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Mensile di politica, cultura e ambiente anno 27° www.trentadueonline.it - [email protected] - [email protected] tel. 3203684625 l’ecoapuano aprile 2016 Persecuzioni antiebraiche La scatola di legno Il racconto della nonna in un libro ancora inedito di Simone Caffaz * Espulsi dal lavoro, privati della licenza commerciale e della tessera annonaria, per- quisiti, controllati a vista, picchiati, costretti alla fuga, imprigionati e obbligati a pagare una “mazzetta” per non essere deportati nei campi di sterminio. Simone Caffaz «C i vollero altri tre anni prima che anche nonna Esterina si convinces- se a raccontare la sua storia. Era l’autunno del 2006 e, dopo quasi 60 anni, il glorio- so “Abbigliamento al Risparmio” di via Rossi a segue a pag. 9 Il “giusto” dimenticato L’allenatore della Carra- rese che fu giustiziato per salvare centinaia di ebrei Dopo 71 anni di oblio, viene finalmente alla luce la storia dei due allenatori ungheresi Geza Kertèsz e Istvàn Tòth fucilati dai tedeschi per aver fatto fuggire gli ebrei dal ghetto di Budapest Simone Caffaz I mportanti indagini demoscopiche svolte in tutta l’Unione Europea confermano il ripetersi di un fenomeno sociologico già tristemente verificatosi in passato: nei periodi di crisi economica l’opinione pub- blica, spesso indirizzata da forze politiche irresponsabili ricerca dei capri espiatori e segue a pag. 12 La legge è semplicemente la politica perseguita con altri mezzi Piagnistei e paradisi fiscali Francesco di Pasquale Bianco e nero Giorno dopo giorno i quoti- diani locali (e non solo) ci illustrano i meccanismi di sotto-fatturazione del marmo che viene venduto all’estero a prezzi davvero vantaggiosi, se non fosse che lo “sconto” poi rientrava (almeno speria- mo che gli esportatori abbia- no messo le teste a posto) nelle tasche dei venditori per prendere vie, più o meno lon- tane, ma fondamentalmente paradisiache. Vanità Si potrebbe fare anche un accostamento tra i paradisi fiscali, meta più o meno segue a pag. 3 Ho visto robocop Gianmaria Lenelli S tamattina sul presto sento suonare alla porta. Mi si presenta un tale in divisa intera di colore scuro, con tanto di cartellino di riconoscimento: un vigile giurato. Fortunatamente sono abba- stanza sveglio per non scam- biarlo per robocop. Con estrema gentilezza mi spiega che nella mia strada ci sono stati numerosi episodi di furti, scippi e cose varie e che molti miei vicini hanno richiesto la loro presenza, che consiste nel pattugliare la zona in orario notturno. Per la modica cifra di un euro al giorno avrei anch’io usu- fruito dei loro servigi. Oltretutto, aggiunge, un recente decreto del governo ha defiscalizzato la sicurezza privata, e la spesa si può sca- ricare nel 730. Rimango basito, rifiuto gentilmente l’offerta, e vado avanti. Però qualche considerazione è necessaria.Innanzitutto il fatto che questa cosa è abo- minevole. In un colpo solo si assicurano, come in un gioco perverso, il controllo sociale e l’instillazione della paura. Un circolo vizioso che parte dall’intimo timore delle per- sone, passa per il controllo sociale ed approda al guada- gno economico. In secondo luogo, sta cosa del business della sicurezza. segue a pag. 43

Gianmaria Lenelli Sacque meteoriche e le rilasciano poi len-tamente, fornendo così un importante contributo alla riduzione dei picchi di piena. I nuovi ravaneti, invece, contengono

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Page 1: Gianmaria Lenelli Sacque meteoriche e le rilasciano poi len-tamente, fornendo così un importante contributo alla riduzione dei picchi di piena. I nuovi ravaneti, invece, contengono

Mensile di politica, cultura e ambiente anno 27°www.trentadueonline.it - [email protected] - [email protected] tel. 3203684625

l’ecoapuano aprile 2016

Persecuzioni antiebraiche

La scatola di legnoIl racconto della nonna inun libro ancora inedito di Simone Caffaz *Espulsi dal lavoro, privatidella licenza commerciale edella tessera annonaria, per-quisiti, controllati a vista,picchiati, costretti alla fuga,imprigionati e obbligati apagare una “mazzetta” pernon essere deportati neicampi di sterminio.

Simone Caffaz

«Ci vollero altritre anni primache anche

nonna Esterina si convinces-se a raccontare la sua storia.Era l’autunno del 2006 e,dopo quasi 60 anni, il glorio-so “Abbigliamento alRisparmio” di via Rossi a

segue a pag. 9

Il “giusto”dimenticatoL’allenatore della Carra-rese che fu giustiziato persalvare centinaia di ebrei Dopo 71 anni di oblio, vienefinalmente alla luce la storiadei due allenatori ungheresiGeza Kertèsz e Istvàn Tòthfucilati dai tedeschi per averfatto fuggire gli ebrei dalghetto di Budapest

Simone Caffaz

Importanti indaginidemoscopiche svolte intutta l’Unione Europea

confermano il ripetersi di unfenomeno sociologico giàtristemente verificatosi inpassato: nei periodi di crisieconomica l’opinione pub-blica, spesso indirizzata daforze politiche irresponsabiliricerca dei capri espiatori e

segue a pag. 12

La legge è semplicemente la politica

perseguita con altri mezzi

Piagnisteie paradisifiscaliFrancesco di Pasquale

Bianco e neroGiorno dopo giorno i quoti-diani locali (e non solo) ciillustrano i meccanismi disotto-fatturazione del marmoche viene venduto all’esteroa prezzi davvero vantaggiosi,se non fosse che lo “sconto”poi rientrava (almeno speria-mo che gli esportatori abbia-no messo le teste a posto)nelle tasche dei venditori perprendere vie, più o meno lon-tane, ma fondamentalmenteparadisiache.

VanitàSi potrebbe fare anche unaccostamento tra i paradisifiscali, meta più o meno

segue a pag. 3

Ho visto robocopGianmaria Lenelli

Stamattina sul prestosento suonare allaporta. Mi si presenta

un tale in divisa intera dicolore scuro, con tanto dicartellino di riconoscimento:un vigile giurato.Fortunatamente sono abba-stanza sveglio per non scam-biarlo per robocop. Conestrema gentilezza mi spiegache nella mia strada ci sonostati numerosi episodi difurti, scippi e cose varie eche molti miei vicini hannorichiesto la loro presenza,che consiste nel pattugliarela zona in orario notturno.Per la modica cifra di un euroal giorno avrei anch’io usu-fruito dei loro servigi.Oltretutto, aggiunge, unrecente decreto del governo ha defiscalizzato la sicurezzaprivata, e la spesa si può sca-ricare nel 730. Rimangobasito, rifiuto gentilmentel’offerta, e vado avanti.Però qualche considerazioneè necessaria.Innanzitutto ilfatto che questa cosa è abo-minevole. In un colpo solo siassicurano, come in un giocoperverso, il controllo socialee l’instillazione della paura.Un circolo vizioso che partedall’intimo timore delle per-sone, passa per il controllosociale ed approda al guada-gno economico. In secondoluogo, sta cosa del businessdella sicurezza.

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Page 2: Gianmaria Lenelli Sacque meteoriche e le rilasciano poi len-tamente, fornendo così un importante contributo alla riduzione dei picchi di piena. I nuovi ravaneti, invece, contengono

La fabbricadel rischioalluvionaleSalvare i ponti intervenendo su ravane-ti e strade in alveo

Legambiente Carrara

L’alluvione vien dal monte e ilComune la favorisce (viabilità eravaneti)Nell’incontro pubblico di pre-sentazione del progetto di siste-mazione del Carrione la rela-zione del prof. Seminara harichiamato l’attenzione su alcu-ni aspetti della massima impor-tanza: senza un intervento radicalesulle cave e al monte la messain sicurezza del Carrionerischia di essere vanificata; le attuali modalità d’escavazio-ne sono insostenibili; i ravaneti vecchi (senza terre)assorbono acqua riducendo ilrischio alluvionale; le ingenti quantità di marmet-tola e terre scaricate nei rava-neti, invece, oltre ad inquinarele sorgenti, aggravano ilrischio (riducendo la funzionedi “spugna” dei ravaneti e favorendo cola-te detritiche che colmano gli alvei); occorre ripristinare il reticolo idricomontano eliminando le strade montanedi fondovalle costruite sull’alveo (poichédiventano fiumi ad alta velocità che provo-cano piene improvvise a Carrara).Si tratta di un’autorevole conferma diquanto sosteniamo da anni imputando alComune di funzionare tuttora come unavera e propria “fabbrica del rischio allu-vionale”: in poche parole, mentre laRegione appresta i lavori di messa insicurezza, il Comune rema controaumentando il rischio. Questi concetti sono spiegati e riccamenteillustrati, ad esempio, nei nostri recentidocumenti: Carrione: le proposte diLegambiente per il piano di gestione delrischio alluvioni(lug. 2015), Come operala fabbrica del rischio alluvionale (la boni-fica dei ravaneti)(ott. 2015),Come ferma-re la fabbrica del rischio alluvionale(nov.2015).

Smantellare le strade di fondovalle,restituire spazio ai torrenti

Per quanto riguarda le strade montanecostruite occupando l’alveo dei torrenti,infatti, il Comune sta proseguendo imper-territo negli errori del passato. Ad esem-pio, visto che con le piogge la viaCanaloni (Colonnata) diventa un torrentee viene invasa da detriti che ostacolano lacircolazione, si è proceduto a più ripresea interventi di sistemazione stradale,senza rendersi conto che ogni suomiglioramento - essendo basato sullacanalizzazione e sul rapido scorrimentodelle acque (per liberare la sede stradale)- induce un aggravamento del rischioalluvionale a valle.

Un altro recente contributo all’incremen-to del rischio alluvionale viene dai lavoridi bonifica di alcuni ravaneti nei bacinidi Miseglia e di Torano (finalizzati allaprotezione delle sorgenti) poiché, anchein questo caso, si è proceduto ad inter-venti di canalizzazione.Un altro esempio, per il momento allostadio di ipotesi (che ci auguriamo nonsarà mai attuata), è l’idea di asfaltare lastrada da Mortarola al Tarnone perfavorire l’auspicato afflusso di bus turisti-ci all’area mercatale del Tarnone e realiz-zare, con via Colonnata, un doppio per-corso a senso unico. Il consolidamentodella strada richiederebbe l’arginatura ela cementificazione del Carrione,accentuando i picchi di piena in città.

Ma le fertili menti comunali sono instan-cabili: in un recente documento dell’uffi-cio marmo, si giustifica la mancata previ-sione a breve termine del ripristino delvecchio canale alla base della fossa diCanalbianco presso Ravaccione (sepoltodalla strada) adducendo la motivazioneche tale intervento potrà essere realizzato

solo dopo la formazione di nuove operedi canalizzazione lungo la strada comu-nale di fondo valle. Ciò rivela che l’ispi-razione di fondo della nostra fabbricadel rischio alluvionale è la canalizza-zione delle acque montane, un’idea che,se fosse consapevole delle conseguenze(aggravare le alluvioni proprio in pienocentro città, con danni ben maggiori),sarebbe veramente criminale.

Se vogliamo raccogliere la raccomanda-zione del prof. Seminara dobbiamo inve-ce invertire completamente la rotta: dob-biamo cioè smantellare le strade di fon-

dovalle per ricostruirle aquota più elevata (a mezzacosta) e restituire l’interospazio ai torrenti oggi sepolti.I torrenti così ricostruiti, per laloro larghezza, sinuosità e sca-brezza, rallenteranno sensibil-mente il deflusso delle pieneriducendo il rischio alluviona-le. Un esempio-tipo di taliinterventi - che dovremmo pia-nificare in tutti i bacini monta-ni - è mostrato nella simulazio-ne grafica della Fig. 4.

Eliminare marmettola eterre dai ravanetiIl prof. Seminara ha conferma-to quanto sosteniamo, inascol-tati, da anni: i vecchi ravane-ti, accumulatisi ai tempi delle

“varate” con esplosivo e del filo elicoida-le, sono costituiti quasi esclusivamente dascaglie; pertanto funzionano come spu-gne che assorbono grandi quantità diacque meteoriche e le rilasciano poi len-tamente, fornendo così un importantecontributo alla riduzione dei picchi dipiena.

I nuovi ravaneti, invece, contengonograndi quantità di marmettola e terreche, inzuppandosi, tendono a liquefarsifavorendo l’innesco di debris flow(cola-te detritiche) che vanno a colmare glialvei sottostanti riducendone la capacitàidraulica e favorendone l’esondazione.

Esaminando i dati della pesa comunale sideduce che ogni anno vengono abban-donate al monte (violando la legge e lestesse prescrizioni dell’autorizzazioneall’escavazione) oltre mezzo milione ditonnellate di terre, una quantità cheSeminara non ha esitato a definire inso-stenibile. Questa pratica, abusiva ma tol-lerata, ha cambiato perfino il paesaggio:

segue a pag. 3

Fig. 1: Canale di Sponda, oggi. L’alveo ristretto è confinato in uncanale in cemento per “guadagnare” spazio per la strada perRavaccione.

Foto Legambiente

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i sulla città

Page 3: Gianmaria Lenelli Sacque meteoriche e le rilasciano poi len-tamente, fornendo così un importante contributo alla riduzione dei picchi di piena. I nuovi ravaneti, invece, contengono

trentadue aprile 2016 3

La fabbrica del... da pag. 2i ravaneti, infatti, un tempo bianchi, stan-no assumendo il colore della miscela diterre e marmettola.Sorvolando in questa sede suldanno economico (per il man-cato versamento del contributoregionale) e sull’inquinamentodelle sorgenti, limitiamoci aconsiderare solo il rischio allu-vionale che le cave, col tacitoconsenso del Comune, scarica-no sulla città abbandonando leterre al monte.

Considerato che i ravaneti disole scaglie riducono il rischioalluvionale e quelli contenentiterre lo aumentano, la soluzio-ne è elementare: Carrara habisogno di un grandioso inter-vento che preveda lo smantel-lamento di tutti i ravaneti recenti, dasottoporre a vagliatura e all’allontana-

mento delle terre e da ricostruire con lesole scaglie pulite. Ovviamente, per nonvanificare l’intervento, occorrerà porre

alle cave prescrizioni ferree sul manteni-mento di una pulizia assoluta nelle cave,

pena l’immediato e definitivo ritiro del-l’autorizzazione. In tal modo i ravanetiripuliti si comporterebbero da spugne,

svolgendo un ruolo in qualchemodo analogo a quello deiprevisti bacini montani dilaminazione delle piene.

Salvare i ponti storiciMerita evidenziare che l’im-portante riduzione delrischio alluvionale consegui-bile con questi due grandiosiinterventi (ripulitura dei rava-neti e ripristino degli alveioggi soffocati da strade)con-sentirebbe con ogni probabi-lità di salvare anche i pontistorici in centro città deiquali è previsto l’abbatti-mento o la sopraelevazione.Una ragione in più per racco-

gliere le raccomandazioni e tradurle subi-to in atti concreti.

Fig. 2: Simulazione grafica di un intervento di rinaturalizzazione,con restituzione all’alveo dell’intero spazio di fondovalle e ricostru-zione della strada ad una quota più elevata (a destra); estendendo que-sto approccio a tutti gli alvei montani oggi sepolti da strade si otter-rebbe una notevole riduzione del rischio alluvionale a valle.

Foto Legambiente

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Piagnistei ... da pag. 1temporanea del flusso di gua-dagni al nero, e la vita potrem-mo dire pseudo “paradisiaca”di alcuni soggetti coinvolti,legata alle vetture di lusso eall’ostentazione del successo,insomma allo scarto più cheevidente tra chi trasforma ilmarmo in ricchezza e chi dimarmo patisce, sia esso unlavoratore del settore o un cit-tadino qualunque che subiscel’arroganza dei “predatori” delmarmo.

Filiera oscuraSe le indagini riguardano per lopiù la lavorazione “al piano”del marmo, ciò non toglie checi sia spesso contiguità con lafase di estrazione, caratterizza-ta da problemi ambientali (pol-veri, rumori, inquinamentodelle sorgenti, dissesto idro-geologico) e di convivenza (sipensi ai rischi che corrono gliautomobilisti incrociando sullestrade dei paesi a monte icamion del marmo, alla distru-zione del manto stradale, allefrane che incombono sulle casedi molti nostri concittadini).

(Ri)corsi e ricorsiE pensare che a ogni variazio-

ne in aumento degli oneri delmarmo subito c’è un sorgeredi lamenti contro le ammini-strazioni comunali, “cattive”,che non capiscono quanto siadifficile, oneroso e rischiosocavare il marmo e quantoquindi non sia possibile “daredi più”. Ecco allora i ricorsi,sport preferito dai localiprenditori del marmo, confedele alleata la politica chefinora ha collezionato tuttauna serie di sconfitte giudi-ziarie a causa della pessimaqualità del suo amministrare.

Sotto sottoSottofatturare, sottostimare,sottacere sono i verbi preferi-ti nel mondo del marmo,anche se le cave stanno sopra,sopra le nostre teste, forse perquesto avvolte da dense nubi,nella nebbia che tutto nascon-de e non permette di svelare.Saltano così fuori fantomati-che proprietà private che,come per magia si trasforma-no in cave, cioè agri marmife-ri, in barba alla collettività chene è la secolare proprietaria eusufruttuaria.

Novelli indoviniÈ l’amministrazione comuna-

le stessa che dà il via alla sot-tostima di quanto esce dallenostre cave, utilizzando ilprincipio del “valore mediodi produzione di ciascunacava”. Come novello indovi-no Aronte, che “ebbe tra’ bian-chi marmi la spelonca/per suadimora”, l’ufficio marmo rie-sce a predire, con la collabora-zione della azienda di escava-zione coinvolta, cosa usciràfuori da quella parete o banca-ta nei prossimi 2 anni. Il tutto ovviamente senzadover utilizzare la sfera magi-ca, ma nemmeno le tecnologiepiù recenti e sofisticate, chepotrebbero dare un freno afacile abusi.

Prenditoria locale 1Ecco che il 20/6/2015 laSaGeVan, una di quelle azien-de colte con le mani nella mar-mellata sottofatturata, apriva isuoi locali alla commissionecomunale marmo per una visi-ta al suo stabilimento emostrare lavorazione, tecnolo-gia, protezione dell’ambiente,filiera corta, insomma permettere in mostra la evidentecapacità industriale di ungruppo efficiente e innovati-vo.

Prenditoria locale 2Che dire poi dellaFiordichiara srl, autorizzataall’escavazione nella omoni-ma cava 76 (Fiordichiara B)fino al 2013, quando lesubentra (con delibera diGiunta e determina del diri-gente al marmo) la CMVmarmi srl. Oggi la cava 76 è posta sottosequestro per bancarotta frau-dolenta e il Comune diCarrara vanta nei confrontidella Fiordichiara srl un cre-dito di oltre 300.000Û. Se fossero stati soldi vostri,avreste autorizzato un similetrasferimento o avreste primarichiesto il saldo del debito?

Prenditoria locale 3Per rifarci a un detto latino,molto in voga in vari campidell’umano sapere, tertiumnon datur, citiamo anchequanto avvenuto nella cava46 Polvaccio dove è statolicenziato un cavatore addu-cendo motivazioni legate allaattuale difficoltà di escavaremateriale vendibile: peccatoche la cava in questione sonoalmeno dieci anni che estraeuna percentuale di gran lungainferiore al 10%.

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Ci si lamenta perchètanti cittadini sonodisgustati della politi-

ca, ma se la politica continua aprodurre minestre riscaldate,come questo Regolamento, laresponsabilità dell’antipoliticamontante non è loro, ma di chigoverna e amministra facendosempre le stesse cose, omeglio gli stessi errori, senzamai avere il coraggio diimboccare strade nuove e diinnovazione.Con questo Regolamento sicontinua a percorrere la stessastrada di sempre che avviliscee impoverisce la città.Abbiamo il Sindaco che ha giàcominciato a vantarsi del suonulla, gli industriali, a lorovolta, minacciano o hanno giàfatto ricorsi e li vinceranno,come quasi sempre. Il nero, che è già sistematiconel commercio del marmo,crescerà anche per quantoriguarda la produzione. E’ realistico e doveroso pensa-re che chi evade nella venditacerchi di evadere anche nellaproduzione. Alla fine chi avràperso saremo solo noi cittadi-ni: le montagne saranno deva-state, la ricchezza che produ-cono rimarrà nella mani dipochi assenteisti dal territorioe l’amministrazione diventeràancor più paurosa del poteredi chi estrae marmi, di quantonon sia stata finora.Questa amministrazione nonha il coraggio di innovare e sitiene stretta al principio delcosiddetto valore mediodella produzione delle cave.Ma il valore medio è, a priori,un valore al ribasso che sfug-ge a ogni serio controllo econsente abusi di ogni genere,come quelli che oggi, sui gior-nali, vengono denunciati, dimilioni di evasione fiscalenella commercializzazione.

Il valore medio è una bufala,non esiste, è solo un accordoalla grossa tra amministrazio-ne e industriali. O meglio nonè neanche un accordo di mas-sima, ma il prodotto di unrapporto di forza tra industria-li, sempre vincenti e ammini-strazione sempre perdente.

Il valore medio sottostima ilvalore della produzione delmarmo. Il valore commercialedichiarato del marmo, noncorrisponde al valore realedi mercato. E questo è undanno per le casse delComune e per quelle dellaRegione e dello Stato.Non ha senso parlare divalore medio se, prima ditutto non si istituisce unosservatorio dei prezzi delmarmo. Se non c’è questo, dicosa si discute? Su cosa sidovrebbe fare questa media?Una volta stabilito questoOsservatorio, il solo modoefficace, attualmente, peraccertare il valore reale delmarmo escavato e trasporta-to giù dalle cave è il control-lo diretto della produzionecamion per camion, al

momento in cui questi pas-sano dalle pese.Se non si istituisce questocontrollo, con tecnici espertiche valutino, caso per caso,il valore e la qualità dei bloc-chi, degli informi, eccetera, ilvalore reale della produzionesfuggirà all’amministrazione. I controlli che in modo inde-terminato e difficilmenteattuabili il Regolamentoindica e il Sindaco vanta, sonosolo palliativi, armi spuntate einefficaci, giusto per dire che icontrolli ci sono, perchè difatto non sono stati e non sonoefficaci.

Di fatto il controllo del valoredell’escavato si basa essen-zialmente su quello chedichiarano i produttori, cioè icontrollati controllano se stes-si e i controllori accettano esubiscono questa farsa.

So già l’obiezione che vienefatta a questa proposta: il suocosto. Ma basta riflettereanche solo sulle cronache dioggi che denunciano l’evasio-ne fiscale enorme, le falsefatturazioni e altri crimini,per quanto riguarda la venditadel marmo. Se la produzionefosse stata tutta censita e regi-strata, blocco per blocco,camion per camion, cassoneper cassone, non si potrebbevendere un blocco di primacome se fosse un informe ofacendosene pagare una parte

in nero. Il controllo dell’eva-sione sarebbe facile. E’perquesto che nessuno lo vuole.Un blocco accertato e censitodi prima scelta non potrebbepassare mai per blocco di infe-riore qualità ed essere vendutoin buona parte al nero.Penso che i controlli reali enon ipotetici come quelli chevuole invece l’amministra-zione, assicurerebbero introitinelle casse comunali, regiona-li e nazionali tali da ripa-gare ampiamente lo stipendiodei tecnici controllori. Senzacontare i posti di lavoro che inquesto modo si creerebbero.

Il Sindaco si vanta sulla stam-pa che la prova che il regola-mento va a vantaggio dellacittà e che è buono, è dato dalfatto che gli industriali giàannunciano ricorsi.Diciamolo una buona volta: sitratta di un gioco della partiche dura ormai da decenni, pernon dire da secoli. E’ il giocodel gatto e della volpe chesembrano accapigliarsi e inve-ce sono pienamente d’accor-do. Già le vanterie del Sindacodimostrano che l’amministra-zione ha paura e mette le maniavanti. Così di fatto si sa giàche l’amministrazione nonesigerà quanto potrebbe edovrebbe, ma cercherà di fattouna mediazione e, anche se lalegge la proibisce, contratterà,di fatto, con gli industriali ilvalore delle cave al ribasso.E’ un gioco delle parti che siripete automaticamente, scon-tato, grazie al quale la cittàperde sempre, perchè regolar-mente vincono gli industriali espuntano in anticipo la ridu-zione di quanto dovrebberopagare.Ma la soluzione definitiva ditutti questi problemi, - credo -come altre volte, in questoConsiglio ho già proposto,sia l’istituzione di un depositocomunale per tutto l’escava-to, nel quale tutti i blocchi -che restano di proprietà del-l’escavatore - entrino con laloro classificazione tecnicaprecisa, in modo che il loro

segue a pag. 5

Agri marmiferi

La minestra riscaldatadel regolamentoGiuseppe Scattina

Cava Canalbianco: discarica detriti nel fosso demaniale del Serrone con distruzione del bosco

Foto F. De Pasquale

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La minestra ... da pag. 4prezzo sia noto e riscontrabileda tutti i possibili acquiren-ti, dalla Finanza e dai tecnicidel Comune. Il problema dellasottovalutazione del valoredel materiale escavato spari-rebbe immediatamente escomparirebbe la possibilitàdi vendere con fatturazionifasulle e la riscossione in nerodi parte del prezzo del mate-riale venduto. So bene che èuna proposta complessa, daarticolare e studiare bene,ma penso che solo in questomodo sia possibile controllarerealmente l’escavazione e lacommercializzazione delmarmo . Naturalmente di tuttoquesto, nel Regolamento nonc’è traccia e preoccupazione,perchè ripropone sempre la

stessa minestra riscaldatache non risolve nessun pro-blema, ma lo rimanda all’infi-nito.E’ anche di questo che vogliorimproverare l’amministra-zione. E’ così banale e piattala sua attività che non solodisgusta i cittadini, macostringe i consiglieri, i parti-ti, i sindacati e chiunquesenta il dovere civico dellapartecipazione politica adoversi confrontare eterna-mente con le stesse proposte egli stessi discorsi dellaGiunta. Una Giunta piatta,appiattisce anche il dibattitopolitico, il confronto delleidee, la ricerca di novità dicui invece la città ha estrema-mente bisogno per uscire dalsuo angosciante grigiore.

Cava Canalbianco: discarica detriti nel fosso

demaniale del Serrone condistruzione del bosco

Foto F. De Pasquale

Massa

C’é Art. 18e Art. 18L’Art. 18 delle Leggi di Pubblica Sicurezzaemanato dal fascismo,nel 1931, utilizzato perdenunciare i manifestantia favore dell’articolo 18dello Statuto dei lavoratori

Marco Lenzoni

L’articolo 18 chepiace a lor signorinon è quello dello

statuto dei lavoratori. Negliultimi 15 anni l’articolo 18dello Statuto dei lavoratori hasubito continui attacchi finoad arrivare alla sua cancella-zione definitiva avvenuta adopera del governo del PD, diRenzi, della famiglia Boschi edi Verdini. In tutto il paese sono statemigliaia le manifestazioni diprotesta contro questo golpelegislativo che è andato a can-cellare di fatto i diritti costitu-zionali dei lavoratori.Nell’Italiatta Pontificia, dove,almeno sulla carta, il diritto allavoro doveva essere garanti-

to, il PD cambia le carte intavola cancellando decenni edecenni di lotte per il progres-so sociale. Oggi, anche sulla carta, illavoro non è più un diritto oalmeno lo è fino a quando unpadrone o un dirigente delpubblico impiego non decidedi mandarti a casa.Tra le mille manifestazioniche si sono susseguite in tuttoil paese, c’è anche quella diMassa Carrara, del pomerig-gio del 3 dicembre 2014, allaquale ho preso parte, insiemead un nutrito gruppo di stu-denti, disoccupati e lavoratori.Il presidio era stato organizza-to sotto il comune, dove cisono stati interventi, volanti-naggi e slogan. Al suo sciogli-mento, molti dei partecipantihanno deciso liberamente difinire la serata in segno di pro-testa sotto la vicina sede delPD, il partito, principaleresponsabile dello scempiodello Statuto dei lavoratori. A 14 mesi dal quel pomerig-gio di dicembre, sono statochiamato presso gli ufficidella Questura di Massa, perritirare un verbale di notifica,che mi avvisa dell’avvenutaconclusione delle indagini neimiei confronti a riguardo dellaviolazione dell’articolo 18 del

“Testo unico delle Leggi diPubblica Sicurezza” emanatodal regime fascista nel 1931.L’articolo 18 fascista, quelloche Renzi il PD e a lor “signo-ri”, i padroni, non voglionocancellare nonostante sia unalegge del regime fascistaimpone che: i promotori diuna riunione in luogo pubbli-co o aperto al pubblico devo-no darne avviso, almeno tregiorni prima, al Questore.E’considerata pubblica ancheuna riunione, che, sebbeneindetta in forma privata, tutta-via per il luogo in cui saràtenuta, o per il numero dellepersone che dovranno interve-nirvi, o per lo scopo o l’ogget-to di essa, ha carattere di riu-nione non privata. I contrav-ventori sono puniti con l’arre-sto fino a sei mesi e con l’am-menda da Û 103,00 a 413,00.Con le stesse pene sono puniticoloro che nelle riunioni pre-dette prendono la parola. IlQuestore, nel caso di omessoavviso ovvero per ragioni diordine pubblico, di moralità odi sanità pubblica, può impe-dire che la riunione abbialuogo e può, per le stesseragioni, prescrivere modalitàdi tempo e di luogo alla riu-nione. I contravventori aldivieto o alle prescrizioni del-

l’autorità sono puniti conl’ar resto fino a un anno e conl’ammenda da Û 206,00 a Û413,00. Insomma il governo di Renzi-Verdini cancella laCostituzione e l’ART 18 epunisce il dissenso con l’ART18 del codice fascista, oltre aldanno per i lavoratori la beffa!L’accusa controfirmata dalpubblico ministero ValeriaPalmegiani, del foro di Massa,riecheggia l’atmosfera delventennio, persino i termini eil linguaggio sembrano fissatiagli anni 30: “Perchè, in occasione di unamanifestazione statica di cuiera regolarmente notiziatal’Autori-tà, incitando imanifestanti a seguirlo rag-giungendo la sede del PD,promuoveva, senza avernedato previo avviso alQuestore, la costituzione diun corteo da via PortaFabbrica - luogo della mani-festazione regolare - fino allasede del PD sita in viaDante; in Massa il 3.12.2014Recidiva specifica, reiteratainfraquinquennale”Un governo che cancella laCostituzione e i diritti deilavoratori e che punisce il dis-senso, usando le leggi liberti

segue a pag. 6

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Carrara

Prove di coalizioni civiche

Lo scollamento tra elettori da unaparte e i partiti, i governi, leamministrazioni locali, gli enti

pubblici è sempre più ampio; èfenomeno europeo e nordamerica-no e riguarda molto gli elettorigenericamente di “sinistra”.Delusi da un trentennio almeno dipolitiche antisociali delle istitu-zioni, che potremmo definire sin-teticamente socialdemocratico-neoliberiste, che si sono alleatecon i poteri finanziari, le banche,la grande industria e il commer-cio, internazionale contro i lavora-tori, le classi popolari, i marginalie il welfare.

Guerra ai deboliIl capitale ha lanciato una nuovaguerra esplicita contro i lavoratorie le classi “subalterne”, i poveri ei marginali, le minoranze nonomologate, i disoccupati, gli han-dicappati, i malati per ridurre laspesa pubblica necessaria ad assi-curare loro almeno il minimo vita-le, il rispetto di alcuni loro dirittiumani fondamentali: alimentazio-ne, salute, abitazione, educazione e for-mazione, lavoro, libertà e partecipazione.Il welfare deperisce e ogni giorno si per-dono servizi essenziali.

L’esempio del NoaCome esempio immediato basta il Noa, ilnuovo ospedale che deve sostituire, pergli acuti, tutti gli ospedali della provincia.Il numero dei letti è drasticamente dimi-nuito, si viene dimessi a velocità superso-nica, anche se sofferenti e ricorrere alpronto soccorso significa perdere decinedi ore in una sala di attesa scomoda,sovraffollata , antiigienica. La salute nonè più un diritto ma un optional per chi hadenaro e un ricordo per tutti gli altri, viste

le liste di attesa bibliche per esami com-plessi e i costi di quelli routinari. Aziendasanitaria pubblica: azienda appunto cheproduce profitti e offre in cambio servizi,sempre più scarsi e mediocri perciò. E chipuò, si rivolga alle aziende private i cuiservizi sono immediati, buoni e a paga-mento.

Diritti negatiAnche altrui diritti fondamentali sonosotto attacco, diminuiscono e vengononegati: dall’occupazione alla partecipa-zione, dall’eguaglianza, alla giustizia dsamministrare con equità e rapidità.

Ma quale crescita!La globalizzazione della finanza e ladelocalizzazione delle imprese impedi-scono e impediranno sempre di più qual-siasi crescita dell’occupazione, fino aquando i salari occidentali, nei progettidel neoliberismo dominante, non sarannoscesi a livello di quelli coreani, cinesi eindiani. E’un’illusione che si possa usci-

re dalla crisi, puntando a produzioni alta-mente qualificate ed eccellenti.L’eccellenza incide sull’occupazione alivelli molto bassi.

Connivenze della “sinistra” La perdita di diritti, l’abbassamento dellaqualità della vita, la riduzione e il peggio-ramento costante dei servizi essenzialisono il risultato di scelte decise sì dallecentrali del potere economico-finanziariocapitalistico e neoliberista, ma condivise

in linea di massima, anche dalleforze che un tempo si definivanodi sinistra e, senza pensare a rivo-luzioni di qualsiasi genere, ave-vano nei loro programmi e nelleloro filosofie politiche, qualcheforma di giustizia sociale, di redi-stribuzione della ricchezza, diriforme di struttura, di estensionedei diritti civili e politici, di allar-gamento della democrazia e dellapartecipazione, di decentramentoe potenziamento dei governi loca-li, di controllo del parlamento edegli organismi elettivi sui gover-ni nazionali e locali, di sistemielettorali proporzionali.Perchè di tutto questo ormai nonparlano ormai che piccole mino-ranza, mentre i grandi partiti di“sinistra” sono completamentescomparsi e quelli che se nedichiarano eredi e continuatori,hanno fatta propria l’ideologianeoliberista e collaborano ancoraattivamente a smantellare ogni

minimo accenno di sopravvivenza deivalori della sinistra? I sindaci di fatto sono dei podestà, i pre-sidenti della giunta regionale, si chiama-no governatori, il presidente del consigliosi chiama “premier”, il senato viene abo-lito e il parlamento è diventato un granconsiglio, designato da chi governa e hal’ordine di ratificare quanto deciso al suoesterno . La democrazia arretra e la sini-stra non esiste più.

Il popolo non è più sovranoIl popolo sovrano assiste con senso diimpotenza se non, di indifferenza, allasua perdita di potere. «La società - hascritto Serge Halimi su Le Monde diplo-matique - è pervasa ormai dalla convin-zione che questo sistema è diventato irri-formabile, che le disuguaglianze non pos-sono che aumentare, che le crisi non inse-gneranno nulla».

La catastrofe del liberismoMa se il riformismo delle “sinistre” è fal-

C’é Art. 18 e Art ... da pag. 5cide del regime fascista, non può esseredefinito in nessun altro modo se non conil termine FASCISTA! Per questo moti-vo faccio appello a tutti i lavoratori e lelavoratrici a non rassegnarsi a questeviolenze e alla cancellazione dei diritti,prima di tutto usando la solidarietà comeun’arma per difendersi e per attaccare.Questo regime di banchieri, cardinali,industriali, massoni e mafiosi deve cade-re come è caduto il regime fascista diMussolini! Nulla può fermare il movimento deilavoratori cosciente e organizzato! L’ART 18 dello statuto dei lavoratori loriscriveremo con il nostro sangue e lofaremo digerire agli industriali una voltaper tutte.

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lito, anche il progetto neoliberista nongode di ottima salute, perchè non funzio-na da nessuna parte e accresce motivi discontro, di guerre, di ribellioni, di terrori-smo e di scontento. Ci sono quindi,secondo ancora Halimi, anche segnalipositivi di opposizione a questa derivaantidemocratica e neoliberista globalizza-ta.

Piccoli movimenti cresconoI movimenti popolari e la nascita di“nuove figure della contestazione” comePodemos, l’elezione dei sindaci diMadrid e Barcellona, Sanders negli Usa,e gli infiniti comitati con finalità limitateal locale, ma che toccano invece interessiglobali (l’ambiente, la salvaguardia dellasalute, la vivibilità e riqualificazione delterritorio, le sue dimensioni sociali, l’op-posizione allo sfruttamento industriale eai modi di produzioneesistenti, i sistemi dicomunicazione dimassa, ecc.) dimostra-no che è possibile cam-biare, ma solo, parten-do dal basso e da lottedi massa e mettendofuori gioco, le forze e leorganizzazioni politi-che e sindacali tradizio-nali, di destra e dicosiddetta sinistra. Forse l’analisi diHalimi è eccessiva-mente ottimistica,,riguardando più l’occi-dente, che non il restodel mondo, ma il pesodelle lotte e dell’impe-gno, nella maturazionedi coscienze politichenon omologabili al difuori delle forze politi-che organizzate, è evidente anche da noi,e non da oggi.

Disistima totaleIn questo comune la maggioranza dellapopolazione non ha più nessuna fiducia estima degli amministratori locali, dei par-titi e dei sindacati che continuano adavere il potere, ma non il consenso. Esenza consenso si governa poco e male.Sempre. La giunta di Carrara e il consi-glio comunale ogni volta che si riunisco-no, vengono sbeffeggiati unanimementee accusati di ogni peggiore vizio e disone-stà. fin oltre i loro indubbi, gravi demeri-ti, mentre quelli che li hanno eletti emagari continueranno a votarli, per abitu-dine, per opportunismo, per inerzia, non

sentono di doverli difendere. Anche i tentativi di rinnovare, dal di den-tro, la classe dirigente dei partiti, si sonoscontrati e si scontrano con la volontà dichi li controlla di restare a galla per cuivengono cooptato negli organi dirigenti onei consigli, solo giovani scialbi e incon-sistenti, ragazzotti del sì assicurato.

L’ opposizione dei partitiLe opposizioni di destra e sinistra, sesono espressione di partiti tradizionali,con una storia alle spalle, sono oggettodella stessa disistima a priori nei con-fronti di chi governa e amministra. “Ma dove eri tu negli ultimi anni, quan-do...?” è la richiesta di rendiconto checondanna alla morte politica se non civi-le, chi ha militato in qualche partito,anche se magari succede di vedere cheviene avanzata da chi, nei partiti, ci ha

svernato e fatto fortuna.

L’opposizione dei movimentiLe opposizioni costituite dalle liste civi-che, senza passati politici e scheletri negliarmadi di cui dover rispondere, hannoevidentemente vita più facile e riesco-no a prendere voti, proprio grazie all’in-transigenza verso i partiti tradizionali ealla possibilità di presentare candidatisenza passato politico.

DemeritiI vecchi della classe politica dirigente,attuale, questa volta, non hanno nessunapossibilità di riciclarsi. Nessuno li vuole.O resistono da soli, o, finalmente, scom-pariranno. Le cariche ricoperte, assesso-

rati, appartenenza alla maggioranza neiconsigli comunali, in Regione o inParlamento, o in enti pubblici costituisco-no demerito, sono marchi negativi. Comeessere stati membri delle segreterie deipartiti, o aver svolto ruoli al loro servi-zio. Magari qualcuno dei vecchi ci tenta,fidando nella dimenticanza, perchè lenuove formazioni, estemporanee e natespesso solo come comitati elettorali, sonocostituite prevalentemente da giovani oneofiti della politica e non hanno memo-rie sedimentate sui vecchi protagonistidella vita politica locale.

5 stelle e liste civicheEntrando nei dettagli, i 5 stelle, la consi-gliera Bienaimé, il consigliere Scattina,godono di indubbi apprezzamenti positivida parte di quei cittadini che hanno con-testato la giunta e il sindaco, specie dopo

l’alluvione. Le destremolto meno, perchèhanno fatto poco espesso in modo ambi-guo tenendo il piede indue scarpe. In prossimità delleamministrative, i 5 stel-le non hanno problemi,la loro linea è già trac-ciata, non vogliono inlista nessuno che abbiauna storia di partecipa-zione ad amministra-zioni precedenti oesponenti dei partititradizionali desiderosidi ricollocarsi. Perciònon faranno neancheaccordi di coalizione.Propongono solo divenir appoggiati dalleliste civiche e dalledestre nel caso fossero

loro ad andare al ballottaggio e si impe-gnerebbero a votare per le liste civiche ole destre, nella situazione inversa, chefossero queste a doverlo affrontare.Hanno il vento in poppa e finchè durerà,non cambieranno linea.

Liste civiche: la difficile quadraturaLe liste civiche locali autentiche - nonquelle fasulle di appoggio al candidatosindaco dei partiti tradizionali - hannoportato, nel consiglio comunale in sca-denza, la Bienaimé. Ma si è trattato, allo-ra, di una coalizione mista e improvvisa-ta di cittadini che volevano fare “qualco-sa” per la città e di liste di partitini comeDi Pietro, verdi, associazionismo e vari

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Cava Canalbianco: discarica di detriti nel fossodemaniale del Serrone con distruzione del bosco

Foto F. De Pasquale

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ex. Oggettivamente un mescolone diposizioni differenti che difficilmenteavrebbero potuto convivere, se non fosseche, essendo solo dei comitati elettorali,passate le elezioni, non hanno fatto piùniente assieme. E’ la Bienaimé che ha poi dato dignità,continuità e coerenza al programma elet-torale, al di là dell’insussistente coalizio-ne, con la sua attività intensa e partecipa-ta di consigliera comunale.

Decisi nel no, ma per dove? Oggi quelli che hanno eletto la Bienaimé,ma soprattutto quanti, in questi anni,hanno organizzato comitati per il porto,per la sicurezza del Carrione, per il risa-namento dell’ambiente, per il recupero dizone degradate, peril rilancio dellacittà, contro le scel-te urbanistiche uffi-ciali, ecc., sono difronte alla necessitàdi organizzarsi,decidere un pro-gramma e darsi unalinea politica. Difficile poter dire,dove andranno aparare, perchè sesono stati determi-nati contro la giuntae contro la sua mag-gioranza, non altret-tanto chiara è statala direzione versocui intendevano e intendono muoversi.

Limiti e vizi dei movimentiE’ il limite di tutti i movimenti che sannodire dei no decisi, hanno alcuni pezzi diprogramma molto chiari, ma non hanno,in genere, una visione politica definita ecoerente, per cui su tanti problemi o nondicono niente, o esprimono posizioniconservatrici,opportuniste, qualunquistee reazionarie in contraddizione con altreinvece avanzate e rinnovatrici. Vannodove li porta l’opinione pubblica media-mediocre. Dominano i moderati e mancail coraggio di scelte radicali.La confusione è grande sotto i loro cieli,e non è detto che sia per ciò stesso ottima.Il qualunquismo è, per i movimenti,quando decidono di impegnarsi nellecompetizioni elettorali, qualcosa di più diun rischio. Il rifiuto delle ideologie e la convinzionedogmatica della loro morte, è la loroideologia più preoccupante. La tendenza integralista a riversare ogniresponsabilità della crisi della città solo

sulla classe politica e gli amministratori,è una lettura superficiale della realtà poli-tica e della città. Ipoparanoide - verrebbeda dire, ricorrendo alle distinzioni dei tipidi moralità disturbata di Money-Kyrle -,perchè permette di deresponsabilizzarsi edi riciclarsi, proiettando i propri sensi dicolpa totalmente sugli altri. Perchè tuttihanno, inevitabilmente, un passato politi-co, magari per indifferenza e assenza. E il“Dove eri loro quando...?” vale per tutti.

Il chi è della crisiIn questo modo non vengono individuatila complessità e tutti gli attori della crisiattuale della città, che sono molto piùnumerosi, forti e pervasivi di quanto nonsi veda e sappia, dalla mafia alla grande

finanza, e non viene colto che gli stessiamministratori e gli esponenti di partitosono stati pedine, consenzienti e colluse,ma pedine di interessi colossali che trava-licavano e travalicano lo stretto ambitolocale e nazionale e non erano loro a con-durre il gioco.

Ma i nemici dei miei nemici sono sempre miei amici?Infine la lettura improvvisata e naive delterritorio spinge a considerare tutti inemici dei miei nemici, come miei amici.Così, ogni coalizione o lista elettoralerischia di diventare un pastone di interes-si, idee, posizioni, tendenze, inconciliabi-li. Dire no è necessario, ma ci si deve rende-re conto che ci sono “no” e “no” e chepossono portare in direzioni differenti. In altre parole, se gli attori delle “nuovefigure della contestazione” sono statidecisi, al tempo dell’alluvione, control'establishment locale, dove voglianoandare concretamente è invece molto piùindeterminato e incerto.

“Recuperare” gli astensionisti?Un altro limite delle liste civiche e deimovimenti è quello di proporsi il “recu-pero” degli astensionisti, come se gliastensionisti fossero tanti handicappatipolitici da rieducare e ricondurre sullaretta via e non cittadini autonomi e criti-camente attivi e consapevoli, che hannofatto altre scelte e attività politiche, benprima che nascessero queste nuove formedella contestazione. Non penso che gli astensionisti collabore-ranno in massa alle nuove liste civiche:non attendono di essere “recuperati”, enon sono disponibili a votare il menopeggio o programmi generici e contrad-dittori come quelli che nascerebbero daliste o coalizioni che comprendessero

fuorusciti da sini-stra del Pd, verdi,ex verdi, ex tutto,Forza Italia, extra-p a r l a m e n t a r i ,Destra della Melonicon l’aggiunta diqualche legista erazzista che chiedala chiusura dellefrontiere agli immi-grati, la cacciata deirom e delle mino-ranze di ogni gene-re e le ronde dei cit-tadini per mantene-re l’ordine pubbli-co.

Un passaggio obbligatorio Le liste civiche sono a un passaggio chenon possono eludere: per svolgere unruolo che incida, devono scegliere da cheparte stare. Se sperano di barcamenarsi, mettendo daparte i problemi più spinosi dai diritti sullavoro, a quelli sociali, a quelli posti dal-l’immigrazione, a quelli civili, alla neces-sità di opporsi alla privatizzazione deiservizi, della sanità, dell’acqua,, ecc.resteranno a livello elettorale di prefissitelefonici. Il centro del qualunquismo è ormai occu-pato saldamente da altre forze e a loronon spetterebbero che un po’ di briciole.

E va ancora una volta chiarito che nuoveorganizzazioni politiche e una nuovaclasse dirigente non si formano a tavoli-no, in vista delle elezioni. individuandominimi comuni denominatori tra inconci-liabili, ma solo attraverso e nel corso dilotte quotidiane, piccole e grandi, peraffermare e difendere diritti e libertà fon-damentali e quotidiane di tutti.

ma i furbetti che scaricano le terre alle cave non li vedono?

dal sito dell’Assemblea Permanente

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La scatola di... da pag. 1 Carrara stava per chiudere.Nel corso del tempo Esterinaaveva esaurito tutte le scusepossibili per rimandarel’evento: ogni dodici mesispuntava quasi magicamentedella merce da liquidare o unnuovo magazzino stivato dicapi che non aspettavano altroche essere venduti. In realtà iosapevo che, di nascosto datutti, continuavano a farle visi-ta quelli che lei chiamava i“viaggiatori” ma che in realtànon erano altro che i suoi sto-rici grossisti. Insomma, leiproseguiva a rifornirsi dimerce e di andare in pensionenon voleva proprio sentirneparlare. In quel 2006 peròEsterina ebbe diversi acciac-chi fisici, fu costretta più volteal ricovero in ospedale e miopadre era finalmente riuscito aconvincerla ad abbassare lasaracinesca. L’ultimo giornodi apertura sarebbe stato il 31dicembre. Attorno agli ultimigiorni di ottobre la nonna michiamò e mi chiese di andare afarle visita. Lo feci la mattinasuccessiva e, a sorpresa,Esterina era diventata moltoloquace su argomenti di cui,fino a quel giorno, non avevamai voluto parlare.«Praticamente dalla fine dellaguerra ogni giorno sono entra-ta in questo negozio, ho accol-to migliaia di clienti e vendutopiù di un milione di capi diabbigliamento. Adesso che stoper chiudere è arrivato ilmomento di raccontare ciòche accadde prima,durante le leggi razzialie la guerra. Ti avvertoche ci vorranno moltigiorni e tu dovrai averela pazienza di ascoltar-mi».?Da quel giorno dimaggio del 1979 in cuiper la prima volta glichiesi “in cosa gli ebreifossero diversi daglialtri” avevo aspettato 27anni per ascoltare quelracconto e potevo tran-quillamente pazientarequalche giorno in più perconoscerlo. In fondo eraciò che volevo. «La mia

esperienza te la racconterò trapoco, ma nei prossimi giorniparleremo di alcune storie cheho raccolto nel corso deglianni e che per molti aspettisono emblematiche della sto-ria degli ebrei italiani dal-l’apertura dei ghetti e quindidal 1848 a oggi. Ricorda peròche io ho fatto la quarta ele-mentare e non ho la capacitàdi analizzare quello che rac-conterò dal punto di vista sto-rico. In questo dovrai aiutarmitu».Mentre pronunciava questeparole Esterina si alzò dallasedia che era collocata all’ini-zio del negozio subito dopo lavetrina e andò dietro il lungobancone dal quale serviva iclienti. In fondo al banconec’era il registratore di cassa enegli scaffali di fronte alcunesplendide e grosse scatole dilegno scuro, probabilmentecostruite su misura e nellequali un tempo raccoglieval’assortimento di merceria.Estrasse una di quelle scatolee si diresse verso di memostrando un po’di faticadovuta, oltreché dall’età, dalpeso di quel contenitore.Giunta in fondo al banconeposò la scatola e tolse il coper-chio. Rimasi esterrefatto daquel che vidi all’interno diquel parallelepipedo di legno:un’incredibile quantità di libri,riviste, foto, ritagli di giornalee documenti pazientementeraccolti in sessant’anni e pun-tigliosamente catalogati. Rimasi colpito da come tanta

documentazione potesse esse-re inserita in un contenitoredalle dimensioni comunqueridotte ma tanti anni di lavorocome commerciante le aveva-no insegnato anche questacapacità. Aveva rimosso etaciuto per tutto questo tempo,ma intanto aveva ricostruito insilenzio e di nascosto da tuttila storia sua e degli ebrei ita-liani e le aveva segretamentenascoste in negozio in unluogo dove tutti pensavanorimanenze di cordini e filofor-ti.«Nessuno è a conoscenza del-l’esistenza di questa scatola esolo tu potrai vederla. Quelloche troverai dentro lo potraileggere ma non lo potrai tene-re e prima di morire lo faròsparire. Compresi i libri piùcomuni che tu potrai comun-que ritrovare in biblioteca.Quindi ti consiglio di prendereappunti». Obbedii, presi un blocco dicarta e una penna ma lei miinterruppe ancor prima di scri-vere la prima parola. «Ti hodetto che il contesto storicodelle nostre conversazionidovrai ricostruirlo tu e alloracomincia pure rispondendo aqueste due domande: da doveprovengono gli ebrei italiani eda dove le nostre famiglieCaffaz e Guetta?».La richiesta della nonna miinfastidì perché non avevoaspettato tutti quegli anni peressere io, che non avevo vis-suto quel periodo, a parlarema decisi di adeguarmi.

«Dopo la distruzione delsecondo tempio diGerusalemme nell’anno 70, ilpopolo ebraico si disperse.Nei vari paesi della diasporaha mantenuto le sue caratteri-stiche ma ha acquisito anchequelle proprie dei popoli pres-so i quali ha vissuto. Gli ebreipresero due strade diverse:una è passata attraverso ilbacino del Mediterraneo, èfinita in Spagna e ha dato ori-gine alla corrente sefardita(Sefarad in ebraico vuol direSpagna); l’altra si è direttaverso la Mesopotamia e quin-di nella direzione dei paesidell’Europa centro-orientaleoriginando la corrente asche-nazita (Aschenaz vuol direGermania). In realtà gli ebrei italiani nonsono né aschenaziti né sefardi-ti perché proprio in quell’anno70 in cinquemila vennerodeportati a Roma da Tito eridotti in schiavitù. Peraltroquesti si aggiunsero a unacomunità che già esisteva aRoma da oltre 200 anni e cheriuscì nel tempo ad affrancarli.L’aspetto molto importante diquesta storia è che gli ebreigiunti con Tito portarono conloro il rito ebraico palestineseoriginario che da quelmomento divenne il rito italia-no, cioè peculiare degli ebreiitaliani. A quanto se ne sa, le nostrefamiglie, sia quella dei Caffazche quella dei Guetta, sonosefardite perché arrivarono esi stabilirono in Italia, in parti-

colare a Livorno, dallaSpagna, dopol’Inquisizione spagnoladel 1492. Comunque sia, pratica-mente tutti gli ebrei ita-liani, compresi quindi isefarditi, sono ortodossinel senso che accettanotutto quello che è scrittonella Torà e nel Talmùd.Questo è tutto quello cheso, adesso tocca a te rac-contare la tua storia».

Una mazzetta per la liber-tàEsterina aveva precisato

Foto di Marco Buratti

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di aver frequentato la scuolasolo fino alla quarta elementa-re ma in realtà la sapeva piùlunga di quanto ammettessetant’è che ebbe subito la capa-cità di creare un collegamentotra la storia degli ebrei italiani,che avevo appena riassunto inuna sintesi estrema, e la sua.«Anche se io nacqui, quasi percaso, a Viareggio, la mia fami-glia continuava ad abitare aLivorno mentre quello chesarebbe diventato mio marito,Loris, aveva visto la luce aCarrara dopo che i suoi geni-tori si erano trasferiti dallacittà labronica. Nel 1940 erouna ragazza di 19 anni contante ambizioni e speranzeche lavorava come operaiaalla vetreria Rinaldi diViareggio. Un giorno il diret-tore dello stabilimento michiamò nel suo ufficio, unastanza abbastanza grande maarredata in modo scarno.Ricordo che non appenaentrata notai un odore di chiu-so quasi insopportabile mapresto mi sarebbe capitatoqualcosa che mi avrebbe fattopensare ad altro. Il direttoreera terreo in volto e scaricavala tensione rigirando tra lemani un pezzo di carta battutoa macchina. In realtà era pro-prio quella lettera il problema.“Perdona la brutalità - esordì -ma certe notizie è bene darlesenza troppi preamboli. Inquesto foglio mi si esorta alicenziarti perché sei di razzaebraica. Negli ultimi mesi hoprovato a coprirti ma adessonon ci riesco più. L’unica cosache posso fare per te èuna lettera di buona con-dotta, semmai riuscissi atrovare qualcuno cheabbia le mani menolegate di me e possaassumerti”. In quel momento microllò il mondo addosso,per me quel lavoro eratutto e riuscii a malapenaa trovare la forza per tra-scinarmi fuori dalla fab-brica con la lettera direferenze in mano». Mentre raccontava delsuo licenziamento,

Esterina si alzò le manichedella giacchina di lana nerache indossava e mi mostrò deipiccoli puntini verdi sul brac-cio: «Queste macchie che daallora ho portato con me pertutta la vita sono il più eviden-te ricordo che il lavoro da ope-raia nella vetreria mi halasciato. Considero simbolicoil fatto che mi siano rimasteimpresse sulla pelle come untatuaggio a ricordarmi ildramma che ho subito».In quel momento mi balzò inmente una metafora che nonriuscii a resistere dall’espri-merle «Possiamo dire chequei segni siano l’equivalentedei numeri tatuati sulle brac-cia dei detenuti dei campi disterminio. Un segno perennedi ciò che hai sofferto in quelperiodo, anche se diverso emeno tragico rispetto a chi fuinternato. Tu infatti hai subitola discriminazione e la perse-cuzione ma sei riuscita a sal-varti dalla deportazione edalla morte». «Capisco la tuasimilitudine - mi rispose -anche se, a essere sinceri, ame questi segni ricordano sol-tanto il lavoro che svolgevoall’epoca e l’ingiustizia cheho subito nell’essere licenzia-ta».Queste parole mi sollecitaro-no un altro pensiero, che que-sta volta mi trattenni dal-l’esprimere, ma annotai nelmio blocco per gli appunti: pursapendo perfettamente chetutto quello che le era accadutoderivava da cause comuni eben definite (la svolta razzista

del fascismo, l’alleanza con laGermania, il varo delle leggirazziali, la guerra), la nonnatendeva a ricordare gli episodiseparatamente, come se fosse-ro slegati tra loro. Se le avessichiesto il motivo, penso che miavrebbe risposto al solitomodo: «Io ho finito solo laquarta elementare, a fare i col-legamenti storici devi pensarcitu». Tuttavia credo che la causafosse un’altra: la sua eraun’estrema resistenza a nonabbandonarsi al ricordo, a sof-frire il meno possibile puressendosi convinta a lasciarmiuna testimonianza. In pocheparole, raccontare i fatti lefaceva meno male che rivelarecome aveva vissuto. Mi sforzaiquindi di indurla a un raccontoordinato, almeno sul piano cro-nologico e la incalzai: «Dopo illicenziamento non ti sei dataper vinta perché hai deciso divenire a Carrara e di metter sufamiglia con il nonnoLoris…»?A quel punto riprese il raccon-to. «Bene o male la vita dove-va andare avanti. Però non homai fatto scelte di comodo. Aquel tempo ero una bella donnae tanti maschi mi facevano lacorte. Avrei potuto provare aemanciparmi, sposando un cat-tolico. Molti ebrei, uomini edonne, in quei momenti pensa-rono che farsi una famigliaunendosi a un non ebreo,avrebbe costituito un salvacon-dotto dalle persecuzioni.Sbagliavano ma in quelmomento non lo sapevano. Ioinvece mi innamorai di Loris e

da Livorno venni a vivere aCarrara dove davo una mano albanco al mercato che il nonnogestiva in precedenza assiemealla sua mamma Ada, da pocoscomparsa. La situazione pre-cipitò presto: prima venneroannullati i “posti” settimanalie poi fu sequestrata la licenzacommerciale ambulante. Andammo a vivere in duestanze in via Nuova che con-dividevamo con altre novepersone. Ci venne tolta la tes-sera annonaria che ci permet-teva di vivere garantendociuna razione di pane, l’unicoalimento con il quale poteva-mo sfamarci. In quei mesi dienorme difficoltà nei quali lepersone avevano solo da per-dere a mantenere rapporti connoi, emerse l’umanità dimolti. Un esempio su tutti:quando rimanemmo prividella tessera annonaria, arifornirci di pane provvedevaquotidianamente e senza chie-dere soldi Agesilao, un forna-io socialista proprietario dal1932 di una panetteria in viaSan Piero. Incontrammo tantepersone buone ma anche tanticattivi e non mi riferisco soloai nazisti e ai fascisti duri epuri ma anche a tutti quei car-raresi che cominciarono a evi-tarci, a far finta di non cono-scerci e poi a osservarci,spiarci, e a riferire i nostrimovimenti. Insomma, c’erachi il male lo combatteva maanche chi ci sguazzava alpunto che, dopo l’8 settembre1943, Carrara per noi eradiventata troppo insicura.

Nazisti e fascisti ci cer-cavano e ogni giornorischiavamo la pelle. Lostesso nostro matrimo-nio si svolse in un climasurreale.» A quel punto la nonnatirò fuori dalla scatola dilegno il suo atto dinozze. Era un certificatodi una pagina scritto amano con la calligrafiatipica dei documentipubblici dell’epoca. Nonera un atto del comunedi Carrara ma diApuania, denominazio-

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Foto di Marco Buratti

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ne con la quale il fascismoaveva battezzato la nuova cittànata dalle fusioni di Massa,Carrara e Montignoso. Unacosa m’impressionò di quelfoglio. Era il secondo matri-monio civile celebrato in quel-l’anno e un timbro in fondo adestra della pagina attestavache fosse anche l’ultimo. Erala riprova che tutti all’epoca sisposavano con il rito religiosoper non destare sospetti cheuno dei due coniugi fosseebreo. «Era giovedì 11 novembre1943 - proseguì il suo raccon-to Esterina - eravamo ricercatidai fascisti e, per dare menonell’occhio, decidemmo direcarci in Comune alle 8 delmattino di un qualsiasi giornodella settimana. La guerra eraal suo apice, non c’erano isoldi e neppure la voglia diorganizzare festeggiamenti. Cieravamo presentati con ilregolare certificato delle pub-blicazioni di matrimonioavvenute il precedente 3 otto-bre. L’ufficiale di stato civilecominciò a leggere la consue-ta formula ma quando arrivòalla riga dedicata alla razza,scoprendo che eravamo ebrei,si rifiutò di procedere.Scoppiò il caos ed Elda, lasorella di Loris, strinse lemani attorno al collo deldipendente del Comune checontinuò a non volerne saperedi celebrare il rito. Non cirestava che andarci a lamenta-re di questo trattamento dalcommissario prefettizio, cor-rendo il rischio che ci conse-gnasse ai fascisti. Invece Olindo Cellulare, que-sto il suo nome, fu molto com-prensivo e, di fronte all’enne-simo diniego del suo sottopo-sto, decise di celebrare luistesso le nozze. Alle 9 e 40eravamo marito e moglie.Purtroppo non fu quello l’epi-sodio più drammatico di queimesi. Un giorno un gruppo difascisti entrò in casa a cercareRenato Romanelli, marito diLiliana Caffaz, l’altra sorelladi Loris. Oltre ad aver sposatoun’ebrea, Renato aveva anchela colpa di essere un partigia-

no e quindi era ricercato. Gliuomini in camicia nera non lotrovarono e, frustrati per il fal-limento, decisero di spaccaretutto quello che gli passòdavanti. Anche se ero giovane,avevo già il mio caratterino ecominciai a offenderli. Uno diloro si avvicinò e mi spintonòcon forza. Ero in stato interes-sante, caddi e mi sentii male.Riuscii a salvarmi ma per ilbimbo che aspettavo non ci funulla da fare. Questo periodotremendo dovetti affrontarlolontano dalla mia famiglia diorigine perché il fronte dellalinea Gotica era chiuso ed eraimpossibile raggiungere ocomunicare con Livorno. Inquesta situazione, alcuni amicici consigliarono di raggiunge-re Santa Croce sull’Arno, unacittadina fino a quel momentotranquilla, dove non ci cono-sceva nessuno e potevamo

avere due letti in una camera-ta gestita da ebrei in fuga. Ilviaggio fu una piccola odis-sea, nel caos di quei giorniimpiegammo una settimanaun po’a piedi un po’ sfruttan-do qualche passaggio di fortu-na, per percorrere quei 90 chi-lometri. A Santa Croce la tran-quillità durò poco, i delatorinon erano solo a Carrara equalcuno riferì di quell’affol-lata camerata di ebrei. I tede-schi non tardarono ad arrivare.“I maschi con noi - intimarono

con il loro accento spigoloso -c’è del lavoro da fare”. In real-tà Loris e gli altri miei compa-gni di stanza non furono man-dati a lavorare ma a SanMiniato, dove c’era una speciedi carcere che doveva servireda alloggio temporaneo primadella deportazione inGermania. Caddi nel più com-pleto sconforto, fino a quandotre settimane più tardi vidientrare nella camerata unvolto conosciuto. Mi avvicinaia quell’uomo cercando diricordare quando lo avevoincontrato e riconobbi in luiun infermiere amico di miopadre Augusto che di cogno-me si chiamava Del Seppia.Allora mi presentai, lui miabbracciò e io gli raccontai lamia storia. “Partiamo subito”,queste le uniche due parolepronunciate con voce ferma epreoccupata. Per fortuna Del

Seppia (il suo nome non loricordo o forse non l’ho maisaputo) possedeva un’automo-bile, a bordo della quale cirecammo subito a SanMiniato. Durante il viaggio midisse: “Spero che il tuo Loris,quand’è stato portato via,abbia lasciato i soldi a te per-ché adesso ci serviranno”. Ilfato volle che le cose fosseroandate proprio così: quando cieravamo abbracciati per salu-tarci, il nonno mi allungò dinascosto tutte le banconote

che teneva in tasca. Avevaintuito che a lui non sarebberoservite. Arrivati a destinazio-ne, Del Seppia scese dallamacchina chiedendomi di nonmuovermi e di aspettarloall’interno dell’abitacolo.Dopo mezz’ora tornò con unaltro uomo che poi avrei sco-perto essere un fascista di quelli che contavano. Gliallungai tutte le banconote cheavevo e lui mi intimò: “Dopole dieci di stasera fatti trovarein paese, aspetta e tuo maritoarriverà”. Quella sera Lorisarrivò, fu lui a trovare me: ciabbracciammo e poi ci incam-minammo con destinazioneCarrara. Impiegammo quasiun’altra settimana a tornareindietro. Un po’ di tempodopo venni a sapere che inquei giorni, e precisamente 24ore dopo la nostra fuga, tutti iprigionieri di San Miniatoerano stati deportati inGermania.» Loris l’aveva scampata d’unsoffio grazie a Esterina ma laguerra era ancora lontana dalterminare e le fughe senzameta proseguirono: «Carraracontinuava ad essere troppopericolosa e allora decidemmodi spostarci a Colonnata, suimonti in mezzo alle cave dimarmo. Trovammo in paeseuna stanza abbandonata e lì cirintanammo per qualche gior-no. Loris correva più rischi dime e quindi decise di darsi allamacchia e di arruolarsi nellaformazione partigiana guidatada Memo Brucellaria. Io scelsidi rimanere in paese e la solitu-dine era interrotta solo dallevisite di Loris che cercava dipassarmi a trovare quanto piùpoteva.Anche i paesi a monte diCarrara erano però diventatitroppo insicuri, i tedeschifecero delle stragi a Bergiola ea Castelpoggio. Un giorno, neltardo pomeriggio, ricevettiuna soffiata: stavano arrivan-do a Colonnata. Presi tutte lemie cose, le misi in un sacco,e con il buio della notte tornaia Carrara in via Nuova.Continuai a scappare da una

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Foto di Marco Buratti

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Il “giusto” dimenticato da pag. 1delle minoranze ritenute a torto colpevolidei disagi e del malessere sociale. In Italia, per motivi contingenti ma anchestrutturali, le conseguenze di questi perio-di di difficoltà tendono a essere più gravie durature di altri paesi e, con esse, si dif-fondono istinti razzisti e antisemiti.

Gli ebrei? Stanno ancora antipaticiNon è un caso che nel 2015 gli italiani sisiano “auto dichiarati” il popolo più intol-lerante verso i rom (oltre l’80% giudicanegativamente le persone appartenenti aquell’etnia), i mussulmani (oltre il 60%)mentre nei confronti degli ebrei (conquasi il 25% di “antipatizzanti”) gli italia-ni sono secondi solo ai polacchi. Proprio il dato sugli israeliti, pur essendoil meno grave sul piano numerico, è percerti aspetti il più preoccupante per trediversi motivi: per il numero irrilevantedi ebrei presenti in Italia (lo 0,05% dellapopolazione) e quindi per la loro impossi-bilità matematica di modificare l’anda-mento dell’economia; per l’altissimolivello di integrazione nel tessuto socialenazionale che spesso sfocia in una vera epropria assimilazione; per le responsabi-lità dell’Italia fascista nella persecuzionedegli ebrei europei durante il secondoconflitto mondiale che dovrebbe ancoroggi provocare un diffuso sentimento disdegno non solo formale verso ogniforma di antisemitismo. Eppure, nonostante gli ebrei siano pochi,difficilmente riconoscibili e tendenzial-mente in credito verso la comunità nazio-nale, continuano a stare “antipatici” a unitaliano su quattro.

Accanto al male c’è anche il beneTuttavia, accanto al male, oggi come nel

periodo delle leggi razziali, in Germaniacome in Italia, a Roma come a Carrara,c’è però sempre anche il bene. Così,accanto a un violento antisemita, magariproprio come vicino di casa, c’era e c’è unamico degli ebrei, vicino a un delatore chefaceva la spia alla Gestapo non appenavedeva un ebreo c’era chi quell’ebreo loospitava nella propria casa rischiando lavita sua e dei suoi famigliari, a due passida un aguzzino troviamo sempre quelloche gli ebrei chiamano “giusto”, termineusato per indicare “i non ebrei che hannorispetto per Dio” e, quindi, durante laseconda guerra mondiale, coloro chehanno agito in modo eroico, a rischiodella propria vita e senza interesse perso-nale, per salvare la vita anche di un soloebreo dal genocidio nazista. Accanto a unaguzzino c’è sempre un “giusto”. In questo articolo parleremo di uno diquesti giusti, una persona all’epoca moltonota, un allenatore di calcio che scelse ditrascorrere in Italia una parte importantedella sua vita e quando emigrò nel nostropaese cominciò a lavorare con ottimirisultati proprio nel nostro territorio tra LaSpezia, Carrara e Viareggio. Anzi, comin-ciò proprio nella nostra città una strepito-sa carriera che lo porterà ad allenare inserie A alla Lazio e alla Roma e che solola guerra, con le eroiche ma purtroppodrammatiche conseguenze che ebbe su dilui, gli impedì di condurre fino ai massimisuccessi.

Kertész, calciatore dotato ma lentoPrima di arrivare in Italia e a Carrara,Géza Kertész era un ragazzone alto 190centimetri, simpatico, con gli occhi picco-li e ammiccanti che parlava in modo paca-to e suadente. Era nato il 21 novembre1894 a Budapest quando ancoral’Ungheria non era uno stato indipenden-

te, regnando ancora la monarchia asburgi-ca. All’epoca per i ragazzini non c’eranomolte occasioni di svago, lui cominciò afrequentare il campo di una polisportivadella sua città, il “Budapesti Torna Club”,in assoluto una delle primissime societàsportive dell’impero austro-ungarico. Lì,dal 1897 era stata aperta anche una sezio-ne calcistica che aveva subito ottenutosuccessi quasi inaspettati: nel 1901 e nel1902 aveva vinto le due primissime edi-zioni del campionato nazionale e nelsecondo anno si era addirittura qualificataper la finale di Challenge-Cup, la piùimportante competizione calcistica del-l’impero, perdendo per 2-1 dal ViennaCricket and Football-Club. In questo con-testo Géza non poteva che dedicarsi alcalcio, grazie al fisico ma anche alla suaintelligenza e alla versatilità, che ne fece-ro un giocatore completo e straordinaria-mente moderno, capace di giocare in variezone del campo, anche se preferiva esserenel luogo nevralgico dei movimenti equindi nella mediana. Aveva un unicolimite, era troppo lento, ma questoall’epoca veniva considerato dagli allena-tori come un difetto da poco. Con la maglia rossa del Budapesti TCgiocò per otto anni, dal 1911 al 1919 perpoi spostarsi al Ferencvàros, altra storicasocietà di Budapest, dove rimase quattroanni trovando una collocazione nel campopiù offensiva e dove concluse la carriera il1 maggio 1923.

L’amicizia con Istvàn TothKertész disputò anche una partita con lanazionale ungherese, il 3 maggio 1914 aVienna contro l’Austria, con i padroni dicasa che vinsero per 2-0. Proprio al Ferencvàros, Gèza fece amici-zia con Istvàn Tòth, un collega di reparto

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parte all’altra ancora per mesi ma, alla fine, assieme a Loris,riuscii a varcare il fronte dellalinea gotica e raggiungere lamia famiglia a Livorno.Significava che eravamo salvi».

* Per gentile concessione del-l’autore, pubblichiamo duecapitoli di un libro inedito diSimone Caffaz in cui vengonoraccontate le persecuzioni subi-te dalla sua famiglia a Carraradopo l’approvazione delle leggirazziali, del settembre 1938.

Catania, serie B, 1935-36 Kertész è il primo a sinistra

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Il giusto dimenticato da pag. 12molto meno dotato di lui fisicamente, unpo’ tozzo, era alto appena 164 centrimetriper 78 chili, ma velocissimo e con unaparticolare abilità nei calci d’angolo chespesso riusciva a trasformare direttamen-te in gol. Anche Istvàn Tòth in futuroavrebbe allenato in Italia tre anni allaTriestina e uno all’Ambrosiana Inter mail suo nome tornerà più tardi a far capoli-no nella nostra storia in circostanze benpiù drammatiche. Torniamo a Gèza Kertész che, comeabbiamo visto, decise a soli 31 anni diappendere le scarpette al chiodo ma nondi abbandonare il calcio.Cominciò a studiare le tattiche, a osserva-re gli allenamenti e a crearsi contatti conl’Italia, un paese che gli piaceva molto eche aveva un movimento calcistico piùsviluppato, capace di generare uno sti-pendio che garantisse maggiore benesse-re

Géza, un allenatore innovativoIn quegli anni, il calcio nel mondo stavaattraversando un periodo di crisi perchéle squadre che attaccavano finivano trop-po spesso in fuorigioco. Per far fronte aquesto problema, nel 1925, proprio nel-l’anno in cui Géza Kertész arrivò inItalia, l’International Board modificò laregola riducendo da tre a due i difensori,compreso il portiere, che dovevano esse-re tra la palla e la porta affinché l’attac-cante non fosse in fuorigioco. Al contem-po però le società italiane ricercaronoanche all’estero allenatori in grado diaumentare lo spettacolo: Kertész, per pro-venienza territoriale ma anche per con-vinzione, apparteneva a quella scuoladanubiana che negli anni a venire avreb-be condiviso con gli italiani la tattica del“Metodo” caratterizzata dallo schiera-mento WW (2-3-2-3), contrapposta al“Sistema” o WM (3-2-2-3) adottatosoprattutto in Inghilterra. Rispetto al WWtradizionale però, la tattica di Kertèsz siqualificò per un approccio più spettacola-re con meno lanci lunghi a scavalcare ilcentrocampo, più fraseggio e più posses-so palla, attribuendo quindi alla capacitàtecnica dei calciatori un’importanza fon-damentale. A Carrara in quegli anni andavano moltodi moda gli allenatori ungheresi che, tra il1920 e il 1934, guidarono per dodici annisu quattordici la panchina azzurra. GézaKertész, ironia della sorte, e poi vedremodi che drammatica sorte, arrivò a Carrara,la sua prima città italiana, nel 1925 pro-prio nell’anno in cui la società, per l’ariadi regime che cominciava a respirarsi,

cambiò la denominazione da UnioneSportiva Carrarese in Unione SportivaFascista Carrarese. Con il nuovo maestroungherese i risultati, oltre al bel gioco,non tardarono ad arrivare e la squadra fupromossa dalla terza alla seconda divisio-ne toscana, dopo essere arrivata secondaalle finali nazionali. L’anno successivo sispostò nella vicina Spezia dove ottenneun’altra promozione questa volta dallaseconda alla prima divisione e poi tornòancora a Carrara dove salvò la squadra inprima divisione, categoria che la societàazzurra aveva intanto raggiunto con Imre

Payer.Trascorse altri due anni nel territorioapuo-versiliese allenando il Viareggio.Dopo di che si spostò per due anni allaSalernitana portando la squadra in serieB, due alla Catanzarese promuovendoanche in questo caso tra i cadetti, e tre alCatania, ottenendo la prima storica pro-mozione in serie B e introducendo nelcalcio italiano una novità assoluta: feceaffittare dal presidente della società unagrande villa dove i calciatori alloggiava-no durante la settimana, conoscendosimeglio e aumentando lo spirito di squa-dra. Nel 1938-39 si trasferì all’Atalanta dovemancò la promozione in serie A all’ulti-ma giornata per il quoziente reti. In serieA ci arrivò ugualmente l’estate successi-va, ingaggiato dalla Lazio che condusseal quarto posto nel campionato successi-vo finale ma venne esonerato nella sta-gione seguente dopo solo sei gare. Pocofortunati furono anche i suoi ritorni allaSalernitana e al Catania, così come il suo

passaggio in serie A alla Roma campioned’Italia con la quale disputò un campio-nato mediocre. Géza Kertész non riuscì a sfondare inserie A perché era troppo avanti: coltempo aveva abbandonato il “Metodo”WW, con il più spettacolare “Sistema”WM, ma i calciatori erano abituati a gio-care con il “Metodo” con cui l’Italia diVittorio Pozzo aveva vinto due campio-nati del mondo e una medaglia d’oro alleolimpiadi.

Ritorno in Ungheria e nascitadella banda partigiana nazionalistaLe tattiche calcistiche erano però in queimomenti uno degli ultimi problemi delmondo, che era messo a ferro e fuoco dalsecondo conflitto mondiale, il più dram-matico e devastante della storia. In quel1943 l’Italia che Mussolini aveva perforza voluto portare in guerra a fianco di Hitler era stremata e prostrata, le cittàbombardate, le vie di comunicazioneinterrotte, la fame era l’elemento cheaccomunava gli italiani del nord a quellidel sud. Nel corso dell’anno, gli alleatisarebbero sbarcati in Sicilia e poi nel con-tinente, il fascismo sarebbe caduto, ilmaresciallo Badoglio avrebbe firmatol’armistizio e il paese si sarebbe trovatodi fatto diviso in due, per metà occupatodagli angloamericani e per metà dai tede-schi. In questa situazione era impensabileorganizzare un campionato nazionale eproprio nell’estate del 1943 Gèza Kertèsztornò in Ungheria, dove gli venne affida-ta la guida di un’altra gloriosa squadra diBudapest, l’Ujpest.L’Ungheria era il terzo alleato europeodelle potenze dell’Asse e quindi dellaGermania nazista e dell’Italia fascista eanche da quelle parti la guerra stava pertravolgere tutto. Fallita dai tedeschi l’OperazioneBarbarossa contro l’Unione Sovietica,fortemente sostenuta dal governo autori-tario ungherese di Miklòs Horthy,l’Armata Rossa invase l’Ungheria e pro-clamò la Repubblica Popolare, subitocontrastata dai tedeschi che a loro volta lainvasero nel tentativo di riportare Hortyal governo. Quest’ultimo però cercò di firmare unarmistizio con gli emissari di Stalin pro-vocando la brutale reazione di Hitler chelo fece rapire e occupò Budapest con duedivisioni delle Waffen-SS, favorendo lacostituzione di un nuovo governo filona-zista guidato dal partito delle CrociFrecciate, che instaurò un violento regi-me di terrore.

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Il “giusto” dimenticato da pag. 13

Il nuovo incontro con Tòth e il salvataggio degli ebrei del ghettoA questo punto Géza Kertész non poteva e nonvoleva più occuparsi di sport. La cosa più impor-tante per lui non erano più i gol ma la vita, la pro-pria ma soprattutto quella degli altri. In quei mesia Budapest incontrò di nuovo Istvàn Tòth, proprioquel vecchio amico che aveva giocato con lui aitempi del Ferencvàros e che, insieme a lui, avevacercato fortuna da allenatore in Italia guidandoAmbrosiana Inter e Triestina.Insieme crearono una banda di resistenza checompì alcuni attentati terroristici ai danni deinazisti ma soprattutto organizzò un ardito sistemaper liberare gli ebrei dal ghetto dove stavanomorendo di fame o fucilati dalle SS, o da dovestavano per essere deportati in extremis nei campidi sterminio.Come fecero ad aiutare centinaia di ebrei ognigiorno? Forti del loro perfetto accento tedesco, si vestiva-no da ufficiali germanici, li prelevavano dal ghet-to, li facevano uscire e li aiutavano a fuggire. Larete di resistenza durò un anno, fino a quando unaspia denunciò i due allenatori e cinque loro com-pagni. A Géza perquisirono la casa, dove trovaro-no nascosto una famiglia delle tante che avevaliberato. La Gestapo fucilò Géza, Istvan e i loro cinquecompagni il 6 febbraio, cinque giorni prima dellaliberazione della città da parte dell’Armata Rossa.Al suo funerale parteciparono migliaia di perso-ne, molte delle quali provenienti dall’Italia. Gli furiconosciuto il titolo di martire della patria ed èseppellito al cimitero degli eroi di Budapest sindall’aprile 1946.

Una storia cancellataL’epilogo della sua storia, le vicende extracalci-stiche, l’azione di partigiano e la vita spesa persalvare migliaia di ebrei e oppositori politici delnazismo è stato poi cancellata dal successivoregime comunista ungherese perché la sua bandapartigiana era d’ispirazione nazionalista.Oggi la sua straordinaria vita, al pari di quella delsuo amico e compagno Istvàn Tòth, è stata ripor-tata alla luce grazie all’opera di un comitato chesi è formato nei mesi scorsi a Catania, una dellecittà in cui ha allenato, che mi ha aiutato, al paridelle nipoti che oggi risiedono a Savona, nellastesura di questo articolo fornendo molte delleinformazioni che ho raccolto.Géza Kertész è stato un allenatore dellaCarrarese. Ha salvato migliaia di ebrei ed è morto per que-sto.

Forse meriterebbe che Carrara gli restituissequalcosa di ciò che di grande ha fatto, ricor-dandolo con l’intitolazione di una strada o,ancor meglio, di una struttura sportiva.

Ebrei sotto il fascismoa Massa-Carrara

Massimo Michelucci

Una premessaGli ebrei italiani aderirono al fasci-smo. Diversi parteciparono alleguerre d’Africa, altri si iscrissero alPNF. Non è una loro colpa particola-re. Vi aderirono infatti anche tutti glialtri italiani. Per dar ragione di ciò sideve naturalmente tener conto delcontesto storico. Il fascismo fu regi-me violento, dittatoriale e totalita-rio, che indottrinava, cioè imponevacome e cosa pensare. Era davverodifficile sfuggire. Non solo quindivietava le cose da fare, e obbligava afarne altre, ma formava gli animi,cioè il pensiero. I bambini e le bam-bine ebrei, come tutti gli altri bambi-ni italiani, furono balilla e figli dellalupa, ed ebbero imposte le regole dicondotta sociale dall’educazionescolastica statale, quella del libro edel moschetto.Questa semplice verità provoca(almeno a me) una netta avversionead accettare il discorso sul consensoal fascismo, concetto molto diffusoin campo storiografico. Io all’oppo-sto mi chiedo: ma di quale consensosi può parlare se non esistevano

alternative, se non era previsto edammesso il dissenso?Evidentemente di un concetto diconsenso molto atipico, ma il discor-so, lo capisco, si allargherebbe trop-po e non posso approfondirlo.Nonostante ciò, come tra gli altri ita-liani anche tra gli ebrei si ebberodegli antifascisti, e non solo dopo leleggi razziali, ma già dagli anniVenti, tra l’altro operativi in Francia,nel 1927, nella ConcentrazioneAntifascista. Anzi bisogna dire chel’antifascismo ebraico fu numeroso edi assoluta qualità. Basti rammentarenomi come Segre, Levi, Rosselli,Cantoni, Foa, Sereni, Ginzburg eTerracini. O ricordare che dei soli12 professori universitari che rifiuta-rono il giuramento al fascismo treerano ebrei.Certo agli ebrei italiani, a quellifascisti, convinti o no, con le leggirazziali del 1938 cascò veramente ilmondo addosso. Gli ebrei stessihanno riconosciuto che questa super-ficialità verso i pericoli insiti nelfascismo fu un grave errore, il consi-derare al fondo per loro l’Italiaun’isola felice rispetto ad altri paesi.Alcuni segnali li avevano ancheavuti come la legge Falco del 1930che fu una conseguenza dei PattiLateranensi e che impose l’iscrizio-ne alla comunità ebraica di residen-za, di fatto quindi una sorta di loroschedatura-controllo. È anche verocomunque che, negli anni Trenta delNovecento, la grande emigrazione-

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Foto di Marco Buratti

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Ebrei sotto ... da pag. 14fuga di più di 300 mila ebreidalla Germania hitlerianascelse in misura molto margi-nale di venire nel nostropaese. Ciò avvenne infatti inragione di alcune centinaia,forse un migliaio di persone.Segno che almeno gli ebreitedeschi non si fidaronodell’Italia fascista. Nel 1938prima dell’emanazione delleleggi fu effettuato il censimen-to degli ebrei dal quale risulta-rono residenti circa 40 milaebrei italiani e più di 10 milaebrei stranieri. Sei mila diquesti lasciarono prestol’Italia, gli altri finirono neicampi e nei comuni di interna-mento predisposti dal 1940 inbase alla leggi poi emanate.Uno di questi fu, vicino a noi,Castelnuovo Garfagnana1.Il Regio decreto-legge 17novembre 1938, n. 1728 -Provvedimenti per la razzaitaliana conteneva misure dav-vero drastiche per gli ebrei,prima di tutto le regole per cui

venivano definiti tali2.

Stabiliva infatti la casisticaper cui avveniva il riconosci-mento di razza ebraica cheportò la perdita di lavoro nelpubblico e nel priva-to, il divieto di pub-blicazione di lorolibri, di rappresenta-zione di loro opereartistiche in campoteatrale, musicale,cinematografico. Ildivieto di fare ilnotaio, il giornalistaed altre attivitàintellettuali3.Si cambiarono inomi delle strade aloro dedicate. Lamisura più razzistafu il divieto dimatrimonio tra ebreie italiani. La dicituradi Razza Ebraica fuimposta in tutti iloro documenti.Appariva anchesulle pagelle scola-stiche dei bambini! L’unico documento esentatoda ciò era il passaporto inmodo così da favorirne l’emi-grazione. Erano formalmentepreviste misure anche minimecome il divieto di avere dome-stiche ariane (art. 12), e nellavita sociale i comportamentierano ancor più odiosi, si arri-vava a impedire partite di ten-nis comuni. I divieti poi simoltiplicarono: gli ebrei nonpotevano essere portieri incase di ariani, fare commercioambulante, fare i fotografi ovendere libri, gestire scuole didanza, apparire negli elenchitelefonici, etc. etc., fino a cosedisarmanti come il non potervendere giocattoli! raccoglierelana per materassi! tenerecolombi viaggiatori! Per nonparlare dell’umiliazione della“discriminazione”. Oltre acontestare l’attribuzione dellaappartenenza in base ai puntiprevisti, la legge prevedevainfatti la discriminazione, cioèin pratica la possibilità diessere considerati ebrei cosid-detti arianizzati e ciò sullabase di specifiche caratteristi-che. Erano del resto gli ebrei

che dovevano fare formalerichiesta in tal senso. L’art. 14del RDL disponeva la discri-minazione per “i componentile famiglie dei caduti nelle

guerre libica, mondiale, etio-pica e spagnola e dei cadutiper la causa fascista” e poi peralcune altre condizioni moltospecifiche

4. Anche Alberto

Moravia ha raccontato da parsuo l’assurdità della discrimi-nazione, il padre era ebreo, lamadre cattolica, loro i figlierano battezzati, in più un suofratello morì in guerra, ma“non bastò”. Sua madre si adoperò per aria-nizzare il nome giudaico, allesue proteste lei gli rispose chenon erano frangenti per farquestioni su un nome.Comunque lui fu costrettosempre a firmare i suoi artico-li con uno pseudonimo5.Si rimane davvero a boccaaperta, tanto da chiedersi: matali misure venivano poi appli-cate veramente? La risposta purtroppo è sì, econ solerzia, da una burocra-zia che vi aggiungeva semprepignoleria e cattiveria, forseanche in ragione di interessipersonali, perché contro gliebrei emergeva la meschinitàe lo squallore. Un quadro dav-vero tragico6. Ma del resto, loripeto, così fu la società fasci-

sta in generale, un mondodove un apparato statale arti-colato e diffuso svolgevaburocraticamente il compitodi controllo sociale, dove nella

vita di tutti i giornidominava la paurae i mali ad essa col-legati: la sfiducia,la calunnia, ladenuncia, che attra-versavano le stessefamiglie. C’erano figli chedenunciavano illoro padre allasezione del PNFperché aveva offesoin casa il ritratto delDuce7. Questo ilquadro generale ingrande sintesi.

Ma cosa suc-cesse nella provinciaapuana?Purtroppo non esi-stono studi partico-

lari sull’argomento e sulperiodo, ed io non ho certo lacompetenza per offrire unquadro completo della situa-zione non essendomi maidedicato nelle ricerche a que-sto tema specifico8. Possosegnalare comunque alcunenotizie minute che mi vengo-no dall’aver studiato i fascico-li del Casellario Politico depo-sitati all’Archivio di Stato diMassa in un fondo dellaQuestura che copre gli annidel fascismo, fino al 1940. Tale fondo è composto da2914 fascicoli nominativi disoggetti considerati sovversivie oppositori del Regime edefiniti per colore politico9.

Di tutti i fascicoli ne ho tra-scritto le generalità e ho rea-lizzato un elenco nominativo.In ogni fascicolo personalepossono esistere pochi o tantidocumenti. Il mio interesse altempo della ricerca non eranogli ebrei e quindi i fascicoliche li riguardano non li hoapprofonditi. Ma da alcuni hocatturato curiosità. Tengo a questa precisazioneper far capire appunto chequanto produco non è uno stu-

TrentadueMensile. Aut. Trib. di Massan. 399 del dell’9.9.2008 Direttore: Marcello Palagi Redazione:Viale XX Settembre, Avenza.Tel. 320 3684625 * [email protected] * [email protected] * www.ecoapuano.itStampa: Impronta Digitale,Via S. Giuseppe Vecchio, MassaVignette e fotografie sonotratte da Internet, dal sitodell’Assemblea Permanentedi Carrara, dal Vernacoliere. Hanno collaborato a questonumero: Simone Caffaz,Francesco De Pasquale,Marco Lenzoni, GiorgioLindi, Francesco Mandarano,Giorgio Mori MassimoMichelucci, NandoSanguinetti. Gli articoli di questo giornalepossono essere riprodottiliberamente, purché senzafini di lucro e con l’indicazio-ne della fonte.Chiuso in tipografia il 19 marzo 2016

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dio articolato, ed anzi appro-fitto per segnalare che ilcorpo dei fascicoli degli ebreimerita sicuramente un appro-fondimento, e spero che le miepoche notizie servano a spro-nare qualche giovane studiosoa condurlo.Comunque anche questepoche notizie servono ad inte-grare un quadro, a dar consi-stenza ad una analisi.

L’elencoTra i 2914 fascicoli del CP, 42erano di ebrei.1 Ascoli Leopoldo 2 Bassani Eugenio3 Caffaz Carlo Giuseppe4 Caffaz Dario5 Caffaz Elda6 Caffaz Livia7 Caffaz Loris8 Caffaz Nella 9 Caffaz Umberto10 Caffaz Vanda11 Caffaz Vera12 Caffaz Viviana13 Cameo Anna14 Catelani Doria 15 Catelani Silvana 16 D’Angeli Nella17 Della Rocca Bruna18 Della Rocca Rodina19 Dello Strologo Irma20 Dello Strologo Lidia21 Dello Strologo Stella22 Disegni Odoardo23 Drapchind Zisea 24 Fano Vitale25 Finzi Ferruccio26 Foà Augusto27 Foà Noè28 Forli Forti Gino29 Franco Ada30 Geduldinger Valeria31 Guetta Renato32 Israel Rachele33 Levi Ines34 Levi Olga35 Magrini Giuliana36 Molco Aldo Natalino37 Morais Ernesta38 Pesaro Marcello39 Sacerdoti Ezelina40 Sinigallia Adelaide41 Tagiuri Piero42 Trevi Massimo

Alcune notizie che li riguardanoBassani Eugenio fu Felice,nato a Milano il 29.09.1895 e

residente a Carrara era defini-to Massone repubblicano. Indata 12 dic. 1938, quindiimmediatamente dopo il regiodecreto 1728, chiedeva allaQuestura di Apuania l’autoriz-zazione a tenere la domesticacattolica in quanto “i provvedi-menti in materia razzista ema-nati dal Consiglio dei Ministrinon lo consentono” (il divietoera previsto dall’art. 12 del RD1728), faceva presente che lamoglie era cattolica, come ifigli e che la domestica era asuo servizio da tanti anni.La vicenda è minuta davvero, ecerto sparisce davanti al dram-ma dello sterminio, ma a metocca in maniera profonda cheuna donna che magari avevaallevato generazioni di figlioli

in una famiglia dovesse essereallontanata per legge, per unalegge che blaterava di razze, eche sulla base di presuntescientifiche teorie calpestavaogni umana sensibilità, anchela più umile, la più ingenua, lapiù piccola, come quella di unaanziana domestica.Contro l’ebreo Bassani si sca-gliò anche un redattore delPopolo Apuano, Foglio d’ordi-ne della federazione dei fascidi Apuania, che in data06.11.1942 denunciava allaQuestura di Apuania l’incon-gruenza che il direttore e pro-prietario della tipografia chestampava il giornale, cioèBassani, fosse “un ebreo, sep-pur discriminato”, spiegandoche così appariva nell’intesta-zione del giornale “IS e E.

Bassani”, mentre c’era stata latrasformazione societaria, inSASA, e che quella era la siglache doveva apparire. È questodavvero un bell’esempio delclima in cui gli ebrei vivevano.Cosa poteva portare una perso-na a inoltrare una similedenuncia? Forse l’arrivismo,un interesse privato, il mettersiin mostra con le autorità, l’ap-profittare della situazione didebolezza di un altro. Del restoera la stessa legge che sprona-va alla denuncia. La discrimi-nazione, lo abbiamo ricordato,era la procedura prevista percondizioni ben precisate con laquale era possibile evitare diessere bollati come ebrei.Ascoli Leopoldo, nt. Ferrarail 14.12.1900 e residente a

Bologna, nel 1940 chiedeva ilriconoscimento di non ebreoper i figli Bruno e Leda. Unodei meccanismi cui gli ebrei sidovettero assoggettare impli-cava il dichiarare che magari ifigli non erano di religioneebraica, o che si erano conver-titi, etc.Caffaz Carlo Giuseppe, nt.Carrara il 02.01.1921. Per luiin data 22.04.1944 fu emessoun ordine di arresto, ma risultòirreperibile. La fuga fu per tantiebrei una scelta obbligata edanche saggia, vista la fine chefecero molti degli ebrei arresta-ti. Caffaz Dario, nt. Carrara; nelfebbraio 1944 era detenuto alcarcere di Massa in quantoebreo, e il 22.03.1944 laDirezione lo fece ricoverare in

ospedale perché malato, perottenere la richiesta l’interessa-to dichiarò di essere iscritto alPNF e di avere il diploma dellaMVSN. Ma tali titoli non bastavano, la legge prevedevadi poter discriminare dal rico-noscimento di ebreo solo per ifascisti della prima ora. Se nonsbaglio Dario finì poi per fare ilpartigiano.Caffaz Umberto, nt. Livornoil 03.03.1878, in data15.01.1939 chiedeva allaPrefettura di Apuania di esserediscriminato ai sensi RDL.1728, quale invalido di guerra.Molti dei Caffaz dell’elenco,che appartenevano sicuramen-te ad un’unica famiglia, eranonati a Livorno, Umberto eraquello più anziano.D’Angeli Nella, nt. a Rovigoil 19.07.1909, era coniugata aCarrara. In data 16.04.1939 ilmarito chiedeva la sua discri-minazione alla Questura spie-gando che la moglie era sìfiglia di genitori entrambiebrei, ma che lui era iscritto alPNF dal 1921. La Questuraannotava “nulla si oppone”. Sicercavano tutte le strade persfuggire alle maglie del ricono-scimento! ma se il fascicolo erasempre “attivo” nel Casellario,vuol dire che anche in questocaso probabilmente non siottenne nulla.Della Rocca Bruna, nt. aLivorno il 07.06.1903, avevadichiarato che il figlio era bat-tezzato. La Questura feceaccertamenti. La famiglia abi-tava in Via Traversa a Massa.Guarda caso era una delle stra-de che delimitavano nel centrostorico il perimetro dell’anticoghetto ebraico risalente allafine del 1500.Dello Strologo Irma, nt. aViareggio il 04.07.1902, nel1943 risultava dagli accerta-menti di polizia sfollata aCastelnuovo Garfagnana, checome detto funzionò da campodi internamento per gli ebreinon italiani, e che ospitò certa-mente anche molte famiglieebree italiane. Nei fascicoli deisovversivi erano meticolosa-mente segnalati i loro sposta-menti.

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Finzi Ferruccio, nel suofascicolo esiste un verbale,datato 21.01.1944, di “rimo-zione sigilli e consegna beniimmobili e mobili”, che evi-dentemente erano stati seque-strati al momento del suo arre-sto o del suo internamento.Non solo in Italia ma in tuttaEuropa gli ebrei vissero la con-fisca e la spoliazione dei lorobeni che finirono nelle mani diapprofittatori, che oltre a mobi-li, preziosi, denaro si accapar-rarono anche le loro case,soprattutto di quelli che poinon tornarono…Geduldinger Valeria, nt. aPraga il 19.04.1900, eradescritta come ebrea discrimi-nata e internata nel 1943, eresidente a Marina di Massac/o la pensione Roma. Eraaltresì catalogata come anar-chica.Levi Ines, nt. al Cairo il26.06.1913, proveniva daRavenna e fu residente aCarrara dal 1940 al 1942,aveva seguito il marito che eravenuto in Apuania come pro-fessore negli istituti tecnici.Levi Olga era invece nata aMassa, la Questura, nel 1940,svolse accertamenti per larazza su suo figlioMassimoche era nato a Massa il04.02.1920.Magrini Giuliana, nt. aFerrara il 23.08.1910, fu resi-dente a Carrara dal 1934 al1939, poi tornò a Ferrara. Cittàcon forte presenza ebraica. Sacerdoti Ezelina, nt. aModena il 30.03.1892, era resi-dente a Marina di Massa e adicembre 1943 risultava irrepe-ribile, la Questura aveva incorso accertamenti sulla razzaper lei e per i suoi figli.Sinigallia Adelaide, nt. aMacerata il 29.12.1872, nel1942 risiedeva a Marina diMassa con il figlioTrevi Massimo fu Leone, nt.ad Ancona il 06.02.1901, resi-dente a Milano nel 1941 e poioccupato nella zona industrialea Massa nel 1944.Ventura Palermo, nt. aMassa il 12.07.1881; fu Isaccoe Sdraffa Ester; resid. Genovanel 1936. In data 6.4.1944 la

Questura di Livorno scriveva aquella di Apuania:“Accertamenti razza - VenturaIsach nt. 25.3.1843, VenturaIsach nt. 28.8.1851, VenturaIsach nt. 28.12.1852, SdraffaEster 15.12.1844, tutti diLivorno ed ebrei puri, se VP èfiglio di uno di loro è ovvio cheanche quest’ultimo apparter-rebbe alla razza ebraica”. Ilrazzismo disquisiva ovviamen-te di purezza! Ventura venivadefinito anche antifascista,infatti nel 1936 era stato con-dannato a 5 anni di confino alleIsole Tremiti. Il suo reato poli-tico era stato quello di aver gri-dato davanti ad un ufficiopostale di Genova la frase: “In

Italia soffriamo la fame, mivergogno di essere italiano”.Tagiuri Piero, nt. a Livornoil 06.09.1894, faceva il giorna-lista a Livorno. In data10.09.1943 dato che era inter-nato a Pontremoli chiese dipoter rientrare a casa dopol’avvenuto armistizio in quanto“tutti gli ebrei nelle sue condi-zioni sono stati prosciolti”.Purtroppo per lui e per tutti gliebrei con l’armistizio venneroinvece tempi ancora più duri,quelli della RSI dove furonoconsiderati nemici e rastrellati,imprigionati a Fossoli nelcampo di concentramento perebrei in Italia e poi spediti neicampi di sterminio inGermania.

Forli Forti Gino, nt. a Luccail 04.07.1886, era dottore infarmacia ed era stato iscritto alPNF dal 1922 al 1938, ma inquell’anno gli fu ritirata la tes-sera perché appunto ebreo. Ilregime fu una dittatura, laragion di stato calpestò personee storie. Molti ebrei avevanocombattuto per l’Italia nellaprima guerra mondiale, altrisicuramente anche nelle guerrefasciste, altri ancora decorati,altri feriti, altri morti. Vi eranovedove ed orfani di ebrei mortiper la patria, ma la patria fasci-sta fu purtroppo per loro razzi-sta!Drapchind Zisea, di Moseue Sceiva Scepoi [o Sleiva

Slepoi], nt. a Calabrese il10.02.1903, era un medico cheoperava a Pontremoli. In data05.04.1944 il Comandante diPolizia e del Servizio diSicurezza in Italia - Comandodi Bologna, scriveva alQuestore di Apuania chieden-done l’arresto unitamente adaltri ebrei tutti residenti aPontremoli: “si prega procede-re all’arresto, inviandoli alcampo di concentramento diCarpi, presso Modena, secon-do le disposizioni vigenti inproposito”. In data 14.05.1944, la GNR -Comando presidio Pontremoliinformava la Questura diApuania che “Il Dr. DZ risiede a Pontremoli dove esercita la

professione di medico chirurgoprivato. Egli a suo tempo veni-va discriminato e revocato ilsuo internamento.” In data05.06.1944 sempre la GNRinformava che “Il Dr. DZ daqualche settimana si è allonta-nato da Pontremoli”, e che erastato ricercato senza esito aMulazzo dove risiedevano suoifamigliari.Annoto, ma è sempre opportu-no farlo, che il campo di con-centramento citato al quale, secatturato, era destinato DZ eraquello di Fossoli (Carpi) dove,durante la RSI e l’occupazionenazista, vennero raccolti tuttigli ebrei e poi anche molti pri-gionieri politici, da Fossoli par-tivano i treni per Bolzano e dalà quelli per i campi di stermi-nio in Germania e Polonia. Fuil tragitto ed il destino di moltiebrei. Foà Augusto nt. a Napoli il03.04.1894 e il figlio Foà Noè nt. a GalatzRomania il 06.08.1925, rien-travano nello stesso ordine diarresto citato per DrapchindZisea, anche per loro la GNRannotava che si era allontanati.La moglie di Augusto si chia-mava Schein Paolina,nt. aGalatz Romania il 06.10.1900,c’era anche un altro figlio,Vito, nt. a La Spezia il02.02.1934. Erano residenti aPontremoli dal 1935. Il padreera impiegato come geometradelle Acciaierie LombardeFalk. Foà e/o Foa erano nomimolto diffusi tra le famigliedegli ebrei in Italia.

Rispetto ad un argomentocome le leggi razziali fascisteso di aver fornito notizie certominime, a livello di curiosità,ma penso comunque non irrile-vanti. A volte (io ne sono con-vinto) servono più le coseminute a rendere un quadro,come del resto è vero che laqualità di un affresco la si puòverificare anche da un piccolopezzo di intonaco che oltretuttoè capace da solo di riportarealla mente l’intero insieme. Adover riassumere la questionedelle leggi razziali fasciste ame basta ed avanza ricordare

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la famiglia ebrea che fu obbli-gata a mandar via da casa lagovernante cattolica, perchécosì imponeva la legge. Miimmagino tutta la famigliacommossa sulla porta di casaad abbracciare quella donnaed a piangere. Per me la storia,ed il suo senso, sta già tutta inquesto piccolo quadro di unasingola famiglia apuana. Al difuori il quadro si ingrandirà eprenderà le forme enormi,incredibili e pazzesche deiforni crematori e dello stermi-nio di 6 milioni di ebrei. Ma ilmale del razzismo, agli occhidi quelli che sanno leggere, eche non vogliono dimenticare,e che non vogliono sminuire,sta già tutto anche nella picco-la immagine a cui sono legato.

Note1) Un libro specifico ne raccontala storia: Silvia Angelini - OscarGuidi - Paola Lemmi, L’orizzontechiuso. L’internamento ebraico aCastelnuovo Garfagnana 1941-1943, Pacini-Fazzi ed., Lucca,20022) L’art. 8 disponeva: “a) è dirazza ebraica colui che è nato dagenitori entrambi di razza ebraica,anche se appartenga a religionediversa da quella ebraica; b) è con-siderato di razza ebraica colui cheè nato da genitori di cui uno dirazza ebraica e l’altro di nazionali-tà straniera; c) è considerato darazza ebraica colui che è nato damadre di razza ebraica qualora siaignoto il padre; d) è considerato dirazza ebraica colui che, pur essen-do nato da genitori di nazionalitàitaliana, di cui uno solo di razzaebraica, appartenga alla religioneebraica, o sia, comunque, iscrittoad una comunità israelitica, ovve-ro abbia fatto in qualsiasi altromodo, manifestazioni di ebraismo.Non è considerato di razza ebraicacolui che è nato da genitori dinazionalità italiana, di cui uno solodi razza ebraica, che alla data del1º ottobre 1938 - XVI, appartene-va a religione diversa da quellaebraica”.3) Per il lavoro l’art. 13 del RDL1728/1938 sanciva: “Non possonoavere alle proprie dipendenze per-sone appartenenti alla razza ebrai-

ca: a) le Amministrazioni civili emilitari dello Stato; b) il PartitoNazionale Fascista e le organizza-zioni che ne dipendono o che nesono controllate; c) leAmministrazioni delle Provincie,dei Comuni, delle Istituzioni pub-bliche di assistenza e beneficenzae degli Enti, Istituti ed Aziende,comprese quelle di trasporti ingestione diretta, amministrate omantenute col concorso delleProvincie, dei Comuni, delleIstituzioni pubbliche di assistenzae beneficenza o dei loro Consorzi;

d) le Amministrazioni delle azien-de municipalizzate; e) leAmministrazioni degli Enti para-statali, comunque costituiti odenominati, delle Opere nazionali,delle Associazioni sindacali edEnti collaterali e, in genere, di tuttigli Enti ed Istituti di diritto pubbli-co, anche con ordinamento auto-nomo, sottoposti a vigilanza o atutela dello Stato, o al cui mantenimento lo Stato concorracon contributi di carattere conti-nuativo; f) le Amministrazionidelle aziende annesse o diretta-mente dipendenti dagli Enti di cuialla precedente lettera e) o cheattingono ad essi, in modo preva-lente, i mezzi necessari per il rag-giungimento dei propri fini, non-ché delle società, il cui capitale siacostituito, almeno per metà del suoimporto, con la partecipazionedello Stato; g) le Amministrazionidelle banche di interesse naziona-

le; h) le Amministrazioni delleimprese private di assicurazione”.4) Queste erano le condizioni (dal-l’art. 14 del RDL 1728): “1) mutilati, invalidi, feriti, volon-tari di guerra o decorati al valorenelle guerre libica, mondiale, etio-pica, spagnola; 2) combattentinelle guerre libica, mondiale, etio-pica, spagnola, che abbiano alme-no la croce al merito di guerra; 3)mutilati, invalidi, feriti della causafascista; 4) iscritti al PartitoNazionale Fascista negli anni 1919- 20 - 21 - 22 e nel secondo seme-

stre del 1924;5) legionari fiumani;6) abbiano acquisito eccezionalibenemerenze, da valutarsi a termi-ni dell’Art. 165) Moravia lo scrive nella prefa-zione a Giacomo Debenedetti, 16ottobre 1943, Sellerio, Palermo,1993, che narra il rastrellamentodel ghetto ebraico di Roma avve-nuto nella data del titolo. Un rac-conto bellissimo che suggeriscovivamente di leggere, vale infattipiù di tanti libri di storia.6) Della vasta letteratura sull’argo-mento Ebrei e fascismo segnalo:Michele Sarfatti, Gli ebreinell’Italia fascista. Vicende, iden-tità, persecuzione, 2aed., Einaudi,Torino 2007; Giampiero Carocci,Storia degli ebrei in Italia.Dall’emancipazione a oggi,Newton Compton Ed., Roma,2005 ed il classico: Renzo DeFelice, Storia degli ebrei italianisotto il fascismo, Einaudi tascabili,

Torino, 2005. Per leggi, statistiche e notiziesegnalo inoltre il sito internet:http://www.museoshoah.it/mostra-la-persecuzione-degli-ebrei-in-ita-lia.asp7) Rimando al mio: Storie di anti-fascisti - Dal Casellario Politicodella Provincia di MS, inQuaderni di fare storia- Ist.Storico Resistenza di Pistoia, n.dicembre 2006; e anche inL’Ecoapuano, n. 5-20068) Esiste e segnalo in verità unbuon libro: Ircas Nicola Jacopetti,

Gli ebrei a Massa e Carrara.Banche Commerci Industrie dalXVI al XIX secolo, Edifir, Firenze,1996, ma la storia si ferma a pocodopo l’Unità d’Italia.9) cfr. ASM - Questura - Archiviodi gabinetto - II versamento (1920-1940), bb. 27-286, elenco fasci-coli dello schedario politico10) Rimarco, non erano questi tuttigli ebrei della Provincia, ma soloquelli segnalati dalla Questuracome pericolosi e inseriti quindinel Casellario, per cui si apriva unfascicolo che era aggiornavaperiodicamente, nel senso che lapersona era sorvegliata e si anno-tavano le sue attività ed i suoi rap-porti e collegamenti, etc. Dal CP difficilmente si venivaradiati, i casi sono pochissimi enon ebrei. Si veniva tolti solo incaso di morte, per cui comunqueera approntato collateralmente unRegistro dei sovversivi deceduti.

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EVEN*

La shoah inizia sul LagoMarcello Palagi

Queste pagine si pro-pongono solo di farconoscere, fuori della

zona dove avvenne, la provin-cia di Verbano - Cusio -Ossola, una strage dimentica-ta, la prima di soli ebrei avve-nuta in Italia e la più grandese si eccettuano le Ardeatine.Non è una ricostruzione stori-ca, per questa ci sono ottimisaggi, e non è il mio mestierema solo il tentativo di ricolle-gare questa vicenda terribile,così come la si legge ogginelle ricerche storiche, con imiei ricordi d’infanzia, datoche, al tempo dei fatti, la miafamiglia viveva in quella zona eavevamo qualche specificomotivo per preoccuparci dellasorte degli ebrei e per conser-vare la memoria dei fatti.Mi era proposto solo di scrive-re una breve nota sui mieiricordi personali relativi a que-ste vicende, per i lettori diMassa Carrara, ignari di que-sta strage. Poi riflettendo, discutendo,ricostruendo e leggendo, iltesto mi si è dilatato ed è diven-tato un intrico di dati storici,memorie, commenti e opinionipersonali difficilmente separa-bili, relativi a un intero periodo(‘43 - ‘45) e non solo a un even-to terribile. Per cui lo lasciocosì come è venuto, sperandonella buona volontà di qualchelettore e rimandando, forse, adaltri tempi, una sua rielabora-zione.

Sotto l’occupazione nazi-sta, come già sotto la dit-tatura fascista, non era

agevole la circolazione dellenotizie, neanche di quelle dicronaca quotidiana e non politi-ca. Quelle riguardanti la perse-cuzione degli ebrei, degli oppo-

sitori politici e delle minoranze,da quelle religiose ai rom, aglihandicappati, agli omosessuali,non comparivano mai o, sevenivano pubblicate, eranomistificazioni destinate allapropaganda.

L’informazione sotto il nazifascismoI giornali non riportavano chequanto la censura permettevaed era pochissimo; i quotidianierano scarsamente diffusi, prividi credibilità e pochi li leggeva;la stampa clandestina circolavasolo tra i militanti di un gruppoo di un partito e aveva comefinalità la formazione politico-ideologica più che la diffusionedi notizie e, anchequando le dava, arriva-va con mesi di ritardorispetto agli avveni-menti. Per la radio -ma pochi possedevanoun apparecchio rice-vente -, valevano lestesse regole censoriedella stampa. RadioLondra, la più ascolta-ta, anche se proibita,dava le notizie che piùservivano alla causadegli Alleati e ne asse-condava, con fedeleopportunismo, le scel-te politiche, che nonerano necessariamentequelle del rispettodella verità e dell’in-formazione completa.

Non sapevano?Nel dopoguerra, l’og-gettiva difficoltà della circola-zione delle notizie è servita pergiustificare tutto, forse più diquanto non sia stato utilizzato il“dovere di obbedienza agliordini ricevuti dai superiori”:“Non sapevamo, per cui nonabbiamo potuto fare niente, epoi dovevamo ubbidire”.Perfino Adolf Eichmann si ègiustificato, mentendo, perchèera, al seguito di Heydrich, traquelli che definirono aWannsee i termini della“Soluzione finale”, che lui siera limitato a stivare i treni, daogni parte d’Europa, con gran-de zelo, di ebrei di ogni età, ma

di cosa avvenisse alla fine delpercorso ferroviario nei varicampi di destinazione, non eraaffar suo occuparsene e preoc-cuparsene. Lui badava a farbene il suo dovere.

Criminali impuniti“Non sapevamo” e “Dovevamoubbidire” sono serviti a giusti-ficare l’indifferenza, la man-canza di solidarietà e la rinun-cia a ogni dignità morale, lacrudeltà, i crimini più gravi, imassacri e, poi, a dimenticare.E a mandare impuniti tantissi-mi criminali e a non far sentireloro nessun senso di colpa. Levi, Bettelheim, Celan,Amery, e tanti altri sopravvis-

suti dei campi di sterminio, allafine hanno trovato insostenibilel’esperienza vissuta nei campi.L’insopportabilità del malevisto e subito, il “senso dicolpa” per essere sopravvissutie la “vergogna”, senza speran-za, di appartenere a una speciecapace di produrre Auschwitz liha portati a darsi, purtroppo, lamorte. Non so quanti dei carne-fici, delle SS, degli addetti aicampi di sterminio, degli infini-ti Eichmann che rendevanopossibile la “soluzione finale”,che di sensi di colpa avrebberodovuto averne tanti e di piùoggettivi e giustificati e gravi,

se non altro per aver massacra-to tanti bambini, vecchi, malati,invalidi e donne, siano stati tra-volti, dall’angoscia. Moltopochi se si guarda a Priebke, aKappler, a Rahn, a Wolff, aDollmann, a Kesselring, aReder, a Eichmann, ma l’elen-co sarebbe infinito: “Se nonsapevo, se ero obbligato a ubbi-dire, che cosa mi posso imputa-re, anche a livello di coscienzapersonale?”.

Eccidio sul Lago MaggioreSi sapeva, invece; non deicampi di sterminio, ma delleuccisioni degli ebrei e delledeportazioni, sì. Io allora avevo 5 anni, ma lo

sapevo. Lo dico, avva-lendomi di ricordi per-sonali e familiari e apartire da una vicendagravissima, anche se,tutto sommato, minore,quant i ta t ivamente ,rispetto all’incommen-surabilità di Auschwitze di quanto avvenutoagli ebrei nell’UnioneSovietica o in Polonia,Paesi Baltici, CroaziaUngheria, Cecoslovacchia,durante l’occupazionetedesca. Mi riferiscoalla strage degli ebreidell’allora provincia diNovara (oggi Verbano -Cusio - Ossola), laprima e più ampiaavvenuta in Italia disoli ebrei, ad operadelle SS del 1º batta-glione della 1ª Panzer-

Division Waffen SS – LSSAH(Leibstandarte Adolf Hitler)giunto, dopo l’8 settembre, aNovara, sul lago Maggiore ein Val d'Ossola, per garantirel’occupazione del nord Italia,disarmare i resti dell’esercitoitaliano, liberare i fascistidetenuti, in vista della rico-struzione di un apparato buro-cratico e poliziesco fascista alservizio degli occupanti eper“mettere in sicurezza” la fron-tiera con la neutrale Svizzera,cioè per impedire l’espatrio dimilitari italiani sbandati, diebrei, di comunisti e di antifa-scisti.

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Non si poteva non sapereIl fatto è che non si poteva nonsapere. Tra le tante possibilicitazioni di storici e testimoni:Giorgio Bocca ha scritto, nel1970, che si sapeva “poco oniente della «soluzione fina-le», cioè della «bonifica raz-zista» che implicava «la sop-pressione fisica degli ebrei»1,ma sembra improbabile.Almeno lui, partigiano nelcuneese, non poteva non aversentito nulla della strage sulLago e non aver ascoltatoqualche racconto dei reducidalla Russia e dalla Grecia.Ma era l’antisemitismo diffu-so (e di cui anche Bocca erastato affetto, sia pur giovanis-simo) che faceva velo, cheportava a sottostimare quantosi sentiva raccontare e anchequanto avveniva nelle proprievicinanze Si sapeva, invece e tanto, nondi Auschwitz (ma a certi livel-li, era noto anche questo), mache gli ebrei venivanoammazzati con facilità, fattisparire e inviati chissà dove,era noto e risaputo. Nel 2004, a Ralf G.Dahrendorf, nato nel ‘29 esedicenne alla fine della guer-ra, viene domandato che cosasapessero allora i tedeschisullo stermino degli ebrei.La sua risposta è evasiva:“Che accadessero cose terribi-li, che tanta gente venisseuccisa nell’interesse dellostato, che la semplice apparte-nenza a una “razza” potessesignificare la morte, molti losapevano in modo alquantovago e impreciso. Ma era unsapere ignorando, o piuttostoun ignorare sapendo”.

Duro il commento a questeparole, che vale anche perBocca e l’Italia, di IbioPaolucci “Non prendiamociin giro. Le notizie sullo ster-minio degli ebrei circolavano,eccome. Le conosceva ilVaticano e le conoscevano igoverni alleati. Ne erano alcorrente anche i cittadini tede-schi, drogati fino all’inverosi-mile dalle dottrine naziste? Èpossibile che non tutti sapes-

sero delle camere a gas e deicrematori. Ma che un ebreo, inquanto tale, appena nato oadulto, uomo o donna, fosseanche un genio come Einstein,poteva essere schiacciatoimpunemente come unamosca, beh, questo non eraproprio possibile ignorarlonella Germania di Hitler”2. Anche Hans M. Enzensberger(ma gli esempi potrebbero

moltiplicarsi) si domanda,perchè il gruppo di antinazistie resistenti che organizzaronol’attentato a Hitler il 20 lugliodel ‘44, non si sia mai pronun-ciato sul genocidio in attodegli ebrei. La sua risposta,direi scontata a questo punto,è che anche loro non sapeva-no, perchè “la famigerataConferenza di Wannsee, nellaquale fu deciso il perfeziona-mento organizzativo della«soluzione finale», si era svol-ta nel gennaio del 1942.Bisogna tener presente chequei piani erano vincolati allapiù assoluta segretezza. Gliufficiali (i cospiratori, ndr.)erano costretti a basarsi sullevoci che circolavano e suiresoconti dei testimoni oculariprovenienti dalle regioniorientali”3. Giustificazione debolissima,soprattutto se si pensa chequasi tutti i cospiratori faceva-

no o avevano fatto parte del-l’esercito tedesco e ne aveva-no raggiunto anche i vertici.Molti avevano avuto respon-sabilità militari di primo pianonell’invasione della Polonia,della Francia e dell’UnioneSovietica e avevano accesso ainformazioni che, se nonerano popolari, certamentecircolavano negli ambientisociali alti di cui facevano

parte. Difficile credere chetanta indifferenza e sottovalu-tazione non avesse a che farecon l’antisemitismo ben radi-cato nella società tedesca,come del resto in tutta Europa,negli Usa e nell’Unione sovie-tica del tempo.

In fondo, erano solo ebreiPenso che, anche in Italia,molti sapessero, ma nonavvertissero la gravità dellacosa, che restassero indiffe-renti perchè, dopo tutto, sitrattava di ebrei e l’antisemiti-smo era diffuso e aveva radi-ci profonde, che non vennerorecise, almeno istituzional-mente, neanche con la cadutadel fascismo (Badoglio, nei 45giorni, non trovò il tempo diabrogare le leggi razziali) né,direi, con la Liberazione.Anche l’introduzione delleleggi razziali del ‘38 nonaveva suscitato molte reazioni

e aveva lasciata indifferentequando non consenziente lamaggior parte degli italiani. Ma c’è un altro motivo, forsepiù determinante, che haimpedito a troppi di prendereatto della gravità di ciò cheaccadeva. Certo non era faci-le, nel mezzo degli avveni-menti, rendersi conto di essereall’interno di cambiamentiepocali, della frattura che lestragi e la guerra che ne erastata il catalizzatore, avevanodeterminato nella nostra sto-ria. Era una nuova sconvol-gente modernità che irrompe-va nella vita quotidiana degliitaliani, ma una modernitàdiversa da quella attesa dellemagnifiche sorti e progressi-ve. Adorno, che diceva dopola guerra e la liberazione deicampi di sterminio che scrive-re poesie dopo Auschwitz, eraun atto di barbarie, non tenevaconto che guerra, stermini,massacri di massa, bombarda-menti a tappeto contro chiun-que, Hiroshima non erano unritorno al passato ma l’ingres-so nella nuova modernità:“L’uomo moderno è morto adAuschwitz? L’uomo modernovisione blu pastello dai roseicontorni delineata dall’ideolo-gia moderna, dove tutti sonobuoni, tutti sono gentili, ebbe-ne, sì, lui è morto adAuschwitz. E la morte di que-sto idealismo è costata assaicara. Ma l’uomo modernodella Modernità reale, ahimè,no, lui non è morto: ha sempli-cemente mostrato ciò chesapeva fare”4.

Una strage anomala?Qualcuno ha scritto, rico-struendo queste vicende, chequanto avvenne agli ebrei nelnovarese e sul Lago Maggioretra il 13 settembre e l’11 otto-bre 1943, vada consideratoun’anomalia, perché la loroeliminazione iniziò quandoancora le regole naziste per lala “Soluzione finale” nonerano state estese alle zoneoccupate, ma è una tesi diffi-cilmente sostenibile. In attesa che si definissero, aBerlino, i termini del nuovo

Il centro della strage

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ruolo dell’Italia nel sistemadelle alleanze e della guerranazista, gli occupanti tedeschisi comportarono nei confrontidella popolazione italiana,degli ebrei, dei militari, degliantifascisti, dei dissidenti,secondo i metodi che ognidivisione o, meglio ancora,ogni battaglione, ogni compa-gnia, avevano appreso e utiliz-zato su altri fronti di guerra enel quadro del diritto tedesconelle zone di occupazione.Anche successivamente allacostituzione della Repubblicadi Salò, rimase questa autono-mia, discrezionalità e, quindi,anche imprevedibilità del-l'esercito tedesco nei modi ditrattare popolazione, ebrei,partigiani, antifascisti.

Chi erano le vittime?Sul Lago Maggiore e nellazona circostante, Lago d’Orta,Lago di Mergozzo, Vald’Ossola, al momento dell’ar-mistizio, si trovavano moltedecine di ebrei italiani e stra-nieri. Quasi tutti erano arrivatinella zona da poco. Molti pro-venivano da Salonicco e daaltre regioni occupate daitedeschi. Da queste, quelli chepotevano e ne avevano imezzi, erano scappati, appro-fittando della nazionalità ita-liana che li garantiva da arrestie deportazioni, dopo avervisto come i nazisti deportas-sero e perseguitassero i lorocorreligionari non italiani.L’Italia, fino all’armistizio,alleata della Germania eraconsiderata dagli ebrei, nono-stante le leggi razziali del ‘38,un luogo sicuro, tanto che giàmolti, pur non essendo italianisi erano trasferiti in Italia onelle zone occupate dagli ita-liani da quelle sotto ammini-strazione tedesca, francese,croata. C’erano ebrei ungheresi sulLago, belgi, turchi, greci,cechi, austriaci, polacchi, let-toni, bulgari. Quando, dopol’8 settembre, l’esercito italia-no si ritira dalla Francia, variecentinaia di ebrei, lo seguononella speranza, che per molti sirivelerà illusoria, di salvarsi

dai tedeschi. Altri venivano poi da Milano,Torino Genova, e altre partid’Italia. Si erano trasferiti inquesta zona, perchè consideratatranquilla e per sottrarsi ai peri-coli dei bombardamenti.

La svolta dell’armistizioCon l’armistizio, però, tuttocambia, la sicurezza scomparedi colpo, anche se non vieneavvertita immediatamente lapericolosità dell’occupazione edell’automatica estensioneall’Italia delle leggi di guerranaziste. Già il 12, Himmlerordina di avviare la soluzionefinale, anche in Italia, ma anco-ra nessuno lo sa. Anche il 1º battaglione della 1ª

Panzer-Division Waffen SSche, dal 12, occupa il novarese,è improbabile ne abbia avutanotizia, in questo momentocaotico, di trapasso di poteri, tral’incredulità, le illusioni dellafine della guerra e l'indecisionegenerale. Eppure già il 13 settembre ini-zia a dare la caccia agli ebrei e,in pochi giorni, ne eliminaalmeno 56, perchè potrebberoesserci stati anche degli scom-parsi di cui non si è saputoniente, dato che molti cadaverivennero affondati nel Lago obruciati. Non solo è la prima e più gran-de strage, in Italia, di soli ebrei.(alle Ardeatine ne vennerouccisi di più, ma con molti altriitaliani), ma è anche, data lavicinanza con al Svizzera, quel-la che ha più risonanza, se così

si può dire, internazionale. Secondo Marco Nozza, unordine di eliminare gli ebreidell’Hotel Meina, il gruppo piùnumeroso degli arrestati,sarebbe arrivato la sera del 22settembre da Milano, da partedi Theo Saewecke, capo del-l’uf ficio milanese dellaGestapo, per conto di WalterRauff, nominato ispettore perPiemonte, Lombardia e Venetoda Wolff. La notte tra il 23 e il24, l’ordine sarebbe stato por-tato a termine5.

La caccia agli ebreiMa se l’eliminazione degliebrei, sul Lago, era già iniziatail 15, senza ordini particolari, aBaveno, Mergozzo e Orta, per

proseguire nei giorni successiviin altre località, perchè avrebbedovuto essere inviato un ordinespecifico per quelli dell’HotelMeina? Iniziative contro gli ebrei, ven-gono prese, negli stessi giorni,anche da altre parti, dalle SS. Il 15 e 16 settembre vengonoarrestati a Merano e poi depor-tati, 22 ebrei. Il 18 settembre a Borgo SanDalmazzo, le SS iniziavano arastrellare e rinchiudere in unacaserma degli alpini, gli ebreiche avevano seguito l’esercitoitaliano in ritirata dalla Francia.Nessuno di loro venne fucilato,ma furono rispediti in Francia,a Drancy, per essere avviatitutti ad Auschwitz. Il 19 vengono arrestati e scom-paiono altri tre ebrei a Novara. Si tratta di iniziative dovute a

battaglioni diversi, della divi-sione corazzata LeibstandarteAdolf Hitler. Un mese dopo l’inizio dellastrage nel Verbano, il 16 otto-bre, avviene la grande retatadegli ebrei del ghetto di Roma,nell’ambito dei programmi dideportazione verso i campi disterminio, ma ne sarannoresponsabili Kappler e l’SD, ilServizio di sicurezza di cui erastata ribadita, con un ordine delgenerale Hausser, capo dellaPrima armata corazzata,l’esclusiva competenza inmateria, fin dal 7 ottobre ‘43,forse a seguito di un’inchiestasui fatti del Lago Maggiore.Anche se ancora l’11 ottobre,vengono uccisi, da appartenen-ti allo stesso battaglione, aIntra, altri 4 ebrei che vengonofatti a pezzi e bruciati nella cal-daia della scuola elementare.

Non c’era bisogno di ordini specificiDato che da per tutto, con l’oc-cupazione, scatta anche la cac-cia agli ebrei, è evidente chenon ci fu bisogno di ordini spe-cifici. La “Soluzione finale”era nei fini istituzionali del-l’esercito. Il fascismo repubbli-chino si renderà poi colpevoledi aver ratificato le politicheantisemite e razziali dei nazisti,dichiarando, a Verona, che gliappartenenti alla “razza ebrai-ca” erano “stranieri e parte diuna nazione nemica”.

Modalità diverse per gli eccidiSecondo Klinkhammer che, nelsuo studio specifico sulle straginaziste in Italia, dedica un inte-ro capitolo agli “Eccidi pro-grammati sul lago Maggiore”6,per comprendere la storia el’evoluzione delle stragi nazistee tedesche in Italia, dal ‘43 al‘45, è necessario tener conto dialcune coordinate generali,senza le quali si finirebbe perricorrere a improbabili e ridutti-ve categorie moralistiche, psi-cologiche e psichiatriche. I massacri avvenivano conmodalità differenti, sulla basedelle concezioni razziali nazi-ste, a seconda cioè di come una

Confine: soldati svizzeri e partigiani

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popolazione fosse stata classifi-cata nella scala gerarchica dellerazze e a secondo della sua col-locazione geografica, a orienteo a occidente.

Gli eccidi a estSemplificando, nei confrontidegli ebrei o dei rom, ma anchedei “sottouomini” delle popola-zioni slave dell’est europeo, siapplica a priori e ancor piùampiamente in caso di attentati,rivolte, atti di resistenza oanche solo di dissenso, il prin-cipio dello sterminio totale diintere comunità, uomini edonne, bambini e ragazzi, gio-vani e vecchi, sani e malati,senza distinzioni di sorta. InPolonia, nelle repubbliche bal-tiche, in Ucraina, nell’Urss ingenere, in Ungheria, inCecoslovacchia, lo sterminio,totale nei confronti degli ebrei,non risparmia neanche le popo-lazioni slave locali, destinate apriori allo “sfoltimento” radica-le per far posto ai futuri colo-nizzatori tedeschi. L’impunità era totale, per imassacratori, anche nel caso diuccisioni gratuite ed efferate esenza motivo apparente, datoche il motivo ultimo era l’eli-minazione delle razze inferiorie pericolose. La legge era lapolitica dello sterminio. Nell’est europeo le rappresaglienon avevano limiti o regole darispettare: per un tedesco ucci-so, si poteva rispondere, massa-crando 50, 100 uomini e donne,bambini e vecchio o anche dipiù. Per la morte di ReinhardHeydrich, vennero fucilati tuttigli uomini di Lidice, dai 16anni in su, le donne in grado dilavorare furono deportate inlager, mentre le altre e quasitutti i bambini finirono nei fornicrematori di Chelmno. Persinoi cani e gli animali vennerosterminati. Il paese dopo essere stato sac-cheggiato venne incendiato,fatto saltare e spianato, finoalla cancellazione totale.Infine molte altre persone,legate in qualche modo al vil-laggio, vennero uccise oinviate a Mauthausen. “A Geigova, fronte russo,

zona di Kherson, 1942, laLeibstandarte (Quella all’ope-ra sul Lago Maggiore, dopol’8 settembre, ndr) come rap-presaglia per la morte di alcu-ni tedeschi, quattro per la pre-cisione, che erano stati tortu-rati e uccisi, sterminò 4000prigionieri russi (...). Quellagente lì venne qui da noi e conl’ordine preciso di eliminarefisicamente tutti gli ebrei”,scrive M. Campiglio, interpre-te della prefettura di Novara

presso il comando tedesco eall’epoca, informatore dellaResistenza7.

Saccheggio diritto di guerraAnche il saccheggio era prati-ca normale, diritto o tolleratoche fosse, per assicurare van-taggi personali ai massacratorie per acquisire beni da accu-mulare per le SS, l’esercito, lostato e pagare le fornituremilitari e le materie prime aipaesi “neutrali”. Le SS, previdenti, trasferivanoparte delle ricchezze chedepredavano, in banche dipaesi neutrali, in particolare laSvizzera, nella previsionedelle loro necessità, dopo laguerra che, ormai, nel ’43,dopo Stalingrado, la controf-fensiva sovietica e gli sbarchiin Sicilia, Normandia eProvenza, appariva compro-messa.

Gli eccidi a ovestPer i paesi occupati, in

Occidente e nel Nord Europa,dove vengono insediati gover-ni collaborazionisti e le popo-lazioni sono classificate comerazzialmente superiori - anchese gli italiani non vengonoconsiderati mai al livello deitedeschi e degli anglosassoni-, i massacri riguardano, alme-no in linea teorica e all’inizio,solo i combattenti. Le donne, ivecchi e i bambini sono, sem-pre in linea di principio, esclu-si.

Alle Ardeatine, ancora nelmarzo del ‘44, per la rappresa-glia, vennero escluse sin dal-l’inizio le donne, anche seebree e vennero trucidati solouomini. La guerra appare, inquesto caso, ancora, una que-stione tra uomini che ha delleregole da rispettare. Nelle decisioni che i tedeschiprendono rispetto alla popola-zione italiana, pesano peròanche le divisioni di classe: leregole “cavalleresche”, che laguerra riguardi solo gli uomi-ni, valgono, quando valgono,nei primi tempi dell’occupa-zione, ma non hanno maivalore nelle campagne, dovela Wehrmacht (che non eramigliore delle SS) non netiene conto e opera massacriindiscriminati di contadini, didonne e di bambini anche dipochi mesi. Il 13 ottobre 1943, tra la stra-ge del Lago Maggiore, appenaconclusa e il rastrellamentodegli ebrei del ghetto di Roma

del 16 ottobre, a Caiazzo, inprovincia di Caserta, vengonotrucidate alcune famiglie dicontadini, tra cui 9 bambini,fra i tre e i dodici, tutti accusa-ti di spionaggio. Anche in questo caso, comeper quello del Lago Maggiore,tra i massacratori, ci sono sol-dati che hanno combattuto eimparato l’“arte” dell’eccidionella Unione Sovietica e inPolonia. Scrive Klinkhammer“La strage di Caiazzo fu ilprimo esempio di un nuovo«codice» di comportamento:una prova che una parte delleforze armate tedesche nonintendevano applicare alcunriguardo verso la popolazionecivile italiana”8, vista cometraditrice e razzialmente infe-riore.

Quanti italiani per un tedesco?Anche la percentuale delle vit-time per rappresaglia, in rela-zione al numero dei tedeschiuccisi, è in genere minore inItalia rispetto all’est europeo.Non ci sono regole che valga-no ovunque o per sempre, un crite-rio diffuso è quello di dieci italianiper un tedesco. Ma la casistica delle stragi è piùcomplicata, avverte ancora Klink-hammer, ha tante variabili e simodifica nel tempo, perchè dipen-de anche dall’andamento dellaguerra, se i tedeschi avanzanoo se invece devono ritirarsi;dalle abitudini e dalle espe-rienze delle divisioni che vi sidedicano. E conta molto anchedove abbiano combattuto inprecedenza.

Stragi a discrezioneVa poi tenuto conto anche delsistema “policratico” di orga-nizzazione del dominio nazi-sta: entro un quadro di diretti-ve e ordini generali, anche inguerra, le decisioni operative,a tutti i livelli, sono a discre-zione dei comandanti e posso-no essere articolate diversa-mente da zona a zona e dasituazione a situazione. Gli ordini del centro nonimpongono mai comporta-menti standardizzati rispetto

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alla popolazione e lascianomargini di manovra e diresponsabilità ai generali didivisione come ai comandantidi compagnia, con la garanziadella loro impunità, per qual-siasi iniziativa, anche la piùferoce. Hanno quindi un pesonotevole, nei rapporti con lapopolazione e nelle decisionisulle stragi, anche le qualitàdei diversi comandanti, la loromentalità, la loro formazione,la loro cultura, le loro convin-zioni rispetto alla guerra.

Variabili, alcuni esempiDai primi giorni di occupazio-ne dell’Italia fino all’ultimo, itedeschi si muovono nei con-fronti di ebrei, popolazione,partigiani, militari, secondouna gamma di variabili chevanno dalla strage totale e allerappresaglie indiscriminatesecondo i metodi appresi eapplicati nell’est europeo, pas-sando per vari gradi intermedi,“occidentali” e “misti”. A Bardine - San Terenzo, adesempio, venne applicato ilcriterio della rappresaglia chedefinirei “mista”, dieci italianiper ogni tedesco, ma presi acaso tra la popolazione, senzadistinzioni uomo, donna, bam-bino, neonato: 16 i soldatiuccisi tedeschi, mentre razzia-vano bestiame; circa 160 oqualcosa di più le vittime,uomini e donne, senza distin-zioni e molti minorenni tra cui22 bambini dai sei anni in giùe una cinquantina di uominirastrellati nella zona diSant’Anna, qualche giornoprima. A Sant’Anna la strage investìtutti gli abitanti del paese, maqui non c’erano state uccisionidi tedeschi né significativeattività partigiane. Lo scopoera terrorizzare la popolazionee costringerla ad abbandonarela zona, sulla linea Gotica.Per via Rasella, il comandantetedesco di Roma avrebbevoluto la distruzione totale delquartiere e la fucilazione deisui abitanti, donne e bambinicompresi, Himmler avrebbepreferito la deportazione dellapopolazione della città. ma

Kesselring decise la fucilazio-ne di 10 italiani per ogni tede-sco, una percentuale “occiden-tale” e le vittime vennero scel-te solo tra i detenuti: uominigià condannati a morte o che,date le accuse che pendevanosu di loro, era prevedibile losarebbero stati oltre, e, “natu-ralmente”, tutti gli ebrei incar-

cerati e destinati alla deporta-zione. Questa percentuale vieneapplicata altre volte, in altresituazioni. Una volta, ma che giornofosse non saprei, a Ornavasso,nella tipografia S, l’ultimacasa del paese, sulla destra,verso Domodossola, propriodavanti a dove abitavo, venne-ro sorpresi e catturati dai par-tigiani, due militari tedeschi eportati in montagna. LaWehrmacht intervene pocodopo e schierò, davanti almuro del convento dei france-scani, 20 civili (non so comefossero stati scelti e il numerolo sentii dire allora) e minac-ciarono di fucilarli tutti e diincendiare le case nei pressidella tipografia, se i due mili-tari non fossero stati restituiti,entro una data ora del giornodopo.

Se si sta perdendo In altri luoghi, però, con altri

comandanti, altri contingentidell’esercito e altri momenti,vennero prese decisioni moltodifferenti. A Carrara, il 7 luglio 1944, cifu la rivolta delle donne che siopponevano all’ordine di eva-cuazione della città. I tedeschidesistettero dal trasferimentodella popolazione e non ci

furono rappresaglie. Si era nelperiodo peggiore per la popo-lazione lungo la Linea Gotica,quello che va dalla tarda pri-mavera all’autunno inoltratodel ‘44, quando il numerodegli eccidi, grandi e piccoli,dei rastrellamenti e delledeportazioni, tra la Versilia ela Lunigiana sono decine; ipiù grandi, tra agosto e set-tembre avvengono aSant’Anna (560 vittime), aBardine di San Terenzo (160),a Vinca (173), a BergiolaFoscalina (72), alle Fosse delFrigido (159). Ancora a Carrara, a novembredel ’44, avviene la “primaliberazione” della città, graziea una sollevazione popolarespontanea sostenuta dalle for-mazioni partigiane, durante laquale vennero uccisi 4 o 5soldati tedeschi e altri 8 furo-no catturati9, ma non ci furonorappresaglie né sul momento esi può capire, si dovevanorecuperare i soldati in mano ai

partigiani, né successivamen-te. Perché i comandanti eranodiversi; la situazioni militaregenerale molto critica per itedeschi, mentre i contrasti traAlleati e sovietici sembravanoaprire, nelle speranze dei nazi-sti, la prospettiva di una pos-sibile pace separata e contrat-tata e del riutilizzo dell’eser-cito tedesco in funzione anti-comunista. Bastavano però pochi chilo-metri di distanza, perchè siavessero comportamentiopposti. Mentre a Carraraliberata i tedeschi, nonostantele perdite, erano costretti atrattare col CLN, ad Avenzauccisero 11 uomini, scelti perlo più a caso, come rappresa-glia per uno scontro a fuococon alcuni sappistiIniziavano, in questo periodo,a ottobre si dice, ma forse risa-livano anche a prima, contatti,in Svizzera, tra i rappresentan-ti degli Stati Uniti (AllenDulles) e quelli di Karl Wolff,comandante delle SS e pleni-potenziario militare in Italia,di Rahn, ambasciatore e pleni-potenziario civile e altricomandanti tedeschi, per arri-vare, se non altro, a una resaseparata dell’esercito tedesco,che evitasse, nella zona italia-na occupata, distruzioni diimpianti industriali, infrastrut-ture e opere d’arte, devasta-zioni, eccidi, in cambio del-l’impunità per gli alti coman-danti militari e civili nazisti,della garanzia cioè che nonsarebbero stati processaticome criminali di guerra,davanti a tribunali militari. Di qui la necessità di evitarenuove e clamorose stragi, rap-presaglie, fucilazioni indiscri-minate di civili, bambini com-presi, deportazioni di lavora-tori e di ebrei e di prendere ledistanze da quelle avvenute,scaricandone le colpe su uffi-ciali minori e soldati, da con-siderare schegge impazzite del“cavalleresco” esercito tede-sco.

Stragi iuxta propria principiaCercare di capire la stragedegli ebrei del novarese, nel

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settembre ‘43, comportaquindi la necessità di tenerpresenti tutte queste variabili echiarirsi chi fossero i compo-nenti del 1º battaglione dellaPanzer-Division Waffen SS,senza dare per scontato che lastrage degli ebrei del LagoMaggiore, avesse per moventesolo la volontà di appropriarsidelle loro ricchezze e noninvece, convinzioni ideologi-che e politiche e il fanatismorazzista. Avrà pure giocato un ruolo lavoglia di arricchimento perso-nale, - è la tesi sostenuta, neldopoguerra, per mandareassolti gli alti gradi dell’eser-cito e scaricare sui soldatisemplici e gli ufficiali minorile responsabilità di questi cri-mini -, ma c’è da dubitare chequesto fosse il movente prin-cipale. Per impadronirsi dei gioielli,del denaro, dei quadri e dialtri beni degli ebrei, sarebbebastato requisirglieli, in quan-to nemici. Chi avrebbe trova-to il coraggio di protestare? Le uccisioni efferate nonerano necessarie per coprire lerazzie di beni e l’inchiesta suqueste vicende, ordinata dalcomandante della DivisioneTheodor Wisch, in seguito alriaffioramento, nel lago, dialcuni cadaveri, aveva loscopo di fare chiarezza su chisi fosse appropriato dell’oro,dei gioielli e del denaro sot-tratti alle vittime e non sullaloro fine efferata e neanchesul pur imbarazzante riaffiora-mento dei cadaveri di alcunedi loro, perché aveva reso evi-dente a chiunque avesse volu-to capire quale fosse la sorte acui erano destinati gli ebreiitaliani, da allora in poi.L’inchiesta finì, come dinorma, nel nulla; non ci sono,negli archivi tedeschi del-l’epoca, esempi di condannedi militari, durante l’occupa-zione, per i massacri di ebreio di civili; bastava che venis-sero giustificati - e tutti loerano facilmente, era suffi-ciente affermarlo - comemisure contro i partigiani e lespie (anche i neonati di

Sant’Anna, dunque o i ragaz-zini dell’Hotel Meina).

Storie del 1° battaglione SSIl 1° battaglione della Panzer-Division Waffen SS, era statotrasferito in Italia, nell’agostodel ‘43, direttamente dal fron-te russo, dove aveva combat-tuto duramente e subito note-voli perdite ed aveva quindinecessità di essere riorganiz-zato. In precedenza aveva operato

in Olanda, Belgio e Francia epoi in Polonia e nell’UnioneSovietica, dove aveva impara-to bene l’arte del massacroindiscriminato, della elimina-zione degli ebrei, dei comuni-sti, dei resistenti, degli intel-lettuali, dei civili, del saccheg-gio anche a fini personali edella devastazione dei territo-ri, per favorire la scomparsaprogrammata e rapida, perfame, anche di milioni dislavi, uomini e donne.Assistere ai massacri eradiventato, spesso, uno verospettacolo a cui affluivanoliberamente soldati tedeschi,civili antisemiti e collabora-zionisti dei luoghi in cui veni-vano perpetrati. E questo incoraggiava anchepiccoli gruppi di militari aprendere in proprio, l’iniziati-va di ammazzare, in modoestemporaneo, qualche ebreoo comunista o civile, anchesenza ordini dei superiori

diretti, nella certezza di inter-pretarne la volontà. C’eraanche chi si offriva volontarioper partecipare alle esecuzionidi massa. Una vera e propria scuola diformazione alla violenza, allacrudeltà e ferocia e all’indiffe-renza nei confronti di vittimeconsiderate meno che animali.

Italiani alleati o pari agli slavi?Dopo l’8 settembre, Hitler e

gli alti gerarchi del regimeerano incerti su come trattarel’Italia, se considerarla anco-ra come alleata o vendicarsidel tradimento e trattarla comei paesi dell’Est europeo. Mussolini non era ancora statoliberato dal Gran Sasso; laRepubblica di Salò sarebbenata più tardi. Il 10 settembre Hitler si riunìcon Goebbels, Himmler,Ribbentrop, Jodl, Goring,Bormann, e altri gerarchinazisti, ma ci vollero alcunigiorni per trovare il punto dimediazione, tra i loro diversiinteressi e punti di vista sul-l’occupazione italiana e laguerra nel Sud. Alla fine risuscitarono un fan-tasma di partito fascista, mise-ro in piedi un governo fantoc-cio con a capo Mussolini ericonobbero, solo formalmen-te, l’Italia saloina, comealleata, ponendola di fattosotto le leggi di guerra naziste.

Ognuno come vuoleNel caos del disfacimento delpotere istituzionale italiano enell’intermezzo tra l’8 settem-bre e la diffusione delle deci-sioni dei gerarchi nazisti sulnuovo assetto politico e mili-tare italiano, l’esercito tedescosperimentò autonomamente,in Italia, i più diversi metodidi dominio utilizzati sui frontidi guerra e nei paesi occupatidal ‘39 in poi.Del “2° corpo corazzato delleSS”, faceva parte anche “il 2°reggimento della LSSAH”, ilcui “3°battaglione comandatodallo SS-SturmbannfuhrerJoachim Poiper, mise a ferro efuoco Boves, il 19 settembre.Boves viene trattata come unqualsiasi paese e villaggio del-l’est europeo, con una rappre-saglia che colpisce indiscri-minatamente la popolazionecivile per rispondere ai pri-missimi attacchi dei partigia-ni.Su Lago Maggiore sono colpi-ti invece, dal 1° battaglionedella Panzer-Division WaffenSS, quasi esclusivamente gliebrei (quasi, perchè la primavittima di questa vicenda, fuMaria Caroglio, che non eraebrea e aveva detto solo chenon le piaceva la bandieranazista); i metodi utilizzatiricordano quelli degliEinsatzgruppen in Polonia, enell’est europeo.

Le modalità della strage diBoves, di quella degli ebreidel lago Maggiore, o di quelladi Caiazzo, (ma le citazioni distragi potrebbero continuare alungo), confermano la tesi diKlinkhammer sugli ampi mar-gini di discrezionalità checaratterizzavano le strutture dipotere nella Germania nazista,compreso l’esercito. Non cifurono specifici ordini dalcentro, ma decisioni locali.Ogni battaglione, per non direogni compagnia di SS o dellaWhermacht, prese, in queigironi, le iniziative che ritene-va più efficaci, nel quadrodelle finalità dell’occupazio-ne: controllo del territorio edella popolazione italiana, con

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ogni mezzo, compreso il terro-re, per tenere la guerra il più alungo possibile lontana dallaGermania, nella speranza dipoter arrivare a un accordo“onorevole” con gli alleati o,anche, con l’Unione sovietica.L’eliminazione degli ebreirientrava in queste finalità, percui non c’è niente di anomalonella strage degli ebrei sulLago Maggiore, come non c’èin quel che avviene a Boves ea Caiazzo, negli stessi giorni.

I volenterosi collaboratori localiIl 12 settembre il 1° battaglio-ne si stabilisce in varie locali-tà sul Lago. Il 13, iniziano irastrellamenti e le uccisionidegli ebrei domiciliati nellazona. E’ obbligatorio pensare checi sia stata un’ampia opera didenunce e delazioni da partedi informatori locali, funzio-nari comunali, fascisti antise-miti, spie interessate ai premiper le denunce e alla pos-sibilità di partecipare aisaccheggi, dato anche ilconsistente numero diebrei ricchi, alloggiati inalberghi o proprietari diville. Le SS possono procederea colpo sicuro, grazie agliaccompagnatori delluogo, negli arresti, cherisultano facili e menopericolosi della ricercadei soldati sbandati o deiprimi partigiani sui monti. E nel tempo in cui rimase-ro nel novarese, trascura-rono quasi del tutto il con-trollo del confine con laSvizzera, che pure era tra iloro compiti (ma tanto ci pen-savano le guardie confinariesvizzere a impedire l’ingressonel loro paese di ebrei e diser-tori) e si dedicarono, a tempopieno, al divertimento eall’eliminazione degli ebrei, inmodo coordinato tra le lorovarie compagnie.

Antisemitismo localeE’ probabile che su questa tra-gedia, abbia pesato anchel’antisemitismo di tanti abi-

tanti del luogo che, indottri-nati e resi ostili agli ebrei, daanni di propaganda razziale,dovevano aver trovato la con-ferma dei loro pregiudizi cor-renti sull’avidità, la ricchezzae l’inassimilabilità degli ebreiin queste famiglie, quasi tuttegiunte da fuori, che sembrava-no disporre di grandi risorseeconomiche, conducevanouna vita da permanenti turistiin vacanza e si frequentavanoper lo più tra di loro e con laristretta, buona società diStresa, Baveno, Arona, Meina.Una cerchia chiusa e isolata,insomma, di apparenti privile-giati, non ben inserita e pocoin contatto con la popolazionedel Lago, se non per il fattoche questa forniva loro giardi-nieri, camerieri, autisti, mag-giordomi, donne di servizio. Equesto doveva aver alimentatorisentimenti e avversione, inuna parte della popolazione edei fascisti, considerato ancheche le leggi razziali, ancora in

vigore, vietavano agli ebrei diavere alle proprie dipendenzedegli “ariani”.Facili prede quindi, questiebrei, anche per l’isolamento,la scarsa conoscenza dei luo-ghi che rendeva difficile indi-viduare vie di fuga e le scarsesimpatie di cui dovevanogodere in loco e che ostacola-vano la possibilità di trovarenascondigli presso la popola-zione locale. Molti di loro però, almenoaltrettanti di quelli che venne-ro uccisi, poterono scampare

ai rastrellamenti e scapparegrazie alla solidarietà, allapietà umana e all’iniziativaspontanea di singoli, anonimie disinteressati cittadini. C’era anche UmbertoTerracini, in quel momento,nella zona, precisamente aOrta, nella casa di una nipotedove era arrivato fortunosa-mente, proprio il 12, come leSS, dopo 17 anni di carcere econfino. Non godeva di molti agganci,dato che era stato espulso dalPci. Una notte, mentre i nazistirastrellavano il paese e arre-stavano due parenti di PrimoLevi, di cui non si è saputo piùniente, Terracini - lo raccontalui stesso - venne avvertito delrastrellamento, portato insalvo, in barca, sull’altrasponda del lago, ospitato efatto espatriare clandestina-mente in Svizzera, due giornidopo, dal segretario del Fasciolocale. Anche se c’è chi mette

in dubbio l’appartenenza poli-tica del salvatore10.

Far sparire i cadaveri?E’ improbabile che i massa-cratori si siano molto preoccu-pati di nascondere le uccisio-ni; sarebbe ingenuo pensareche esperti di eccidi di massa,come queste SS, non sapesse-ro che un cadavere, anchezavorrato, buttato nel Lago,sarebbe abbastanza prestoriaffiorato, come non è pensa-bile che credessero che i sot-terramenti superficiali non

sarebbero stati rapidamentescoperti. Se si considerano le straginaziste, in Italia almeno, maforse da per tutto, non c’èquasi mai, nei tedeschi, la pre-occupazione di nasconderleveramente. Solo più tardi,nell’Est europeo, quando ini-ziarono a ritirarsi e a lasciarsidietro i campi di sterminio,cercarono di farne sparire letracce colossali. Per restare in Italia, dopo lastrage di Caiazzo, vicino aCaserta, del 13 ottobre 1943,ad opera della Wehrmacht,non i massacratori non siaffannarono molto per farsparire i cadaveri. Più tardi, aSant’Anna, a Bardine, aVinca, a Bergiola Foscalina, aCivitella, a Marzabotto, icadaveri vennero lasciati inse-polti, volutamente esposti.Quando non avvenne, come aMassa, dove quaranta detenu-ti prelevati dal carcere, tra cuianche i 10 Certosini di Farneta

e vari altri sacerdoti e reli-giosi, vennero fucilati apiccoli gruppi, il 10 set-tembre 1944, in una deci-na di luoghi differentidella provincia, perchéservissero di avvertimen-to per la popolazione11.

Una strage impossibile da nascondereLa strage degli ebrei delLago Maggiore del set-tembre 1943, non avevanessuna possibilità direstare nascosta, perchèavvenuta in una zona den-samente abitata, dato

anche il gran numero di sfolla-ti presenti in zona, ma è moltoprobabile che neanche lo sivolesse realmente. Le spari-zioni misteriose nel nulla, ditanti arrestati, come il ritrova-mento di molti cadaveri nelLago, e il loro riaffondamentoa colpi di baionetta, funziona-vano come terroristici avverti-menti per la popolazione:dicevano la sorte dei nemiciveri o presunti dei nuovi onni-potenti padroni nazisti, cosìcome lo diceva il contempora-neo e visibilissimo eccidio di

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Boves.

Improbabile imbarazzo Può anche darsi che la circola-zione delle notizie di quantoavvenuto sul Lago, abbia crea-to qualche imbarazzo presso ii comandi della divisione,anche se deve essere stato discarsa entità. Nei piani del-l’establishment nazista e deglicomandi dell’esercito tedescoe delle Ss in Italia, dopo l’oc-cupazione, c’era soprattutto lapreoccupazione e l’illusionedi poter sfruttare le risorse e illavoro del popolo italiano,senza eccessivi sforzi, cioèsenza suscitare la sua diretta,attiva e organizzata ostilità,per mantenere la guerra lonta-no dalla Germania. Ma lospettacolo delle SS che spa-droneggiavano e gozzoviglia-vano sul Lago Maggiore,ammazzando e derubando,senza farsi problemi, dei cit-tadini italiani, anche se ebrei,mal si accordava con questoprogetto di dominio soft. Magran parte degli ufficiali e deisoldati tedeschi non eranod’accordo con queste sceltepolitiche e continuavano aconsiderare l’armistizio untradimento e agivano di con-seguenza, grazie all’autono-mia decisionale di cui gode-vano e continuarono a godere,non senza esplicite coperturee ambigue complicità da partedegli alti comandi.

Nessuna colpevolizzazionecollettivaTutti insomma sapevano e,sicuramente nessuno potevapiù credere che le SS si fosse-ro preoccupate di “reinsedia-re” da qualche parte, gli ebreiscomparsi. Con questo non èlegittimo colpevolizzare inmassa quanti avevano visto oudito. Le tesi, come quelle attribui-te, non del tutto a torto, aDaniel Johan Goldhagen, chemettono sotto accusa il popo-lo tedesco come carnefice ecomplice volenteroso diHitler12, perchè moltissimierano al corrente, avevanovisto e avevano partecipato

attivamente alla persecuzionedegli ebrei e di altre minoran-ze, sono pericolosamentevicine al razzismo, ma soprat-tutto ingiuste. Sapere non voleva dire poterfare qualcosa. Se colpe c’era-no, per restare all’Italia, risa-livano a prima, al ventennio,all’adesione alla dittatura, alcolonialismo, alle leggi raz-ziali, all’entrata in guerra,all’indifferenza, ma, in quelmomento, settembre-ottobre1943, sul Lago non era possi-bile fare niente contro le SS,perchè non c’era nulla di orga-nizzato per tentare anche solodi reagire. Restava, nell’immediato, solola possibilità della solidarietàumana individuale: nasconde-re, fornire mezzi di sostenta-mento, far fuggire chi non erastato arrestato. E questoavvenne.

Anch’io a 5 anniPer questo e per altri motivi,familiari, anche se avevo pocopiù di 5 anni, ero a conoscen-za di questa strage e dellasorte a cui erano stati ed eranodestinati gli ebrei. Per decenni però non mi è maisuccesso di parlarne Se ho

sentito, improvvisamente, lanecessità di dirne qualcosa, èperchè, poco tempo fa, par-lando con mio fratello, due

anni più di me, ho visto cheavevamo gli stessi ricordi suquesti fatti. Certo non poteva-mo sapere dei campi di ster-minio, sapevamo però chedovevamo avere paura deitedeschi (il termine nazista eratroppo politico per saperlo),perché avevano ammazzatotanti ebrei e anche dei bambi-ni in modi crudeli e spavento-si, in luoghi che conosceva-mo.

Partigiani e tedeschiQuando sotto casa nostra, aOrnavasso, sulla strada delSempione, passavano i parti-giani in fila indiana, sui duelati della strada, mia madrenon correva ad allontanarcidalle finestre a cui eravamoaffacciati o dalla strada, ma sesi sentivano i rumori dellesaracinesche dei negozi, checalavano all’improvviso,prima degli orari di chiusura,durante la mattina o di pome-riggio o arrivava il rumore diautoblinde e carrarmati, chiu-deva immediatamente le per-siane e ci diceva di starne lon-tani. I tedeschi erano spaven-tosi e cattivi, i partigiani, no.Tanto è vero che giocavamo afare i partigiani, mai i tedeschi

o i fascisti.Paura di rappresaglie dopola Repubblica Ricordo che, un anno dopo la

strage del Lago, ai primi diottobre del ‘44, ci trovammonoi, a dover temere una rap-presaglia. Nell’Ossola, laRepubblica stava per essererioccupata dai nazifascisti.Chi poteva sapere come sisarebbero comportati nei con-fronti della popolazione, alloro ritorno, anche se laRepubblica era stata mite e dirappresaglie ed esecuzioni diprigionieri non ne aveva fatte?Molte centinaia di bambinidell’Ossola vennero accoltidalla Svizzera assieme amigliaia di ossolani. LaConfederazione, un annoprima, si era rifiutata, oppor-tunisticamente, di aprire lefrontiere agli ebrei in fuga dainazisti (“La barca è piena”,era la giustificazione e non misembra che le argomentazioni,da allora, siano molto cambia-ti nei confronti dei profughi),per non disturbare i nazisti,ma ora, altrettanto opportuni-sticamente e certa ormai dellavittoria degli alleati, si eraofferta di accogliere e colloca-re presso famiglie disponibili,i bambini dell’Ossola, per sot-trarli a eventuali rappresaglie.Anche se è probabile sapesse-ro già, gli svizzeri (ma nonnoi), che non ce ne sarebberostate, proprio per quei colloquitra americani e tedeschi di cuiho detto, che non sarebberoandati avanti se qualche stragesi fosse verificata al confinecon la Confederazione, in Vald’Ossola. L‘opinione pubblicasvizzera, anche se semprecauta, non l’avrebbe tollerato:“A mano a mano che la guerraproseguiva, in senso semprepiù catastrofico per i tedeschi,arrivavano in Svizzera vociterrificanti sui campi di con-centramento nazisti. E ognivolta il discorso finiva suMeina, Baveno, Stresa,Mergozzo, con quei cadaveriche erano tornati a galleggia-re. Queste non erano voci.Tutto era avvenuto a pochissi-mi chilometri di distanza daiconfini del Canton Ticino”13.

Partire per la Svizzera?In casa mia si discusse se

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dovessimo partire, anche noibambini, ma eravamo troppi,cinque e la più piccola avevaappena due anni. Mia madrenon se la sentiva di lasciarciandare da soli, chissà dove, ecol pericolo di venir divisi trafamiglie differenti e noi nonvolevamo distaccarci da lei. Ma anche restare fu una sceltadifficile, per i miei, anche secercarono dinon farcelocapire. Il perico-li c’erano.Quanto era suc-cesso sul Lagoera nella memo-ria di tutti, comeanche era vivo ilricordo dei 43 diFondotoce fuci-lati il 20 giugnodel ‘44. Erestando, eracerto che cisaremmo trovatiin mezzo a unabattaglia.

Tentativi di fugaQuando ormail'attacco allarepubblica eraimminente, ipartigiani passa-rono di nuovo aconsigliarci di scappare, per-ché il nemico sarebbe potutoarrivare da un momento all’al-tro. Mia madre, preoccupatis-sima, anche perchè mio padreera andato a lavorare, comesempre, a Pieve Vergonte,decise, quella mattina, diseguire il consiglio e partim-mo, in direzione diDomodossola, a piedi, datoche mezzi di trasporto non cen’erano e il treno non passavapiù da Ornavasso, perchè iponti della ferrovia erano statifatti saltare. Ricordo che erauna bella mattina di sole. Connoi si erano incamminateanche tante altre donne, presedalla paura, con i loro bambi-ni. Dopo poco, però, miamadre si convinse che nonpotevamo farcela e tornammoa casa. Con mio grande dispia-cere, devo confessare.

La paura era che i nazifascistisfondassero di slancio il fron-te di Ornavasso - Mergozzo etagliassero le comunicazionicol resto della valle, perchèavremmo perso i contatti conmio padre che ebbe invece iltempo di rientrare aOrnavasso, la sera. Il frontecrollò di colpo, la mattina suc-cessiva.

Facemmo appena in tempo adessere avvertiti dai partigianiin ritirata di aprire e finestre edi metterci al coperto, perchèavrebbero fatto saltare il pontesul Riale. Cercammo di scen-dere di corsa in cantina, mal’esplosione ci colse a metàdella scale.Poi prese a pioveree in pochissimo arrivarono ifascisti e si fermarono sottocasa nostra, perchè era arretra-ta rispetto al filo della strada eoffriva loro un riparo sicuro,mentre sparavano contro laPunta di Migiandone. Restammo chiusi e senzamangiare per tre giorni in can-tina, col terrore che ci entras-sero in casa e facessero rap-presaglie. Ma queste sonoaltre storie.

I bambini sapevanoNoi bambini sapevamo molte

cose dei tedeschi, delle stragi,della guerra, dei partigiani, deiloro fazzoletti verdi, rossi eazzurri, che significavanoanche contrapposizioni politi-che, non perchè gli adulti ciraccontassero e spiegasseromolto di queste vicende terri-bili; preferivano che ne sapes-simo il meno possibile, mavedevamo e sentivamo quel

che dicevano e facevano incasa e fuori. Vedevamo esapevamo molto più di quantoprobabilmente gli adultiavrebbero voluto e pensasse-ro. Vedevamo e sapevamo chela radio, costruita da miopadre, serviva per ascoltare, lasera, faticosamente, tra fortiinterferenze, Radio Londra,qualcosa di proibito, perchèveniva tenuta a voce bassissi-ma, dopo aver chiuso e oscu-rato le finestre. Mia madre, avolte, ci intratteneva nelle lun-ghe ore del coprifuoco a lumedi candela, cantandoci canzonipopolari e quando intonaval’“Internazionale” o “L’inno aOberdan”, la voce si facevapiù bassa, e ci avvertiva chenon dovevamo cantarle, per-ché i tedeschi non volevano.Sapevamo chi era partigiano eche dovevamo tenere la bocca

chiusa su quanto ascoltavamoin casa, avvertimento super-fluo dato il terrore che ciavrebbe preso se qualche tede-sco ci avesse rivolto la parola.Sapevamo di F. militare napo-letano, rimasto dopo l’8 set-tembre in Val d’Ossola, cheper sfuggire alla deportazionein Germania, come lavoratoresi era falsificata la data di

nascita sullaCarta di identi-tà, invecchian-dosi e l’avevam o s t r a t a ,i m p r u d e n t e -mente direi,ridendo, anche anoi. Sapevamodi E. che avevapartecipato auna spedizionefuori repubblicaper procurarecibo e che, rima-sta coinvolta inuna sparatoriaera tornata spa-ventatissima e siera messa a lettocon un febbro-ne. Sapevamodove dovevanascondersi miopadre in caso dirastrellamento,anzi il nascondi-

glio sicuro glielo aveva indi-cato mio fratello. Erano i casidella nostra vita quotidiana,allora, e non potevano essercicompletamente nascosti dagliadulti. Avevamo visto, anche noibambini, le irruzioni, notturnee diurne, casa per casa, deitedeschi della Wehrmacht; ledeportazioni dei giovani delpaese; quelli che erano riuscitia fuggire buttandosi giù dallatradotta che li portava inGermania e quelli che invecevenivano portati alla fucila-zione.Avevamo temuto, come igrandi, le minacce di incendiodel paese. Avevamo visto imorti per strada e ci eravamotrovati in mezzo a improvvisesparatorie e scontri. Avevamo visto mucchi dimorti, di feriti fasciati e mac-

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chiati di sangue, sui camiondei tedeschi, che ritornavanoda qualche rappresaglia escontro lungo la strada delSempione. Non era quindi strano cheavessimo memorizzato e com-preso, già nel settembre-otto-bre ‘43, che i tedeschi aveva-no ammazzato degli ebrei e iloro bambini e avessimo sen-tito raccontare particolari spa-ventosi sulla morte di alcunidi questi.

Motivi familiariLa mia famiglia, però, avevaanche un particolare motivoper essere attenta a cosa suc-cedeva agli ebrei in queltempo, perchè mio zio, il fra-tello di mia madre, aveva spo-sato un’ebrea, che, vittimadelle leggi razziali del ‘38, erastata “esonerata” dall’inse-gnamento al Liceo ClassicoGalilei di Firenze. Dopo l’8settembre, le preoccupazioniper la sua sorte erano aumen-tate. Le comunicazioni eranodiventate più difficili, la postafunzionava male e c’era lacensura. Dopo la liberazione diFirenze, dove lei viveva, nonne sapemmo più niente, finoalla fine della guerra.

Notizie orali più efferate e pateticheLe notizie riguardanti la stragedegli ebrei sul Lago Maggiorenon comparvero sui giornali(in ritardo ne dette una brevis-sima notizia incompleta, ungiornale socialista svizzeroche però in Italia non potevaessere distribuito), ma si diffu-sero oralmente e quasi subitoarrivarono anche da noi, conl’aggiunta di particolari maca-bri e raccapriccianti, anche senon propriamente esatti, chene aumentarono l’impattoemotivo. E’ la storia di un nonno che, aMeina, era stato buttato inacqua, nel Lago, mantenutosotto a colpi di remo sullatesta e affogato, assieme aisuoi piccoli nipoti, portati dalui in braccio, che è rimasta inmodo indelebile nella memo-

ria mia e di mio fratello. I fatti sono un po’diversi: èvero che i nazisti avevanoucciso, il 23 settembre, di

notte, Dino Fernandez Diaz,ebreo di Salonicco con i suoitre nipoti (e non due, comediceva la versione orale circo-lata), Jean di 17 anni, Robertdi 13 e Blanchette di dodiciprelevati dall’Hotel Meina,l’epicento di questa strage sullago. Ma i nipoti, è evidentedall’età, non erano dei bambi-ni così piccoli da poter essereportati in braccio dal nonno,come diceva invece la pateticae truculenta versione, passatadi bocca in bocca e sopravvis-suta sino ad oggi, nonostante idati anagrafici che la smenti-scono, anche in un saggio sto-rico importante come quellodi Lutz Klinkhammer sullestragi naziste in Italia14. Come invece i quattro sianostati trucidati, non lo so. Laversione della loro morte effe-rata, per affogamento a colpidi remo, è possibile non siavera, però non ci giurerei chenon ci sia stato un sovrappiùdi ferocia nei confronti di que-sti quattro, perchè erano stati isoli che avevano cercato diresistere alle SS, barricandosinella camera dell'albergo,urlando e opponendosi fisica-mente al trasferimento verso illuogo dell'esecuzione.

Avevamo abitato a StresaMa c’è un altro motivo, percui ero nelle condizioni disapere. Nel 1942, mio padre

aveva trovato lavoro allaRumianca di Pieve Vergonte,in Val d'Ossola. Da Firenze,dopo un viaggio abbastanzaavventuroso, interrotto, aPiacenza, per un bombarda-mento aereo, ci eravamo tra-sferiti sul Lago Maggiore, aStresa. Ma qui abitavamo aridosso della stazione dellaferrovia che portava alla gal-leria del Sempione, dallaquale arrivavano, attraverso laSvizzera, ai tedeschi riforni-menti e materiale bellico. Unaferrovia quindi strategica perloro. I miei, per paura di pos-sibili bombardamenti alleati,decisero di trasferirsi, versomaggio - giugno del ‘43, aOrnavasso, nella bassa Vald'Ossola, divenuto, un annodopo, con Mergozzo, il frontedella Repubblica partigiana.Ma un po’ di contatti conStresa li avevamo ancora esoprattutto era vicina.

La Svizzera sa,ma punisce chi informaLa notizia della strage, attra-verso il Lago e la Vald'Ossola, arrivò anche inSvizzera, ma si era ancora nel‘43 e gli svizzeri non eranoancora sicuri che la Germania

avrebbe perso la guerra, nono-stante la vittoria dell’ArmataRossa a Stalingrado e lo stra-potere dell’impegno Usa e siguardarono bene dal far circo-lare questa notizia. La censura svizzera era moltoattenta a impedire la diffusio-ne di notizie sulla guerra chepotessero disturbare la sensi-bilità dei nazisti e dei fascisti ecomminò un’ammonizione aidue giornali del Ticino cheavevano parlato di questoeccidio, la socialista LiberaStampa (9 ottobre 1943) edEdilizia Svizzera (6 gennaio1944) che aveva ripreso unarticolo apparso su un’edizio-ne clandestina dell’“Avanti!”dove si parlava di “Ebrei get-tati come cani in fondo al lagoo schiacciati in vagoni piom-bati”15. I censori svizzeri non eranoaffatto neutrali, ma decideva-no in base a “logiche politichecontingenti” e agli interessieconomici e delle banche.“Nella prima fase della guerra,quando la Germania e l’Italiaincutevano ancora grandetimore il controllo censorio fuforte. Successivamente, conl’avanzata della truppe Alleatesu tutti i fronti, le maglie dellacensura si allentarono note-volmente”16.

Affari e finanza contro veritàe solidarietàVari i motivi della reticenza edella censura svizzera, matutti poco nobili: la Germaniagodeva di indubbie simpatietra i censori e presso buonaparte dell’opinione pubblicasvizzera; le vittorie sovietichedall’inizio del ‘43 li spaventa-vano più del nazismo; esiste-vano intensi e ottimi rapportieconomico - finanziari e com-merciali, con gli industrialitedeschi, l’esercito, i nazisti ele SS; oro, gioielli, denaro, maanche opere d’arte depredatinei paesi occupati e agli ebreivenivano depositati pressocompiacenti banche svizzeredove il segreto bancario rende-va difficile l’identificazionedella loro provenienza crimina-le; infine nei confronti degli

Sgomberati

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ebrei, sia a livello federale checantonale c’erano “disinteres-se, reticenza e talvolta apertaostilità: atteggiamenti derivantida forme striscianti di antise-mitismo diffuse in vaste areedel mondo politico e dellasocietà”17. Denunciare le straginaziste avrebbe comportato ilrischio della rinuncia a questafonte colossale di profitti. Si calcola che gli ebrei respin-ti, durante la guerra, alle fron-tiere svizzere siano stati decinedi migliaia, ed è noto che ilGoverno federale stabilì perdecreto, che agli ebrei rifugiatiin Svizzeradovessero prov-vedere le asso-ciazioni ebraichesvizzere18.

Le tante stra-gi dimenticateNel dopo guerra,di questa stragepoco si è parlatoe se si eccettua ilVerbano - Cusio- Ossola è anco-ra sostanzial-mente ignota. Sela conosco, io che vivo inToscana, è solo per i motivi cheho detto. Dove abito oggi, nelcarrarese, zona anche questa distragi naziste terribili e di gran-di lotte partigiane, non ho tro-vato nessuno che ne avesseneanche sentito parlare. Ha ragione il titolo di un bellibro, che esamina questavicenda a definirla “La stragedimenticata”19. Ma di stragi, di fatti, di perso-ne e di luoghi dimenticati, pareche ce ne siano moltissimi altri. Dalle cronache dell’ultimaGiornata della Memoria e daquella, di poco successiva, delRicordo, emerge un consisten-te gruppo di lamentele in que-sto senso. Un po’da per tutto,in Italia, si rivendica una pro-pria “strage” locale, una pro-pria vicenda di resistenza, unproprio “eroe” dimenticati.Sicuramente è vero, la guerraera onnipresente e così le stragie la resistenza. La memoria della maggiorparte di queste vicende, anche

solo per il numero, resta inevi-tabilmente locale. Solo alcunehanno acquistato, per più moti-vi, una risonanza nazionale,diventando rappresentative ditutte le altre. Alle Ardeatine ci furono moltemeno vittime che a Sant’Annadi Stazzema, dove furono tru-cidati soprattutto vecchi,donne, bambini e neonati.Eppure quell’eccidio è più notoe ricordato di Sant’Anna, cheha fatto fatica ad uscire dalladimensione locale, anche forseper l’esistenza, in loco e alungo, di memorie contrappo-

ste e non pacificate.Marzabotto è diventato l’even-to rappresentativo delle stragiindiscriminate del ‘44, eppurequelle di poche settimaneprima, tra la Versilia, Carrara ela Lunigiana non furono menoatroci né le vittime, complessi-vamente, meno numerose. La “Repubblica” dell’Ossola èla più famosa delle zone libera-te nel ‘44, penso a ragione, mace ne sono state altre più longe-ve e molto significative per leproposte politiche e socialiavanzate.

Memoria, non top ten Non serve fare una top tendelle stragi o dei diversi suc-cessi partigiani. E’il loro com-plesso che va ricordato, analiz-zato, storicizzato. Se poi questio quelli assumono una visibili-tà nazionale e altri meno, nonpenso sia un problema. E’invece la conservazione, lariproposizione, il confronto el’attualizzazione della memo-ria di questi avvenimenti che è

necessaria e urgente, oggiancor più di ieri, di fronte allacrescita preoccupante dinostalgie e pratiche fasciste enaziste, negazioniste, razziste,antidemocratiche e negatricidella Resistenza e dei suoivalori. E’ di questi giorni lanotizia di quel comune tedescoche ha dato una medaglia d’oroa un suo cittadino “esemplare”,condannato all’ergastolo inItalia per la partecipazione adalcune delle più efferate stragiin Italia, quella di San Terenzoe Valla e quella diMarzabotto. Una svista?

Perchè si è dimenticato?E’ necessario anche domandar-si come mai, rispetto a tanteviolenze, stragi, eccidi perpe-trati durante la guerra, sia cala-to, per tanto tempo il silenzio,si sia cercato di dimenticare. La Giornata della Memoriaistituita per legge, in Italia, solonel 2000, e dall’Onu nel 2005ne è la dimostrazione. Perricordare c’è stato bisogno distabilirlo per legge. Ma nonsolo la shoah è stata sottovalu-tata e accantonata per lungotempo, anche i militari depor-tati e i rastrellati utilizzati comemanodopera schiavile inGermania sono stati dimentica-ti a lungo, sottovalutati e consi-derati con sufficienza persinoda chi aveva fatto laResistenza. Per non dire deirom, degli handicappati gravi,degli omosessuali, dei dissi-denti religiosi. Rifiuto e chiusura giunti spessoanche da parti al di sopra diogni sospetto, come E. Wiesel,premio Nobel per la Pace ed

ebreo sopravvissuto ai campidi sterminio (suo “La notte” ed.Giuntina, Firenze, 1980) chenon ha voluto, fino a quando èstato presidente dellaCommissione Presidenzialesullo Olocaustodal 1968 al1986, in vista della realizzazio-ne del Museo sulla memoriadello Olocausto degli StatiUniti a Washington D.C., lapartecipazione di zingariall’US-Holocaust MemorialCouncil, organizzazione per laconservazione della memoriadelle vittime del nazismo20.Certo esistevano ed esistono

memorie divisenon conciliate oinconci l iabi l iche hanno consi-gliato e favoritola dimenticanza.Ci sono stateragioni politichecontingenti chehanno privile-giato dellememorie rispet-to ad altre, quel-le dei combat-tenti rispetto aquelle delle vitti-

me, dei reduci dai lager e deinon combattenti, Forse c’èanche un’inflazione celebrati-va, retorica e monumentaria,che banalizza la memoria e ali-menta il disinteresse, specie trai giovani. Ma non si può nega-re che il fenomeno della rimo-zione ci sia stato, ci sia ancorae vada in qualche modo com-preso e contrastato.

Le vittime hanno anche diritto di dimenticarePrima di tutto va consideratala rimozione dovuta alle vitti-me, alla loro difficoltà di par-lare e di rielaborare le loroesperienze estreme e le lorosofferenze. Certi ricordi sonotroppo dolorosi e devastantiper dirli a cuor leggero e dirliin pubblico. Ci sono volutidecenni, perché tanti deisopravvissuti di Auschwitz,specie quelli che non hannoavuto la forza o la capacità discriverne, arrivassero adaccettare i propri terribiliricordi, senza farsene travol-

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gere e sentissero di poterneparlare, anche in pubblico.

Non ne ho mai parlato con mia ziaHo già detto della mia ziaebrea, piemontese, rigorosa esevera, razionalista e credente.L’ho frequentata sino alla suamorte, avvenuta nel 1976.Avevo confidenza con lei, mamai, neanche una volta abbia-mo parlato di queglianni, di quell’esperien-za, dell’avvilimentoper la sua perdita delposto di lavoro, del-l’umiliazione per la suariduzione a umanitàinferiore, delle angoscee dei pericoli corsi dalei e dai figli, specienell’estate del ‘44,quando i nazisti stava-no per abbandonareFirenze e lei trovò rifu-gio in un collegio degliScolopi. Era evidente-mente un argomentoancora difficile daaffrontare, a più di tren-t’anni dai fatti, anche tra fami-liari. Questa difficoltà di par-lare vale ancor più per chi èstato in un campo di stermi-nio.

Sta per scadere il tempo dei testimoniIl passare del tempo ha resosicuramente meno dolorosoricordare e parlare e, a cavallotra gli anni ‘80 e ‘90, il nume-ro dei testimoni attivi è cre-sciuto enormemente, ma nonme la sentirei di dire che si ètrattato solo di rielaborazionedel lutto o di superamento delblocco psicologico dovuto asensi di colpa o a vergogna.Molti dei sopravvissuti a ecci-di, violenze e campi di stermi-nio dicono che da queste tra-gedie, anche solo per averleviste, non si può uscire, chenon si può superare facilmen-te il senso di colpa per esseresopravvissuti e la vergogna diquel che si è visto o subito, incondizione di assoluta impo-tenza, “la vergogna che i tede-schi non conobbero, quellache il giusto prova davanti alla

colpa commessa da altrui, egli rimorde che esista, che siastata introdotta irrevocabil-mente nel mondo delle coseche esistono, e che la suavolontà sia stata nulla o scar-sa, e non abbia valso a dife-sa”21.

Se non ora quando?Chi, negli ultimi anni, ha rac-contato, da testimone diretto,

quelle tragedie penso lo abbiafatto, soprattutto, per duemotivi. Il primo è che chi ha vissutoquelle esperienze, sapeva didover ormai affrontare la sof-ferenza del ricordare e narrareda testimone, perchè stava - eancor più sta ora - per scade-re il tempo naturale di questitestimoni.

RitornanoIl secondo motivo è che fasci-smo, nazismo, razzismo, anti-semitismo stanno riemergen-do e diventando sempre piùaggressivi, spudorati e perico-losi, in Italia, in Europa e nelmondo. Se prima si poteva pensareche il sistema democraticobastasse a garantire, con le sueleggi e la sua sensibilità, daquesti ritorni orribili, oggi nonci si può più illudere; bisognaimpedire che crescano e dila-ghino e per questo diventaindispensabile il contributoche possono dare la memoria,per quanto dolorosa possaessere, e le narrazioni di cosa

siano stati fascismo e nazi-smo.

Amnesia di statoMa se la difficoltà di parlareda parte delle vittime (ebrei,rom, omosessuali, militariinternati, antifascisti, politici eresistenti, uomini e donnecomuni) è comprensibile, c’èstata invece colpevole un’am-nesia istituzionale, politica e

ideologica fin dal giorno dellaLiberazione, che è andataaggravandosi col passare deglianni. Il fenomeno, che ha equiva-lenti in molti altri paesi euro-pei, ha impedito di fare i conticon il fascismo e la dittatura,l’asservimento saloino ai nazi-sti, l’antisemitismo, il razzi-smo, le stragi, la tortura, ilsistema sociale instaurato diingiustizie e disuguaglianze,la negazione di tutte le libertà,la violazione sistematica deidiritti umani fondamentali.

Guerra fredda: è utile dimenticareDopo il ‘45, la guerra fredda,in nome dell’anticomunismo,ha determinato l’automaticacancellazione istituzionaledella memoria di ogni passatoscomodo. C’è stato l’armadiodella vergogna; per i criminalidi guerra italiani (Graziani,Roatta, Robotti ecc.) non èstata concessa l’estradizioneverso i paesi (Jugoslavia,Etiopia, ecc.) che ne avevano,a giusto titolo, fatto richiesta;

l’epurazione è stata un falli-mento; magistratura e buro-crazia, ma anche i complicidel regime della società civilesono rimasti al loro posto;l’amnistia totale per i criminidel ventennio, e, sostanzial-mente, anche per quelli delperiodo di Salò, grazie alleconnivenze della magistratu-ra, ha impedito qualsiasi tenta-tivo di fare giustizia e i conti

con quel periodo. Dicontro, c’è stata, alungo, la criminalizza-zione e diffamazionedei partigiani e dellaResistenza.

Antifascismo roba da storici?Oggi si dice che biso-gna mettere una pietradefinitiva su quelperiodo, perchè tutte leparti, fascisti e resisten-ti, sarebbero egualmen-te state violente e quin-di equivalenti: i ragazzidi Salò come i parti-giani e poi è passato

tanto tempo. Da qui, da questaimprobabilissima e vergogno-sa equiparazione, la propostadi non parlare più di quelperiodo e dei suoi crimini eorrori e di consegnarlo allastoria e agli storici. Siano loroa conservarne la memoria,come fanno con le Guerrepuniche o Federico Secondodi Svevia. L’antifascismo andrebbe quin-di considerato solo comefenomeno storico ormai con-cluso, assieme al fascismo. Sidovrebbero dimenticare esuperare le contrapposizionidi un tempo, per arrivare amemorie “pacificate” e unifi-cate, quelle dei fascisti cheperseguitavano gli oppositoridel regime e quelle degli anti-fascisti che finivano in galerao al confino per decenni; deisaloini che torturavano e fuci-lavano i resistenti per contodei nazisti, e di chi aveva deci-so di resistere; delle SS che siritenevano razza superiore esterminavano ebrei e antifa-scisti e di chi, invece, per soli-darietà, cercava di salvarli; dei

Bambini della scuola di Sant’Anna pochi gior-ni prima di essere tutti trucidati

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sostenitori di una dittaturabarbarica e di chi, invece,come i resistenti, lottava per lalibertà, l’eguaglianza, la giu-stizia sociale e la democrazia.Quale mai memoria pacificatae unificata potrebbe esserci traqueste parti contrapposte einconciliabili, lo sa soloSalvini nel suo ottuso e oppor-tunistico qualunquismo.

Antifascismo ancoranecessario e attualeLa distanza, nel tempo, non hastemperato le differenze e lecontrapposizioni, ma ha per-messo di vedere la shoah, leviolenze della guerra, le stragiin una prospettiva storica piùampia e di acquisire la consa-pevolezza che le esperienzecollettive e personali, estremee terribili, dell’epoca, comequelle della deportazione edello sterminio ad Auschwitzo delle stragi naziste e fascistein Italia, riguardano tutti, rap-presentano una svolta storicaper tutti, segnano un passag-gio d’epoca e sono “patrimo-nio tragico dell’umanità”, nonmateriali asettici per gli archi-vi e la ricerca storica.La storia non è maestra di unbel niente, ed è inutile retori-ca, ripetere, come esorcismo,nelle manifestazioni ufficiali,“Mai più”, ma mettendo afuoco, recuperando e confron-tando i ricordi di tanti, è forsepossibile capire la nostra sto-ria collettiva, le nostre radici,il nostro tempo e conoscerechi siamo, tutti assieme e cia-scuno individualmente. I conticon la tragedie della secondaguerra mondiale vanno fatti;dobbiamo riconoscere cheappartengono dolorosamentee vergognosamente alla nostrastoria collettiva e personale. Primo Levi diceva di scriveree di fare memoria delle sueesperienze nei campi di ster-minio, “perchè il mondoconosca se stesso”, e non invista di qualche tesi o saggiodi storia.

Ma ci sono altre stragi...Si obietta che accanto all’or-rore della Shoah ce ne sono

altri, numerosi altri, nel passa-to e nel presente, altrettantogravi che avrebbero ancheloro diritto a una propria gior-nata della memoria. Ci sono imilioni di vittime della con-

quista dell’America che sonoben poco visibili e ricordati;le vittime del colonialismoeuropeo dell’800 e del ‘900; imilioni di schiavi razziati inAfrica e venduti in America;

le vittime della rivoluzioneindustriale e dell’oppressionecapitalistica ieri e oggi, gliarmeni, gli herero. E ci sono levittime delle guerre recenti oin corso, quelle nell’exJugoslavia, in Irak, in Siria, inMedio Oriente, in Palestina,nel Kurdistan, in Turchia, inAfrica, in Libia, nel mondoarabo. E le centinaia di miglia-ia di profughi che attraversanoMediterraneo e confini euro-pei, sperando di sopravviverealle guerre scatenate nei loropaesi dall’Occidente. Mal’elenco delle possibili giorna-te delle memorie sembrasenza fine.Un egiziano, un haitiano, unafghano, un irakeno, un india-no d’America, un siriano o unfilippino, un kurdo, vittimeieri o oggi di oppressioni, disfruttamento, di neo coloniz-zazioni, di stragi, di devasta-zioni dei rispettivi territori, dinegazione delle loro culture edei loro diritti umani, leggono,inevitabilmente, il passato inmodi diversi dai nostri ehanno altre date, altri avveni-menti, come propri punti rife-rimento. Gli va riconosciuto il diritto,le celebrino o no, a giornatedella memoria diverse e con-trapposte alle nostre.Conoscere le memorie di altrie metterle a confronto con lenostre, permetterà a tutti diconoscere meglio noi stessi egli altri e di uscire dal nostroetnocentrismo, dalle nostrechiusure, intolleranze e pauredelle diversità. E’ loro diritto rivendicarle enostro dovere riconoscerle erispettarle, ma questo nontoglie che, per noi, senza volernegare niente ad altri e senzavoler essere eurocentrici, ildominio e la presenza nazistae fascista, in Europa, dal ‘39 al‘45, non ha molti possibiliconfronti con altri nostriperiodi storici, non fosse cheper il fatto che, nel giro brevedi 6 anni, 50 milioni di uomi-ni e donne, quasi tutti europei,persero violentemente la vita. Mi sembra inaccettabilepolemizzare contro la

Memoria recente e memoria presente

E’appena trascorsa la Giornata della Memoria, ricca,come ogni anno, di commemorazioni e appunta-menti da più parti. Memoria dovuta si è detto, per-

ché chi non ricorda il passato non può costruire il presente, per-ché per edificare il futuro serve conoscere il passato. Tuttovero. Ma la memoria recente deve essere memoria presente.Deve essere memoria di quel che ci accade attorno, deve esse-re memoria che non solo commemora ma agisce, che non silimita a ricordare i genocidi di ieri ma affronta quelli di oggi,che non si placa nella narrazione di storie passate, ma si fa vocedelle storie recenti, che ci parlano dei respingimenti e dellenuove barriere, dei rastrellamenti degli oggetti di valore deiprofughi, di vagoni sigillati per evitare che i migranti scenda-no, di tatuaggi numericiin braccia migranti, dei palestinesi edelle loro terre occupate, dei siriani e delle loro fughe, deimusulmani e cristiani uccisi per il loro credo.Abbiamo tante cose da tenere in mente e far memoria, non soloil 27 gennaio. Non necessitiamo di memorie convenzionali,istituzionali, burocratiche che lavino la coscienza di unOccidente incapace di imparare dal passato, di accogliere gli“ebrei” odierni, di vaccinarsi, una volta per tutte, dalla banali-tà del male. Ci sarà chiesto dove eravamo mentre tutto accade-va nel nostro tempo, un tempo in cui non si può più dire «nonsapevamo, non eravamo al corrente». Ci chiederanno contodella nostra credibilità, in un tempo in cui commemoravamo ilpassato, facendoci scivolare addosso il presente, mostrando,ancora una volta, di non aver mai imparato quella pagina di sto-ria da cui, diceva Primo Levi, non dobbiamo mai togliere ilsegnalibro.

Redazione Newsletter Suore Comboniane Giovedì 28 Gennaio 2016

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Giornata della Memoria, per-ché oggi Israele ... No. Sonofatti storici diversi, che hannocause storiche diverse e vannoanalizzati separatamente, perquello che ciascuno è in sé.Oggi gli italiani sono in mas-sima parte, purtroppo, diven-tati fortemente xenofobi e raz-zisti senza vergogna. Eppureper molto tempo sono statiemigranti, spesso clandestini,illegali, respinti, maltrattati,emarginati, discriminati razzi-sticamente e accusati di essereper natura criminali. Neanchenoi quindi abbiamo appresomolto, purtroppo, dalla nostrastoria recente. Abbiamo subito per vent’anniuna dittatura criminale,dovremmo essere vaccinaticontro ogni simpatia pergoverni autoritari, che voglia-no limitare la democrazia, ipoteri del parlamento, i dirittifondamentali, la partecipazio-ne politica di tutti, la giustiziasociale, la pace. Invece dob-biamo prendere atto che cre-scono le simpatie per governie politiche sempre menodemocratici e partecipativi. Lastoria terribile, vissuta dallevecchie generazioni, non ci haquindi insegnato molto. Non è automatico né obbliga-torio che le vittime di persecu-zioni, una volta cessata la lorocondizione di vittime, diventi-no capaci di amore universale,di essere moralmente miglioridegli altri. Sarebbe bello, manon avviene così. Non è avve-nuto per gli israeliani, nono-stante i campi di sterminio e lepersecuzioni bimillenarie, nonè successo per gli italiani, vit-time secolari di invasioni,occupazioni, dominazioni edemigrazioni. C’è un testo, che sta alla basedella nostra cultura da quasiduemila anni, la parabola delservo spietato, nel Vangelo diMatteo (cap. 18, 21-34),un’opera scritta da un ebreocristianizzato per altri ebreicristianizzati del primo secolodell’era volgare. In estrema sintesi: un re com-passionevole, condona undebito colossale e non restitui-

bile a un suo servo disperato,invece di farlo vendere comeschiavo con tutta la sua fami-glia, Questi, però, subito dopoincontra un suo collega che glideve una piccola somma, manon ha, neanche lui, i mezziper restituirgliela. Si dovrebbepensare che il creditore,memore della sua passataangoscia di grande debitore,condoni il piccolo debitoall’altro. E invece no, lo pren-

de per il collo e poi lo fa get-tare in prigione. La sua espe-rienza dolorosa non gli hainsegnato niente. Questo è ildramma. E’ un testo che, laicamente,riguarda tutti, credenti e noncredenti: sono almeno due-mila anni, o forse di più, chesappiamo che non c’è neces-saria relazione tra l’essere vit-time e dovere morale di com-portarsi amorevolmente congli altri. E’ necessario smettere di farconfusione e di estrapolare ilpassato per asservirlo ideolo-gicamente e politicamente alpresente.Non condivido la politica diIsraele nei confronti dei pale-stinesi, ma non vedo perché sidebba pretendere dagli israe-liani che siano più morali ecomprensivi di altri che oppri-mono altri popoli, per il moti-vo che un tempo, gli ebreisono stati destinati dai nazistialla soluzione finale. Tra ledue cose non c’è relazione.

Superuomini piccoli piccoliInfine qualche considerazionesulla meschinità umana diquei superuomini che diceva-no di non avere avuto notizia,loro che l’avevano compiuta,di una strage di cui anche io,che avevo solo 5 anni, ero aconoscenza e mi era fattoun’immagine terrificante.

Il processoCinque SS del 1º battaglione

della 1ª Panzer-DivisionWaffen SS – LSSAH venne-ro processati, nel 1963, aOsnabruck, in Germania per icrimini contro l’umanità com-messi sul Lago Maggiore, daun coraggioso tribunale che necondannò tre all’ergastolo ealtri due a pene minori. I verbali di quel processo,testimoniano della loro imba-razzante miseria umana:impauriti, smemorati, contrad-dittori, palesemente bugiardi,piagnucolosi, pronti a diffa-mare i commilitoni morti (maanche vivi) per salvare se stes-si, convinti di essere vittime dichissà quali macchinazioni. E privi di qualsiasi senso criti-co, ridicolmente meschini,senza sensi di colpa, senzadignità e senza vergogna.Totalmente incapaci di fare iconti con il proprio passato. Perso il potere, l’impunità e laprestanza fisica della giovi-nezza, la loro pochezza umanaappariva fin troppo evidente,colpevole e incapace di fare i

conti con quel passato22. Un conferma, al ribasso, dellabanalità del male, o, meglio,dei malvagi, una volta passatoil loro tempo, diventataemblematicamente evidentenel processo di Gerusalemme,ad Eichmann. Non è banaleWilhelm Kustener, che perl’ambizioncella di ricevereuna medaglietta qualsiasi daparte del suo comune, fainvolontariamente riemergerei suoi crimini da ergastolo inItalia, nascosti per 70 anni?

Una storia a “lieto” finePerchè a questa storia nonmanchi il “lieto fine” e la“morale”, va precisato che treanni dopo la sentenza diOsnabruck, queste condannevennero annullate da un tribu-nale tedesco compiacente chedichiarò che i crimini doveva-no essere considerati reati diguerra e quindi già amnistiati.Come si faccia a considerarereato di guerra e non criminecontro l’umanità lo sparare adei ragazzini di 12 o 13 anni,solo perchè ebrei, ce lodovrebbero spiegare i giudici.Ma la casta dei giudici tede-schi, entrati in servizio sotto inazisti e loro complici, eranorimasti quasi tutti al loro postodopo la fine della guerra, con-servando la stessa mentalità,la stessa fede fanatica e lastessa cultura nazista e antise-mita di prima (come avvenneper tanti di quelli italiani che,in fatto di assoluzioni di cri-minali di guerra, non furonoda meno); era inevitabile chesolidarizzassero con chi avevacollaborato e sostenuto, comeloro, la dittatura nazista.

Una piccola pietraEcco perchè ho sentito lanecessità di rivendicare lamia piccola memoria e osatoportare, la mia piccola pietra(even*) sulla tomba scavatanell’acqua, per rubare qualco-sa a Paul Celan, di tutte le vit-time ebree del Lago Maggioree dello sterminato numerodelle vittime di nazismo efascismo che non hanno avutogiustizia.

Sant’Anna di Stazzema

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note1) G. Bocca, “Prefazione” aMarco Nozza, “Hotel Meina. Laprima strage di ebrei in Italia”, ilSaggiatore, 2008; GiorgioBocca, Storia dell’Italia partigia-na, Laterza, Bari, 1966. 2) Ibio Paolucci, “Ma i tedeschisotto Hitler sapevano o ignorava-no? A proposito di un articolo diDahrendorf sullo sterminio degliebrei”, Triangolo Rosso, maggio20043) Hans Magnus Enzensberger,Hammerstein o dell’ostinazione,pag 181, Einaudi, 2008.4) J. Ellul, cit. in GiovanniTangorra, Credere dopoAuschwitz?5) M. Nozza, op, citpp. 230 sgg.6) Lutz Klinkhammer, Straginaziste in Italia.Donzelli, Roma,1997 pag. 74; LutzKlinkhammer L’occupazionetedesca in Italia, BollatiBoringhieri, Torino 1996.7) La citazione è in MauroBegozzi, Becky Behar, Claudiade Benedetti, Giuseppe Lara,“La strage dimenticata. Meina,settembre 1943”, pag 61,Interlinea Edizioni, Novara, 2001,dove si precisa che la notizia suquesta rappresaglia delle Ss è“tratta dalla storia ufficiale delle

SS, scritta da una SS, GeraldReitlinger, Storia delle SS,Longanesi, Milano, 1967, vol. II,pp. 221-222. 8) Lutz Klinkhammer, Straginaziste, cit. pag. 47.9) Gianni Rustighi, “Partigianidei monti di marmo”, pag. 253,Ceccotti editore, Massa 200510) Marco Nozza, op. cit. pp 45-47.11) Emidio Mosti, La resistenzaapuana, pp. 31 e sgg. Longanesi,1973. 12) D. J. Goldhagen, Volenterosicarnefici di Hitler, MondadoriMilano 1996.13) Marco Nozza, op. cit., pag.241.14) Lutz Klinkhammer, Straginaziste, op.cit, pag. 72.15) Adriano Bazzocco, Censurae autocensura in Ticino durantela seconda guerra mondiale,Associazione Svizzera per i rap-porti culturali ed economici conl’Italia , Basilea, Venerdí 10dicembre 2010, aula dell’Uni-versità di Basilea. Devo la segnalazione di questa ealtre indicazioni bibliografiche emultimediali e varie osservazioni,molto utili, su queste vicende aSamantha Grassi, di Omegna,che qui ringrazio.

16) Adriano Bazzocco, op, cit.,ma vedi anche AdrianoBazzocco, Fughe, traffici, intri-ghi. Alla frontiera italo-elveticadopo l’armistizio dell’8 settembre1943, “l’impegno”, a. XXIII, n. 1,giugno 2003 © Istituto per lastoria della Resistenza e dellasocietà contemporanea nelle pro-vince di Biella e Vercelli. 17) id.18) Jean Ziegler, La Svizzera,l'oro e i morti. I banchieri diHitler, Mondadori, Milano, 1997,pag. 297.19) Mauro Begozzi, BeckyBehar, Claudia De Benedetti,Giuseppe Laras, “La stragedimenticata”, Interlinea edizioni,Novara, 2001.20) Ancora nel 1979, il filoso-fo ed ebreo tedesco ErnestTugenhat domandandosi comeandassero le cose dopo tantianni, per i sopravvissuti allosterminio, affermava: “... pernoi Ebrei bene. Però cerco diimmaginare come sarebbe lamia vita, se dopo Auschwitz ipregiudizi contro gli Ebreicontinuassero ininterrotticome continuano i pregiudizicontro gli Zingari. Per lorol’incubo non è cessato. NelTerzo Reich noi Ebrei erava-

mo ritenuti sottouomini.Ancor oggi gli Zingari, anchese non apertamente, vengonoindicati come sottouomini ecome tali percepiti e trattati”21)Primo Levi, I sommersi e isalvati,Torino, p. 55.22) Cfr. Marco Nozza, op. cit.E’ l’opera fondamentale per laricostruzione di queste vicende eoffre un altrettanto fondamentale,attento e puntuale resoconto diquesto processo.*) “Even” (non so il genere dellaparola), in ebraico, indica le pie-truzze che gli ebrei depositanosulle tombe che vanno a visitare.La parola, l’ho appresa recente-mente, perchè compare nel titolodi un bel documentario sulla stra-ge degli ebrei del Lago Maggiore“Even 1943, Olocausto sul LagoMaggiore, Produzione: Casadella Resistenza, Italia 2010,115’, Regia: Lorenzo Camocardie Gianmaria Ottolini”.

E’ stata sempre SamanthaGrassi a segnalarmi il docu-mentario Even e si è anche pre-occupata di farmene avere unacopia. Inutile dire che la ringra-zio anche per questo e per la suagenerosa e competente disponi-bilità.

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Massacravabambini e neonatiMedaglia a un boia di SanTerenzo e Marzabotto

Wilhelm Kusterer, con-dannato all’ergastoloper le stragi naziste del

‘44, da San Terenzo e Valla fino aMarzabotto, non solo di carcerenon ne ha fatto neanche un giorno,perchè la Germania non concedel’estradizione per questi boia nazi-sti, ma è stato insignito di meda-glia d’oro dal sindaco diEngelsbrand, piccolo comune delland del Baden-Württemberg,dove abita, per essere “un cittadi-no che ha reso grandi servigi alsuo comune di origine, un cittadi-no attivo e onorevole”. Lo sdegno

e le proteste dei familiari delle vit-time e degli antifascisti per simileonore a un rappresentante tra i piùbassi e peggiori possibili, delgenere umano, dato che ha contri-buito a trucidare bambini e neona-ti, donne indifese e vecchi amma-lati, responsabili di niente, sonolegittimi e doverosi, ma i loroeffetti non saranno molti: ai boia,che hanno scelto di essere boia,non faranno né caldo né freddo. Ci si può domandare come facciaquesto massacratore a vivere,senza pentimenti, beato e contento con se stesso e a dormire sonni tranquilli, nascondendo alla suacomunità i crimini contro l’uma-nità che ha compiuto, ma la “banalità del male” o, piuttosto, la bana-lità dei malvagi” era la caratteristi-ca dei nazisti, una genia fanatica,fondamentalista e feroce, che siconsiderava “razza superiore” e

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Avenza

Fuggitoda Auschwitz

La tendenza a sottovalutare più chea censurare le proprie memorie diesperienze terribili in condizioni

estreme, è facile da riscontrare soprattut-to tra chi non è un intellettuale e non scri-ve le proprie memorie. Maanche io che l’ho ascoltata,questa storia, dal protagonistami sento a disagio raccontandoquanto udito 50 anni fa, quasine tradissi la fiducia.Il bar, sotto casa, dove andavo,tra il ‘50 e ‘60, era frequenta-to soprattutto da lavoratori,apprendisti, tipografi, marmi-sti, camionisti, piccoli com-mercianti . Giocavano a carteo a biliardo e discutevanoaccanitamente di calcio e sportsoprattutto, ma anche di politi-ca. I bar allora erano ancheluoghi di accese discussioni einterminabili polemiche politi-che e quindi di vera formazio-ne e la cosa mi piaceva e mi èstata utile. Io non giocavo enon mi interessavo di calcio,ma mi piacevano i confronti ele esibizioni verbali a cui assi-stevo (fare i “talenti” era il modo, nonpropriamente positivo, di definirle, madevo precisare che non era il bar, famoso,dei “talenti” il Centrale, quello a cui miriferisco). Con qualcuno, indifferentecome me al gioco, era più facile trovarmodo di chiacchierare del più e del menoe soprattutto di politica. Tra quelli che non giocavano, parlavospesso con un mite e schivo lavoratore diuna segheria di marmo, più anziano di medi una quindicina d’anni, di cui ricordosolo il cognome, M., che qui ometto, nonsapendo se ci siano suoi familiari in zonae se lo vorrebbero. Era riservato, quasitimido, poco loquace (o almeno così misembrava), penso di sinistra. Non soneanche dove stesse, forse a metà traAvenza e Marina, ma frequentava comeme, abitualmente, quel bar. Non si intro-metteva nelle polemiche ricorrenti e par-lava quasi esclusivamente con me ecredo, che certe cose, almeno lì al bar, leabbia dette solo a me, nessuno tra i nume-rosi frequentatori del bar ne conosceva lastoria. Parlava di lavoro e della segheria,del suo padrone così prepotente e sfrutta-

tore che non gli aveva concesso neancheun giorno intero di ferie per parteciparealle nozze della figlia, dei turni di lavoroa cui lo costringeva anche di domenica enelle feste, senza denunciare mai il lavo-ro straordinario, della mancanza di dirittisindacali e della inaffidabilità di moltisindacalisti, che diceva facessero la spiaal padrone. Parlava della famiglia e deldopoguerra, quando, rientrato dalla pri-gionia, fece da guardia del corpo delfiglio di un industrialotto la cui famiglia

si era compromessa col fascismo. A me èsempre piaciuto stare ad ascoltare storiedi vita, per cui andavamo d’accordo. Poi,un giorno, comincia a raccontarmi la suastoria straordinaria, se non unica, durantela guerra e durò vari giorni, sollecitatodalle mie domande. Mi meravigliò il tonoche utilizzava, raccontando fatti ed espe-rienze estreme e terribili, un modo paca-to, senza odio, direi, ma con sofferenzatrattenuta. Mi ricordava Levi, che luisicuramente non conosceva. Presi qual-che appunto (allora non c’erano i registra-tori di oggi) ripromettendomi di appro-fondire il discorso, ma sono andati persi,nei diversi traslochi che feci da allora e siinterruppero anche i contatti con lui,avendo cambiato abitazione, paese e bar,il solo luogo dove ci vedessimo. Quandolo ritrovai, sempre allo stesso bar, alcunianni dopo era stato operato di un tumorealla gola e si faceva capire con molta dif-ficoltà. Poi non è più venuto. Spero di non sbagliarmi sui nomi deilager che ho nella memoria. Prigionierodei tedeschi, probabilmente dopo l’8 set-tembre, era finito a Mauthausen. Qui, per

le continue vessazioni a cui era sottopo-sto, aveva finito per ribellarsi e dare uncazzotto a una SS. Dopo una serie di vio-lenze a cui era stato, per punizione, sot-toposto e di cui faceva ancora fatica aparlare, ma che mi descrisse accurata-mente, era stato inviato ad Auschwitz. E’in questa occasione che ho avvertito inlui, il senso di vergogna irreparabile,quella di cui parla Levi, che prova chi havisto e subito, nell’impotenza, l’inenarra-bile.

Assegnato a un magazzino,era sopravvissuto grazie allasolidarieta di alcune prigionie-re russe, con cui comunicavaattraverso il muro divisorio diun gabinetto, che, via via, glipassavano di nascosto un po’di zucchero, mettendoglielosopra lo sciacquone. Poi, quando il fronte si eraavvicinato al campo, era riu-scito a fuggire assieme a unrusso, arrivando alle lineedell’Armata Rossa, ormai vici-ne e si era salvato. Le sue tra-versie però non erano finite,anche se i russi lo trattaronomolto bene e lo presero a lavo-rare con loro, perchè si eraribellato ai tedeschi. Raccontava ancora, con ango-scia, le sue vicende di guerraaccanto ai russi, quando avevaassistito a fatti terribili, perchè

in quel clima di guerra e violenza, i russierano inflessibili contro le SS, chi avevatradito e chi veniva meno alle regole ele-mentari, come quelle contro il furto.Ricordava che appena arrivato alle lineerusse e identificato, grazie al suo compa-gno di fuga era stato prelevato e portato,pieno di paura, perchè non capiva ilrusso, in un grande campo recintato, inmezzo alla neve, davanti a un centinaio odue di soldati e graduati con le uniformitedesche. L’ufficiale sovietico che lo aveva condot-to lì, fece un lungo, violento discorso aimilitari schierati, indicandolo più volte,con suo grande timore, nonostante le ras-sicurazioni contrarie (le sole cose che riu-sciva a capire, dato che gliele esprimeva-no in un italiano approssimativo), ma ilsenso del discorso gli sfuggì completa-mente. Appena l’ufficiale smise di parla-re, alcune mitragliatrici che erano allinea-te davanti ai militari iniziarono a spararee cessarono quando nessuno di loro erapiù in piedi. Lui rimase atterrito, ma glispiegarono che non aveva niente da teme-

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Fuggito da Auschwitz da pag. 34

re e che anzi era stato indicato come esem-pio di fedeltà e antinazismo, perchè, pri-gioniero era riuscito a fuggire, mentre tuttii giustiziati erano ucraini o georgiani che,dopo l’invasione tedesca, avevano accetta-to di combattere al loro fianco, meritando-si, automaticamente, una volta catturati

dall’esercito sovietico, la condanna amorte. Sono storie che avrebbero avutobisogno di essere raccolte e fissate allora.Non ho mai più sentito raccontare questastoria da altri e non so se ne esista tracciain questa zona, come se chi aveva resistitonei lager e nei campi di sterminio, avessefatto una resistenza minore che non vales-se la pena ricordare. Per quanto conservi

un ricordo ancora vivo di lui e della suamitezza, molti particolari del suo raccon-to ormai mi sfuggono. Chissà che non siaancora possibile ricostruirnìe la storia dichi seppe conservare la sua dignità anchedi fronte alle brutalità estreme delle SS, senon altro dai documenti militari, dei lagertedeschi, del periodo in Unione Sovieticae del suo rientro in Italia. M.P.

Massacrava .. da pag. 33invece era di una criminalità, meschinità,miseria e insensibilità umane senza pari. Purtroppo la Germania, ancor piùdell’Italia col fascismo, non ha fatto i conticon il proprio passato nazista che perciòriemerge. Gran parte dei nazisti hanno riti-rato fuori la testa fin dal giorno della scon-fitta, hanno goduto di ampie protezioninazionali e internazionali e della censuraistituzionale della memoria storica, senzapentimenti e autocritiche e oggi continuanoa dominare la Germania, e purtroppoanche l’Europa, mentre molti appartenenti

alle nuove generazioni tedesche (e italiane)non hanno vergogna di manifestare, dicompiere violenze e di organizzarsi innome del nazismo, del fascismo e del raz-zismo, contro la democrazia, i diritti umanifondamentali, gli immigrati. Ben venganoperciò le proteste e le richiesta per fartogliere questa onorificenza a questo boia,ma oggi bisogna soprattutto essere moltopreoccupati dei motivi per cui un’interacomunità consideri normale onorare un suomembro, massacratore, non pentito, dibambini e condannato all’ergastolo. Come Anpi pensiamo che, al di là dei passi

burocratici doverosi, presso il governotedesco e presso l’opinione pubblica mon-diale, contro questa onorificenza a unuomo assolutamente e vergognosamentenon esemplare, sia immediatamente neces-sario rilanciare la lotta e l’impegno - anchecome risposta a quelli che vorrebbero faredell’antifascismo un argomento da archivie tesi storiche -, contro le risorgenti nostal-gie autoritarie, violente, xenofobe, razzisteche stanno avvelenando di nuovo la convi-venza pacifica tra cittadini e i popoli euro-pei.

Anpi Carrara

A.N.P.I. Carrara

No al referendum sullacostituzione

La Costituzione Italiana nascedopo una lunga dittatura di ventianni e cinque di guerra mondiale,

nella quale persero la vita quasi 50 milio-ni tra soldati e civili, uomini,donne, bam-bini, vecchi.E’ durante la guerra che matura nella resi-stenza e nell’antifascismo una nuovacoscienza politica, la scelta repubblicanae la richiesta di una carta costituzionaleche rompa con il passato non solo fascistama anche monarchico e liberalconserva-tore.Il popolo italiano optò per la Repubblicae una Costituzione pluralista, democrati-ca, socialmente progressiva, ma volleanche mettere dei rigidi paletti costituzio-nali alla possibilità di sovvertire la costi-tuzione, ricordando la facilità con cui ilfascismo aveva fatto carta straccia anchedel conservatore Statuto Albertino.Oggi, purtroppo anni di politiche sovver-sive e reazionarie, che hanno contrappo-sto la lettera e lo spirito della costituzioneantifascista e democratica, in nome di una

presunta costituzionemateriale, intaccando-ne le radici democrati-che, si punta esplicita-mente da parte delgoverno e dello stessoparlamento che ne haapprovato le proposte,a sovvertire laC o s t i t u z i o n eDemocratica e antifa-scista, con norme chealterano il corretto rap-porto tra elettori edeletti,tra potere legisla-tivo e potere esecutivo,tra potere giudiziario egoverno favoriscono,di fatto,la disugua-glianza tra i cittadini enon solo a livello poli-tico, ma economico esociale.Come Anpi, come eredi della lottaPartigiana, abbiamo l’obbligo di difende-re oggi la Costituzione che ha racchiusi insé tutti i valori della resistenza e dell’anti-fascismo, non perché sia immutabile, maperché, là dove si ritenga necessariomodificarla, crescano i margini dellalibertà, della democrazia, dei dirittiumani, della solidarietà, dell’eguaglianzasostanziale e non per ridurli. Non solo noidobbiamo chiedere con più forza oggi chela costituzione venga attuata e rispettata,ma che vengano attuati tutti quegli artico-

li, a cominciare dal diritto al lavoro ditutti, che fino ad oggi sono stati disattesi.In vista del referendum confermativodelle modifiche costituzionali approva-te dal parlamento, ci attende quindi, daqui a Ottobre, una lunga mobilitazioneperche il popolo italiano voti “NO” alreferendum e rifiuti di approvaremodifiche costituzionali che puntano asottragli diritti e libertà. In vista di unasocietà autoritaria e fondata sui privi-legi di pochi.

Anpi Carrara

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Un libro da leggere

Storie dei GapL’Apofasimeno

Nell’ ambito degli studie della ricerca storio-grafica sulla Resisten-

za, vi è un libro a cura di SantoPeli, “Storie dei Gap”(Einaudi, 2014) da segnalareper le notevoli conoscenze eriflessioni che offre nel suoampio e approfondito resocon-to sulla lotta partigiana in cittàe dei Gap che ne furono i pro-tagonisti.Un fenomeno in gran parte ine-splorato, se si considera chesulla Resistenza la pubblicisti-ca e la stessa “memoria collet-tiva” si è quasi sempre soffer-mata sul partigiano che sale inmontagna, consacrandone legesta. Mentre quello di città,salvo rare e lodevoli eccezioni,ha trovato poco spazio, oggettospesso di censure o peggiodeformanti se non demoniz-zanti attenzioni /come fu conl’uso criminalizzante di “viaRasella” fatto negli anni 90 inpieno clima revisionistico fun-zionale a fiancheggiare unasorta di rivincita sulle conqui-ste del movimento operaio ecosi avviare quei processi auto-ritari e di accentramento deipoteri tutt’ora in atto.Nel tentativo di colmare unvuoto, in buona parte dovutoali’ impronta politico-agiogra-fica e alla retorica narrativasulla Resistenza in auge daldopoguerra, soprattutto perparte del Pci, il saggio di Peli siconcentra sulle città, ritenendocon fondata argomentazioneche è qui che dopo l’“8 settem-bre” si determinò la direzionepolitica e militare della guerrapartigiana e il suo stessoimpulso attraverso la formazio-ne dei Gap, i quali dimostraro-no con le loro prime azioni lavulnerabilità dell’ordine nazi-fascista e la possibilità di attac-carlo e liberarsene passandoall’ offensiva con le proprie e

pur limitate forze.E’ questo il punto nodale diuno studio che l’autore da buonstorico svolge con una densa ericca raccolta di fonti docu-mentali/memorie, ricordi erelazioni, in particolare deiGap e della loro dirczionecomunista.Ripercorrendo tutta la storiadel gappismo, ,fino agli ultimibagliori dell’inverno 44/45,attraverso una molteplicità diaspetti tale da restituirne carat-teristiche e specificità inmaniera esaustiva nonché illu-minante le problematiche chel’hanno segnata, inevitabili per

un esperienza che combatte incondizioni estremamente arduepartendo praticamente da zero(interessante per altro la notasull’esperienza francese dei“Franchi tiratori”, ritenutainfluente su quella gappista, edi cui è uscito un bei film, L’armèe du Crime, distribuitofinora solo in Francia). In que-sto senso la storia dei Gap sisnoda con un’esposizione bendettagliata lungo una varietà dipiani che vanno da quelli piùcentrali di progettualità ecoscienza politica e di conse-guente azione militare, rico-struiti e contestualizzati nelquadro generale dellaResistenza e delle forze in

campo, a quelli relativi adaspetti più particolari legatialle eccezionali condizionimateriali, alle valenti qualità ealle tante difficoltà e inciampiche la clandestinità e la lottaarmata in città comportava.Dando così conto della realtàgappista ad ampio raggio: discelte e modalità operative, diorganizzazione/formazione eselezione dei militanti, dellaloro tenuta, con molte e signifi-cative pagine sull’arresto e latortura, e delle loro tensionicomprese quelle di carattereetico. Un forte rilevo vieneinoltre dato alla questione della

rappresaglia nemica, ricondot-ta alla barbarie di un unilatera-le atto di guerra, e dunquedecostruita rispetto alle tantepseudo verità e alle strumenta-li falsità che ancora viaggianotipo quelle sul nesso viaRasella - Fosse Ardeatine, rela-tive in particolare alla fantoma-tica leggenda fascio-revisioni-sta su di un possibile scambiotra la sospensione della rappre-saglia e la consegna deiresponsabili dell’attacco.Infine, la molteplicità di aspet-ti, richiamata nel plurale diStorie che dà il titolo al libro, siconferma nel particolareggiarel’attività gappista per come si èsvolta nei diversi territori,

soprattutto nelle principali cittàdel centro-nord (Roma,Milano, Firenze, Genova,Torino e Bologna).Il volume di Peli fin dal sottoti-tolo “Terrorismo urbano eResistenza” si distingue inoltrenell’ applicare il concetto diterrorismo alla pratica combat-tente dei gap, cosa che hasuscitato diverse critiche stantel’uso e abuso che si è fatto diquesto termine in epoca recen-te, con intenti fin troppo stru-mentali e mostrificanti versomovimenti di liberazione erivoluzionari.Peli si dimostra conscio delproblema, ma non se ne fa con-dizionare e anzi lo individuacome ostacolo da superare peruna più compiuta e definitaconoscenza dei fatti. In questosenso usa il concetto di terrori-smo, ma anche quello di guer-riglia (reso affine), con intentioggettivi volti a specificare unaforma di combattimento urba-no aventi caratteristiche pro-prie, ben distinte dalla guerrapartigiana di montagna. Ilpunto essenziale è, che da sto-rico rigoroso, Peli non interpre-ta ma si rifà ai documenti del-l’epoca, cioè a come i direttiprotagonisti definivano l’azio-ne dei Gap, riportando nume-rosi esempi, come il testo delladircezione unitaria del CorpoVolontari della Libertà (CVL)che parla espressamente deiGap come di “formazione dipochi uomini aventi per com-pito l’azione terroristica con-tro i nemici e i traditori”.D’altronde, si fa notare, lo stes-so Claudio Pavone, tra i mag-giori studiosi della Resistenza,nel suo fondamentale saggiosulla moralità della Resistenza,sottolinea quanto le parole ter-rore e terrorismo si trovinousate promiscuamente nellefonti partigiane. Così posta econtestualizzata la questione,scevra dalle visioni e pregiudi-zi deformanti dell’ ggi, puòessere anche oggetto di ulterio-ri precisazioni, ma di certo nondeprime ma anzi chiarifica lavalenza dei Gap, nella misurain cui s’intende per terrorismo

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Carrara

QualiGap?

Perché sulla guerra par-tigiana della zonaapuana si sa ed è stato

scritto molto e sui Gap e leSap quasi niente, al punto dipoter dubitare che i primisiano mai esistiti? E’ unadomanda legittima, suggeritain modo estemporaneo dallarecensione, qui sopra pubbli-cata, della ricerca storica diSanto Peli, “Storie dei Gap”(Einaudi, 2014) e dalla letturadiretta di questo saggio.Inutile dire che qui non sivuole avviare nessuna indagi-ne storica, che non ci compe-te, ma solo sollevare a nostravolta due interrogativi: “Cisono stati, a Carrara e, se sì,che cosa hanno fatto i Gap”? e“Per quali motivi non se ne èquasi mai parlato?”.

Le SapSulle Sap esiste uno smilzolibretto di Raimondo Serra,“Le S.A.P. di Apuania” pub-blicato dopo la sua morte, acura del figlio Valter, dove,accanto a documenti ufficiali,compaiono alcuni ricordidegli interventi principali diquesta organizzazione.Documentazione importante,ma incompleta e allo statogrezzo, più celebrativa e auto-referenziale che materiali utiliper una ricerca storica ampia. Sono mancati, insomma,finora, ricostruzioni dei fatti,raccolta di testimonianze deiprotagonisti e analisi criticheche collocassero queste vicen-

de nella storia dellaResistenza.

I GapAnche sui Gap, c’è moltopoco, al punto che, parlandocon dei testimoni dell’epoca,vengono ricordati solo comegruppi attivi e noti all’internodelle Sap, costituiti di solimilitanti comunisti e noncome organizzazioni clande-stine e autonome; più intra-prendente e di supporto arma-to per le iniziative delle Sapche con propri progetti eobiettivi. Anche dal Diario dellaFormazione Ulivi del Memoemerge la stessa immagine diun nucleo di comunisti com-battivi, ma che agivano piùcome supporto delle Sap, checome un nucleo clandestinoautonomo. Giorgio Mori con-ferma che i Gap, a Carrara,c’erano, che i loro componen-ti appartenevano alle Sap eche operavano inoltre in pro-prio, autonomamente, ancherispetto al Cln, ma non aveva-no l’organizzazione rigida eclandestina, rispetto allemasse proprie dei Gap piùnoti.

Memorie di un gappistaC’è un opuscolo del 1988,pubblicato dal partigiano,Remo Corsi, noto comeCarichin “Come e perchèdivenni partigiano, 1940-1945” che, nel raccontare,con sgrammaticata efficacia,il suo lungo cammino per arri-vare all’antifascismo militan-te, al comunismo e allacoscienza politica, parla anchedella sua esperienza di gappi-sta. Figlio di un operaio anti-fascista, bastonato a suo

tempo, daifascisti, a ventianni, nel 1940,riceve la cartoli-na precetto,assieme a suofratello. Evita difinire in Russia,perché quandoil suo battaglio-ne parte, percaso, è ricove-rato in ospeda-le. Dopo lad i sm iss i one ,viene inviato inGrecia. Di que-sto periodoricorda soprat-tutto la fame, ilfreddo, le priva-zioni di ognigenere e il peri-colo costante. Si ammala nuo-vamente e, fortunosamente,viene rimpatriato, nel 1942. Isuoi commilitoni e amici diCarrara invece finiranno dopol’8 settembre in un campo diprigionia in Germania.

Carcere per aver esultatoil 25 luglioE’ in licenza a Carrara, quan-do cade il fascismo e con altriamici festeggia rumorosamen-te l’avvenimento. Per questoviene arrestato dai carabinieriassieme ad altri militari, epassa attraverso varie carceriitaliane, fino a che, il 9 settem-bre, viene invitato dai secon-dini, a fuggire assieme ad altridetenuti militari, dal carcere diSarzana e rientra a casa. Essendo ricercato come diser-tore, sale ai monti e diventapartigiano, mentre in città siformano le Sap.

Attacco alle Brigate nere

Più tardi, dopo l’attacco allacaserma delle Brigate nere,viene designato dal Centro ope-rativo del Partito comunista,assieme a Ireneo Lindi (Nas),Mario Ussi (Zidin) e LucianoViola (Grid), a costituire unGap, a Carrara che opereràsempre a stretto contatto conle Sap, ricevendone ancheinformazioni di vario genere,utili per attuare la vigilanzadelle città.

Attività del Gap“Il nostro gruppo è semprepresente in tutte le azioni...poichè preventivamente infor-mati dal Centro operativo, edin alcune occasioni, operazio-ni che avremmo dovuto porta-re a termine, ci venivano sof-fiate da altri per mancanza diinformazione, così nel casodella spia uccisa in PiazzaFarini (sic ndr.): noi avremmodovuto quel giorno, catturar

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una lotta armata che attraversoregole ferree di clandestinità ecompartimentazione, è ingrado con piccoli nuclei di infliggere attacchi “non con-venzionali”, confacenti al con-

testo operativo e di sproporzio-ne delle forze, in grado di darvita ad azioni più o menodirompenti tali da innescarel’evolversi di quella guerracivile e di liberazione che siandrà vittoriosamente dispie-gando.

Rimane infine, quella inesame, una ricerca importante,tanto dal punto di vista dellaricostruzione storica, quantoper come questa si dipanaattraverso i tanti e complessiintrecci, congiunti però dal filorosso di una trama coerente

volta a valorizzare l’esperienzagappista e dunque il suo lascitodi scelte e valori che ancoraoggi può dare molto per andareavanti nella lunga e tortuosa lottacontro il dominio imperante e lesue barbarie per l’uguaglianza e ilprogresso sociale.

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Carrara quali ... da pag. 37 la (...) ma all’improvviso sbu-carono partigiani anarchici ela freddarono... Non restòaltro da fare se non caricare ladonna su un carretto, io, Ussi eViola e portarla all’obitorio”(pag. 22). Corsi ricorda ancora molteazioni della resistenza carrare-se a cui partecipò il suo Gap:alcune iniziative contro tede-schi, l’opera di vigilanza perintercettare le spie, la vigilan-za sulla manifestazione delle donne del 7 luglio, la partecipazione alla prima liberazionedi Carrara (8-11 novembre),l’apporto dato, con la catturadi alcuni tedeschi, alla libera-zione del Memo, l’impegno nei soccorsi per il bombarda-mento di Via Groppini, la cat-tura di 120 tedeschi che sierano rifugiati nella galleriadel rifugio antiaereo diMonterosso, durante la defini-tiva liberazione di Carrara,l’opera di ricerca e approvvi-gionamento di cibo per lapopolazione.

Gap servizio di vigilanzaTutte attività che sembranoavvalorare l’impressione diuna partecipazione costantealle attività delle Sap più che ainiziative di tipo gappistico.Le finalità di questo Gap, con-ferma Corsi, non erano solo“operazioni militari, colpi dimano”, ma anche “servizio divigilanza interventi ondesedare possibili incomprensio-ni tra le parti”, e “... l’approv-vigionamento di derrate ali-mentari, sia nell’ambito citta-dino concordate fra CPLN-SEPRAL... che, nell’ambitodelle possibilità, alle forma-zioni partigiane, in verità sem-pre scarse, ma con l’apportodella popolazione si riusciva asopperire in parte alle esigen-ze” (pag 29-30). Operazioni di polizia urbana,più che attività da gappisti.

Muore un partigianoI forni per il pane si preoccu-pavano di sfornarne, quandoc’era farina sufficiente, ancheper i partigiani. In particolare

il forno in Piazza Duomo delpartigiano Giusè Rola e quel-lo in Via Carriona di Egi Violaerano tra quelli che fornivanoil pane ai partigiani, lavoran-do ogni notte sotto l’incubodelle delazioni. Per questogruppi di partigiani vigilava-no di notte per impedire sor-prese da parte di fascisti enazisti e in attesa di poter riti-rare le razioni di pane lorodestinate. A questo proposito, GiorgioLindi ricorda un episodio rac-

contatogli dal padre Ireneo,gappista con Corsi.Una notte il gruppo era ripara-to nel Caffaggio, nei pressidel forno di Egi Viola, alCavallo, sulla Via Carriona,assieme a dei partigiani, inattesa che lo “Spagnolo”, ilfornaio, appartenente anchelui alla Resistenza, facesse laprima sfornata, quando siimbatterono in un pattuglionedi fascisti che perlustrava laCarriona. Ne nacque unoscontro a fuoco, durante ilquale rimase gravemente feri-to, a terra, un giovane parti-giano, che continuò per uncerto periodo a lamentarsi,ripetendo “Imola, Imola”.Quando qualcuno dei residen-ti, finito lo scontro, poté usci-re di casa a soccorrerlo, eraormai morente e non si riuscìa capire cosa volesse dire echi fosse.Lo stesso fatto, con alcuni

particolari si trova nei ricordidi Carla Franchini in “Storiedi giovani eroi” di LidoGalletti e Giorgio Lindi, Sea,2004: «Eravamo dell’inverno1944, ed alcuni partigiani sierano nascosti nel cucinone“all’areta” (sic, ndr) nellasalita Cafaggio. Aspettavano la “levata “delpane al forno della Maria, chesi trovava all’inizio della sali-ta per poi portarlo inFormazione al monte. Ad un tratto sentimmo delle

grida e delle raffiche di mitra,una voce gridava: “Imola,Imola”. Si trattava di un giovane par-tigiano che si era scontratocon il pattuglione tedesco,rimanendo ucciso; purtroppodi questo combattente per lalibertà non si ricorda il nome»(pag. 73).

FugaUn’altra volta, Carichin, cheera già un ottimo autista,mestiere che poi ha fatto tuttala vita, guidava un’ambulanzacarica di armi e si imbattè inun posto di blocco tedesco.Invece di fermarsi, con gran-de sangue freddo, dettatoanche dalla disperazione, inquanto se fossero stati presisarebbero stati torturati euccisi, fuggì a tutta velocità,riuscendo a sottrarsi ai colpiche gli sparavano e all’inse-guimento.

La consapevolezza di viverein situazioni di pericolo estre-mo e che ogni momento pote-va essere quello definitivo,dava ai gappisti sangue freddoe determinazione.

Coraggio e spavalderiaUna volta sempre IreneoLindi (Nas), Remo Corsi e ilMorino, vennero sorpresi aiButineti, da una pattuglia dicarabinieri, che forse nonerano fascisti, ma certo eranofedeli al re e a Badoglio econsideravano pericolosi icomunisti, per questo li fer-marono e volevano portarli incaserma, ma Morino tirò fuoriuna bomba a mano e minacciòdi tirargliela addosso se non sifossero tolti di mezzo, cosache fecero, ritirarondosi velo-cemente in caserma. Quelli che conservavano l’or-dine in città erano loro, non icarabinieri.

La delusioneAltro ricordo di GiorgioLindi: suo padre aveva rice-vuto l’ordine, qualche tempodopo la liberazione, dal CLN,di andare a prelevare aMilano, per riportarlo in città,l’avvocato BernardoPocherra, squadrista, federaledel Pnf, primo sindaco fasci-sta di Carrara e esponenteimportante della città duranteil ventennio. Trovato Pocherra, conCarichin e altri decisero dipresentarsi al commissariatodi Milano, forse per comuni-care l’arresto, ma stranamen-te, il commissario o chi perlui, sottopose tutti loro, nono-stante l’incarico del CLN. auno stringente interrogatorioper sapere chi fossero, dadove venissero, chi li avessemandati e infine dove avreb-bero alloggiato quella notte. Usciti dal commissariato, sichiesero meravigliati del per-ché di tante domande. A qualcuno, memore dellaprudenza necessaria appresanella lotta, venne fortunata-mente il dubbio che non fosseprudente andare nell’Hoteldove dovevano pernottare,

Aldo Petacchi, il terzo da sinistra, al confino a Ventotene

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visto che l’avevano indicatonel corso dell’interrogatorio efecero bene, perchè dopomezzanotte, arrivò una squa-dra di una quindicina di fasci-sti, armati a cercarli. La convinzione che avevaaccompagnato i gappisti diCarrara fino a Milano, che cisarebbe stata giustizia e chefinalmente c’era la libertà dimuoversi e pensare libera-mente, si era rivelata un’illu-sione pericolosa. I fascisti erano ancora vivi eattivi e appoggiati dalle istitu-zioni e la Resistenza andavacontinuata. Il fascismo non era ancorastato vinto completamente egli anni successivi avrebberodimostrato che era ancoraforte e presente, anche semascherato sotto varie forme. Basta pensare a come venneinterpretata e attuata l’amni-stia di Togliatti che, nonostan-te le buone intenzioni, servì amandare assolti molti crimi-nali di guerra e i delitti piùefferati a cominciare dalle tor-ture; solo una piccola mino-ranza subì brevi periodi dicarcere.

I Gap nella storia dei partigiani del marmoL’intervento più ampio suiGap a Carrara resta quello diGianni Rustighi che ne parlasin dall’inizio di “Partigianidei monti e del marmo”, pre-sentandoli, senza dirne le ori-gini e l’organizzazione, tra iprotagonisti, assieme a com-ponenti delle Sap di Avenza,dell’assalto alla sede delPartito fascista repubblicanodi Carrara dove era acquartie-rata la Brigata neraMussolini. Rustighi li defini-sce tutti comunisti, ma c’è dadubitarne, specie dei sappistidi Avenza, per lo più viciniall’anarchia. Subito dopo l’assalto, la mag-gior parte dei partecipanti sitrasferisce ai monti in qual-che formazione di partigianicombattenti. Corsi racconta invece - comeho già detto - di aver costitui-to su designazione del Partito

Comunista un Gap a Carrara,nonostante che il Morino, cheviene indicato come il capodei gap di Carrara, fossediventato diventa commissa-rio politico della Ulivi e loinvitasse a seguirlo nella for-mazione.

Gap sui generisConsiderando le attività notedi questo o questi Gap, emer-gono evidenti le differenzefondamentali rispetto ai Gap

organizzati dal partito comu-nista in altre parti del paese edi cui parla Peli. Qui manca completamente ilrispetto dlele regole dellaclandestinità e tutto quelloche questa comporta. Ne viene fuori la confermache si trattasse piuttosto dimilitanti comunisti che appar-tenevano alle Sap e, a volte incollaborazione con queste,altre volte autonomamente,magari su indicazione del par-tito, facevano attentati, sabo-taggi e azioni militari.

Recuperare memorieQuesti uomini coraggiosimisero la loro vita a disposi-zione del popolo italiano, perrendergli la dignità persa nelventennio e per dargli il dirit -

to di autodeterminarsi, dopola fine della guerra in modocosì disinteressato da nonrivendicare neanche le loroazioni e da permettere chefossero dimenticate. Per recu-perarne almeno parzialmentela memoria bisogna fareappello a chi, figli, parenti,amici, abbia ascoltato il rac-conto di qualcuna delle loroesperienze resistenziali e neconservi il ricordo. Sarebbenecessario che questi ricordi

indiretti delle attività dei Gape dei resistenti venissero fis-sate, salvate e fatte conoscere.Perchè, per quanto le testimo-nianze dirette di Remo Corsio di Giorgio Mori, del qualepubblichiamo, in questo stes-so numero, alcune precisazio-ni e conferme in merito, equelle indirette di GiorgioLindi, siano importanti e cer-tifichino la presenza di gappi-sti in città, la loro attività nonviene ricostruita e narrata inmodo organico e completo. Come per quasi tutti i Gap,sembra che anche l’attività el’impegno di quello/i diCarrara siano stati volutamen-te accantonati e dimenticati. Perchè nessuno ha potuto ovoluto ricostruire la loro atti-vità?

I motivi della cassazione dellamemoria collettiva riguardan-te il Gap di Carrara, probabil-mente sono gli stessi cheSanto Peli indica nel suo sag-gio sui Gap: erano gruppicostituiti da soli comunisti,clandestini e le loro attività,venivano considerate terrori-stiche, poco consone conl’idea che la guerra fosse unaquestione tra uomini armati esi dovesse svolgere secondoregole. Inoltre i Gap erano guardaticon sospetto, quando noncondannati, per motivi ideolo-gici, culturali e politici dallealtre forze del CLN, attendistee non. Le polemiche suscitate da ViaRasella e dall’uccisione diGiovanni Gentile, ancora oggid’attualità, ne sono la riprova. Per questo, dopo guerra,anche il Pci, che voleva accre-ditarsi come partito democra-tico e pienamente istituziona-le, deve aver preferito nonrivendicarne troppo l’apportodei Gap alla lotta diLiberazione e non ne ha favo-rito la ricostruzione storica.In quei momenti era anchepericoloso rivendicare certeattività partigiane. C’era ilrischio concreto di finireincriminati e condannati, dagiudici rimasti al loro posto,nonostante la loro sudditanzaal regime fascista e ancorasostanzialmente fascisti eanticomunisti. I fascisti e i criminali di guer-ra, che avevano perpetrato,con ferocia, crimini di massa,uccidendo anche bambini,neonati, donne e vecchi indi-fesi, finirono quasi tutti assol-ti, magari per mancanza diprove, anche perchè eranostate nascoste negli anfrattidegli archivi delle procure ein qualche armadio della ver-gogna, o amnistiati. Moltiresistenti invece vennero, dalla stessa giustizia postfa-scista, giudicati e condannatiper necessarie azioni di guer-ra, sulla base di interpretazio-ni ideologiche anticomunistecome Moranino, o testimo-

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Giorgio Mori

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Carrara

I G.A.P. e le S.A.P. Giorgio Mori

Il compagno Giorgio Lindi,nella sua lucida esposizio-ne dei fatti, riguardanti

l’operato della SAP e GAP aCarrara, durante la lotta diLiberazione, ha centrato il pro-blema, della “non voluta visi-bilità dell’operato dei gappisti-sappisti carrarini”.La differenza tra GAP e SAP,risiedeva, non solo nel numerodei componenti ma anche esoprattutto nei compiti; mentrei Gap erano composti da pochielementi selezionati, che dove-vano agire con la sorpresa eprovocare il maggior dannopossibile, le Sap erano formateda gruppi di cittadini numerosi,che ai diretti ordini del CLN,dovevano intervenire e agiresolo in occasioni determinate ecioè: proteste, insurrezioni,resistenza di masse contro gliordini dell’occupante. I Gap,ricevevano ordini direttamente,nel caso di Carrara, da quadridel partito Comunista (Darlo eEmilio), mentre le Sap, diretta-mente dal C.L.N. Il tutto coordinato con leFormazioni al monte. In questoquadro bisogna ammettere chevigeva una regola ferrea cheera quella del “ Meno se ne sa,meglio è”. Questo per evitareche la eventuale cattura di

qualche elemento, mettesse ingrave pericolo tutta l’organiz-zazione clandestina e tuttodoveva svolgersi in modo chesolo pochissimi conoscesseroquello che bisognava fare.Bisogna capire che la situazio-ne era talmente tragica e peri-colosa che “il vicino dellaporta accanto” per un chilo di pane o poche centinaia di lirepoteva benissimo denunciarti efarti catturare.L’episodio raccontato daGiorgio di quel cortile inmezzo alle case del Caffaggiodetto “ de dreta” è vero; il par-tigiano che invocava “Imola,

Imola” era un giovane chedurante uno scontro tra i gappi-sti Carichin Corsi, IreneoLindi e altri e i fascisti, cheavevano circondato Caffaggioe Baluardo, rimase ferito e pur-

troppo non poté essere soccor-so e per tutta la notte gli abitan-ti asserragliati nelle case udiro-no le sue invocazioni, senzapotergli portare aiuto. Ricordo che nella squadra diCarichin, vi erano anche altri:Domé Barili, Maiulon e unaltro che collaboravano per tro-vare cibo con un elemento, nontroppo ben visto, un certoPatara, ex borsaro nero e que-sto per capire che per trovarecibo per quasi centomila perso-ne in una città asserragliataoccorreva anche servirsi diindividui pocoraccomandabili.Il centro operativo dal quale i

gappisti ricevevano gli ordiniera una emanazione del PCI e,come ho già detto sopra, eraformato da due quadri politicivenuti da Firenze che agivanoassieme ai membri del CLN ed

ai Comandanti partigiani almonte.Questo coordinamento si rive-lò essenziale in occasione del-l’insurrezione del 7 Lugliodelle donne; nella prima occu-pazione di Carrara nel novem-bre e l’uccisione della spia;durante il rastrellamento delnovembre “44 e dopo la cattu-ra del Memo nel Marzo “45.La domanda che Giorgio Lindisi pone e cioè che l’impegnodei Gap e l’attività della Sap,siano stai volutamente accanto-nati e dimenticati, si riallaccia,secondo me, alla pericolositàdelle rivendicazioni partigianenel dopoguerra ed alle persecu-zioni da parte della Polizia eMagistratura, rimaste intatte, ein collusione con il passatoregime, nei confronti dei resi-stenti ed è “indubbio che daparte delle forze della sinistra,“PCI-PSI”, per un momentoed erroneamente, abbiano cre-duto di essere diventati “forzedi Governo “ sottovalutando leforze avversarie e la “DC” .Tornando alla lucida analisiche Giorgio Lindi fa dei rap-porti SAP-GAP-CLN, bisognaammettere che le forze antago-niste alla sinistra, erano sup-portate egregiamente, non solodalla borghesia capitalisticainterna italiana, ma anche esoprattutto dagli U.S.A. chenon vedevano di buon occhio,dei partiti Comunisti europeiforti e organizzati e temevanoche essi avrebbero favoritol’espandersi della UnioneSovietica nell’Europa occiden-tale (guerra fredda ).

Carrara quali ... da pag. 39nianze uniche e dubbie, comeavvenne, qui da noi, perMinozzi e altri che dovetterofuggire all’estero.

Altre memorieIn una nota, pubblicata suquesto giornale, anni fa, rife-rivo quanto mi era stato rac-contato da una maestra diAvenza Maria S. che, giova-nissima, si era trovata, percaso, a Firenze, il giorno del

l’uccisione di Gentile e nellacittà impaurita, stupefatta edeserta, si era imbattuta, sem-pre per caso, in una via dellacittà, via Martelli, mi sembradi ricordare, in Aldo Petacchi,che conosceva bene, essendoanche lui di Avenza. Lui, senza fermarsi, le avevasolo mormorato: “Maria, tunon mi hai visto” e si era subi-to dileguato. Lei ne aveva ricavata la con-vinzione che Petacchi c’en-

trasse con l’uccisione diGiovanni Gentile e che avessefatto parte di quel gruppogappista. Non si è mai saputo con sicu-rezza quanti fossero i gappistiche giustiziarono Gentile esolo di alcuni è venuto fuori a distanza di tempo il nome.L’ipotesi che tra questi ci fosseanche Petacchi potrebbe essereplausibile, anche se ci sonosolo voci, dato che sicuramen-te lui era gappista e tra i più

capaci e coraggiosi, se glivenne affidato il compito dicomandare il nucleo che dove-va liberare Roveda dal Carceredegli Scalzi di Verona. Non è una dimostrazione “econtrario”, che non se ne siamai saputo niente. La segre-tezza sulle attività dei Gap,permane ancora oggi e, permolte vicende, sarà impossibi-le, data la scomparsa anchedei loro protagonisti noti, arri-vare a fare piena luce. red

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Mausoleo Graziani

La battaglia di Affile di Francesco Mandarano

La vicenda del Sacrario a RodolfoGraziani nasce il giorno 11Agosto 2012.

Infatti, in tale data avviene l’inaugura-zione del monumento funerario all’exMaresciallo, ad opera del sindaco diAffile, Ercole Viri, promotore dell’ini-ziativa, ed alla presenza del fior fioredella destra neofascista romana.A tale iniziativa, purtroppo, è stato pre-sente anche un sacerdote della CuriaRomana.L’inaugurazione del sacrario, avviene,guarda caso, nel centotrentesimo anni-versario dalla nascita di RodolfoGraziani, avvenuta a Filettino (FR)l’11/08/1882.Il processo nasce il 2/10/2012 ed èdovuto alla denuncia di un cittadino diMontemurlo (PO), Fulvio Castellani,iscritto all’A.N.P.I., il quale, medianteil suo difensore, Avv. FrancescoMandarano, si rivolge alla Procuradella Repubblica di Prato, affinchè lastessa, apra un indagine, per accertarela sussistenza o meno dei reati di apo-logia di fascismo e peculato per distrazio-ne che, ad avviso del querelante, sarebbe-ro stati commessi dal sindaco di Affile edalla Presidente della regione Lazio diallora, Renata Polverini.Come conseguenza di questa iniziativa,scoppia una polemica su internet, dalmomento che, molti cittadini sostengonoche, non è possibile che in uno StatoAntifascista come l’Italia, si costruisconomonumenti ad un gerarca fascista, comeGraziani, per di più, persona radiata dal-l’esercito italiano, per collaborazionismo,cioè tradimento della Patria, a favore delnazista invasore, inoltre generale pococoraggioso ed incompetente, colonialistae razzista.In seguito alla rivolta del web contro ineofascisti di Affile (Rm) e contro la sini-stra politica italiana, che non prende ini-ziative concrete, l’ANPI Nazionale, inpersona del Presidente Prof. Avv.CarloSmuraglia, presenta anch’essa unadenuncia contro Ercole Viri, sindaco diAffile, per il reato di apologia di fascismoe per accertare l’eventuale commissionedi altri reati contro lo Stato Italiano.Al termine di un’indagine, durata ben tre

anni, nei confronti del sindaco di Affile(RM), e di due assessori della sua giunta,che hanno votato la delibera comunale,che intesta il sacrario a Rodolfo Graziani,la Procura di Tivoli ha ordinato il loro rin-vio a giudizio, dei tre indagati, per il soloreato di apologia di fascismo.Nel corso del giudizi si sono sostituitiparte civile i Comuni di Stazzema,Marzabotto, Carrara, Massa, Montignosoe provincia Apuana.

Tale costituzione, purtroppo, non è stataaccolta dal Giudice Monocratico, davantiquale pende il processo, in quanto secon-do lo stesso Giudice, i comuni non hannodiritto a costituirsi parte civile e chiederei danni per fatti che colpiscono i benisupremi della Libertà, della democrazia edell’Sntifascismo.Secondo il Giudice Monocratico delTribunale di Tivoli, tale diritto spetta sol-tanto allo stato centrale ed alla ANPINazionale, non ai singoli comuni, anchese vittime di stragi inaudite.A questo punto, c’è da sottolineare che ilprocesso verrà definito il 05/07/2016, inquanto gli imputati, Viri, sindaco diAffile, Peperoni Lorenzo e FrosoniGianpiero, assessori, hanno chiesto il giu-dizio abbreviato, cioè hanno rinunciato apresentare documenti e testimoni.La sentenza di condanna degli imputati ècerta, in quanto, recentemente, sono staticondannati per apologia di fascismo, duemilitanti, che avevano fatto il salutofascista.Ora, a chiunque appare evidente chel’azione di un sindaco che costruisce unsacrario ad un generale incompetente, ad

un fascista, ad un colonialista, ad ungenocida, è molto ma molto più grave diquello che alza la mano per effettuare ilsaluto fascista.Naturalmente, il problema ideale e politi-co non è assolutamente risolto con questaprossima condanna, in quanto il Giudice,il 05/07/2016 si limiterà ad infliggere agliimputati, una condanna penale, a pochimesi di reclusione, senza, però, ordinarel’abbattimento del mausoleo.

Pertanto, anche dopo il 05/07/2016, labattaglia antifascista, dovrà continuare;addirittura, da oggi alla prossimaudienza, bisognerà mobilitare tutti isinceri democratici, facendo loro pre-sente che, nessun monumento aGraziani può esistere in Italia, dove giàci sono i mausolei alle vittime diMarzabotto e di Sant’Anna diStazzema.Non si possono mettere insieme il dia-volo e l’acqua santa, così come non sipossono onorare contemporaneamentevittime e carnefici.L’Italia, deve scegliere: O conStazzema o con Affile!Non è possibile onorare con un sacrarioun generale imbelle, che si è messo alservizio di Hitler ed ha preso le armicontro i Nostri Partigiani.In questo scritto, analizzeremo tutta lavicenda, e dimostreremo che la classedirigente italiana, nel suo complesso, èfortemente inadeguata, dai politici, ai

vari organi dello Stato, alla stampa, alpotere giudiziario.La procura di Tivoli ha mostrato i suoilimiti quando, non ha contestato il reatodi peculato per distrazione, cioè, sperperodi denaro pubblico ed inoltre, ha impiega-to, troppo tempo, ben tre anni, per fissarela data del dibattimento, iniziato il21/09/2015, davanti al Giudice monocra-tico del Tribunale di Tivoli.Oltre questo ritardo, un’altro aspetto damettere in evidenza, è che, la pubblicaaccusa, in questa vicenda, ha ravvisatosoltanto il reato di apologia di fascismo,ha dato, cioè, alla costruzione di un sacra-rio, lo stesso peso giuridico che di solitoviene dato al gesto di alzare la mano e dicompiere il saluto fascista.In effetti, l’azione di costruire un monu-mento, in un parco cittadine, con i soldipubblici, è un fatto ben più grave delsaluto fascista.A ben guardare, chi ha ordinato que-st’opera, ha commesso, non solo il reatodi apologia di fascismo, bensì anche quel-lo molto, ma molto più grave di peculatoper distrazione.Infatti, questo reato si concretizza quando

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un’opera non ha nessuna utilità pubblicae viene costruita da un sindaco o da unministro per favorire un privato oppureun associazione privata di cittadini.Nel caso che ci occupa, il fatto è molto,ma molto grave, in quanto il sindaco diAffile, con la costruzione del sacrario, hainteso rendere ed ha effettivamente resoomaggio, ad un condannato per tradimen-to, così detto “collaborazionismo”, cioèad una persona con la fedina penale mac-chiata da un gravissimo reato.Oltre che la figura di Graziani, il sindacodi Affile ha inteso rendere un servizioall’associazione culturale “RodolfoGraziani”, che esiste ad Affile e di cui luistesso è il presidente.In sostanza, i monumenti fune-bri, come regola generale,vengono eretti a favore dibenefattori dell’umanità, men-tre ad Affile, con i soldi pub-blici è stato onorato un fasci-sta, traditore e generale incom-petente, pesantemente sconfit-to dagli Inglesi, in Africa,durante la seconda guerramondiale.Per rendersi conto l’estremagravità morale e politica delgesto compiuto dal sindaco eda due assessori del comune diAffile, con la costruzione delsacrario, bisogna tener contoche in tutta l’Africa, Grazianiè noto come il nome di“macellaio”, per i suoi criminicommessi in Libia, negli anni1921-1934, usando contro lepopolazioni civili i campi disterminio ed utilizzando, con-tro i Patrioti libici, che lui eMussolini definivano “ribelli”, persino igas, vietati dalle convenzioni internazio-nali, precedentemente firmate dall’Italia.Inoltre, Graziani, per terrorizzare lepopolazioni locali, ha usato il metododelle impiccagioni dei Patrioti, alla pre-senza di migliaia di persone.Lo stesso metodo, ha usato “l’Eroe diAffile”, durante la guerra d’Etiopia, neglianni 1935-1936, dove è stato prima gene-rale, comandante del fronte sud e, poi,vicere.Difatti, in Etiopia, Graziani ha utilizzatosia i gas, che il metodo delle esecuzioni dimassa contro i “ribelli” e contro chiunquefosse semplicemente sospettato di esserevicino alla resistenza Etiope.Particolarmente efferato, è stata la rap-presaglia ordinata da Graziani, dopo l’at-tentato da lui subito ad Addis Abeba il19/02/1937.

Difatti, nei giorni successivi all’attentatoa Graziani sono state trucidate circa30000 persone.Bon contento di ciò, il colonialistaGraziani, alla fine di maggio 1937 haordinato l’esecuzione di tutti i monaci,diaconi, loro parenti ed amici, che si tro-vavano nel santuario di Debrà Libanò,città santa della Chiesa Copta.In tale scellerata impresa, sono state pas-sate per le armi, circa 1400 persone., tracivili e religiosi.Tutto questo è avvenuto, perchè Graziani,riteneva, senza alcuna prova, che i mona-ci di Debrà Libanos, fossero gli ispiratoridell’attentato da lui subito.In sostanza, Graziani, in Etiopia, si è

comportato da tipico colonialista, crean-do una netta divisione tra italiani ed etio-pi, suscitando così, l’odio della popola-zione locale contro di lui e contro gliItaliani.Dopo il suo attentato, l’efferatezza diGraziani si è sempre più aggravata, tantoche Mussolini, che pure non è stato maitenero contro gli Africani, per evitare unconflitto aperto tra italiani ed etiopi, èstato costretto, nel 1937, a sostituirlo,come vicerè, con il principe AmedeoD’Aosta, che ha cercato, in qualchemodo, di attenuare la crudeltà del regime,instaurato da Graziani.A questo punto, sorge spontaneo unadomanda:L’Italia è proprio ridotta così male, nonsolo dalla mancanza di lavoro, ma soprat-tutto dalla propria perdita dei propri valo-ri di pace e di solidarietà, da costruire un

monumento ad un genocida, senza cheprima la classe politica e tutto il popolo,dopo, si ribellino?Da questa vicenda esce con le ossa rottela classe governativa italiana, che daquasi quattro anni non ha inteso prenderel’unico provvedimento adeguato: l’abbat-timento del sacrario!Il primo responsabile dell’esistenza delmonumento, è l’attuale ministro degliInterni Angelino Alfano, che anzichèdemolire il sacrario, che costituisce unoltraggio al mondo intero, si preoccupa incaso di manifestazioni antifasciste adAffile di militarizzare il paesino.Lo stesso sistema di inviare numerosipoliziotti e carabinieri viene poi usato,

ogni volta, che celebrano leudienza penali ad Affile.Questi sistemi sono dei pallia-tivi e non servono a risolvere ilproblema alla radice.Il problema è costituito dallacostruzione e dalla presenza,tutt’ora, del monumento fune-rario.Pertanto, non basta a risolvereil problema, il solo fatto diinviare la forza Pubblica,occorre una decisione drasticae definitiva: la demolizionedel sacrario.per di più è da sottolineare chesull’argomento sono state pre-sentate numerose interrogazio-ni parlamentari, ed alcune diesse attendono ancora unarisposta chiara.Fin’ora il sottosegretario cheha risposto a tali interrogazio-ni si è limitato ad affermareche il Ministro segue con

attenzione il processo penale in corso.Questa risposta è inadeguata, in quanto ilcompito della Politica è quello di prende-re delle decisioni rapide e concrete neiriguardi di personaggi che Violano laNostra Costituzione, come è avvenuto adAffile con la costruzione di un sacrario aR. Graziani, ad opera d’un amministra-zione comunale.Quello che decide la Magistratura è asso-lutamente secondario: il problema èIdeale e politico ed in tale sede deve tro-vare la sua naturale e corretta soluzione!Purtroppo, anche la Stampa Nazionalenon ha dato un adeguato rilievo a questavicenda, tanto che nessun giornale hacondotto una vera inchiesta su tale argo-mento, con articoli ed interviste, di politi-ci e di semplici cittadini.Ci sono stati, è vero, alcuni articoli, ma innumero ridotto e la questione del sacrario

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a Graziani è stata affrontata a spizzichi ebocconi, mai in forma organica e conti-nuativa.Persino l’A.N.P.I. Nazionale, dispiacedirlo, che pure ha presentato, anche secon ritardo, una denuncia penale, chepure ha seguito e segue il processo conattenzione, tanto che si è costituita partecivile contro Ercole Viri ed due assessoridella sua giunta, si è mostrato complessi-vamente titubante ed inadeguato in tuttala questione.Infatti, l’organizzazione nazionale degliAntifascisti, sin dal mese di agosto del2012, cioè immediatamente dopo l’inau-gurazione del sacrario, avrebbe dovutoindire, a Roma, davanti al Ministerodell’Interno, una manifestazione di tuttigli Antifascisti, portando in una capientePiazza di Roma, centinaia di migliaia dipersone, chiedendo l’abbattimento delmonumento funebre a Adolfo Graziani.Speriamo che l’ANPI Nazionale facciaquest’anno quello che non ha fatto neglianni scorsi.Sarebbe veramente interessante che tuttigli Antifascisti manifestassero a Roma il5 maggio di quest’anno, a distanza di 80anni dall’entrata delle truppe Italiane inAddis Abeba, per chiedere l’abbattimentodel sacrario.Questa iniziativa sarebbe davvero neces-saria, per rimarcare la distanza dellacoscienza degli Antifascisti dalle scelle-rate imprese di Mussolini e di Graziani eper chiedere mille volte scusa agli Etiopi

per i lutti e le rovine a loro apportate nelsecolo scorso.Per raggiungere questo risultato, è oppor-tuno che nei congressi di sezione e neicongressi provinciali, vengano approvatedelle mozioni che sollecitino l’ANPINazionale ad indire una grande manife-stazione a Roma per ottenere l’abbatti-mento del Sacrario.A questo punto del nostro ragionamento,dobbiamo essere estremamente chiari: lapresenza ad Affile (Roma) del sacrario aGraziani è una ferita profonda e sangui-nante, che non può essere sanata neancheda centinaia di feste e di ricorrenze, cheesaltino la Resistenza.Infatti, quel monumento mina le basiideali della Nostra Carta Costituzionale:essa non si ispira più a PieroCalamandrei, ad Antonio Gramsci, ai fra-telli Rosselli, bensì a Graziani, aMussolini, ad Hitler.In tutta questa vicenda, che lascia moltoamaro in bocca, bisogna chiudere con unaforte nota positiva: l’impegno delle ANPIdella Provincia Apuana, dell’ANPIProvinciale di Roma e dell’ANPI diVicovaro (Roma), dell’ANPI Provincialedi Pisa!La presenza e la combattività di taliAssociazioni si ergono maestosi come unalto Massiccio montuoso, che spunta dauna vasta pianura. Tali organizzazioni nelloro insieme meritano un forte plauso, inquanto sono riuscite a trasformare un pro-blema apparentemente locale, in un avve-

nimento nazionale, di forte valenza idea-le e politica. Pensiamo di interpretare ilpensiero di tutti gli Antifascisti, ringra-ziando vivamente per il loro impegno, laloro presenza, e la loro combattività, leseguenti personalità: il “Comandante”Nando Sanguinetti di Carrara, semprepresente in prima linea nei luoghi dellabattaglia Antifascista, da Carrara a Tivoli;il Presidente Provinciale dell’ANPI diRoma Ernesto Nassi, che non ha avutotimore a portare la battaglia nella “tanadel lupo”, cioè ad Affile; la Presidentedell’ANPI di Vicovaro (Roma) ElenaDuvalli, che assieme al Regista Italo-Americano Valerio Ciriaci ha prodotto unfilm sulla vicenda del sacrario a Grazianie sulle stragi di Graziani in Etiopia, ilPresidente dell’ANPI Provinciale di Pisa,che è stato l’ispiratore e l’organizzatoredell’approvazione da parte di moltiConsigli Comunali della provincia di Pisae persino da parte della regione Toscana,di ordini del giorno che sostengono labattaglia Antifascista della ANPIProvinciali e chiedono e chiedono l’ab-battimento del sacrario a RodolfoGraziani.In presenza di queste figure esemplari,possiamo ben dire: Sempre più avantisulla via dell’Antifascismo!In modo che nessun fascista, colonialistae genocida venga mai più riabilitato e chel’Italia, secondo i nostri principi costitu-zionali, marci spedita sulla via della Pacee della Solidarietà

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Ho visto rob... da pag. 1Più paura, più richiesta di sicu-rezza, più paura. E dietro appa-rati repressivi privati checostruiscono il guadagno, intutto e per tutto favoriti dallaclasse politica.Infine l’abitudine alla milita-rizzazione degli spazi, alla cri-minalizzazione della notte, allamarginalizzazione del disagio.

Credo che più disparità econo-miche ci sono e più conflittua-lità sociale ci sarà, in tutte lesue forme. E che l’unica sicu-rezza possibile si ottienevivendo le strade, popolandogli spazi pubblici e sostituendoal concetto di sicurezza quellodi relazione. Avrei dovuto dirloa robocop, ma era già in cercadel nuovo cliente.

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Senza chiederepermessoIl bel mosaico diPaolo Neri, dedicatoa l l ’ a n a r c h i c oBelgrado Pedrini èstato, alla fine, collo-cato sull’angolo diuna strada adiacentea Piazza delle Erbesu iniziative di alcu-ni compagni anarchi-ci. Finalmente un“monumento” dalbasso, dopo decennidi orrori di simposi eopere “d’arte” rega-late dai padroni, perfarsi propaganda,ingraziarsi ammini-stratori e sindacati elicenziare i lavoratoriscomodi.

Di seguito, alcune fotodella posa, mentrerimandiamo per unbreve profilo di Pedriniall’articolo di GinoVatteroni su di luiapparso nel numero digiugno 2015 di questoperiodico.

Al centro Paolo Neri