineate con quelle degli oculari.Questo schema permette di ottenereuna maggiore percezione della profon-dità, ma a spese di un maggior ingom-bro. Come è risaputo, la nostra vista ciconsente di apprezzare la terza dimen-sione; di quanto ce lo indica la distanzatra gli occhi (da 58 a 70 mm, in media65 mm) e la capacità di distingueredettagli fini. Poiché un primo d’arco,che è considerata teoricamente la capa-cità di risoluzione dell’occhio umano,corrisponde all’angolo sotteso da unoggetto distante 3.438 volte la sua di-mensione, la percezione della profon-dità per la vista umana arriva a circa

200 metri (3.438×65 mm). Nella mag-gioranza dei binocoli la distanza tra icentri degli obiettivi viene portata a unvalore di 14 cm; inoltre, l’ingrandimen-to rende percepibili dettagli più fini.Nel complesso, i binocoli consentonodi apprezzare la profondità con unguadagno B/b × i volte, dove B è la di-stanza degli obiettivi, b quella degli oc-chi dell’osservatore e i l’ingrandimentodel binocolo. Da quanto detto emergeche un modello 10×50 spinge questacapacità 20 volte oltre quella dei soliocchi, portandola fino a diversi chilo-metri.Il principale vantaggio dei binocoli ri-spetto ai cannocchiali rimane la visionecon entrambi gli occhi, che è più natu-rale e riposante. Ma per fruirne appie-no occorre che il binocolo sia ben rego-lato per la propria vista. Ecco come fa-re. Guardate attraverso l’oculare sini-stro con l’occhio sinistro e regolate lamessa a fuoco col perno centrale. Oratraguardate attraverso quello destrocon l’occhio destro e, se necessario,mettete a fuoco lo stesso oggetto agen-do esclusivamente sull’apposito movi-mento di quell’oculare. L’ulteriore re-golazione si ottiene guardando con en-trambi gli occhi e agendo sulle dueparti del corpo del binocolo per rag-giungere la propria distanza interpu-pillare; quella corretta si ottiene quan-do le due immagini si fondono in una ei due campi si uniscono per formar-ne uno circolare e non uno a otto co-me quello delle mascherine usate nel

Il primo strumento di osservazione

ABC dell’astrofilo

Il binocolo si può definire un doppio cannocchiale che raddrizza le immagini conprismi e che spesso contiene un attacco per poterlo fissare a un treppiede foto-grafico. (Cortesia ditta Auriga).

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cinema per simulare la visione attra-verso un binocolo. La convenienza sulvalore di 50 mm scaturisce dal fattoche obiettivi più piccoli non costanosensibilmente meno, mentre, come in-crementa il diametro da questa dimen-sione, i prezzi raggiungono valori pa-rossistici. Alcuni prezzi “tipici” sonoelencati in tabella 1.Ricordiamo che, nelle sigle dei binoco-li, il primo numero indica l’ingrandi-mento e il secondo il diametro degliobiettivi espresso in millimetri. Appareovvio, quindi, che più sono alti questinumeri e più il binocolo è “potente”.Attenzione, però, che oltre i 10-12 in-grandimenti il tremolio delle nostremani impedisce di sfruttarlo completa-mente; un supporto diventa pratica-mente indispensabile.Un altro numero che spesso compare èl’indicazione dei gradi abbracciati, pre-ceduta dalla scritta inglese Field (cam-po). Field 5°, ad esempio, significa che5° è il diametro del campo inquadrato.Negli opuscoli illustrativi le case co-struttrici accompagnano questo valorecon il campo lineare visibile a 1000 me-tri; con 5° si hanno 87 metri. Questo da-to non interessa l’osservatore del cieloche, comunque, volendo può ricavarlofacilmente dalla seguente relazione:Campo lineare a 1 km = (1000 × campoin gradi)/57,3. Ad esempio, con unoangolare di 7°, se ne ricava uno linearedi: (1000 × 7)/57,3 = 122 metri. Le indi-cazioni generalizzate si fermano qui.Altre sigle incise forniscono indicazio-ni sulla marca, modello e numero di se-rie. Talvolta, i costruttori indicano i bi-nocoli con alcune lettere dopo l’ingran-dimento e il diametro; ad esempio 7×50ZCF. Queste lettere identificano le se-guenti caratteristiche: Z = schema dicostruzione prismatico alla tedesca,con obiettivi svitabili dal corpo centra-le. CF = (Center Focus) messa a fuococentrale, la soluzione di gran lunga piùcomune. Altre indicazioni possono es-sere: B = schema di costruzione pri-smatico all’americana, con binocolo acorpo unico. Tra le ditte tedesche, que-sta lettera individua un modello adattoa chi porta gli occhiali. W = (Wide) bi-nocolo con oculari a grande campo. SW(Super Wide) campo di veduta ultralar-go (grandangolare), anche Ww nei mo-delli tedeschi. R = (Rubber) presenza diun rivestimento in gomma (allo scopoè utilizzata anche la sigla GA). D =schema con prismi a tetto. T = tratta-mento multiplo antiriflesso tra le dittetedesche. IF = (Individual Focus) messaa fuoco individuale per ogni oculare.Talvolta capita che l’ingrandimento siadefinito da due numeri, ad esempio8-20×50; questo sta a indicare che sia-mo di fronte a un binocolo con ocularizoom in grado di variare l’ingrandi-mento da un minimo di 8x a un massi-mo di 20x.

A onta delle loro modeste prestazioni, i binocoli galileiani o da teatro, come quel-li qui mostrati, vengono venduti a prezzi paragonabili a quelli dei prismatici. (Cor-tesia Gern Optic).

Schema del percorso dei raggi luminosi con prisma a tetto e con prisma di Por-ro. A sinistra è mostrato il differente campo inquadrato ad alto ingrandimento (ti-po 12x) e a ingrandimento basso (come 7x). A destra in basso: ecco come si pre-senta l’indicazione della distanza interpupillare. (Cortesia ditta Auriga).

I binocoli con obiettivi sui 50 mm didiametro si possono trovare in unagrande varietà di forme e marche. Perqueste ultime, noi consigliamo di rivol-gersi verso prodotti di qualità media;quelli di prima costano molto di piùsenza dare tanto in proporzione, men-tre quelli di basso prezzo creano soven-te alcuni inconvenienti; ad esempio, do-po un po’ che li si usa producono mal ditesta o una specie di mal di mare. Il re-sponsabile è uno scorretto allineamen-to dei due cannocchiali, cioè è presenteun errore di collimazione. Esami di la-boratorio hanno dimostrato che gli oc-chi o, meglio, il cervello, riescono auto-

maticamente a compensare questo er-rore fino a un certo limite, che vale cir-ca l° per il senso orizzontale, ma solocirca 10’ per quello verticale. Se un bi-nocolo è affetto da questo inconvenien-te, sarà opportuno farlo mettere a pun-to da una persona esperta; si tratta diregistrare degli anelli sui barilotti degliobiettivi (per differenze piccole) o laposizione dei prismi (per quelle piùgravi). Generalmente, questo è proprioil difetto presente nei binocoli di minorprezzo e maggior ingrandimento. Unodei vantaggi dei binocoli più costosi ri-siede nel maggior rigore col quale vie-ne controllato l’allineamento.

Più difficile è trovare un binocolo com-merciale col difetto di ingrandimentileggermente differenti; comunque, lanostra vista sopporta una differenza fi-no al 2-2,5%. Questo inconveniente siverifica più facilmente con binocoli au-tocostruiti unendo due cannocchiali.I binocoli che mostrano le stelle comecrocette sono affetti da astigmatismo equelli che le rendono iridescenti daaberrazione cromatica; entrambi i di-fetti, ineliminabili, sono sintomo di ot-tiche di scarso pregio. Altrettanto dica-si per le immagini lattescenti, immagi-ni sfocate appena fuori del centro delcampo e distorsione molto forte ai bor-di. Talvolta, il costruttore, per propa-gandare un campo maggiore, sfruttaanche il bordo estremo, quello dovel’immagine è inevitabilmente cattiva.Considerato che un binocolo è unostrumento che dura tutta una vita e chea esso affiderete per molte ore la vostravista, non vale davvero la pena specu-larvi sopra per poche decine di euro.Talvolta nei libri divulgativi si trovache i binocoli, a parità di diametroobiettivo, non arrivano alla stessa ma-gnitudine limite dei telescopi a causadell’ingrandimento molto basso cherende chiaro il fondo cielo. Questo èvero anche se la visione avviene conentrambi gli occhi: ma di quanto la ma-gnitudine limite di un binocolo è infe-riore a quella di un telescopio? Di circauna magnitudine. La tabella 2 presentaquesti valori, secondo una nostra for-mula indicata più sotto.Il primo dato presente nella tabella ca-ratterizza il binocolo, ovvero dà l’in-grandimento e il diametro obiettivo; ilsecondo il valore della pupilla d’uscita.Cioè, il diametro del dischetto chiarovisibile dalla parte degli oculari quan-do il binocolo è diretto verso uno sfon-do luminoso. Il valore della pupillad’uscita (p.u.) si determina dividendoil diametro dell’obiettivo per l’ingran-dimento; più è grande e maggiore ri-sulta la luminosità.Abbiamo, infine, la magnitudine limiteche ci possiamo aspettare dal binocoloconsiderato. Questo limite è basato suun cielo buono e una vista normale, di-ciamo quando a occhio si distinguonosenza fatica stelle di magnitudine + 5,5.Tali valori sono stati ricavati dalla for-mula: mlim. = (7,0 - 2x p.u.) + 5 log D(Valori espressi in cm).Essa, oltre che del diametro dell’obiet-tivo, tiene conto della pupilla d’uscita.Facciamo un esempio per un binocolonon considerato nella tabella ma moltodiffuso: un 7×50, cioè un modello da 7ingrandimenti con obiettivi da 50 mmdi diametro. La sua pupilla d’uscita va-le 50:7 = 7,14 mm. Si ha: mlim. = (7,0 -1,4) + 5 log 5 = 9,1. Rispetto al modelloda 10x perde 4 decimi di magnitudineperché la grande pupilla d’uscita rendeil cielo molto chiaro.

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Nei binocoli all’aumento del diametro obiettivo oltre i 50 mm corrisponde un ver-tiginoso aumento del prezzo. Ad esempio, anche oltre i 5000 euro per questo“mostro” 35×150 pesante ben 59 kg! (Cortesia Gern Optic).

Nei binocoli le principali sigle danno indicazioni sull’ingrandimento, sul diametrodegli obiettivi e sul campo angolare. La pupilla d’uscita è il dischetto chiaro visi-bile negli oculari. (Cortesia ditta Auriga).