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Giovanni Righi Riva - Dispense 1 - 12

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Nella Manifestazione vivono Sfere d’esistenza nobili e serene, dove i Santi di tutte le ascesi, i pellegrini dello spirito, i buoni – i veri buoni! – trovano sicuro asilo e pienezza di vita. Queste zone sono accessibili mediante una sincera purificazione, perché in esse si giunge solo quando, in libertà di coscienza e con ferma Fede, si sceglie Dio e la sua Idea d’Amore. Un Maestro ha il compito d’informazione e di realizzazione delle potenzialità emergenti nel suo campo di riferimento, degli enti che si sono resi allievi.

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DISPENSE 1 - 12

IndicePRIMA DISPENSA....................................................................................................................2SECONDA DISPENSA..............................................................................................................5TERZA DISPENSA....................................................................................................................8QUARTA DISPENSA...............................................................................................................12QUINTA DISPENSA................................................................................................................16SESTA DISPENSA...................................................................................................................19SETTIMA DISPENSA.............................................................................................................23OTTAVA DISPENSA................................................................................................................26NONA DISPENSA...................................................................................................................30DECIMA DISPENSA...............................................................................................................33UNDICESIMA DISPENSA......................................................................................................37DODICESIMA DISPENSA......................................................................................................40

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PRIMA DISPENSA

La struttura della Manifestazione è di difficilissima comprensione perché è una struttura falsificata.

Quello che era semplice, e rifletteva la somma semplicità di Dio, ora è complesso, e rispecchia solo la mente contorta e debole della creatura. Questo fatto deve essere compreso, come lo compresero gli Gnostici, almeno i più illuminati fra di loro; e per questa sapienza furono, nei secoli, perseguitati.

L’Idea d’Emanazione è fondamentale, e qui affermiamo che deve essere completamente chiarificata: o non si avrà intelligenza né dell’amore di Cristo né del dolore.

Molto è stato detto in passato, e qui lo riassumiamo in breve. La Manifestazione è un atto gratuito del Padre, che da nulla – se non dalla Sua stessa natura – può esservi indotto. E’ un atto che delega all’Adam (il quale è poi l’Interità emanata) il compito altissimo di condurre a vita indipendente nella scelta, ed autonoma nell’esecuzione, la Volontà creatrice di Dio.

Il problema è comprendere cosa sia la Libertà donata al Mondo manifestato, e cosa la sua fattualità operativa.

La Libertà è il “Bene”, è scegliere nel Bene quello che rappresenta il Bene del momento vissuto.

Qui la creatura è “originariamente” libera, ed ogni vincolo emerso in lei nel veramente lungo tempo dell’universo è un abuso di libertà.

Altra cosa è tradurre la scelta in esistenza obiettiva, perché il Campo non appartiene alla creatura, ma al Padre.

E’ il Padre quindi che agisce come fattore d’evidenziazione delle scelte compiute: ed il Padre conduce sempre ad esito tutto quello che l’Adam sceglie nelle sue componenti personali (jiva), nel Bene e nel male; ma ovviamente il Padre tiene conto di tutta l’Emanazione e – nel tempo che è il “nostro” tempo – dei limiti e dei vincoli che si oppongono o favoriscono le nostre decisioni.

Se esse sono esatte, il Padre cerca di renderle vitali. Se sono inesatte, esse implicano e sommuovono il nostro ambito esistenziale in senso peggiorativo.

Il problema è il Mondo Oscuro, che s’identifica con l’inconscio personale ma solo in relazione al pesantissimo inconscio globale.

Il Karma (frutto delle azioni compiute rapportandole all’io e non al Sé), grosso modo si assimila all’inconscio, alle propensioni inconsce tanto individuali che generali. Ne consegue che, per purificare il proprio mentale (conscio od inconscio che esso sia) occorre agire anche sul globale cui apparteniamo. Di qui l’estrema difficoltà del nostro ritorno al Campo di Cristo. E non sarebbe davvero possibile farlo se Gesù – il “Gesù” che è oltre il nostro tempo, l’eterno Gesù – non prendesse su di Sé il peso che non è suo, e che accetta per purissimo amore.

Non sarebbe possibile il reintegro nella condizione originale di vita se Maria – la Madre del Creato – non accettasse in silenzio (almeno finché le sia obbiettivamente

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possibile) la paralisi indotta nel Suo dinamismo d’Amore: e la paralisi le è d’estremo dolore.

Qui c’è il problema dell’Uomo. Maria è costretta a “tacere” e a vedere il Figlio, che è anche il Padre, inchiodato sulla Croce della sofferenza: croce impostagli dalla Sua stessa creatura.

La Manifestazione è così vulnerata, corrosa ed offesa. E’ praticamente frantumata, così come la singola individualità è disgregata nel proprio intimo e conseguentemente privata della percezione del Centro atmico.

E’ un effetto estremamente grave, perché la metodologia di riconduzione alla propria realtà deve fare i conti proprio con questo stato delle cose: non basta, infatti, purificare se stessi, ma occorre rendere al Padre (almeno nei termini che Egli considera sufficienti) il nostro prossimo .

Il “prossimo” ha contribuito, e potentemente, a forgiare le nostre stesse catene. Il “prossimo astrale” poi ne è in genere la maggior causa (soprattutto per noi, immersi in questo ciclo detto “breve”); la nostra personale responsabilità è d’aver prima consentito, e poi contribuito alla negazione dell’amore di Cristo.

Noi, rispetto alla generalità del campo esistenziale che ci attornia, siamo effettivamente “meno” responsabili delle condizioni d’entrambi di quanto lo siano le entità delle zone di tangenza. Meno responsabili e perciò più liberi. Tuttavia questo vantaggio non esclude l’effettivo coinvolgimento, perché noi potremmo (ed avremmo potuto) scegliere Dio ed il Suo amore con maggiore facilità di quello che sia agibile ad altre zone della Manifestazione, con l’ovvia eccezione di quelle già risorte o in fase d’emancipazione. La Manifestazione è Idea unitaria, Realtà indivisa di fronte al suo Creatore: non siamo affatto esenti – noi, i crocifissori di Gesù – dalla responsabilità per l’antica ed attuale follia.

Le altre zone, quelle demiurgiche: abissali detentrici di un tremendo potere, avide di possedere per usare, sfruttare e, al limite, distruggere.

Esse, infatti, – incapaci d’assumersi l’orrenda responsabilità della crocifissione del Figlio Unigenito di Dio (che è il Suo amore e la Misericordia che sostiene l’Interità), impossibilitate a sostenere il peso di tutto il dolore causato, si mettono in moto per eludere ogni autoanalisi, per giustificarsi e rimuovere, o razionalizzare, le loro vere motivazioni e le inevitabili conseguenze. Al limite, quando fosse impossibile evitare il problema ed i suoi effetti, le zone contigue sono disposte anche a distruggerci per tentare di mantenere il loro oscuro potere, cercando altre fonti d’approvvigionamento energetico: perché il nostro stesso scompenso incide sul loro, in una reazione “a catena” estremamente temibile.

Non c’è salvezza che in Cristo, perché Cristo è “oltre” il Gesù storico, “oltre” la Madre/Maria di Nazareth.

Cristo “è” il Padre.Krisna è Brahma, anche se Brahma è “oltre” Krisna.E Brahma “è” l’assoluto Brahman, anche se l’assoluto Brahman è “oltre”

Brahma.Occorre capire. Brahman, l’Ain Soph, è Assolutezza: Brahma è Infinità

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nell’Assolutezza. Infinità rivolta ad un atto creativo infinito.Krisna/Cristo “è” in Brahma l’amore per la creatura, è Misericordia e Sostegno,

entrambi necessari. Per questo Gesù dice: “Chi vede Me, vede il Padre. Ma il Padre è più grande di Me”.

Noi condensiamo queste semplici note per agevolare gli stati di ricerca di quanti vogliano essere allievi di Cristo; e sono suggerite anche alle indecorose “entità di campo”, che permangano nella loro ostinata involuzione, come dono completamente gratuito (del quale siamo semplici intermediari) al loro infimo mondo e alle loro sofferenti condizioni vitali.

Se i campi ostili comprenderanno, si metteranno in una condizione meno precaria e, figlie prodighe dei doni del Padre, consumati e dispersi, potranno incamminarsi verso le Case di Dio.

Nelle Case di Dio ci sono molte stanze, ed ognuna può trovare quella che sia congeniale al suo stato, alla sua rinnovata iniziazione all’Amore. Ogni luogo delle Case divine è essenzialmente amore, e non può essere raggiunto che amando.

Quindi il nostro problema è l’intelligenza dell’Amore.

NB) La “natura” del Brahma è Libertà. La Libertà è Amore.

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SECONDA DISPENSA

La Manifestazione non può reggersi senza il sostegno del Padre, che è insieme il Fondamento, l’Energia e la Conservazione del Mondo creato.

Ogni distacco dal Padre determina un certo tipo di vanificazione che, sommandosi a quelle precedenti, antiche e non ancora risoltesi, aumenta il rischio di un gravissimo crollo.

In questa lezione vogliamo dunque trattare del Kali-Yuga, del giorno in cui la Madre appare come la “Distruttrice” e la “Vendicatrice” delle innumerevoli ingiurie recateLe.

La Madre è Amore, e nessuna offesa può essere portata dalla creatura finita all’Increato infinito: questo è certo. Cosa è dunque Kali?

Kali è lo Specchio del Brahma. La Madre compare nel Kali-Yuga come assoluta Potenza (Chakti) in cui tutto il vano, il distorto ed il decaduto s’annienta. In realtà la Madre riflette sull’Emanazione tutto quello che essa si è data senza e contro di Lei, e toglie così il Suo sostegno d’Amore, che fino allora l’aveva indotta a tenere in Sé la sterminata negatività dell’Adam.

Questo evento accade quando non esiste più nelle persone la capacità di scelta nel Bene Supremo.

Prima, NO.

αΩαΩαΩα

Questo fatto deve essere spiegato: il Kali-Yuga è attuale, così com’è attuale l’atto emanativo del Brahma. Così com’è attuale l’amore, il sostegno ed il sacrificio di Maria.

Quello che difficilmente si comprende è qui: il “giorno del giudizio”, della Dea Kali, della resa dei conti, è individuale.

Può essere globale solo quando l’intera zona in esame si è resa egualmente e compiutamente schiava delle proprie insufficienze.

In generale, questo non accade integralmente per l’Eone in corso. Tuttavia quando si manifesta la morte fisica, accompagnata dalla disgregazione interiore, l’ente, il jiva, sperimenta il totale crollo della propria autorappresentazione, e l’intero Cosmo si vanifica per lui ancor prima che egli si disintegri a se stesso.

Come la morte in Kali, indotta da Kali, così è la nascita: per opera di Kali.Esiste nel nostro passato il “Grande Bang”? Sì, ma nell’autorappresentazione del

nostro ambito generale in senso approssimativo, e nella nostra coscienza in senso puntuale.

Questo dice che la nostra individuale percezione del campo vitale non coincide

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che “in parte” con quella delle persone a noi vicine, le quali sono poi il nostro prossimo.

Non coincide completamente; e questa mancata coerenza reciproca può rendersi causa di pesanti dolori.

Gesù disse d’essere venuto per “separare” il figlio dal padre, il fratello dal fratello, il marito dalla moglie: perché molti sono i chiamati, e pochi quelli che rispondono.

Se tuttavia fra padre e figlio, tra fratelli e sposi o semplicemente fra gli uomini esistono veri nessi d’amore resta sempre aperta la possibilità e la speranza che le vie non si disuniscano, e che chi si ama (si ama davvero) possa ritrovarsi sempre.

Chi si ama, e non altri. Ed ancora una volta occorre ritrovare l’intelligenza dell’amore.

Cosa è dunque l’Amore? Prima di tutto, è dono: dono del Padre in Kali (Binah) a tutte le creature, dalle minime – a livello atomico – alle massime, che s’identificano poi con l’Adam.

Poi è intuizione d’identità a livello spirituale, rivolta verso la sua estrinsecazione fattuale nell’autorappresentazione dinamica.

Noi amiamo perché (se siamo coerenti ossia vicini al Centro Atmico) recepiamo l’Amore che Dio eternamente ci dà. Noi amiamo Dio, e tutta la Sua epifania, con Dio, con il Suo stesso amore.

Che tuttavia scegliamo, che vogliamo e che liberamente rendiamo al Padre dopo averlo reso “nostro ”, amandolo .

L’Amore è dunque l’empatia, a livello di coscienza, col Brahma, con tutto ciò che è Brahma. E’ l’identità a livello ontologico con Lui, ed in tutta l’estensione del Creato.

Nell’empatia esistenziale l’amore acquista il carattere specificatamente duale, ossia di io/Tu, e quindi è scelta e conseguentemente offerta, dono.

Questo perché viene direzionato ad un'altra realtà vivente, che è pur sempre – nel suo “essere” – il Brahma; e nel suo “esistere” una creatura di Brahma. Inoltre, poiché si può amare solo con l’amore che il Padre dona, Amore s’identifica con l’Energia creatrice dell’Universo, e conseguentemente l’assenza di amore è assenza di vitalità. Ne discende che l’Amore è sempre uno stato di per sé incondizionato, il quale non può mai essere sottoposto a limiti artificiali ed artificiosi.

Questo almeno nel “fondamento” e nella “virtualità” delle personalità.Si ama anche se non si è amati: così come Gesù insegna dalla sua Croce.Quanto abbiamo finora esposto puntualizza alcune cose. Abbiamo sottolineato

che la prima è l’identificazione dell’Amore con l’Energia creatrice dell’Universo, e che conseguentemente l’assenza d’amore si risolve in assenza di vitalità.

Poi, possiamo considerare come nell’Amore si specifichino due momenti: uno è di ESSERE, e cioè d’identità con il Fattore Causale e conseguentemente con l’Interità.

L’altro momento è discriminante, per cui in pratica l’amore è rapporto, è DUALISMO tanto in “alto” (con Dio) che in orizzontale, ossia con le persone, le

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cose e tutto l’esistente.Conseguentemente possiamo affermare che l’Amore è intuizione dell’ESSERE

nell’Essere, percezione delle differenze che s’evidenziano come DIVENIRE.L’Amore riproduce così i due Momenti divini posti alla base della

Manifestazione. “l’Essere e il Divenire”.A questo punto possiamo affermare che il Creato è, nella sua essenza, Essere

“come” Divenire.Laddove il Padre, “considerato nel Suo Sé”, è puro Essere, Coscienza Assoluta e

Gioia totale (Sat/Cit/Ananda): dunque, Amore.Molte sono le conseguenze: Brahma è Essere, è Infinità.Ma Brahma “in Cristo (Krisna)” è Divenire nell’Essere. E’ quindi assunzione di

relatività.Tratteremo di questo nella prossima dispensa.

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TERZA DISPENSA

La Manifestazione è molto vulnerata e molto contaminata. C’è tuttavia in un certo ambito la potenzialità del ritorno all’amore di Cristo.

L’unica zona in cui questo fattore sia individuabile con certezza nell’area di “caduta” è tuttavia la “nostra”: poco attraente in generale, per la violenza di alcuni e l’insufficienza, l’indifferenza di altri; ed inoltre si deve sottolineare che le masse di popolazione sono per lo più statiche. Tuttavia nel grigiore c’è luce, c’è speranza.

Nella nostra dimensione vitale è, infatti, abbastanza facile reperire persone capaci d’amore, di dedizione e d’empatia. Così la zona tridimensionale della nostra esperienza è pur sempre una delle più promettenti fra le molte coinvolte nel tracollo.

Un fatto è certo: siamo assediati, e ben più di quanto mai appaia. Ma l’assedio costa, e sovente l’assediante si scopre fragile, debole ed incapace. Così o toglie l’assedio o perisce: e questo è tremendo per chi si è sempre creduto intangibile ed eterno.

Lo Yoga insegna che i mondi appartenenti ai cosiddetti “dei” finiscono, ed in genere finiscono nel loro karma, che è grave dolore. E’esatto.

Il karma non perdona, se non c’è il Padre a sostenerlo; ed Egli lo può fare solo se i figli si rifugiano nelle Sue braccia.

Le “zone astrali”, quelle che - in sé reali - sono comunemente contattate nella ricerca del profondo, non hanno in genere la minima idea di Dio, anche se sovente la simulano. Sono certe di essere, loro stesse, “dio”; e non che ne esista un “Altro”.

Di conseguenza, per loro incontrare il progressivo momento del confronto reale è incredibile, è assurdo ed estremamente vanificante.

Eppure, il confronto con il Padre è la necessaria prova per recuperare una certa e migliore esistenza, per essere veramente “umani”.

Nel descriverci l’Emanazione occorre allora tenere sempre presente la scissione in cui essa versa: c’è un settore completamente oscurato, che è l’inferno o – per dirla in ebraico – la Qelliphoth. C’è un ambito di confine, che è il nostro Universo attuale, ed infine c’è la zona, estesa oltre ogni immaginazione, della pura Luce.

Noi conseguentemente ci troviamo in un ambito di scelta, difficile da conseguire e da comprendere.

I Maestri del nostro passato (Francesco, Milarepa o Dante, per farne pochi esempi) testimoniano di Dio, di Cristo. E fanno sì che altri si rendano a Lui, che compiano il duro cammino del figliol prodigo.

Le difficoltà sono però enormi, perché in noi si annida il nostro passato e la sua feroce ideazione. Così dobbiamo necessariamente vincere i nostri stati più involuti, ed insieme modificare i campi di menti deviate ma penetranti che li controllano, e ci inducono al male.

L’impresa è dura anche perché il problema è assai misconosciuto. Se molti fossero in cerca del suo superamento, e quindi della verità, le nostre fatiche verrebbero (nel piccolo e nel grande) proporzionalmente diminuite. Per questo il

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“Cerchio iniziatico” è tanto importante: è insieme un faro e una difesa, ed in genere, se effettivo, insuperabile.

Ovviamente il Cerchio deve essere omogeneo, fuso, colmo di reciprocità in ogni suo componente; e questo stato è obbiettivamente raro.

La via individuale è corrosa dalle entità astrali, finché esse possono farlo. Corrosa in molti modi, e la parte più subdola di questa corrosione è quella che incide sugli aspetti psichici e mentali. Ma il Padre sa. Sa la forza dei campi involuti ed i limiti dei Suoi figli.

Così giunge sempre il giorno in cui c’è respiro, c’è lo spazio per il superamento dell’apprendistato.

E’ perenne desiderio dei Maestri che molti si rendano conto delle loro condizioni, delle loro difficoltà più segrete. Ma non sono mai certi che questo possa accadere nei tempi auspicati, ed allora i Maestri non vogliono sapere più di quanto gli allievi vogliano dire. Solo nel tempo ed in Dio appare il vero stato delle cose e delle persone.

Occorre allora dare sempre le massime opportunità ai molti che si dimostrino tiepidi, o agli enti che più interferiscono con il nostro sentiero. Non si deve respingere che in Cristo, e solo quando si sia intimamente certi d’aver assolto il compito affidatoci dal nostro Destino (Dharma).

Questa testimonianza interiore è indispensabile, perché al termine del processo il Cristo non appare più come l’umile crocifisso, piagato e deriso. Il Cristo appare come Dio, come Giudice e Re dell’Universo, il nostro e oltre il nostro.

Giudice in amore, certo. Il giudizio è finalizzato al reintegro, e non a un castigo direttamente proporzionato al male commesso.

Ma è sempre il Giudice, è sempre il perfetto Giudizio di Dio.Inoltre il processo soterico deve dare altre cose: la conoscenza degli stati, la

sapienza dei principi e, non certamente per ultimo, la purificazione del mentale.L’effetto di tali acquisizioni è la riduzione dell’incidenza karmica. Quindi

occorre che parliamo del karma.Il karma (frutto delle azioni rapportate all’io e non al Sé, e quindi prive del loro

valore generalizzante) è immanente a tutta la Manifestazione, e soprattutto a quelle aree che appaiono maggiormente coinvolte nella perdita del Centro Atmico.

Quando la persona si sottrae a Dio, perde la centralità del proprio ambito interiore, e col tempo anche quello “esterno” è vulnerato.

In tal caso, infatti, l’individuo si polarizza sull’IO, il quale è strumento della mente e non il punto qualificante della personalità, che in tal caso subisce una sostanziale frattura (le Quattro Guaine devono essere unite e armonicamente fuse nel processo esistenziale).

Se le azioni sono riferite all’Ego inteso come fattore principiale di realtà, si commette inevitabilmente un tragico errore che ha conseguenze funeste: infatti, è proprio dell’ego – lasciato a se stesso e non sostenuto dal Sé – l’appropriarsi di quanto individua. Così l’egotismo si condensa nel desiderio di possesso, e quindi del potere atto a darselo.

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Tuttavia il “campo” – il campo generale – non è della creatura perché è del Padre: in effetti, il campo s’evidenzia nella Coscienza di Kether, è un “aspetto” di Kether e, come tale, non suscettibile d’appropriazione.

Il campo è dono di Dio alle creature. Dono finalizzato.Dio, infatti, si dona all’Adam, intendendo per Adam l’interità della

Manifestazione.Perché lo fa? La risposta è semplice ed insieme insondabile. Nel nostro stato

presente possiamo comunque individuare due momenti: il primo è d’Amore, e cioè il Padre ama quello che crea e che è sua Immagine in specifiche modulazioni.

Lo ama al punto da delegargli la libertà della scelta, vita infinita ed infinito progresso.

L’altro aspetto è più arduo: il Padre determina in Sé un piano dinamico (libero nelle scelte vettoriali ed autonomo – con Lui – nelle conseguenti esecuzioni) d’attualizzazione (in senso discriminante) delle Sue Realtà sotto la specie d’Immagini.

Qui siamo sommamente imprecisi, perché il Padre E’ e SA’ la totalità della propria assolutezza, tanto in sintesi che in analisi.

Tuttavia determina qualcosa che è essenzialmente Lui, e tuttavia è distinto da Lui in Lui.

Vuole che quest’infinito globale, composto da “infiniti personalizzati”, interagisca liberamente e sappia così darsi un’Immagine di sé prossima a quella del supremo Amore: un’Immagine dinamica, in eterno spiegamento e perfezionamento, capace di estrinsecarsi – con Dio – in altre Immagini.

L’Adam diviene in tal modo una modalità del dinamismo creativo di Kether; ed insieme è personalità libera, che è in virtualità ed ontologia “il Padre”.

Se l’Adam si realizzasse completamente, sarebbe il Padre e null’altro che il Padre: non esisterebbe come persona reale distinta da Lui.

Questo è il pensiero induista, tipicamente orientale, che si prefigge in concreto questo scopo.

L’illusione della distinzione dovrebbe allora finire, affinché resti la Coscienza Assoluta in tutto il suo fulgore.

Non è, questa, la “morte” della personalità: è piuttosto il suo perfetto dispiegamento, la sua assoluta realizzazione.

Ma tutto ciò contrasta con il dinamismo creativo del Brahman, che non determina un campo così potenzialmente difficile (assumendosi il peso di un “limite” nel proprio Illimite), così suscettibile di generare e vivere sofferenze immense, senza un motivo veramente estremo.

Consideriamo inoltre che nulla occorre a Dio. A che pro allora creare, se il risultato è comunque solo e sempre “Dio”, identico a Sé? La spiegazione di certo Induismo (è Lila, ossia “gioco” divino) ci appare insoddisfacente e lontana dalla stessa esperienza globale della Trascendenza che l’Adam riceve.

Le intenzioni di Brahma sono infinitamente lontane dalla riflessione, dalla comprensione delle sue creature; ma possiamo supporre che l’Amore (il quale

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rappresenta l’essenzialità divina) voglia darsi all’amato.Possiamo inferire che Brahma, Kether voglia così “donarsi” al Figlio/Adam che

crea, e senza limite. E che l’Adam, nelle donne e negli uomini viventi, sia la vera modalità operativa di quest’infinito atto d’amore, di questo eterno spiegamento della Luce nella Luce.

Ecco allora qualcosa su cui è bene meditare: il Fine dell’Emanazione non è nel raggiungimento di un “premio”, sia pure paradisiaco.

Il vero fine è la Vita Eterna nella Vita assoluta.La nobiltà dell’Uomo è potenzialmente infinita, laddove è eternamente finita la

sua consapevolezza.Esiste in altre parole fra l’Uomo e Dio, per sempre, un “tratto” impercettibile di

distinzione, che è poi un tratto infinito: ricordiamo a questo proposito la profonda intuizione di Michelangelo, nella Cappella Sistina.

Dio ha, per essere un poco più chiari, un’Ideazione così totale, così onnisciente che mai la creatura potrà perfettamente saperla. Ma Dio può donare momenti di sintesi, nei quali non riassorbe i figli ma li colloca nella Sua Realtà: è il samhadi, la consapevolezza oltre il proprio limite naturale.

Ecco quello che non sanno e non vogliono sapere le zone della “caduta”. Ed è tragico errore, che costa a Cristo la Sua croce.

NOTA. Non si può decidere adesso di un momento futuro. Ogni previsione deve essere completamente suscettibile di revisione, sempre e senza sforzo.

Occorre imparare l’utilizzo adeguato dell’organo mentale: occorre cioè in ogni istante sentire, intimamente sentire, la verità del nostro “presente”, ed autorappresentarcela a livello mentale con le concettualizzazioni ed i nessi di riferimento adeguati.

Se manca questo tipo d’interiorizzazione, che è ascolto, non si possiede l’intelligenza del nostro stato, non siamo nel Centro dell’Amore.

C’è differenza fra un esoterista e la persona comune. L’esoterista non utilizza la mente che per discriminare ciò che intuisce, che “sente”, che percepisce a livello profondo: quello della spiritualità.

L’uomo comune, no,

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QUARTA DISPENSA

Quello che più occorre ottenere dal periodo della preparazione esoterica è il distacco da quanto in passato abbia rappresentato un elemento di ricerca o di verifica.

Il metodo iniziatico non muta mai nell’essenza, e non cambia l’idea di Polarità quale fondamento dell’esistente. Questi concetti sono confermati: la Polarità, in particolare, è il vero e solo motore della Manifestazione, e si configura secondo gli schemi interpretativi già enunciati, che vanno comunque costantemente investigati ed approfonditi.

L’Uomo è il “tramite sintetico” della volontà divina, e la Donna è il “tramite analitico”. Voler affermare la superiorità dell’uno sull’altra, e viceversa, è assurdo come cercare di dimostrare la supremazia dell’analisi sulla sintesi: e viceversa.

La configurazione della Polarità esoterica è tuttavia molto raramente “binaria”, e cioè costituita da un singolo uomo e da una singola donna. A parte il rapporto sessuale ed intimo (che andrà trattato a parte e nel momento opportuno, per la sua specificità nel quadro complessivo) la struttura dell’evento polare rimanda – simbolicamente e oggettivamente – a quella dell’atomo o delle galassie: un “centro” di gravità e d’ideazione ed una cerchia d’entità, capaci ognuna d’esplicare e di tradurre in vita concreta gli aspetti individuati nella sintesi centrale, e con il contributo sostanziale d’ogni personalità.

Lo schema più esatto per raffigurare questa fenomenologia è costituito dal cosiddetto “quadro oroscopico”, che vede il suo nucleo caratterizzato dalle dodici Case e la sfera attorno dai dodici Segni, i quali riproducono per tre volte la successione dei Quattro Elementali, ai vari livelli attualizzanti rispetto al Punto tradizionale di partenza, il segno dell’Ariete.

Ovviamente questo schema (che va interpretato sempre alla luce del teorema d’Ermete, e cioè della Legge di Corrispondenza) è suscettibile di molte modulazioni: così come l’atomo è costituito da un nucleo detto “positivo” e da un numero variabile d’elettroni, indicati come “negativi” rispetto al primo. I quali elettroni possono essere soltanto uno nella formulazione di base – l’atomo dell’idrogeno – ma anche ben oltre la cinquantina negli elementi cosiddetti “pesanti”, come il radio o l’uranio.

La Polarità a livello teurgico è normalmente costituita da dodici personalità esplicative che si rapportano ad un centro di sintesi. Così sempre: il numero dodici (tre volte quattro) è sacro in ogni sua indicazione. Dodici sono gli Apostoli, per esempio. Ma dodici sono parimenti molte altre realtà concrete e simboliche, e non soltanto astrologiche.

In ogni caso, riunire attorno ad un centro ideativo sintetico dodici personalità esplicative – che sono femminili – già iniziate all’esoterismo teurgico o in fase d’emancipazione è, ora come ora, impresa pressoché impossibile. Tra l’altro la formulazione del “Dodici” implica anche l’unità delle zone della Manifestazione ad un livello sufficientemente dinamico (il ché implica tra l’altro la rimozione degli elementi involuti, capaci di ostacolare se non fermare il corso degli eventi): questo è

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un problema molto, molto arduo.Infatti, o si reperisce nella nostra prossimità un minimo di femminilità adeguate

al compito, o l’esoterista – che sia iniziato o iniziando a Tiphereth – deve cercarle altrove e poi indurle a seguirlo nella Zona centrale, dove però le qualificazioni richieste sono rigorose. Le Entità in Tiphereth sono, infatti, fuse con l’Ideazione divina, che non ammette obiezioni: o si è “con” il Padre nel modo che Lui giudica sufficiente o “non si è con” Lui.

Cosa fare? L’iniziazione a Tiphereth è un traguardo terminale, non semplicemente di partenza del processo di reintegro: traguardo da cui, poi, s’irradiano molte strade. Ma sono strade tutte oltre la “caduta”.

Possiamo conseguentemente affermare che con la realizzazione di Tiphereth la “caduta” precipita nel passato, e scompare per gli adepti la nera Croce del Calvario di Cristo.

Entrare in Tiphereth è dunque molto impegnativo. Molto, molto impegnativo.Quest’esito non può essere ottenuto che in un processo validamente perseguito

di purificazione delle tendenze e del conseguente karma: processo che renda l’ente e le entità della sfera polare veramente chiare e trasparenti allo sguardo del Padre.

La strada che un Maestro atmico sceglie è in genere un ”compromesso” fra l’attualizzazione di Tiphereth (che è per noi “in fieri”) e l’apporto effettivo e contemporaneo della Femminilità, tanto nel nostro ambito normale che in quello sottile. L’ambito normale (che è la nostra zona dimensionale) indica poche e rare personalità, più o meno adeguate; ma l’ambito “sottile” è ai confini del disastro, almeno per quello che più incide ora come ora.

Qui le Femminilità si rendono sovente demoniche per l’ostinazione con cui affermano la loro ”supremazia” su di noi e con cui oppongono il loro ego a Tutto e a tutti. Forse non nella totalità dei casi: ma quasi.

Qui incontriamo un’enorme gradazione di sfumature nel distacco profondo dal Centro Atmico: dalle meno ostiche, che non indulgono al desiderio di controllare, comandare ed usare l’altro, ma che tuttavia si sentono estranee dal problema della “caduta” e del conseguente dolore di tante zone dimensionali, alle più ostili e veramente nemiche.

Sono tutte più o meno a rischio grave, perché tutte negano sostanzialmente l’Idea di Polarità nel suo contenuto teurgico e pratico, e sono conseguentemente lontane o prive della percezione dell’Atma.

Esse pretendono di poter fare a meno dell’apporto ideativo virile, e sostengono che la Manifestazione debba essere “femminile” in toto: guidata dalla Donna e in cui l’Uomo può costituire un certo supporto, forse utile ma non determinante. Certamente queste convinzioni possono trovare una parziale giustificazione in amare esperienze di un lungo passato, ma ignorano la responsabilità che le donne stesse hanno avuto nel formularlo. In ogni caso il Maestro offre a tutte loro alternative ben diverse, e testimonianze che dovrebbero – se vi è “buona fede” – venir attentamente vagliate. Accade molto raramente, perché queste zone eteriche preferiscono di gran lunga il vecchio al Nuovo, anche se quest’ultimo è di Dio: ed allora il contrasto non è più fra

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uomini e donne, ma fra le creature ed il Creatore, e non ammette che un esito. Compito del Maestro è eliderne per quanto sia possibile le conseguenze più dissolutive, salvare il salvabile; ma, naturalmente, il concorso delle scelte creaturali è qui fondamentale.

La situazione del processo soterico è dunque generalmente poco promettente, ora come ora. Ma c’è un “ma”.

Certamente, se l’iter iniziatico è fortemente voluto e costantemente seguito, alcune Femminilità astrali trovano la disponibilità a sottrarsi alla morsa delle restanti, e conseguentemente sono disponibili ad una certa collaborazione sul piano dei valori cristici.

Poche, in genere; affaticate, perplesse e forse appartenenti ad aree più emancipate e apparentemente lontane nel campo globale. Poche, ma non nessuna.

Le donne di Yesod (di Yesod, sottolineiamo: non di Tiphereth, che è all’orizzonte) sono simili a quelle della nostra esperienza ordinaria. Simili e non eguali: hanno in genere molte difficoltà emotive e di giudizio imparziale, ignorano l’apporto dei sentimenti profondi e del loro immenso valore, anche simbolico. Sono, in qualche modo, assimilabili ad un calcolatore elettronico insufficientemente programmato: esatte rispetto agli immutabili presupposti che adottano, e razionali. Ma, ovviamente, se questi sono erronei o imprecisi, se non ammettono correzioni o modifiche, il risultato ottenuto è tanto ineccepibile per la logica del sistema quanto infido, falsificante ed ingiusto nel concreto.

L’emotività, la natura e la struttura del sentimento vero: ecco il problema specifico delle Donne eteriche, le quali – pur non essendone prive – non ne comprendono il valore e l’incidenza sul piano emanativo di Dio.

L’emotività, che deve essere fondata sul “Cuore” e cioè sul Sé, il quale è il Centro della nostra intelligenza del reale e il punto d’unificazione con il Divino. Allora questa emotività s’alimenta d’intuizioni, è viva ed intensa partecipazione alla vita altrui e propria. E’ espressione dell’Amore.

Prestare attenzione a queste entità eteriche, che sono comunque e sempre in diretto contatto con le zone soprattutto inconsce della nostra mente, è rendersi al nostro Centro interiore a tempo pieno, e qui il processo esoterico insegna ottimamente.

Precisiamo tuttavia che “essere al Centro” non è “pensare di essere al Centro”. E’, al contrario, sentire ed amare il Centro.

Così l’equivoco in cui versano le Femminilità eteree crea difficoltà e disagi: esse, infatti, pensano e non sentono. Pensando, non individuano nulla di reale in se stesse o nell’altro, ed allora si creano un muro psichico, fatto di delusioni e frustrazioni, di timori ed apprensione, che si oppone alla loro ed alla nostra realizzazione.

Questa fenomenologia incide su troppe personalità, intente ad un tragitto esoterico e no. Capita anche alla massima parte del nostro prossimo, ed è accettata con noncuranza, scetticismo ed indifferenza. Finché il dolore, l’estremo Maestro, non obbliga ad una revisione difficile e faticosa, che può tra l’altro richiedere un tempo

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immenso.Per superare questo stato di cose non esiste che un metodo, una forma della

mente: l’amore. Occorre amare e voler amare, senza attaccamento ad alcun esito. Amare è presenza di Dio in noi. Voler amare è la nostra più alta preghiera.Perfino nel suo Paradiso Dante – la cui grandezza è alquanto fraintesa o

misconosciuta – dice con San Bernardo che egli prega il Padre in Maria, perché la sua stessa preghiera non gli sia insufficiente. La preghiera, infatti, è qualificata non dalle parole, ma dall’intenzione, dal sentimento che la muove. E’ una traccia importante: occorre cercare, tentare di aver fede, e quindi chiedere con fermezza a Dio di sentirla

Senza il sostegno di Dio, la fede non c’è.Queste indicazioni sono valide tanto per il nostro piano comune che per quello

dei campi eterici, sovente affaticati dal terrore che il loro stesso stato genera. Se i campi sottili non riescono a “sentire” l’amore, che almeno “preghino” - per pura riflessione intellettuale – il Signore, chiedendolo.

Senza la Grazia non si va da nessuna parte, ogni nostra fatica si vanifica.Ecco il punto di meditazione d’oggi.

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QUINTA DISPENSA

Sono state formulate in passato molte riserve nei confronti delle entità di Yesod; facciamo adesso il punto della situazione.

C’è, in Yesod, molto d’oscuro e moltissimo di chiaro. Tuttavia il chiaro è percepibile solo quando l’oscurità scompare.

Questo è il punto difficile dell’esoterismo, punto che le religioni storiche non hanno messo mai in giusta luce.

L’oscurità permane in due modi: a livello personale, come frutto d’aberrazioni passate, errori e deviazioni. E permane a livello generale come interdipendenza fra le persone, fondata sul comune stato.

Cosa accade se qualcuno si mette in moto verso Dio, e cambia? Accade che coloro i quali, da lunga data hanno con lui un nesso unitivo - anche inconscio – il quale si sostenga su analogie di fattori deviati o vere e proprie colpe comuni, non trovano più l’elemento di supporto e di contatto.

Si verifica insomma la situazione di un edificio nel quale avvenga il crollo di colonne portanti, improvviso e disgregante. In effetti, l’emancipazione di una o più persone toglie sostegno a quelle ancora involute, ma fa di più. Queste ultime subiscono l’impatto del vettore evolutivo, e non possono che mutare rispetto al loro attuale stato.

La difficoltà però è qui. Se chi vuole il reintegro nell’Idea di Dio è capace di reggere il peso di questa condizione differenziante, è conseguenza inevitabile che i campi d’interferenza alla lunga si rendano diversi. Se regge: perché reggere questa situazione è cosa difficilissima, e sotto molti aspetti.

Il Maestro non può donare indicazioni suscettibili di non essere comprese dallo stato di coscienza degli allievi, o farà un più grave danno. Al Maestro rimane costante la necessità di dare un sostegno permanente ai suoi allievi, e di condurre le loro esperienze in modo che da loro (principalmente da loro, perché l’esoterismo è evento fattuale e non intellettuale) traggano e comprendano il metodo di riscatto.

Il tragitto allora si rende delicato ed arduo; le difficoltà appaiono poco a poco, e devono fornire esatte informazioni sul vero stato delle cose. Devono aprire il varco verso l’Atma, la percezione sottile dei primi gradi della Realtà.

Poi, le esperienze compiute devono riassumersi nelle giuste concettualizzazioni, che le illuminino, che le rendano assimilabili in analisi per poter giungere a nuove sintesi.

Il metodo è rigoroso; duttile ma rigoroso. Le innumeri obiezioni degli allievi vengono di regola sempre frustrate. Ma nel tempo: perché puntualizzare adesso quel che non appartiene all’oggi, ma al domani, crea solo imprevedibili ostacoli.

Prima, costantemente, viene la difficile ricerca: difficile anche se guidata. Poi c’è il momento dell’esperienza conforme ai principi incontrati, nella quale le

acquisizioni intellettuali trovano riscontro ed introspezione.

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Alla fine si ottiene la sintesi, la vera evoluzione dell’anima e delle capacità individuali.

Altra cosa da sottolineare è che il Maestro non concede a coloro che si collocano nel “sentiero mediano” frequenti doni, o incisive capacità d’azione verso il mondo esterno. Perché?

Perché il Sentiero Mediano attiene tanto al Pilastro di Sinistra del Glifo che a quello di Destra: implica cioè che la capacità sintetica manifestante espressa dal vettore di Sinistra trovi corrispondenza con quella analitica tipica del vettore di Destra.

Implica l’attualizzazione della Polarità teurgica.(Rammentiamo qui che la persona concreta è Immagine del Glifo, e che quindi

riflette in se stessa le collocazioni sephirotiche in forma invertita rispetto al modello.)Esaminiamo il simbolo dell’Albero della Vita. Qui il vettore che ci appare di

Sinistra (quindi nel nostro microcosmo corporeo di destra!) parte dalla sephirah Geburah e si determina in Hod: Geburah è “femminile, ma si conclude nel “maschile” Hod, il quale poi informa (condensando l’ideazione con la fattualità potenziale, dinamica, di Geburah) la sephirah d’unificazione che è Yesod, rivolta a Malkuth.

Identica cosa per il Pilastro di Destra, che principia con il “maschile” Chesed per puntualizzarsi nella “femminilità” di Netzach: la quale poi, partecipe di Chesed, si direziona su Yesod.

Yesod, in questo schema, dovrebbe essere attivato tanto dal “maschile” che dal “femminile” del Glifo, ma questo esito, per accadere, esige l’immanenza e la percezione del Centro Atmico (impropriamente identificato con Tiphereth, che è anche la sintesi della Donna del Glifo in rapporto alla virilità di Malkuth): e così ora non è.

Conseguentemente, se l’allievo è uomo, il Maestro deve energizzare la Donna affinché dia all’Idea di Dio (e non all’Uomo in quanto tale, inteso come persona concreta: questo, se accade, è effetto) l’apporto esplicativo che le è proprio.

Se invece prendiamo in esame una Donna che si sia resa allieva, il Maestro deve renderla prioritariamente capace di agire sul maschile, attivandone la virilità esoterica in forma induttiva, e per lo stesso fine.

Raramente, nel nostro piano esistenziale, le persone hanno saputo sviluppare i due aspetti del Microcosmo insiti nella loro interiorità, il Maschile ed il Femminile. Il Maestro fa sì che in ogni allievo emerga la modalità complementare, perché egli agirà in un campo difficile, nel quale gli uomini non sono tali e le donne lo sono in forme sbagliate.

I doni relativi all’operatività esoterica dati ad un uomo, e capacità sintetico/intuitiva ad una donna, aiutano se restano all’inizio quasi in sordina, esistenti ma pressoché virtuali, solo in parte e talvolta evidenti.

I doni, infatti, devono vitalizzarsi nell’apporto concreto dell’altra polarità, non singolarmente e nella separazione. Altrimenti gli uomini e le donne che saranno intrattenuti esotericamente, e che non possiedono per niente la struttura archetipica e

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vale a dire interiormente compensata, si ritroveranno in grave, individuale carenza ed in uno stato di reciproca “lontananza” difficile da essere superato. In ogni caso in serie difficoltà.

Tutti sappiamo inoltre, almeno per sentito dire, come certe personalità assai evolute siano prese di mira, sovente osteggiate e sempre giudicate. Valga per tutto l’esempio recente di Padre Pio da Petralcina, clamoroso e non certo unico.

Il comportamento del Maestro prende in considerazione tutto il campo di persone che, nel presente e nel passato, siano unificate da valenze comuni e virtualmente positive: tali da poter essere riattivate.

Certamente i campi esistenziali hanno un passato remoto: molto non è più recuperabile che al limite del Tempo attuale, e non negli aspetti che ebbe in principio. La “caduta” induce questo dolente esito: separa, e quel che può essere ripreso equivale, in linea di fatto, ad un miracolo di Cristo.

Cristo conduce il possibile dell’Adam ad un nuovo confronto con la Realtà, e lo regge perché si rinnovi l’antico Patto fra l’Uomo e Dio.

Queste note, se ben intese, possono suggerire che molto è stato compiuto, e che esistono valenze suscettibili d’essere attualizzate. Come e quando, è un altro discorso perché il tempo del conflitto è ben lungi dall’essere cessato, pur se tende ad assumere, in certi casi, moduli meno duri e lesivi per la stessa integrità delle persone.

La relativa tranquillità che si potrebbe, in un tempo non lontano, manifestare non sarà forse la Pace, così come il primo sentore dell’alba non è l’aurora. Può essere però il principio di un nuovo corso delle cose.

NB. Quando un Maestro parla c’è sempre chi lo ascolta, in “alto” ed in “basso”. Egli parla per tutti.

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SESTA DISPENSA

Le entità di campo devono essere modificate nel corso del processo iniziatico, e rimosse qualora si mostrino tetragone ad ogni insegnamento; il ché è in genere la norma.

La metodologia che determina l’emancipazione o l’allontanamento non può però essere enunciata che con grande approssimazione.

In poche parole, questa metodologia si puntualizza nel condurre la mente al Centro cardiaco, e operare con il sostegno di quest’ultimo, sempre tenendo ben presente che il Centro non è “mentale” ma “spirituale”.

Conseguentemente la metodologia richiede il risveglio (anche se approssimativo) del proprio Sé. Richiede l’impersonalità (ossia il “non attaccamento” ai risultati sperati, che appartengono in ogni caso a Dio); esige la fissazione del mentale in prossimità del Centro emanante che è il Sé trascendente – del quale il Sé personale è immagine – ed infine la resistenza, serena ed armoniosa per quanto è possibile, all’inevitabile opposizione dei campi oscurati. Qui s’accende il conflitto, e molto aspro, con le loro antiche ideazioni, ed il vettore che l’esoterista conduce contro di loro deve essere mantenuto con elasticità e fede.

Sono indicazioni che richiedono l’esperienza per essere veramente comprese. Come conseguenza di quest’attività avvengono poi effetti anche in varie parti del corpo fisico, perché le “linee di controllo” delle entità (che in genere scompensano i singoli organi sottraendone energie) sono progressivamente vanificate, determinando il loro duro irrigidimento che vuole impedirne l’inevitabile disgregazione.

Quale sia quest’irrigidimento indirizzato contro la percezione dell’allievo, è presto detto. E’ un “muro” mentale, interiore e oscuro, molto affaticante e ben poco piacevole da incontrare. Quando s’attenua o scompare c’è conseguentemente un vero sollievo, anche se il prezzo è elevato e implica un dispendio energetico. Tuttavia il Maestro compensa il suo discepolo a livello sottile, ritornandogli il “prana” che lo sforzo ha dissipato, ed al contrario lo conferisce ai campi sottili solo nella misura sufficiente ad evitare il loro annientamento: perché il fine del Maestro non è la distruzione e la morte, ma il recupero all’Idea del Padre. Ed il recupero è possibile in questi casi solo tramite l’esperienza della propria irrealtà e delle conseguenze che vi sono immancabilmente legate.

In questo modo i campi recedono, si allontanano o si modificano, e liberano poco a poco il loro stesso strumento d’autorappresentazione, che è - all’incirca - la loro anima.

Un minimo di conoscenza della meditazione d’origine induista aiuta a comprendere le cose. Nella mente si ritrovano “fattori di percezione, di valutazione e di collegamento” dei dati provenienti dal mondo esterno nella normalità dei casi, e le conseguenti concettualizzazioni ideative. Sono questi i piani che incidono potentemente sulla personalità e così il processo iniziatico deve purificare e normalizzare l’organo interiore, per consentire l’esatta conoscenza del mondo

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esteriore, che è logicamente interpretato con i contenuti della propria coscienza: spirito e mente. E dalla conoscenza si passa all’azione conforme, ogni volta che ve ne sia la necessità.

La legge che regola questo procedimento è sintetizzata nel Teorema d’Ermete, ed è detta anche “Legge delle corrispondenze”. Deve essere conosciuta, e quindi rimandiamo al suo testo. Possiamo rilevare che le correnti energetiche che – possenti ed innumerevoli – intersecano il Piano esistenziale hanno esatta corrispondenza con quelle insite nel nostro corpo globale, sottile e denso. Così, se noi ci purifichiamo, presto o tardi incidiamo sull’ambiente che ci è solito e su quanti siano il nostro “prossimo”. Anche il piano esteriore, insomma, dovrà cambiare.

Abbiamo più volte sottolineato come i campi del Glifo incorsi in un fattore involutivo cerchino di ricavare l’energia necessaria alla loro permanenza formale dal nostro (decaduto anch’esso ma ancora capace di scelta positiva) che è per moltissimi aspetti – non tutti negativi – affine a loro. Il sentiero esoterico vanifica le istanze egotiche, ovunque esso si renda concreto; così anche i campi di questo Yesod oscurato alla lunga si trovano privi degli strumenti mentali che gli hanno consentito, per un tempo imponderabile, d’attingere energie dagli stati di sofferenza che opprimono il nostro ambito.

A questo punto le entità si trovano in un momento di scelta: o cambiano direzione e cercano la loro stessa realtà, o si disgregano progressivamente. Ed allora le “quattro elementarità”, dal Fuoco alla Terra, che formano la persona non possono più restare unite. Questa è la “morte”, a livello corporeo, e l’energia condensata nell’individualità si rende al globale; se non tutta, quasi tutta. La mente conscia si dissolve con tutti i ricordi, le vecchie propensioni e il bagaglio della propria esperienza esistenziale precipitano nell’inconscio; quest’ultimo poi contiene specificatamente strutture tanto personali che generali, condensatesi in virtualità karmiche, così profonde ed intime da dover seguire in ogni caso il principio vitale d’identificazione, il vero nucleo della personalità, che nell’estrema essenza è indistruttibile. Qualunque cosa abbia fatto di sé.

Questo nucleo, se è esatto, è il SE’, il quale conserva il positivo, la capacità d’amare e di ricevere amore e, più specificatamente, quella d’autodeterminarsi con l’Amore.

Il Sé è molto prossimo all’impersonalità da una parte (quella che si rivolge alla sua Sorgente, all’Atma), e dall’altra è il punto d’individuazione della Volontà divina puntualizzatasi come “personalità” emanata. La sopravvivenza del Sé è conseguentemente certa perché si fonda sul Padre, ma alquanto dubbio è il suo stato di coscienza nell’esempio che andiamo ad esaminare.

Se, infatti, l’individuo (il jiva) non sa riconoscersi nel Sé ma s’identifica con l’ego, è quest’ultimo che si trascina dietro tutto il negativo del passato, determinando il ciclo delle vite ricorrenti.

L’ego non si dissolve perché Dio non lo consente. Se, infatti, si dissolvesse l’ente non avrebbe più il fattore di riferimento delle proprie scelte, e tutto il piano conseguente, che implica tra l’altro l’esteriorizzazione e l’esperienza delle proprie

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valenze.Non potrebbe conseguentemente accedere alla vita dell’Interità.Il Sé è generalmente ignorato, anche se sopravvive, in un ambito di “caduta”; e

all’opposto l’Ego appare come il solo principio di permanenza della personalità. Il ché è falsissimo, perché l’Ego è un’emanazione, uno strumento del Sé.

Il processo esoterico, di conseguenza, fa sì che l’ego si riconduca al Sé, ad essere funzione primaria del Sé. Tutto qui. E’ però la differenza fra essere coscientemente “figlio di Dio” o suddito del demiurgo usurpatore, che naturalmente non è il vero Demiurgo, il Pleroma di Cristo in Cristo .

L’ego è, nel nostro ambito comune, enorme, e rende ragione del dolore che v’imperversa. La prevaricazione dell’ego è quindi, tanto nel “piccolo” che nel “grande”, l’ostacolo da superare.

Il cammino si rende allora molto difficoltoso, perché l’incidenza egotica non è soltanto dentro ma anche, ed ignorata, enormemente fuori di noi. E’ l’incidenza che caratterizza un ambito generalizzato d’involuzione, di cui siamo in vario modo partecipi.

Le entità oscurate dei piani di Yesod sono tramite nel nostro ambito interiore dell’Ego esteriore, con tutte le valenze assai sconsiderate che vi s’annidano, le ferite e gli orrori le contraddistinguono. Ma il campo oscuro si è ridotto a vivere di queste cose, per mancanza di propria energia pranica: l’inevitabile conseguenza della perdita del Sé.

Perché è il SE’ la fonte della nostra vita, dell’energia e della stessa percezione: il Sé è potenzialmente infinito, e nel Sé il Cristo può apparire ed agire.

Così tutto il processo soterico verte sulla riconquista del Sé, del proprio stato unitivo con il Padre e – nel Padre – della reale ed effettiva capacità di vivere in gioia ed in emancipazione eterne.

L’intelligenza del Reale (il Reale è Dio, come Trascendenza e come Immanenza) è lo SPIRITO.

Ricordiamo che l’essenza divina è amore, e rileviamo ancora che lo Spirito è Intelligenza dell’Amore, ed è quindi lo stesso piano realizzativo nel suo aspetto sintetico, fondato sulla cosciente attualizzazione ed attività del Sé.

Cosa sono le persone “comuni”, allora? Un brutto pasticcio d’ego e di karma, troppo simile ai “sepolcri imbiancati” – adorni e sontuosi ma colmi di putridume – che offesero e crocifissero Gesù: il più delle volte le persone “comuni” sono un misto tortuoso di Sé e di Ego privo di Sé.

Così ogni volta che un allievo, un figlio cerca di affidare un messaggio vivificante al suo “prossimo” - com’è santo e giusto che accada - si muovono campi nascosti d’interferenza, si coalizzano forze del globale timorose di perdere il loro cattivo potere, e desiderose di condizionare ancor di più il suo mondo interiore e, tramite quello, il campo esterno.

Il rifiuto di Cristo accade così.Le persone del nostro ambito (e talvolta, per nostra fortuna, non solo di quello)

non sarebbero sempre chiuse a Dio. Ma troppe hanno consentito in tempi remoti e

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recenti che si rafforzasse il dominio demiurgico, danneggiando così se stesse ed i campi limitrofi. Ed ora sottrarle al carcere che hanno scelto in lente spirali di decadenza, è cosa davvero difficile.

Ecco un quadro meno inesatto, e molto perfezionabile, dello stato attuale delle cose: sarebbe irrimediabilmente destinato all’involuzione più distruttiva se il Cristo, assumendosi la croce dell’Adam, non agisse per il riscatto di tutti, e nel pieno rispetto delle scelte individuali. Poiché il Cristo c’è, ogni evento si rende possibile se qualcuno nell’emanazione si accolla nuovamente la propria parte: per quel che gli concerne, nel suo ambito e secondo le proprie vere forze.

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SETTIMA DISPENSA

La determinazione a rimuovere i campi oscurati dà sempre, prima o poi, i frutti sperati: la loro purificazione o la loro elisione, il più o meno tragico allontanamento.

Un Maestro non può che dolersi di quest’esito, che è tuttavia limitato al tempo attuale. Nel lungo tempo, infatti, Egli è in condizione di rallegrarsene, per il positivo che emergerà. Perché?

Perché i campi involuti hanno il loro punto di riferimento negli allievi, non sono costretti a cercare Dio con le loro sole forze.

E’ esatto osservare che “cercare Dio per sola necessità costrittiva” è ben poca cosa: Dio dovrebbe essere voluto per amore. Ma nel caso di campi della “caduta”, ancora intrisi di “caduta”, l’unica possibilità concreta di un reintegro nel Reale, magari nel lungo tempo, è questa: l’apporto ideativo e concreto degli esoteristi che seguano la Via di Mezzo.

Occorrerà delineare un quadro riepilogativo del Campi eterici, onde avere una base conoscitiva d’orientamento, e prima di qualsiasi esperienza concreta del loro stato attuale. O, speriamo, in sostituzione di quella.

La conoscenza delle origini del dolore aiuta, infatti, la comprensione del male che imperversa dappertutto, l’estrema infelicità che procura e la durissima angoscia che ne consegue.

Sapere è necessario, e non per un’esigenza intellettualistica: per una pratica soterica. E’ sperabile e desiderabile che gli allievi dell’amore possano, con queste metodologie, evitare l’esperienza diretta del “daimon” (sovente “demone” sic et simpliciter!) con tutto quel che ne consegue.

La conoscenza che può derivare da questo vettore iniziatico, se adeguatamente compreso, è sufficientemente articolata da consentire analisi accurate. E’ auspicabile che basti.

Un Maestro deve fare molte cose: la prima è quella di “sgomberare” il nostro intelletto da tante false ideazioni, da stratificazioni superficiali ed arbitrarie, dalle scorie del lungo passato.

Ad un maestro occorre sempre che vi sia “qualcuno” che affronti, od abbia affrontato, le necessarie e inevitabili difficoltà, sì da renderle “non necessarie” ad altri.

Diciamo “necessarie” non perché gli ostacoli siano amati, ma perché la purificazione esige sempre un certo lavoro, finalizzato al bene comune.

Coloro che ne fruiranno avranno poi il modo di chiarificare ampiamente il loro organo mentale, tuttavia in modi meno traumatici ed affaticanti, che verranno via via indicati. Ma la “breccia” qualcuno la deve pur fare.

Il Maestro ha elargito per molti anni un ampio quadro di problematiche fondamentali, le quali trascendono la trattazione del dramma – pur fondamentale – dei campi involuti. Se saranno studiate le pagine, rese accessibili alla lettura, che contengono tante notizie, vi si reperiranno indicazioni e risposte che non sono ovviamente segrete, ma che purtroppo non tanti conoscono ancora.

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Un lungo lavoro è stato fatto: i primi fogli erano la base, ed una base non obsoleta. Senza ritornare fino a quelli, che restano tuttavia disponibili, gli ultimi offrono certamente un ampio materiale per la nostra meditazione.

Noi possiamo pertanto incontrare, già predisposto, un fondamento sapienziale che va conosciuto, poi analizzato e, quando occorre, integrato. Ed alla fine compreso nell’esperienza esistenziale.

Nulla di quanto è stato accumulato è però superfluo.E’ molto difficile uscire dalla fossa, dalla caverna del nostro passato. Ed è molto

difficile comprendere che quest’incapacità non è semplicemente un limite individuale, ma anche un’induzione sottile e temibilissima: che prima va avvertita, e poi rimessa a Dio perché svanisca.

Un’induzione davvero demoniaca, sovente mascherata d’affetto, tenerezze e perfino d’eros. E’, allora, la parodia del vero amore, astrazione di menti nemiche che con essa intendono dominare, interdire ed all’occorrenza distruggere.

Scoprire nel proprio “organo interiore” queste infiltrazioni, enuclearle ed alla fine renderle inerti è il punto difficile del processo, quello che impedisce il cammino. E’ la grande difficoltà del trentaduesimo sentiero del Glifo.

L’induzione c’è. Non è il nervosismo che talvolta compare senza un’apparente ragione. Non è la malinconia o la stanchezza che ci assalgono all'improvviso; non è l'ira repentina o immotivata. Questi sono i “nomi”, le razionalizzazioni di quello che non comprendiamo che poco e male.

Se sono induzioni, sono quasi “meccaniche”, inconsce, che nascono dalla stato generale delle menti di Yesod, più che da uno specifico atto d’interferenza che pure non manca.

Qui alludiamo all’induzione fondamentale che è ben più minacciosa, nascosta e letale.

E’ quella che fece cadere l’Adam, Uomini e Donne: E’ quella che travolse a tal punto i tanti – allora ed ora decisi a resistere – fino a trascinarli quasi a loro insaputa lontano dalla volontà di Dio. Fuori da Eden.

Che sommerse e tradì Uomini e donne che, vedendo il disastro attorno a loro, vollero accollarsi il compito di difendere, di reggere per riportare le zone oscurate ad una vita più “normale”, più consona alla loro natura.

Essi furono ingannati, circuiti e in gran numero quasi completamente disfatti da chi si finse “amico”, “fratello” o “maestro” al solo fine di renderli schiavi.

Anche per ucciderli, perché essi erano ancora troppo vicini a Dio, e l’Amore può dissolvere le idee menzognere insieme alle menti che le vogliono affermare.

Il Campo sottile non è quello che ordinariamente si percepisce, e che quindi appare dotato di verità. Nel Campo sottile o si è veri o non lo si è, e la mente reale può disfare quella irreale , se la affronta con Dio.

Qui le idee sono concretezza, sono energia e forza, sono vita. Così le ideazioni (meglio dire: le concettualizzazioni, le astrazioni) degli enti demonici si risolvono soltanto in degrado, malattia e disfacimento.

Presto dovremo affrontare il grande tema dell’Eros, di quella realtà che è la

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Polarità. Infatti, può sembrare facile restare fermi sui “principi” esatti ed intangibili, esposti per intuizione d’Amore dal Maestro e da tutta la Tradizione, occidentale od orientale che essa sia. Ma si può nello stesso tempo essere perplessi sulla loro estensione nel nostro piano, sulla concreta applicazione alla vita delle idee basali.

Occorrerà allora dare informazioni aggiuntive, e non elementari: Per adesso riaffermeremo che l’Eros è solo Amore, e che tutto quello che è veramente Amore è anche Dio.

Le conseguenze possono essere estreme: dovremo conseguentemente saper discriminare a fondo le implicazioni dei principi esoterici, scindere il vero dal falso e bruciare nel fuoco interiore le menzogne, le innumerevoli menzogne del nostro passato.

Alcune sono più ingannevoli tuttora, e più radicate, di altre; sono più attraenti ed insidiose, ed apparentemente più accettabili anche da un esoterista: perché sanno togliere l’evidenza del rischio, del male e dell’abisso. Ed in più sono facilmente razionalizzabili, giustificabili qualora non siano davvero rimosse dall’inconscio, da dove operano incessantemente e sottilmente.

Dovremo imparare a far attenzione ai nostri stati d’animo più intimi, più “comuni”, più generalmente condivisi: ed allora saremo in grado di vederli in trasparenza, e di coglierne il rischio, se c’è.

Dovremo saper essere “nuovi”, ora e qui.

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OTTAVA DISPENSA

Il progetto che il Maestro di questo sentiero esoterico ha intenzione di condurre in porto non è identico a quello noto all’alchimia tradizionale, perché essa si fonda su un postulato certamente molto elevato (e cioè sulla comprensione dell’Uno, che deve essere quanto più possibile completa ed integrale), mentre qui l’Istruttore vuole centrarsi ovviamente sull’Uno, ma sotto il profilo di un’esperienza sintetica che sia capace di rivelare la contemporaneità dell’Uno e dei Molti nell’Assolutezza, e – nel medesimo tempo - identificare il giusto rapporto fra l’Uno ed i Molti, e fra i Molti partitamente considerati.

Dio è sintesi totale, e ciò è fuor di dubbio. Ma è anche discriminazione totale del suo Momento Non-Duale. Occorre pertanto metterci in grado di intuire che l’unità è l’insieme del Molteplice: insieme che unifica nei rapporti esatti le infinite personalizzazioni emanate, prodotte e specificate dalla Coscienza Suprema. Occorre sapere che i figli creati esistono nel Creatore.

I figli sono il Padre, ma nella base del loro Essere. Poiché essi esistono per volontà di Dio, sono anche “divenire”: In particolare sono il “Divenire nell’Essere”.

Con altra prospettiva, non meno precisa, i figli sono lo spiegamento di questa volizione divina in Dio stesso.

Il Maestro non mira, in questo contesto, al Non-Duale interpretato come Coscienza/Sapienza finale in cui s’estingue ogni personalità relativa. Il Maestro si direziona verso la precisa e contemporanea comprensione del “momento unitario” e del “momento discriminante” dell’Eterno e del Tempo.

Molti alchimisti, o yogi, o monaci contemplativi, furono sovente in grado di comprendere - con maggiori o minori riserve – quest’assunto: vi furono ovviamente incertezze, dubbi e talvolta imperfezioni ampiamente testimoniate dalla storia. Questo certamente non accadde ai veri, grandi iniziati, agli Adepti; ma accadde troppe volte.

Dio ama la vita, e la Vita nell’Amore è la sua prima Volontà. Volendo la vita, Egli ama anche le forme in cui essa s’esprime: le “forme relative”, che esistono – come tali – nella Vita Assoluta della Coscienza divina.

Diciamo conseguentemente che la vita delle forme emanate è la vera Volontà di Dio, e che esse ne traggono un valore ed un significato capaci di trascendere infinitamente la comprensione umana.

Basti un’osservazione, empirica e provvisoria. Se l’Adam è immagine del suo Creatore, deve pur esserci una Forma Assoluta che costituisce l’Archetipo Globale di tutte le forme relative: una Forma Assoluta che è identità con il Sat/Cit/Ananda, inconcepibile per il relativo; il quale, per averne una qualche esperienza – eternamente perfezionabile – deve poter realizzare quell’istante unificante che chiamano “Samadhi”, estremo dono del Brahma alla sua Interità emanata.

Volere la vita è volere i mondi che si dà l’Adam e, nei mondi autorappresentati (reali perché fondati sull’atto principiale d’Emanazione e nella misura in cui restano coerenti) volere l’infinità di concreti, precisi rapporti fra le persone, fra esse e le

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“cose”, gli animali, la flora: e l’insieme incommensurabile delle forme, anche a livello estremamente semplice.

“Amare” implica due direzioni fondamentali: in verticale verso il Padre e le sue Realtà; in orizzontale nei confronti di tutto l’esistente.

Certamente questo va compreso. Così il Maestro esige che la Vita sia fin d’ora amata, voluta, difesa e perfezionata.

La malattia, il dolore, la morte sono “assenza di Dio”, a Lui imposta proprio entro lo svelamento del suo Amore: sono la croce infame del Calvario di Gesù.

Occorre lottare contro la sofferenza, ovunque essa compaia, e secondo le proprie specifiche disponibilità.

Esse, ora, sono scarse perché scarso, o nullo, è l’apporto delle zone eteriche, e carente la nostra stessa intelligenza del Reale. Ma se un vettore esoterico ben centrato riesce a procedere, le capacità s’accresceranno ed il Maestro potrà alla fine guidare gli allievi verso altre mete, più giuste e più alte di quel che speriamo.

Ecco perché, mentre certi principi (come quelli ermetici della Tavola di Smeraldo o del Kyballion) sono fondamentali, l’Istruttore non ha molto interesse per i tragitti esoterici che non mostrano vera intelligenza del valore che ha la Forma e i rapporti, con essa realizzati o realizzabili.

Incontriamo un antico equivoco: che l’aspetto “più alto” del Divino consista nel suo Momento Unitivo, il Sé Supremo, l’essere in Sé, l’Uno-senza-Secondo. Noi invece crediamo in Dio anche nella sua realtà d’assoluta Coscienza, che è conseguentemente assoluta discriminazione in infinite polarizzazioni di quell’Unità ineffabile che non viene mai meno, così come non viene mai meno l’assoluta Molteplicità. E, forse, la sintesi d’Unità e Molteplicità divine corrispondono allo ZERO, al Brahman, all’Ain Soph, oltre ogni manifestazione e ogni possibile intuizione.

Dio – per noi – è Essere, Coscienza e Gioia: e la Gioia di Dio, sintesi d’Essere e di Coscienza, è l’assoluto Amore.

Di conseguenza affermiamo che il momento totale, onnicomprensivo del Divino non è l’Essere, e non è neppure l’Intelligenza di Se stesso. E’ invece, ripetiamo, la sintesi dei due aspetti, ed insieme il loro trascendimento.

Diciamo che l’Amore – il misterioso ed insondabile amore dell’Assoluto – è la sua più vera e onnicomprensiva Realtà.

Ciò che l’amore crea ha le potenzialità del Creatore. Così crediamo che l’amore sia la sola modalità costruttiva e dinamica per tutto quello che “in Dio” esiste: noi compresi.

Ci occorre allora l’intelligenza di quel mistero che è l’Amore: tanto nel suo aspetto infinito che s’identifica con la Volontà del Padre quanto in quello “finito”, che concretizza la verità delle nostre scelte.

Il Maestro ci dona questi principi perché essi sono già stati più o meno acquisiti nelle precedenti ricerche, e li enuncia adesso in forma sintetica, tanto a noi che ai campi sephirotici.

Ovviamente, Egli aggiunge qualcosa. È suo “dono”, non arbitrario perché

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almeno è stato meritato dalle nostre condizioni di ricercatori. Se si procederà, forse saremo in grado d’acquisire l’Operazione del Sole, la più alta fra tutte e che richiede la presenza attiva della MADRE oltre a quella di Cristo in Gesù.

Perché la Madre, la Chakti, è la Potenza informante che agisce nella Manifestazione di Kether. Se il Figlio è la prima meta da realizzare per riprendere l’esatta direzione vettoriale nell’esatta ideazione, poi occorre “sentire Maria”, l’eterna Madre che è Figlia del Suo Figlio, e nostra salute eterna.

Noi siamo “divenire nell’Essere” che è Dio; Maria è la fautrice d’ogni esatto divenire, perché Essa è il Momento Dinamico di Brahman.

In un tempo assai lontano il Maestro disse che la Madre è la sola capace di fissare, con occhi di Fuoco, il Mistero Assoluto: e poi volgere lo sguardo benedicente al nostro stato.

Tremendo – l’insegna la Tradizione – è l’Occhio della Suprema Chakti se non si è capaci di amarLa, e d’amare tutto: perché essa è lo specchio dell’Interità, di tutto l’esistente.

Essa, così come Maria nel Vangelo, è la Testimone, eterna Testimone, della Creazione: la Creazione è in Lei, eternamente.

Tornare a Dio per molti è impresa ardua, difficile e dolente. Eppure non si può che cercare la via del ritorno, perché l’alternativa è la tremenda esperienza del mondo caduto, inconsistente e disperato: un inferno che tuttavia non è il “vero inferno”, che è quello di chi cade oltre lo spazio ed il tempo della Manifestazione, nel NULLA interzonale. Lì vive/dorme un incubo atroce, quello della Qelliphoth. E lì la Misericordia di Dio tornerà quando l’Adam sarà pronto.

Nulla allora sarà perduto o abbandonato. E tuttavia il tempo della caduta non è del Cristo che lo sostiene: appartiene alle Sue creature. Completamente.

Ed esse possono tenderlo oltre l’immaginabile, nel loro dolore.

α ω α ω α ω α

Tutto l’ingegno degli uomini e delle donne nasce da Dio.Tutto è ascolto più o meno profondo, più o meno perfetto, della sua Voce.Non esiste un pensiero, un’idea, un momento cognitivo reale che non sia colto

nel silenzio del proprio spirito in rapporto con l’amore del Padre.Tutto il noto, il possibile, il potenziale del progresso umano giacciono in Dio.Ascoltare non è però sufficiente, se non c’è l’intelligenza di Lui. Occorre “voler

ascoltare” per poter “trovare” e – trovato quel che ci preme – sceglierlo così come appare al nostro sentimento. E, una volta scelto, è necessario che lo conduciamo spontaneamente ed agilmente nell’ambito mentale, per tradurlo in simboli, in relazioni ed accadimenti che da questa scelta derivino.

Quindi, non pensiamo: ascoltiamo e lasciamo che la nostra mente ci rappresenti quanto sentiamo. Lasciamo che le nostre capacità (libere ed intuitive) rendano forma la nostra prima ideazione.

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Tutto il resto è frutto d’arbitrio, di concettualizzazioni che come tali non appartengono al Cristo, e che quindi deviano e sono deviate. Sono concettualizzazioni della mente polarizzata sull’ego, priva di realtà: la mente, infatti, è lo strumento analitico dello spirito, del Sé.

Se comprenderemo questo processo, che è il “sentiero intuitivo” specificatamente esoterico, metteremo in moto il Fuoco centrale della nostra personalità, con conseguenze estreme per tutto quello che siamo e che amiamo.

Ascoltare Dio è amarLo.

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NONA DISPENSA

Ci occorre comprendere la “caduta” e le sue brutte conseguenze. Qui verranno dunque specificate poche ma importanti cose su questo difficile argomento, sottolineando che esse devono in ogni modo diventare ben chiare al nostro intelletto e ben presenti al nostro sguardo.

Il fattore esoterico è, prima di tutto, il superamento delle difese oscure contro Dio.

Poi è azione, volta a tutelare tutti coloro che – incerti e dubbiosi – sono le vittime predestinate del campo involuto.

La “caduta” è in primo luogo l’incapacità, colpevole e letale, degli enti preposti al piano divino: incapacità di riconoscere necessaria l’armonizzazione reciproca dei loro poteri.

Fino ad un certo punto, infatti, essi agiscono ognuno nel proprio ambito, con collegamenti reciproci che non limitano significativamente le loro discrezionalità esecutive.

Quando occorre addivenire ad un contemperamento delle reciproche capacità, ad una SINTESI che si ponga come finalità la Manifestazione sotto il profilo di Idea Unitaria di Dio, e non l’esercizio del loro personale potere, queste entità si oppongono

Esse non sono di regola né perfette né purificate a causa di una sottile insofferenza di fronte al Padre Creatore e alla sua guida, e quest’aspetto intimo, a lungo maturato, esplode al comparire della non procrastinabile necessità d’assolvere ad un compito impersonale d’assetto omogeneo, conforme alla volontà di Dio. Così esse si rifiutano e cercano d’imporre i loro particolarismi: prima sommessamente, poi più apertamente e alla fine con empia intenzione d’eliminare il Potere Divino per affermare senza alcun limite il proprio.

In tal modo le entità di questo Pleroma cadono nell’ego più feroce ed incontrollato, s’arrogano il titolo di “dei” e tentano d’imporre a tutto e a tutti la loro titanica e arbitraria discrezionalità.

Il risultato è atroce. L’unità della Manifestazione s’infrange, e le persone che vogliono ancora adempiere al loro vero stato creaturale sono aggredite, ingannate e sovente ridotte alla soggezione e alla schiavitù.

Questo è il caso della zona che attualmente abitiamo, in cui siamo stati confinati con lunga e proterva determinazione; e dove normalmente cadono quelli che le entità demiurgiche non vogliono più accanto, e che per scelte incompiute o disgraziate sono suscettibili di dominio.

La nostra zona è, di conseguenza, variamente configurata. In essa c’è chi ha ancora vive capacità d’amore, e non la forza d’affermare fino in fondo la propria identità; c’è chi si è reso involuto e torvo, ma che resta comunque inviso alle aree del dominio per molti ed intricati motivi. Ci sono poi i deboli, quelli considerati alla stregua di mandrie da sfruttare a tutti i livelli possibili: meglio qui da noi che “là”,

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dove rappresenterebbero personalità potenzialmente temibili, non veramente affidabili per l’ideazione demiurgica.

Questo è il quadro. Nel primo caso, e sovente nell’ultimo che abbiamo esemplificato, l’azione salvifica di Cristo può interferire e riportare a Lui i figli smarriti. Con fatica Sua e loro, ma con esiti sovente estremamente alti: Milarepa e Francesco ne sono luminosi esempi.

Il secondo caso considerato resta invece asservito all’egotismo, spesso ferocemente; riproduce nel nostro ambito l’immagine dei campi dominanti, e ne costituisce un vettore temibile d’infiltrazione, tanto incompresa quanto attiva. Ne derivano conflitti, persecuzioni e guerre con le immancabili stragi. E’ sempre il potere particolaristico che si afferma contro il bene generale, riproducendo nel nostro ambito il dramma che colpisce l’Interità emanata.

Naturalmente questa condizione esistenziale agevola il pesante dominio che è esercitato sul nostro mondo: ed ecco insorgere il dolore diffuso, le malattie, il decadimento del campo ed infine la morte.

La morte è l’invenzione abissalmente cattiva del Demiurgo che si crede, e vuole credersi, Dio. E’ strumento di sopraffazione ed insieme tentativo d’uccidere il “nemico” sempre più irrimediabilmente.

Il “nemico” dei campi involuti è l’Amore.Così le aree demiurgiche sostengono – anche a lungo – gli uomini e le donne del

nostro ambito che si dimostrano i più affidabili servi del loro segreto potere, ed aggrediscono oggi, come fecero in passato, quanti si affaticano per il loro riscatto.

Le motivazioni di queste entità sono sottili, subdole e celate, ma comunque feroci. Qui il loro oscuro fine giustifica i mezzi adottati, sempre. Renderle più accettabili e chiarificate è impresa di gran momento, che può essere tentata e compiuta solo con Dio.

A questo scopo occorre reperire un metodo che è tra i più difficili da essere compresi, perché richiede la Fede ed il Distacco, ed essi si affinano in genere nella lotta, con anni di lavoro interiore e in modo progressivo, lentamente progressivo. Tuttavia, se questo sentiero è attualizzato, esso alla fine costringe le entità ad un riconoscimento estremamente difficile del loro vero stato di degrado, e talvolta può anche portare ad un’apertura verso l’Ideazione primordiale di Dio.

Infrangere l’illusione, la maya del nostro comune stato, è fattore prioritario nel processo d’acquisizione della verità: il principio socratico è vero in eterno.

Ma infrangere l’illusione non è comprendere contemporaneamente la verità. Il passo che occorre poi fare è difficile, e a lungo può risultare impensabile, perché è scegliere la propria identità e la propria strada in quel Cristo che si è voluto crocifisso e morto per interi eoni, ed a questo s’oppongono – irrazionalmente ma violentemente – le strutture mentali che in quell’immensità di tempo si sono sclerotizzate ed immobilizzate.

Una dolente constatazione è questa: la verità non ha di per sé sufficiente forza per trascinare nel senso giusto le persone. Occorre che si sposi con l’Amore, o sarà perduta.

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Altre cose saranno dette, più profonde e puntuali di queste, che costituiscono un “primo” insegnamento:

Ci occorre ora ribadire la necessità di saper essere sereni, di godere del nostro tempo in modo produttivo, di cogliere i frammenti di felicità che esso ci può affidare: un viaggio, un ascolto, un incontro sono doni. Doni, e occasioni.

Nessuno può affermare di fronte a Dio un diritto che Egli non gli abbia prima liberamente concesso.

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DECIMA DISPENSA

Queste che seguono sono nozioni e suggerimenti di tipo operativo.Diciamo innanzi tutto che esiste l’Adam Globale, il quale è l’intera

Manifestazione e, nella Manifestazione, quella puntualizzazione particolare che è l’Adam inteso come Uomo e Donna.

La Manifestazione è la Figlia (Figlia/Figlio) prediletta da Dio, colei che dovrà agire nella sua globalità come esecutrice d’ideazioni divine, estreme per complessità ed ampiezza; questo accadrà quando l’Adam totale si sarà reso perfettamente libero nelle sue scelte, e quindi in grado d’attualizzare le proprie indeterminate potenzialità, senza impedimenti interiori e pesi del suo passato.

Quest’evento, che avverrà nel Tempo di Cristo, è però oltre il nostro tempo odierno, oltre il tempo di quest’universo.

Nel presente momento c’è invece, e pressante, la necessità di riportare ad unità i campi che si sono disgregati, creando barriere fra le singole sfere che costituiscono l’organo interiore, la coscienza, determinando conseguentemente l’insorgenza di analoghe scissioni fra le zone dimensionali.

C’è molto da dire in proposito, ma per adesso questo potrà bastare. L’assunto del Maestro è quello d’indurre noi, allievi, a condurre nel nostro spazio/tempo alcune “formulazioni d’operatività” (entità femminili) che non si sono mai volute riconoscersi in lui, con tremende conseguenze per loro stesse e per noi.

Non è tanto l’aspetto semplicemente formale che deve rinnovarsi e perfezionarsi: in questo, infatti, le entità di Yesod sono più stabili e più avanzate di noi. E’ l’aspetto spirituale e mentale (il quale controlla le energie formalizzanti) che costituisce il punto dolente e carente dei piani esistenziali. Di quelli, soprattutto.

Se le entità si riconoscono nel nostro ambito, ciò non vuol dire che esse si debbano collocare nell’ambiente fisico così come è ora, ma piuttosto in un “campo interiore” che determinerà una sfera formale nuova, coerente e conseguente con l’Ideazione di Dio.

Questo è il problema che le assilla, perché sovente opinano che la volontà del Maestro sia quella di immergerle, sic et simpliciter, in una zona dimensionale assai ricca di differenziazioni ed energia rispetto alla loro, ma che considerano poco stabile e che per di più sta perdendo consistenza.

No, il Maestro esige che le entità di Yesod si collochino – per quanto è loro possibile – nel nostro stato ideativo, quello di allievi, che è spirituale prima che mentale ed intellettivo. Infatti, noi amiamo il Padre assoluto, ed in Lui tutte le cose viventi. Se così non fosse, non saremmo neppure allievi.

Se le entità sanno entrare in quest’ottica, il “campo formale” in cui esse – e poi noi discepoli – potremo esistere si modifica in senso altamente positivo; e questo coinvolge alcuni in modo molto preciso. Tuttavia gli equivoci sono tanti, e purtroppo queste personalità della Sephirah Yesod raramente possiedono la giusta discriminazione, e subiscono comunque le pressioni del loro piano esistenziale, dure

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e assillanti. Quindi è eccezione e non regola che alcune entità possano essere in grado di seguire il Maestro cristico: eccezione che va amata e stimata.

Poiché in genere le donne del piano eterico hanno capacità d’agire assai pronunciate (molto vanificate rispetto al Principio, ma pur sempre attive) e in tal modo influenzano le energie sottili, esse ci creano problemi.

La speranza del Maestro, che vuole l’unità delle sfere e la fine della caduta, almeno per qualcuno, è tuttavia fondata, pur se ci è impossibile immaginarne il tempo e i modi.

Il processo esoterico ha molti esiti: uno, e non piccolo, è la crescente impossibilità di creare scompensi, fisici o psichici. Se vogliono generare dubbi, inquietudini o danni, possono tentarlo: ma ne soffrono tangibilmente, ed in prima persona.

L’effetto esoterico è di riflettere su chi la fa l’azione scompensata: il danno è reso al mittente, e solo la Misericordia divina (Cristo) impedisce che ricada in forme non distruttive. O, almeno, non sempre. Perché purtroppo le intenzioni di queste entità demiurgiche, quando aggrediscono, sono tali da annientarle, se fossero interamente ritorte.

Il solo dubbio – antico dubbio – che questo processo evidenzia verte sulla nostra resistenza all’assedio, sull’intelligenza che noi sappiamo darci. Infatti c’è un limite alle aggressioni, e se è superato, il Maestro interferisce drasticamente: come è sempre accaduto.

Se tuttavia gli allievi reggono alla fatica, e conseguentemente spostano il limite in avanti, alla lunga non appare che un risultato: le entità, in un modo o nell’altro, nel breve o nel lungo periodo, tornano a Dio.

Ecco perché il Maestro non accondiscende a molte suppliche, soprattutto a quelle di un gruppo di persone – solitamente molto poche – che vogliono essere con il Padre ed aborrono il potere nemico. Un Maestro cerca il bene di tutti: ad alcuni insegna, e con l’insegnamento e la pratica esoterica purifica gli altri, loro malgrado in tanti casi. Un Maestro è impersonale, e cerca il bene comune tramite il vero bene individuale: non altro.

Esistono comunque altre aree dimensionali, molto meno compromesse e conseguentemente assai serene. Esse tuttavia non possiedono l’Idea d’Unità con quella chiarezza che talvolta noi raggiungiamo (e citiamo nuovamente Milarepa, Francesco, Chiara..): sono quindi in cerca di dati, di confronti e di conoscenze: Anche se questo può sembrare strano, lo stato in senso formale assai elevato in cui vivono, la dolcezza del loro tempo e la continuità delle vite può nascondere in rischio, e finire col renderle statiche, soddisfatte di quel che hanno e ben poco propense alla Idea d’amore, che implica il Sacrificio.

Si adombra il lento meccanismo della “caduta”, con l’insorgere di un fattore egotico predominante; e l’idea di Polarità non viene più esattamente compresa, con conseguenze che nel lungo tempo possono rivelarsi pericolose.

Sono, queste, entità che il Maestro considera del “suo” piano, ma delle quali rileva le ideazioni confuse e molte fondamentali incomprensioni. Qui l’intelligenza di

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Cristo, e della Sua crocifissione, può essere carente o trascurata.Con queste personalità il nostro compito dovrebbe risultare comunque facilitato.

In genere esse stimano e rispettano il Maestro, ed in certo modo Lo amano, anche se il loro modo d’amare Gli risulta troppo intellettuale, troppo formale.

Sono però in cammino, e conseguentemente cercano di capire; sanno che la mente deve fondarsi sullo spirito, che non può esserci vera analisi se “prima” non esiste un dato sintetico, intuitivo e spirituale.

Tuttavia, come capita normalmente anche qui, la situazione favorevole può generare molta soddisfazione, e la soddisfazione sovente crea indifferenza verso gli altri, meno fortunati.

Ed allora questi sintomi nascondono le prime fasi della “caduta”, che il Maestro deve e può impedire, se non è lasciato a Sé.

Perché una cosa va richiamata e sottolineata: nessuno può fare la parte che è profondamente di un altro, e l’Emanazione deve essere in grado di ritrovare la propria identità, anche se con sofferenza e fatica. L’Interità è sostenuta dal sacrificio divino: ogni volta che ne sia in grado, deve saper risorgere. O crocifiggerà ancora ed ancora Cristo sulla croce del dolore.

E’ incredibile come sotto la ricerca di una verità metafisica si celino problemi cosi abissali. Ma la maya ci circonda e ci opprime, e questo è detto da tutte le Tradizioni, che sono il vertice della nostra meditazione. Qualsiasi sentiero esoterico è per prima cosa vittoria su questa maya, spietata maya che ha preso il posto di quella, luminosissima, della Madre. Perché la vera MAYA è la volontà stessa di Brahma nel suo perfetto splendore, ed è l’Aspetto Femminile della Divinità.

Comprendere come la “modalità femminile” di Dio coesista con quella che diciamo “virile” (in senso assoluto e per noi metafisico) , e come essi siano insieme aspetti del Brahma ed anche Persone, contemporaneamente identiche e distinte, è il nostro compito eterno.

Quel che oggi sappiamo è comunque un buon principio, che trascende assai significativamente la media cultura teologica o laica del nostro stato comune. Ma, ovviamente, solo l’allievo ed il viandante del Sentiero possono darsi certe ideazioni, e per Grazia di Dio.

Le idee sono affidate a chi le cerca con l’amore: qui la ragione fine a sé stessa, l’intellettualismo che si discrimina inutilmente non servono. Non approdano che al dubbio e all’astrazione, senza cambiare nulla.

Sono Idee d’amore, dateci perché possiamo trasmetterle a chi sappia ascoltarle.Nulla è nostro in senso assoluto, perché tutto appartiene a Dio, ed è di Dio

perché, se è esatto, “è” Dio.Ma qui appare l’abisso che ci separa da molte zone della Manifestazione, che

confondono l’Essenza ideante , reale e immanente, con la coscienza emanata: la quale deve essere coerente con quell’essenza, ma che può tralignare.

Nell’essenza noi siamo il Padre, siamo il Maestro ed Egli è noi: questo è il senso del mantra induista: Tu/io.

Se tuttavia la nostra essenza “è Dio”, la nostra coscienza personalizzata si

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distingue da Dio per Sua stessa volontà. La nostra coscienza è la nostra identità, che si determina nel piano generale come entità complessa e completa, interiore e fisica.

Codesta Entità (Uomo e Donna) è “Immagine” di Dio in Dio, e precisamente nel suo Cit. Naturalmente il Cit di Brahma è anche (per Lui) il Sat, ed entrambi s’unificano misticamente e realmente nell’ineffabile Ananda: L’Immagine dunque non è reale “in sé” (come se fosse staccata dal Cit) ma proprio perché essa è un aspetto del Cit. E’ reale perché è in Dio, perché esprime l’eterna Volontà di Dio.

In effetti l’Uomo e la Donna non esistono avulsi dal Padre che nella loro illusione.

Tuttavia, l’illusione incoerente con la Realtà in cui appare, La ferisce. Questo è il vero significato della Croce di Cristo: egli tiene in Sé orrende piaghe per non distruggere l’Immagine di Sé che è l’Adam, da Lui amato con infinito amore.

Cristo non ha bisogno dell’Adam: egli è perfettamente armonico, perché è la Misericordia di Kether, è Kether nella sua bontà. Se regge l’Adam, è per solo amore, e questo va compreso: l’amore è la ragione profonda della nostra esistenza, e la base reale della vita.

Alla lunga, senza amore si muore.Queste parole del Maestro sono date insieme agli allievi e ad ampie zone

d’autocoscienza, volenti o nolenti in ascolto.Nessuna di loro può esimersi dall’udire questi concetti e, udendole, dal porsi

gravi quesiti.E’ un valido risultato. Certamente nelle sfere di Yesod si verificano tracolli,

disperazioni improvvise e incontrollabili paure. Esse s’influenzano reciprocamente, e la loro solitudine individuale le rende fragili e vulnerabili: C’è sempre, fra di loro, chi trama perché ogni allievo diventi debole, o almeno appaia falso ed inaffidabile, e perché gli allievi stessi credano che tutte le entità di Yesod siano identiche, tutte nemiche irriducibili.

Le cose tuttavia alla lunga si svelano, e le entità femminili di Yesod devono comprendere che gran parte del loro dolore non proviene da noi o dalle nostre ricerche, ma dal loro stesso ambito esistenziale, da “sorelle” che sono nemiche di Dio e loro aguzzine. Non troppe, forse: ma dotate di un potere nefasto , del quale si sono appropriate per l’incoerenza e l’insufficienza interiore delle vittime, che sarebbero state altrimenti ben più forti, e ben più valide a governare i campi.

Il metodo più insidioso che si possa trovare è fondato sulla menzogna e sulla calunnia, che rende nemici i potenziali amici con la frode e l’inganno. E Cristo, in Gesù ed in Maria, insegna che non si deve odiare il nemico, ma piuttosto cercare di renderlo meno ostico, e possibilmente amico.

Nessuno deve infierire su Caino: è detto a lettere di fuoco.Nessuno giudichi, o perseguiti, il vecchio nemico: piuttosto, in unità col Padre,

cerchi di cambiarlo. E di salvarlo in Lui.

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UNDICESIMA DISPENSA

“Ora la disciplina dello Yoga”

I Sutra di Patanjali indicano la via dell’integrazione del Relativo con l’Assoluto, e cioè la via dell’appercezione dell’Assolutezza onnicomprensiva che è la mistica Realtà.

L’unità qui è sottintesa, perché l’Assoluto (Brahman) non ammette "Secondo” sotto il profilo dell’Essere, e questo è lo Yoga A-Dvaita. Tuttavia la metodologia in esame, in sé perfetta, si fonda sul concetto che solo il Non-Duale sia reale, e non investiga oltre.

Ma il Non-Duale, che è Vero e Santo oltre ogni possibile conoscenza, contiene il Duale, così come lo Zero implica l’Uno, e l’Uno si specifica nel Due e in tutta la serie infinita dei numeri.

Se si è nel Duale, lo si è necessariamente come specificazione dell’assoluto in Se Stesso, e questa è la condizione naturale e necessaria del Mondo creato.

Poiché è espressione, “espansione” dell’Essenza di Brahman, Brahma è reale, ed è il fondamento eterno del Duale.

Brahma è cioè il Brahman che si rivolge a Sé, e “vede” in Sé il Duale così come Lui lo concepisce.

Per il Brahman “vedere”, “pensare” ed “essere” sono identità. Ogni duale è qui Brahma, ma è anche nell’essenza Brahman. Possiede quindi un infinito corso di spiegamento delle proprie virtualità, e questo fattore costituisce la base della Vita eterna.

Brahma “sa” ed “è” tutte le infinite modificazioni della sua Mente (Cit), e quindi delle infinite creature che in Sé Egli determina. E tuttavia Brahma delega al Duale (qui soprattutto inteso come Sua epifania, Interità creata) il compito di rivelarsi a Lui con le proprie scelte personali. Le uniche e progressive funzioni che separano - e uniscono - le entità del Duale dal Non-Duale in cui si specificano.

Conseguentemente il punto di coincidenza fra Non-Duale e Duale è la scelta, naturalmente in quanto coerente con l’Atto di delega della libertà d’autodeterminarsi nel Continuum divino.

Il Non-Duale ed il Duale allora non differiscono nell’essenza, ma differiscono infinitamente nella coscienza del Duale; ed anche in quella del Non-Duale quando Essa si discrimina “a Sé in Sé” quale differenziazione nella Realtà principiale, la sola vera in assoluto.

Così la verità del Duale riposa nella Volontà del Non-Duale: di conseguenza essa è “irreale” solo in riferimento al Non-Duale considerato sotto il profilo dell’assolutezza, ed è “reale” nel Non-Duale puntualizzatosi “Creatore” in un campo d’autodeterminazione, costituito da “proiezioni/persona” delle sue infinite modalità viventi (Idee del Cit) ed affidato a queste “proiezioni/persona” per il suo dispiegamento.

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Il Non-Duale è Vita: perfetta nel Sé (Non-Duale, Puro Essere) ed imperfetta – ma solo rispetto a Questi – quando Egli appare come Momento Causale di un piano dinamico, il quale è Immagine delle Realtà che lo trascendono e da cui trae esistenza.

Così la perfezione del Duale non è l’essere assoluto, ma l’Essere che si manifesta come dinamicità Conseguentemente è perfezione relativa, tanto quanto è relativo il Duale. Quest’ideazione implica che ogni istante del processo è un atto di scelta (irrinunciabile perché d’origine divina), la cui concreta realtà è espressa dall’istantanea coerenza dell’ente creato con il suo Creatore. Nel “piccolo” e nel “grande”.

Se la coerenza è – relativamente all’istante considerato – adeguata, e quindi sufficientemente corrispondente alla VISIONE del Non-Duale in quanto Brahma, la scelta della creatura è quello che il Padre vuole, ed è conseguentemente reale e compiuta. Altrimenti determina una frattura, è arbitrio irreale voluto da colui che è comunque “aspetto/immagine” del Duale nel Non-Duale. E’ la vera causa della “caduta” e del conseguente dolore.

La scelta relativa, in quanto tale, è imperfetta. Essa, infatti, contiene un infinito potenziale che non è affiorato all’autocoscienza e – nel caso d’entità soggiacenti ad un processo involutivo – un’indeterminata torsione del piano manifestante, una frattura nel tessuto reale che genera lo scompenso chiamato “karma”.

Il punto d’analisi che va considerato con la massima attenzione è questo: il Brahma ama la creatura, ama il Se stesso che ella in sostanza è, e che Egli specifica nel proprio Cit come dinamicità autocosciente, dotata di scelta vettoriale nell’infinito campo della Volontà causante. Il Cit infatti è anche Volontà.

Conseguentemente il Brahma sostiene con la propria essenza la scelta della creatura, reggendone il potenziale inespresso per valorizzarne l’attuale della coscienza.

Nel nostro caso il Brahma regge “anche” il negativo karmico che, se lasciato a se stesso, farebbe precipitare l’Emanazione nelle proprie discordanti ideazioni, e fino al totale annichilimento.

Ed allora è la MISERICORDIA del Padre che s’assume l’onere generato dalle creature, per liberarle dalla sofferenza del proprio stato di temporanea irrealtà e dal tremendo abisso che generano, e renderle così al loro vero cammino.

Insistiamo tuttavia su un fattore profondamente qualificante e troppo frainteso: il sostegno del Padre non contraddice alla sua Volontà, che delega al campo emanato il compito d’attualizzarsi liberamente e in un sentiero infinito. Ne deriva che l’intervento divino è subordinato (ed è decisione principiale del Brahma, inalterabile) allo stato interiore sella creatura, che sappia riconoscersi quale in effetti è, e quindi ritorni nella sua coscienza alla propria naturale esattezza.

Ritorni, come dice Gesù, nelle Case del Padre.Nell’attesa di questo specifico reintegro – che non annulla ma vivifica l’ente

emanato – il Padre regge e, reggendo, insegna. Con l’Amore, in primo luogo. Con l’esperienza che la creatura necessariamente compie dei propri stati; con la Giustizia

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se essa è restia al riconoscimento degli errori e, infine, con il Rigore qualora la figlia si dimostri ostica, violentemente opposta alla volontà divina.

Tuttavia Esperienza, giustizia e Rigore sono sempre finalizzati alla realizzazione dell’Idea principiale, e sono di conseguenza e sempre amore.

Brahman non è da nulla costretto a porsi come Brahma, a creare nella propria Coscienza un campo differenziato. Se lo fa, e sappiamo che lo fa perché esistiamo, è segno che egli vuole concedere una vita autonoma dalla sua stessa Vita a entità che possano riflettere nella loro coscienza la Realtà. Questo è l’insondabile, infinito ed inesplicabile amore del Padre, il quale genera nel senso più puntuale del termine un moto vettoriale d’eterno cammino nel suo stesso Cuore.

Queste considerazioni implicano che il Campo esistenziale, in tal guisa specificato, ha valore d’Idea brahmanica, e l’Idea è lo stesso Brahma nella sua essenza fondamentale, insieme trascendente ed immanente (qui è illuminante il concetto yogico d’identità del Reale e di Maya, la quale è insieme “reale” ed “irreale”).

In tal modo consideriamo “infinito” il valore di ogni creatura, e non importa se essa è “piccola” o “grande” nella propria limitata autocoscienza, se è libera o vincolata dal proprio karma.

Ogni ente creato è in questo e per questo portatore di un valore assoluto, che è la Volontà del Padre in cui e per cui esiste.

La differente funzionalità operativa delle modalità temporali del Duale non muta mai questa prospettiva: quelle generalizzanti e direzionanti sono identità con le altre, specificanti e più direzionate. Sono, insieme, Adam.

E tutte tendono al “limite” in cui l’infinita Unità e l’infinita Specificazione coincidono. Questo “Limite”, che è Brahma, è oltre, assolutamente oltre il Duale. E’ quindi un limite ad quem, teoretico e non teorico, per la Creatura: Reale ed insieme irreale per la sua meditazione.

La creatura dovrebbe interiorizzare quanto più può queste basi: esse sono il Cristo, in Gesù ed in Maria.

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DODICESIMA DISPENSA

I campi di contatto esistono a vari livelli, e quelli che più facilmente s’incontrano sono in genere fortemente involuti, nella globalità e nelle persone. Tuttavia, oltre un certo confine, si evidenzia la zona che potremo definire “rajasica” e non più “tamasica”, formata in altre parole da enti in fase di progressiva purificazione.

Questa è una zona sicura, perché le personalità che l’abitano hanno tutte superato nel proprio stato morale e fisico gli effetti deleteri del distacco da Dio; alcune individualità appartengono poi a sfere d’esistenza molto alte e belle, che si possono definire senza esitazioni come “realizzate” in ampia misura. E’ soprattutto a queste zone della Manifestazione che ci rivolgiamo, sia per mettere fine al “trentaduesimo sentiero” che per principiare quello seguente, direzionato da Yesod a Tiphereth.

Notiamo che l’itinerario qui prospettato è fortemente interiore e spirituale: può essere tanto il campo fenomenico, la sfera formale, quanto gli stati di coscienza, che evolvono verso la loro normalità nell’esperienza del Reale. L’ottimale sarebbe che i due momenti coincidessero, e cioè che Yesod si riconducesse a Tiphereth e lì potesse realizzarsi nel piano polare.

Il Glifo deve essere costantemente approfondito, ma è certo che non dobbiamo più rappresentarcelo nella sua peculiarità analitica senza che richiamiamo contemporaneamente quella sintetica. Allora le Sfere Sephirotiche non sono più zone fra loro separate e conflittuali, ma modalità di coscienze già in tutto o in parte unificate. Così i “sentieri” si concretizzano esattamente come itinerari logici e precisi per ogni operazione teurgica, o assai più semplicemente “umana”.

C’è, ad alto livello, la consonanza fra teurgia e operatività naturale nel proprio campo. Infatti, dovrebbe essere un atto veramente semplice quello che compie l’adepto interpretando con la sua libertà il disegno di Dio, ed attualizzandolo.

Abbiamo qualche idea in proposito. Possiamo quindi specificare che un adepto potrebbe variare le condizioni del suo piano esistenziale mediante atti apparentemente normali, o comuni, ma che tuttavia sanno esprimere nella più limpida semplicità un vero momento teurgico, direzionato come tale anche al veramente “grande”.

Il teurga che curi un campicello (come certi mistici dell’Oriente o, ma in misura minore, dell’Occidente) può agire – nei lineari, semplici gesti del seminare, togliere od aggiungere, curare piante e animaletti – in modo incisivo e potente, sul piano reale proprio o generale.

Dio non è “complicato”. Non richiede – come troppo si pensa – altari sontuosi, cerimonie lunghe, fastose e noiose, litanie interminabili di canti e preghiere.

Dio chiede la pura intenzione, e l’intuita direzione verso di Lui.E Lui è ogni cosa, in senso totale. E’ l’albero, il monte, l’animale; è la zolla e la

foresta; è l’amico, o la compagna ed il compagno più vicini, lo sposo e la sposa, a

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tutte le dimensioni dell’Essere.Lui è l’orizzonte ed i ciottoli del cammino.Di conseguenza, Lo si onora amando tutto, e sentendo in tutto la sua

Immanenza: e naturalmente questo è facile quando si è oltre il confine del dolore, l’atroce retaggio della volontà d’aggressione al Padre, in ogni cosa esistente.

Non Dio, ma un “Pleroma” offuscato e feroce condannò l’umanità di Malkuth all’abbandono di Eden, in troppo ampia schiera, e a vivere in un modo così poco “umano”. Dio perdona a chi si rivolge a Lui, perdona sempre. Ma per troppi chiedere pietà al Padre è motivo d’orrore, tanto si sono resi aridi e chiusi nelle loro istanze di potere.

Dio avrebbe perdonato a quella coppia biblica, rea d’aver travalicato il proprio stato reale. Le perfide insidie di enti inumani vanificarono la speranza d’essere compresi, d’essere redenti. E tolsero anche la certezza, un tempo luminosa, dell’immanenza di Dio.

Oggi parlare di Lui fa specie, come se farlo ci dimostrasse superstiziosi o sciocchi, retrogradi ed oscurati da antiche follie.

Oggi si parla di diritti, d’impegni sociali, d’umanitarismo, di lotte per la “giustizia”. E si distrugge tutto.

Dio c’è, ovunque.E’ nel libro che leggiamo, nelle parole che scriviamo, nei pensieri, nella carta e

nella penna. Dio è nel cuore e nella mente, che devono unificarsi perché momenti dell’unità divina.

Dio è nell’energia vitale, nel nostro spazio terrestre e nel cosmo infinito.Dio è Fuoco e Acqua, Aria e Terra. Ma è “oltre” gli elementi, oltre la

Manifestazione che pure vive e progredisce nel suo Cuore.Dio, semplicemente, è.

α ω α ω α ω α

Il problema della comprensione del mondo formale - che è il nostro stesso Universo - è difficile se non si hanno idee precise su quel momento di estrema empietà che ci è noto come “CADUTA”.

La Caduta nulla ha a che fare con un certo rifiuto dall’essere semplici modalità esecutive di un progetto altrui, forse necessario per raggiungere la libertà d’essere “persone”: come fu opinato da molti.

La Caduta non è neppure quell’atto di per sé poco eludibile, che sarebbe implicito nella necessità di “crescere”, magari commettendo errori anche di un certo peso, ma inevitabili praticamente e istruttivi. No.

La Caduta fu il tentativo di personalità intelligenti e molto fondamentali del Pleroma emanato, le quali vollero fare a meno del loro Creatore e cercarono così d’impossessarsi dell’Universo da Lui manifestato, uccidendone il Padre. E che

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vollero sostituire alla Sua ideazione la loro, per prendere possesso delle energie manifestanti e lucrarne a loro libito.

Fu, la Caduta, un tentato “deicidio” in Shiva e in Shakti, perpetrato senza posa allora come ora con tutti i mezzi possibili, e specificatamente con l’aggressione a coloro che vollero e vogliono essere “con” Dio.

Gli autori del primo abominio sono certamente fuori dal piano manifestato e nel più totale annientamento. La Tradizione, infatti, parla della Qelliphoth, che è l’ombra nefasta dell’Albero della Vita, Morte che muore.

Ma il seme malvagio si diffuse nei Mondi e nelle Sfere, e molti ne furono contaminati. Così i peggiori degli enti (gli Arconti demiurgici della meditazione gnostica) divennero i “maestri” di una parte della Manifestazione, che venne così defraudata del su vero retaggio: l’Eden di Dio.

Le entità di Yesod che ci attorniano sono le scorie di questo primo tentativo di deicidio, e – come tali – non sono mai uscite da quell’ideazione. Ideazione che Dio è “il nemico”, l’oppositore al loro potere, ma già impotente e vinto. Un avversario pertanto da perseguitare e distruggere in tutti coloro che lo seguono e lo amano, rendendosi cosi essi stessi “nemici”, ostacoli al progetto di riplasmare l’Interità secondo la mente limitatissima della donna/uomo cosmica, padrona di tutta la vita esistente. Donna/uomo senza cuore né amore perché priva di vero “Essere”; illusoria, e destinata in tal modo a sperimentare la propria illusione.

L’intenzione di queste zone oscurate permane identica. Confinare i “differenti” in un campo di dolore , nel quale possano essere resi inermi e suscettibili di completa strumentalizzazione (necessaria a causa del grave ed imprevisto calo dell’energia vitale nell’ambito demiurgico). E, all’occorrenza, annientarli.

Così noi siamo – adesso – alle prese con la prima Caduta, che si è protratta per eoni dando origine ai cicli esistenziali di nascita e morte, lontani da ogni volontà veramente divina.

Infatti, il nostro ciclo – fra i molti derivati – si contraddistingue per la brevità delle singole vite, e tuttavia anche per la capacità nonostante tutto in molti conservata di essere suscettibili di reintegro nel Segno di Dio.

La nostra zona desta conseguentemente desiderio e rabbia, ed è totalmente fraintesa. Qui esistono ancora rapporti d’amore fra gli uomini e le donne: rapporti certamente inesatti in troppi casi, ma comunque sovente assai sinceri, e non raramente ricchi di sentimento e di realtà. Per chi, da troppo tempo, ne è carente, questo fatto è sostanzialmente incomprensibile: così le entità vogliono penetrare nelle nostre menti, per chiarire quello che può essere compreso solo nei nostri cuori. Ne escono razionalizzazioni e delusioni cocenti, che aumentano il dissidio ed il distacco.

Ma tutto ciò deve, in un modo o nell’altro, finire.Occorre che i campi scissi dall’arbitrio si riuniscano, e la cosa è difficile. Le

entità di Yesod sono scese dal loro piano naturale, ma non sono certamente la vera “Qelliphoth”: nel profondo delle loro anime si cela ancora il disperato desiderio di un senso d’appartenenza a un mondo sicuro, più dolce e più vero del loro. C’è, sepolta, una desolata nostalgia dell’Altro, che non sanno ancora chiamare “Padre”.

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Pochi sono disposti a tendere veramente la mano a queste zone, e la cosa richiede comunque molta fatica, e perfino un certo tipo di coraggio. Non può essere tentata senza un vero Maestro, e si prolunga nel tempo della vita ben più di quanto si supponga e si speri: è cioè un atto di teurgia, tanto più difficoltoso quanto meno è solito nelle nostre tradizioni anche esoteriche. Ma, se è possibile farlo, va tentato, perché solo così Cristo può scendere dalla sua Croce e rendersi al suo Regno.

Occorre comprendere il dolore dei campi, e saperne provare compassione e amore. Questo è l’insegnamento difficile da essere ascoltato, e più ancora da essere seguito.

Nessuno, come chi è caduto, ha infatti tanto bisogno d’amore.

ψψψψψψψψψ

Forse un malato molto sofferente, ridotto alla più oscura disperazione, è un esempio illuminante dello stato appena accennato. Ma il malato alla fine muore, e la sua pena almeno temporaneamente cessa, nel maggior numero dei casi.

Per le entità involute essa rischia invece di trasformarsi in un tempo indefinito, che non è vita e non è neppure vera morte.

L’attuale situazione evidenzia due momenti: il primo consiste nel rifiuto integrale degli aspetti negativi di questi campi esistenziali, assai disgregati; rifiuto che può condurre in ultima analisi anche alla loro rescissione dal nostro vettore d’emancipazione. Il secondo momento invece è quello di un possibile recupero di quante, in un imprecisato futuro, si rendano permeabili all’amore di Dio, impetrandone la compassione ed il perdono.

Non tutte le zone della Manifestazione sono tuttavia inquinate: esistono e vivono Sfere d’esistenza nobili e serene, dove i Santi di tutte le ascesi, i pellegrini dello spirito, i buoni – i veri buoni! – trovano sicuro asilo e pienezza di vita.

Queste zone non sono accessibili che mediante una sincera purificazione, perché in esse si giunge solo quando, in libertà di coscienza e con ferma Fede, si sceglie Dio e la sua Idea d’Amore.

Emergono alcuni problemi, il più serio dei quali è ottenere che tutti i partecipanti al vettore esoterico possiedano eguale stato di partecipazione alle verità di Dio, e quindi paritetiche e concrete potenzialità d’emancipazione dal passato.

In termini più analitici, occorre che quanti seguono il Maestro atmico abbiano saputo recepire dati sufficienti ed oggettivamente precisi, vitalizzando in conseguenza le qualificazioni indispensabili per uscire dal piano demiurgico incombente, per loro e solo per loro certamente indebolito ma che purtroppo mantiene a lungo profonde radici nelle menti, consce ed inconsce.

E’ necessario saper raggiungere, poco a poco, la prima Porta, quella custodita dall’Arcangelo di Yesod, il Santo Gabriel.

Lì Yesod si rivela nella sua vera formulazione sintetico/analitica quando il “finto

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yesod” della Caduta si dissolve. Il nuovo sentiero conduce Malkuth e Yesod, in reciproca armonia, verso il Sole di Tiphereth, che è l’Atma del Glifo.

Nel Sole Centrale la femminile Yesod si realizza in Tiphereth, e l’unificazione polare – ai livelli compatibili con le personalità rinnovate – può essere vitalizzata. Lì e non altrove, perché occorre che il Maestro sia presente concretamente, come lo era nel “Principio”, e possa sostenere al limite iniziatico e non a quello del passato i Suoi figli.

L’incontro alla prima Porta è pertanto sufficiente a ristabilire l’accordo, i presupposti necessari per proseguire il cammino realizzativo, il quale trova il vero compimento rendendoci a Cristo nel Centro Atmico: vale a dire che l’energizzazione del Fattore Polare richiede l’acquisizione del “Sé”, ed il conseguente intuizionismo, che è intelligenza dell’Amore. Altrimenti si ricade nell’ambito della caduta, e cioè si travalica il limite delle capacità individuali per attaccamento egotico, travestito da emozioni e da desiderio fisico.

Emozioni e desiderio che non sono di per sé ingiusti, ma che devono necessariamente collocarsi in uno stato di vero amore, di empatia polare sostenuta dal Padre: o diventano fine a se stessi, rivelando l’inconsistenza della propria spiritualità. L’effetto è letale.

Poche parole sulla psicologia e l’interiorità delle entità di campo, quelle del primo contatto e del conseguente conflitto.

Queste persone non ragionano come noi siamo soliti fare: noi, infatti, ci occupiamo di molte cose, abbiamo interessi diversificati talvolta molto impegnativi, ed affetti profondi. Le entità astrali non sanno legarsi a nulla in modo consistente, non costruiscono, né vogliono costruire, rapporti disinteressati o comunque fondati sulla semplice empatia reciproca, non possono credere al disinteresse e al distacco dal potere, che è per loro il massimo strumento di sussistenza e di compenso. Inoltre la scarsa mobilità, l’energia carente e decrescente, l’inettitudine agli approfondimenti dei temi più determinanti nel progresso spirituale rendono queste sfere enormemente statiche sotto tutti i profili, prive di vera intelligenza delle proprie condizioni e di quelle che dovrebbero costituire la Realtà della vita. Questa è situazione di degrado, che conduce ad un più o meno veloce annientamento: infatti, la causante del Kali-Yuga è tutta qui.

Ovviamente quest’analisi concerne le personalità che, prime al contatto ma in genere ottusamente ostinate, non sanno rinunciare ai loro torvi poteri, nonostante i molti avvertimenti e gli esiti disastrosi. In tale caso, quanto all’inizio poteva essere più o meno agevolmente tollerato, e poi incamerato a prezzo di crescenti sacrifici, diventa insopportabile. Questo, che fraintendono o razionalizzano cupamente, è l’assurdo impatto con la Volontà di Dio, il Primo Amore che crea il Mondo dei Nomi e delle Forme.

Possiamo comunque individuare differenti livelli: alcune personalità non vogliono abbandonare a nessun prezzo i vecchi metodi e le più dure istanze che furono il loro passato, decadendo progressivamente in stati patologicamente aggressivi, e riducendosi ad un’esistenza bruta, che naturalmente non può mantenersi

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ad alcun prezzo.Altre si rassegnano a quello che considerano inevitabile, anche se non compreso

e temuto. Sperano che si mostri sopportabile – e sono abituate a subire – ma credono solo in un futuro astioso e difficile. Questa convinzione le rende prede d’oscure induzioni e di disperati tentativi di resistenza nei confronti di dio, che comportano sofferenze e inevitabili crisi d’identità e d’energia.

Altre, che hanno una consapevolezza almeno approssimativa del loro stato, ne sono allarmate. Ma non hanno fede in un Dio che possa aiutarle, e le loro idee sull’Amore sono insufficienti. Così si rendono incredule di fronte alle indicazioni che pongono il Padre (Brahma, Kether, Rha e tutti i Nomi divini di un’identica Realtà) al centro di ogni cosa esistente e che affermano, pur nell’infinita discriminazione dell’Universo, l’unità dell’Essere.

Per finire, possiamo sperare su un numero estremamente ridotto di persone che si vogliono rendere a una diversa condizione di vita, e pensano che questa possa essere anche opera di un Dio sconosciuto, ma compassionevole e mite. I loro stati interiori sono mutevoli, ma resta una certa coerenza di fondo pur attraverso crisi e tentennamenti. Poiché nell’intimo delle coscienze invocano la misericordia divina, esse possono uscire dal loro passato, e ritornare alla realtà di Tiphereth. La loro importanza sarebbe immensa, qualora si rendessero al Padre: costituirebbero infatti la speranza per le altre, nel medio o lungo tempo, perché il Padre avrebbe incontrato un “seme” di redenzione pur nell’oscurità di quelle zone, ed Egli non trascura la più piccola traccia che possa sostenere e redimere.

Difficile in genere è il bilancio anche per la nostra area abituale: “Molti i chiamati, e pochi gli eletti”: La parola evangelica non lascia adito a dubbi, e i pochi che scelgono la via del ritorno non avranno vita facile.

Una metafisica di rinascita non è, come troppo spesso si pensa anche sotto mentite spoglie, un itinerario intellettuale, ma di Fede; e la Fede è cosa rara, difficile da ottenersi. La fede esige un processo d’interiorizzazione che è principialmente concettuale, ma comunque sempre fondato su una testimonianza interiore: Dante incontra Virgilio nella “selva oscura”, e Virgilio può simboleggiare la ragione degli uomini, la conoscenza filosofica ad un primo approccio. Però l’atto filiale con cui il Poeta nuovo si affida all’antico non è semplice bisogno di protezione e di sostegno. E’, anche, qualcosa di più .E’ voler uscire dal passato, a costo d’affrontare un difficile cammino di introspezione e di riconoscimento, ed allora è il “principio” della Fede.

La Fede è Amore, è intelligenza intuitiva dell’Amore. E’ anche amore offerto in modo fermo e coerente al Dio dell’Amore.

A “Dio in Cristo”, e cioè a Dio nel suo Atto di sostegno, di misericordia e di sacrificio. A Dio in Malkuth, in Hod, in Netzach e in Yesod, dove tutte le Sephirah femminili (in qualche scarna misura anche maschili) si condensano; poi in Geburah e Chesed, perché tutto ritorni al Centro, all’Adam che è Uomo e Donna accanto al Padre, nel nuovo Eden.

Ma in ché consiste la prima Sephirah che incontriamo nel sentiero? Cosa è, meno approssimativamente. Yesod?

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Il discorso è alto e molto, molto difficile.Yesod è, per ora, il punto di confluenza di un certo ambito, che è intellettuale ed

istintuale, a livello basso; che è rigoroso e non giusto, statico e flaccido e non mite.Una Sephirah priva di “cuore”, dunque; un mondo lunare che non sa, come la

nostra Luna fa, riflettere il suo Sole.Una Luna Nera: ecco l’immagine più attenta che possiamo darci,

simbolicamente, di questa Yesod. Yesod di Dio è invece la sintesi del campo femminile, puro e dolce nella sua

perfetta bellezza. E’ la Donna, che l’ente ideativo di sintesi deve naturalmente incontrare, per ridarle la sua stessa centralità. Centralità che noi chiamiamo propriamente Tiphereth, e con Malkuth (qui inteso nell’aspetto di base sintetica del Glifo, essenzialmente virile) quale punto di riferimento empatico per ogni successiva analisi e formalizzazione, in cui s’estrinseca la Potenza della Femminilità.

In quest’ipotesi (che è a nostro avviso una delle fondamentali interpretazioni del Glifo) il Centro è anche la Periferia, così come l’atomo e nucleo di protoni (ed altre cose) e orbite veloci d’elettroni, gravitanti attorno al loro centro in perpetua dinamicità. E, rileviamo, l’atomo “è” unità di protoni ed elettroni, se non si vuol generare, scindendoli, un tragico flusso d’energie mortali.

Yesod, la femminile Yesod, è certo immediatamente la configurazione simbolica del nostro dolore, ma è anche la Porta che ne conduce “fuori”, che lo dissolve ripristinando il giusto, antico rapporto fra uomo e donna, e fra entrambi e tutto l’Universo. Infatti, nel recupero dell’ideazione polare ci si mette nell’esatta situazione di fronte a Dio, e “con” Dio.

Come tanti mistici e poeti (ricordiamo qui i rappresentanti dello Stil Novo, ma non sono certo i soli: basti pensare a fra Jacopone da Todi o a Tagore) hanno compreso, la Via della rinascita è Femminile. E’ la Donna, o meglio la Femminilità reale, che consente all’Uomo, che è principio d’intuizionismo sintetico dell’Amore, di rendersi davvero consapevole di sé e quindi attivo, capace di assolvere pienamente alla sua primaria funzione.

E qui indichiamo la verità della Donna, che la rende maestra dell’amore e principio dinamico nella Manifestazione, capace d’intuire le particolari, concrete potenzialità che possono e devono essere vivificate.

Questa realizzazione, che attiene al livello formale specificatamente alla Femminilità, richiede - sottolineiamolo ancora una volta - la contemporanea presenza attivante della Virilità, o l’analisi apparirà arbitraria ed astratta. Analisi di altre precedenti analisi, in una catena senza fine d’arbitrarie estrapolazioni e apparenti sintesi, senza alcun vero riferimento alla nostra realtà.

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Un Maestro ha un compito preciso, che è insieme d’informazione e di

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realizzazione delle potenzialità, via via emergenti nel suo campo di riferimento, degli enti che si sono resi allievi: di entrambi i generi e sovente appartenenti a differenti sfere dimensionali.

Nella nostra ipotesi, Egli è indotto a protrarre a lungo la presenza d’entità anche se a livelli contraddittori, perché ciò è assai utile ai fini della dovuta esperienza dei propri veri stati, sia presenti che derivati dal passato, i quali hanno determinato la situazione attuale del campo comune, nei particolari e nello svolgimento.

Quando si principia un tragitto esoterico, il campo femminile (entità specificatamente elementali, ossia eteriche, e non) deve essere attentamente sorretto in Dio e “con” Dio. Non, come fu in antichi o recentissimi tempi, con l’intellettualismo e i dogmi anche esoterici.

Tuttavia, oggi come allora, il campo femminile, “normale e sottile”, tende ad assalire l’amore del Padre con i propri poteri, e ben più di quanto voglia dirsi: e certamente con più sottile opposizione di quanta ne riservi al proprio partner naturale.

Così l’obbiezione delle Femminilità di Yesod, d’essere costrette a rifiutare l’uomo a causa della sua insopportabile insufficienza, si rende insostenibile e arbitraria, a qualsiasi livello la vogliano porre. L’esoterista del Sentiero Mediano è uomo giusto e buono, e negarlo diventa un’infamia.

Le ragioni del metodo adottato dal Maestro sono queste, ed altre ancora, prima fra tutte la necessita di stabilire se un qualche numero, anche piccolo, di personalità del campo globale (specialmente astrale, date le loro peculiarità operative) sia in condizioni di liberarsi dalle scorie del passato, che sono diventate karma nel particolare e nel globale. Occorre che l’uomo comprenda la propria essenzialità, e che in conseguenza di questo fatto le donne ne accolgano serenamente l’apporto ed il sostegno che egli deve essere in grado di conferire.

Senza l’ente virile, infatti, la Femminilità ha scarse e precarie capacità di liberarsi dai vincoli, per lo più incogniti, che l’angustia; così come la Virilità difficilmente si realizza pienamente in assenza della Donna.

Tuttavia i campi, sottili o di normale esperienza, devono essere necessariamente decantati dalla presenza delle persone più inadatte, o più involute, pena il regresso generale ad un peggiore stato. Quest’esito è tuttavia difficile da conseguirsi, e costituisce appunto il duro percorso del Trentaduesimo Sentiero.

Che la rescissione del campo, particolarmente eterico (dove il problema è più grave ed impellente), sia definitiva o transitoria, questo è problema che appartiene solo alla Misericordia divina (il Cristo) e che gli allievi non possono porsi: i discepoli hanno il compito di sapersi affidare al Padre, in Gesù ed in Maria nel simbolismo teurgico che ci è più noto.

La purificazione del campo apre però molte vie, e crediamo che la permanenza di alcune Donne del passato sia la garanzia che tutto non è perduto per tutte. Infatti, come fu sempre detto, se pochi s’assumono il peso di molti, Dio sarà con tutti. Il limite della Misericordia divina è solo il nostro stato.

Poche, o pochissime, entità della Sfera di Yesod e auspicabile che possano restare; e che – restando – si rendano “tramite” alle altre, a loro molto inferiori, in un

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qualche momento futuro (imprevedibile perché deve essere totalmente affidato alla sapienza del maestro): Questo evento si renderebbe impossibile se tutto il piano sottile d’immediato contatto dovesse essere di necessità ricusato.

La cancellazione di una sfera sephirotica è un fatto estremamente grave, perché implica pesante sofferenza presente e ancor più futura, e una ferita alla Manifestazione. E’ tuttavia un atto necessario ad un certo limite, se si vuol guarire un antico morbo altrimenti incurabile, anche se solo in una zona dell’Interità.

Questa elisione non può essere inoltre un evento arbitrario, perché richiede una motivazione esaustiva, oltre ogni possibile incertezza. Per questo è un atto non dell’Uomo o della Donna, ma di Dio, che richiede l’intervento della Sua energia: Dio è il solo a sapere il vero stato, potenziale ed attuale, delle sue creature.

Su queste premesse, rileviamo che la scissione di un campo accade quando egli non mostra più alcuna capacità di rinascita nel tempo che il Maestro gli a concesso, e che è il tempo esatto. Inoltre, ogni elisione è finalizzata non al “castigo” o alla “remunerazione” del male fatto (il Cristo non può essere offeso, ma solo ferito dagli arbitri dei suoi figli: e perdona tanto per un solo atto di pentimento..) ma piuttosto al recupero – in un futuro indeterminato – di coloro che sono attualmente incompatibili con la Volontà di Dio.

Distruggere una persona, riducendola ad uno stato potenziale, è infatti cosa tremenda, che non concede in genere più di un lungo periodo di nullità coscienziale che, non potendo essere cancellato il senso dell’esistenza, si risolve in muto dolore. La virtualità della vita appartiene a dio e non alla Creatura: il Principio cosciente che vi cada è in una condizione d’estremo conflitto con la Vita stessa, e quindi non incontra null’altro che l’esperienza della sua completa dissipazione: non è morto, ma non vive.

Il Maestro, se può, evita questa “esistenza” che è oltre la Manifestazione. Egli può costringere le entità involute ad un ambito ristretto, corrispondente al Bene che si sono negate, dove non trovano né spazio di manovra né gratificazione e dove possono solo coltivare una remota speranza.

Da quel “luogo” (luogo della loro mente, non del globale) possono in teoria scendere più in “basso”, e qui ricordiamo l’esatta simbologia espressa dall’antica sapienza, nel concetto egizio del Duat o nel Bardo tibetano. E’ difficile che si degradino fino a quel punto, perché la sofferenza e l’impotenza sono, alla lunga, maestri efficaci. E’ difficile ma non impossibile: la Croce di Cristo è di ardua comprensione.

Un giorno risaliranno alla vita vera: ma “quando” e “come” non ci appartengono. Sono di Dio.

Daremo, per finire, qualche sommaria indicazione sulla consistenza di queste zone sottili, che tanto interferiscono con il nostro mondo. Sono strutture formate da poche entità/guida ognuna, che utilizzano molte altre persone ridotte al rango più o meno completamente esecutivo, che coincide fin troppo con l’abbrutimento: sono nella massima parte entità femminili (gli uomini, qui, sono scarsi: o furono troppo degradati per ottenere un piano ancora formale, e quindi restano attualmente lontani,

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o si sono effeminati ed involuti a tal punto da costituire un rischio particolare per tutti, noi compresi. Ma sono comunque pochi, che gravitano praticamente su ogni persona del nostro ambito in modo più o meno nascosto, ed in particolare sugli uomini: In quest’ultimo caso le sfere possono anche espandersi ed assumere valenze numeriche rilevanti, con peso e danno per coloro che vi sono sottoposti, anche se non direttamente coinvolti in un tragitto esoterico.

In certi casi il Maestro può consentire che gli spazi lasciati liberi da entità ricusate vengano occupate da altre, non meno temibili e aggressive: dipende molto dalle condizioni reali del gruppo esoterico (e di coloro che vi sono a qualche titolo partecipi) che possono permettere un allargamento del raggio d’azione soterico e la conseguente eliminazione di effetti karmici, altrimenti ben più pericolosi.

In un ambito iniziatico la situazione dovrebbe modificarsi contemporaneamente per tutti i componenti attivi, e possibilmente in meglio. S’incontrano comunque, anche nella nostra zona, strane, pesanti ed incomprese difficoltà, che trovano origine sempre nelle condizioni sostanziali degli allievi, e dei rapporti che questi riescono a intrattenere reciprocamente. Un evento è sempre simbologia di uno stato, e le difficoltà dovrebbero ammonire e condurre a revisioni veloci, il ché purtroppo accade di rado.

La libertà dell’autodeterminazione, qui come altrove, è sempre completamente rispettata, ma l’aiuto è necessario e concesso ogni qualvolta ve ne sia la possibilità.

In un contesto teso e inquinato come il nostro attuale, alle soglie di un Kali-Yuga che può assumere caratterizzazioni alquanto generalizzate, anche il più piccolo sostegno ha dunque un valore. Talvolta, un grande e simbolico valore.

29-03-2007

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