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№6

franzmagazine.comCULTURE ON WEB AND PAPER

FEBBRAIO FEBRUAR 2011

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INDEX COLOPHON

6. MAPPA DELL’ARTE IN ALTO ADIGEdi Denis Isaia

11. IM BALG DES PNEUMAvon Haimo Perkmann

16. 2010 VERSUS 2011di Paola Tognon

21. BOOMvon Heinrich Schwazer

24. GILBERTdi Fabrizio Pizzuto

PUBLISHERINSIDE COOPERATIVA SOCIALE

EDITOR IN CHIEFFABIO GOBBATO

CREATIVE DIRECTIONANNA QUINZKUNIGUNDE WEISSENEGGER

EDITORMARCO BASSETTI

MAGAZINE MANAGEMENTMAURIZIO LEPORE

ART DIRECTIONRICCARDO OLOCCODANIELE ZANONI

PHOTO DIRECTIONALEXANDER ERLACHER

TEXTDENIS ISAIAHAIMO PERKMANNFABRIZIO PIZZUTOHEINRICH SCHWAZERPAOLA TOGNON

PHOTOTIBERIO SORVILLOFLICKR

ILLUSTRATIONSOZE TAJADA

COVER FRANCESCO COMINA, 43, JOURNALISTBY TIBERIO SORVILLO

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EDITORIAL

chi l’arte la fa e chi la fruisce; l’eterna ed irrisolta questione di cos’è mai l’arte. Così, il quadro si arricchisce, ma lo fa confondendo le acque: la situazione dunque, resta burrascosa. In queste pagine, alcune mappe, nessuna con pretesa di esaustività, perché una mappa funziona solo se soggettiva. Quasi per tutti il ragionare parte da Museion, ma si snoda poi nelle personali riflessioni, verso altre spiagge e differenti lidi. Denis Isaia e Haimo Perkmann compiono un volo panoramico (o pindarico?) sulla scena arte locale. Heinrich Schwazer apre l’orizzonte alla cultura più in generale. Paola Tognon si sofferma sulle tre principali istituzioni – Museion, Mart e Fondazione Galleria Civica di Trento. Mentre Fabrizio Pizzuto mischia le carte. Nessun museo, nessun panorama per lui, che invece decide di rileggere l’artista locale con la A maiuscola, partito dalle nostre montagne e sbarcato da star nella scena artistica internazionale: Gilbert, naturalmente. Di Gilbert & George, naturalmente.

Anna Quinz

Mappare la scena dell’arte – in particolare dell’arte contemporanea – nel territorio trentino-altoatesino non è impresa facile. A dimostrarlo le inaspettatamente difficili trattative incorse, per la realizzazione di questo magazine. Tanti tra gli invitati a delineare la propria panoramica hanno declinato l’invito. Altri invece hanno accettato la sfida, ed eccoci qui. Ma perché è così difficile affrontare questo tema? Perché certamente lo stato dell’arte in Trentino Alto Adige è di impervia interpretazione. Perché la spinta opposta tra valorizzazione dell’acquisito e volontà di percorrere nuove vie e nuove prospettive, in linea con quel che succede nel mondo là fuori, crea alcune implosioni intestine che non permettono di disegnare un quadro esaustivo. Non è così solo dalle nostre parti (evidente): definire l’arte e tutto ciò che le gravita intorno è di questi tempi impresa titanica. Qui, come altrove a definire il sistema sono le incursioni del pubblico nelle cose dell’arte e l’intervento crescente del privato; le grandi istituzioni in crisi e i “pesci piccoli” che in crisi lo sono da sempre; il rapporto di amore e odio tra

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Mappa dell’Arte in Alto Adige

Da Piero Siena a Jacopo Candotti, passando per luoghi, curatori, artisti e istituzioni. Qual è, oggi, lo stato dell’arte – contemporanea – in Alto Adige?

BRIGITTE NIEDERMAIR, L’ORIGINE

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E ISTITUZIONI SONO la cartina tornasole di un sistema, della sua capacità di agire progettualmente, lanciare nuove aggregazioni,

produrre ricerca. Nel tracciare un panorama della scena artistica in Alto Adige il primo posto è occupato dal Museion. L’unico museo di arte contemporanea del territorio dotato di una collezione, nasce nel 1986 sulle ali di un’intuizione di Piero Siena. I primi anni sono esplorativi, si naviga a vista. Siena è un giramondo effervescente, ha una passione per le corse e si mantiene vendendo oli per il motore. Il suo Museo d’Arte moderna (notare bene solo ‘’moderna’’) insegue ciò che si muove nella scena dell’arte nazionale e internazionale e lo propone a Bolzano. A partire dal 2000, con la gestione di Andreas Hapkemeyer, alla dicitura ‘’moderna’’ si aggiunge la più aggiornata ‘’contemporanea’’. L’istituzione si stabilizza e cambia lentamente volto. Lo storico dell’arte austriaco orienta il programma d’acquisizioni verso la parola nell’arte: poesia visiva e linguaggio diventano i cardini di un archivio, ora detto ‘’di Nuova scrittura’’, che è un unicum nel panorama internazionale ed il cui appeal storico è probabilmente destinato a crescere. Intanto il consenso sociale e politico attorno all’idea di un museo di arte contemporanea cresce. Nel 1991 il Museo diventa Museion e con l’avvicinarsi degli anni 2000, l’amministrazione provinciale decide che, dopo l’Università, Bolzano potrà avere anche un museo degno delle ambizioni del territorio. La discussione verte a lungo sulla posizione del

nuovo edificio. Dopo una serie di proposte, restano in ballo l’ex fabbrica di alluminio nella zona industriale e l’area centrale di via Dante. Vince il movimento centripeto tipicamente italiano: il Museion resta a due passi dal centro. ‘’Per i turisti e per le sinergie con l’Università’’, così si dice e così forse si perde una delle più grandi occasioni per allargare, al posto di stringere, la città e non relegare la periferia al dominio dei centri commerciali. Il resto è storia recente: il rifiuto della rana da parte del territorio, la retromarcia della politica, gli anni prudenti sotto la direzione di Letizia Ragaglia. È lei, cresciuta professionalmente all’interno del Museion, che rinsalda le fondamenta con un lavoro attento e lascia un’istituzione pronta a giocare la sua parte, ma con il cartello lavori in corso ancora in bella vista.Nel 1985, un anno prima del Museion, apre l’ar/ge kunst. Se lo spazio espositivo si misura in pochi passi, il programma, racconta dall’inizio il meglio di ciò che il mondo dell’arte internazionale ha prodotto. Rispetto al Museion, l’ar/ge kunst è un’istituzione snella, priva di collezione e più orientata alla sperimentazione. Negli anni ‘90, la sua direttrice, Marion Piffer Damiani, attualmente alla presidenza del Museion, crea connessioni continue fra nord e sud, Mediterraneo e Mitteleuropa. Da Bolzano passano tutti gli artisti più promettenti e si moltiplicano i format espositivi. Da quegli anni e da quelle sinergie, ci resta oltre al racconto del programma e a tanti progetti intavolati, anche il talento di Walter Niedermayr. Il fotografo di Bolzano è l’unico artista locale internazionalmente noto che

Testo di Denis Isaia, critico e pubblicista

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vive in Alto Adige. La Facoltà di Arte e Design è l’altra grande istituzione del panorama altoatesino. In pochi anni, sotto la direzione di Kuno Prey, ha creato una squadra di insegnati di tutto rispetto (da rilevare per la storia dell’arte contemporanea il lavoro, anche questo poco noto localmente, di Emanuela De Cecco) e si è data un profilo didattico ormai ampiamente riconosciuto in Europa. Da lì sono usciti alcuni talenti, molti dopo gli studi se ne sono andati. Per ora resta sul territorio il lavoro di Angelika Burtscher e Daniele Lupo raccolti sotto l’etichetta Lungomare. Nelle loro proposte il continuo rimando fra arte, filosofia, architettura, design, sociologia, contribuisce a plasmare la figura del progettista avanzato su cui lavora anche la Facoltà di Arte e Design. Una ipotesi di lavoro pronta a fare i conti con i paradigmi che definiscono ruolo, mercato e sistema dell’arte oggi e che oggi si presenta come la cifra stilistica di lungo corso più feconda della creatività locale. Dal 2001 alla mappa delle istituzioni si è aggiunta la presenza di Kunst Merano Arte. La direzione di Herta Torggler, coadiuvata dal contributo curatoriale di Valerio Dehò, ha costruito una programmazione attenta alle esigenze del pubblico e del territorio. A dieci anni dalla sua fondazione, l’istituzione

meranese ha un’identità solida nella città del Passirio e con cadenza regolare contribuisce a promuovere l’arte contemporanea.Le associazioni degli artisti chiudono questa carrellata. Posizionate fra pratiche amatoriali e ambizioni professionali, esse svolgono un ruolo fondamentale: nei loro spazi accolgono spesso le prime mostre di chi si fa il suo esordio sulla scena e a

BRAVE NEW ALPS

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loro spetta anche una responsabilità complementare di indirizzo e maturazione degli artisti. Da segnalare la crescita negli ultimi cinque anni del Südtiroler Künstlerbund. L’associazione che raccoglie i creativi di madre lingua tedesca e diretta da Lisa Trockner, mantiene forte l’attenzione al locale, ma con un’attitudine tutt’altro che provinciale. Da quelle parti sta passando il meglio della produzione dei

giovanissimi e soprattutto, grazie ad un attento lavoro di analisi e raccolta della creatività, gli operatori del settore hanno nel Künstlerbund un riferimento costante con cui verificare gli sviluppi della scena, anche in un periodo caratterizzato da una mobilità costante degli artisti.Attorno alle istituzioni ruotano gli artisti. Alcuni sono a distanza siderale. La carriera li ha portati altrove. È il caso della due stelle: Gilbert, al secolo Gilbert Prousch, noto per le performance con il compagno George e Rudolf Stingel, affermato pittore, ormai stabile a New York, lì dove il mercato dell’arte pulsa più che altrove. Altri artisti, più giovani, hanno invece scelto di mantenere una relazione più stretta con l’Alto Adige. Il merito è anche delle istituzioni locali. Ad esempio, il premio istituito dal Museion e dalla Fondazione Cassa di Risparmio per finanziare delle residenze all’estero, ha

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WALTER NIEDERMAYR, YAZD, IRAN 02/2005

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mantenuti vivi i contatti con alcuni dei giovani più promettenti fra cui: Michael Fliri, Bianca Elzembaumer e Fabio Franz fondatori del gruppo Brave New Alps, Ignaz Cassar o Philipp Messner. Loro, insieme ad altri, fra cui bisogna ricordare almeno Jacopo Candotti, Ingrid Hora, Brigitte Niedermair, Hubert Kostner, Cornelia Lochmann, stanno ridisegnando la mappa dell’arte locale: ognuno persegue un indirizzo di ricerca piuttosto specifico, ma è possibile rintracciare alcuni passaggi comuni. Della ricerca di una nuova figura di artista-progettista ho già accennato: essa è la sintesi del taglio impostato dall’Università ed è l’evoluzione della cultura materiale che da sempre attraversa il territorio. Lungo questo versante si incontrano percorsi differenti ma tutti impostati su valide proposte di lavoro: Lungomare, Brave New Alps, Ingrid Hora, stanno spingendo il design, la

comunicazione sociale e l’arte oltre i rispettivi confini. Fra quelli che sono interessati alle dinamiche critiche del territorio ed in particolare della tendenza culturalista che annebbia valli e fondovalli con stereotipi e stanchi tradizionalismi, ci sono Hubert Kostner e Brigitte Niedermair. Il primo si è fatto portavoce di una coscienza paesaggistica condivisa e moderna, ancora latitante in Alto Adige, la seconda invece ha spinto sull’acceleratore dei cliché locali per progetti fotografici fra l’ironia caustica e l’eleganza paradossale. Da segnalare infine l’influenza del linguaggio espressionista mitteleuropeo, evidente soprattutto nelle performance e nei video di Michael Fliri e nelle pitture di Cornelia Lochmann, così come dall’altro versante l’eleganza criptica della ricerca scultorea di Jacopo Candotti.

HUBERT KOSTNER, ONE NIGHT II

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ER DIE aktuellen Arbei-ten der zeitgenös-sischen Südtiroler Künstlerinnen und Künstler der

Generationen XY unter die Lupe nimmt, stößt auf eine Reihe an strukturbe-dingten Gemeinsamkeiten sekundärer Natur, jedoch erwartungsgemäß weder auf gemeinsame Kunstpositionen und Richtungen, noch gar auf eine etablierte Szene. Der verschwindende Künstler, so scheint es, versucht, der aktuellen Ten-denz des Marktes zu widerstehen, indem er sich erst einmal fügt, um im Schatten des Marktes diskursfrei ein Kunstschaf-fender bleiben zu können. Doch weist ebendiese aktuelle Entwicklungstendenz der zeitgenössischen Kunst in Südtirol synchrone Strukturen oder produktions-ästhetische Eigenwilligkeiten auf, denen sich nachzuspüren lohnte?

Diskurs ohne SzeneWohin – so die Frage – treibt es die Träger dieser Entwicklungstendenz? Nehmen wir die jungen zeitgenössi-schen Künstlerinnen und Künstler unter die Lupe. Zunächst einmal sind sie konfrontiert mit einem Land, des-sen Kunst-„Szene“ genau genommen keine Szene ist und nie eine war; eine „Kunst“-Szene, die in ihrer Zusam-mensetzung auch nicht – wie in vielen anderen Ländern weltweit – eine An-sammlung von Zirkeln und Kollektiven oder künstlerisch-sozialpolitischen Initiativen ist, sondern viel eher eine Parallelsubsistenz von Singularitäten, Eigenständlern und Einzelkämpferin-nen, die, wollte man es strukturalistisch betrachten, bestenfalls intuitiv in eine von synchronen Entwicklungsstruktu-ren getragene Richtung steuern.Südtirol erinnert, nicht nur geogra-phisch, an eine Formation, die sich um

Im Balg des Pneuma

Text von Haimo Perkmann, freier Autor, Journalist, Kurator

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Neue Kunstpositionen in Südtirol: Einzugsgebiet Meran-Bozen. Wohin treibt es die Kunstschaffenden im Spannungsfeld von global und lokal?

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franz 6 – Febbraio 2011 12AUSSTELLUNG WOHN RAUM ALPEN, KUNSTMERANOARTE

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die Achse Bozen dreht. Doch der Schein trügt. Genau wie jenes stoische Pneu-ma, das aus der Peripherie in die Polis blies, ohne dort zu verbleiben, ziehen sich die Lebensgeister der Kunst, ihre Vitalität und die Stärke ihrer jeweiligen Ausdrucksmittel und Kunstpositionen, wie von einer intellektuellen Zentri-fugalkraft getrieben, immer wieder aus der Provinzhauptstadt zurück. Es schleudert sie weit fort – am besten gleich nach Pasadena oder Beijing.Kunst will – heute mehr denn je – ra-dikal sein, will an die Randgebiete, dort wo Grenzgänge möglich sind. Dank die-ser Entwicklungstendenz weht seit dem „Sturm im Wasserglas“ um Kippenber-gers Frosch eine frische Brise durch das Land. Und so stellen sich gerade heute eine Reihe von Künstlern und Künstle-rinnen die Frage, ob denn dieses „ganz weit weg“, der schwarze Punkt des Zen-trums, nicht vielmehr in ständiger Be-wegung ist. Ist der schwarze Punkt, dort wo etwas geschieht, nicht gerade auch hier? In Bozen Meran Brixen Bruneck, luogo qualunque, weit weg von Beijing und Pasadena? So leistet etwa der Di-rektor der Galerie Museum, Luigi Fassi, hervorragende Arbeit, indem er in die-sem Land der Nabelschau mit Bozen als Zentrum der Welt ein Programm an-bietet, wie es keine andere Institution – mit Ausnahme der zwei großen, Musei-on und Kunsthaus Meran – wagt. Das Programm der Galerie Museum fördert nicht Südtiroler Künstler, die im Aus-land erste Lorbeeren gesammelt haben, sondern holt dezidiert politisch aktive Künstler/innen und Kollektive aus aller Welt nach Südtirol. Hier herrscht keine Kunst-Szene, doch neuerdings ein reger Kunstdiskurs.

Dornröschen und der FroschSeit Ende des Zweiten Weltkriegs zieht das Pneuma der künstlerischen Schaf-fenskraft in unregelmäßigen Abständen

nach Meran. Es scheint, als schliefe die Passerstadt für gewöhnlich den Dornröschenschlaf einer alten Dame, die sich dahindösend als Jungbrunnen konserviert. Kurioserweise erwacht Meran immer dann, wenn der Rest des Auenlandes nach großen Anstrengun-gen müde ist und wieder einzuschlafen droht. In diesem Licht sind die Über-legungen von Marion Piffer-Damiani zum Meran der 50er Jahre in ihrem Beitrag „Bildende Kunst in Südtirol“ (im Standardwerk „Kunst in Tirol“, Bd. 2, 2007) zu betrachten: „Die Idee einer volkstümlichen Bildkunst als aufmun-ternde Lebenshilfe oder als Stärkung der bedrohten Südtiroler Identität stößt auf Widerspruch. Die Gegenstim-men kommen vor allem aus der Passer-stadt Meran. Von den Kriegsbomben verschont hat die Kurstadt etwas von dem Glamour der Jahrhundertwende, ihrer glorreichen touristischen Ver-gangenheit, bewahren können und profitiert von der Präsenz von Intellek-tuellen, (...).“50 Jahre später wiederholt sich die Ge-schichte. Meran hat keine Kunst-Szene, Meran hat Kunst. Paradoxerweise ent-wickelt sich daraus, wie schon Ende der 50er und Ende der 70er Jahre, tatsäch-lich so etwas wie eine innovative Szene, die in guter Meraner Manier auf Distanz zu sich selbst bleibt. Sie kreist wie über-all um den Markt samt seinen Traban-ten, den Galeristen, Kuratoren, Samm-lern und Künstlernamen. Um genau zu sein, rotiert die neue Meraner Szene um das Kunsthaus in der Sparkassenstraße.Ebenso wichtig wie das Kunsthaus selbst ist das angeschlossene Kunstca-fé, das als einer der wenigen urbanen Lokale in Meran zum Szene-Treffpunkt wird. Gleich ums Eck, unter den Lau-ben, liegt die Galerie von Freigeist Erwin Seppi, der neben zahlreichen Ausstellungen mit seinem Verein freiraum-k fünf Jahre lang ein anarchi-

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sches Kunstfestival namens un-defined auf dem Militärgelände der F.-Rossi-Kaserne in Untermais ermöglicht hat. Der spektakuläre Wildwuchs wird begleitet und permanent befeuert von einem ebenso anarchischen Projekt, der Zeitschrift vissidarte, die seit einigen Jahren die entstehende Kunstszene in Meran und seiner Umgebung zusam-menhält wie wildes Kraut und schiefe Rüben. Man könnte meinen, Kippen-bergers Frosch habe das Dornröschen

an der Passer wach geküsst. Parallel zu dieser Entwicklung ist gerade die Um-gebung von Meran zu einem Freiluft-Laboratorium für innovative Möglich-keiten der Inszenierung und Verortung von Kunst geworden. Der Ausdruck Kunstposition wird hier sowohl theore-tisch als auch wörtlich umgesetzt, etwa in dem privat geführten Ansitz Kränzel in Tscherms, dessen Besitzer zeitgenös-sische Kunst in einem Labyrinthgarten unter freiem Himmel begehbar macht.

Nicht minder eigenwillig ist der 8 km lange Skulpturenwanderweg, der sich durch Lana zieht, oder die Mountain-Gallery-Installationen der meraner gruppe auf acht verschiedenen Berg-gipfeln – und nicht zuletzt die neue Werkbank Lana, die an der Grenze zum Nonsberg im Trentino zu einer kultu-rellen Schnittstelle zwischen der lokal „begehbaren“ Kunst und geladenen Künstlern aus anderen Regionen und Ländern wird.

Im Spannungsfeld von global und lokalDie Frage des Spannungsverhältnisses zwischen globalem Denken und loka-lem Handeln ist in einem Europa, das sich kulturell trotz der realpolitischen Gegentendenz nun doch zu einem Europa der Regionen entwickelt, von besonderer Bedeutung. Das alte Ge-gensatzpaar Peripherie-Zentrum wird handstreichartig abgelöst durch die virtuelle Verbindung von Monade und

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GALERIE ERWIN SEPPI

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Welt. Peripherie ist nicht mehr dort, wo es alle weg zieht, sondern dort, wo kein Netz ist. Zentrum ist nicht länger dort, wo es alle hin zieht, sondern dort, wo internationale Schnittstellen zu-sammenlaufen.„Im Spannungsfeld von global und lo-kal“ – schreibt Marion Piffer-Damiani in der zuvor zitierten Arbeit – „werden internationale Schnittstellen sichtbar und zugleich wieder regionale Bruch-stellen und Eigenwilligkeiten. Deutlich zeigt sich das dialektische Verhältnis der Kunst zum kulturellen und poli-tischen Umfeld und die zunehmende Internationalisierung des Kunstdiskur-ses.“ Betrachten wir in diesem Licht einige Künstler der Generation XY.Werner Gasser, Esther Stocker, Gab-riela Oberkofler, Christian Kaufmann, Sonia Leimer und Siggi Hofer haben auf den ersten Blick nur eines gemein-sam. Sie leben und arbeiten nicht in Südtirol. Einige davon, etwa Werner Gasser, Christian Kaufmann oder Es-ther Stocker, befassen sich nicht oder nicht mehr mit ihrer Herkunft, in ihren Arbeiten stehen wahrnehmungstheo-retische Fragen im Vordergrund. Etwa in den monochromen Bildern, Wand-bildern und Rauminstallationen, mit denen Stocker konsequent die Gewiss-heit unserer Wahrnehmungserlebnisse in Frage stellt, indem die subjektiven Wahrnehmungsprozesse uns täuschen und zugleich eine nahtlose Ordnung simulieren. In Stockers Rauminstalla-tionen gaukelt uns die subjektive Welt der Wahrnehmung neue Perspektiven und unerschütterliche Gewissheiten vor, während die objektive, messbare Welt aus den Fugen geraten zu scheint. Werner Gasser unterläuft, parallel zu den Gesetzen der Wahrnehmung, alle „Formen der Festlegung, Besetzung und Festschreibung, gerade auch des Kunstbetriebs“ – um Franck Hofmann zu zitieren. Es handelt sich um Fragen,

die der Erkenntnistheoretiker unter Südtirols Künstlern, Hans Knapp, erst jüngst vehement eingefordert hat.Auf den zweiten Blick haben alle diese Künstler der Generationen XY noch etwas anderes gemeinsam: Ob sie sich nun direkt oder indirekt mit Südtirol und all seinen sozial-politischen Impli-kationen, Identität, Heimat, Chauvi-nismus etc. befassen oder nicht, sie alle haben in und für Südtirol produziert, publiziert und verkauft. Im Gegensatz zu Stocker oder Gasser setzen sich Künstler/innen wie Gab-riela Oberkofler oder Siggi Hofer (der mit Sonia Leimer noch bis 6. Febru-ar in der dringend zu empfehlenden Gruppenausstellung in der Innsbrucker Galerie im Taxispalais zu sehen ist), oder auch der in Lana lebende Künstler und Kurator Hannes Egger, in ihren Arbeiten durchaus mit Begriffen wie Identität und Heimat auseinander; auf eine Art, die nichts mit jener Schwer-fälligkeit einer „Stärkung der Südtiroler Identität“ zu tun hat. Vielmehr handelt es sich um eine Auseinandersetzung, wie sie auch in Indien oder Papua Neu Guinea stattfinden könnte.Gerade darum erhalten diese lokalen, von leiser Ironie getragenen Arbeiten ihre globale Aktualität. Etwa in Hannes Eggers Rückgriff auf einen archaischen Abstraktionsgrad, auf „Urformen“, die eine greifbare Radikalität in den Gesetzen der Oberfläche und der Gast-freundschaft suchen; in einem Gestus, der Kunst als Sensation, nicht Sensa-tion als Kunst betrachten möchte. In ihrer künstlerischen Auseinanderset-zung mit dem Eigenen des „luogo qua-lunque“ werden sie, wie jüngst Gabriela Oberkofler, Gründerin der Projekt-gruppe Local to Local, als kosmopolite Kulturträger/innen – innerhalb dieser virtuellen Verquickung von Monade und Welt – erkannt und international prämiert.

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UN ANNO COMPLESSO

anche per le regioni più solide, anche per le città con la migliore qualità della vita, anche per i cittadini più ottimisti. Un anno che ha confermato la crisi e che ha visto nel Paese Italia una politica

di tagli nel settore culturale. Il Trentino Alto Adige, seppure non esente da molte fra le difficoltà che pesano nella gestione di altri territori italiani continua però a distinguersi per una politica culturale attenta alle arti visuali grazie ad istituzioni impegnate nel proseguo di un percorso di crescita attento alla propria collettività e attraente su un piano nazionale e internazionale. Una visione dunque che ha confermato gli investimenti intrapresi per il rafforzamento di una vocazione che, accanto a quella del turismo ambientale, ha visto nell’arte moderna e contemporanea la configurazione di un turismo culturale e prima ancora una politica di formazione e crescita territoriale. Nulla che possa essere dato per scontato di questi tempi, neppure in Provincie Autonome come quelle di Trento e Bolzano.Senza voler immaginare qui, in poche righe, una ricognizione di tutte le attività, ho scelto di elencare in tre box distinti le principali attività svolte dal Mart di Trento e Rovereto, dalla Fondazione della Galleria Civica di Trento e da Museion di Bolzano. Si tratta di una semplificazione che raffigura le azioni principali senza poter dar evidenza alle molte attività specifiche realizzate con partner o in collaborazione con istituti del territorio, editoriali o cinematografiche, didattiche e di formazione. Nonostante

2010 Versus 2011

2010Testo di Paola Tognon, critico d’arte contemporanea

AMEDEO MODIGLIANI, TESTA, 1911-12 CA., © TATE, LONDON 2010

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Museion, Fondazione della Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Trento, Mart di Rovereto: 365 giorni sull’arte del 2010. Come appare il futuro guardato dal passato?

la semplificazione, la successione di attività permette di evidenziare un fitto calendario di attività qualificate lasciando intravvedere una mappa che si basa su tre anime distinte, due delle quali (Trento e Bolzano) in via di consolidamento.Per il Mart a Rovereto non si può che rendere gli onori al merito: l’istituzione nel 2010 ha costruito un piano qualificato di attività internazionali, attrattivo anche per i visitatori meno specializzati, ma equilibrato nel suo ventaglio aperto all’architettura e al collezionismo privato del XX e XXI secolo. L’obbiettivo privilegiato di un museo attento alle avanguardie storiche ma anche alla ricognizione e valorizzazione delle eccellenze

territoriali e che vuole essere attrattivo verso un’utenza allargata sembra essere stato riconfermato e raggiunto: le collaborazioni con le istituzioni straniere e l’accrescersi delle sue collezioni ne sono fondamentale conferma. Un’unica sfocatura nell’obiettivo Mart: un sottile disagio, di volta in volta apparentemente legato a concause diverse (priorità, selezioni, allestimento...) che si respira nelle esposizioni di contemporanea, come nel caso della mostra Linguaggi e Sperimentazioni. Giovani artisti in una collezione contemporanea.A Trento, dopo l’inefficace mostra che inaugurava nel 2009 il nuovo assetto istituzionale della Fondazione della Galleria Civica, l’istituzione appare

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determinata nel raggiungimento di una nuova dimensione progettuale vocata ad una linea di attualità e internazionalità che predilige la presentazione di singole figure emergenti ben calibrate sulla ricerca formale. Accanto a questa linea espositiva si struttura la collaborazione con artisti italiani e stranieri già riconosciuti ma chiamati a partecipazioni continuative e site specific di grande qualità - come nel caso di Massimo Bartolini - o collaborazioni con altre istituzioni come quella con la Serpentine Gallery di Londra per l’attuale mostra di Gustav Metzger. La calma dopo la tempesta sembra quindi mostrare la volontà di un rinnovato rapporto con il territorio e con le vicine istituzioni e offrire esperienze artistiche diffuse nella comunità e attrattive per gli appassionati del contemporaneo. La piccola sede della Fondazione, erede di una tradizione recente dal carattere forte e innovativo, raccoglie e rilancia la scommessa di un’attività costruita su piccoli budget ma con grandi attenzioni alla ricerca contemporanea come nel caso dell’attesa esposizione di Roman Ondak che si aprirà nel febbraio 2011. La Civica di Trento, Fondazione che sia o Galleria che sia stata, rappresenta dunque una scommessa vincente e il segno di una comunità che produce cultura. Museion a Bolzano, un’istituzione che per dimensioni e costi si misurava con i medio-grandi musei italiani pre-crisi, nel 2010 ha ribadito la sua vocazione alla stretta contemporaneità dell’arte internazionale. Una vocazione piuttosto complessa in ambito italiano e comunque difficile da diffondere su qualsiasi territorio senza un adeguato coinvolgimento e una percezione consolidata e condivisa che necessita di molti anni di lavoro. Un mission alta e ambiziosa che ha dovuto fare i

conti con le ristrettezze economiche del biennio 2009 e 2010. In questa logica le attività del 2010 sono state ancora una volta il frutto di un grande impegno da parte della Direzione: le mostre e le attività si sono susseguite con generosa energia, sommata a quella degli artisti coinvolti, ma forse non sempre con gli esiti desiderati a causa di un’aura fredda che devia il visitatore da una partecipazione piena e spontanea, indipendente dal livello di conoscenza. Ma proprio quest’aura sembra essersi dissolta nelle mostre che hanno concluso il 2010: la bellissima mostra di Isa Genzken e il geniale riallestimento operato da Massimo Bartolini e Stefano Arienti che, insieme alle nuove opere, ha permesso e permette di vivere

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un’esperienza davvero emozionante e certamente innovativa (sto rivedendo le grandi rastrelliere cariche di opere così come la sala con le numerose sculture della Collezione Museion che si aprono ad una rilettura fortemente attuale della museologia e della storia dell’arte del XX secolo oltre che ad un gioco di attribuzioni che nella leggerezza dell’anonimato didascalico – ma esiste un’apposita pubblicazione per chi vuole conoscere - rende all’arte un passaggio di democraticità opposto agli effetti artistar dei primi anni del 2000). L’attuale ricerca per un nuovo profilo alla direzione artistica di Museion, un’istituzione che sembra abbia assorbito parte dell’instabilità che contraddistingue questi anni di

cambiamento, appare come uno scossone-scommessa per il 2011: non ci resta allora che darsi appuntamento ai prossimi mesi.Ma rimane una riflessione importante da scrivere e diffondere: il percorso Rovereto, Trento e Bolzano è un percorso davvero speciale per l’arte moderna e contemporanea in Italia grazie a queste tre istituzioni e alle molte altre parimenti qualificate in altri settori: forse per chi ci abita sembrerà quasi una condizione normale, un privilegio scontato, ma per chi è forestiero la percezione di un’offerta culturale qualificata e continuativa è davvero cosa sentita e apprezzata. Arte e montagne costituiscono qui un binomio affascinante e invidiabile.

GUSTAV METZGER, LIQUID CRYSTAL ENVIRONMENT 1965-66, REMAKE 2005-2009,

FONDAZIONE GALLERIA CIVICA DI TRENTO

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IE SÜDTIROLER Kulturszene hat in den vergangenen 20 Jah-ren einen beispiellosen Boom mit allen Licht- und Schattenseiten

erlebt. Wer sich noch an die mageren Jahre erinnert, weiß, wovon die Rede ist. Es genügt, 30 Jahre zurückzuden-ken. Noch in den 80er Jahren war das Angebot so schütter, dass jede Initiative einem Weltaufgang gleichkam. Heute ist die Auswahl an Kulturveranstaltun-gen so reichhaltig, dass jede andere Region vor Neid erblassen muss. Natür-lich hat jeder weiterhin das Recht, sich arm zu denken, aber die Zahlen spre-chen eine andere Sprache. Möglich wurde diese rasante Entwick-lung, weil die Kulturpolitik in einer fast kopernikanisch zu nennenden Wende einen Nachholprozess in Sachen zeit-genössischer Kunst in Gang gesetzt hat. Bis in die späten 80er Jahre defi-nierte sich die Südtiroler Gesellschaft in hohem Maße über ihren heroischen Kampf um politische und kulturelle Autonomie in einem als latent feindlich empfundenen auf alle Fälle aber unge-

liebten Staat. Die Selbstvergewisserung erfolgte über die Vergangenheit und war entsprechend konservativ bis nos-talgisch. Dynamische und weltoffene Kräfte wurden nicht als Bereicherung sondern als Störenfriede, wenn nicht gar offen als Nestbeschmutzer, gesehen. Solide Kunstfeindlichkeit galt Jahr-zehnte lang als Voraussetzung für jenes seltsame Wesen namens Identität, das keiner je gesehen hat, dessen Wirken aber unausweichlich alle erfahren. Mit dem Paketabschluss und der Streitbeilegung im Jahr 1992, mit der die politischen, rechtlichen und wirt-schaftlichen Rahmenbedingungen der Südtirol-Autonomie gesichert waren, ging auch eine „Entideologisierung“ des Kulturbegriffes einher. Die Folge war, dass die bis dahin weitgehend in der Nischen- und Selbermachkultur ange-siedelte avancierte Kunst unter erhebli-chem finanziellen Einsatz vom Rand ins Zentrum rückte. Nach Jahrzehnten der Abschottung suchte man nun auch auf politischer Ebene den Anschluss an die zeitgenössische Kunst zu forcieren. Der rasche Wandel von der Armutsre-gion zum Speckgürtel und die Auswei-

Boom

Nach ihrer Gründungsphase in den 80er Jahren erlebte die institutionell geförderte Kunst im Südtirol der letzten zwei Jahrzehnte eine wahre Explosion.

DText von Heinrich Schwazer, JournalistIllustration von Oze Tajada

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tung der autonomen Zuständigkeiten erlaubten dem Land umfangreiche Investitionen in die Kultur. In den zwei Jahrzehnten von 1990 bis 2010 flossen Millionen Euro in den Bau von Presti-geprojekten wie den Neubau des Boz-ner Stadttheaters, des Konzerthauses und des Museions. Dazu kommen noch kostenintensive Bildungsstrukturen wie die Europäische Akademie (Eurac)

und die Freie Universität Bozen. Mittlerweile leisten sich sogar mittelgroße Ge-meinden, die etwas auf sich halten, ständige Galerien oder zumindest temporäre Ausstellungsräume. Die Erhaltung der kul-turellen Identität prägte weiterhin zentral die Kulturpolitik, doch mit einer wesentlichen Ver-schiebung: Bestand die kulturpolitische Leitlinie bis dahin vor allem darin, sich in einem als latent „feindlich” erachteten Staat defensiv zu behaupten, so wird jetzt offensiv in zeit-genössische Kultur inves-tiert, um sich als moderne, weltoffene Region auf der europäischen Landkarte zu verorten. Ein strategi-scher Wandel, der mit der Entwicklung italienischer Städte während der Re-naissance verglichen wer-

den kann: Gemeinwesen mit viel Geld und einer unsicheren Identität inves-tieren besonders gerne in Kultur. In einem ökonomischen Terminus kann man die zurückliegenden 20 Jahre deshalb zweifellos als Boomjahre der Kunst bezeichnen. Nach der Grün-dungsphase in den 80er Jahren erlebte die institutionell geförderte Kultur eine wahre Explosion. Ein paar nüch-

terne Zahlen mögen das belegen. Eine jüngst veröffentlichte Studie des Sta-tistikinstituts ASTAT kommt auf 769 Kulturschaffende. Über 12.000 Veran-staltungen mit 24.770 Aufführungen beziehungsweise Ausstellungstagen wurden im Jahr 2009 auf die Beine gestellt, fast ein Drittel davon (3.867) waren Eigenproduktionen. Mehr als 2,6 Millionen Zuschauer und Besucher

haben das Angebot wahrgenommen. Das Publikumsinteresse entspricht dem Angebot: Mit 66,6 Prozent locken die Konzerte den bei weitem höchsten Zuschaueranteil an. Mit einem Anteil von 80,7 Prozent decken Musikveran-staltungen auch den Löwenanteil bei den Kulturveranstaltungen ab. Dies ist vor allem auf die kapillare Verbreitung von Musikkapellen und Kirchenchö-

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ren sowohl in den Städten als auch in den Dörfern zurückzuführen. So wurden 2009 insgesamt 5.094 Veran-staltungen geistlicher Musik gezählt; das entspricht 52,4 Prozent aller Mu-sikveranstaltungen, die im Jahr 2009 stattgefunden haben. Weit abgeschla-gen liegen die Theateraufführungen mit 9,4 Prozent an zweiter Stelle der Kulturveranstaltungen, gefolgt von

Filmvorführungen mit 6 Prozent, Tanz-aufführungen mit 2,3 Prozent und der Bildenden Kunst mit 1,6 Prozent. Ins-gesamt erwirtschaften die Kulturträger im Land einen Jahresumsatz von 45 Millionen Euro. Fast die Hälfte davon, genau 48 Prozent, sind Beiträge der öffentlichen Hand. Nun kann man diese Erfolgszahlen natürlich als weitgehend passiven

Konsum verdammen, der ja von rech-ten wie von linken Kulturkritikern gleichermaßen an den Pranger gestellt wird. Die jedoch müssen sich die Frage gefallen lassen, ob ihre schöngeistige Ablehnung des Konsumismus nicht nur das geschmäcklerische Urteil von Bes-sergestellten ist. Die Binnenperspektive der Kunst-schaffenden fällt naturgemäß weniger jubilierend aus. Die wenigsten können von ihrer Arbeit leben und die Akzeptanz der zeit-genössischen Kunst bleibt ein schwieriges Kapitel. Das ist an-derswo nicht anders, hat aber hierzulande greifbare Ursachen in der geographischen und gesellschaftli-chen Struktur des Landes. 80 Prozent von Südtirol sind ländliches Gebiet und selbst die Städte sind nur größere Dörfer. Selbst Michael Pacher, der bedeutendste Künstler, den Tirol je hervorgebracht hat, wurde seinerzeit nicht mit offenen Armen empfangen.Trotz dieser unbe-streitbaren Erfolge hören die Klagen über die Kulturpolitik, die ihre Rolle im Sinne des Subsidiaritätsprinzips als Ermöglichung von Eigeninitiative sieht, nicht auf. So notwendig die kri-tische Analyse ist, sie überschätzt die Möglichkeiten der Kulturpolitik bei weitem. Keine Kulturpolitik der Welt hat je einen großen Künstler hervorge-bracht. Umgekehrt hat aber auch keine je einen verhindert.

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RENDO IL PC E INIZIO ad appuntarmi frasi e parole chiave, dettagli di vita, slogan, citazioni, tutto quanto...Inizierò da Gilbert

Prousch, nasce a San Martino in Badia nel 1943, ed è la metà esatta di Gilbert & George. Gilbert & George sono un duo artistico. Questo essere un duo fa parte del tutto che è essere sculture viventi, dichiarano di non aver litigato mai. Gilbert studia dapprima in Italia, alla Scuola d’Arte di Selva di Val Gardena Wolkenstein. In Austria frequenta la Scuola d’Arte di Hallein. In Germania l’Accademia di Belle Arti di Monaco. A quanto leggo incontra George nel 1967, a quanto pare, al St. Martin’s School of Art di Londra. Dall’anno successivo vivono insieme a Londra. Senza litigare mai.“Attraversammo questo periodo di grande distruzione, esplorando noi

stessi, esplorando il lato oscuro, ubriacandoci, andando in giro. Tutti elementi distruttivi…” dicono in un’intervista. Dopotutto gli anni Settanta sono gli anni Settanta.Lo slogan che più trovo negli scritti e nei documetari che li riguardano è “l’arte è di tutti!”Sono a loro a dirlo a inizio carriera. Portano avanti con humour il loro non esistere individualmente per sempre, e con esso alcuni slogan, sopratutto questo.Iniziamo da qui.

Non uno ma “duo”Da questa presa di posizione, da una depersonalizzazione dell’io uno per far posto al duo, e dalla messa in scena dell’artista aggiungerò che quello che mi appare importante in un intervento sensato che metta in scena il corpo è capire che il corpo è il corpo di qualcuno. Non sceneggiare, ma essere... non esattamente o non

P

FLIC

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GILBERTGilbert Prousch è solo Gilbert, art-star altotesina? No, Gilbert è soprattutto Gilbert, la metà esatta di Gilbert & George, scultura vivente, una a duo.

Testo di Fabrizio Pizzuto, scrittore e critico d’arte

solo mettere in scena, ma piuttosto comporre. Loro usano il termine “scolpire”. Non messe in scena, ma sculture, sculture viventi, cantanti, ubriache, perfino le cartoline sono definite sculture, scritte senza punteggiatura, senza maiuscole.Intuisco “cristallizzazione”. Flusso di materia che si immobilizza in composizione.Materiale vivo. Gilbert & George sono dunque una loro scultura.Nel 1999 scrivono: “Ogni nostra opera d’arte è una lettera d’amore visiva da noi a voi.” La composizione è quindi la portata, non solo “alla portata”, ma anche “la portata”.Ci sono tuttavia elementi che traggono in inganno.Conservazione sovversiva è un ossimoro adatto. Essere un duo non solo sta per essere due, ma due mezzi; non un dio artista, ma un duo... nessun lavoro individuale,

nessuna individualità distaccata dall’altra... un uno chiamato Gilbert & George, non un uno tutti noi, ma un uno loro, solo loro. Loro sono la loro arte che è vita.

Dieci comandamenti di Gilbert & GeorgeThou shalt fight conformismThou shalt be the messenger of freedomsThou shalt make use of sexThou shalt reinvent lifeThou shalt create artificial artThou shalt have a sense of purposeThou shalt not know exactly what thou dost, but thou shalt do itThou shalt give thy loveThou shalt grab the soulThou shalt give something backQuesto paragrafo va bene com‘è.

Temi Immagini di grandi dimensioni, temi chiari ed evidenti, crocefissioni, nudità,

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merda, piscio, sperma, sangue.Essi affermano “Fondamentalmente, c’è qualcosa di religioso nel fatto che siamo fatti di escrementi”. Nudità ed escrementi, ecco la verità... la verità per tutti... non si può cagare vestiti.Nella semplicità e nella compostezza c’è anti-shock, la normalizzazione ma anche depersonalizzazione dello shock che è, a sua volta, shockante. Ridurre tutto al fatto che esiste: il sesso che non ammicca, non misterioso ma esistente, semplice, per tutti. La tristezza del clown, l’allegria del clown, la verità raccontata al re sotto forma di barzelletta. Precaria e ostinata condizione umana.Un sorriso inglese cerca di seppellirci. Overdresses, fin de siècle, eleganza estrema contro il sistema.La crocefissione.

Immagine Guy Debord scrive: “Lo spettacolo non è un insieme di immagini ma un rapporto sociale fra individui mediato dalle immagini”, e più avanti “Lo spettacolo è il capitale ad un tale grado di accumulazione da divenire immagine.”L‘immagine dell’io creata da Gilbert & George mi appare il contrario della percezione consumistica ma al contempo il suo compendio.La libertà del capitalismo mista alla lotta al conformismo, cristallizzazione, ancora, scultura vivente. Gli elementi sovversivi si mescolano alla forza della semplicità visiva. I media ti chiedono chi sei, che gusti hai, dove ti vesti, cosa leggi, cosa ascolti. La tua personalità è un profilo, ed è importante. Sii unico, compra il nostro prodotto. Io sono due, loro dicono. Dandismo che usa, snobba e parla d’altro tra le righe.Immagini puzzle che si compongono in

divaganti compendi del se.La società liquida ti allontana dal costruire, rifugge il lavoro, la casa, la famiglia e ti spinge ad un io che si crederà per questo non introdotto, esterno.

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Il consumo solipsistico di chi crede che così facendo rifugge e lotta è invece il piano finale del mondo ricco e triste. Arte artificio che si esplicita... ovvero arte che diventa artificio dell’essere vivente, scultura vivente. Titoli che

sono messaggi, lettere d’amore.

...e altri slogan che potrei anche inventare sopra i loro.

CO

UR

TESY

WH

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CU

BE

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