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MEMORIE D’AMORE

Fiore di maggio IntNew - I love books · Ti aspettavo con gioia, soprattutto da quando avevo saputo che eri una femminuccia, perché veni-vi a completare la nostra famiglia, in cui

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MEMORIE D’AMORE

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Copyright 2007 Fabiola Locatelli

ISBN 88-88589-12-0

Tutti i diritti riservati

Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, senza consenso scritto dell’autore

Grafico: Pino Commodaro

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Fioredi maggio

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“A mio figlio Davide e alle amichedi Chiara, perché imparino a rispettare quel dono prezioso che è la vita”

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PERCHÉ QUESTO LIBRO?

Non sono una scrittrice, sono una donna che aquarantadue anni decide di scrivere un libro, ma nonper tardive aspirazioni al successo o per diventarequalcuno. Io sono già qualcuno, sono la mamma diun giovane angelo di nome Chiara ed è proprio leiche mi spinge a compiere questo passo.

Scrivo per fare un ultimo regalo a mia figlia, scrivoperché il suo ricordo non vada perduto, scrivo per di-mostrarle una volta di più tutto il mio amore, perparlare con lei e provare a dirle ciò che non ho avutola possibilità di raccontarle quando ancora eravamoinsieme. Ma scrivo soprattutto perché chi leggerànon dimentichi il coraggio, la tenacia e la serenità diuna ragazzina che il destino ha tolto troppo prestoall’affetto della sua famiglia.

Mi si scuserà quindi, se il discorso non risulteràsempre scorrevole e avvincente e se la sintassi nonsarà perfetta; ciò che importa e che spero di riuscirea trasmettere, sono i sentimenti e le sensazioni diChiara e di noi tutti che l’abbiamo accompagnatalungo una strada spesso dolorosa e impervia, ma an-che ricca d’amore e di affetti.

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Siamo alla fine di maggio del 1989 e tu, tesoro mio,scegli un sabato pomeriggio soleggiato, ma ancorapiuttosto freddo, per venire al mondo.

Ti aspettavo con gioia, soprattutto da quandoavevo saputo che eri una femminuccia, perché veni-vi a completare la nostra famiglia, in cui c’era già Da-vide, che allora aveva quattro anni. Nasci veloce-mente, come se fin da allora avessi avuto fretta digodere di ogni tuo momento di vita e ricordo chequando ti ho avuta tra le braccia, così piccola ma co-sì perfetta, ho pensato “Cosa le riserverà la vita?”

Vieni messa nell’incubatrice a causa del tuo pesoun po’più basso della norma e io, una volta dimessadall’ospedale, scendo due volte al giorno a portarti illatte e a tenerti in braccio non appena possibile.

E durante uno di quei momenti, mentre ti cocco-lo nella stanzetta delle culle termiche, tuo fratello tivede per la prima volta. La sua espressione è davve-ro comica; forse si aspettava una sorellina più gran-dicella, con cui poter giocare, invece si ritrova aguardare una neonata che, ai suoi occhi, deve sem-brare piuttosto bruttina con quel visetto rosso e unciuffo di capelli scuri sulla testa!

Finalmente dopo venti giorni ti portiamo a casa e tudimostri da subito di essere una bambina tranquilla,che piange poco e fa onore al biberon che vuoti rego-larmente fino all’ultima goccia. Come sempre avvie-ne in questi casi, parenti e amici arrivano per cono-scerti e ti portano un regalino. Penso sia stato quello ilmomento in cui Davide comincia a essere geloso di tee delle attenzioni che io e papà ti riserviamo.

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Davide e Chiara.

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Per te scegliamo il nome Chiara, che significa “lu-cente”, “luminoso” come ci auguriamo possa essereil tuo futuro.

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Il tempo passa e tu cresci in fretta come tutti ibambini.

La vita scorre tranquilla, io riprendo il lavoro inter-rotto per la maternità e tu vieni affidata alla “tata”,a Donatella, con cui ti trovi subito bene e che ricor-di sempre con affetto. La domenica andiamo dainonni che non sanno più cosa inventare per viziarete e tuo fratello.

Quando hai undici mesi ti portiamo per la primavolta al mare.

In spiaggia tutti ti coccolano e fanno mille moine aquella bambolina bruna, tutta ciccia e rotolini nelsuo costumino azzurro, mentre cerca di alzarsi inpiedi e di muovere i primi passi.

A differenza di Davide, sempre alle prese con la-ringiti, tonsilliti e malanni vari, tu non ti ammali maied è difficile vederti di malumore, sei sempre allegrae solare. A tre anni inizi a frequentare la scuola ma-terna.

Ricordi il tuo primo giorno? Quante volte abbiamoriso parlandone. Io sono preoccupata per come puoireagire, perché con tuo fratello era stato un disastro,ma tu entri tranquillamente, ti guardi intorno e dai lamano alla maestra. Poi ti giri verso di me e mi dici“Tu vai pure mamma…”

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Il primo anno è importante per te, perché conosciMichela e Maddalena, che poi ritrovi alla scuola ele-mentare prima e alle medie poi e che sono diventatee sono ancora oggi le tue migliori amiche.

Quando torni a casa di pomeriggio, mi raccontitutto quello che hai fatto e le tue maestre mi diconoche sei intraprendente e che fai amicizia con tutti.

Insomma, sembra che tutto proceda nel modogiusto, fino alla primavera del 1993, quando hai or-mai quattro anni.

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Chiara a 4 anni.

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In quel periodo inizi a non sentirti bene. Hai spes-so mal di pancia, nausea e qualche linea di febbre.“Niente di preoccupante” dice il medico, “è un vi-rus” e ti prescrive un antibiotico.

I sintomi spariscono per poi ripresentarsi puntual-mente una volta terminata la cura e questo accadeper tre volte di seguito nell’arco di un paio di mesi.

Intanto noto che zoppichi un po’ e, allarmata, mirivolgo ad altri medici, ma nessuno sembra capirequello che ti sta succedendo.

Finalmente trovo un pediatra che, visitandoti, ri-scontra un ingrossamento della milza e ti prescrivele analisi del sangue. Gli esiti sono preoccupanti:molti valori risultano fuori dalla norma ed è necessa-rio un ricovero ospedaliero immediato per eseguireulteriori accertamenti.

Io, che già ero preoccupata come ogni giovanemadre, comincio ad agitarmi ancora di più: bisognapreparare la valigia e pensare a come sistemare Da-vide, perché io rimarrò con te per tutto il tempo del-la degenza.

Tu mi guardi e mi chiedi dove andiamo e io ti rac-conto la prima di una lunga serie di bugie e cioè chesi va in un posto dove ti faranno guarire e dove tro-verai tanti bimbi con cui potrai giocare. Sei felice e lasera, quando papà torna dal lavoro, gli corri incontrotutta allegra per parlargli del bellissimo luogo versocui siamo diretti!

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Il ventisette giugno del 1993, dopo aver lasciatotuo fratello a casa della nonna Vittorina, mettiamopiede per la prima volta nel reparto di pediatria.

Troviamo un ambiente piacevole, allegro e colora-to e il personale è gentile. Ci sistemano in una stan-zetta a due posti, dove le mamme possono dormireaccanto ai loro bimbi e conosciamo il dottor Terzi eil dottor Cornelli.

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Sei sottoposta ad una serie interminabile di esami,alcuni anche dolorosi come il prelievo del midollo os-seo, a cui io non riesco ad assistere e di questo tichiedo scusa; ti lascio con la nonna, ma le tue urlaarrivano fino a me e mi fanno male.

Il tuo corpicino viene analizzato da cima a fondo,ti mettono un ago nel braccio per poter effettuareterapie e prelievi senza doverti “bucare” in conti-nuazione e tu ti lamenti perché ti da fastidio, ma nonappena stai bene corri a giocare nella scuola del re-parto o nel giardinetto delle altalene.

I giorni passano scanditi da analisi e medicine percontenere i sintomi di una malattia che ancora nonconosciamo, ma i medici non si pronunciano, perchévogliono prima avere un quadro completo della si-tuazione.

Io ho paura… capisco che sta accadendo qualcosadi più grande di noi e un giorno, dopo un ennesimoesame, crollo e comincio a piangere davanti a te,senza riuscire a trattenermi.

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Rosi, la caposala del reparto, mi trascina fuori dal-la stanza, mi offre un caffè e mi spiega che non è be-ne che tu mi veda in quello stato, perché potreicrearti dei sensi di colpa. Nella tua mente di bambi-na potresti pensare che se la mamma soffre è percolpa tua, perché sei cattiva.

Rosi ha ragione e io torno nella tua stanza con ilsorriso sulle labbra e la morte nel cuore. Da quelgiorno non ho più pianto davanti a te ma, quando ilgroppo in gola si fa sentire, mi rifugio in corridoio onel bagno per sfogarmi un po’.Chissà se tu te ne seimai resa conto…

Finalmente, o purtroppo, arriva anche il momentodella diagnosi.

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Il dottor Cornelli mi fa accomodare nello studiomedico per il primo di molti dolorosi colloqui chevarranno. Con me, a sostenermi, c’è la zia Giulianamentre tu sei in camera con la nonna, ignara di ciòche succede a poca distanza da te.

Quel giorno, per la prima volta, sento parlare dineuroblastoma, una parola difficile, che tu impareraia pronunciare solo qualche anno più tardi.

Nel tuo addome è presente una massa tumoralepiuttosto grossa e hai numerose metastasi allo sche-letro e al midollo osseo. Il medico è brusco, ma sin-cero: le possibilità di farcela sono intorno al 15%,perché la malattia è ad uno stadio avanzato. Mi co-munica che verrai operata per eliminare il più possi-

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