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Psicologia & Giustizia Anno XV, numero 1
Gennaio – Luglio 2014
CORSO DI ALTA FORMAZIONE IN PSICOLOGIA FORENSE, CRI MINALE
E INVESTIGATIVA
Fondazione Guglielmo Gulotta di Psicologia forense e della Comunicazione
Gennaio – Giugno 2013
UMORISTICA-MENTE
L'UMORISMO NELLA CONSULENZA TECNICA
DOCENTE
Dott.ssa MOIRA LIBERATORE
ELABORATO di
VALENTINA PINNA
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Indice
1. Premessa…………………………………………………………………………pag. 3
2. Introduzione……………………………………………………………………...pag. 3
3. Umorismo ed emozione………………………………………………………….pag. 4
4. I luoghi dell’umorismo…………………………………………………………..pag. 5
5. Umorismo e clinica………………………………………………………………pag. 7
6. L’umorismo nel processo………………………………………………………...pag. 9
7. L’umorismo nella consulenza…………………………………………………..pag. 11
8. Conclusioni……………………………………………………………………..pag. 18
9. Bibliografia……………………………………………………………………..pag. 20
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1. PREMESSA
Il primo pensiero nell'approcciarmi ai contenuti di questa tesina è stato 'non si ruba a
casa del ladro', in ragione del lungo ed articolato lavoro del Prof. Gulotta in merito
all'argomento trattato; ci si trova dinanzi ad un ambito da vasto e complesso, i cui
contributi rivestono immensa portata nelle cono-scienze attuali.
Questa tesina si ispira a lavori di maestri, che vengono citati e chiamati in causa con
tutta l'umiltà possibile da parte della scrivente; il fine è di proporre una riflessione sulla
fattibilità ed utilità di rendere le consulenze tecniche psicologiche in ambito giuridico
più snelle e fruibili per il giudice, nondimeno per le parti.
'Ridere è una cosa seria' (Farnè, “95)
2. INTRODUZIONE
L'idea di questa tesina, come spesso capita, nasce da un buon incontro: l'umorismo
come meccanismo di difesa privilegiato, sovente utilizzato dalla scrivente (e non solo!)
per lavorare e per sopravvivere nella giungla delle relazioni umane e l'aspetto non
verbale, analogico e di meta-comunicazione che ha pervaso tutte le giornate del Corso,
nonché dei suoi contenuti.
Più correttamente ancora, si è parlato durante il Corso di comunicazione strategica e
persuasiva nell'ambito dei lavori condotti dal professor Gulotta (dunque: nei contenuti)
e lo stesso ha trattato i vari argomenti utilizzando uno stile comunicativo assolutamente
strategico (dunque: nella forma, nell'analogia); ciò nella misura in cui la 'strategia'
poteva consistere nel far arrivare il messaggio il più completamente possibile
all'uditorio, sovente grazie ai 'salti logici' concessi dall'umorismo: comunicazione e
meta-comunicazione umoristica permettono infatti al messaggio di espletare la propria
efficacia, sia attraverso il miglioramento della sfera attentiva, che nella predisposizione
globale del ricevente ad assimilare i contenuti.
L'umorismo catalizza la comunicazione umana con la potenza di un enzima, poiché
arriva efficacemente, velocemente e spesso 'dritto al cuore'. Secondo Bateson esistono
diversi livelli di tipi logici di apprendimento: è l'accesso dell'informazione,
l'apprendimento di livello superiore (o meta-apprendimento, apprendere ad apprendere)
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che consente il reale cambiamento; esso non può esistere in assenza del contributo
dell'emozione (Bateson, 1987; Bateson, 1984).
Ne consegue che l'umorismo essendo un forte 'sublimatore' di emozioni, comprese
(oppure in specie) quelle a connotazione non-positiva, può massimizzare l'effetto
significativo del messaggio in uscita predisponendo il ricevente ad accoglierne i
contenuti, amplificando le possibilità di persuasione del messaggio stesso.
L'umorismo è utilizzato diffusamente nei più svariati ambiti della vita quotidiana (I
politici, ed il loro team di comunicatori, docet!); questo lavoro si propone di dare una
rapida occhiata in qualche contesto altro, dove la comunicazione umoristica è altresì
utilizzata al fine di incrementare la validità o persuasione del messaggio; in secondo
luogo si desidera visitare qualche contributo valido dell'umorismo nell'ambito della
psicologia clinica, fino ad arrivare al contesto specifico della psicologia giuridica. In
quest'ultimo ambito il Prof. Gulotta ha aperto le porte dei tribunali alla comunicazione
paradossale in genere, fino a ventilare la possibilità, opportunità e spendibilità
dell'ingresso dell'umorismo nelle Consulenze Tecniche per il Tribunale, spesso
'mallopponi' neppure letti dai giudici, il cui messaggio (a volte astrusamente nascosto
dietro il gergo tecnico), può essere confuso, mal-interpretato o addirittura perduto in
toto al ricevente, quando non in qualche modo già alla fonte.
3. UMORISMO ED EMOZIONI
L'etimologia della parola umorismo, secondo entrambe le radici, greca e latina, rimanda
alla medicina Ippocratica che considerava dei 'fluidi' (umori) alla base sia della salute
che dell'indole degli uomini. In questo senso l'umorismo appare intrinsecamente legato
ai 'movimenti interni' ed agli stati emotivi che sono, appunto, degli stati della mente
legati ad una trasformazione o, più correttamente, ad un 'movimento', nell'assetto
neurofisiologico interno delle persone.
L'emozione è pertanto parte essenziale dell'umorismo e della comunicazione a sfondo
umoristico e la sua efficacia si esplica particolarmente nel 'coinvolgere', all'interno del
meccanismo complesso della comprensione degli eventi, anche aspetti più arcaici ed
analogici, legati maggiormente ad aree cerebrali specializzate in 'disordine', estro,
fantasia e 'caos', nell'ambito del linguaggio scritto e parlato, che ha una base 'digitale'.
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Detto in parole povere, l'umorismo, essendo così emotivamente legato, apre le porte ad
una ricezione del messaggio in entrata a livello più globale, complesso, equilibrato ed
aperto, cortocircuitando anche le difese linguistiche e razionali permettendo un più
ampio passaggio del significato del messaggio.
Molti studi hanno inoltre evidenziato come la risata può, già a livello fisiologico,
innalzare il livello ematico di alcuni neurotrasmettitori specifici, importanti non solo per
il tono dell'umore, ma anche migliorativi dei processi attentivi e mnestici (De Cataldo
Neuburger L. Gulotta G., 2009); in questo senso, la calata dell'umorismo nelle aule del
tribunale, ma anche all'interno degli scritti tecnici per il giudice, può predisporre ad un
ascolto più complesso, attento e puntuale di quanto si vuole andare a rappresentare.
Un'altra caratteristica importante da evidenziare a questo proposito è anche l'aspetto
inconscio/istintivo che l'umorismo riveste: ci scappa da ridere anche contro la nostra
volontà cosciente, il messaggio penetra alla resistenza così che anche nei contesti più
formali, come quello giuridico dove la risata appare inopportuna, inutile o poco
consona, anche il magistrato si ritrova suo malgrado al 'vero sé', al dietro la toga, in
qualche modo anche al bambino o 'fanciullino' (con Giovanni Pascoli), ricordandoci
(con Albert Einstein), che ogni cosa è assolutamente relativa.
'In questa vita la cosa più seria è la morte;
ma neanche quella più di tanto'
Proverbio (Paasilinna, 2006)
4. I LUOGHI DELL'UMORISMO
Difficilmente vi è un luogo, inteso come contesto sociale e relazionale dove l'umorismo
si possa considerare estraneo. A pensarci bene, anche i contesti funerei e di morte
possono evocare un motto di spirito.
Lo scrittore Finlandese, Arto Paasilinna, scrive romanzi in cui la morte è la protagonista
indiscussa; nel romanzo 'L'allegra Apocalisse', il preambolo agli accadimenti
rocamboleschi è il decesso del vecchio bruciachiese, Asser Toropainen che, moribondo,
riceve la visita del nipote Eemeli, che così saluta l'avo: “Allora, nonno, molliamo le
ancore?” (Paasilinna, 2010, pag. 11). Nel romanzo 'Piccoli Suicidi tra Amici' un gruppo
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di depressi di Finlandia, messi insieme un po' dalla sorte un po' dalla volontà di due
pionieri, intraprendono un viaggio finale attraverso l'Europa, volto alla meta comune del
suicidio collettivo; attraverso la lente Paasalinniana la morte non viene ridicolizzata
quanto la vita viene relativizzata (o re-vitalizzata) e, nell'estrema decisione, la
leggerezza acquisita proietta sulle depressioni individuali un nuovo senso, che fa si che
diverse persone, in fin di vita, rivedano la propria decisione non ritrovando più quella
seria ed oscura determinazione, data dalla non esistenza di una risposta 'terza' tra morire
e vivere in depressione; o come asserisce Paul Watzlawick il tertium non datur
(Watzlawick P., 1987, pag. 31) . Ma la letteratura, sebbene luogo privilegiato, non ha
diritto di prelazione sul beneficio umoristico: le più disparate discipline ne apprezzano il
contributo a più livelli.
A conclusione della sua intervista sull'Umorismo in Radio, Sergio Valzania , vice
direttore di Radio Rai, storico e scrittore, asserisce come la verità non sia un qualcosa di
tangibile e possedibile, bensì un lavoro di co-costruzione, insieme agli altri. L'utilizzo
della risata, o più umilmente del sorriso, in ambito mediatico richiede particolari
abilità, ma l'autore parla di cose/battute umoristiche come un qualcosa di diverso dal
'creare l'ambiente umoristico'; che tradotto potrebbe trattarsi del creare un ambiente
attivo rispetto alla ricezione di ciò che si vorrebbe far passare come messaggio al
ricevente, che sia esso spettatore, lettore, ascoltatore o, nel caso di cui alla presente
tesina, giudice o giuria.
Nel suo lavoro 'Considerazioni sull'elemento ludico del processo' (Valzania, 1978)
Sergio Valzania fa riferimento ai giochi umani intorno alle figure retoriche dell'ambito
forense, senza voler minimizzare o svilire, bensì segnalando il rischio del prendere
qualsiasi cosa eccessivamente sul serio, in maniera assoluta e senza vederne il limite.
Nel suo ampio scritto avente oggetto Didattica e Umorismo, rivolta agli insegnanti
come lui, Ennio Monachesi evidenzia come il processo di apprendimento ed
integrazione dell'informazione degli alunni nell'ambito della conoscenza sia non
assoluto ma soggetto ad un processo di personalizzazione, addirittura sovente non
'grazie a' ma 'nonostante' il lavoro dell'insegnante, teorizzando il concetto di equifinalità
nel processo di apprendimento scolastico. Con la finalità di rendere fruibile un ausilio
comunicativo per migliorare ed ampliare le competenze didattiche proprie e dei colleghi
alle prese con gli allievi, Monachesi si sofferma e tratta l'umorismo in varie forme;
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procede con umorismo, attraverso un metalinguaggio che, come asserisce lo stesso
autore, alla brutta farà ridere il lettore (Monachesi, 2010).
5. UMORISMO E CLINICA
Nell'ambito della scienza psicologica l'umorismo inizia già con Freud che in prima
battuta lo rappresenta come la possibilità di risparmiare energia psichica, salvo poi
legarlo alla figura paterna ed al super-io, sia in termini di io adulto che di io che
protegge. Lo stesso Freud, dopo aver distinto tra motti tendenziosi ed innocenti, arriva
ad osservare che nessun motto è del tutto innocente (Dalla Volta, 1974).
La scuola di Paolo Alto, particolarmente con Gregory Bateson e Paul Watzlavick, negli
studi della comunicazione focalizzano l'attenzione sulla teoria dei tipi logici, mutuata
dagli studi sulla matematica di Bertrand Russel (Russel, 1910-13) e sulla
comunicazione paradossale, che ci permette oggi di capire meglio il funzionamento
dell'umorismo; gli autori hanno dato l'impulso alle teorie sistemiche e relazionali ed alle
interazioni familiari rispetto al meta-messaggio e ai suoi effetti pragmatici nella
comunicazione interpersonale (Watzlawick, Beavin Jackson, 1971).
Il 'paradosso' consiste nella presenza di un altro messaggio sul messaggio di cui il primo
ha aspetti contenutistici mentre la meta-comunicazione ha effetti pragmatici ed
emozionali. Secondo Monarchesi (2010) i paradossi sono il 'prototipoparadigma'
dell’umorismo.
In psicoterapia, la lettura dei paradossi e l'utilizzo dei controparadossi è stata utilizzata
come tecnica specifica, specie nella terapia familiare (Selvini Palazzoli et al.,1988).
Secondo Bateson sarebbe la rigidità della logica l'unica alternativa al paradosso, nella
misura in cui questo concede più gradi di libertà all'individuo ed ai sistemi in
interazione (Bateson, 1953 ). Ancora con Monarchesi: 'Forse il miglior modo di
esprimerli (i paradossi n.d.r.), di dirli e non dirli, è una buona battuta' (Monarchesi,
pag. 252).
Alcuni esempi del 'salto di livello logico' consentito dal paradosso (in Monarchesi,
opera citata):
“Oggi l’unico punto fermo è che tutto si muove” (P. 292 ) Gorbaciov;
“Un carcerato giocava a carte con i suoi carcerieri; quando si accorsero che barava lo
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cacciarono a calci dalla prigione.” (P. 296) Avner Ziv;
“Da un’indagine è stato appurato che nei treni l’ultima vettura è la più pericolosa.
Perciò la Direzione ha deciso di eliminarla”. (p. 294) D. Ippolito;
“E’ difficile credere ancora negli ideali, ma per un compenso adeguato si può fare” (P.
294) Fabio Di Jorio;
Il mitico Totò, malmenato da un tizio che inveisce contro di lui chiamandolo Pasquale,
ride a crepapelle. Alla domanda del tizio sul cosa abbia tanto da ridere gli ribatte che lui
non si chiama Pasquale, bensì Giovanni!
Stamattina, invece ho sentito un dialogo tra i miei vicini di casa: uno diceva all'altro che
hanno messo in circolazione la nuova banconota da 5 euro e l'altro ha commentato
sospirando: “chissà se vale la stessa cifra”.
Il messaggio paradossale è basilare nell'ambito della terapia con ipnosi. Particolarmente
nelle opere di Milton Erikson (Erikson 1983; Erickson et al. 1979) si ritrova il
linguaggio paradossale che mentre ad un livello afferma A, sull'altro afferma B (che può
negare A), come se l'ipnotista parlasse contemporaneamente a due parti della stessa
persona, l'una più razionale e quell'altra più emotiva ed analogica, di fatto
cortocircuitando gli aspetti razionali nella misura in cui questi 'imbrigliano' le emozioni.
Come osserva Gulotta nel suo compendio sull'ipnosi (Gulotta G. 1980), Erickson opera
su una concezione 'dualistica' della mente umana, implicando che il messaggio sia
rivolto verso il conscio e verso l'inconscio, laddove la dimensione inconscia ed
analogica riceve quella parte della comunicazione più legata ad aspetti emotivi non-
digitali. Non a caso, la lettura del lavoro di Erikson è umoristica, 'fa ridere'! Ho ancora
in mente un passaggio della terapia, letto vent'anni fa, dove Milton Erickson
cortocircuitava il pensiero razionale di una signora, sua paziente, concentrandosi sul
numero di pois sul suo abito: milioni, miliardi di pallini!(Erikson, 1983). E' sempre
Gulotta ad indicare nell'aspetto pragmatico della comunicazione umana, secondo la
definizione della Scuola di Palo Alto, la maggiore rilevanza per quanto attiene la terapia
dell'ipnosi (Gulotta G., 1980).
In sostanza, nella comunicazione paradossale utilizzata in psicoterapia, il salto di livello
logico del paradosso è lo stesso che sottostà alla comunicazione umoristica, poiché in
definitiva, niente come l'umorismo (e la struttura alla sua base), equilibra la ricezione
del messaggio umano attingendo a piene mani, anche nel cortocircuito cognitivo, alla
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sfera emozionale che maggiormente influenza la vita di ciascuno.
Ancora, un contributo dell'umorismo in ambito clinico lo ritroviamo in Psicologia
dell'emergenza, con il lavoro di Monica Fabiani. La paradossalità sta già nel
considerare l'umorismo in uno scenario disastroso, tuttavia l'autrice caldeggia l'utilizzo
dello humor come strategia di coping per far fronte a situazioni stressogene di diverso
tipo, che vanno dai disastri naturali agli eventi traumatici individuali (per es. abuso).
L'autrice evidenzia particolarmente la valenza distensiva dell'umorismo e la possibilità
che apra nuovi canali alla re-intrepretazione e rielaborazione degli eventi, la de-
negativizzazione del pensiero e la funzione sociale ed aggregante, la sublimazione
dell'aggressività,. In merito, Gulotta e di Cataldo riportano studi nei quali viene
evidenziato il parallelo tra il gesto del sorridere dell'uomo ed il mostrare le zanne negli
animali, che è inconfondibilmente un 'non verbale' aggressivo (Gulotta, Di Cataldo N.,
2009).
Particolarmente interessante potrebbe essere, sempre secondo l'autrice, l'uso
dell'umorismo come strategia di coping per gli stessi soccorritori, dove la valenza di
scarica emotiva, coesione e ri-rappresentazione della realtà può attivare una funzione sia
protettiva che riflessiva.
Pirandello definiva l’umorismo come il sentimento del contrario, che porta fuori
l'aspetto emozionale e consente di gettare la maschera del falso sé a favore di una
espressione più autentica della persona.
6. L'UMORISMO NEL PROCESSO
Nel testo 'Processi Penali Processi Psicologici (Zanconi et al,2009), gli autori portano
una disamina dei lavori del prof. Gulotta nell'ambito del processo penale, dove lo sforzo
è quello di utilizzare le conoscenze in ambito psicologico con varie finalità di
approfondimento e conoscitive, in un duro ma possibile connubbio tra le discipline
psicologiche e le discipline forensi. Ai fini del presente lavoro appare pregnante
l'aspetto della comunicazione strategica, particolarmente nella sua accezione
pragmatica, utilizzato dal prof Gulotta sia nella cross examination che nelle arringhe
finali. Il testo indica una dicotomia essenziale circa la comunicazione in sede
processuale, dove si evidenzia che la domanda posta dall'avvocato al teste, più che avere
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un'esigenza conoscitiva diretta ha piuttosto la funzione di 'far conoscere' un dato aspetto
dell'esperienza all'organo giudicante, tramite la voce del testimone stesso, di modo che
l'impatto persuasivo della comunicazione sia massimo. Nello stesso testo gli autori
evidenziano come nella comunicazione retorica, al fianco di una componente
squisitamente contenutistica, debbano trovare spazio la e-mozione (movimento) e, non
di meno, la capacità di mantenere viva l'attenzione intorno all'argomento trattato.
La capacità dell'oratore di mantenere attivi i tre livelli è la migliore garanzia per una
ottimale ricezione del messaggio.
Nell'ambito processuale, dove tutto si gioca nell'abilità delle parti a mostrare la 'realtà
dei fatti', o meglio, l'aspetto contro-fattuale di quanto occorso nell'ambito del reato,
tale capacità comunicazionale gioca un ruolo chiave circa gli esiti del processo stesso.
L'umorismo o l'ironia, specie nella sua accezione morale (Zanconi et al., 2009), lungi
dall'essere fuori luogo nel contesto giuridico e processuale nello specifico, consente di
mantenere i tre livelli attivi, consentendo al contenuto di essere veicolato in un contesto
di attenzione prolungata e con un 'movimento' interno dell'interlocutore che favorisce
l'assimilazione del contenuto stesso della tesi che si vuole portare all'attenzione
dell'uditorio.
Anche nell'ambito del contesto giuridico, gioca infatti ruolo essenziale l'aspetto emotivo
come base per l'acquisizione dell'informazione (Bateson, 1977).
Nel testo 'Sapersi esprimere' gli autori trattano i temi dell'ambiguità e dell'equivoco
nella comunicazione interpersonale evidenziando come questi costrutti siano
maggiormente legati al modo in cui si comunica piuttosto che all'oggetto stesso della
comunicazione e mettono in evidenza come l'umorismo, espressione massima della
comunicazione ambigua, sia già accessibile ai soggetti in età evolutiva e che, lungi dal
rappresentare un'aberrazione del linguaggio, lo eleva ad importante regolatore intrinseco
delle relazioni sociali (De Cataldo Neuburger Gulotta, 2009).
La fruibilità dell'oratoria umoristica, nell'ambito della cross-examination, ha
sicuramente maggior rilievo, piuttosto che in fase di esame, nel contro-esame del teste,
dove gli aspetti comunicativi strategici sono più efficaci al fine di mostrare ciò che si
desidera portare all'attenzione dell'uditorio, dalle stesse parole del testimone (Zanconi et
al. 2009); inoltre, la realtà fattuale-processuale che trapela dal contro-esame appare
avere più peso su giudici e giuria, in quanto non è stata preparata ad arte, almeno non
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nel contenuto, da parte dell'avvocato. Allo stesso modo, nell'ambito della consulenza
tecnica, sia di ufficio che di parte, l'umorismo ed il suo vestito strategico risultano
maggiormente proficui nelle contro-deduzioni dove, una volta che osservazioni e
motivazioni vengono poste nero su bianco di fronte al giudice, le stesse non sono
ritrattabili e lo studio dei significati può essere attentamente studiato al fine di portare
efficacemente alla luce se non la 'realtà processuale', senz'altro quella tecnico-peritale.
7. L'UMORISMO NELLA CONSULENZA Di seguito porterò ad esempio alcuni casi che mi hanno vista lavorare in qualità di CTU
o di ausiliaria del CTU1, dove l'utilizzo dell'umorismo, unitamente ai contenuti tecnici,
ha verosimilmente permesso di evidenziare in maniera più efficace alcuni aspetti delle
vicende portate innanzi all'attenzione del giudice. In questa sede pare opportuno mettere
in rilievo un ulteriore pregio della comunicazione umoristica nell'ambito della
consulenza: il 'linguaggio tecnico' usato dagli esperti del tribunale spesso diviene una
sorta di codice da decifrare per il giurista che ne entrasse in possesso; ciò potrebbe
rendere il messaggio che si vuole passare totalmente o parzialmente monco di qualche
aspetto del significato complessivo. Ciò diviene ancora più preoccupante rispetto
all'efficacia della consulenza in ambito giuridico se si tengono in considerazione le
insidie della comunicazione presenti già 'alla base' della comunicazione stessa (De
Cataldo Neuburger Gulotta, 2009). Inoltre, in alcune circostanze, il ricorso all'umorismo
può essere salvifico nella misura in cui ci si trovi nella situazione paradossale di dover
segnalare una presunta o reale manchevolezza del giudice, oppure metterlo in guardia
circa la possibilità di essere ingannato dall'equivoco, senza tuttavia dovere esplicitare
alcuna carenza di fiducia sulle sue capacità di comprendere la situazione complessiva.
Di seguito si proporrà qualche esempio di ciò che si vuole rappresentare.
In un primo caso la scrivente è chiamata dal giudice civile a rispondere ad un quesito
nell'ambito di una separazione giudiziale per l'affidamento dei figli. IL CTU si
pronuncia per un temporaneo affido esclusivo alla madre, in ragione dell'elevata
violenza e conflittualità di coppia e del disturbo narcisistico del padre che gli impedisce
1I colleghi, Dott. Carlo Desole, Psichiatra, Neurologo e Psicoterapeuta e Dott.ssa Maria Giovanna Delrio,
Neuropsichiatra Infantile e Psicoterapeuta, sono entrambi iscritti all'albo dei CTU c/o il Tribunale Ordinario di Sassari. Entrambi hanno dato l'assenso all'utilizzo del materiale elaborato insieme alla scrivente
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di vedere il benessere dei figli e che li utilizza involontariamente, ma sistematicamente,
per fini relazionali. Il CTU suggeriva psicoterapia individuale dei coniugi prima di
affrontare un percorso di mediazione e modificare positivamente il regime in 'affido
condiviso' dei figli minori. La CTP si produce in 23 pagine, di cui 21 di insulti al CTU
ed una pagina e mezzo di conclusioni. La tesi nella controdeduzione del CTU è che la
collega ha criticato la metodologia solo a posteriori, facendo dei dati, a suo avviso
raccolti con una metodologia totalmente erronea, la base per le sue conclusioni; inoltre
si evidenziava come la giostra di insulti al consulente del giudice fosse solo fumo negli
occhi in assenza, appunto, di reali contenuti da opporre alle conclusioni del CTU. Così
il CTU riportava al giudice di merito le proprie controdeduzioni circa le osservazioni
del consulente di parte: “Allo stesso modo, il ‘bunga bunga’ tecnico proposto dalla
collega di Parte Y sembra distogliere l’attenzione dalla più pregnante riflessione
teorica e metodologica intorno alla famiglia Y-X, che invece dovrebbe rappresentare
l’oggetto unico delle perizie”.
Il richiamo al bunga bunga, peraltro molto in voga qualche anno fa, introduce una
figura retorica ridicola che, seppure nel mezzo di una dissertazione contenutisticamente
seria, rimanda implicitamente ad un buffone e, più profondamente ancora, ad una
persona inaffidabile, corrotta, subdola e 'sporcacciona'; tale immagine tocca, o muove,
anche senza la sua diretta volontà, le corde emotive di chi legge. Specificamente
propone un parallelo analogico che cala il lettore in un contesto sociale e politico che
duole alla maggior parte di noi, dove è pressoché automatico trovarsi dalla parte dei
'buoni'. Scrivere al suo posto il caos tecnico avrebbe rimandato solo una parte del
messaggio, ovvero di un qualcosa di confuso, senza però connotarne la parte 'morale'.
Peraltro vi è la implicita contrapposizione tra la 'serietà' del CTU il quale ha, anche per
mandato istituzionale, preciso compito di tutela verso i figli minori e la
'sconsideratezza-sconcezza' del CP che si limita a confondere le acque, a danno dei
minori stessi.
In un altro caso, la scrivente ha collaborato con la CTU2 per una consulenza attribuita
dal Tribunale per i Minorenni, in tema di capacità genitoriali, ai fini della tutela di un
bambino di due anni i cui genitori hanno avuto da sempre problemi di alcol su disturbo
della Personalità e dell'umore cronico. In questo caso la CP, in udienza, non lasciava
2Dott.ssa Delrio M.G.
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parlare la CTU ed utilizzava una comunicazione verbale e non verbale poco consona,
riferendosi peraltro nel suo lavoro ad aspetti buonistici e caritatevoli piuttosto che
tecnici, nel supportare la sua tesi. Il pericolo ravvisato dalla CTU era tuttavia molto
concreto, nonostante la pochezza delle argomentazioni della CP, ovvero che a fronte
delle necessariamente limitate competenze tecniche del Giudice in materie psicologiche,
quest'ultimo non riuscisse ad apprezzare sufficientemente la differenza sostanziale nelle
tesi portate da CTU e CTP, specie nel metodo; ciò avrebbe potuto tradursi in un de-
potenziamento del lavoro di consulenza svolto, sino anche ad una sua negazione.
Sollecitato pertanto dal giudice a dare risposta scritta alle obiezioni della collega CP, il
CTU così si esprimeva: “Detto ciò, innanzi l’approfondimento contenutistico, rimane
doveroso aprire una parentesi circa l’intervento della consulente di parte in udienza;
infatti, se è pur vero che la consulente del giudice ha inutilmente tentato di portare
l’attenzione su quanto appena esposto (così da procedere nell’interesse del minore), la
collega ha più volte interrotto, alzando la voce, producendosi in inopportuni ‘ma cosa
stai dicendo?’ , oppure ‘ma stai scherzando?’, che hanno fatto credere alla scrivente ed
alla ausiliaria di aver sbagliato stanza e luogo, essendo finite in un altro, non ben
specificato, luogo pubblico. Non certo in un aula di tribunale. Inoltre ben si capisce
l’equivoco di fondo su cui il vociare insisteva: come se, nel definire un incontro
qualsiasi tra giudici, uno di essi lo apostrofasse come ‘simile alla camera di consiglio’.
A quel punto inopportuno sarebbe chi, correggendo impropriamente, descrivesse
ripetutamente ed in malo modo a quel giudice, reo di aver proferito l’affermazione, che
cos’è una camera di consiglio, da chi è formata e quali sono le sue funzioni. Ben
comprensibile lo sgomento dello stesso giudice che ‘provasse’ a ribattere: ‘ma io non
ho mai detto di aver convocato una camera di consiglio….’
In questo caso, l'utilizzo dell'umorismo ha impedito di mettere in tavola carte poco
favorevoli; infatti, se da un lato si stimava reale il rischio che al giudice, a fronte della
complessità tecnica del caso, non arrivasse altro che il messaggio: 'due opinioni
contrastanti = scarsa credibilità del CTU', o peggio: 'due opinioni contrastanti= scarso
valore della consulenza Tecnica in se', non si poteva in alcun modo svelare il pensiero
del CTU che il giudice potesse non comprendere; in più, il giudice stesso aveva in
qualche modo permesso il 'carnevale' in udienza, dando indiscriminatamente la parola
alla CTP e non 'tutelando' il suo stesso consulente. Ciò viene comunque dichiarato, ma
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rimane implicito, nel rimando al 'non ben specificato luogo pubblico' che richiama
immediatamente un mercato, se non peggio.
Nel raccontino leggero e simpatico dei giudici e della camera di consiglio, si vuole
invece riportare il magistrato a comprendere un equivoco creato dal CTP, che asseriva
che il CTU, poiché durante l'osservazione ha fatto entrare e uscire i genitori dalla stanza
dove c'era il bambino (definendone la procedura simile a), allora avrebbe dovuto
implementare la Strange Situation di M. Ainsworth (2006), lasciando intendere al
giudice che quella fosse la metodologia 'unica' di osservazione delle dinamiche
familiari, per quanto lo stesso possa averne conoscenza.
Così facendo la CTU ha screditato la posizione del CTP dinanzi agli occhi del giudice,
il quale si è 'dovuto' sentire complice della sua collaboratrice nella misura in cui ha
'dovuto' implicitamente riconoscere che, in una situazione dove si è 'suggerita' una
transazione comunicazionale inconsciamente assimilabile all'equivoco della CTP, chi
portava l'equivoco era la stessa consulente di parte. Inoltre, si sono utilizzate tutta una
serie di suggestioni, sottolineate nel testo citato, per portare il giudice che legge sul
piano emotivo del CTU, sgomento di fronte all'equivoco, e quel filo di indignazione
verso il CTP , reo di correggere 'impropriamente' gli altri.
Ancora, dalla stessa relazione si trae una rilettura contro-fattuale sulla dichiarazione
della CTP, la quale poneva, come nesso logico causa-effetto che dal momento che
durante l'osservazione madre bambino il piccolo non si rivolgeva alle scriventi, allora
l'attaccamento alla madre sarebbe dovuto essere considerato 'sicuro'. Ora: il nesso
causa-effetto portato dalla collega appare debole, quando non assolutamente a-
scientifico. Eppure anch'esso contiene il germe dell'equivoco. Agli occhi del giudice
relatore infatti (sempre perché o parte dal presupposto che i tecnici sanno quello che
dicono oppure dicono entrambi nefandezze, per quelle che sono le conoscenze
psicologiche del giudice stesso) la CTP sembrerebbe solo dire: io vedo questo + io sono
tecnico come te = il valore euristico delle nostre posizioni è il medesimo.
Dunque: l' asserzione del CP, pur essendo chiaramente erronea nei presupposti, potrebbe
anche avere, dinanzi al giudice, il medesimo valore euristico di quanto asserisce il CTU,
invalidando di fatto il valore e la praticabilità degli esiti della consulenza. Un altro
rischio può consistere nel parlare al giudice di equivoci, euristica, presupposti e logica;
questo può solo complessificare il quadro tecnico dinanzi al magistrato e/o potrebbe
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mettere il CTU in posizione di difesa ai suoi occhi. In entrambi i casi l'esito potrebbe
essere il de-potenziamento del valore della consulenza con inevitabili effetti pragmatici
(Certo il giudice ha l'ultima parola, ma qui si intende con il ‘potere della consulenza’ il
fatto che l'elaborazione psichica della situazione da parte del CTU arrivi il più
efficacemente possibile al magistrato, indipendentemente dalle decisioni che prenderà
nel merito). Tornando al caso, evitando di avvitarsi in improduttive questioni filosofiche
e scientifiche il CTU così risponde in relazione: Si rimane perplessi: X (il bambino
n.d.r.) avrebbe dovuto giocare spontaneamente con le altre due figure presenti nella
stanza ed ignorare la madre per indurre nella CP il sospetto di un attaccamento poi non
tanto sicuro?
Questa domanda retorica cortocircuita il problema, poiché il suo stesso aspetto contro-
fattuale basta a ridicolizzare le asserzioni del CTP. Infatti la comprensione della
riformulazione della domanda del consulente di parte, espressa in maniera contro
fattuale, è semplificata e alla portata di tutti, poiché richiama i principi del buon senso,
piuttosto che astrusi paradigmi scientifici. La forma probabilistica e il rimando al fatto
che il CTP non sia precisamente un falco fanno il resto e gettano sospetto sull'insieme
delle asserzioni della consulente di parte sul caso, dando un ulteriore risalto al lavoro
(tra l'altro complesso ed articolato) presentato dal CTU.
La forma utilizzata appare pertanto leggera, assimilabile da chi legge, in quanto
connotata emotivamente e ricca, nella sua semplicità ed apparente banalità, di
implicazioni di metodo e di contenuto che arrivano dritte alla comprensione di chi
legge, favorendo l'attenzione attiva sui fatti che si intendono narrare al giudice.
Nell'insieme è un invito a guardare i fatti dalla posizione da cui osserva il CTU:
L'esordio: 'Si rimane perplessi' è esso stesso un invito a sedersi e guardare dal
binocolo del consulente del giudice, nella misura in cui si produce nel lettore l'analogia
automatica: perplessi = c'è qualcosa che perplime = c'è qualcosa di strano = andiamo a
vedere cos'è! I due punti di sospensione sono proprio la linea oltre la quale si osserverà
il fenomeno.
A seguito del deposito della contro-relazione del CTU vi è stata l'udienza, dove un
divertitissimo giudice ed un divertitissimo curatore speciale si sono alla fine coalizzati
nel chiedere conto al CTP della fondatezza delle proprie asserzioni, con buona pace del
CTU e della sua placida ausiliaria.
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Un ultimo caso di utilizzo proficuo dell'umorismo nella consulenza è un classico caso di
P.A.S. nel quale la scrivente è nominata CTU dal Tribunale per i Minorenni, unitamente
al Dott. Carlo Desole. La alienazione avviene a danno di una bambina di sette anni, che
rifiuta il padre con il quale non abita dall'età di due anni e sette mesi, durante i quali egli
avrebbe abusato di lei, secondo lo stesso racconto-ricordo della bimba (fatto per cui
l'uomo è stato assolto in sede penale) La piccola, che chiamerò Maria, presenta tutti gli
indicatori di alienazione nei confronti del padre.
La madre presenta, dal suo canto, tratti marcatamente paranoidei. Particolare non da
poco nel caso che si cita, che la signora sia seguita da 'un'accoppiata' formata da un
avvocato ed un consulente di parte, convinti ed accesi sostenitori della campagna anti-
pas.
La tesi del CTU, cortocircuitando ufficialmente il termine PAS in quanto foriere di guai,
è che vi sia in atto una triangolazione della bambina all'interno della coppia genitoriale,
che la madre viva un rapporto simbiotico con la bambina senza la dovuta
differenziazione e che, nel tratto paranoideo, sia la madre stessa a sentirsi sotto
minaccia, probabilmente per parte maschile, e che le sia impossibile proteggere se stessa
dall'aggressività che sente arrivare dall'esterno, senza inglobare anche Maria. In tutto ciò
si è anche asserito che il sistema para-familiare para-noideo dove la vicenda è inscritta,
nell'ambito della lotta ad un acronimo, non possa che potenziare le istanze paranoidee
della donna, che ormai si avvita tra paure e realtà.
Il CTP risponde cercando di annullare tutto quanto asserito dai consulenti, in maniera
talmente pervasiva, che le controdeduzioni del CTU iniziano con una citazione,
liberamente tratta da Twitter: Mira alle stelle, male che vada colpirai la luna.
In apertura è infatti interessante l'utilizzo di una citazione divertente, leggera e ricca di
analogie, che premetta ciò che il CTU pensa del lavoro del collega di parte, anzi! Che ne
legga l'intenzione, ovvero, nel caso in esame, 'tanto fumo e niente arrosto'.
Subito si affronta il tema del metacontesto paranoideo attraverso una metafora con le
vicende di Don Chisciotte della Mancia, nel paragonare l'avvocato ed il CTP allo stesso
Chisciotte ed al suo fedele Sancio, impegnati nel salvare Dulcinea. Ecco il brano delle
controdeduzioni del CTU: 'La coppia manciana lotta all’ultimo sangue per salvare
l’onore dell’Amarea del X (Località teatro della vicenda n.d.r.), fino a trasformarsi in
una coppia di “PASounty Killers” che vagheggia i Pasiani, vivi o morti, non
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trascurando di segnalare alle autorità una lista di proscrizione dei reprobi per
organizzare un program contro la PAS ed i suoi adepti. Essi non tralasciano di
attraversare la Galizia, la Navarra, il Leon e quant’altre località, sostando in città e
cittadelle a condurre la Guerra Santa contro i Mori. Rammento come il sig. Pinco
(l'avvocato n.d.r.), intrepido giurista, già al primo incontro, minacciò di denunciare gli
scriventi per falsità ideologica nel caso avessimo introdotto il concetto di PAS;
immaginando agisse un preveggente salto di contesto nel futuribile, riteneva di trovarsi
a concionare nell’agorà del salotto buono del Vespone . Nel contesto della consulenza,
un bel giorno il sig. Pallo (Il CTP, n.d.r.), novello Avatar (colui che discende), pretese di
calarsi (e di calarci) da un normale colloquio di istruttoria per valutare i quesiti del
giudice, a un 'incidente probatorio' per interrogare la minore sulle presunte violenze
subite, tentativo fraudolento stigmatizzato come mala pratica da ogni protocollo
interdisciplinare da anni formulato in Italia e non solo. Non spenderemo una parola a
favore o contro la PAS, impauriti dal caveat del Pinco; la diagnosi da noi posta deriva
dal riscontro della configurazione triadica propria del “ Triangolo Perverso”, iuxta la
definizione di J.Haley, concetto ormai parte nel sapere scientifico, formulato ben 40
anni prima che Richard A. Gardner definisse la Sindrome di Alienazione Parentale,
preferibilmente da definirsi S.A. Genitoriale.' Attraverso la metafora il CTU svela,
senza svelarlo, l'intento del CTP di portare avanti una causa professionale e personale
che va al di là dei bisogni propri della persona, o della famiglia, affidata alle sue cure
professionali.
In un altro frammento della consulenza tecnica di parte si ritrova un attacco diretto e
frontale alla professionalità dei CTU, che viene puntualmente ripresa nelle
controdeduzioni dei consulenti del giudice: 'L'impressione conclusiva del CP rispetto al
lavoro d'ufficio è che 'questi CTU, in questa sede (bontà sua!), mostrano di non avere la
più pallida idea di cosa sia una psicoterapia e di quali siano le indicazioni cliniche per
una psicoterapia' (CTP Pallino, pag 50). Il dato è invece questo: Entrambi i CTU sono
Psicoterapeuti, formatisi in Psicologia Forense e con lunga esperienza in
psicodiagnostica. Il CP è 'medico chirurgo specialista in psichiatria': come si evince
dal timbro a caratteri cubitali che sovrasta ciascuna delle 50 pagine di relazione egli
non è psicoterapeuta. E ce lo dice cinquanta volte.
In questo frammento i CTU, attraverso l'uso dei medesimi aspetti di esagerazione
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introdotti dal CTP, mettono in evidenza l'aspetto paradossale e caricaturale delle critiche
mosse dal consulente di parte senza entrare in complicate dissertazioni, bensì
utilizzando l'umorismo come canale privilegiato di accesso alla comprensione cognitiva
ed emotiva del lettore.
Più avanti, si coglie un ennesimo attacco all'elaborato del CTU da parte del CTP, il
quale 'gioca' sull'equivoco a proprio favore il ruolo di una congiunzione nell'ambito del
significato della frase. Così risponde il CTU nelle sue controdeduzioni:“Vista la
confusione entro la quale si avvita il CP circa le definizioni, sarà nostra cura fare un
po' d'ordine, e dimostrare la accuratezza di quanto significato in relazione dai CTU.
Per prima cosa: a scuola ci è stato insegnato che si parte sempre dalle basi, perciò la
lingua italiana. Dal punto di vista sintattico e semantico vi è una differenza sostanziale
tra la congiunzione 'o' e la congiunzione 'e'. Dire: 'ho fame o sete' è diverso
dall'affermare 'ho fame e sete'. Nel primo caso, nella migliore delle ipotesi, l'effetto
pragmatico è che chi ascolta non faccia niente. Nel secondo caso, nella peggiore delle
ipotesi, l'interlocutore porterà pane e acqua.”
Ancora una volta il linguaggio per analogie, l'umorismo, nel suo semplificare la
comprensione degli eventi rendendola più complessa nell'unione delle istanze emotive e
dell'implicita adesione ad esse, si rivela fondamentale per fornire una chiave di
comprensione immediata e spontanea, atta a rendere più fruibile il messaggio che il
consulente vuole portare dinnanzi al giudice di merito.
8. CONCLUSIONI
Il Corso di Formazione ha aperto centinaia di finestre, portato altrettante domande ed
altrettanti dubbi: un caos da cui trarre nuova informazione (Bateson, 1977). L'aspetto
dell'umorismo nell'ambito della psicologia forense è uno degli svariati spiragli di luce
sulla conoscenza che tuttavia ho desiderato approfondire maggiormente in quanto, al di
là dei contenuti, ho particolarmente apprezzato la meta-comunicazione del Prof.
Gulotta, che bene conoscevo ma anche riconoscevo, nello stile narrativo e comunicativo
personale e professionale. Ho chiesto aiuto all'umorismo e questo mi ha aperto un
mondo di possibilità comunicative alternative, spendibili particolarmente nel loro
aspetto pragmatico esperenziale. Infatti, la preoccupazione di svolgere un lavoro tecnico
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contenutisticamente valido ed attendibile, non può prescindere dalla sua forma, specie
nella misura in cui i contenuti vengono espressi attraverso un linguaggio comune tra
psicologia e giurisprudenza, ancora in co-costruzuione reciproca. Anzi, forse ancora in
fase di riconoscimento reciproco. Ci si trova allora di fronte alla necessità ed al
privilegio di trasporre alcuni brani chiave di quanto si vuole rappresentare attraverso un
linguaggio che attinge dal bagaglio emotivo comune e che, se non nell'uguaglianza dei
cluster linguistici cognitivi, si ri-conosca nell'esperienza emozionale più complessa e
generica, quella struttura che connette di cui Bateson postulava come territorio comune
del sapere e dell'essere (Bateson, 1977).
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