14
Riccardo Varaldo, Scuola Superiore Sant’Anna GLOBALIZZAZIONE E CRESCITA: DUE SFIDE INTERCONNESSE Il processo di ripresa e di crescita dell’economia italiana dopo la crisi è basato non poco sul miglioramento e l’efficienza organizzativa e delle condizioni di redditività e competitività delle imprese. Questa è un’esigenza comune a tutti i Paesi; per l’Italia è un passaggio cruciale molto difficile da compiere stante il fatto che le condizioni del business environment e della competitività del sistema Paese costituiscono un handicap per le imprese, specie quelle di medie e grandi dimensioni che più sono esposte alla concorrenza internazionale. A rilanciare la competitività e la crescita devono dunque concorre due condizioni: la prima che il mondo delle imprese e gli attori che operano in questo mondo, imprenditori e sindacati, adottino comportamenti coerenti con le nuove condizioni della competizione nel mercato globale. La seconda riguarda le pratiche e i comportamenti di tutti gli altri attori sociali, politici e istituzionali, che non sono direttamente esposti alla competizione globale. Anche questi attori devono entrare in sintonia e quindi cercare di adeguarsi per affrontare la sfida della globalizzazione e della crescita. Questo concatenamento di condizioni e comportamenti caratterizza più di prima l’attuale realtà in cui: le imprese si trovano a competere in mare aperto con cogenti condizioni di efficienza e competitività per affrontare la nuova globalizzazione del XXI mo secolo; la crescita richiede un intervento attivo da parte del governo, risorse copiose e grande lungimiranza e capacità dei policy makers. La crisi ha contribuito in modo determinante nel far crescere il peso dei Paesi emergenti nel contesto dell’economia mondiale sia dal punto di vista produttivo, ma anche come mercato di sbocco ed in prospettiva come ambiente adatto per accogliere insediamenti di laboratori di ricerca delle grandi multinazionali. Questo trend è destinato a far compiere un salto in avanti alla competizione globale ed a condizionare sempre più la crescita e l’occupazione nei Paesi avanzati. Su questa trama nel presente lavoro si sviluppano analisi e proposte con particolare riferimento all’economia e all’industria nel nostro Paese, che è uno dei più esposti a tali sfide. UNA RIPRESA TRAINATA DAI PAESI EMERGENTI La ripresa dopo la più grave recessione dagli anni trenta del novecento è in atto. La crescita globale va oltre il 4%, come Pil, quasi un punto percentuale in più del tasso medio dei precedenti vent’anni. Ma non c’è un trend monolitico della crescita. Siamo di fronte ad una ripresa asimmetrica (a due velocità). Le economie emergenti stanno crescendo molto più delle economie avanzate e sostengono gran parte della crescita mondiale. In certo senso la crisi ha accelerato la loro rincorsa e anticipato l’arrivo del futuro. I dati parlano chiaro: i Paesi emergenti forniscono da un decennio il 70% dell’incremento del Pil mondiale e cresceranno del 6,5% in entrambi i prossimi due anni (fig. 1). E’ questa la novità, rispetto alle recessioni passate, che può rendere meno disagevole l’uscita dalla crisi perché questi Paesi possono sostenere più di prima la domanda aggregata su scala internazionale.

GLOBALIZZAZIONE E CRESCITA DUE SFIDE INTERCONNESSEgraduatoria). Per il nostro Made in Italy ci sono opportunità limitatamente ai grandi del lusso, con brand di grande notorietà e

  • Upload
    others

  • View
    2

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

Page 1: GLOBALIZZAZIONE E CRESCITA DUE SFIDE INTERCONNESSEgraduatoria). Per il nostro Made in Italy ci sono opportunità limitatamente ai grandi del lusso, con brand di grande notorietà e

Riccardo Varaldo, Scuola Superiore Sant’Anna GLOBALIZZAZIONE E CRESCITA : DUE SFIDE INTERCONNESSE

Il processo di ripresa e di crescita dell’economia italiana dopo la crisi è basato non poco sul miglioramento e l’efficienza organizzativa e delle condizioni di redditività e competitività delle imprese. Questa è un’esigenza comune a tutti i Paesi; per l’Italia è un passaggio cruciale molto difficile da compiere stante il fatto che le condizioni del business environment e della competitività del sistema Paese costituiscono un handicap per le imprese, specie quelle di medie e grandi dimensioni che più sono esposte alla concorrenza internazionale.

A rilanciare la competitività e la crescita devono dunque concorre due condizioni: la prima che il mondo delle imprese e gli attori che operano in questo mondo, imprenditori e sindacati, adottino comportamenti coerenti con le nuove condizioni della competizione nel mercato globale. La seconda riguarda le pratiche e i comportamenti di tutti gli altri attori sociali, politici e istituzionali, che non sono direttamente esposti alla competizione globale. Anche questi attori devono entrare in sintonia e quindi cercare di adeguarsi per affrontare la sfida della globalizzazione e della crescita. Questo concatenamento di condizioni e comportamenti caratterizza più di prima

l’attuale realtà in cui: le imprese si trovano a competere in mare aperto con cogenti condizioni di efficienza e competitività per affrontare la nuova globalizzazione del XXI mo secolo; la crescita richiede un intervento attivo da parte del governo, risorse copiose e grande lungimiranza e capacità dei policy makers.

La crisi ha contribuito in modo determinante nel far crescere il peso dei Paesi

emergenti nel contesto dell’economia mondiale sia dal punto di vista produttivo, ma anche come mercato di sbocco ed in prospettiva come ambiente adatto per accogliere insediamenti di laboratori di ricerca delle grandi multinazionali. Questo trend è destinato a far compiere un salto in avanti alla competizione globale ed a condizionare sempre più la crescita e l’occupazione nei Paesi avanzati. Su questa trama nel presente lavoro si sviluppano analisi e proposte con particolare riferimento all’economia e all’industria nel nostro Paese, che è uno dei più esposti a tali sfide. UNA RIPRESA TRAINATA DAI PAESI EMERGENTI

La ripresa dopo la più grave recessione dagli anni trenta del novecento è in atto. La

crescita globale va oltre il 4%, come Pil, quasi un punto percentuale in più del tasso medio dei precedenti vent’anni. Ma non c’è un trend monolitico della crescita. Siamo di fronte ad una ripresa asimmetrica (a due velocità). Le economie emergenti stanno crescendo molto più delle economie avanzate e sostengono gran parte della crescita mondiale. In certo senso la crisi ha accelerato la loro rincorsa e anticipato l’arrivo del futuro. I dati parlano chiaro: i Paesi emergenti forniscono da un decennio il 70% dell’incremento del Pil mondiale e cresceranno del 6,5% in entrambi i prossimi due anni (fig. 1). E’ questa la novità, rispetto alle recessioni passate, che può rendere meno disagevole l’uscita dalla crisi perché questi Paesi possono sostenere più di prima la domanda aggregata su scala internazionale.

Page 2: GLOBALIZZAZIONE E CRESCITA DUE SFIDE INTERCONNESSEgraduatoria). Per il nostro Made in Italy ci sono opportunità limitatamente ai grandi del lusso, con brand di grande notorietà e

2

I grandi Paesi emergenti, tra cui in primis la Cina e l’India, dall’apertura dei mercati

internazionali e dalla crescita degli investimenti diretti esteri degli scorsi trent’anni sono riusciti a trarre spinte, condizioni e opportunità per la loro trasformazione sociale e economica e per il loro take-off industriale, per cui oggi si trovano ad essere i nuovi protagonisti ed il motore dell’economia mondiale. D’altro canto, sono Paesi che hanno potuto, in molti casi, mettere in atto politiche di fronteggiamento a breve della crisi ma anche politiche di stimolo dell’economia molto efficaci che hanno sostenuto la domanda interna e consentito di investire in ricerca, capitale umano, infrastrutture e energie rinnovabili. E ora ne traggono vantaggio sulla rispesa. Il fatto più evidente è l’accelerato cambiamento nell’equilibrio globale del potere economico. Se assegniamo un valore di 100 al Pil del 2005, vediamo che nel 2010 negli USA è stato di 105, nel Eurozona di 104, in Giappone di 102. Ma in Brasile si è attestato a 125, in India a 147 e in Cina a 169.

La Cina è un po’ la metafora del cambiamento del XXI secolo così come il Giappone

lo è stato negli anni 1980. E’ la prima attrice della nuova stagione della globalizzazione con ritmi di sviluppo prossimi al 10%, sempre più basati sulla domanda interna. Per cui dà un contributo di un terzo all’aumento del Pil nel mondo. E’ già uno dei più grandi esportatori. Sta spingendo le imprese ad aprirsi sempre più a collaborazioni internazionali ed anche a fare acquisizioni di imprese straniere. L’economia della Cina, pertanto , è molto probabile che riuscirà a sorpassare quella americana entro venti anni.

L’interscambio commerciale Italia-Cina oggi è 35 miliardi di dollari, ma si prevede

che salga a 80 miliardi nel 2015. Tuttavia nel 2010 c’è stato un maxi-deficit di 20 miliardi, 7 miliardi in più del 2009. Le importazioni dalla Cina sovrastano le esportazioni italiane. La quota di mercato dell’Italia sul complesso delle esportazioni verso questo grande Paese è solo dell’1,7% (l’Italia è in 21ma posizione nella relativa graduatoria). Per il nostro Made in Italy ci sono opportunità limitatamente ai grandi del lusso, con brand di grande notorietà e prestigio, mentre sono ridotti gli spazi per le PMI con scarse risorse da investire nell’innovazione, nel marketing e nel presidio del retail, con propri negozi o reti in franchising.

Emergenti: le 10 colonneEmergenti: le 10 colonne(PIL, variazioni % primi 10 paesi emergenti per peso sul PIL nel 2009)

Fonte: elaborazioni e previsioni CSC su dati FMI.

CINA

INDIA

RUSSIA

BRASILE

MESSICO

INDONESIA

TURCHIA

POLONIA

ARABIA S.

ARGENTINA.

EMERGENTI

10

8

6

4

2

0

-2

-4

-6

-8

Fig. 1 Emergenti: le 10 colonneEmergenti: le 10 colonne(PIL, variazioni % primi 10 paesi emergenti per peso sul PIL nel 2009)

Fonte: elaborazioni e previsioni CSC su dati FMI.

CINA

INDIA

RUSSIA

BRASILE

MESSICO

INDONESIA

TURCHIA

POLONIA

ARABIA S.

ARGENTINA.

EMERGENTI

10

8

6

4

2

0

-2

-4

-6

-8

Emergenti: le 10 colonneEmergenti: le 10 colonne(PIL, variazioni % primi 10 paesi emergenti per peso sul PIL nel 2009)

Fonte: elaborazioni e previsioni CSC su dati FMI.

CINA

INDIA

RUSSIA

BRASILE

MESSICO

INDONESIA

TURCHIA

POLONIA

ARABIA S.

ARGENTINA.

EMERGENTI

10

8

6

4

2

0

-2

-4

-6

-8

Fig. 1

Page 3: GLOBALIZZAZIONE E CRESCITA DUE SFIDE INTERCONNESSEgraduatoria). Per il nostro Made in Italy ci sono opportunità limitatamente ai grandi del lusso, con brand di grande notorietà e

3

Le prospettive di crescita dei consumi interni della Cina sono comunque molto positive, soprattutto per il rapido aumento della fascia dei consumatori con maggiori disponibilità di reddito (fig. 2).

Più in generale, guardando al futuro, fino al 2025, ci si aspetta una forte crescita dei

consumi, sia in termini reali che nominali, dei Bric (Brasile, Russia, India, Cina), con un contributo di una media di mille miliardi di consumi aggiuntivi ogni anno. La forte espansione della classe media (quella benestante) sarà il driver di questa crescita, che consentirà ai consumi dei Bric di assumere lo stesso peso dei consumi americani già entro la fine di questo decennio.

Il nuovo scenario di mercato crea nuove opportunità di sbocco anche per i beni di

consumo del Made in Italy. Ma tutto dipenderà da come le PMI riusciranno a rafforzarsi strutturalmente e patrimonialmente. Non si può sperare di ottenere un posizionamento solido sui nuovi mercati facendo affidamento solo sulla qualità dei prodotti e sul generico richiamo al Made in Italy, senza avere costi competitivi e network di distribuzione nei nuovi mercati. L’obiettivo deve essere quello di aumentare sensibilmente la produttività in campo industriale e nei servizi, per recupeare competitività dal lato dei costi e dei prezzi, allo scopo di incrementare i volumi smerciabili, evitando il rischio di una emarginazione in nicchie di mercato sempre più ristrette, non idonee a garantire un rilancio effettivo della nostra industria. IL TRASFERIMENTO DI TECNOLOGIA COME DAZIO PER ENTRARE NEI NUOVI MERCATI

I mercati internazionali sono stati progressivamente aperti, nel quadro del più

generale processo di liberalizzazione dell’economia, del commercio e degli investimenti che ha preso campo a seguito della caduta del muro di Berlino nel 1989 e della nuova conseguente ondata di internazionalizzazione dell’economia e degli scambi. Rimangono però in essere distorsioni nel mercato internazionale e forme di protezionismo e barriere che frenano lo sviluppo del commercio tra continenti e tra aree geo-politiche, mentre fanno sorgere squilibri nella crescita e nelle bilance commerciali, con vantaggi e svantaggi non equamente distribuiti tra i vari Paesi.

Uno dei casi più emblematici sotto tale profilo è quello della Cina. E’ innanzitutto

sempre più evidente che il mantenere sottovalutata la moneta nazionale (Yuan)

I benestanti raddoppiano ogni cinque anniI benestanti raddoppiano ogni cinque anni(Cina, milioni di individui e peso % sulla popolazione totale)

Fonte: elaborazioni e stime CSC su dati NBS, World Bank e Global Insight.

450

400

350

300

250

200

150

100

50

0

2010 2015 2020

Dimensione della classe benestante (milioni di individui)

Peso sulla popolazione cinese totale (%)

Fig. 2 I benestanti raddoppiano ogni cinque anniI benestanti raddoppiano ogni cinque anni(Cina, milioni di individui e peso % sulla popolazione totale)

Fonte: elaborazioni e stime CSC su dati NBS, World Bank e Global Insight.

450

400

350

300

250

200

150

100

50

0

2010 2015 2020

Dimensione della classe benestante (milioni di individui)

Peso sulla popolazione cinese totale (%)

I benestanti raddoppiano ogni cinque anniI benestanti raddoppiano ogni cinque anni(Cina, milioni di individui e peso % sulla popolazione totale)

Fonte: elaborazioni e stime CSC su dati NBS, World Bank e Global Insight.

450

400

350

300

250

200

150

100

50

0

2010 2015 2020

Dimensione della classe benestante (milioni di individui)

Peso sulla popolazione cinese totale (%)

Fig. 2

Page 4: GLOBALIZZAZIONE E CRESCITA DUE SFIDE INTERCONNESSEgraduatoria). Per il nostro Made in Italy ci sono opportunità limitatamente ai grandi del lusso, con brand di grande notorietà e

4

determina di fatto il permanere di un evidente vantaggio competitivo per le esportazioni di prodotti dalla Cina, con un rafforzamento della sua politica aggressiva dei prezzi..

C’è poi, come secondo fattore critico, una vasta area di violazione dei diritti di

proprietà intellettuale da parte degli operatori cinesi che hanno una grande propensione e attitudine a imitare e riprodurre, con gravi danni per le imprese occidentali che vedono depauperarsi il loro patrimonio intellettuale.

In terzo luogo, la Cina mantiene barriere che bloccano la penetrazione dei prodotti e

delle imprese occidentali in Cina. Nei primi giorni dello scorso gennaio è stato aperto a Milano uno sportello della IBC (Industrial and Commercial Bank of China), la più grande banca del mondo, ma per le nostre banche è impossibile aprire sportelli in Cina.

Su un piano più generale va rilevato che la Cina sta sfruttando in modo

discriminatorio e protezionistico il forte potenziale di crescita del mercato interno. E questo vincolando l’entrata di imprese straniere alla stipula di accordi e joint venture con imprese locali per l’installazione di fabbriche in Cina, accompagnata da trasferimenti di tecnologie e know-how.

Il fattore originario di attrazione era la possibilità di produrre in Cina a costi bassi; da

qualche tempo le multinazionali sono attratte dalle crescenti opportunità che offre il mercato interno, e ci sono segnali per un interesse a trasferire in Cina anche laboratori di ricerca, che tendono a seguire la crescita del mercato. In sostanza, si sta ampliando l’area degli investimenti diretti esteri verso la Cina dalla produzione al mercato (distribuzione) e alla ricerca.

Con la progressiva estensione e qualificazione della forza tecnologica e produttiva

cinese stanno saltando i paradigmi che hanno sostenuto in Occidente la globalizzazione e le relative politiche di adattamento. Fino a ora si è spiegato alle imprese italiane, ma anche a tutte quelle occidentali, che per contrastare la concorrenza globale l’unica strada è andare verso l’alto nella scala della qualità e del valore aggiunto: produrre merci e servizi sempre più di alta tecnologia, difficili da imitare. E’ la strada presa dalla Germania ma anche da molte nostre aziende che ha avuto buoni successi. E’ ormai però chiaro che anche questa difesa considerata la “difesa intelligente” e non protezionista sta diventando sempre meno efficace, mentre espone le imprese occidentali al rischio di perdere il vantaggio competitivo fondato sul controllo della tecnologia.

Con l’imposizione di un trade-off tra apertura del mercato e trasferimento di

tecnologie e know-how le imprese cinesi sono riuscite a bruciare le tappe nello sviluppo del loro potenziale tecnologico. Stanno salendo rapidamente sulla scala del valore aggiunto, mantenendo costi più bassi di quelli europei e americani. E così costringono a salire ancora di più i concorrenti occidentali. Il progresso compiuto in campo scientifico e tecnologico da parte della Cina, con il contributo determinante di tecnologie e know-how di Paesi occidentali, tra cui in parte anche l’Italia, non è una cosa da poco. In settori ricchi, importanti e prestigiosi – automobili, aerospazio, treni, impianti per energie alternative, ICT, chimica – le aziende cinesi hanno già raggiunto posizioni di rilievo internazionale.

Le imprese occidentali corrono il pericolo di essere spinte sempre più in alto sulla

scala tecnologica, fino a quando, un giorno, la nicchia sarà troppo piccola ed i ritorni

Page 5: GLOBALIZZAZIONE E CRESCITA DUE SFIDE INTERCONNESSEgraduatoria). Per il nostro Made in Italy ci sono opportunità limitatamente ai grandi del lusso, con brand di grande notorietà e

5

economici non più sufficienti ad alimentare le spese in ricerca e sviluppo necessarie per sostenere una leadership tecnologica.

Quella di Pechino è una strategia aggressiva che crea enormi tensioni; l'Occidente,

invaso da merci cinesi a basso costo, ha assolutamente bisogno di vedere crescere il mercato interno dell'Impero di Mezzo e i mercati dei Paesi emergenti, quale nuovo sbocco commerciale preferenziale per l'economia mondiale. Ma se continuerà a violare o a forzare la proprietà intellettuale delle imprese occidentali - parte consistente del loro patrimonio – la Cina dimostrerà invece di volere sempre perseguire la crescita con la strategia doppia dell'aggressività di prezzo sui mercati occidentali e della chiusura sul mercato interno. Lo stesso vale per le acquisizioni: le imprese cinesi stanno arrivando in Europa1 con l'intenzione di comprare aziende medie ma ad alta tecnologia. Il governo di Pechino dovrà essere convinto a eliminare gli ostacoli che rendono difficile alle imprese occidentali comprare aziende in Cina.

In altre parole, la globalizzazione deve avvenire in modo meno aggressivo e meno

squilibrato per garantire che le imprese occidentali compensino con i nuovi mercati emergenti le quote di mercato che perdono in America e in Europa. Ha dunque fatto bene, nel recente incontro a Washintgton, il presidente Barack Obama a chiedere al presidente Hu Jintao un rapporto di maggiore collaborazione. Si tratta di costruire un clima di fiducia tra Ovest e Est senza il quale si andrà incontro solo a guai, probabilmente a disastri. In particolare la Cina va convinta ad aprire il proprio mercato rispettando i diritti di proprietà intellettuale e deve rinunciare alla pratica di concedere spazi solo in cambio di tecnologia e know-how.

Anche l'Europa deve però muoversi. E’ chiaro che il vecchio paradigma

dell’avanzamento sulla scala tecnologica, che prima serviva ad assicurare un vantaggio competitivo sostenibile nel tempo, ora sta perdendo efficacia anche come puro mezzo difensivo. In Germania molte imprese - Siemes e Basf - ma anche associazioni di categoria stanno facendo grandi pressioni sui governi di Pechino e di Berlino, affinché cessi la pratica ricattatoria della condivisione di tecnologie in cambio di quote di mercato. In Italia non c’è eguale sensibilità sul problema, anzi sta aumentando il deflusso di tecnologie italiane verso la Cina. Da un lato molte PMI di settori tecnologici, come le macchine utensili ed i robot, stanno riorientando i loro flussi esportativi verso la Cina, a seguito del forte calo registrato sul mercato domestico e europeo, ed anche su quello statunitense. Da un altro si cerca di spingere le PMI ad aumentare il contenuto tecnologico dei loro prodotti per rafforzare la loro competitività e capacità di penetrazione sui mercati emergenti. In terzo luogo stanno aumentando gli investimenti diretti esteri verso la Cina ed altri Paesi emergenti da parte di grandi e medie imprese, e quindi i trasferimenti in loco di rilevanti patrimoni di tecnologie e know-how.

In prospettiva c’è da ritenere che la nostra industria possa subire depauperamenti del

proprio patrimonio intellettuale se non si adottano misure per presidiare il fenomeno. Occorre tenere sotto controllo italiano il nocciolo duro delle nostre tecnologie ed il know-how più profondo per evitare un depauperamento dei nostri vantaggi competitivi. E per realizzare questo obiettivo è necessario aumentare significativamente gli

1 Con gli investimenti diretti compiuti all’estero la Cina ha creato finora 14 milioni di posti di lavoro in molti Paesi. E sta crescendo il numero di imprese acquisite all’estero, tra cui anche imprese italiane. Gli effetti di questi IDE sull’economia e sull’innovazione dei paesi occidentali sono uno dei temi da approfondire.

Page 6: GLOBALIZZAZIONE E CRESCITA DUE SFIDE INTERCONNESSEgraduatoria). Per il nostro Made in Italy ci sono opportunità limitatamente ai grandi del lusso, con brand di grande notorietà e

6

investimenti in innovazione, da parte delle imprese, e creare sinergie durevoli tra la ricerca pubblica e la ricerca privata.

L’ ECONOMIA ITALIANA DI FRONTE ALLA RIPRESA E ALLA CRESCITA Ci troviamo di fronte ad una ripresa asimmetrica, con più velocità, anche all’interno

delle economie avanzate, e non solo tra queste e le nuove economie. L’Eurozona ha visto ridursi drasticamente la sua forza espansiva a partire dagli anni ’70, ha risentito più degli altri Paesi avanzati della crisi ed ora è più lenta nella ripresa. Ed è l’area in cui maggiori sono i divari di performance. Nelle nuove previsioni degli economisti del Fondo monetario internazionale abbiamo da un lato la Germania (+2,2% Pil nel 2011) da un altro l’Italia (+1% nel 2011 e +1,3% nel 2012), la Spagna ed altri minori.

L’Italia è tra i Paesi che rimane indietro nella ripresa (fig. 3) per suoi mali antichi e

perché è in forte ritardo nell’entrata in sintonia con i nuovi Paesi emergenti che stanno trainando la crescita. Questo è la conseguenza di una sottovalutazione del fenomeno della nuova globalizzazione del XXI secolo che a sua volta ha portato a non considerare nel modo giusto la natura e gli effetti della crisi. Ora la globalizzazione ha incominciato a farsi sentire ed ad incidere sul lavoro, sui nostri redditi, sui giovani, sulle imprese, sulle università. Ma c’è una riluttanza di fondo a prenderne atto e una scarsa capacità di reazione, con il rischio di un peggioramento della nostra situazione economica, sociale e occupazionale.

La contrazione dell’economia italiana nel biennio 2008-2009 è stata violenta: -6,8% è

stata la riduzione del Pil. Il recupero si dimostra incerto e lentissimo. Per riagguantare entro la fine del 2020 il livello del trend, peraltro modesto, registrato tra il 2000 e il 2007, l’Italia dovrebbe procedere d’ora in avanti ad almeno il 2% annuo; e invece non sa andare oltre l’1%. L’andamento dell’economia italiana è deludente perché la malattia della lenta crescita di cui l’Italia soffre da almeno un quindicennio (dal 1997) non è mai stata vinta. Ed ora con la ripresa ritorna ad essere un fattore molto critico.

LL ’’ Italia resta in ritardoItalia resta in ritardo

Fonte: elaborazioni e stime CSC su dati ISTAT e Eurostat.

2009 2010 2011 2012

113

111

109

107

105

103

101

99

97

95

Italia Germania Francia

(PIL a prezzi costanti, dati trimestrali, primo tri m. 2009=100)

DD

FF

II

Fig. 3 LL ’’ Italia resta in ritardoItalia resta in ritardo

Fonte: elaborazioni e stime CSC su dati ISTAT e Eurostat.

2009 2010 2011 2012

113

111

109

107

105

103

101

99

97

95

Italia Germania Francia

(PIL a prezzi costanti, dati trimestrali, primo tri m. 2009=100)

DD

FF

II

LL ’’ Italia resta in ritardoItalia resta in ritardo

Fonte: elaborazioni e stime CSC su dati ISTAT e Eurostat.

2009 2010 2011 2012

113

111

109

107

105

103

101

99

97

95

Italia Germania Francia

2009 2010 2011 2012

113

111

109

107

105

103

101

99

97

95

Italia Germania Francia

2009 2010 2011 2012

113

111

109

107

105

103

101

99

97

95

Italia Germania Francia

(PIL a prezzi costanti, dati trimestrali, primo tri m. 2009=100)

DD

FF

II

Fig. 3

Page 7: GLOBALIZZAZIONE E CRESCITA DUE SFIDE INTERCONNESSEgraduatoria). Per il nostro Made in Italy ci sono opportunità limitatamente ai grandi del lusso, con brand di grande notorietà e

7

Le cause del fenomeno sono diverse e tutte molto complesse. La ragione primaria della bassa crescita è l’elevata incidenza del debito pubblico2 sul Pil ( fig. 4), che con la crisi è aumentata. Mentre altri Paesi europei (segnatamente Germania e Francia) ed extraeuropei (USA, Cina) sono riusciti a rispondere alla recessione con sostanziosi piani di rilancio dell’economia3, che ora sostengono la ripresa, l’Italia si è dovuta limitare ad azioni di tamponamento della crisi tramite gli ammortizzatori sociali e sussidi alle imprese.

Mentre durante la crisi si è pensato a sopravvivere, non dando troppo peso ai mali

profondi della nostra economia, ora con la ripresa il loro impatto si sta facendo critico e da tutte le parti si invoca una maggiore crescita, come via essenziale da perseguire. Finalmente ci si sta rendendo conto che rimanere su livelli di crescita del Pil molto bassi e inferiori a quelli degli altri Paesi europei rende impossibile far scendere l’incidenza del debito pubblico sul Pil al parametro europeo (60%) mentre comporta in prospettiva un calo del benessere della popolazione.

La disciplina severa della moneta unica e la Comunità Europea hanno costretto

l’Italia ad interiorizzare un “vincolo esterno” che è servito a tenere sotto controllo i conti pubblici (politica del rigore) e a far assumere comportamenti virtuosi. Tutto questo è accaduto ma ora non è più sufficiente. Occorre passare dal rigore alla crescita. E per questo conta soprattutto la capacità di cambiamento interno al Paese. L’Italia deve recuperare un interesse, una voglia, una spinta al cambiamento che deve provenire dal suo interno. E questo può avvenire solo se c’è una visione condivisa del futuro, se si è partecipi di una speranza collettiva di miglioramento.

2 Per l’Italia l’incidenza del debito pubblico sul Pil nel 2009 era del 116%, mentre per la Francia il 78% e per la Germania il 73,4%. 3 L’America ha varato una manovra che muove il 6% del Pil, mentre l’Europa non è riuscita ad andare oltre l’1-1,5% del reddito prodotto dai suoi membri e l’Italia ha dovuto limitarsi ad una manovra di appena lo 0,5% del Pil, concentrata largamente sulle categorie di reddito della fascia medio-bassa.

Elevati debiti pubblici frenano la crescitaElevati debiti pubblici frenano la crescita(Paesi avanzati; 1992 - 2007)

Fonte: elaborazioni CSC su dati FMI.

1,0 2,0 3,0 4,0 5,0 6,0 7,0

Crescita media del PIL reale (var. %)

0

20

40

60

80

100

120

140

Deb

ito

pu

bb

lico

me

dio

(in

% P

IL)

Fig. 4 Elevati debiti pubblici frenano la crescitaElevati debiti pubblici frenano la crescita(Paesi avanzati; 1992 - 2007)

Fonte: elaborazioni CSC su dati FMI.

1,0 2,0 3,0 4,0 5,0 6,0 7,0

Crescita media del PIL reale (var. %)

0

20

40

60

80

100

120

140

Deb

ito

pu

bb

lico

me

dio

(in

% P

IL)

Elevati debiti pubblici frenano la crescitaElevati debiti pubblici frenano la crescita(Paesi avanzati; 1992 - 2007)

Fonte: elaborazioni CSC su dati FMI.

1,0 2,0 3,0 4,0 5,0 6,0 7,0

Crescita media del PIL reale (var. %)

0

20

40

60

80

100

120

140

Deb

ito

pu

bb

lico

me

dio

(in

% P

IL)

Fig. 4

Page 8: GLOBALIZZAZIONE E CRESCITA DUE SFIDE INTERCONNESSEgraduatoria). Per il nostro Made in Italy ci sono opportunità limitatamente ai grandi del lusso, con brand di grande notorietà e

8

LA COMPETITIVITÀ DELLE IMPRESE Per concorre ad accrescere la capacità di crescita dell’economia il mondo delle

imprese deve innanzitutto recuperare competitività in linea con i tempi. Per fare della globalizzazione una opportunità le imprese dei Paesi avanzati devono puntare sulla transizione verso nuove configurazioni produttive e su interventi di innalzamento della produttività in campo industriale e nei servizi.

Nel caso italiano il recupero su questo fronte è fondamentale per puntare a maggiori

capacità di crescita. Il cattivo andamento del CLUP (costo del lavoro per unità di prodotto) sintetizza anche l’evoluzione insoddisfacente della produttività (fig. 5), in cui incide la spirale bassi salari-bassa produttività quale anomalia propria del nostro sistema. L’Italia deve imparare dalla Germania adottando le riforme per puntare a salari più alti a fronte di una produttività più elevata ed a guadagni nella produttività maggiori che nelle retribuzioni. I sindacati in Germania sono da sempre ispirati al “sistema del consenso” per cui da sempre hanno contribuito a salvare i posti di lavoro, accettando una moderazione dei salari, una correlazione del loro aumento a guadagni di produttività, ed in più una partecipazione agli utili del 10% in cambio di un aumento della produttività pari al 10% annuo.

Sulla crescita della produttività dell’industria oggi hanno un peso determinante anche

le ICT ed i servizi avanzati. L’hanno capito già dagli anni ’90 gli USA4. L’hanno capito gli altri Paesi europei, in primis la Germania. Lo stanno imparando i nuovi Paesi, India e Cina in testa. In Italia invece il tasso di diffusione delle ICT rimane basso (fig. 6) ed il loro utilizzo modesto e poco efficace, per ragioni di domanda ed offerta, per cui il potenziale di induzione delle ICT per la crescita della produttività e del Pil è scarsamente utilizzato.

4 E’ rimasta famosa la frase del Nobel Robert Solow (i computer sono dappertutto tranne che nelle statistiche della produttività) pronunciata nel 1987 alle soglie della nascita della nuova economia, che ha spinto molto la leva delle nuove tecnologie.

Un CLUP da correggereUn CLUP da correggere(Divario cumulato nel CLUP rispetto alla Germania)

CLUP: costo del lavoro per unità prodottaFonte: elaborazioni CSC su dati Eurostat.

Fig. 5 Un CLUP da correggereUn CLUP da correggere(Divario cumulato nel CLUP rispetto alla Germania)

CLUP: costo del lavoro per unità prodottaFonte: elaborazioni CSC su dati Eurostat.

Un CLUP da correggereUn CLUP da correggere(Divario cumulato nel CLUP rispetto alla Germania)

CLUP: costo del lavoro per unità prodottaFonte: elaborazioni CSC su dati Eurostat.

Fig. 5

Page 9: GLOBALIZZAZIONE E CRESCITA DUE SFIDE INTERCONNESSEgraduatoria). Per il nostro Made in Italy ci sono opportunità limitatamente ai grandi del lusso, con brand di grande notorietà e

9

Le nuove generazioni dell’era digitale rischiano così di non riuscire a mettere a frutto

le loro competenze e capacità per contribuire, con il loro inserimento nel mondo del lavoro, a far fare un salto in avanti alla produttività a livello dell’industria, dei servizi e della pubblica amministrazione.

Occorre che le università si preparino per formare i laureati del futuro e quindi

adeguarsi nelle strutture e nei metodi per gli studenti della digital generation (nativi digitali), con profili culturali, relazionali, metodologici ed interessi diversi dal passato. Il Master in “Management, Innovazione e Ingegneria dei Servizi (MAINS)” della Scuola Superiore Sant’Anna è già avanti su questa strada, con il contributo determinante degli Innovation labs, condotti in stretta collaborazione con partners industriali di elevata qualificazione (fig. 7)

Le PMI e le amministrazioni pubbliche dovranno a loro volta cambiare in profondità

e modificare i loro modelli operativi per non far disperdere il potenziale innovativo insito nelle nuove competenze e capacità della digital generation.

Pochi investimenti in ICTPochi investimenti in ICT(Investimenti in ICT, in % degli investimenti fissi lordi non residenziali)

Fonte: elaborazioni e stime CSC su dati OCSE.

198

0

1981

198

2

1983

198

4

1985

198

61

987

1988

1989

199

01

991

1992

1993

1994

199

5

1996

199

7

199

819

9920

00

200

12

002

200

320

04

200

5

2006

2007

200

8

5

10

15

20

25

30

35 Francia Germania Italia Spagna Regno Unito Stati Uniti

Fig. 6 Pochi investimenti in ICTPochi investimenti in ICT(Investimenti in ICT, in % degli investimenti fissi lordi non residenziali)

Fonte: elaborazioni e stime CSC su dati OCSE.

198

0

1981

198

2

1983

198

4

1985

198

61

987

1988

1989

199

01

991

1992

1993

1994

199

5

1996

199

7

199

819

9920

00

200

12

002

200

320

04

200

5

2006

2007

200

8

5

10

15

20

25

30

35 Francia Germania Italia Spagna Regno Unito Stati Uniti

Fig. 6

PartnersPartners del Master in Management, Innovazione del Master in Management, Innovazione e Ingegneria dei Servizie Ingegneria dei Servizi

Fig. 7 PartnersPartners del Master in Management, Innovazione del Master in Management, Innovazione e Ingegneria dei Servizie Ingegneria dei Servizi

Fig. 7

Page 10: GLOBALIZZAZIONE E CRESCITA DUE SFIDE INTERCONNESSEgraduatoria). Per il nostro Made in Italy ci sono opportunità limitatamente ai grandi del lusso, con brand di grande notorietà e

10

L’ EFFETTO SELETTIVO DELLA CRISI

Le crisi, soprattutto quelle prolungate come l'attuale, hanno un inevitabile effetto di

selezione sul mercato e tendenzialmente sono l'occasione per far emergere le imprese migliori. Questo è accaduto negli ultimi anni anche a livello del nostro sistema produttivo, come emerge dal recente rapporto "Economia e finanza dei distretti industriali", a cura del servizio studi e ricerche di Banca Intesa Sanpaolo, riguardante 101 realtà territoriali e ben 55.000 mila imprese manifatturiere (di cui 10.600 appartenenti ai distretti).

La discriminante è tra le imprese produttive che hanno “giocato d'attacco" contro

le conseguenze della crisi e quelle che, al contrario, hanno fatto “azioni di difesa". Le prime hanno reagito alla sfida della recessione e sono riuscite a mantenere

buone performance sia in termini di fatturato che di margini operativi, investendo nell'innovazione e cercando sbocchi nei nuovi mercati emergenti, quelli con maggiore potenziale di crescita. A livello dei comparti tradizionali del Made in Italy (calzature, tessile-abbigliamento, mobili e arredamento) le armi utilizzate per l'attacco sono state: - la ricerca, l'innovazione e la brevettazione; - il marketing, il branding e il presidio del retail; - l'innalzamento della qualità dei prodotti anche tramite più sistematici rapporti con gli artigiani qualificati per lavorazioni e forniture di pregio.

Le seconde hanno adottato provvedimenti solo di tamponamento della situazione agendo soprattutto con tagli dei costi ed il blocco di ogni tipo di investimento, per cui oggi si trovano in difficoltà nell’affrontare il nuovo scenario competitivo. A causa della caduta del mercato italiano ed europeo ed in parte di quello

statunitense è d’obbligo diversificare le esportazioni verso l’Asia e il Sud America. E’ ormai chiaro che il sistema imprenditoriale italiano deve confrontarsi sempre di più in “mare aperto”, fronteggiando la concorrenza su due fronti: dei Paesi avanzati nell’alto di gamma e dei Paesi emergenti nella fascia medio-bassa. Il che rende più urgente il rafforzamento in termini patrimoniali e organizzativi delle PMI, se non vogliamo vedere compromessa la capacità di intercettare la domanda che giunge dai mercati emergenti, al momento l’unica fonte di crescita.

Dall’insieme dei distretti industriali con la crisi sono emersi, con migliori

performance, diciotto poli tecnologici specializzati in particolare campi (Ict, aeronautico, farmaceutico, biomedicale). Nel 2009 queste realtà industriali hanno limitato le perdite di fatturato al 4% contro il 20% dei distretti tradizionali. Per ora si tratta di presenze che non possono assicurare all'Italia posizioni di punta nell'high tech, ma che hanno un potenziale di crescita interessante e possono garantire effetti di spillover su altri rami dell'industria.

La migliore capacità di tenuta di questi poli è spiegabile in funzione, da un lato del

maggiore contenuto di conoscenza e tecnologia dei loro prodotti, come punto di forza per la qualificazione delle produzioni e del capitale umano impiegato, da un altro del fatto che offrono beni e servizi che vanno maggiormente incontro alle esigenze dei nuovi Paesi emergenti per i relativi programmi di ristrutturazione e automazione industriale.

Page 11: GLOBALIZZAZIONE E CRESCITA DUE SFIDE INTERCONNESSEgraduatoria). Per il nostro Made in Italy ci sono opportunità limitatamente ai grandi del lusso, con brand di grande notorietà e

11

Lo sforzo di allargamento e potenziamento dell’industria knowledge-based costituisce comunque un obiettivo strategico per l’Italia, allo scopo di rinnovare e rafforzare la sua specializzazione produttiva. A questo mira a dare un importante contributo la “Fondazione Ricerca e Imprenditorialità5”, recentemente costituita per merito di tre categorie di soggetti, che giocando in squadra sono impegnati ad offrire un contributo qualificato all’accelerazione della crescita delle Spin-off e delle Start-up a base tecnologica. IL RUOLO DETERMINANTE DELLA GRANDE INDUSTRIA

Nonostante i meritori sforzi compiuti dal plotone delle migliori tra le PMI, il

progressivo calo di tenuta e vitalità del nostro apparato produttivo è un fatto chiaro. Chi ritiene che non si debba parlare di «decadenza industriale» credo che si sbagli. Non è possibile essere rassicurati solo dal fatto che siamo riusciti a conservare un buon peso del manifatturiero, rispetto ai Paesi che hanno vissuto un più spinto processo di finanziarizzazione e terziarizzazione della loro economia. Noi come italiani pensiamo che l’Italia sia un paese in cui si può ancora fare della manifattura di tipo tradizionale, ma è un’idea assolutamente non condivisa dagli operatori industriali del mondo, e non sarà una qualche riduzione di salario o un qualche aumento della flessibilità produttiva che cambierà la situazione.

In Italia ci si ferma a prendere atto della tenuta del manifatturiero ma si trascura di

considerare il forte ritardo accumulato nella transizione tra conservazione e innovazione. Per questo, si fa molto poco in termini sostanziali e validi per l'industria, il suo miglioramento e rinnovamento radicale, e per farla sviluppare nel modo migliore. Prevale in altri termini la linea conservatrice. L'arte della vera politica industriale è fuori dal patrimonio di competenza e prassi del nostro Paese.

I nuovi termini della globalizzazione, così come stanno emergendo a causa della

recessione, stanno mettendo a nudo un preoccupante calo della competitività del sistema Paese. Nel corso degli ultimi due anni è emerso in termini severi in Italia il problema della tenuta delle grandi imprese nazionali e straniere essendosi spostato il baricentro dei vantaggi localizzativi a favore dei nuovi Paesi emergenti, dove accanto ai noti benefici dal lato dei costi di insediamento e di esercizio stanno accoppiandosi anche crescenti prospettive di crescita dei mercati interni. Una caratteristica dell’Italia, che purtroppo non consente di sperare in una crescita

futura maggiore, è la struttura dell’industria, costituita prevalentemente da piccole e medie industrie i cui prodotti sono tipicamente quelli nei quali si focalizza la concorrenza dei Paesi in via di sviluppo. L'Italia conta su uno spirito imprenditoriale diffuso. Non a caso in Italia ci sono, secondo dati Ue, sessantacinque PMI ogni mille abitanti, contro venti della Germania, trentasei della Francia e quaranta della media europea. C'è da salvare con interventi mirati, non a pioggia, il meglio di questo mondo ma l'Italia deve soprattutto operare per evitare l'uscita dal Paese delle poche grandi imprese che è riuscita a mantenere.

5 I fondatori sono: Enel, Finmeccanica e Telecom; Intesa Sanpaolo; IIT (Istituto Italiano di Tecnologia) di Genova, Fondazione Politecnico di Milano, Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Al nucleo dei fondatori potranno aggregarsi co-fondatori e partecipanti. L’entrata in funzione della Fondazione è prevista per il primo semestre 2011.

Page 12: GLOBALIZZAZIONE E CRESCITA DUE SFIDE INTERCONNESSEgraduatoria). Per il nostro Made in Italy ci sono opportunità limitatamente ai grandi del lusso, con brand di grande notorietà e

12

In Italia continueranno a investire solo la Fiat (si spera) e le altre poche grandi aziende che abbiamo e i medi imprenditori che hanno risorse, voglia e coraggio di guardare alla Cina o anche alla Turchia come mercati da servire. In aggregato, però, chi continuerà ad investire in Italia è difficile che possa innescare da solo un circuito virtuoso che attiri anche altri investitori dall’estero se manca una seria e lungimirante politica economica e industriale.

Un Paese decentemente consapevole dell'effettivo rischio di una decadenza

industriale dovrebbe per prima cosa concentrarsi nel porre in essere riforme strutturali e opportuni strumenti per far recuperare competitività al sistema Paese, come condizione chiave per consentire alle grandi imprese nazionali e straniere di mantenere una loro presenza in Italia.

Ormai è chiaro che le pressioni competitive sono tali per cui è difficile evitare la

delocalizzazione facendo appello al richiamo di motivi “ sentimentali” che non reggono più alla dura realtà della globalizzazione. Non è più possibile pensare che le grandi imprese multinazionali debbano per principio e per "amore di patria" essere utili al Paese, al suo bene, indipendentemente dalle condizioni reali di natura più strettamente economica e aziendale. Occorre invece entrare in un ordine di idee opposto; cioè un sistema Paese dovrebbe funzionare per favorire la competitività e la crescita delle grandi imprese che ci sono e l'attrazione di nuovi investimenti produttivi dall'estero, oltre che per l'innovazione e il rafforzamento strutturale delle medie imprese con un effettivo potenziale di crescita.

INIZIARE PIÙ CHE TORNARE A CRESCERE

Politici ed economisti sono concordi nel dire che l’Italia deve crescere, sia per

contrastare il decremento del benessere, sia per poter rendere sostenibile il debito pubblico. Il problema è che si usa spesso la locuzione «tornare a crescere», quasi come se fosse un processo interrotto da poco; invece l’Italia non cresce da quindici anni e se non è cresciuta quando le condizioni esterne erano favorevoli è estremamente difficile che vi riesca oggi.

Prima di tutto i fatti: l’Italia non cresce dagli anni ’90 e il trend è ancora più evidente

se ci focalizziamo sull’ultimo decennio. Dal ’99 la crescita annua del Pil italiano a prezzi costanti è stata mediamente soltanto dello 0,5%, cioè vicino alla stasi. E’ arduo immaginare che tutto a un tratto il Paese si rimetta a crescere, dopo almeno dieci anni in cui ha dimenticato come si fa. E per di più in presenza di inderogabili necessità di riduzione del debito pubblico e quindi della mancanza di fondi per attivare una seria politica di stimolo dell’economia, dotata di quegli investimenti materiali ed immateriali nelle infrastrutture, nella ricerca e nella formazione che connotano un Paese moderno e spingono la crescita e la competitività.

E’ giusto non gettare la spugna, riflettere a fondo e mettere davvero in cantiere tutto

quello che serve per crescere; solo che non è un «tornare a crescere» ma un «iniziare a crescere» in un contesto molto più ostico di quello del passato. Ci vuole una vera e propria discontinuità che inevitabilmente deve favorire le imprese migliori ed i giovani meritevoli e capaci; ma è difficile in un paese consociativo, burocratico, legalistico e garantista. Occorre intervenire in particolare su regole e istituzioni che spesso operano

Page 13: GLOBALIZZAZIONE E CRESCITA DUE SFIDE INTERCONNESSEgraduatoria). Per il nostro Made in Italy ci sono opportunità limitatamente ai grandi del lusso, con brand di grande notorietà e

13

in modo da limitare il processo meritocratico e la concorrenza, e pertanto favoriscono gli insiders.

Si tratta di una sfida obbligata considerando che per fronteggiare la nuova

globalizzazione e il confronto con i nuovi Paesi emergenti si devono assimilare e adottare i paradigmi di un nuovo modello di crescita. La crescita nelle società mature non è più un problema di “espansione quantitativa”, ma di “crescita qualitativa”.

Con la strategia Europea 2020, la Commissione europea ha enfatizzato il ruolo

dell’innovazione e delle riforme strutturali per uscire dalla recessione e preparare l’economia dell’Ue ad affrontare le sfide del prossimo decennio. In questo ambito sono stati individuate tre direttrici di crescita da mettere in atto mediante azioni concrete e concertate a livello europeo e nazionale: - crescita intelligente (promuovendo la conoscenza, l’innovazione, l’istruzione e la società digitale); - crescita sostenibile (rendendo le produzioni agricole, industriali e dei servizi più efficienti sotto il profilo dell’uso delle risorse, più eco-compatibili e più sicure; e promuovendo le fonti di energia rinnovabili e la green economy); - crescita inclusiva (incentivando la partecipazione al mercato del lavoro soprattutto dei giovani e delle donne, l’acquisizione di competenze e la lotta alla povertà).

Questa battaglia per la crescita, la sostenibilità e l’occupazione richiede un coinvolgimento al massimo livello politico e la mobilitazione di tutte le parti interessate in Europa e nei singoli Paesi, che sono tenuti ad affrontare piani nazionali annuali per rimuovere i colli di bottiglia alla crescita.

Il passaggio da una espansione quantitativa ad una crescita qualitativa comporta che

lo Stato da un lato copra con risorse pubbliche gli investimenti, con ritorni incerti e a più lungo termine, che hanno un interesse collettivo ed una valenza sociale, da un altro che svolga un ruolo guida nel creare il contesto istituzionale, regolamentare e autorizzatorio per assicurare la redditività degli investimenti privati e delle imprese, nonché per attrarre investimenti e imprese dall’estero. Questo implica un salto di qualità nella politica e nella capacità di governo e concertazione che per l’Italia diventa un severo banco di prova per il suo futuro. I QUATTRO MOTORI DELLA CRESCITA

Il problema della crescita, nei termini prima indicati, non può essere affidato solo

ad un potenziamento della capacità di competizione sul mercato globale da parte delle imprese, che comunque è ostacolato dalle basse condizioni del business environment. Occorre altresì un grande impegno da parte di tutti gli altri attori (sociali, istituzionali, culturali) per recuperare un divario di natura strutturale rispetto agli altri Paesi europei come la Germania e la Francia, che possono contare su tassi di aumento del Pil almeno di due volte superiori.

Occorre più precisamente una proposta coordinata a medio-lungo termine di

riforme e politiche che riesca a mettere in marcia e rendere sostenibili quattro principali motori della crescita economica e dell’occupazione: - la competitività delle imprese facendo leva sulle liberalizzazioni, sulla semplificazione delle norme e sulla produttività, l'innovazione e la riduzione della

Page 14: GLOBALIZZAZIONE E CRESCITA DUE SFIDE INTERCONNESSEgraduatoria). Per il nostro Made in Italy ci sono opportunità limitatamente ai grandi del lusso, con brand di grande notorietà e

14

pressione fiscale sul lavoro; - la competitività del sistema Paese, dal lato delle reti di infrastrutture materiali e immateriali e dell'efficienza della giustizia, della pubblica amministrazione e dei servizi; - la modernizzazione del sistema delle relazioni industriali , della contrattazione e dell'organizzazione del lavoro, in linea con principi e metodi già largamente praticati in Paesi come la Germania e la Francia, dove è accettato lo scambio tra maggiore produttività e maggiori salari; - il potenziamento e la qualificazione del sistema della formazione e della ricerca, secondo criteri premianti qualità e il merito e la loro attinenza agli indirizzi della nuova politica industriale europea che pone l'accento sulla ricerca e l’innovazione business oriented.

Ci sono molti differenti problemi per dare una svolta economica e sociale al paese e quindi riprendere un cammino di crescita più veloce, ma la giusta via per combattere la bassa crescita è chiara. Occorre che il sistema Paese in tutte le sue diverse componenti (istituzionali, sociali, imprenditoriali ed economiche) si metta all’opera per concorrere a dare risposte radicali coerenti, tenendo sempre ben conto che un piano concreto e credibile per la ripresa richiede una rilevante mole di investimenti. In effetti, il più recente dibattito sulla crescita è stato appropriatamente diretto a questo nodo cruciale per consentici di guardare alla crescita in termini concreti e non solo come puro auspicio, cercando di rimediare all’handicap di un elevato debito pubblico che non permette di impegnare risorse pubbliche nella crescita.

E’ importante che si incominci a parlare in questi termini per affrontare

concretamente il problema della crescita che è un problema di investimento, come di recente hanno confermato i Paesi che hanno affrontato la recessione con piani di stimolo dell’economia dotati di consistenti risorse e che ora sono avvantaggiati nell’agguantare la ripresa. Accanto ad un meccanismo di finanziamento della crescita è fondamentale un piano razionale e condiviso di investimenti. Temo che occorra ancora tempo per vedere concretamente definita una proposta di Progetto Paese di lungo respiro come quello delineato.