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Andrea Giovanni Vittorio da Internet alle immagini le fonti della storia contemporanea Editori Laterza

Giardina-Sabbatucci-Vidotto

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Storia per i licei

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Andrea

Giovanni

Vittorio

da Internet alle immaginile fonti della storia contemporanea

Editori LaterzaEditori Laterza

Nel 2014, per la scuola, il nuovo

Manuale di storiadi Giardina, Sabbatucci, Vidotto

� Un nuovo profilo di storia europea, dal Medioevo a oggi,in una visione globale

� Una nuova impostazione degli approfondimenti storiografici

� Un progetto di didattica digitale solido e innovativo

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Da dove si inizia?

«Da Internet» risponderebbe già un bambino delle elemen-tari e «da Internet» ripeterebbe uno studente universitario.Anche lo studioso, se non sa dove mettere le mani, comince-rebbe con un giro in Rete.

Internet si dimostra una miniera ricchissima, inesauribile equasi inesplorabile, in grado di proporre una quantità enorme dimateriali (spesso del tutto incongrui) tra i quali, però, bisognaimparare a muoversi acquisendo la competenza necessaria perscegliere in base alla qualità, alla attendibilità e in funzione deipropri obiettivi di ricerca.

Inoltre sappiamo che, a una distanza di poche ore, per nondire di mesi o di anni, le risposte possono essere molto diverseper il continuo aggiornamento dei siti e della Rete.

Ma prima ancora di andare su Internet bisogna pur averequalcosa da cercare. Possono bastare un quesito banale, ancheuna semplice curiosità, non ancora formulati come un problemadi ricerca. Si parte sempre da una domanda, dal bisogno di sa-pere, di capire. In qualche caso, più semplicemente, per assol-vere un compito obbligato, per rispondere a un impegno distudio: costruire una bibliografia, preparare una tesina, dareavvio alla propria tesi di laurea.

Ecco due temi di ricerca, svolti nel novembre 2013, a mo’ diesempio.

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Il massacro delle Fosse Ardeatine

Nelle ricorrenti commemorazioni dell’eccidio vengono rife-rite sui giornali, nei servizi radiofonici e televisivi cifre variabilirelative ai morti: 320, 330, 335 (difformità riscontrabili taloraanche su testi di storia). Se i tedeschi uccisi nell’attentato di viaRasella del 23 marzo 1944 erano stati 32 e per la rappresagliaera prevista una proporzione di 10 a 1, cos’era successo?

Per rispondere alla domanda, in Rete possiamo consultare ilcatalogo online (http://opac.sbn.it/opacsbn/opac/iccu/base.jsp)dell’Istituto centrale per il catalogo unico (ICCU). Una volta en-trati nel sito OPAC SBN, nel campo “titolo” (ma si può utiliz-zare anche il campo “soggetto”) del modulo di ricerca base, ossiadella schermata che ci è comparsa di fronte, digitiamo «FosseArdeatine». In pochi secondi OPAC SBN ci fornisce i titoli di 132documenti, libri e opuscoli.

Uno dei primi libri citati, un testo del 1945 di Attilio Ascarelli(il medico incaricato delle autopsie), ricorre 12 volte; il volumedi Robert Katz, Morte a Roma. Il massacro delle Fosse Ardeatine(1967), compare 9 volte, mentre tra le opere più recenti è regi-strato per 5 volte L’ordine è già stato eseguito. Roma, le FosseArdeatine, la memoria (1999) di Alessandro Portelli; infine, nel2002 uno storico tedesco, Joachim Staron, ha pubblicato FosseArdeatine und Marzabotto che contiene nel titolo anche altreparole interessanti come Resistenza e nationale Mythenbildung:non è indispensabile sapere il tedesco per capire che il libro af-fronta temi relativi ai miti nazionali.

OPAC SBN ci dice anche in quali biblioteche italiane, tra lenumerose che partecipano al sistema SBN, sono conservati que-sti volumi. Con l’avvertenza che in SBN non troviamo elencatetutte le opere delle due maggiori biblioteche nazionali italiane,

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quella di Roma e quella di Firenze, dal momento che i volumianteriori al 1980 sono in corso di immissione nel sistema.

Un controllo in altri grandi sistemi bibliotecari ci confermai risultati trovati, anche se la selezione è più circoscritta. Il ca-talogo online della Library of Congress di Washington, la mag-giore biblioteca al mondo, ci indica 14 titoli di cui 3 rinviano adAscarelli. L’UCLA Library Catalog, catalogo online della Univer-sity of California (Los Angeles), ci indica il volume di Ascarelli,quello di Staron e segnala, sorprendentemente, anche la Sim-phony no. 9 del musicista americano William Schumann (1910-1992) intitolata Le Fosse Ardeatine (1968). Il sistemabibliotecario della Baviera (Bayerische Staatsbibliothek) regi-stra 53 titoli, tra i quali Attentato e rappresaglia. Il PCI e viaRasella (1999) di Alberto ed Elisa Benzoni, “sfuggito” invece alnostro OPAC SBN, un libro che ridiscute le scelte politiche e leopportunità dell’attentato dei partigiani comunisti.

Si tratta, per OPAC SBN, di un’omissione dettata da ragioniin parte tecniche, perché il programma legge rigorosamente ilcampo titoli: in questo caso le Fosse Ardeatine non compaiono,come sono del resto assenti dal titolo delle Stragi naziste in Ita-lia (1997) di Lutz Klinkhammer, che ricostruisce minutamentel’episodio.

Abbiamo quindi almeno tre o quattro titoli fortemente indi-ziati tra quelli in grado di rispondere alla domanda iniziale: unproblema facilmente risolvibile cercandoli in biblioteca o anchesemplicemente sfogliando i libri di Katz e Portelli in libreria.

Un’altra strada percorribile in Rete è quella di inserire «FosseArdeatine» direttamente nel campo di ricerca di Google.

Uno dei siti trovati dal motore di ricerca, quello dell’ANFIM(Associazione nazionale famiglie italiane martiri caduti per lalibertà della patria), ricostruisce così la vicenda.

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I tedeschi uccisi dall’attentato da 32 erano divenuti 33 per lamorte successiva di uno dei feriti, e il maggiore delle SS HerbertKappler, al quale era stata affidata la rappresaglia, aveva aggiuntoaltre dieci persone. Ma, per un errore nella compilazione finaledelle liste, le vittime dell’eccidio alle Ardeatine erano divenute335. Dell’errore si era reso responsabile il capitano ErichPriebke, rintracciato molti anni dopo in Sud America, estradato,processato a Roma nel 1996, assolto prima e condannato poi al-l’ergastolo nel 1998.

Un altro sito segnalatoci da Google, quello del Circolo GianniBosio, segnala la presenza nel suo archivio (Fondo AlessandroPortelli) delle registrazioni delle interviste utilizzate da Portelli,uno dei maggiori specialisti italiani di storia orale, per il libroL’ordine è già stato eseguito.

Lo squadrismo fascista in Emilia

Se digitiamo «fascismo» su OPAC SBN saremo sommersi dal-l’apparire di un elenco di ben 8976 titoli (oltre 3000 fra i sog-getti), fra i quali un improbabile volumetto intitolato Croce:fondatore e sostenitore del fascismo? È chiaro che bisogna pro-vare a “raffinare” la ricerca. «Squadrismo» ci dà 98 titoli tra iquali troviamo il solo Alessandro Roveri, L’affermazione dellosquadrismo fascista nelle campagne ferraresi: 1921-1922, del1979, che potrebbe rispondere alle nostre esigenze. Questa voltai risultati non sono soddisfacenti.

Anche Google, interrogato direttamente, suggerisce siti cheoffrono una breve e non convincente ricostruzione del feno-meno.

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La ricerca in biblioteca

Riflettiamo ora su quale sarebbe stato il percorso tradizio-nale nell’era pre-Internet, percorso del resto praticabile e prati-cato anche oggi.

Immaginiamo di disporre almeno di un manuale di storiache comprenda il Novecento e partiamo di nuovo dalle FosseArdeatine. In questo caso potremo trovare sia una risposta det-tagliata sia una solo parziale. La questione delle 5 vittime in piùnon sempre è chiarita: manca per esempio nel manuale di Viola(2000, p. 229) e anche in quello di Sabbatucci e Vidotto del 2002(p. 195) ma è presente nelle edizioni successive (2004, p. 195).La spiegazione dell’accaduto avremmo potuto trovarla in unadelle opere generali sulla Resistenza, come quella di RobertoBattaglia (1964, p. 225) che la segnala come risultato di uno sba-glio, mentre non la commenta l’autorevole e affidabile Storiadell’Italia moderna di Giorgio Candeloro, che pure dedica ampiospazio all’episodio (1984, p. 271).

Potrebbe sembrare una questione marginale, ma non è così.In realtà fu uno dei punti centrali dei processi a Kappler (1947-1953) e fu l’imputazione principale dei processi a Priebke (1996-1998), momenti che hanno contribuito indirettamente ariconsiderare la “funzione” delle Fosse Ardeatine nella memorianazionale e collettiva.

Dati gli esiti modesti della ricerca in Rete sullo squadrismofascista in Emilia, è giocoforza percorrere fin dall’inizio la viatradizionale. Ogni manuale scolastico e/o universitario di storiatratterà un tema come quello del fascismo urbano e agrarioanche in maniera relativamente diffusa, compatibilmente conopere di questo tipo, ma fornirà un quadro d’insieme non esau-riente. L’endemica diffusione del fenomeno di cui ci parlano tutti

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i repertori e la sua ricca casistica impongono il passaggio a operedi diverso peso. Le bibliografie dei manuali, anche le più conte-nute, rinvieranno al classico volume di Tasca, pubblicato origi-nariamente in Francia nel 1938, Nascita e avvento del fascismo(2002), al Mussolini di De Felice (1966), alla Storia del Partitofascista di Emilio Gentile (1989).

Se non si dispone almeno di uno o due di questi testi, il pas-saggio in biblioteca è d’obbligo, non solo per richiedere i libri se-gnalati qui sopra, ma per consultare le bibliografie cheaccompagnano le opere generali relative alla storia d’Italia delperiodo. Una buona biblioteca ha sempre un settore di opere ge-nerali in consultazione divise per settori di studio: volumi che ilettori possono prendere direttamente dagli scaffali. Su scala mi-nore la stessa suddivisione è presente in qualsiasi biblioteca,anche piccola, comunale o di quartiere. Per il nostro lavoro le bi-blioteche specialistiche sono le preferite, ma orientarsi con si-curezza nella sala di consultazione di ogni biblioteca è unesercizio di apprendistato che ogni studente/studioso dovrebbecompiere, mescolando curiosità e passione per l’ignoto. Gli in-contri occasionali che si possono fare tra gli scaffali o tra leschede dei vecchi cataloghi cartacei, ma anche nelle ricerche inlinea (senza parlare degli altri che ogni luogo di studio favorisce)sono tra le esperienze intellettualmente più gratificanti che sipossano compiere.

Nel cercare e poi consultare le storie generali per una ricercabibliografica è buona regola partire dalle opere più recenti e sce-gliere al tempo stesso quelle che dispongono di una bibliografiaragionata, ossia non di un semplice elenco di titoli ma di untesto che argomenti le ragioni della scelta di alcuni libri per im-portanza, qualità e congruenza con l’argomento. Questo con-sente di evitare lunghi spogli di opere che si possono rivelare

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inutili. Lo storico si presenta in genere come studioso super par-tes, obiettivo, se non neutrale. È meglio diffidare, verificare equindi consultare più opere, più autori, costruendosi gradual-mente una propria lista di fiducia: dai confronti si impara di più,si raccolgono molti più spunti.

Nel nostro caso, il saggio di Giovanni Sabbatucci, dedicatoalla crisi dello Stato liberale, presenta tutti i requisiti necessariper completare questa fase di ricerca: segnala infatti nella bi-bliografia ragionata (Sabbatucci, 1999a, p. 166) i volumi di Ca-vandoli (1973), Corner (1974), Cardoza (1982), monografiededicate allo sviluppo del movimento fascista in varie zone del-l’Emilia. Una bibliografia orientativa sul fenomeno offre la voceSquadrismo del Dizionario del fascismo (2002-2003). Volendo,potremmo approfondire le nostre informazioni bibliografichesull’argomento consultando una bibliografia specializzata, la Bi-bliografia orientativa del fascismo diretta da Renzo De Felice(1991), oppure la Bibliografia storica nazionale, che registra (apartire dal 1939) tutto quello che in Italia si pubblica di argo-mento storico (non solo i libri ma anche gli articoli delle riviste):un repertorio di grande utilità suddiviso in periodi, aree tema-tiche e anche ambiti geografici. La Bibliografia storica nazio-nale è uno strumento reso in genere disponibile direttamentenei reparti di consultazione delle biblioteche, mentre uno spo-glio parziale delle pubblicazioni a partire dal 2000 è consultabilein linea. Un altro strumento molto utile ma di non facile repe-ribilità sono le Informazioni bibliografiche sulla storia d’Italianei secoli XIX e XX pubblicate dall’Istituto storico germanico diRoma, dotate di una classificazione delle opere per generi, pertemi e di un indice degli autori.

A questo punto sullo squadrismo fascista emiliano disponiamodi una documentazione sufficiente grazie alla quale muovere in

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due direzioni: fare il punto degli studi e delle ricerche su questofenomeno o, invece, avviare una nuova ricerca su un aspetto oun’area o un periodo trascurato, oppure provare a rileggere conparametri diversi la conflittualità e la mobilitazione politica o irituali di violenza di quegli anni. Nella prima ipotesi la docu-mentazione può rimanere solo bibliografica, mentre per la se-conda si dovranno attingere altri materiali documentari:relazioni di prefetti, giornali e pubblicistica dell’epoca, memo-rialistica di vario colore politico, documenti degli archivi localie dell’Archivio centrale dello Stato di Roma, tra cui quelli, for-mati da testi scritti e da altri reperti (fotografie, armi, bandiere,ecc.), conservati nel grande fondo della Mostra della rivoluzionefascista del 1932.

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Fonti primarie, fonti secondarie e altri criteri di classificazione

Queste considerazioni sulle procedure preliminari relative apercorsi di ricerca simulata consentono tuttavia di rifletteresulla principale distinzione che in genere viene operata nella do-cumentazione, quella tra fonti primarie e fonti secondarie. Èappena il caso di ricordare che con il termine “fonti” si desi-gnano, in questo caso, le testimonianze del passato. Semplifi-cando al massimo, primarie sono le fonti coeve al periodo che siintende studiare, secondarie quelle successive, costituite inprimo luogo dalle opere prodotte dagli storici sul periodo in que-stione. Fonti primarie sono i discorsi parlamentari e l’epistola-rio di Cavour, fonti secondarie le biografie di Rosario Romeo odi Denis Mack Smith dedicate allo statista piemontese. I discorsidi Robespierre alla Convenzione sono una fonte primaria per laCritica della rivoluzione francese di François Furet, mentre asua volta il volume di Furet diviene fonte primaria per una sto-ria delle interpretazioni della rivoluzione francese nel Nove-cento. Le fonti primarie costituiscono la base originaria di ognilavoro storico e si distinguono dalle secondarie in base a un cri-terio temporale, non di maggiore o minore rilevanza. Mentrebisogna prestare attenzione al carattere “relazionale” che le duetipologie di fonti assumono, dal momento che le secondarie

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possono trasformarsi in primarie in rapporto al ruolo svolto inrelazione al contesto di ricerca.

Questa distinzione teorico-pratica tra fonte (o documenta-zione) primaria e secondaria va tenuta sempre presente. Il ri-cercatore, lo studente e lo studioso devono imparare a distin guerlein virtù dei «marchi di storicità» (per usare la terminologia delfilosofo polacco Krzysztof Pomian, 2001) che, con le note e le in-dicazioni bibliografiche, gli autori appongono ai loro testi. Unesercizio mentale forzoso all’inizio, ma che diventa automaticocon il tempo. Una pratica da seguire non solo per i testi scritti,ma per ogni tipo di documentazione e nel corso del proprio la-voro di ricerca.

A titolo di esempio riportiamo un passo tratto da un saggionel quale, per un caso fortuito e in uno spazio ridotto, è agevoleindividuare e segnalare le due tipologie di fonti. L’argomentotrattato è relativo a un aspetto delle trasformazioni urbanisti-che e monumentali di Roma negli anni del fascismo (Vidotto,2002, pp. 407-8).

Per quanto solidamente ancorate alle disposizioni iniziali e alle decisioni ul-time di Mussolini, le trasformazioni di Roma non si inquadrarono mai in un pro-getto organico e rigoroso da realizzare in tappe successive. Gran parte delleprescrizioni del piano regolatore del 1931 vennero disattese, molte intenzionimonumentali abbandonate. L’incompiutezza e la frammentazione delle inizia-tive, soprattutto dal 1937 in poi, testimoniano anche di un’evoluzione del re-gime e del rafforzarsi di una poliarchia politica e simbolica, articolata e in unacerta misura conflittuale.

Il caso più significativo è quello relativo alla costruzione del palazzo del Lit-torio, sede centrale del Partito nazionale fascista (Pnf), destinato a sorgere suvia dell’Impero in un’area posta allo sbocco di via Cavour verso il Colosseo. Nel1934 fu tenuto il più grande concorso di architettura di quegli anni al quale par-teciparono tutti i maggiori architetti del tempo, fatta eccezione per i meno gio-

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vani, come Bazzani, Piacentini e Brasini, che facevano parte della giuria1. Tutti iprogetti dovevano prevedere, oltre al grande volume per gli uffici, uno spaziospecifico dedicato alla Mostra della rivoluzione fascista e al Sacrario dei caduti.Era stato deciso infatti che la Mostra, inaugurata il 28 ottobre 1932 a Palazzodelle Esposizioni e ancora aperta al momento del bando, divenisse permanentee trovasse la sua sede nel palazzo del partito. Nelle proposte più spettacolarigrande risalto era dato al nuovo balcone del duce proteso su via dell’Impero2.

La costruzione del palazzo del Littorio avrebbe inevitabilmente fatto concor-renza a palazzo Venezia. E forse è questa una delle ragioni, insieme all’esiguitàdegli spazi che non consentivano un’ampia spianata per le adunate, per cui fuindividuata un’altra area a viale Aventino. Del resto, prima ancora che venisse av-viato il concorso, un appunto conservato nella segreteria particolare del duce an-ticipava, nel febbraio del 1933, che «non si farà più in via dell’impero laprospettata costruzione per il Partito e la Mostra della Rivoluzione»3. Le decisioniimportanti continuava a prenderle il duce e anche i maggiori architetti facevanoanticamera per presentare le loro soluzioni a Mussolini. Soprattutto se si trat-tava di via dell’Impero. È infatti del novembre 1933 un profilo del lato sinistro divia dell’Impero disegnato da Piacentini con un accenno agli ingombri della molelittoria4.

1 G. Ciucci, Gli architetti e il fascismo. Architettura e città, 1922-1944, Torino 1989, p. 142.2 Cfr. Il nuovo stile littorio. I progetti per il Palazzo del Littorio e della Mostra della Rivoluzione

Fascista in via dell’Impero, Milano-Roma 1936.3 ACS, Segreteria particolare del duce, Carteggio ordinario, 137.307 (b. 379), appunto del

28.2.1933.4 ACS, Segreteria particolare del duce, Carteggio ordinario, 104.113/26, dove si vedano anche

le foto, «lasciate al duce in udienza» da Piacentini (probabilmente ai primi di dicembre del 1939), diun plastico per la sistemazione dell’accesso al Gianicolo da ponte Mazzini. Il profilo di via dell’Im-pero è riprodotto in V. Vannelli, Economia dell’architettura in Roma fascista. Il centro urbano, Roma1981, p. 255.

Nella prima nota è citata una fonte secondaria, un libro di sto-ria dell’architettura presentato senza indicazione di editore, se-condo i criteri editoriali vigenti a lungo nelle pubblicazioniscientifiche, ma ora in genere abbandonati. Nella seconda compare

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una fonte primaria di tipo documentario e figurativo che contieneil bando del concorso, le relazioni dei progettisti e le illustrazionidei loro progetti. Le due note successive richiamano uno dei fondiarchivistici più importanti per la storia del regime fascista, le cartedella Segreteria particolare del duce conservate nell’Archivio cen-trale dello Stato di Roma (abbreviato come d’uso in ACS), fonteprimaria per eccellenza. L’ultima indicazione bibliografica (Van-nelli) è una fonte secondaria richiamata perché pubblica una fonteprimaria, il disegno di Piacentini. In questi come in altri casi la da-tazione, o meglio la relazione temporale con la vicenda studiata,è uno degli elementi dirimenti per l’attribuzione delle fonti al-l’una o all’altra categoria.

Altri criteri, diversi da quello di una distinzione temporale,presiedono a un’ulteriore classificazione delle fonti. Criteri pre-valentemente esterni e descrittivi, utili ad allargare la consapevo-lezza dell’importanza di determinati documenti e dell’op portunitàdi conservarli e proteggerli dalla potenziale usura del tempo.Che il ventaglio della documentazione e dei materiali offerti allostudioso dell’età contemporanea sia particolarmente ampio èconsiderazione largamente acquisita. Già Federico Chabod, nelleLezioni di metodo storico che, nei suoi corsi universitari deglianni Cinquanta del Novecento, precedevano la trattazione deltema monografico di ogni anno, ricordava ad esempio che

le differenze sostanziali, di strutture e di decorazione, fra i teatridi corte del XVIII secolo e gli odierni teatri e sale cinematografi-che – che si cercano di rendere «funzionali» al massimo, pen-sando a «masse» di ascoltatori e non ad una ristretta cerchia dialti personaggi – dicono molto, anche allo storico, sulle differenzesociali ed umane, fra il Settecento e i nostri giorni. Pure il mobi-lio, l’arredamento della casa, il vestiario ecc. consentono allo sto-rico di cogliere sempre più a fondo il clima morale e sociale delle

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varie età. La radio, già solo con i suoi programmi e le sue scelte;il cinematografo, con i suoi temi e il modo di presentarli, in con-tinuo mutamento, costituiscono una «fonte» importantissima percomprendere la psicologia delle masse dei nostri tempi e il suo va-riare. E lo storico del secolo XX non potrà prescindere da questi«strumenti di ricerca», che gli potranno consentire talora di ca-pire un’età meglio di molti documenti (Chabod, 1969, pp. 57-58).

Al di là di alcune formulazioni desuete come «clima morale»e all’ancora incompiuta accettazione delle nuove fonti nel no-vero dei documenti, Chabod ammoniva i suoi studenti «a teneregli occhi bene aperti» perché da ogni cosa potevano derivare«spunti e motivi» per la ricostruzione del passato. Un incita-mento a muoversi su un terreno più ampio nella consapevolezzache per comprendere la nuova società delle masse occorressedotarsi di nuove strumentazioni.

Riluttava invece Chabod a riprendere la tradizionale classifi-cazione delle fonti di matrice tedesca (elaborata da Johann Gus -tav Droysen [1808-1884] in poi: avanzi, fonti, monumenti,tradizione) limitandosi a sottolineare la distinzione, entro le fontiscritte, tra fonti documentarie e fonti narrative. Rientrano nellefonti documentarie, gli atti dell’amministrazione pubblica, le sta-tistiche, i bilanci, ecc., ma anche gli atti prodotti dai privati, con-tabilità, contratti, testamenti, epistolari; le fonti narrative sonocostituite invece da «cronache, annali, storie, biografie, diari, me-morie» (Chabod, 1969, pp. 59-60). Siamo ovviamente sempre nelcampo delle fonti primarie e, rimanendo in questo settore, puòessere utile, anche per le considerazioni che si svilupperanno inseguito, provare ad elencare le varie tipologie di fonti.

Si può cominciare ricordando che le fonti scritte si possonodistinguere tra quelle a stampa e quelle manoscritte. Per fare unsolo esempio un discorso di Mussolini pubblicato sul «Popolo

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d’Italia» e la minuta di quell’articolo con le eventuali correzioni.Manoscritti sono per lo più i diari e gli epistolari. Per fonti ma-teriali intendiamo un campo sterminato che va dagli oggetti diuso comune alle monete, ai manufatti, fino ai segni del paesag-gio rurale e urbano, ai monumenti, ai resti delle attività econo-miche studiati dall’archeologia industriale. Nelle fonti oralirientrano le leggende e le tradizioni tramandate oralmente, cosìcome quello che il ricercatore contemporaneo raccoglie nonsolo dalla voce diretta dei testimoni del passato, ma anche dachi riferisce oggi sul presente e sul proprio immaginario di unpassato non vissuto in prima persona. Le fonti iconografiche sisono arricchite in modo straordinario dopo l’invenzione dellafotografia, mentre quelle sonore e audiovisive (radio, cinema,televisione, immagini digitali) rappresentano un ambito di stra-ordinario interesse non solo per i tesori che conservano, ma perla messa a punto di nuovi strumenti critici di indagine.

La diffusione planetaria delle nuove forme di comunicazionedigitale e telematica (Vitali, 2004) crea di continuo un numeropotenzialmente infinito di testimonianze, facilmente rintrac-ciabili (per la coincidenza delle tecniche di controllo con quelledi comunicazione) ma anche straordinariamente volatili ed ef-fimere. I supporti magnetici hanno un tasso di obsolescenza tec-nologica e di deperibilità informatica particolarmente elevato:una lettera cartacea continua a mantenere un potenziale di so-pravvivenza infinitamente più alto di una e-mail. Così il nostromondo, sommerso oggi da innumerevoli flussi comunicativi,potrebbe presentarsi in futuro come una civiltà muta di segni edi suoni.

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Lo storico e le sue fonti

Classificare le fonti secondo un ordine di rilevanze precosti-tuito può mettere in secondo piano il rapporto dello storico conla sua documentazione. Un rapporto ricco, articolato, segnatoda scoperte e frustrazioni, fedeltà e tradimenti. Monogamico tal-volta, ma più produttivo se adulterino e/o poligamico. Guai allostorico appiattito su un’unica fonte, si sente giustamente ripe-tere. Talora è il progetto, l’ipotesi di lavoro che costringe il ri-cercatore a cercare e, se è abile e fortunato, a trovare le sue fonti.Anche a “inventarle”, mettendo a punto una particolare chiavedi lettura in grado di far parlare una documentazione altrimentimuta. Altre volte fonti a lungo trascurate, praticamente invisi-bili, trovano il loro storico, o è il caso che fa incontrare il ricer-catore con la sua fonte.

Un grande medievista francese, Jacques Le Goff, legato allascuola delle «Annales», ha messo in guardia contro l’apparenteneutralità dei documenti sottolineando la dimensione intenzio-nale di ogni traccia del passato.

L’intervento dello storico che sceglie il documento, pescandolodal mucchio dei dati del passato, preferendolo ad altri, attribuen-dogli un valore di testimonianza che dipende almeno in parte dallapropria posizione nella società della sua epoca e dalla sua organiz-zazione mentale, si innesta su una condizione iniziale che è ancorameno «neutra» del suo intervento. Il documento non è innocuo. È

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il risultato prima di tutto di un montaggio, conscio o inconscio,della storia, dell’epoca, della società che lo hanno prodotto, maanche delle epoche successive durante le quali ha continuato a vi-vere, magari dimenticato, durante le quali ha continuato a esseremanipolato, magari dal silenzio. Il documento è una cosa che resta,che dura e la testimonianza, l’insegnamento [...] che reca devonoessere in primo luogo analizzati demistificandone il significato ap-parente. Il documento è monumento. È il risultato dello sforzocompiuto dalle società storiche per imporre al futuro – volenti onolenti – quella data immagine di se stesse. Al limite, non esisteun documento-verità. Ogni documento è menzogna. Sta allo sto-rico non fare l’ingenuo (Le Goff, 1986, p. 454).

All’inizio di ogni ricerca è buona regola seguire sempre al-cune procedure preliminari largamente codificate: lo spogliodella bibliografia, la verifica dello stato degli studi, l’esame dellefonti conosciute. Ma l’occhio è sempre diverso e il rapporto conle fonti sempre mutevole. Si può tornare in tanti sulla stessabusta d’archivio, sulla stessa cronaca di stampa, sulla stessa im-magine, sullo stesso documento, negli stessi luoghi e trovarvisempre stimoli e suggestioni diverse.

Per decenni si è guardato all’enorme ingombro biancheggiantedel Vittoriano prima di capire che si poteva cominciare a fare sto-ria di quei luoghi e di quei simboli (Tobia, 1991 e 1998; Brice,1998). Per decenni si sono ripetute formule esaltanti la Resistenzadi popolo e il secondo Risorgimento per scoprire infine che l’iden-tità nazionale italiana era rimasta profondamente divisa.

La novità del punto di vista non ci esime in ogni caso dal trat-tamento critico delle fonti: di cui andrà sempre accertata l’au-tenticità e misurata l’attendibilità (Corrao e Viola, 2002, p. 52).Un documento infatti può essere autentico, ma non attendibile.Pensiamo solo ai rapporti di polizia o alle relazioni degli infor-matori confidenziali del periodo fascista. Si tratta di documenti

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autentici ma attendibili solo se confrontati con molti altri ana-loghi: in un regime totalitario è probabilmente più affidabile unrapporto che segnala un malessere serpeggiante tra la popola-zione, rispetto a uno che riferisce invece di unanimi consensi. Lestesse osservazioni valgono nei confronti di una fonte molto uti-lizzata per la storia dell’Italia postunitaria, le relazioni dei pre-fetti sullo spirito pubblico delle rispettive province: una fonteche si apprezza per la continuità e la completezza, ma che perqualità e, appunto, attendibilità varia molto in rapporto alle ca-pacità, all’impegno e alle intenzioni politiche dei singoli prefettie dei loro funzionari.

Più complessa è la questione dei falsi, tra i quali si registranoalcuni casi esemplari. La falsità, comunque, non cancella l’effi-cacia e l’influenza dei documenti. I protocolli dei savi Anziani diSion, un testo presentato come il progetto di un dominio mon-diale dell’ebraismo internazionale elaborato durante il con-gresso sionista di Basilea del 1897, e diventato, soprattutto dopola prima guerra mondiale, un diffuso strumento di propagandaantisemita, fu smascherato nel 1921 come un falso apprestatodalla polizia zarista agli inizi del secolo. Non per questo i Pro-tocolli hanno visto ridursi la loro influenza, mantenendo il ruolodi “classico” dell’antisemitismo praticamente ovunque, dallaGermania nazista fino ai paesi arabi di oggi. Del resto chiunqueosservi i meccanismi della propaganda politica, anche sulla basedella propria personale esperienza di destinatario, può com-prendere agevolmente che l’efficacia di tale comunicazione nonsi misura su fattori di verità o di attendibilità, ma su altri nu-merosi elementi: dalla capacità dei messaggi di veicolare e ri-plasmare convinzioni o aspettative già diffuse alla autorevolezzae credibilità, anche solo presunta, degli artefici o protagonistidella comunicazione, all’intensità dell’iterazione e all’efficacia

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della dimensione simbolica, alle forme di coinvolgimento e iden-tificazione collettiva. La manipolazione e la falsificazione nonsono dunque rilevanti in sé: è il loro concreto operare sui com-portamenti collettivi a divenire oggetto di studio per gli storici.

Ogni operazione critica sulla documentazione va in ogni casopreceduta dalla verifica di quelle coordinate base che in inglesesono state sintetizzate nelle «cinque W», the five W’s: Who?When? What? Where? Why?. Pensate per i giornalisti, ma indi-spensabili anche per gli storici. Uno scrutinio preliminare mi-rato ad accertare il chi, quando, cosa, dove e perché. Ma sempre,e come minimo, il chi, il dove e il quando: per individuare gliattori in gioco, la localizzazione e la cronologia dei fatti in que-stione. Come noteremo, questi requisiti minimi della comu -nicazione storica e della presentazione delle fonti non vengonosempre rispettati.

I luoghi, i vincoli e le alleanze

La poliedrica varietà della documentazione per l’età con-temporanea ripropone la questione centrale delle forme e ga-ranzie di conservazione e tutela delle fonti. Un tema che in parteesula da questa trattazione, anche se l’accessibilità alla docu-mentazione costituisce la precondizione di ogni ricerca.

Come si è già detto, al di là di alcuni assaggi preliminari chesi possono compiere in Rete, e quindi direttamente da qualsiasicomputer, la ricerca ha i suoi luoghi di elezione nelle bibliote-che e negli archivi.

Per gli studi di storia italiana, accanto all’Archivio centraledello Stato, che ha sede a Roma e che raccoglie in primo luogole carte dell’amministrazione centrale dall’unità d’Italia in poi,

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tutte le province hanno il loro archivio di Stato. Indispensabilialla consultazione dei materiali archivistici sono le guide astampa (generali e particolari) e gli inventari dei singoli fondi.

Innumerevoli sono gli archivi di altre istituzioni pubbliche equelli privati di famiglie, associazioni, imprese. Per il Novecentosono di grande interesse, tra gli altri, l’Archivio del Museo sto-rico italiano della Guerra di Rovereto, che raccoglie documentirelativi alla prima guerra mondiale, e l’Archivio diaristico na-zionale di Pieve S. Stefano, dedicato agli scritti di “gente co-mune” (diari, epistolari, memorie autobiografiche).

L’accesso agli archivi di Stato è libero, ma non tutti i materialiarchiviati sono ammessi alla consultazione pubblica. Questi vin-coli sono stabiliti per legge. I documenti diventano accessibilidopo 40 anni, mentre per i materiali definiti «riservati» il vin-colo si estende a 50 anni e a 70 se i dati riguardano «lo stato disalute o la vita sessuale oppure rapporti riservati di tipo fami-liare». Particolari deroghe a questi termini possono essere ac-cordate su richiesta, dopo un’attenta procedura di valutazioneda parte delle direzioni degli archivi e di una commissione delministero dell’Interno. In questi casi gli atti sono sottoposti auna selezione (in gergo chiamata “scrematura”) e una parte delladocumentazione viene poi concessa in visione ai ricercatori.

Dopo l’introduzione in Italia delle normative per la tuteladella privacy (1996) è stato messo a punto da storici e archivi-sti, d’intesa con il Garante per la protezione dei dati personali,un Codice di deontologia e di buona condotta per i trattamentidi dati personali per scopi storici (2001) che impone all’utentedi astenersi «dal pubblicare dati analitici di interesse stretta-mente clinico e dal descrivere abitudini sessuali riferite ad unadeterminata persona identificata o identificabile»; inoltre «Lasfera privata delle persone note o che abbiano esercitato funzioni

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pubbliche deve essere rispettata nel caso in cui le notizie o i datinon abbiano alcun rilievo sul loro ruolo o sulla loro vita pub-blica» (La storia e la privacy, 2001, pp. 131 sgg.).

Queste norme definiscono i criteri di consultazione e di pub-blicazione dei documenti depositati negli archivi e disciplinanola «buona condotta» degli studiosi in ogni campo. Ma vi sonolarghi settori della documentazione pubblica che non sono maistati versati negli archivi e non si tratta solo di carte, poniamo,delle questure. Inoltre in Italia appare ancora insufficiente lanormativa relativa alle carte sottoposte a segreto di Stato e allaloro graduale accessibilità (Spagnolo, 2001). Si è determinatocosì il paradosso per cui gli storici traggono più materiali riser-vati relativi alla politica italiana dalle carte depositate a Wash -ington e via via declassificate (cioè sottratte ai vincoli disegretezza), o negli archivi ex sovietici di Mosca, resi largamentedisponibili dopo il crollo del comunismo e lo scioglimento del-l’URSS nel 1991.

La caduta di un regime, soprattutto se autoritario e/o totali-tario, è uno degli eventi di maggiore interesse per gli storici,non solo per il fatto in sé, ma perché in genere determina un’im-provvisa apertura di archivi altrimenti destinati a rimanere se-greti: si veda quanto è accaduto nella ex Germania comunista,dove le carte della polizia segreta (la Stasi), che controllava lavita privata di milioni di cittadini, sono divenute accessibili dopola caduta del Muro di Berlino. Del resto dopo la sconfitta dellaGermania, nel 1945, gli Alleati vincitori avevano trasferito gliarchivi del periodo nazista negli Stati Uniti, dove i fascicoli eranostati sistematicamente microfilmati per poterne conservarecopia dopo la restituzione ai tedeschi.

Tuttavia, anche nei casi di cambiamento di regime, superatele prime fasi di radicale, ma spesso incompleta epurazione, è il

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tasso di continuità dell’amministrazione pubblica a determinare,nei fatti, la maggiore o minore rapidità e completezza dei ver-samenti negli archivi pubblici.

L’insufficienza o la non accessibilità della documentazioneufficiale potrebbe essere compensata dalla memorialistica poli-tica, un genere che in Italia sembra avere minore diffusione chein altri paesi. La crisi della prima repubblica e il crollo dei suoipartiti storici, in seguito alle inchieste giudiziarie di “Mani pu-lite”, non hanno determinato alcun proliferare di memorie,quasi che i moltissimi uomini politici costretti a uscire improv-visamente di scena, o relegati in ruoli secondari, preferiscanoattendere in silenzio un eventuale rientro piuttosto che difen-dere pubblicamente il loro passato.

Questi silenzi contribuiscono, in qualche misura, a mante-nere irrisolti i molti “misteri d’Italia” (le stragi di piazza Fon-tana a Milano, dell’aereo Dc9 Itavia sopra Ustica, della stazionedi Bologna) o a sollevare diffuse perplessità nell’opinione pub-blica anche quando sono processualmente risolti e conclusi(omicidio del commissario Luigi Calabresi), alimentando unadiffusa dietrologia, fiorentissima soprattutto nel caso del rapi-mento, detenzione e uccisione del presidente della DC AldoMoro (16 marzo-9 maggio 1978).

Lo storico prudente non può accettare la tesi, declinata e ri-proposta in varie forme, di un complotto generalizzato orditoda poteri occulti e servizi segreti deviati, una trama che avvol-gerebbe e spiegherebbe tutti i misteri d’Italia secondo la regoladel «tutto si tiene» (Sabbatucci, 1999b), ma non può nemmenosottrarsi o rinunciare a riflettere su legami, intrecci, collusioni,indebite protezioni. Anzi, facendo valere le prerogative del pro-prio mestiere come singoli e come corporazione, gli storici do-vrebbero battersi con maggiore energia per l’abolizione del

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segreto di Stato, tante volte frapposto agli interrogativi più in-quietanti.

D’altro canto si assiste al paradosso di una magistratura che,pur avendo fallito nell’accertamento delle responsabilità penaliin molti dei casi più controversi, ritiene, in una sua parte, che imateriali raccolti dalla procura di Palermo contro Giulio An-dreotti, indagato per i suoi supposti rapporti con la mafia, pos-sano essere presentati come La vera storia d’Italia (1995).

Va invece tenuta ben ferma, in questa sede, la profonda di-versità tra un’inchiesta giudiziaria, tesa ad accertare reati per-seguibili e punibili penalmente, e una ricostruzione storica ingrado di esprimere giudizi e di individuare responsabilità poli-tiche e morali anche indipendentemente dai codici penali e dallesentenze passate in giudicato.

Nonostante le reiterate assoluzioni, gli storici e l’opinionepubblica continuano a guardare alla destra eversiva e ai servizisegreti per la strage di piazza Fontana senza riuscire a dare unnome ai responsabili diretti dell’accaduto e ai referenti politicidi coperture e depistaggi. In altri casi, come per la contiguitàtra esponenti politici democristiani e camorra napoletana, la ri-cerca storica ha offerto ricostruzioni convincenti fondate sullostudio delle carte giudiziarie (Barbagallo, 1997 e 1999).

Per tornare dunque al problema delle fonti, in questo caso aquelle giudiziarie e alla loro accessibilità, è opportuno ricordareche non solo le sentenze sono pubbliche, ma che i fascicoli rela-tivi alle indagini e al dibattimento sono largamente consultabili,in base al principio della pubblicità del processo. Ne consegueche gli incartamenti processuali conservati presso gli organi giu-dicanti sono più accessibili di quelli depositati presso gli archividi Stato, nonostante l’abolizione del vincolo dei 70 anni.

Un’ulteriore miniera di documenti relativi a controverse vicende

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politico-giudiziarie, a problemi di ordine pubblico, al terrorismoe all’eversione di destra e di sinistra è costituita dalle carte dellaCommissione stragi del Parlamento italiano (1.500.000 pagine) edagli atti a stampa della Commissione Moro (Commissione par-lamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani, sul sequestro e l’as-sassinio di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia), pubblicati in 130volumi con indici. Una massa di documenti spesso riservati, e al-trimenti irreperibili, sono così stati resi pubblici, ma la quantità,la loro diseguale rilevanza e varietà ne rendono particolarmentecomplessa l’analisi. Nonostante la drammatica cesura politica rap-presentata dalla crisi della prima repubblica, gli elementi di con-tinuità rimangono tuttora così forti da impedire, o anche solosuggerire, un’operazione come quella compiuta in Sudafrica conla Commissione per la verità e la riconciliazione (1995-98) che,dopo la fine dell’apartheid e la presa del potere della maggioranzanera, cercò di accelerare la ricomposizione di un paese lacerato dadecenni di violenze e illegalità. In Italia, invece, i misteri rimar-ranno tali ancora a lungo e non sarà agevole spiegare compiuta-mente agli italiani perché, tralasciando le vittime degliultimissimi anni, 491 morti e 1181 feriti abbiano insanguinato levie e le piazze del nostro paese tra il 1° gennaio 1969 e il 31 di-cembre 1987 (Fasanella et al., 2000, p. V).

Il lavoro dello storico contemporaneo è dunque in larga mi-sura dipendente dai criteri ufficiali di accesso alla documenta-zione archivistica, ma anche dai rapporti di collaborazione conil personale degli archivi, per le competenze di cui dispone eper i consigli operativi che può suggerire. Un rapporto positivoe ineliminabile, che non esclude talora qualche forma di riva-lità di cui è bene essere avvertiti. Un analogo sistema di alle-anze va attivato con il personale delle biblioteche, non solo perle larghe conoscenze dei principali strumenti bibliografici e

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delle tecniche di ricerca in rete, ma anche per poter attenuare,e talora aggirare, gli innumerevoli ostacoli burocratici e orga-nizzativi che si oppongono a un più largo e rapido accesso alladocumentazione.

Senza voler proporre qui un elenco di luoghi di studio ideali,si può tranquillamente sostenere che ogni biblioteca universi-taria o cittadina – accanto alle grandi biblioteche nazionali – èin grado di offrire gli strumenti base per lo studio della storia.E le stesse condizioni offrono ovviamente le biblioteche univer-sitarie dei dipartimenti di storia. Ma vi sono alcuni centri di ec-cellenza che debbono essere ricordati: il Centro studi PieroGobetti di Torino, la Fondazione Feltrinelli di Milano (con170.000 monografie), le fondazioni Gramsci, Basso e Sturzo diRoma, l’Istituto italiano per gli studi storici di Napoli fondatoda Benedetto Croce. Due grandi biblioteche specializzate spic-cano sulle altre: la Biblioteca di storia contemporanea AlfredoOriani di Ravenna con 130.000 volumi, 1200 periodici di cui 700correnti e la Biblioteca di storia moderna e contemporanea diRoma (nota come Caetani dal nome della via in cui è ubicata)con 450.000 tra volumi e opuscoli, 7200 periodici di cui 600 cor-renti e un grande fondo dedicato alla prima guerra mondiale. ARoma anche le biblioteche della Camera dei deputati e del Se-nato dispongono di un ampio patrimonio dedicato alla storia ealla politica contemporanee. Tra i grandi centri di studio al-l’estero si può ricordare l’Institut für Zeitgeschichte di Monacodi Baviera, specializzato in storia del Novecento, con 130.000volumi e 330 periodici.

Tutte le biblioteche specialistiche, grandi e piccole, hannopartecipato alla rivoluzione informatica degli ultimi anni e di-spongono di cataloghi consultabili online. E, come si è già detto,il settore di consultazione cartacea è quasi sempre in grado di

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offrire con i suoi strumenti un buon punto di partenza. Su diessi non merita soffermarsi in dettaglio, se non per ricordare al-meno alcune tipologie di base: storie e bibliografie storiche perpaesi, enciclopedie generali e specialistiche, dizionari biograficinazionali (il Dizionario biografico degli italiani, il Dictionaryof National Biography inglese e molti altri), dizionari speciali-stici (del movimento operaio, del fascismo, della Resistenza),storie regionali o di singole città (Roma, Milano, Napoli, Torino).

Un quadro delle opportunità di accesso alla documentazionetende inevitabilmente a trascurare gli aspetti relativi alla criticadelle fonti, che rappresentano il passo successivo di ogni ricercae ne accompagnano tutto lo svolgimento. Due sono le compe-tenze che bisogna acquisire: la capacità di distinguere fra le ti-pologie delle fonti e quella di individuare le potenzialità di ognisingola fonte nell’ambito del proprio progetto di ricerca. Ricor-dando che le fonti non sono mai un rispecchiamento diretto deifatti, ma contengono sempre una prima sistemazione o, se pre-feriamo, manipolazione: nella sequenza cronologica proposta,nella scala delle rilevanze, nel registro linguistico adottato dalproduttore, ente o singolo, della fonte medesima. Dalla cronacagiornalistica al rapporto di polizia, alla relazione prefettizia, aun discorso politico pubblico, a una lettera privata: un docu-mento non è mai neutro, e tanto meno neutrale, fin dalla suaprima origine.

Fonti orali e storia orale

Le avvertenze appena enunciate valgono per ogni tipo di do-cumentazione, ma richiedono un ulteriore approfondimento sesi passa ad analizzare le fonti orali.

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In via preliminare è opportuno distinguere tre tipologie difonti orali: le tradizioni orali delle culture prive di scrittura; lenotizie divulgate oralmente, in forma di indiscrezione o segre-tamente raccolte, ad integrazione di fonti scritte ufficiali, reti-centi o più o meno deliberatamente incomplete; infine letestimonianze sollecitate direttamente dallo storico nell’ambitodella sua ricerca.

Nel primo caso le fonti orali costituiscono la base fonda-mentale della ricostruzione storica di società come quelle afri-cane, in particolare degli aspetti di continuità più che di quellirelativi al mutamento: infatti, «nelle società non alfabetizzate oquasi, la continuità è assai più interessante e difficile da spie-gare del cambiamento» (Prins, 1993, p. 142).

Nel secondo caso rientrano le informazioni che, per i più varimotivi, sono omesse dagli atti ufficiali o sono talora registrateclandestinamente e diffuse ufficiosamente. Di questo tipo difonti, orali nella loro origine, rimane traccia, spesso non con-fermata o addirittura smentita, nelle cronache giornalistiche,come indiscrezioni provenienti da non precisate «fonti ben in-formate» o che vengono riproposte nella memorialistica suc-cessiva. Talora non vanno oltre l’aneddoto, come la notizia chela data prescelta per la stipula, tra Stati Uniti e Unione Sovie-tica, di un trattato per la riduzione degli armamenti nucleari neldicembre 1987 venne fissata da Nancy Reagan, moglie del pre-sidente americano, su indicazione del proprio astrologo personale(Prins, 1993, p. 162). O sono invece estremamente rive latrici,come l’intercettazione, del 22 giugno 1941, di una telefonata incui Mussolini, di fronte all’entusiasmo per l’attacco tedesco al-l’URSS manifestato dalla sua amante Claretta Petacci, le confi-dava di vedervi invece l’inizio della «parabola discendente» dellaguerra (Guspini, 1973, p. 189).

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Spie e spiragli per andare a fondo in una documentazione uf-ficiale spesso povera o volutamente scarna o depurata all’origineo semplicemente inesistente. Basti ripercorrere i verbali delConsiglio dei ministri di una fase concitata e altamente conflit-tuale della politica italiana, come quella rappresentata dal go-verno Tambroni del 1960, per rimanere stupefatti di fronte a unafonte primaria ridotta a esile comunicato stampa.

Con la terza tipologia di fonti si entra nel campo di ricercadella storia orale, espressione di un settore specifico della storiacontemporanea.

La storia orale – ha scritto una specialista come Luisa Passe-rini – si situa alla confluenza tra le discipline storiche, letterarie,folcloristico-antropologiche e sociologiche, e si basa sulla raccoltadi testimonianze al registratore e sulle loro trascrizioni, che dannoorigine a testi variamente montati, elaborati, interpretati dai rac-coglitori e da altri interpreti (Passerini, 1997, p. 737).

Un campo caratterizzato dalla pratica, non più sorprendente,degli storici che creano, «inventano» le loro fonti. Per rispon-dere a una pressante istanza metodologica, i cultori della storiaorale hanno messo a punto criteri via via più rigorosi per la re-gistrazione e/o videoregistrazione delle testimonianze. Sottoli-neando in modo particolare il rapporto speciale, la dimensioneintersoggettiva che presiedono a questa raccolta:

l’intervista è tutto il contrario di una semplice emissione di infor-mazione da parte di un testimone/fonte, informazione che l’inter-vistatore, badando a interferire il meno possibile, si limiterebbe adascoltare, registrare ed archiviare. Essa somiglia piuttosto ad uncampo di forza, uno scenario dove entrambi i protagonisti arrivanocon schemi precostituiti e recitano ciascuno il proprio ruolo, te-nendo conto l’uno dell’altro (Contini e Martini, 1993, p. 17).

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Nella tradizione italiana la storia orale esordisce, negli anni Ses-santa del Novecento, come memoria della classe operaia, degli stratisubalterni, degli emarginati, per allargarsi, successivamente, almondo contadino e alle donne, mantenendo una forte connotazionedi partecipazione militante (Bermani, 1999). In questo primo pe-riodo, gli storici tradizionali, in Italia e altrove, diffidano della storiaorale e ritengono per di più irrilevanti gli argomenti di cui si oc-cupa. Il disamore e le reciproche incomprensioni si sono poi atte-nuati, mentre i campi di ricerca della storia orale e i correlati aspettimetodologici presentano effettivamente aspetti di grande interesse.

Sul terreno della specificità e della critica delle fonti orali,Alessandro Portelli, professore di letteratura anglo-americana maanche autore di due dei maggiori esempi italiani di storia oralesu grande scala, i libri sulla città di Terni e sulla memoria delleFosse Ardeatine (Portelli, 1985 e 1999a), ha individuato, con unacerta radicalità, in un saggio del 1979, alcuni punti decisivi.

Le fonti orali sono fonti orali. Tutti quelli che se ne occupanosi affrettano a sottolineare che il vero documento è il nastro regi-strato; poi però lavorano sulla trascrizione, ed è la trascrizione cheviene pubblicata. [...] La trascrizione trasforma materiali sonori inmateriali visivi, con irreparabili effetti di riduzione e manipolazione[...]. Le fonti orali sono fonti narrative. Per questa ragione, la loroanalisi non può prescindere dalle categorie generali dell’analisi delracconto [...]. Le fonti orali appartenenti alle classi non egemonisono poi collocate all’interno della tradizione narrativa popolare.[...] L’attendibilità delle fonti orali è un’attendibilità diversa. [...]l’interesse della testimonianza orale non consiste solamente nellasua aderenza ai fatti, ma nella sua divaricazione da essi: perché inquesto scarto si insinua l’immaginario, il simbolico, il desiderio.[...] Le fonti orali non sono oggettive. [...] La non oggettività è undato caratterizzante e costitutivo delle fonti orali, in quanto fonticontemporanee alla ricerca più che all’evento, costruite, variabili,parziali (Portelli, 1999b, pp. 150-159).

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La storia orale si configura essenzialmente come una storiadella memoria, delle modalità del ricordo e delle sue capacità dicondizionare l’identità e l’autorappresentazione di comunità egruppi sociali. Ma consente anche di far riemergere esperienzee fatti dimenticati nel contesto di specifiche forme e modelli dinarrazione.

Non sempre gli storici orali dispiegano l’intera gamma dellemetodologie consentite dalle loro fonti. Sono invece particolar-mente significativi i risultati di ricerche in cui le fonti orali si in-tegrano con documentazioni più tradizionali. Ed è quanto staavvenendo in una serie di studi che, in anni recenti, hanno af-frontato i drammatici temi delle stragi di civili compiute dai na-zisti in Italia nei mesi dell’occupazione e lungo il fronte dellaguerra avanzante.

Un volume esemplare è quello di Giovanni Contini, La me-moria divisa (1997), che già nel titolo sottolinea i percorsi e gliesiti diversi e contrapposti della memoria relativa alla strage di ci-vili (203 vittime) compiuta dai tedeschi a Civitella in Val diChiana il 29 giugno 1944, con la trasformazione dei partigianiin capri espiatori e «responsabili» dell’azione tedesca. Nel rico-struire questa dinamica e la sua durevole permanenza dopo cin-quant’anni, Contini utilizza le fonti tradizionali, le testimonianzerese agli inglesi poco dopo i fatti e le interviste realizzate a di-stanza di tempo in un meccanismo compositivo di grande effi-cacia e persuasività. È del tutto evidente come, in questo e in altricasi, risulti rovesciata e stravolta la consueta narrazione della Re-sistenza. Ma, argomenta Contini, «se scopo della storia non è sta-bilire vuote serie di fatti, ma decifrare il significato che icontemporanei vi lessero», non è possibile contrapporsi alla me-moria locale «tentando di cancellarla come si potrebbe fare perun’opinione politica errata» (Contini, 1997, p. 12).

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Sui mesi cruciali del passaggio della guerra, la storia orale haportato alla luce forme di rappresentazione ed esperienze del vis-suto in genere escluse dall’attenzione degli storici. Tommaso Baris,in un suo lavoro (2003), ha ricostruito il dramma delle popolazioniche vivevano lungo il fronte di Cassino durante il periodo dell’oc-cupazione tedesca e dei bombardamenti alleati, e riesumato il temadelle violenze e degli stupri compiuti dalle truppe del corpo di spe-dizione francese composto da marocchini e algerini. Ha analizzatopoi la difficile ricomposizione postbellica e il diverso ruolo dellaChiesa, delle autorità pubbliche e delle comunità nel tentativo dirisanare e rielaborare una memoria insanabile.

Studi di questo tipo, condotti quasi esclusivamente sul ver-sante delle violenze subite dalle vittime, nonostante le difficoltàderivanti dallo spingere oltre una documentazione già amplis-sima, pongono tuttavia un problema di ricerca e di interpreta-zione non marginale: l’esigenza che il cerchio della memoria sichiuda facendovi entrare, per quanto possibile, anche gli arteficidi quelle violenze e le loro diverse e separate narrazioni. Comequelle delle truppe coloniali francesi, protagoniste di un’epopeamilitare – lo sfondamento del fronte tedesco che rese possibilela presa di Roma – che celebrano quell’impresa nella patria diorigine (Baris, 2003, pp. 104-105), probabilmente dimentichedelle sofferenze inferte alle popolazioni civili: una rimozione col-lettiva che andrebbe verificata con gli strumenti della storia edell’antropologia. Questi tentativi potrebbero arricchire la no-stra conoscenza delle diverse procedure della memoria e com-pletare uno degli obiettivi della storia orale: l’inedita funzionecivile volta a restituire identità e dignità a comunità offese nellaprospettiva di un risarcimento storico ed emozionale, per con-tribuire all’ancora difficile riconciliazione tra memoria pubblicae memorie individuali e locali.

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Letteratura e immagini

In una concezione dello storico come ricercatore onnivoro,anche la letteratura (romanzi, racconti, teatro, poesia) e le im-magini (opere d’arte, fotografia, cinema, televisione) rientranoa pieno titolo tra le fonti (Burke, 2002): sono utilizzate comemateriale documentario, contribuendo talora ad indirizzare epersino a condizionare la ricerca.

Questi materiali sono oggetto della storia della cultura, in-tesa come fenomeno sociale, e quindi gli storici ne analizzanodiffusione e organizzazione, mentre anche gli artisti e gli intel-lettuali rientrano a pieno titolo in questo campo di studio. Dalpunto di vista della produzione, dei contenuti, della ricezione,letteratura e immagini non presentano particolari problemi me-todologici. La prospettiva cambia se letteratura e immagini sonopresentate invece come fonti primarie, chiamate a dare fonda-mento a una visione generale in virtù della loro capacità di rap-presentare e interpretare una realtà storica.

Non vi è alcun dubbio che esista un rapporto tra il contestostorico e l’arte e la letteratura di un determinato periodo, e chequesto rapporto vada studiato in profondità. Ma bisogna «starein guardia dal ricorrere all’arte e alla letteratura – ha sottoli-neato lo storico inglese Arthur Marwick (1979, p. 71) – parlan-done come di uno “specchio della loro epoca” o come qualcosache consente di “cogliere il clima di quel periodo” o ricorrendoa quanti altri scontati luoghi comuni di questo genere vi piac-cia usare». Questo rispecchiamento è spesso il risultato diun’operazione puramente tautologica: si utilizza l’arte e/o la let-teratura per individuare i caratteri generali di un periodo, ca-ratteri che sono confermati poi da una serie di esempi particolaritratti proprio dall’arte e dalla letteratura.

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Spesso singole opere o un intero corpus letterario e/o artisticosono invocati a rendere testimonianza veritiera di una realtàumana, a interpretare i caratteri distintivi di un gruppo sociale, diun intero popolo. Così, per alcuni storici, il poeta romanesco Giu-seppe Gioachino Belli è considerato una sorta di fotografo reali-sta, l’interprete del carattere dei veri romani prima di Porta Pia,trascurando non solo la cifra stilistica, ma anche l’intenzione ri-sentita e la dimensione morale della sua poesia. Altri metterannopoi in campo Trilussa o Pascarella in omaggio a un analogo ap-proccio mimetico e di rispecchiamento. E così, rimanendo aRoma, Pasolini per i borgatari o Moravia per i ceti medi borghesi,senza considerare l’intenzione originaria, il codice letterario e ilregistro comunicativo di cui questi artisti si fanno portatori. Que-ste procedure rientrano tuttavia nelle varie modalità di ricezionee trasmissione dei discorsi artistici e letterari, trasformandosi intradizioni e/o in immaginari consolidati. La rappresentazione let-teraria, trasformata in stereotipo, variamente ripetuta e veicolata,contribuisce a definire i tipi sociali, gli stili di vita, i ruoli degli in-dividui, strutturandosi, più o meno consapevolmente in forme emodelli di autorappresentazione, che riflettono, ma anche creanoe confermano le convinzioni correnti in un certo periodo. La fo-tografia sociale di fine Ottocento, persino quella di un pionierecome Jacob Riis, continua «a raffigurare le donne proletarie comemadri e vittime piuttosto che come membri attivi e produttividella forza lavoro» (Higonnet, 1991, p. 283).

Per lo studioso, le fonti letterarie o figurative non sono solointeressanti in sé, ma anche per le pratiche comunicative cheinnescano e per i bisogni fondamentali di identità e di rappre-sentazione che esse attivano e che attendono di essere indivi-duati, disvelati e analizzati nei loro obiettivi e nelle forme diricezione. Da questo punto di vista, la consapevolezza metodo-

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logica della rilevanza di questi temi ha cominciato a tradursi, inItalia, in ricerche che utilizzano il cinema e i film e, in subor-dine, la musica e gli spettacoli televisivi come fonte.

Il flusso inarrestabile di testi, di immagini, di suoni, che carat-terizzano l’età contemporanea con la loro inesauribile riproduci-bilità, potenzia il già diffuso bisogno di «condensati simbolici». Aquesta esigenza si piega, credo, ogni tipo di comunicazione, ricer-cando e accettando l’“esemplarità iconica” di un passo letterarioe/o di un’immagine.

Il percorso del giovane impiegato Leonard Bast fino al rientronel suo seminterrato di Camelia Road, in apertura del sesto ca-pitolo di Casa Howard (1910) di Edward M. Forster (1879-1970),definisce con rapidità e intensità uno status sociale e la minoritàdi ceto di chi «stava sul confine estremo della gente “perbene”»(Forster, 1989, pp. 50-53). In un paesaggio mattutino della cam-pagna inglese dipinto da William Williams nel 1777, il fumo dellaciminiera dell’altoforno di Coalbrookdale introduce una fratturasimbolica in stridente sintonia col linguaggio pittorico conven-zionalmente impiegato per rappresentare un idillio agreste. Unpasso da L’uomo senza qualità di Robert Musil (1880-1942) èchiamato a rappresentare l’immobilismo dell’impero asburgico –la Cacania – di fronte alla modernità super-americana che haormai sconvolto il mondo (Musil, 1970, pp. 26-30).

Quante volte la falsa istantanea della bandiera americana is-sata da un gruppo di marines a Iwo-Jima o l’analoga falsifica-zione della bandiera sovietica che garrisce sulla sommità delReichstag nella Berlino appena conquistata sono state ripropo-ste come emblemi della vittoria nella seconda guerra mondiale!E dall’11 settembre 2001 è impossibile prescindere da un’iconaperiodizzante come quella delle foto o delle sequenze dell’at-tacco terrorista alle Twin Towers di New York, simbolo del nuovo

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dramma dell’Occidente, ma anche del trionfo dell’islamismo, ce-lebrato sui displays dei telefoni cellulari pachistani con la scritta«Dio è giusto».

Immagini e testi proposti per rispondere a una domanda disemplificazione comunicativa, di intensità persuasiva, di ripeti-tività ritualistica. Ne sono colmi i libri di storia per il grandepubblico, i manuali, i documentari storici, i servizi televisivi.Fonti sui generis, piuttosto materiali di una rappresentazione,corredi di una tessitura narrativa da cui in genere anche lo sto-rico non riesce a prescindere.

In qualche caso testi letterari, tratti prevalentemente da ro-manzi, sono utilizzati consapevolmente entro il codice delvero/verisimile come parte o conferma di una descrizione sto-rica. Si tratta dell’esito terminale di un’operazione che si svolgein due tempi anche molto distanti tra loro. Lo scrittore inserisceuna situazione significativa dal punto di vista storico nel suo im-pianto narrativo naturalistico/veristico: successivamente lo sto-rico la trasceglie come esempio da citare, una sorta di scorciatoiache porta con sé una più forte capacità narrativa. Penso alle pa-gine di Federico De Roberto nella terza parte dei Viceré (1894)sulla ascesa politica e la campagna elettorale del 1882 di Con-salvo Uzeda, principe di Francalanza (dietro il quale è adombratala figura di Antonino di San Giuliano), pagine di grande efficaciadescrittiva e interpretativa riprese da uno storico del valore diGiuseppe Giarrizzo (De Roberto, 1959, pp. 605 sgg.; Giarrizzo,1986, pp. 123 sgg.). Ma valga anche l’esempio suggerito da Ro-berto Bizzocchi (2002, p. 171): la novella Un tempo (Jadis, 1880)dello scrittore francese Guy de Maupassant (1850-1893) per rap-presentare la diversità del libertinismo settecentesco, rimpiantoda un’anziana nobile dama, di fronte alla nuova sensibilità ro-mantica della nipote (Maupassant, 1968, pp. 147-150).

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Sappiamo, del resto, che in qualche caso sono gli stessi sto-rici a percorrere le vie dell’invenzione letteraria per coinvolgereil lettore con aperture accattivanti e per misurarsi con registriespositivi più leggeri.

Potremmo situare questi casi nella categoria delle “appros-simazioni ambientali”, ambito nel quale rientrerebbero innu-merevoli esempi di scrittura alta e bassa, prodotti letterari dilargo consumo, vicini al genere del reportage e dell’inchiestagornalistica, spesso gratificati da enorme successo internazio-nale. Autori come John Grisham propongono temi narrativi che,depurati dagli elementi di fiction, sono ricchi di suggestioni e dianalisi, nel suo caso della realtà americana e delle distorsionidel sistema giudiziario degli Stati Uniti, come nel romanzo Il redei torti (2003), dedicato alle public actions, le cause per dannialla collettività.

Letteratura e immagini consentono agli storici diverse mo-dalità di indagine. L’adozione dei registri critici specifici dei set-tori disciplinari ai quali quei materiali fanno capo, dalla criticaletteraria e artistica al comparativismo: qui lo studioso di storiarischierebbe di trovarsi inevitabilmente inadeguato, fuori postoe privo della capacità di controllo di tradizioni metodologichelontane dalla sua formazione. La scelta del punto di vista cultu-ralista con l’analisi delle pratiche discorsive e delle valenze sim-boliche di testi e immagini è invece un campo largamentefrequentato dagli storici che vi hanno da tempo portato il lorocontributo innovatore, da George L. Mosse a Lynn Hunt, daBruno Tobia ad Alberto Mario Banti. In questo caso testi lette-rari e immagini si presentano come fonti primarie. Se infinetesti e immagini sono proposti per la loro capacità di rappre-sentare e interpretare la realtà del loro tempo, i sentimenti, lementalità, i comportamenti e gli stili di vita di individui e gruppi

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sociali, i valori e le visioni del mondo, allora rientrano piuttostotra le fonti secondarie, o partecipano di entrambe. In tutti i casivanno applicati gli usuali criteri di critica delle fonti, quanto al-l’attendibilità, all’intenzione, alla rappresentatività, alla rile-vanza del loro contributo.

Ogni disciplina ha i suoi confini e innalza e difende gli stec-cati che isolano la sua specificità. La storia ha coltivato a lungo,almeno nella tradizione italiana, l’illusione, e la presunzione, digodere di un punto di vista più alto, di uno sguardo in grado dispingersi più lontano. Di qui una certa convinta arroganza dipoter cogliere e ridurre a pochi parametri la complessità. Di quicerti automatismi nell’accettare ogni rappresentazione comeraffigurazione del vero. Di qui la rigidità di molti suoi meccani-smi interpretativi, e di qui infine il successivo incrinarsi di quellerigidità e di quelle certezze, sfociato talora nella sensazione diuna poliedricità inafferrabile della realtà storica. L’esplosionedelle fonti ha contribuito a innescare questa sensazione, allaquale si può rispondere solo con la consapevolezza della positi-vità di uno sguardo molteplice e con un affinamento dello spi-rito critico.

In molti casi letteratura e immagini, invece di offrirsi comecampo di ricerca e contributo alla ricostruzione storica, soprat-tutto quando si accetti la sfida di una documentazione non con-venzionale, si traducono in suggestioni forzate, in veri e propricondizionamenti preliminari. Si presentano così come “extra-fonti” in virtù della somma dei percorsi mentali che esse atti-vano e veicolano, delle tradizioni comunicative in cui sonoinserite. Qui si attribuisce al termine “extra-fonti” un signifi-cato opposto a quello suggerito da Jerzy Topolski (1975, pp. 466sgg.): non il bagaglio positivo delle conoscenze extra-storiche,ma il condizionamento, potenzialmente negativo se non viene

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criticamente controllato, di quei “quadri mentali”, di quelle vi-sioni generali che sono il risultato delle frequentazioni lettera-rie e del mondo delle immagini.

Non è difficile ricordarne almeno alcuni: la grande borghesiae la sua interna corrosione nei Buddenbrook (1901) di ThomasMann, le trasgressioni e le fissazioni erotiche di Arthur Schnitz -ler, la battaglia di Austerlitz proposta da Guerra e pace (1863-1869) di Lev N. Tolstoj e nelle pellicole ispirate al romanzo, ladrammaticità della Grande guerra sul fronte occidentale nel filmOrizzonti di gloria (1957) di Stanley Kubrick, la città delle masseillustrata dallo skyline di New York o dal frenetico disperdersidei commuters, dei pendolari in arrivo al Grand Central Station.

Di fronte ai quadri mentali, ripetuti e stereotipati, le avan-guardie artistiche e letterarie hanno da tempo messo in atto iloro antidoti, puntando sullo sgretolamento delle forme e sullafrantumazione dei linguaggi. Consapevole dell’influenza e delcondizionamento di questi grandi repertori di immagini men-tali, potenziati dallo sviluppo delle comunicazioni di massa, lostorico può cercare di riportarvi una gerarchia, di attribuire unsenso generale, di operare scarti e acquisizioni. Ripartendo perquanto possibile dagli strumenti e dalle buone regole del suooperare artigianale: esame critico e comparativo delle fonti, cro-nologia corretta, verifica di attendibilità, analisi delle intenzioni,controllo della diffusione e della ricezione, almeno in terminiquantitativi. Applicando le procedure e i «marchi di storicità»elencati da Pomian, come si è detto più sopra.

Criteri tanto più indispensabili di fronte a quell’ipermercatodelle fonti rappresentato dai prodotti dei mass-media. Il reso-conto giornalistico di un avvenimento può apparire su tutti iquotidiani (e basta ascoltare le numerose rassegne stampa ra-diofoniche per rendersene conto), ma avrà posizione, dimensioni,

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titolo, rilevanza e trattamenti diversi; potrebbe essere corredatoda immagini oppure no. E proprio come in un ipermercato, ilconfronto, la comparazione delle fonti diviene così un passaggioobbligato.

L’addestramento critico sui testi scritti ha una tradizione piùconsolidata. Di fronte alle immagini, fotografie e filmati, si ag-giunge la difficoltà derivante dall’impatto comunicativo piùforte, più immediato, e dall’illusione di realtà che trasmettono.

Le immagini dei tipi sociali tedeschi, pubblicate nel 1929 dalfotografo August Sander (1876-1964), possono apparire, proprioper la loro icasticità, dotate di una presa fortissima sulla realtà deltempo. Ma rappresentano soltanto il punto di vista di Sander esemmai una riflessione sul tema del contrasto tra modernità etradizione, in uno stile largamente influenzato dalla Neue Sach -lichkeit, dal “neo-realismo” di Otto Dix. E come non confrontarequella realtà sociale con la rappresentazione datane lo stessoanno dal regista Robert Siodmak nel film documentario Men-schen am Sonntag (‘Gente di domenica’) su una domenica a Ber-lino, dall’alba al tramonto... In generale, possiamo dire che laGermania di Weimar disponeva, più di altri, di una serie di os-servatori della società in grado di sfruttare al meglio i nuovimedia.

Lavorare su queste fonti rappresenta, per lo storico, unasfida, e insieme un’insidia, di grande interesse. Sappiamo cheper ogni fotografia pubblicata ve ne possono essere decine scar-tate. La ricostruzione filologica di una ripresa è tutt’altro cheagevole anche in presenza di archivi ben conservati. Ma anche ilpiù piccolo sondaggio nel maggiore archivio italiano di imma-gini del periodo fascista, quello dell’Istituto Luce di Roma, ciconferma la ricchezza di stimoli derivante dalla ricerca sulleserie complete delle riprese fotografiche di certi avvenimenti.

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Per la fotografia, la storia e la critica delle fonti (D’Autilia,2001) e una certa cura per i corredi filologici sono risultati ormaiacquisiti, mentre la pubblicazione di storie fotografiche conti-nua a soffrire di una non soddisfacente qualità delle riproduzioni,nonostante l’impegno dei curatori di importanti iniziative, comela Storia fotografica della società italiana (1998-2001) di Gio-vanni De Luna e Diego Mormorio o L’immagine e la storia. L’Ita-lia e gli italiani nelle fotografie dell’Istituto Luce (2001 sgg.) diLuca Criscenti e Gabriele D’Autilia.

Più in generale non appare superato un impiego antologicoe di supporto della fotografia, né sembra tuttora raggiunta unapiena interazione con altre tipologie di fonti.

La ricerca fotografica dispone di grandi archivi internazio-nali privati, pubblici o semipubblici che dispongono di decinedi milioni di immagini. Alcuni tra i maggiori, come Getty Imageso Corbis di Bill Gates, il magnate della Microsoft, sono il risul-tato di acquisizioni e accorpamenti di precedenti archivi, comel’inglese Hulton Deutsch confluito in Getty Images. Gli archiviche operano con scopi prevalentemente commerciali hannopurtroppo compiuto una vera e propria spoliazione del corredodi informazioni che accompagnavano i materiali originari. Ma èanche vero che le stesse immagini sono reperibili in più archivie talora liberamente in Rete.

I grandi archivi conservano anche un’ampia documentazionefilmata e sonora. Tra le grandi raccolte di fonti audiovisive perla storia contemporanea vanno ricordati la Library of Congressdi Washington, l’Imperial War Museum di Londra, mentre laFrancia si è dotata, a partire dal 1975, di una istituzione pub-blica, l’INA, Institut National de l’Audiovisuel, preposta alla rac-colta, conservazione e restauro dei materiali audio visivi.

In Italia gli archivi di Stato non svolgono compiti istituzionali

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di questo tipo. A questa mancanza supplisce in parte l’IstitutoLuce, un ente parastatale cresciuto negli anni del fascismo, oggisocietà per azioni a capitale misto, pubblico e privato. L’archiviodel Luce dispone non solo di un grande archivio fotografico(ricco di 350.000 fotografie del periodo fascista), ma anche deicinegiornali Luce, della Settimana Incom e di altri cinegiornali,consultabili gratuitamente in Internet. Si tratta di una fontestraordinaria per ora sottoutilizzata dagli storici in chiave filo-logica e critica, nonostante il largo impiego di quelle immaginiin numerosi documentari storici per la RAI.

La televisione pubblica italiana ha dato largo spazio alla di-vulgazione storica per immagini, spesso in uno stretto rapportodi collaborazione con il Luce, con un’attenzione particolare peril fascismo, il nazismo, le due guerre mondiali. Una politica cul-turale iniziata nel 1972 con la serie Nascita di una dittatura diSergio Zavoli (Crainz, 2000) e via via incrementata negli anni(Anania, 2003). I ricercatori, i documentaristi e i registi televi-sivi hanno dimostrato sempre maggiori capacità di esplorare ar-chivi, di raccogliere e proporre materiali inediti o dimenticati.

Rimane invece largamente insufficiente e deludente il ri-spetto della cronologia, dell’attribuzione delle immagini, del-l’identificazione di tempi e luoghi. Lavorando prevalentementesul montaggio, le trasmissioni puntano troppo spesso ad ag-ganciare visivamente ed emotivamente lo spettatore senza ten-tare di farlo riflettere sulle immagini proposte. Non si tratta dirivendicare un intento meramente pedagogico (anche se moltetrasmissioni televisive sono presentate entro una cornice deno-minata «Rai Educational»), ma di inventare una narrazione perimmagini che abbia le qualità e la correttezza di un buon testodi storia, pur usando un registro comunicativo differente. No-nostante il contributo e la consulenza di autorevoli storici di

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professione, la tutela di questi aspetti, che le tecnologie larga-mente consentono, non appare rispettata. Né, d’altra parte, glistorici lavorano criticamente per ricostruire le tappe di confe-zione di un prodotto – un cinegiornale degli anni Trenta del No-vecento o anche del dopoguerra – per capirlo dall’interno eillustrarne forme e criteri di composizione: per analizzare il lin-guaggio cinematografico e televisivo, per smontare un mecca-nismo propagandistico o semplicemente un impianto narrativoper immagini.

I mass-media – a stampa, sonori o per immagini – ci impon-gono diverse chiavi di lettura per le quali gli storici non sonosempre attrezzati. Il meccanismo “manipolatorio” del messag-gio televisivo e dei nuovi mezzi digitali (Vitali, 2004, pp. 138-146) è il risultato di complesse operazioni, tagli, montaggi,commenti e sonori aggiunti. Operazioni usuali sui documentaristorici e di routine in ogni servizio televisivo o fotografico.Un’utile palestra per esercitare il proprio occhio e per rifletteresu queste procedure è la visione delle “eveline”, i materiali giratigrezzi o parzialmente montati (spesso corredati del sonoro ori-ginale, che derivano il loro nome da quello della segretaria diun’organizzazione preposta un tempo a diffonderli e a venderli)destinati ai telegiornali di tutto il mondo e proposti da anni nellatrasmissione notturna Fuori orario di Rai Tre.

La tecnica delle comunicazioni di massa è una disciplina au-tonoma, ma è anche la più recente delle scienze ausiliarie dellastoria: ha dunque un ruolo simile a quello svolto dalla paleo-grafia e dalla diplomatica. Prescinderne è impossibile, e attrez-zarsi è un passaggio formativo obbligato del lavoro storico.

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Andrea

Giovanni

Vittorio

da Internet alle immaginile fonti della storia contemporanea

Editori LaterzaEditori Laterza

Nel 2014, per la scuola, il nuovo

Manuale di storiadi Giardina, Sabbatucci, Vidotto

� Un nuovo profilo di storia europea, dal Medioevo a oggi,in una visione globale

� Una nuova impostazione degli approfondimenti storiografici

� Un progetto di didattica digitale solido e innovativo

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