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PROGRAMMA OPERATIVO DI COOPERAZIONE TRANFRONTALIERA ITALIA-SVIZZERA 2007/2013 PROGETTO PROALPI “VALORI E SAPORI DELLE PRODUZIONI TRADIZIONALI ALPINELe opportunità non hanno confini FILIERA LATTE E FORMAGGI DI CAPRA F.E.S.R. opuscolo 17x24formaggio 14-06-2012 9:27 Pagina 1

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PROGRAMMA OPERATIVO DI COOPERAZIONETRANFRONTALIERA ITALIA-SVIZZERA 2007/2013

PPRROOGGEETTTTOO PPRROOAALLPPII

““VVAALLOORRII EE SSAAPPOORRII DDEELLLLEE PPRROODDUUZZIIOONNII TTRRAADDIIZZIIOONNAALLII AALLPPIINNEE””Le opportunità non hanno confini

FILIERA LATTE

E FORMAGGI

DI CAPRA

F.E.S.R.

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DISPENSA DI TECNOLOGIA CASEARIA

COORDINAMENTO REDAZIONALE:DOTT. GIUSEPPE PALTANI

CONTRIBUTI DI:GIUSEPPE PALTANI - Tecnologo Alimentare Nutrizionista, Provincia Verbano-Cusio-Ossola

LISA PIROVANO - Dottore Agronomo libera professionista

AA.VV. - Centro Interdipartimentale per la Gestione Sostenibile e la Difesa dellaMontagna – GeSDiMont, Università degli Studi di Milano

GUIDO LEGNANI - Fotocomposizione Press Grafica - Gravellona Toce(per impaginazione grafica e immagine di copertina)

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SOMMARIOINTRODUZIONE

IL LATTE

IL LATTE DI CAPRACOMPOSIZIONE CHIMICA E VALORE NUTRIZIONALEGLI INDICI CHIMICO-FISICI DEL LATTE CAPRINOI PARAMETRI IGIENICO-SANITARI DEL LATTE DI CAPRA

L’ACIDIFICAZIONE NELLA TECNOLOGIA CASEARIALA FERMENTAZIONE LATTICAI BATTERI LATTICI: ORIGINI, RUOLI E CONDIZIONI DI SVILUPPOL’HABITAT E L’ORIGINE DEI BATTERI LATTICILE VIE DEL METABOLISMO DEL LATTOSIOL’UTILIZZO DEI CITRATIEFFETTO DELLA TEMPERATURA SULLO SVILUPPO DEI BATTERI LATTICII BATTERI LATTICI MESOFILII BATTERI LATTICI TERMOFILIEFFETTO DEL PH SULLO SVILUPPO DEI BATTERI LATTICIEFFETTO DELL’ATTIVITÀ DELL’ACQUA (AW) SULLO SVILUPPO DEI BATTERI LATTICIEFFETTO DEL POTENZIALE DI OSSIDORIDUZIONE (EH) SULLO SVILUPPO DEI BATTERI LATTICIESIGENZE NUTRIZIONALI DEI BATTERI LATTICISENSIBILITÀ DEI BATTERI LATTICI AD ALCUNE SOSTANZE INIBITRICICARATTERISTICHE DEI FERMENTI LATTICI UTILIZZATI IN CASEIFICIOLA MICROFLORA ALTERATIVA E PATOGENA

GLI STRUMENTI CHE PERMETTONO DI MISURARE E DI SEGUIRE L’EVOLUZIONE DELL’ACIDITÀ

RUOLO E SVILUPPO DELL’ACIDIFICAZIONE NELLA TECNOLOGIADI CASEIFICAZIONE

RUOLO E SVILUPPO DELL’ACIDIFICAZIONE NELLA TECNOLOGIA DI CASEIFICAZIONE DIUN FORMAGGIO A COAGULAZIONE LATTICAIL PROFILO DI ACIDIFICAZIONE NELLA TECNOLOGIA DI CASEIFICAZIONE DI UN FORMAG-GIO A PASTA PRESSATA NON COTTAI PARAMETRI TECNOLOGICI CHE INFLUENZANO IL PROCESSO D’ACIDIFICAZIONE E DICOAGULAZIONE DEL LATTECARATTERISTICHE DEL LATTE CHE AGISCONO SULL’ACIDIFICAZIONE E SULLA COAGU-LAZIONE

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ALTRI FATTORI CHE AGISCONO SULL’ACIDIFICAZIONE E SULLA COAGULAZIONE

STRUMENTI E TEST PRATICI PER IL MONITORAGGIO DELLA QUALITÀ DEL LATTE

I SISTEMI DI GESTIONE DELLA TEMPERATURA IN CASEIFICIO

DAL LATTE AL FORMAGGIO: LE FASI DELLA CASEIFICAZIONE LA MATERIA PRIMARISCALDAMENTOINNESTO DEI FERMENTI LATTICIAGGIUNTA DEL CAGLIOCOAGULAZIONELAVORI IN CALDAIAESTRAZIONE E FORMATURAPRESSATURASALATURASTAGIONATURAASCIUGATURACONFEZIONAMENTOETICHETTATURASCHEDE DI LAVORAZIONE DEI FORMAGGI CAPRINI PRODOTTI NEL TERRITORIO DEL VCO

I DIFETTI DEI FORMAGGI

IGIENE E BUONE PRATICHE DI LAVORAZIONE LE BUONE REGOLE DI LAVORAZIONECOME EVITARE LA CONTAMINAZIONENORME INGIENICHE DEL PERSONALEEDIFICI LOCALIATTREZZATURE UTENSILIPULIZIA E SANIFICAZIONE DI LOCALI ED ATTREZZATUREFASI E MODALITÀ DI SANIFICAZIONESTOCCAGGIO DEI PRODOTTI USATI PER LA SANIFICAZIONEBUONE REGOLE DI LAVORAZIONE NEL PROCESSO DI CASEIFICAZIONE

QUESITI FREQUENTI SU FORMAGGI ED ALIMENTAZIONE

BIBLIOGRAFIA

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INTRODUZIONEPROALPI “Valori e sapori delle produzioni tradizionali alpine” è un progetto volutodall’Assessorato all’Agricoltura della Provincia del Verbano Cusio Ossola, cofinanziatodal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (F.E.S.R.) a valere sulla Misura 1.3 delProgramma Operativo di Cooperazione Transfrontaliera INTERREG Italia-Svizzera2007/2013.Partner della Provincia nella realizzazione del progetto sono l’Università degli Studi diMilano (Ge.S.Di.Mont Centro Interdipartimentale di Studi Applicati per la GestioneSostenibile e la Difesa della Montagna e V.S.A. Dipartimento di Scienze e TecnologieVeterinarie per la Sicurezza Alimentare), l’Ente Gestione Parco Nazionale Val Grande,la Società svizzera Bioethica Food Safety Engineering Sagl ed il Laboratorio cantonaleticinese.Il progetto, partito il 15 luglio 2009, ha riguardato i seguenti settori e comparti produtti-vi: miele, erbe officinali, prodotti derivati dalla trasformazione della carne e formaggi dicapra, nell’ambito dei quali numerose sono state le azioni realizzate, nell’ottica dellavalorizzazione delle produzioni tradizionali locali.Proprio con riferimento alla filiera ‘latte di capra’ si è pensato di ideare questa dispensaper divulgare le conoscenze del processo produttivo nella produzione del formaggio, conparticolare risalto alle caratteristiche nutrizionali degli alimenti, aspetto sempre moltoconsiderato dal consumatore e quindi necessaria chiave informativa per comunicare conil mercato.La dispensa è strutturata sulle fasi unitarie che, in sequenza, servono a produrre il for-maggio descrivendone le peculiarità, gli aspetti igienico-sanitari e le buona prassi dilavorazione, con altresì un corollario ‘domande e risposte’ che si propone di descriverein maniera esauriente le caratteristiche nutrizionali dei formaggi.Ad uso di operatori del comparto ma anche per neofiti e cosiddetti consumatori di for-maggio caprino, questa dispensa fornisce un piccolo contributo anche rispetto all’obiet-tivo dell’educazione agroalimentare, campo fondamentale per la divulgazione delleconoscenze delle filiere produttive.

Augurandoci di aver contribuito a compiere un passo in più nella conoscenza di un pro-dotto di qualità, auspichiamo che il cammino di un consumo consapevole venga intrapre-so con sempre maggiore determinazione da produttori e consumatori.

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Il Dirigente del III Settore della ProvinciaResponsabile del progetto Interreg

DOTT. MARIO VENTRELLA

L’Assessore all’Agricolturadella Provincia del Verbano Cusio Ossola

GERMANO BENDOTTI

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IL LATTE Il latte è il prodotto della mungitura regolare ed ininterrotta di mammiferi in buonostato di salute, di alimentazione ed in corretta lattazione. La parola “latte” identifica illatte di provenienza vaccina, mentre il latte prodotto da altri mammiferi deve indicarein etichetta la specie animale di provenienza.Nel latte di ciascuna specie animale sono presenti sia sostanze di sintesi che di filtrazio-ne, per cui può essere definito un liquido fisiologico di secrezione ed escrezione dellaghiandola mammaria. Il latte è un sistema eterogeneo sia chimicamente che fisicamente: l’eterogeneità chimi-ca è dovuta alla pluralità di componenti che presentano caratteristiche differenti; l’etero-geneità fisica è dovuta, invece, alla presenza di diverse fasi, ovvero di ogni parte checostituisce una parte omogenea in un ambiente eterogeneo. Le fasi si differenziano inbase all’omogeneità e alle dimensioni delle particelle.Fase di emulsione: è la fase in cui si trova il grasso che si presenta in forma di globuli di0,5 – 10 μm di diametro;Fase di sospensione colloidale: è la fase caratteristica della caseina, la proteina caratteri-stica del latte. Essa è presente in forma di micelle (diametro 100-300 nm) costituite dasubunità di dimensioni minori (diametro di 5-10 nm). Fase di soluzione vera e propria: è la fase in cui si presentano i sali, gli zuccheri e le pro-teine a basso peso molecolare, particelle che hanno un diametro di Å. Più propriamente si può definire il latte come una emulsione di sostanze grasse in un pla-sma latteo, che a sua volta è una dispersione colloidale di proteine (caseina) in una solu-zione vera e propria (siero) di altre proteine, sali, zuccheri, vitamine ed enzimi in acqua.Inoltre, il latte contiene anche ormoni, fattori di crescita e altri composti presenti in trac-ce, e gas disciolti. Altre caratteristiche del latte sono: la variabilità della composizione, lacomplessità (legata al grado di elaborazione dei componenti), l’instabilità delle fasi e deicomponenti, l’equilibrio tra i differenti componenti.La composizione media delle diverse componenti del latte varia a seconda della specieanimale di provenienza:

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Residuosecco Acqua Lattosio Lipidi Sostanze azotate SaliAsina 10,0 90,0 6,2 1,5 1,8 0,5Donna 11,7 88,3 6,5 3,5 1,5 0,2Vacca 12,7 87,3 4,8 3,8 3,3 0,8Capra 12,8 87,2 4,5 3,8 3,6 0,8Pecora 19,1 80,9 4,5 7,5 6,0 1,1Bufala 17,8 82,2 4,7 7,5 4,8 0,8

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IL LATTE DI CAPRACOMPOSIZIONE CHIMICA E VALORE NUTRIZIONALEIl latte caprino, dal punto di vista nutrizionale, rappresenta una valida alternativa al lattevaccino. Infatti, il latte di capra possiede un valore calorico pari a 620 kcal/l che risultalievemente inferiore a quello di vacca e a quello umano (680 kcal/l).La composizione del latte di capra varia lievemente in relazione alla genetica dell’anima-le e alle differenti condizioni climatiche e ambientali dell’allevamento. Le differenze trail latte prodotto dalle diverse razze caprine non consistono solo nel contenuto in grasso eproteine, ma anche nelle percentuali di lattosio e ceneri presenti rispetto al volume tota-le del latte stesso. Anche all’interno di una medesima razza si possono evidenziare diffe-renze quali-quantitative nel latte prodotto da singoli individui: in genere gli individui piùrustici producono quantitativi modesti, ma forniscono un latte qualitativamente migliore.Il contenuto medio di sostanza secca nel latte caprino, simile a quello del latte vaccino,è pari al 12,5 – 13,0 %; le sue variazioni riflettono quelle dei principali costituenti orga-nici del latte quali, proteine, grasso e lattosio che, seppur in diversa misura, sono respon-sabili della diminuzione del contenuto di sostanza secca nel periodo estivo.

Il contenuto in proteina grezza oscilla tra il 2,6% e il 3,6% con un valore medio pari al3,0%. In presenza di cicli naturali, durante il periodo di maggior produzione (aprile-mag-gio) la percentuale di proteina grezza diminuisce fino a raggiungere il valore minimo nelmese di luglio, per poi aumentare fino al valore massimo nel mese di novembre, checoincide con la fase di messa in asciutta delle capre.La caseina, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo, è la proteina più importan-te del latte. Nel latte di capra la caseina rappresenta il 70 – 76% delle proteine totali e ilsuo contenuto varia tra l’1,8 e il 2,8%; i valori più bassi si riscontrano in corrispondenzasia del picco di produzione che del caldo estivo. Nel latte vaccino, invece, oltre a essere

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RESIDUO SECCO TOTALE 12,5 - 13,0

RESIDUO SECCO MAGRO 8,0 - 9,0

COMPOSIZIONE MEDIA (% P/V) LATTE DI CAPRA

Acqua87,0 -87,5

Lipidi2,4 - 4,0

Lattosio4,5 - 5,0

sost. azotate2,9 - 3,6

sost. minerali0,7 - 0,8

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differenti le percentuali delle diverse frazioni caseiniche, la caseina costituisce il 74 –78% delle proteine totali; questi fattori contribuiscono parzialmente a spiegare il minorrendimento caseario del latte caprino rispetto a quello vaccino. In particolare, la caseina caprina, rispetto a quella vaccina, ha un minor contenuto in ∂s1-caseina ed è invece maggiormente ricca di k-caseina. Queste caratteristiche determinano,nel complesso, una più veloce formazione del coagulo, ma anche un minor indice di sol-vatazione e quindi una minor stabilità della micella caseinica nel mezzo acquoso. Inoltre,nel latte di capra, le dimensioni delle micelle caseiniche sono minori e si avvicinano aquelle della caseina del latte umano, garantendo quindi una migliore digeribilità.

Nel latte di capra il contenuto in sieroproteine è lievemente superiore a quello del lattevaccino, in particolar modo per quanto concerne il livello dei proteso-peptoni e della glo-bulina. Il latte di capra ha un elevato contenuto di azoto non proteico (sostanza azotateminori e azoto non proteico) pari a 32 mg/100 ml, che costituisce circa l’8-9% dell’azo-to totale. Le variazioni del contenuto di azoto non proteico nel latte caprino risultanolimitate durante l’intero ciclo di lattazione. Il quantitativo di azoto non proteico del lattecaprino, è superiore a quello del latte vaccino, mentre si trova in quantità identiche aquelle del latte umano.

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Il contenuto lipidico del latte di capra, che mediamente equivale al 3,0-3,5%, oscilla trail valore minimo pari a al 2,4% ed il valore massimo corrispondente al 4,0%. Nel lattecaprino il contenuto lipidico è, pertanto, leggermente inferiore rispetto al latte vaccino edè inoltre soggetto a maggiori variazioni nel corso della lattazione. Rispetto al latte divacca, nel latte di capra sono presenti in maggior proporzione (20% contro il 13% dellatte vaccino) gli acidi grassi a corta e media catena. Gli acidi grassi a corta catena, dalpunto di vista nutrizionale, sono migliori rispetto a quelli a lunga catena in quanto sonopiù facilmente digeribili e metabolizzabili, ma contemporaneamente possono provocarealcuni problemi organolettici, in quanto sono i responsabili del cosiddetto gusto “ircino”,in genere considerato un difetto. Questo sapore-odore caratteristico del latte di capra edei prodotti da esso derivati si manifesta unicamente quando il latte è ricco di grasso,mentre è quasi assente in corrispondenza del picco di lattazione. La composizione inacidi grassi, tuttavia, varia principalmente in funzione dell’alimentazione.Oltre alla differente composizione in acidi grassi, nel latte di capra, come nel latte umano,i globuli di grasso sono presenti in maggior numero ma presentano dimensioni inferioririspetto a quelli presenti nel latte di vacca; infatti il diametro medio dei globuli di grassodel latte caprino è pari a 2 μm, a differenza di quelli del latte di vacca che presentano undiametro pari a 3-3,5 μm. Questa caratteristica, dal punto di vista nutrizionale, comportala miglior digeribilità per l’uomo del latte di capra rispetto a quello vaccino.Dal punto di vista tecnologico, però, la suddetta peculiarità comporta un difficile imbri-gliamento del globulo di grasso nelle maglie del reticolo caseoso della cagliata che quin-di “slatta” facilmente nel corso della lavorazione. Tuttavia, le piccole dimensioni dei glo-buli di grasso consentono di ottenere una miglior dispersione e quindi una miscela piùomogenea di questi nel latte e nella pasta del formaggio. Nel latte di capra, inoltre, la scarsezza di agglutinine determina una modesta separazio-ne della crema del latte per affioramento, in particolar modo alle basse temperature. Il colesterolo è presente, nel latte di capra come in quello vaccino, in forma libera e soloin minima parte esterificato in concentrazione pari a 10-20 mg/100 ml. Il lattosio, contenuto in percentuali medie pari al 4,5%, presenta minime fluttuazioninella sua composizione. I valori più bassi si osservano nei mesi estivi, anche se la ten-denza è quella di diminuire nel corso dell’intero ciclo produttivo.Nel latte caprino gli oligosaccaridi sono presenti in quantità superiori rispetto al latte vac-cino (rispettivamente 0,5% e 0,1%); ciò è rilevante dal punto di vista dietetico-nutrizio-nale poiché tali zuccheri sono riconosciuti come fattore di crescita del Bifidobacterium,microrganismo che svolge un’azione di salvaguardia e difesa della mucosa intestinale,ostacolando la crescita di germi patogeni e favorendo la risoluzione di affezioni gastro-intestinali. Il contenuto medio in ceneri nel latte caprino è pari allo 0,8% ed i valori più elevati siriscontrano nei mesi autunnali, in corrispondenza del periodo finale della lattazione,mentre i valori minimi, come per il grasso e le proteine, si presentano nel periodo di mag-

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gior produzione.Rispetto al latte vaccino, il latte di capra possiede una minor quantità di Sodio e una piùelevata concentrazione di cloruri e ioni Potassio. Questi ultimi possono determinare feno-meni di acidosi o un aumento eccessivo del carico renale, soprattutto nei neonati. Il con-tenuto in Ferro è buono e, principalmente nei primi giorni della lattazione, il latte capri-no può presentare discrete quantità di oligoelementi come Rame e Zinco. Per quanto concerne il contenuto totale di Calcio e Fosforo, ovvero dei costituenti piùimportanti dal punto di vista tecnologico e nutrizionale, il latte caprino e quello vaccinosono approssimativamente affini. Il latte di capra, però, è più povero in sali di Calciosolubili rispetto al latte vaccino, ma è più ricco in fosfati; ciò rende sfavorevole per lacaseificazione il rapporto Calcio solubile/Calcio colloidale che sommato allo scarso con-tenuto in caseina del latte caprino favorisce la formazione di formaggi teneri e poco con-sistenti che non tollerano tecnologie che implicano elevati riscaldamenti del latte e dellacagliata. Nel latte caprino, rispetto al latte vaccino, sono presenti in maggior quantità la vitaminaB12, la vitamina E e la nicotinamide, mentre il contenuto in vitamina B6 e acido folico(la carenza di quest’ultimo può determinare l’anemia del lattante) è minore. Il contenutoin vitamina B1 e vitamina B2 è pressoché simile in entrambe le tipologie di latte. È utilesottolineare che i pigmenti carotenoidi, nella capra subiscono una completa trasforma-zione in vitamina A, mentre nella bovina, una buona parte di questi si ritrova intatta nellatte, determinando il colore particolarmente bianco del latte e dei prodotti caprini.

GLI INDICI CHIMICO-FISICI DEL LATTE CAPRINONel latte caprino la densità, ovvero il rapporto tra la massa del latte (grammi) ed il volu-me (litri o ml), presenta ampie oscillazioni (1,026-1,042 g/l) dovute alla variabilità dicomposizione.Il punto di congelamento del latte di capra è pari a -0,580°C e risulta più elevato rispet-to al latte vaccino (-0,540°C) in quanto è un latte caratterizzato da un più elevato tenoresalino.Il pH del latte caprino, come quello del latte vaccino, è pari a 6,5-6,7, mentre l’acidità dititolazione è inferiore ed equivale a 3,15 -3,40 °SH /50 ml.

I PARAMETRI IGIENICO-SANITARI DEL LATTE DI CAPRAPer quanto concerne il latte di capra due sono i parametri che devono sottostare a limitilegislativi imposti da regolamenti comunitari: la carica batterica standard e il contenutoin aflatossine.Infatti, il regolamento CE n°853/2004 impone i seguenti limiti legislativi (da intendersicome media geometrica calcolata per un periodo di due mesi con almeno due prelievi almese) relativi alla carica batterica standard: Il contenuto massimo di aflatossina M1 nel latte di capra è invece normato dal regola-

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mento CE 1881/2006 che impone che tale parametro sia inferiore a 50 ppt. Nel latte caprino il contenuto in cellule somatiche non è regolamentato da nessuna legge.È comunque consigliato di mantenere il livello di questo parametro al di sotto di1.500.000 cellule/ml di latte.Il contenuto in Coliformi totali e in Stafilococchi coagulasi positivi, indici rispettivamen-te di qualità igienica dell’ambiente e dello stato sanitario della mammella, non è defini-to da alcun regolamento. È comunque consigliabile di mantenere il livello di tali batterinel latte il più basso possibile.

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Latte Crudo destinato alla produzione di prodotti a base di latte trattato termicamente < 1.500.000Latte Crudo destinato alla produzione di prodotti a base di latte crudo < 500.000

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L’ACIDIFICAZIONE NELLA TECNOLOGIA CASEARIA

Tutte le tipologie di formaggi sono prodotte a partire dalla combinazione della fermenta-zione lattica con la coagulazione presamica. La combinazione di questi due fattori asso-ciata alle differenti tecniche casearie determina la riuscita del formaggio.Dall’andamento dell’acidificazione infatti dipendono le caratteristiche della pasta ricer-cata. Un’attenzione particolare dovrà dunque essere dedicata alla qualità microbiologicadel latte ed alla sua preparazione, così come alla scelta dei fermenti lattici e delle condi-zioni di coagulazione.

LA FERMENTAZIONE LATTICAL’acidificazione è il risultato della fermentazione del latte ad opera dei batteri lattici.Questo processo implica la degradazione del lattosio con conseguente produzione diacido lattico e determina, quindi, un abbassamento del valore di pH.In tecnologia casearia il processo di acidificazione gioca tre ruoli fondamentali:

• permette di operare le trasformazioni chimico-fisiche necessarie alla coagulazio-ne del latte; i batteri lattici infatti partecipano alle caratteristiche reologiche delgel prima, e della cagliata poi, al termine del processo di sgocciolatura;

• determinazione le caratteristiche sensorilai tipiche dei formaggi per mezzo delleattitudini metaboliche dei batteri lattici (proteolisi, produzione di composti aro-matici , effetti sulla tessitura della cagliata e del formaggio);

• inibizione delle flore d’alterazione acido-sensibili e di certe flore potenzialmen-te patogene.

Il processo di acidificazione e, quindi, la formazione di acido lattico è favorito dalla qua-

lità del latte, considerata come substrato fermentativo idoneo alla crescita dei batteri lat-tici, e dall’attività di quest’ultimi. In azienda possono essere utilizzate due tipologie dibatteri lattici differenti tra loro per composizione microbica: i “fermenti autoctoni” (sie-roinnesto, lattoinnesto) e gli “starter del commercio”.

+ =LATTE BATTERILATTICI

ACIDOLATTICO

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I BATTERI LATTICI: ORIGINI, RUOLI E CONDIZIONI DI SVILUPPOIl termine “batteri lattici” include l’insieme dei germi Gram positivi, siano essi sottofor-ma di cocchi o di bastoncini, anaerobi facoltativi, capaci di produrre acido lattico a par-tire dalla degradazione dei glucidi del latte. Tra essi si distinguono due gruppi con unmetabolismo fermentativo differente: i batteri lattici omofermentanti e i batteri lattici ete-rofermentanti.In caseificio i batteri lattici sono importanti non solo nel processo di acidificazione pro-priamente detto ma, come detto, contribuiscono anche a conferire al prodotto le sue carat-teristiche sensoriali. Inoltre è molto studiato il loro ruolo nell’inibizione di altri germipotenzialmente patogeni (attraverso la produzione di acido lattico, altri acidi, batterioci-ne) e alcuni tra essi sono valorizzati nel settore sanitario per quanto concerne gli effettibenefici sulla salute umana.Nel formaggio si ritrovano 6 dei 12 generi della famiglia dei batteri lattici, ovvero:Lactococcus,Streptococcus, Lactobacillus, Leuconostoc, Enterococcus e Pediococcus. Ciascuno diquesti generi, o ceppo all’interno dello stesso genere di batteri, possiede caratteristiche dicrescita proprie (temperatura, acidità del latte, velocità di produzione dell’acido lattico,configurazione dell’acido lattico, fermentazione, attività proteolitica, dosi di sale e cloroinibitrici, CO2 prodotta a partire dal glucosio, NH3 prodotta a partire dall’arginina, sen-sibilità alle Penicilline).Lo schema di seguito rappresentato presenta in maniera semplificata il principio di clas-sificazione dei microrganismi, fornendo un esempio per i batteri lattici del formaggio.

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FAMIGLIA

GENERE

SPECIE

CEPPO

Batteri lattici

Lactococcus

Lactococcus lactis

Lactococcus lactis ceppo X

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L’HABITAT E L’ORIGINE DEI BATTERI LATTICIGli habitat originali dei batteri lattici sono i vegetali e gli intestini degli animali. I gene-ri Lactobacillus, Streptococcus, Lactococcus e Leuconostoc sono molto presenti nell’am-biente: essi sono stati isolati dalla pelle degli animali, dal materiale fecale, dalle polveri,dall’insilato, dal fieno o dalle granaglie e sicuramente si ritrovano in quantità considere-voli nell’ambiente del caseificio. Il latte stoccato in mammella è sterile: non contiene né germi utili, né germi patogeni,tranne in caso d’infezione. L’apporto di microflore nel latte avviene in corrispondenzadella mungitura, attraverso il contatto con:

• la pelle dei capezzoli:• il materiale di mungitura: le varie canalizzazioni dell’impianto comportano la

formazione di biofilm residenti e relativamente stabili:• l’aria (aerocontaminazione), il contatto aria/latte avviene al momento della mun-

gitura, particolarmente durante l’attacco/stacco dei gruppi prendicapezzoli, maanche attraverso l’aria aspirata in continuo dall’impianto (perdite calibrate,lavoro del regolatore del vuoto e perdite diverse). La quantità di aria che rientranell’impianto di mungitura è molto variabile e può essere contaminata da polve-re di paglia, fieno, cereali, peli, ecc. che sono supporti batterici. Questa forma dicontaminazione dipende totalmente dall’ambiente dell’azienda: ventilazionedella strutture, orientamento, tipo di foraggi, etc..

Questa “contaminazione” del latte è complessivamente positiva e massiva e partecipaalla conservazione dell’ecosistema microbico proprio di ciascuna azienda.

LE VIE DEL METABOLISMO DEL LATTOSIOLa conversione degli zuccheri ad opera dei batteri lattici può avvenire attraverso duevie metaboliche differenti:la via omofermentante (o omolattica o glicolisi), i batteri lattici omofermentanti fermen-tano il lattosio producendo fino al 90-95% di acido lattico. L’idrolisi del lattosio compor-ta la scissione di quest’ultimo in glucosio e galattosio. Il glucosio a sua volta idrolizzatoporta alla formazione di acido lattico.

LATTOSIO glucosio ACIDO LATTICO

galattosio

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I generi appartenenti ai batteri lattici omofermentanti sono: Lactococcus, Streptococcus, Enterococcus, Pediococcus e certe specie di Lactobacillus (Lb. casei e Lb. plantarum);

• la via eterofermentante (o eterolattica), i batteri lattici eterofermentanti fermen-tano il glucosio producendo dell’acido lattico, dell’etanolo, dell’acetato e del-l’anidride carbonica. Questa particolarità può favorire la formazione di bolle digas imprigionate nel coagulo, responsabili della formazione di buchi visibilinella cagliata o nel formaggio. I gruppi principali dei batteri appartenenti a que-sta classe sono dei Leuconostoc e certi lattobacilli eterofermentanti stretti. Aquesta categoria appartengono anche i lattobacilli etero fermentanti facoltativicapaci di produrre acido lattico e acido acetico per via etero lattica quando ilmezzo è povero o privo di zuccheri.

L’UTILIZZO DEI CITRATIIl citrato è un sale dell’acido citrico. Il metabolismo dei citrati gioca un ruolo importan-te nel sapore e nella tessitura di numerosi prodotti caseari fermentati. I batteri lattici chefermentano i citrati sono Lactococcus lactis ssp diacetylactis Leuconostoc spp ePediococcus.

EFFETTO DELLA TEMPERATURA SULLO SVILUPPO DEI BATTERI LATTICILa temperatura è uno dei fattori con maggiormente influenza la crescita microbica.Ciascun microrganismo presenta delle temperature di sviluppo minime (al di sotto dellequali non c’è più la crescita), massime (oltre le quali non vi è più la crescita) e ottimali(in corrispondenza delle quali la crescita è la più rapida). Più ci si avvicina alle tempera-ture di crescita minime e massime, più la moltiplicazione batterica sarà lenta. A secondadel loro range di sviluppo, i microrganismi possono essere classificati come:

• mesofili, microrganismi la cui temperatura ottimale di crescita è compresa tra latemperatura ambiente del caseificio (20°C) e quella del corpo umano (37°C) (DeRoissart et Luquet, 1994);

• termofili, microrganismi con una temperatura ottimale di crescita superiore a40°C (De Roissart et Luquet, 1994);

• psicrotrofi, microrganismi che si sviluppano in maniera significativa a tempera-ture inferiori a 7-10°C (Hemsdorf et Simmonds, 1980).

Questa classificazione tuttavia nasconde le disparità secondo il genere, la speciee il ceppo batterico stesso.

I batteri lattici sono esclusivamente mesofili o termofili e sono distrutti in segui-to a un ciclo di pastorizzazione con temperature al di sopra di 72°C per 15secondi.

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I BATTERI LATTICI MESOFILIPer definizione, la temperatura ottimale di crescita di questi microrganismi si situa tra 20e 37°C, ma la loro crescita è possibile tra i 10 e i 37°C. I batteri lattici mesofili potrannodunque essere impiegati in tecnologie lattiche, ma anche in tecnologie pasta molle e pastapressata non cotta innestando dosi differenti a seconda dell’obiettivo tecnologico prepo-sto. Difatti, determinate tecniche di preparazione del latte quali la prematurazione o lamaturazione, se gestite correttamente, favoriscono l’avvio dell’attività dei batteri latticiallo scopo di gestire correttamente l’acidità del latte al momento della coagulazione.

I BATTERI LATTICI TERMOFILILa loro temperatura ottimale di moltiplicazione si situa globalmente tra 40 e 45°C, ma illoro sviluppo è possibile tra 25 e 60°C. In tecnologie a pasta molle e a pasta pressata,spesso dei batteri mesofili sono associati ai termofili. Nella fabbricazione dello yoghurtpossono essere utilizzati esclusivamente due batteri termofili: Streptococcus salivariussubs thermophilus et Lactobacillus delbruckii ssp bulgaricus.

EFFETTO DEL PH SULLO SVILUPPO DEI BATTERI LATTICICome la temperatura, anche il pH è uno dei fattori ambientali che maggiormente influen-za la crescita e le attività enzimatiche dei batteri lattici. La particolare sensibilità di cia-scuna specie batterica al pH del mezzo è un elemento determinante per la competizionetra la flora lattica e la flora di contaminazione. Il valore di pH così come l’acidità sonodue misurazioni dell’acidità del latte e/o del formaggio (cf. paragrafo “Gli strumenti chepermettono di seguire l’evoluzione dell’acidità”).

EFFETTO DELL’ATTIVITÀ DELL’ACQUA (AW) SULLO SVILUPPO DEIBATTERI LATTICIIn un prodotto come il formaggio l’acqua esiste sotto due forme: libera e legata. L’unicaforma di acqua disponibile per lo sviluppo microrganismi è quella libera. L’attività del-l’acqua (aw), il cui valore è compreso tra 0 e 1, esprime la quantità di acqua libera ovve-ro disponibile per rezioni chimiche ed enzimatiche. L’attività dell’acqua è tanto più bassaquanto la concentrazione di sostanza secca è elevata. Se il valore dell’aw è inferiore a0,92 il metabolismo batterico si arresta ma molte delle reazioni enzimatiche proseguonofino a valori pari a 0,7. L’attività dell’acqua del latte permette lo sviluppo di tutti imicrorganismi. Solamente le fasi di lavorazione (sgocciolatura, salatura, asciugatura) edi stagionatura orientano lo sviluppo dei microrganismi facendo abbassare l’aw.

EFFETTO DEL POTENZIALE DI OSSIDORIDUZIONE (EH) SULLO SVILUP-PO DEI BATTERI LATTICIIl potenziale di ossidoriduzione (Eh) è un parametro intrinseco in tutto il mondo biologi-co. Esso ne definisce le capacità ossidanti (accettore di elettroni) o riduttrici (donatore di

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elettroni). Il Eh del latte dipende da un certo numero di composti ossidanti, quali: ossi-geno, acido ascorbico, ferro, rame, acido lattico (Aubert et al., 2002). Il Eh è un parame-tro selettivo della crescita batterica, potendo intervenire a differenti livelli sulla cellulamicrobica: espressione dei geni, metabolismo, fisiologia e dunque modificare potenzial-mente la sua attitudine alla crescita e alla produzione di molecole partecipanti alle carat-teristiche finali dei prodotti fermentati.I prodotti prima della trasformazione possiedono un determinato potenziale ossidante.L’attività dei batteri lattici e delle flore microbiche associate diminuisce il Eh fino a valo-ri riduttori.In funzione della tipologia di prodotto, esisterà un Eh ottimale per lo svilup-po delle flore microbiche e di un bilancio aromatico equilibrato. Per esempio, un lattecontenente una forte percentuale di ossigeno disciolto potrà presentare un ritardo nell’av-vio del processo di acidificazione. La misura del Eh in un mezzo quale il latte è realizza-ta mediante elettrodi combinati. Tuttavia, nei caseifici aziendali non si hanno strumentiche permettono di modificare questo parametro, a differenza dell’industria lattiera doveviene utilizzato un degasatore.

ESIGENZE NUTRIZIONALI DEI BATTERI LATTICII batteri lattici sono uno dei gruppi più esigenti dal punto di vista nutrizionale. Essi sonoauxotrofi nei confronti di numerosi composti nutrizionali, vale a dire che essi devonoimperativamente trovarli nel mezzo ambientale, in quanto non possono sintetizzarli.

• Amminoacidi: i batteri lattici sono in principio incapaci di sintetizzare degliamminoacidi e devono dunque affidarsi a delle fonti esogene per assicurare ilcorretto funzionamento del loro metabolismo. Le esigenze in amminoacidi sonoa volte differenti da un genere all’altro. Le concentrazioni di amminoacidi libe-ri e di peptidi a corta catena (azoto non proteico) nel latte sono insufficienti perpermettere una crescita ottimale, almeno a livello tecnologico. Dopo l’esauri-mento dell’azoto non proteico i batteri lattici che dispongono di enzimi appro-priati devono degradare le proteine del latte per soddisfare i loro fabbisogni inamminoacidi.

• Vitamine: i fattori di crescita (o vitamine), la cui concentrazione nel latte variasecondo la stagione, possono a volte essere limitanti e potrebbero dunque cau-sare delle variazioni nello sviluppo dei batteri lattici e, quindi, dell’acidificazio-ne. Le esigenze in vitamine e, in particolar modo vitamine del gruppo B, sonomolto importanti.

• Minerali: il principale catione bivalente delle cellule viventi è il Magnesio.Questo componente ha un ruolo di attivazione di differenti reazioni metabolichee, inoltre, stabilizza gli organuli cellulari. Il Magnesio ha anche un’influenzaimportante sulla biologia dei batteri lattici e, per alcuni è indispensabile alla cre-scita (ad esempio tutti i lattobacilli). I fabbisogni in ferro sono molto variabili a

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seconda delle specie. Il calcio è un elemento importante per la crescita dei lat-tococchi. Il Potassio gioca un ruolo nel controllo del pH intracellulare e puòessere necessario per la crescita di certe specie di lattobacilli ed enterococchi.Infine, il Sodio ha un effetto selettivo nei confronti dei batteri lattici e può sti-molare (streptococchi) o inibire (lattococchi) la produzione di acido lattico.

SENSIBILITÀ DEI BATTERI LATTICI AD ALCUNE SOSTANZE INIBITRICIL’attività dei batteri lattici può essere ostacolata o totalmente inibita da diversi fattori.

• I residui dei trattamenti antibiotici degli animali: la maggior parte dei batteri lat-tici sono sensibili alla maggioranza degli antibiotici utilizzati in medicina vete-rinaria, suscettibili di dare origine ai residui, in particolare ai beta-lattamici, tracui le Penicilline. È necessario dunque rispettare i tempi di sospensione dei far-maci, marcare gli animali trattati, compilare il registro sanitario.

• I residui dei detergenti/disinfettanti derivanti da un risciacquo insufficiente degliimpianti di mungitura, dei tank del latte e del materiale. Una differenza di pH (apartire da 1 unità di pH) molto marcata tra l’acqua di fine risciacquo e l’acquadell’acquedotto indica un risciacquo insufficiente. Ciò può alterare la fermenta-zione lattica causando un rallentamento o un arresto della crescita dei batteri lat-tici.

• I residui degli erbicidi, diserbanti, pesticidi risultanti in seguito a un pascolo suterreni trattati pochi giorni prima. Tuttavia, i tempi di attesa per evitare di per-turbare la fermentazione lattica sono molto lunghi, e nella pratica è realmenteimpossibile rispettarli.

• Gli inibitori naturali del latte: il latte crudo contiene differenti sostanze antibat-teriche. La lattoferrina interviene nella fissazione del Ferro e può parzialmenteinibire la fermentazione per “ferro-privazione”. La sua attività è più elevata nelcolostro e nel latte mastitico (Mahaut et al.,2000). Il lisozima idrolizza la pare-te delle cellule batteriche. Tuttavia, questi due composti interverranno solamen-te allo scopo di limitare la crescita dei batteri lattici (Boyaval, 1989 ; Carini etal., 1985). All’opposto, i batteri lattici hanno la proprietà di produrre del peros-sido d’idrogeno. Deboli concentrazioni di perossido d’idrogeno che non sonoinizialmente inibitrici possono divenirlo in presenza di una lattoperossidasi e deltiocianato (sistema LPS). La lattoperossidasi è un enzima naturalmente presen-te nel latte e che presa da sola non provoca effetti inibitori ma, in presenza diperossido d’idrogeno scatena una reazione di ossidazione del tiocianato, nelcorso della quale sono prodotti alcuni metaboliti inibitori della produzione diacido lattico. La lattoperossidasi ha un effetto batteriostatico (arresto della cre-scita microbica) sui microrganismi Gram + e battericida (distruzione dei batte-ri) sui microrganismi Gram -. È stato dimostrato (Fonteh et al., 2002) che laquantità di lattoperossidasi è in funzione di diversi fattori e notoriamente dal-

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l’alimentazione. Alcuni periodi del ciclo produttivo, anche in relazione alle dif-ferenti pratiche alimentari, saranno dunque più a rischio di altri.

• I batteriofagi: sono dei virus specifici dei batteri lattici che possono provocareinfezioni violente fino a distruggere in qualche ora la quasi totalità di una coltu-ra batterica e quindi rallentare o addirittura inibire l’acidificazione.

• Le batteriocine: sono sostanze prodotte dai batteri lattici che possono inibire lacrescita di altri batteri lattici. Generalmente l’attività battericida riguarda dellespecie molto simili a quella de ceppo produttore. Le conseguenze possono esse-re l’arresto dello sviluppo batterico o la morte delle cellule.

• Alcuni residui volatili: prodotti per l’azione delle lipasi dei batteri psicrotrofi(acidi grassi, acido formico,…) o apportati attraverso l’alimentazione (alimentifermentati, insilati conservati con acidi) possono ugualmente inibire lo sviluppodei batteri lattici. Questa inibizione è più marcata quando l’agitazione del latteè accompagnata dall’inclusione d’aria che altera la membrana dei globuli digrasso.

• Colostro: il latte non può essere commercializzato o trasformato prima dei 7giorni seguenti il parto. La ricchezza del colostro in proteina solubile lo rende difatto un latte non caseificabile, che può anche essere considerato come un latteinibitore. Questo poiché le immunoglobuline, che costituiscono il gruppo pro-teico maggiore del colostro, sono degli anticorpi attivi contro alcuni batteri lat-tici. Inoltre, la quantità di lattosio nella fase iniziale di escrezione del latte èscarsa; ciò può rappresentare un ulteriore limite alla capacità d’acidificazionedel suddetto latte per mancanza del substrato necessario al metabolismo dei bat-teri lattici.

Non sempre è possibile riconoscere il fattore che comporta un’inibizione dell’attività deibatteri lattici poiché essa può essere favorita da una somma di fattori concomitanti.

CARATTERISTICHE DEI FERMENTI LATTICI UTILIZZATI IN CASEIFICIOI fermenti utilizzati nel processo di caseificazione possono essere di diversa natura: star-ter del commercio (diretti o semidiretti) o colture di fermenti autoctoni (sieroinnesto, lat-toinnesto, fondo della caldaia di lavorazione). Le colture di fermenti autoctoni, costituitiprincipalmente dal sieroinnesto, o dal lattoinnesto, o dal fondo della caldaia di lavorazio-ne (cagliata e siero) sono caratterizzate da flore microbiche variegate, la cui origine èl’ambiente aziendale. I batteri componenti queste colture derivano dai foraggi, siano essiverdi o secchi, dai cereali, dai mangimi pellettati, dagli animali stessi (feci, peli), dai bio-film dell’impianto di mungitura, dalle polveri dell’aria. La validità tecnologica del lattoinnesto e, più in generale delle colture di fermenti autoc-toni non è più da dimostrare. La loro flora dominante è una flora lattica costituita princi-palmente da Lactococcus (106 à 109 ufc/ml) e secondariamente da Leuconostocs,Enterococcus e Lactobacillus presenti in concentrazioni variabili. Questa varietà di flore

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conferisce all’innesto autoctono una capacità acidificante comparabile agli starter delcommercio (Tormo et Spinnato, 1994 ; Weerkamp et al., 1996 ; Tormo et Tailliez, 2000).Queste colture di fermenti autoctoni hanno anche la particolarità di contenere numerosifattori di crescita quali, peptidi, amminoacidi, oligoelementi (Carrasco et al., 1992).L’elevato tenore in muffe e lieviti permette loro di giocare un ruolo fondamentale nel pro-cesso di stagionatura del formaggio. Inoltre, grazie alla loro ricchezza floristica, resisto-no più facilmente agli attacchi dei fagi e si adattano meglio alle differenti pressioni selet-tive del mezzo in cui vivono, in particolar modo alle pressioni dell’ambiente (Massoni etal., 1982 ; Coppolas et al., 1990 ; Accolas et al., 1994 ; Neviani et al., 1992 ; Neviani etal., 1998). Studi recenti mostrano inoltre che le colture di fermenti autoctoni sono speci-fiche per ciascuna azienda e che esse consentono di mantenere una certa diversità flori-stica nelle diverse aziende (Weerkamp et al., 1996 ; Gueguen et al., 1997 ; Tormo etTailliez, 2000).Il sieroinnesto è composto da batteri dell’azienda ed è dimostrato che l’ecosistema micro-bico è specifico per ciascuna azienda (Tormo, 1999). Le proporzioni delle differenti spe-cie e soprattutto la loro attività biologica, in particolare enzimatica, comporta la biogene-si dei composti aromatici partecipanti alla tipicità dei formaggi.Gli starter del commercio sono costituiti da composizioni batteriche note e presentanodelle caratteristiche fermentative più standardizzate. La loro composizione può esserevariabile secondo la loro utilizzazione (acidificante, acidificante e aromatizzante). Latabella di seguito riportata presenta le caratteristiche principali dei due metodi di innestosopra descritti.

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LA MICROFLORA ALTERNATIVA E PATOGENANel latte sono presenti anche dei microrganismi denominati batteri lattici non starter, iquali sono inizialmente presenti in basse concentrazioni (10 – 1000 ufc/g di cagliata) ma,successivamente possono prendere il sopravvento più o meno rapidamente sui batteri lat-tici starter, raggiungendo entro due mesi una dimensione di popolazione ben superiore a108 ufc/g di cagliata. A questo gruppo di microrganismi appartengono lattobacilli meso-fili omofermententi (Lactobacillus casei, L. paracasei, L. plantarum,...) ed eterofermen-tanti (Lactobacillus brevis, L. fermentum,…) enterococchi e pedicocchi. I fermenti lattici non starter, benché svolgano un ruolo essenziale nella proteolisi, se pre-senti nel formaggio eccessivo all’inizio della maturazione in concentrazioni elevate pos-

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Tipo di coltura Vantaggi Limiti

• ridotta sensibilità aifagi

• migliore adattabilità allatte in caldaia

• effetto simbiosi tra imicrorganismi

• produzione di una piùvasta gamma di sostan-ze potenzialmente ini-bitrici di germi patoge-ni

• maggior tipicità senso-riale del prodotto

• costi di produzionebassi o nullidifficoltà in caso diceppi poco competitivi

• difficoltà tecniche efinanziarie a caratteriz-zare la composizioneprecisa (a livello diceppo) e la variabilitàtemporale di questotipo di colture

• la variabilità di questamodalità d’innesto puònecessitare di calibra-zioni tecnologiche chepossono richiedere deltempo e rappresentareun costo a livello eco-nomico

• rischio d’introduzionedi flore indesiderate

AUTOCTONA

• facile preparazione• facile controllo della

purezza e dell’attività• standardizzazione del-

l’attività

• elevata sensibilità aifagi (è necessaria larotazione degli starter)

• omogeneizzazionedelle caratteristicheorganolettiche dei pro-dotti

• costo non irrilevante• dosi a volte inappro-

priate per i piccolivolumi aziendali

• utilizzazione standar-dizzata

SELEZIONATA

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sono utilizzare il lattosio come substrato di fermentazioni che comportano la produzio-ne di composti sgraditi, quali acido acetico o anidride carbonica.Oltre ai gruppi di batteri sopra descritti, nel latte sono presenti anche microrganismi pato-geni (es. Salmonella spp., Listeria monocytogenes, Campilobacter jejuni), germi indica-tori di carenza di igiene (es. coliformi), germi testimoni di carenza di igiene (Escherichiacoli e stafilococchi coagulasi positivi) e altri gruppi microbici, in alcuni casi classificabi-li come microflora protecnologica (propionici, micrococchi, lieviti, muffe), in altri comeflora microbica alterante (clostridi) che comporta un peggioramento delle caratteristicheorganolettiche del prodotto.Uno dei principali microrganismi patogeni riscontrabili durante i processi di caseificazio-ne del latte crudo è Listeria monocytogenes, un microrganismo ubiquitario che si ritrovasoprattutto nel terreno, nell’acqua, nei vegetali, negli alimenti di origine animale e neiluoghi della loro produzione. La trasmissione del microrganismo avviene soprattutto pervia alimentare, ma anche per contatto diretto tra l’uomo e una delle fonti di origine delmicrorganismo e causa meningite e, nelle donne in gravidanza è ancor più pericolosa inquanto può provocare aborti o effetti teratogeni. Listeria monocytogenes è un batterio Gram-positivo, non sporigeno, aerobio-anaerobiofacoltativo e psicotrofo (cresce anche a +1°C), caratteristica quest’ultima che gli consen-te di accrescersi anche nel corso della refrigerazione degli alimenti, causando così unaumento della contaminazione, anche in presenza di basse concentrazioni microbiche ini-ziali. Non resiste al trattamento di pastorizzazione del latte in quanto non è un microrga-nismo termodurico. Ciò nonostante è in grado di accrescersi in un ampio range di condi-zioni colturali: temperature comprese tra 0 e +45 °C, pH ottimale neutro o subalcalino,ma è in grado di svilupparsi anche a intervalli di pH compresi tra 5,4 e 9; sopravviveanche in presenza di un’attività dell’acqua piuttosto bassa, fino a valori di aw di 0,93 econ il 15% di cloruro di Sodio.Nel latte crudo è quasi sempre rilevabile in cariche basse (<10 ufc/ml), mentre la concen-trazione maggiore si riscontra nella cagliata; nelle successive fasi di lavorazione la cari-ca batterica di Listeria monocytoges si riduce in rapporto alla tecnologia produttivaimpiegata: si moltiplica e persiste nei formaggi molli o semiduri con pH subacido men-tre nei formaggi a pasta cotta cresce durante la fase di produzione del formaggio ma siriduce durante il processo di stagionatura.Le Salmonelle, invece, sono i batteri patogeni più diffusi, che trovano il loro habitat

ideale nell’ambiente e tra gli animali. L’habitat primario delle Salmonelle è costituito daltratto intestinale, da cui possono essere facilmente escrete con le feci e diffondersi nel-l’ambiente, con conseguente contaminazione delle acque, degli alimenti e del foraggio.Tutto ciò spiega il perchè le Salmonelle possono spostarsi dall’animale all’uomo, orga-nismi ospiti che di conseguenza diventano portatori.Al gruppo delle Salmonelle appartengono circa 2000 ceppi batterici aventi caratteristichebiochimiche e sierologiche simili che possono causare però differenti malattie nell’uo-

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mo: febbre tifoide, gastroenterite acuta o, nel caso delle Salmonelle minori, infezioniintestinali che in genere si risolvono spontaneamente 7-10 giorni. La temperatura ottimale di crescita delle Salmonelle è pari a 35-37 °C, ma possonosopravvivere anche a temperature comprese tra i +5 ed i +47 °C. Questi batteri vivono inrange di pH compresi tra 4 e 9 ma prediligono un pH neutro, compreso tra 6,5 e 7,5. Nellatte crudo esiste un effettivo rischio di contaminazione da Salmonelle, che viceversa èmolto ridotto nel latte pastorizzato. Nei formaggi, invece, il rischio di proliferazione delleSalmonelle è più o meno elevato in funzione della tecnologia di caseificazione adottata:è maggiormente elevato nei formaggi poco stagionati in cui la cottura della cagliata èblanda o assente e l’acidificazione non è molto intensa, mentre minimo nei formaggi apasta cotta o che hanno subito una fermentazione lattica che comporta una acidificazio-ne spinta (pH < 4,95).Tra i coliformi, le colonie batteriche più importanti sono Escherichia, Citrobacter,Klebsiella ed Enterobacter. I coliformi sono batteri batteri ubiquitari che si riscontrano,ad esempio, nei vegetali e negli alimenti di origine animale, mentre Escherichia coli, cheè il principale indice di contaminazione fecale di un alimento, è un abitante inoffensivodell’intestino. Uno dei motivi per procedere alla ricerca dei coliformi nei prodotti casea-ri è la possibilità di dedurre dalla loro presenza informazioni sull’igiene delle materieprime e di quella operata durante i processi produttivi, utilizzando questi microrganismicome semplici indicatori.Gli Stafilococchi sono anch’essi microrganismi ubiquitari di cui sia l’uomo (mucose delnaso, faringe, tratto gastro-intestinale, cute, feci,…) che gli animali rappresentano unimportante serbatoio che può facilmente essere causa dell’inquinamento alimentare. Questimicrorganismi, inoltre, possono penetrare nella ghiandola mammaria e riprodursi in essadeterminando una infiammazione che contamina anche il latte, denominata mastite.Alla flora batterica protecnologica appartengono i micrococchi, un gruppo di batteri cheorigina colonie di colore giallo-arancio che pigmentano la crosta di alcuni formaggi (es.Taleggio). Questi microrganismi intervengono, inoltre, nei processi di formazione delgusto e dell’aroma dei formaggi, svolgendo un’attività lipolitica e proteolitica e metabo-lizzando acidi grassi e aminoacidi.I lieviti, invece, consumando l’acido lattico, esercitano un’azione neutralizzante che faci-lita l’installazione di una microflora meno acidofila e producono sostanze stimolanti peraltri organismi, quali ad esempio le muffe dei formaggi erborinati. La presenza dellemuffe è più o meno gradita a seconda della tipologia di formaggio; infatti, nei formaggifreschi, le muffe sono indice di non perfette condizioni igieniche o di cattiva conserva-zione; nei formaggi tipo Taleggio provengono dall’ambiente di maturazione e conferisco-no caratteristiche tipiche mentre negli erborinati, come ad esempio il gorgonzola, vengo-no addirittura inoculate.Nei processi di caseificazione, l’intervento dei propionobatteri, oltre alla produzione diacido propionico ed acido acetico, grazie al loro notevole potere lipolitico liberano, a par-

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tire dal grasso del latte, notevoli quantità di acidi grassi. Inoltre, attraverso metabolismicollaterali modificano gli acidi grassi stessi in acidi grassi volatili e composti minori cheimpartiscono tipici aromi ai prodotti caseari.I clostridi del latte, infine, possono essere saccarolitici (Clostridium butyricum e C. tyrob-tutyricum) quelli che fermentano zuccheri e acidi organici e producono acido butirrico,anidride carbonica e idrogeno, oppure putrefattivi (Clostridium sporogenes e C. bifer-mentans), che sono molto attivi sulle proteine e meno sui carboidrati. Tra i sopra citati,il Clostridium tyrobutyricum è quello che causa più frequentemente il “gonfiore tardivo”del formaggio.

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GLI STRUMENTI CHE PERMETTONO DI MISURARE E DI SEGUIRE

L’EVOLUZIONE DELL’ACIDITÀ,In caseificio, due tipologie di misurazione sono necessarie per valutare determinati aspet-ti della qualità del latte e seguire l’evoluzione dell’acidificazione durante il processo dicaseificazione: l’acidità di titolazione (espressa in gradi Soxhlet-Henckel, °SH) e il valo-re di pH. Queste misurazioni consentono di individuare eventuali derive nel processoproduttivo, di creare uno storico delle fabbricazioni e di operare nel senso della regolari-tà dei propri prodotti. Inoltre, esse permettono al casaro di discutere con differenti inter-locutori tecnici (tecnici e tecnologi caseari, stagisti,…) e assicurano anche il correttoandamento delle proprie lavorazioni.Per ben conoscere le caratteristiche di un latte, l’ideale sarebbe poter disporre di entram-bi i valori (pH e acidità): ciò consente di avere un’idea della ricchezza in diverse sostan-ze (almeno il tasso proteico), di apprezzare lo stato di “freschezza” e il potere tamponedi un latte.

• Acidità di titolazione. Il latte possiede un’acidità definita “naturale”, legata allasua ricchezza in proteine (caseine) e minerali. Per questo motivo i latti di capra,vacca e pecora possiedono valori di acidità differenti. Per quanto concerne lafermentazione lattica, il sieroinnesto presenterà un valore corrispondente allasomma dell’acidità “naturale” del latte + l’acidità “sviluppata” grazie alla fer-mentazione lattica. Il guadagno di acidità è ciò che interessa per verificare la riu-scita del processo di acidificazione in quanto permette di annullare la variabili-tà del latte di partenza legata a diversi fattori quali, la ricchezza legata alla sta-gione, lo stadio di lattazione, la razza,..). Quando si verifica un aumento deltenore proteico di un latte, l’acidità “naturale” di quel latte aumenta in seguitoall’aumento del potere tampone (2 grammi di proteina in più circa 0,22°SH/50ml in più). La misura dell’acidità Soxhlet-Henckel è relativamente facile: essanecessita di poco materiale, di un investimento non eccessivo, e la realizzazionedella misura è rapida. È tuttavia necessario utilizzare della soda acquistata entrol’anno e conservarla in frigorifero e comunque rispettare le raccomandazioni delfornitore.

• pH. Il valore di pH rappresenta la concentrazione degli ioni H+ di un prodotto.Il suo valore è variabile entro 0 (estremo acido) e 14 (estremo basico). Il pH dellatte è prossimo alla neutralità e, per il latte di capra valori normali di pH sonocompresi tra 6,40 e 6,80. Tuttavia il pH varia in funzione del tenore in fosfati,citrati e caseine, e ciò ha per conseguenza un’evoluzione nel corso della latta-

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zione. Il pH varia anche in funzione dello stato sanitario della mammella e puòanche oltrepassare il valore 7 in caso di mastite. Nel corso della fermentazionelattica, la produzione di acidi (ovvero di ioni H+) comporta una diminuzione delpH del mezzo.Questo parametro può essere misurato per mezzo di cartine tornasole (ma i risul-tati sono poco precisi) oppure attraverso un pHmetro (materiale costoso mamisurazione precisa e affidabile se il protocollo è applicato correttamente).L’utilizzo di un pHmetro è raccomandato per le tecnologie paste molli e pastepressate non cotte, tanto più che esistono delle sonde di penetrazione che per-mettono di realizzare la misura del pH anche nel formaggio.

Una soluzione è definita “tampone” quando, in seguito alla sua diluizione o all’aggiuntadi piccole quantità di un acido o di una base, il suo pH rimane invariato. L’aumento deltenore proteico e dunque del tenore in fosfato di Calcio colloidale del latte accresce ilpotere tampone di un latte, fattore che induce un rallentamento dell’evoluzione dellacurva del pH. Effettivamente, per una medesima quantità di acido apportato nel latte, ladiminuzione del valore di pH è meno marcata in un latte con un più elevato tenore pro-teico rispetto ad un latte con un basso contenuto in proteine.Il differente comportamento all’acidificazione dei latti di capra, vacca e pecora trova unaparziale spiegazione nelle loro differenze di composizione proteica e minerale.Circa il 60% del potere tampone di un latte è rappresentato dalle micelle caseiniche, circail 30% dai minerali solubili e circa il 10% dalle proteine solubili. Le irregolarità stagio-nali constatate nell’evoluzione delle curve di pH e acidità Soxhlet-Henckel sono spessouna traduzione della variabilità del tasso proteico nel corso della lattazione.La capacità tampone di un latte è generalmente espressa come la quantità di un acido odi una base (in moli) necessari a far variare il pH di un’unità.

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RUOLO E SVILUPPO DELL’ACIDIFICAZIONE

NELLA TECNOLOGIA DI CASEIFICAZIONERUOLO E SVILUPPO DELL’ACIDIFICAZIONE NELLA TECNOLOGIA DICASEIFICAZIONE DI UN FORMAGGIO A COAGULAZIONE LATTICALa riuscita dell’acidificazione è imperativa poiché le tappe ulteriori (sgocciolatura e sta-gionatura) e la qualità dei formaggi dipendono dalla qualità del coagulo ottenuto (Masleet Gobin, 2001). La velocità alla quale si sviluppa l’acidificazione (che dipende dallanatura dei fermenti, dalla temperatura di acidificazione e dalla composizione del latte), ilpH ottenuto al termine della coagulazione e della sgocciolatura hanno un’importanzafondamentale, non solo sulla coesione del gel e la sua propensione alla sgocciolatura(Mietton et al., 1994), ma anche sull’aroma e sulla tessitura dei prodotti ottenuti e sullosviluppo di flore indesiderate.Allo scopo di ottenere un coagulo omogeneo, compatto, fermo e permeabile con una risa-lita del siero in superficie, è necessario ricercare un’acidificazione che parta rapidamen-te e poi prosegua lentamente (Mietton et al., 1994 ; Gobin, 1995).Nella produzione casearia, in particolar modo in quella artigianale, numerosi sono i para-metri che intervengono sul processo di acidificazione, cosa che rende difficoltosa la suaconduzione e la sua gestione. Tutte le perturbazioni della flora lattica e del suo sviluppo,determinate dalle condizioni del mezzo (temperatura, pH,…), hanno delle conseguenzesulla cinetica di acidificazione. Queste perturbazioni, derivanti in genere dallo sviluppoinsufficiente o eccessivo di una o più popolazioni batteriche, daranno luogo a dellemodificazioni delle caratteristiche abituali di un prodotto (Weber, 1992):

• consistenza del coagulo (consistenza, superficie, ripartizione)• aspetto del sieroinnesto (quantità, colore, acidità)• sgocciolatura nelle forme• consistenza del formaggio• installazione della flora di superficie.

Inoltre, il latte e i prodotti da esso derivati possono essere contaminati da microrganismiche, moltiplicandosi, degradano i costituenti del latte o liberano dei composti indesidera-ti. Questo si traduce in difetti o alterazioni nocive alla qualità finale dei prodotti: difettidi gusto, di odore, di tessitura di aspetto, ecc. (Bergère et Tourneur, 1992).

• Lo sviluppo dei batteri psicrotrofi (ad es. Pseudomonas) può favorire la libera-zione di lipasi e di proteasi extracellulari che sono all’origine di difetti del gustoe/o del colore dei formaggi.

• Il difetto del gonfiore precoce o semi-precoce corrisponde all’apparizione rapi-da (24/48 ore) di una moltitudine di buchi nella pasta. Alla fine della coagula-zione il gel galleggia sopra al siero e può fuoriuscire dal contenitore. Questi gon-

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fiori risultano dallo sviluppo eccessivo di germi produttori di gas (lieviti, coli-formi, batteri etero fermentanti) a partire dalla fermentazione del lattosio. I gon-fiori possono anche essere dovuti alla produzione di anidride carbonica a parti-re dai citrati ad opera degli starter innestati (Lactococcus lactis spp. Lactis bio-var. diacetylis, Ln mesenteroides subsp. cremoris). Affinché si sviluppi il gon-fiore è necessario che i batteri responsabili siano presenti in quantità molto ele-vate (>105) per millilitro di latte. Nel caso dei coliformi la causa potrebbe ancheessere un’acidificazione troppo lenta (Mahaut et al., 2000).

Oltre allo sviluppo possibile di germi di alterazione o potenzialmente patogeni (Listeriamonocytogenes, Salmonella, Staphylococcus aureus et certains Escherichia coli), un’acidi-ficazione troppo lenta favorisce una sgocciolatura insufficiente che può avere un impattosull’umidità del formaggio, lo sviluppo eccessivo dei batteri caseolitici o della flora fungi-na o anche un eccesso di lattosio nella pasta e un rischio di post-acidificazione.Un’acidificazione insufficiente può dunque favorire la formazione di una cagliata molle,d’una cagliata flaccida, d’una cagliata flocculosa, o d’una cagliata digerita. Viceversa,un’acidificazione eccessiva può generare un gel friabile, fessurato, contratto o digerito.

IL PROFILO DI ACIDIFICAZIONE NELLA TECNOLOGIA DI CASEIFICA-ZIONE DI UN FORMAGGIO A PASTA PRESSATA NON COTTAPer pasta pressata non cotta si intende un formaggio ottenuto con temperature di riscal-damento inferiori ai 42°C e con un estratto secco totale del formaggio al termine del-l’asciugatura compreso tra 48 e 52%. Lo svolgimento dell’acidificazione nella tecnolo-gia pasta pressata non cotta è, per natura, molto differente da quello presentato preceden-temente per le lattiche. In questa tecnologia casearia, l’azione del caglio è dominante sul-l’acidificazione, contrariamente alle cagliate lattiche. Nell’ottenimento di una cagliatalattica, l’acidificazione precede la sgocciolatura, mentre nel caso di una cagliata presami-ca è a sgocciolatura che precede l’acidificazione, come mostrato nello schema di pagi-na seguente.

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(Gaüzere e Roustel, 2007)

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MODELLO LATTICO LATTE (liquido) MODELLO PRESAMICO

Batteri lattici(agente coagulante: dosi scarse)

Agente coagulante(+batteri lattici)

Sgocciolatura in caldaiaRottura del coagulo

AgitazioneRiscaldamento, estrazione

Sgocciolatura negli stampi• Acidificazione

• Pressatura

Sgocciolatura (fino a pH- 4,6)• negli stampi

• nel sacco

Acidificazione Gel presamico

Cagliata lattica

Salatura

Asciugatura

StagionaturaStagionatura

Cagliata presamica

Gel lattico

Salatura

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Gestione dell’acidificazione attraverso la sgocciolatura:la sgocciolatura delle cagliate miste, come le paste pressate non cotte, è ottenuta attraver-so una prima sineresi in caldaia e una successiva sgocciolatura negli stampi. Il livello disineresi in caldaia predetermina in gran parte il pH finale del formaggio all’estrazionedagli stampi modificandone il tenore in lattosio, fattore limitante della fermentescibilitàdella cagliata in corrispondenza della messa in forma. Il livello di sgocciolatura in calda-ia determina dunque fortemente l’intensità di acidificazione (pH finale). Questa acidifi-cazione regola la mineralizzazione delle cagliate tanto a livello quantitativo (tenore inCalcio e Fosforo totale) che qualitativo (tenore in Calcio e Fosforo ancora legati allecaseine e solubilizzati nella fase acquosa del formaggio) in stretto rapporto con la dina-mica di eliminazione del sieroinnesto nel corso della sgocciolatura negli stampi.

I PARAMETRI TECNOLOGICI CHE INFLUENZANO IL PROCESSO DI ACI-DIFICAZIONE E DI COAGULAZIONE DEL LATTE

• TemperaturaIl valore della temperatura così come la sua regolarità sono fondamentali dallapreparazione del latte al termine del processo di maturazione e/o prematurazio-ne e conseguentemente alla coagulazione. La temperatura interviene sullo svi-luppo dei batteri lattici e dunque sulla velocità di acidificazione e conseguente-mente influisce sul tempo di preparazione del latte e la durata della coagulazio-ne. Indipendentemente dalla dose di inoculazione e dall’eventuale preparazionedel latte, una temperatura di 18 °C favorirà una velocità di acidificazione piùlenta e degli abbassamenti di pH minori rispetto a una temperatura di 22 °C.

• Dose e modalità di innestoL’aumento della dose dell’innesto permette di ridurre il tempo di latenza (tempointercorrente tra l’inoculo degli starter e l’avvio dell’acidificazione). Lo statofisiologico dei batteri al momento dell’innesto ha un’incidenza fondamentalesulla fase di latenza. L’utilizzo di una coltura di fermenti autoctoni come il sieroinnesto consente un avvio più rapido dell’acidificazione in rapporto a un inne-sto con starter del commercio congelati o liofilizzati.

• Tipo di fermenti latticiIl lattoinnesto e il siero innesto contengono naturalmente dei batteri lattici omo-fermentanti ed etero fermentanti, ma con proporzioni e livelli variabili nellediverse azienda ma anche all’interno della stessa azienda, in funzione di cam-biamenti di pratiche dei produttori, dell’evoluzione stagionale della composizio-ne del latte,…Gli starter del commercio più utilizzati nei processi di produzione dei formaggia pasta lattica contengono una miscela di batteri omofermentanti ed eterofer-

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mentanti. Le proporzioni di queste due categorie di batteri, così come il tipo diceppo impiegato, possono avere delle conseguenze sullo sviluppo dell’acidifica-zione e sulla produzione di composti aromatici.

• Preparazione del latteNella trasformazione casearia a pasta lattica, due sono le pratiche principali per prepara-re il latte alla coagulazione: la prematurazione e la maturazione.

• La prematurazione o “maturazione lunga e fredda” consiste nel raffreddare emantenere il latte della mungitura della sera per tutta la notte a una temperaturacompresa tra 10 e 12 °C con un apporto di fermenti lattici (autoctoni o startercommerciali). L’obiettivo è guadagnare 2,22°SH/50 ml sul latte della mungitu-ra della sera. La mattina, la miscela dei due latti è così pronta per essere caglia-ta sia in termini di acidità che di temperatura. Questa pratica viene scelta daiproduttori per i suoi vantaggi organizzativi e tecnologici (preparazione del lattealla coagulazione, inibizione precoce dei germi indesiderati). Tuttavia, essa puòessere fonte di problemi (sviluppo di batteri lattici eterofermentanti, diPseudomonas, …) in particolare quando non si ha la padronanza della tempera-tura (Laithier et al., 2007). La difficoltà principale consiste nell’adattare questapratica alla qualità microbiologica del latte.

• La maturazione è una preparazione di corta durata e ad una temperatura più ele-vata rispetto alla prematurazione, realizzata in generale alla stessa temperaturaa cui avverrà la coagulazione, tra 18 e 25 °C. Dopo l’innesto, il latte lavora dun-que per qualche ora. Il tempo di maturazione non è standard e deve essere rego-lato su un obiettivo di guadagno di acidità che nel latte di capra è compreso tra+0,67 e +1,11°SH/50 ml. Al termine della maturazione il latte è pronto per esse-re cagliato.

La messa in opera di una preparazione del latte, qualunque essa sia, necessita di misuredell’acidità e/o pH e della temperatura, al fine di poter essere controllate, modificate senecessario e soprattutto per evitare tutte le derive che possono comportare dei problemidi fabbricazione in seguito.

CARATTERISTICHE DEL LATTE CHE AGISCONO SULL’ACIDIFICAZIO-NE E SULLA COAGULAZIONE

• Il tenore proteico del latte ed in particolare il tenore in caseine gioca un ruoloessenziale sulla consistenza del coagulo e la resa casearia (bassa a maggio-giu-gno, più elevata a inizio e fine lattazione). È comunque possibile riscontraredistorsioni tra il tenore proteico del latte e la resa casearia nel caso in cui il livel-lo di sieroproteine aumenta rispetto al livello di proteine totali.

• Il rapporto tasso lipidico/tasso proteico, un rapporto elevato penalizza l’indu-rimento così come la sgocciolatura della cagliata.

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• Il tenore in urea: l’urea è un componente della frazione non proteica del latteed è presente nel mezzo in quantità non trascurabili (nel latte di capra sono con-siderati “ottimali” valori compresi tra 28e 40 mg/dl). L’aumento del tenore inurea ha un effetto disperdente sulle caseine (solubilizzazione) che passano quin-di nel siero. Il risultato sono tempi di presa più lunghi, coaguli più molli e decre-menti della resa casearia. Ciò si verifica in maniera particolarmente marcatanelle tecnologie a coagulazione prevalentemente presamiche.

• Il tenore in sieroproteine: l’aumento del contenuto in sieroproteine rende lacoagulazione del latte più complicata e comporta l’ottenimento di cagliate piùumide in seguito a una maggiore ritenzione dell’acqua. L’aumento del tasso diazoto non proteico comporta tempi di presa più lunghi e delle minori consisten-ze della cagliata.

• Il potere tampone: è la capacità del mezzo di opporsi a una variazione di pH.Per il latte un potere tampone elevato è generalmente attribuito a dei forti teno-ri in proteine e minerali.

ALTRI FATTORI CHE AGISCONO SULL’ACIDIFICAZIONE E SULLA COA-GULAZIONEAlimentazioneUn’alimentazione ricca è utile per mantenere una produzione importante lungo tutto ilciclo produttivo della capra. La presenza di elementi grossolani (ricchi in cellulosa) nellarazione è necessaria per permettere una buona attività ruminale. Questi elementi, appor-tati attraverso i foraggi, permettono inoltre di mantenere il tenore di grasso ad un livelloidoneo alla trasformazione casearia. Una razione essenzialmente composta da legumino-se, invece, comporta la produzione di un latte più ricco in azoto solubile non proteico .Un eccesso di azoto o di azoto solubile nell’alimentazione tende a far accrescere l’escre-zione di azoto sottoforma di urea nel latte. Ciò provoca un aumento della solubilizzazio-ne delle caseine, del fosforo e del calcio con conseguente innalzamento dei valori di pHe la formazione di un coagulo con scarsa consistenza.

Stato sanitario dell’animaleLe infezioni mammarie, siano esse acute o croniche, sono generalmente accompagnatedalla diminuzione del contenuto dei componenti sintetizzati dalla mammella e da unaumento dei composti di filtrazione (provenienti dal sangue).Una cattiva igiene corporea dell’animale è un vettore di contaminazione a livello mam-mario. I capezzoli infatti costituiscono un serbatoio primario di microorganismi, utili maanche di quelli di alterazione e di batteri potenzialmente patogene (ad es. S. aureus).I germi che possono infettare la mammella e provocare mastiti possono essere molto dif-ferenti tra loro: Streptococchi, Staffilococchi, e secondariamente dei generi diEscherichia, Corynebacterium e Pseudomonas.

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Le mastiti, anche se subcliniche, alterano in maniera importante la composizione dellatte. In effetti, l’infezione mammaria si traduce in una riduzione della produzione di lattee una modificazione della sua composizione dovuta ad un accrescimento dei componen-ti di origine sanguinea. Il tenore in caseine diminuisce, mentre aumenta quello in protei-ne solubili. Allo stesso modo, il tenore in calcio tende a diminuire, mentre la quantità dicloruri e di sodio aumenta considerevolmente. Il pH di un latte mastitico è compreso tra7 e 7,2.

Stadio di lattazioneLa variazione del rapporto tasso lipidico/tasso proteico, generalmente costante durantetutta la lattazione, è evidenziata da difficoltà di coagulazione del latte e di sgocciolaturadella cagliata durante il processo di caseificazione.Il picco di lattazione si verifica in genere un mese e mezzo dopo il parto. In seguito laproduzione diminuisce progressivamente fino all’asciutta. Lo stadio di lattazione ha uneffetto noto sui tassi lipidico e proteico. In presenza di cicli naturali, i tenori in materiagrassa e materia proteica sono elevati dal parto al picco di lattazione, poi diminuisconogradualmente fino a raggiungere i valori più bassi nei mesi di maggio, giugno e luglio;in seguito questi valori aumentano progressivamente fino all’ultimo mese di produzione.La concentrazione dei minerali cambia ugualmente con lo stadio di lattazione e i cambia-menti più importanti si verificano in corrispondenza del parto (utilizzazione più impor-tante delle riserve dovuta allo stadio fisiologico dell’animale). Per questo motivo la con-centrazione di calcio nel latte è molto più bassa a inizio lattazione. Nel corso della latta-zione il tenore in calcio rimane praticamente invariato: se infatti si verifica una carenzadi questo elemento nell’alimentazione, l’animale tende a compensarla utilizzando leriserve corporee.

Fattori geneticiPer quanto concerne le razze cosmopolite, Camosciata delle Alpi e Saanen, il tasso lipi-dico e quello proteico sono leggermente maggiori per la razza Camosciata delle Alpirispetto alla razza Saanen, anche se la prima ha una produzione leggermente inferiore.

La stagioneIl rapporto tra il tasso proteico e quello lipidico è significativamente più elevato in esta-te, in rapporto alle altre stagioni. In effetti, è possibile che il tasso proteico sia superioreal tasso lipidico. Questo fenomeno è conosciuto con il nome “inversione dei tassi”. Lacausa di questo fenomeno è da ricercarsi nel comportamento alimentare dell’animale nelperiodo estivo, quando diminuisce il consumo di foraggi allo scopo di limitare la produ-zione di calore dovuta alla fermentazione ruminale. Ciò comporta una diminuzione delrapporto foraggi/concentrati e quindi la variazione del rapporto tra il tenore lipidico eproteico del latte.

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STRUMENTI E TEST PRATICI PER IL MONITORAGGIO

DELLA QUALITÀ DEL LATTEDiversi strumenti e test realizzabili in azienda permettono di controllare il corretto svi-luppo della fase di acidificazione del latte in corrispondenza di fasi ben precise del pro-cesso di caseificazione.Oltre alle misurazioni dirette di acidità e pH è possibile valutare la qualità microbiologi-ca del proprio latte attraverso i diversi test di seguito descritti:

• Lattofermentazione: un utilizzo regolare di questo test permette di individua-re la presenza nel latte di alcuni germi indesiderati che hanno un’incidenza sullaqualità della cagliata (presenza di bolle, gas, crateri). In particolar modo questotest permette di evidenziare i problemi a differenti livelli della filiera produtti-vo, ad esempio scarsa igiene dell’impianto di mungitura, conservazione del lattea temperature non corrette,…). Il test consiste in un’incubazione del latte in pro-vette sterili per 24 h a 37°C, temperatura che favorisce lo sviluppo di alcuni bat-teri non desiderati. Se uno di questi germi è presente nel latte, la sua moltipli-cazione provoca una modificazione dell’aspetto della cagliata. Se all’opposto, lacagliata ottenuta è ben liscia, ciò testimonia la corretta attitudine all’acidifica-zione del latte e l’assenza di germi indesiderati in quantità sufficienti per averedelle conseguenze di ordine tecnologico.

• Blu di metilene: allo scopo di mettere in evidenza la presenza di una quantitàimportante di germi indesiderabili, questo test fornisce un’idea della quantità dibatteri presenti nel latte, della loro attività e della loro velocità di moltiplicazio-ne. Il test consente di evidenziare le differenze del livello di contaminazione dellatte e gli eventuali problemi d’igiene, spesso provenienti dall’impianto di mun-gitura. Il principio di funzionamento di questo test è legato al concetto che i bat-teri presenti nel latte e attivi a 37 °C consumano l’ossigeno disciolto nel latte.Di conseguenza il blu di metilene si decolora quando il mezzo s’impoverisce diossigeno. Il tempo impiegato dal blu di metilene a decolorarsi indica una misu-ra del livello di contaminazione del latte unicamente in flora mesofila (poichésolamente questi batteri sono in grado di modificare la colorazione blu attraver-so il loro metabolismo). Questo test è interessante soprattutto se utilizzato quo-tidianamente per un’interpretazione comparativa tra due giorni successivi.Questo test è poco adatto per valutare la qualità microbiologica del latte odier-no, in quanto quest’ultimo presenta cariche batteriche molto basse (< 50000ufc/ml) per poter essere evidenziate con il test.

• Il test alla resazzurina: permette di stimare la carica microbica di un latte perosservazione della durata di decolorazione. Il principio di funzionamento è quel-

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lo secondo cui, moltiplicandosi, i batteri diminuiscono il potenziale di ossido-riduzione del latte provocando la perdita di colore dell’indicatore blu. Questotest può essere realizzato durante la mungitura e al momento della caseificazio-ne; la comparazione dei risultati di questi due test alla resazurina permetterà divalutare se esistono delle buone condizioni di conservazione e maturazione dellatte.

Per valutare invece lo stato sanitario delle mammelle e, quindi, la presenza di mastiti cau-sate da batteri indesiderati, è possibile stimare la quantità di cellule somatiche presentinel latte derivante da ciascuna emimammella attraverso il Test CMT (California MastitisTest). Questo test è basato su un apprezzamento visivo ed è dunque meno preciso delconteggio cellulare elettronico. Ciononostante, un’esperienza di utilizzo regolare permet-te di apprezzare il livello di infiammazione della mammella. Il principio di funzionamen-to di questo test si basa sulla valutazione della formazione di un gel a partire dal latte: piùil numero di cellule nel latte è elevato, più il precipitato ottenuto è viscoso.

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I SISTEMI DI GESTIONE DELLA TEMPERATURA IN CASEIFICIO

Il controllo della temperatura gioca un ruolo fondamentale nella trasformazione casearia,dallo stoccaggio del latte, durante le fasi di coagulazione, sgocciolatura, asciugatura,salatura e stagionatura fino al prodotto finito.A questo riguardo, ogni caseificio possiede una propria configurazione e propri materia-li, e le scelte effettuate per quanto concerne le attrezzature che permettono di stoccare etrasformare il latte sono le più svariate. Di seguito si è cercato di descrivere le principali caratteristiche dei sistemi di gestionedella temperatura che più frequentemente si incontrano nei caseifici.Riguardo al raffreddamento e alla preparazione del latte prima dell’aggiunta del caglio,in relazione all’organizzazione del lavoro in caseificio si distinguono i passaggi di segui-to descritti.

• Stoccaggio, per definizione consiste nel conservare il latte ad una temperaturamassima di + 6°C. Il regolamento CE 853/2004 precisa che:

• la temperatura di stoccaggio può essere di +8°C solamente qualora illatte venga trasformato in giornata;

• non esistono esigenze regolamentate sulla temperatura se il latte vienelavorato nelle due ore successive alla mungitura;

• il rispetto delle esigenze in materia di temperatura non è obbligatorio seper ragioni tecnologiche legate alla fabbricazione è necessaria una tem-peratura più elevata (queste eccezioni devono essere autorizzate dalleautorità sanitarie).

• Riporto: consiste nel mantenere il latte a temperature più elevate rispetto allostoccaggio (generalmente tra 8 e 12°C) senza inoculo di fermenti lattici. Se siverifica un’acidificazione durante il tempo di riporto essa è dovuta unicamenteai batteri inizialmente presenti nel latte.

• Prematurazione: si distingue dal riporto per l’aggiunta di colture di batteri latti-ci (sieroinnesto, lattoinnesto, starter commerciali) che si sviluppano durantetutto il tempo della prematurazione (in genere 12 ore) e preparano così il lattealla fase di coagulazione, acidificandolo. Questa pratica in genere viene attuataa temperature comprese tra 8 e 16 °C.

Per il raffreddamento del latte possono essere utilizzati diversi sistemi, quali i tank refri-gerati, i contenitori di raffreddamento dei bidoni, le serpentine, i raffreddatori da appog-giare sopra ai bidoni, il posizionamento dei bidoni nella cella frigorifera. La soluzionepiù efficace per la gestione delle temperature di stoccaggio è quella del tank. Nelle azien-de dove non è possibile adottare questa soluzione, l’alternativa migliore è il contenitore

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di raffreddamento dei bidoni. Per quanto possibile è meglio evitare di raffreddare il lattenei bidoni posizionati nella cella frigorifera poiché la cinetica di diminuzione della tem-peratura sarà troppo lenta. Per quanto concerne gli altri sistemi di raffreddamento sopraelencati non esistono dati che permettano di giudicare la loro efficacia.

Per quanto riguarda invece il controllo della temperatura in caseificio, aspetto fondamen-tale per il corretto svolgimento di ciascuna fase di lavorazione, dalla fabbricazione allastagionatura, è necessario ricordare che l’isolamento del caseificio va pianificato fin dallaprogettazione di quest’ultimo. Più un caseificio sarà isolato, più sarà facile gestirne iparametri ambientali (temperatura, umidità, …) per ottenere una buona qualità dei pro-dotti. Concretamente, i materiali isolanti evitano le perdite di calore verso l’esterno in invernoe le temperature eccessivamente elevate all’interno del caseificio durante l’estate. Lepareti, i pavimenti e i soffitti devono essere isolati; le porte e le finestre devono essereisolanti.

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DAL LATTE AL FORMAGGIO: LE FASI DELLA CASEIFICAZIONE

LA MATERIA PRIMANel territorio del Verbano Cusio Ossola la maggior parte delle trasformazioni casearieprende avvio, salvo le rare volte in cui la qualità igienica del latte non lo consente, dallatte crudo e intero di capra che viene munto nella maggior parte delle stalle due volte algiorno rispettando il ciclo stagionale degli animali (da febbraio a novembre). Il latte crudo utilizzato, una volta filtrato, prima di essere trasformato, viene generalmen-te conservato a una temperatura non superiore ai +4 °C per al massimo per 30 ore dallaprima mungitura. A volte, in seguito a problemi di cariche batteriche elevate o alla presenza di microflore alterati-ve o patogene nel latte di massa (verificate mediante analisi effettuate in laboratori accreditati),o nel caso di tempi di stoccaggio troppo lungo, il latte subisce uno dei seguenti trattamenti ter-mici:

• pastorizzazione: applicazione di un trattamento termico mediante il quale si eli-minano tutti i batteri patogeni eventualmente presenti nel latte crudo. Il tratta-mento termico può essere eseguito nei seguenti modi:

• pastorizzazione continua: il latte viene fatto passare attraverso uno scambiatoredi calore a piastre all’interno del quale scorre formando uno strato sottile, que-sto consente di ridurre sensibilmente la durata del trattamento; avremo quindiuna maggiore velocità nelle operazioni e, a parità di percentuale di abbattimen-to della carica microbica, una minore alterazione delle proprietà tecnologiche,sensoriali e nutrizionali del latte. Le condizioni minime di pastorizzazione sonodi 72 °C per 15 secondi.

• pastorizzazione discontinua: viene generalmente effettuata nella stessa vascadove avverrà in seguito la coagulazione; la temperatura del trattamento é infe-riore rispetto alla pastorizzazione continua, ma la durata dello stesso é notevol-mente maggiore (per esempio 63 °C per 30 minuti oppure 68 °C per 20 minuti).

Qualunque sia la soluzione tecnologica adottata per la pastorizzazione, vale la regola cheal diminuire della temperatura di pastorizzazione dovrà corrispondere un aumento delladurata del trattamento tale da comportare comunque un’inattivazione della fosfatasi alca-lina, enzima naturalmente presente in forma attiva nel latte crudo.

• termizzazione: trattamento termico mediante il quale si abbatte parzialmente laCarica Batterica Totale del latte, eliminando o inattivando una buona parte deibatteri patogeni (es. Stafilococchi) ed anticaseari. Si effettua per mezzo di unpastorizzatore o di una caldaia. Si esegue con tempi non inferiori ai 15 secondie temperature comprese tra i 57° e 68°C. E’ da tenere presente che, per tempicosì brevi, non si ha l’eliminazione completa dei patogeni presenti nel latte, si

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tratta quindi di un trattamento di risanamento solo parziale non tale da compor-tare l’inattivazione totale della fosfatasi alcalina.

RISCALDAMENTOIl riscaldamento del latte può avvenire a gas, a vapore o per scambio di calore con l’ac-qua circolante nella serpentina o nella doppia intercapedine della caldaia di lavorazione.Lo scopo di questa fase è quello di creare le condizioni ottimali di sviluppo della micro-flora contenuta nell’innesto che generalmente sono comprese tra i 34 e 38 °C per gliinnesti termofili e tra i 18 e i 26 °C per innesti mesofili.

INNESTO DEI FERMENTI LATTICIGeneralmente per i formaggi a latte crudo a coagulazione presamica si utilizza un inne-sto naturale o selezionato, costituito in prevalenza da batteri lattici termofili(Streptococchi, Lattobacilli), con l’aggiunta a volte di piccole dosi di ceppi di batterimesofili (Lattococchi). Per i formaggi a prevalente coagulazione acida si utilizzano inve-ce ceppi di batteri lattici esclusivamente mesofili, siano essi omofermentanti o eterofe-mentanti.L’utilizzo dei fermenti è considerato dalla maggior parte dei produttori una fase essen-ziale della lavorazione poiché consente lo svolgimento di fermentazioni “guidate” e con-trasta lo sviluppo della microflora anticasearia. La maggior parte dei casari ossolani innestano i fermenti attraverso un inoculo diretto incaldaia costituito da microflora lattica selezionata e liofilizzata, mentre altri utilizzanoun inoculo semidiretto, ovvero delle colture selezionate e liofilizzate che vengono utiliz-zate per la produzione di un innesto liquido. Quest’ultimo è ottenuto dalla solubilizzazio-ne della microflora lattica liofilizzata in una piccola quantità di latte di capra sterile checonsente, quindi, l’ottenimento di un inoculo più uniforme e omogeneo rispetto a un ino-culo diretto.

AGGIUNTA DEL CAGLIOCon il termine caglio o presame intendiamo l’estratto enzimatico dell’abomaso di rumi-nanti; esso é il responsabile principale del processo di coagulazione del latte.I componenti principali del caglio sono due enzimi proteolitici, che hanno quindiun’azione degradativa nei confronti delle proteine: la chimosina che ha un’azione proteo-litica specifica nei confronti della k-caseina e la pepsina che ha invece un’azione proteo-litica aspecifica; il contenuto in pepsina aumenta all’aumentare dell’età dell’animale,cagli che hanno un contenuto in chimosina più elevato sono anche più pregiati. In com-mercio si ritrovano cagli a differente contenuto di chimosina ed a diverso potere coagu-lante (titolo del caglio).Il caglio si può trovare in vendita sotto forma di polvere, liquido e in pasta.Rispetto agli altri due tipi di caglio, il caglio in pasta presenta, grazie alla particolare tec-

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nologia di produzione, un’altra tipologia di enzimi: le lipasi, enzimi che hanno un’azio-ne idrolitica nei confronti dei grassi, sono responsabili quindi della formazione di unsapore piccante in alcuni formaggi a lunga stagionatura.Perché si abbia la coagulazione del latte non é necessario ricorrere al caglio, altri enzimiad azione proteolitica aspecifica provocano comunque una coagulazione; esistono allorain commercio prodotti alternativi al caglio animale:

• coagulanti microbici: enzimi proteolitici ad azione aspecifica prodotti da speciemicrobiche (es. Mucor miehi);

• chimosina genetica: attraverso la tecnologia del DNA ricombinante é possibileindurre determinati batteri (generalmente Escherichia coli) a sintetizzare un’en-zima praticamente identico alla chimosina e quindi con la sua stessa attività;

• coagulanti vegetali: anche da alcune piante è possibile estrarre enzimi proteoli-tici (per esempio dal fico). L’utilizzo di questi cagli è limitato ad alcune produ-zioni di nicchia.

COAGULAZIONEL’80% circa delle proteine del latte é costituito dalla caseina, presente in forma colloida-le sotto forma di micelle; le micelle caseiniche sono a loro volta formate da sub-micelleche interagiscono tra loro grazie alla presenza di molecole di fosfato di calcio.Ritroviamo tre diversi tipi (frazioni) di caseina: alfa, beta e gamma; per ciascuno di que-sti tipi riconosciamo più varianti genetiche. La stabilità di questo sistema colloidale édovuta allo stato di idratazione delle micelle, che dipende dovuta sostanzialmente da duefattori:

1) il posizionamento della k-caseina nella parte più esterna della micella; la k-caseina é infatti fra le diverse frazioni caseiniche quella che presenta il maggiornumero di legami con molecole di zuccheri. Essendo gli zuccheri idrofili ciòfavorisce l’idratazione.

2) la presenza sulla superficie delle micelle, al pH naturale del latte, di una caricanetta negativa; la presenza di queste carica favorisce l’interazione con le mole-cole d’acqua e la repulsione con le altre micelle che quindi non andranno adaggregarsi.

Quando una di queste due condizioni viene a mancare allora si ha la destabilizzazione delsistema colloidale con conseguente coagulazione del latte.Coagulazione acida o latticaLa densità di carica di una molecola é funzione del pH del mezzo nel quale essa si trova;si definisce come punto isoelettrico (pHi) di una molecola il valore di pH in corrispon-denza del quale questa si presenta in forma neutra, se il pH del mezzo é superiore al pHiallora la molecola carica netta negativa, se invece il pH é inferiore al pHi allora la mole-cola avrà carica positiva. La caseina ha pHi = 4.75, se allora il latte va incontro ad un pro-cesso di acidificazione, naturale od indotto dall’aggiunta di fermenti, si avrà una progres-

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siva diminuzione della densità di carica sulle micelle, con conseguente graduale disidra-tazione e demineralizzazione delle micelle che contemporaneamente andranno ad aggre-garsi determinando la coagulazione del latte. Coagulazione presamicaResponsabile principale della coagulazione presamica é la chimosina, enzima capace dirompere esclusivamente il legame tra la fenilalanina 105 e la metionina 106 caratteristi-co della sola k-caseina; l’azione di questo enzima porta quindi alla formazione di duemolecole: la parafosfocaseina ed il così denominato perché contiene la componente glu-cidica della k-caseina; la perdita del caseinoglicomacropeptide riduce sensibilmente lostato di idratazione delle micelle che interagendo determinano la coagulazione del latte.Possiamo dividere la coagulazione in tre diverse fasi:fase primaria: consiste nella reazione enzimatica vera e propria, cioè nel distacco del gli-copeptide dalla k-caseina.fase secondaria: consiste nell’interazione tra le singole micelle con passaggio del lattedallo stato di sol a quello di gel. La velocità di formazione del gel e la sua compattezzadipendono strettamente dalla quantità di fosfato di calcio e di calcio presente nel latte.fase terziaria: il gel assume una consistenza sempre maggiore perché aumenta il numerodei legami intermicellari; le micelle si avvicinano tra loro ed il coagulo si contrae espel-lendo siero. E’ la cosiddetta fase di spurgo spontaneo o sineresi; il processo spontaneo élentissimo, nella tecnica casearia si accelera la sineresi con il taglio della cagliata ed uneventuale riscaldamento. In questa fase inizia anche un’azione proteolitica aspecifica delcaglio, che interessa tutte le frazioni caseiniche.Se invece del caglio si utilizza un coagulante ad azione proteolitica aspecifica allora ladestabilizzazione del sistema colloidale sarà dovuta ad una generale degradazione dellemicelle.Interagendo tra loro le micelle caseiniche oltre a trattenere parte dell’acqua presente nellatte ingloberanno nel loro reticolo gran parte del grasso; le sieroproteine, il lattosio ed isali minerali si ritroveranno invece per la maggior parte nel siero.Coagulazione acido-presamicaE’ una tecnica di coagulazione che porta alla formazione di cagliate con caratteristicheprevalentemente lattiche. In pratica si ha l’aggiunta di quantità relativamente ridotte dicaglio e quindi la coagulazione sarà principalmente dovuta all’acidificazione del latte;utilizzata originariamente per la produzione di caprini (es. Robiola di Roccaverano) taletecnologia si è poi estesa anche alle lavorazioni vaccine.

La fase di coagulazione ha inizio con l’aggiunta del caglio, e si divide in:• fase di presa: fase in cui il latte passa dalla fase liquida a quella gelatinosa;• fase di indurimento: tempo necessario per arrivare alla consistenza del coagulo

prevista per il tipo di lavorazione.Il tempo di coagulazione è il tempo che intercorre tra l’aggiunta del caglio e il raggiun-

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gimento della giusta consistenza della cagliata, esso varia sensibilmente in funzione dellatipologia di formaggio che si vuole ottenere; in generale possiamo dire che per formag-gi a lunga stagionatura, dove é richiesta una notevole perdita di umidità, il tempo di coa-gulazione sarà breve, mentre nel caso di formaggi freschi, caratterizzati da un più altocontenuto di umidità, il tempo di coagulazione sarà più lungo, proprio perché ciò favori-sce il trattenimento dell’acqua all’interno della cagliata.

LAVORAZIONE IN CALDAIANon tutte le varie fasi della lavorazione della cagliata in caldaia di seguito elencate sonopresenti nei processi di caseificazione e la loro attuazione varia sensibilmente in funzio-ne del tipo di formaggio che si vuole ottenere; in generale possiamo dire che la tecnolo-gia di produzione di formaggi freschi prevede una rottura della cagliata abbastanza gros-solana per favorire il mantenimento dell’acqua all’interno della stessa, la produzione diformaggi a lunga stagionatura prevede, invece, una rottura più spinta fino alla formazio-ne di granuli molto fini proprio per favorire lo spurgo del siero.Rivoltamento strati superiori cagliataSi effettua con uno strumento detto “piatto”, normalmente in acciaio inox. L’operazione,che è finalizzata a mantenere uniforme la temperatura, va eseguita precocemente, acagliata molto tenera.Taglio della cagliataLe attrezzature utilizzate sono il coltello o spada, la lira, il piatto, lo spino. In alcunicasi viene effettuato un solo taglio, arrivando alla dimensione desiderata dei granuli dicagliata. SostaQuesta fase serve per rassodare la cagliata; nei formaggi più morbidi deve essere più pro-lungata.Successivi tagli e sosteAlcune tecnologie prevedono diversi tagli e conseguenti soste finalizzate a migliorare lecaratteristiche di consistenza della cagliata; gli strumenti utilizzati sono la lira e lo spino.Lavaggio della cagliataConsiste nella sostituzione di parte del siero in caldaia con acqua e sale a una tempera-tura inferiore, pari o maggiore di quella della cagliata.Serve a disacidificare la cagliata, ad effettuare una cottura con acqua calda e/o a rallen-tare il processo di acidificazione.CotturaRiscaldamento della cagliata; può essere effettuata in più riprese.Serve ad asciugare il granulo e rendere la cagliata più elastica e il formaggio più consi-stente. Se la cottura avviene troppo velocemente, si ha la formazione di una pellicola pro-teica intorno al granulo con conseguente difficoltà di spurgo.

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Agitazione e spinaturaConsiste nel mantenere in agitazione la cagliata; viene effettuata sia per la produzione diformaggi cotti sia per quelli crudi.Serve a proseguire la fase di asciugatura della cagliata.Sosta dopo spinaturaSi lascia affondare e compattare sul fondo della caldaia la cagliata; è un’operazione par-ticolarmente consigliata in caso di scarso incremento di acidità in lavorazione.Serve ad aumentare l’acidificazione della cagliata, a far depositare sul fondo della calda-ia i granuli di cagliata e farla così compattare.

ESTRAZIONE E FORMATURAL’estrazione può essere fatta in diversi modi:

• direttamente in forma;• su tavoli spersoi o contenitori sotto siero, per acidificare la cagliata;• su tavoli spersoi o contenitori senza siero, per pressare la massa caseosa al fine

di tagliarla e porzionarla per metterla in forma;• in tela e poi in forma;

In questa fase si possono aggiungere al formaggio diversi ingredienti quali ad esempioerbe aromatiche, spezie, oli, aceto, tartufo, salmone ed altri ancora.Durante questa fase hanno luogo la graduale acidificazione della cagliata e lo spurgo delsiero, fenomeni necessari per l’ottenimento di un prodotto finito con le caratteristicheorganolettiche desiderate; una buona acidificazione, nelle 3-4 ore che seguono l’estrazio-ne, inoltre ostacola lo sviluppo di microrganismi anticaseari. E’ importante un attentomonitoraggio dell’acidificazione della pasta attraverso misurazioni del pH della pasta odell’acidità titolabile del siero. Si effettuano inoltre periodici rivoltamenti del formaggioper ottenere un uguale spurgo sulle due facce della forma.L’azione combinata di acidificazione e spurgo può essere realizzata in vari modi:

• mediante stufatura, quando la tipologia del prodotto richiede una forte spinta diacidificazione (ad es. nei formaggi con batteri termofili);

• durante la pressatura (anticipata alcune volte dalla seconda rottura o frisatura);• mediante riposo del formaggio a temperatura ambiente (specie nei formaggi non

pressati ottenuti da batteri mesofili).I valori di acidità finale variano da formaggio a formaggio.

PRESSATURASi tratta dell’applicazione di una pressione sul formaggio.Serve a far fuoriuscire (spurgare) più velocemente il siero e a rallentare e bloccare l’aci-dificazione.Si può effettuare subito dopo l’estrazione oppure dopo una prima fase di acidificazione.

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SALATURAConsiste nel distribuire sale o una soluzione di acqua e sale sulla superficie del formag-gio dopo che il valore di acidità richiesto dal tipo di tecnologia di caseificazione è statoraggiunto.La salatura rallenta il ciclo di acidificazione, dà sapidità al formaggio, ne aumenta la con-servabilità (rallentando il ciclo di acidificazione e lo sviluppo di tutti i microrganismi).Modalità di esecuzione:

• a secco;• in salamoia;• mista (prima fase in salamoia e seconda fase a secco, per irrobustire la parte

esterna del formaggio);• in pasta.

La tecnica di salatura più utilizzata é ormai quella in salamoia; il tempo di permanenzadei formaggi in salamoia dipende da:

• dimensione del formaggio (a maggiori dimensioni deve corrispondere un pro-lungamento del tempo di mantenimento in salamoia);

• consistenza (umidità) del formaggio (i formaggi pressati e più asciutti si salanopiù lentamente);

• grado di salinità della salamoia (che influisce anche sulla crosta, indurendo laparte esterna).

STAGIONATURAE’ una fase molto importante, durante la quale si hanno le trasformazioni a carico delleproteine, dei grassi e degli zuccheri presenti nel formaggio conferendo in tal modo lecaratteristiche di consistenza, gusto ed aroma del prodotto. Di queste reazioni sonoresponsabili:

• i fermenti lattici, le muffe ed i lieviti presenti nel formaggio, provenienti dal lattecrudo e dagli starter aggiunti;

• il coagulante aggiunto in lavorazione che rimane in parte nel formaggio ancorain forma attiva.

• gli enzimi (proteasi e elipasi) endogeni del latteEsempi di trasformazioni che avvengono durante la stagionatura sono:

• sviluppo di muffe all’interno del formaggio nella produzione di formaggi erbo-rinati (es. Gorgonzola);

• sviluppo di muffe sulla superficie esterna nella produzione di formaggi a crostafiorita (es. Brie);

• formazione di un sapore piccante derivante da composti di degradazione deigrassi;

• liberazione di amminoacidi e di ammoniaca derivanti dalla proteolisi.I parametri che influenzano queste trasformazioni sono:

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• il tempo;• la temperatura;• l’umidità.

Questi parametri variano sensibilmente a seconda del tipo di formaggio: per esempio lacrescenza viene mantenuta per 4 - 5 giorni a 4 °C con un’umidità relativa del 95 % circa;il Parmigiano Reggiano può essere stagionato anche per alcuni anni a temperature dicirca 15 °C e valori di umidità dell’85 % . Alcuni formaggi (es. mozzarella) non hannobisogno di alcuna stagionatura, appena prodotti possono essere direttamente consumati.

ASCIUGATURAL’operazione, normalmente effettuata per formaggi di piccola pezzatura, deve far sì chel’umidità si abbassi velocemente fino ad indurire la pasta. Normalmente si raggiungequesto risultato ponendo i formaggi in un apposito locale o armadio dove vi sia un fortericambio di aria calda, meglio se deumidificata, con una temperatura ambiente che variadai 20 ai 30 °C ed un’umidità relativa di circa 60 - 70 %. Di norma il procedimento dura12 - 24 ore a seconda della pezzatura del prodotto. Questi formaggi, in seguito, sarannovenduti confezionati in carta o posti in barattoli di vetro sott’olio con eventuali aggiuntedi spezie e aromi.

CONFEZIONAMENTOE’ l’operazione destinata a proteggere il prodotto mediante un involucro o contenitore.Nel caso di formaggi a lunga stagionatura é la crosta stessa che protegge il formaggiodall’esterno.

ETICHETTATURASopra ogni formaggio o ogni confezione di formaggi deve essere applicata un’etichettarealizzata con carta alimentare autoadesiva oppure no (in questo l’etichetta si può appli-care sulla crosta del formaggio dopo averla imbevuta con acqua). In etichetta deve esse-re riportata la ragione sociale e l’indirizzo dell’azienda, gli ingredienti utilizzati per fab-bricare il prodotto, il metodo di conservazione e la data di scadenza.

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SCHEDE DI LAVORAZIONE DEI FORMAGGI CAPRINIPRODOTTI NEL VCO

FORMAGGI A PASTA MOLLE E SEMIDURAL’Italia e la Francia sono i paesi per eccellenza produttori di formaggi a pasta molle. Cisono infatti circa 400 formaggi differenti. Il numero elevato di questi differenti tipi stanel fatto che ciascun produttore ha cercato di creare un prodotto appropriato alle proprieesigenze di mercato e a ottenere un prodotto “durevole”. Il clima, gli impianti di trasfor-mazione, lo stato dei locali, la razza degli animali, le ricette che sono poi state trasmes-se hanno portato a questa diversità di formaggi.Il termine “formaggio a pasta molle” identifica un gruppo di formaggi molto importanteche si caratterizza per la pasta con elevato tenore di acqua e per l’aroma particolare. Sonodei piccoli formaggi ( raramente oltre il kg ) e di differenti forme. Proporzionalmente,questi formaggi hanno una grande superficie di scambio con l’ambiente, si comprendeche la loro maturazione è fortemente influenzata dalla parte esterna, cioè dalla crosta. Laconsistenza molle della pasta è il risultato di una tecnologia particolare.Le esigenze di fabbricazione per questa tipologia di formaggi, e per i formaggi a pastasemidura è sempre la stessa che per i formaggi a pasta dura: il latte deve avere una bassacarica microbica anticasearia ed adatto alla caseificazione come prescrivono le norme.E’ consigliabile per i formaggi con elevato contenuto di acqua , poco salati , poco acidi ,e di veloce consumo la termizzazione del latte e l’utilizzo di una buona coltura, per favo-rire una corretta acidificazione e una protezione lattica.

CLASSIFICAZIONE DEI FORMAGGI SECONDO IL TENORE DI ACQUAMolle > 45%Dura tra il 40%-45%

Semidura < 45%

CLASSIFICAZIONE SECONDO LA TIPOLOGIA DI STAGIONATURAFormaggi a superficie liscia e secca

Formaggi a crosta grassa e umida (crosta lavata)Formaggi a crosta fioritaFormaggi a muffe interne

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SCHEDA TECNOLOGICA DI LAVORAZIONE

Di seguito si riportano i diagrammi di flusso di tecnologia casearie a coagulazione pre-samica (caciotta, stagionato e primosale) e a coagulazione lattica.

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I DIFETTI DEI FORMAGGI

Gonfiore precoceQuesto difetto compare già sotto pressa o nel locale di stagionatura. Più raramente si notadopo 2 -3 giorni, in maniera più o meno visibile, per la formazione progressiva di buchio per gonfiore. Le cause del problema sono da ricercarsi in una crescita inusuale dimicroorganismi produttori di gas; i responsabili più frequenti sono i batteri coliformi chepossono determinare diffusa occhiatura nel formaggio a causa della formazione di gasquali anidride carbonica e anche idrogeno. Nei formaggi a pasta dura, questo gonfioreprecoce interviene per la maggior parte delle volte solamente in presenza di sostanze ini-bitrici nel latte (antibiotici). Lavorando latte pastorizzato, la causa del difetto può deriva-re da una contaminazione successiva, non essendoci microrganismi che antagonizzano losviluppo dei dei batteri anticaseari oppure da un lattoinnesto o sieroinnesto inquinati opoco vitali.

Altri microrganismi possono provocare dei gonfiori precoci. Ad esempio i lieviti, alcuni

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Gonfiore precoce dovuto a infezione da coliformi del formaggio

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tipi di lattobacilli. I lieviti causano sovente dei difetti nei formaggi a pasta molle e semi-dura, infatti resistono alle basse temperature di fabbricazione di questi formaggi. Perprevvinre il gonfiore precoce è necessario: controllare l’attività dei batteri lattici e l’aci-dificazione dei formaggi; migliorare la qualità microbiologica del latte; evitare la presen-za di sostanze inibitrici; eliminare l’infezione causata dai coliformi pastorizzando o ter-mizzando il latte.

AmaroE’ un difetto che si verifica nei formaggi soprattutto in quelli a pasta molle. Le cause pos-sono derivare dal latte, da un’inadatta lavorazione o da incuria durante la fase di stagio-natura. ln ogni caso si tratta sempre o quasi sempre dell’intervento di alcune formemicrobiche indesiderate. Altri fattori sono da imputare a: lattazione troppo avanzata,malattie a carico della bovina, cloruro di sodio impuro. L’amaro può anche essere dovu-to ad una alimentazione scorretta (foglie di barbabietola, sedano, porro, rape, foglieammuffite, rabarbaro). Anche la cattiva qualità del caglio, specialmente se il prodotto èin pasta, può influire; infatti, il contenuto di pepsina elevato può portare alla formazionedi peptidi amari così come dosi eccessive di caglio. II limitato spurgo della cagliata, spes-so voluto per ottenere una maggior resa, determina un ambiente adatto allo sviluppo dimicroorganismi che portano all’amaro.Gli accorgimenti necessari per la prevenzione dell’amaro sono molti essendo molte lecause che portano a questo problema. Una prima azione è quella di eliminare le sostan-ze sia alimentari che farmacologiche che possono determinarlo. Nel caseificio è benesostituire il caglio in pasta con quello liquido e controllare la sua buona qualità.Controllare il sale e la salamoia, provvedendo alla sua sostituzione quando si verificasse ilproblema. Procedere ad un’accurata pulizia dei locali di trasformazione e degli utensiliusati, verificando la corretta tecnologia produttiva e la fase di stagionatura dei formaggi.

Fermentazione butirricaQuesta fermentazione anomala si verifica nei formaggi a pasta dura e semidura. l formag-gi a pasta molle non vanno incontro a questo inconveniente in quanto hanno una matu-razione più breve ed un locale di stagionatura a temperatura più bassa; inoltre, il pH delformaggio è più acido e la pasta ancora fresca lo protegge da questo difetto. Il gonfioretardivo è causato dallo sviluppo di Clostridi (ad es. Clostridium tyrobutiricum) che pos-sono fermentare l’acido lattico con formazione di gas responsabile della modificazionedella pasta del formaggio. Gli insilati e alimenti simili, gli abbeveratoi sporchi, le man-giatoie rotte e sporche di terra, le tavole delle presse, le apparecchiature sporche di terrasono causa di contaminazione da Clostridi. Risulat quindi necessario rispettare adeguatecondizioni di produzione degli insilati e di tecniche di insilaggio.

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Fermentazione propionicaQuesto tipo di fermentazione importante per alcuni tipi di formaggi (Emmental) è inde-siderabile per altri. I propionici iniziano il loro sviluppo quando gli altri microrganismihanno già metabolizzato il lattosio, avviano la loro moltiplicazione quando il pH nel for-maggio si è già elevato (6-7). Si è notata invece una inibizione dei propionici a pH 5,5-5,2. E’ necessario evitare le contaminazioni (tavole di pressatura e utensili sporchi) e eli-minare i fattori che possono creare proteolisi e favorire l’aumento del pH.

SfogliaQuesto difetto si verifica nei formaggi a pasta dura e semidura. Tali spaccature possonoessere di tipo diverso, a volte sono appena percettibili e localizzate verso il centro, moltospesso sono più marcate, numerose e distribuite in diversi punti della pasta. Nei casi piùgravi risultano molto ampie, causando il distacco della pasta. In questo caso il formaggiomatura più rapidamente, creando sapori e odori anomali passando dal piccante all’ama-ro. Le cause sono da ricercarsi nel latte eccessivamente acido o molto inquinato e da una

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Gonfiore tardivo dovuto a fermentazione butirrica

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errata tecnica di lavorazione (cagliata troppo dura, grani di cagliata legati).Risulta quindi necessario controllare l’acidificazione del latte e il lavoro in caldaia assi-curando una adeguata rottura della cagliata.

Colorazioni anomaleQueste anomalia si riscontra sia nei formaggi a pasta dura come in quelli a pasta molle;manifestandosi con punti o macchie più o meno estese sulla crosta, nello strato sotto cro-sta o all’interno della pasta. Il difetto svaluta commercialmente il prodotto anche perchésolitamente porta come conseguenza odori e sapori anormali. Nella maggior parte deicasi il difetto è di origine microbica, ma può essere anche di origine chimica. I microbicapaci di creare il difetto possono essere: il Cladosporium herbarum, che si sviluppasulla superficie dei formaggi e il Bacterium denigrans che causa la colorazione nerastradella superficie dei formaggi.

Calcinazione o gessosità Questo difetto si riscontra nei formaggi molli e soprattutto nel taleggio e nel gorgonzola.A volte il difetto si verifica in alcune zone della pasta, quasi sempre nella parte centraledella forma. La gessosità è causata dalla eccessiva acidità della cagliata per un erratoapporto di fermenti o per uno sviluppo troppo elevato di questi batteri acidificanti. Lapasta assume un aspetto gessoso, friabile, di colore troppo chiaro e di sapore acido.

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Gessosità

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Cagliata polverizzataSi intende quella parte di cagliata che, durante la rottura si riduce in granuli tanto picco-li che dopo la cottura si presentano come polvere, più asciutti e più duri degli altri gra-nuli. Questo tipo di inconveniente, dipende generalmente da rottura affrettata o da impe-rizia, quando la cagliata, non avendo ancora buona consistenza risponde male al taglio.Un altro problema può essere dovuto ad un latte troppo maturo con uno spurgo ed unacottura eccessivi. Per evitare la formazione di polvere, si consiglia di rompere la caglia-ta quando presenta la giusta consistenza, tenere i granuli di cagliata più grossi, spurgarelentamente, cuocere ad un grado non troppo elevato, lavorare un latte non agitato inmaniera energica. l granuli di cagliata essendo più leggeri, si depongono per ultimi sullamassa della cagliata con tendenza a localizzarsi verso il centro, si può ovviare a ciò effet-tuando un movimento del siero dopo pochi minuti dalla cottura, comprimendo legger-mente la cagliata e massaggiandola appena estratta.

Cagliata molleE’ attribuita al grado di acidità del siero:

NORMALE • Mancanza di azione del caglio per temperatura troppo bassa. • Mancanza di calcio.• Mancanza di proteine coagulabili (cambio di alimentazione, con il latte di capra

si nota questo difetto).INSUFFICIENTE • Acidità del siero bassa 2,4-2,8 SH/50, questo può verificarsi in caso di presenza

di antibiotico.• Acidità a 6,8-9 SH/50 controllando se aumenta, la causa può essere legata ad un

problema di temperatura o ad una carenza di fermenti, fermenti scaduti, oppurea presenza di fagi.

La cagliata non dovrà essere messa in forma, si potrà intervenire dopo 7/8 ore dalla coa-gulazione effettuando dei tagli con una spada, per favorire I’indurimento.

Cagliata friabileOsservando la cagliata noteremo un distacco dal bordo con del siero e con presenza di“sacche” contenenti siero sulla superficie. Le cause possono essere dovute ad un eccesso di acidificazione dovute ad una tempera-tura elevata di coagulazione o ad una dose eccessiva di fermento

Cagliata gonfiaQuesto problema è causato da una produzione di gas ad opera di microrganismi:

• coliformi, provenienti da una cattiva igiene e da un carente numero di batteri lat-

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tici antagonisti.• eterofermentanti in numero elevato, presenti nel latte di partenza oppure aggiun-

ti come innesto.

Sviluppo di Mucor o “pelo di gatto”E’ legato ad una asciugatura insufficiente del formaggio per una cattiva acidificazione,quindi utilizzare correttamente i fermenti lattici e lavorare in ambiente più caldo. Sviluppo di Geotrichum lactis o candidum detta anche “PELLE DI ROSPO” determina unacrosta corrugata, cremosa nel sottocrosta, di colore giallo pallido virante all’arancione. Ilsuo sviluppo è dovuto ad una cattiva asciugatura, ad una salatura irregolare, ad una acidi-ficazione ritardata, ad una maturazione in ambiente caldo e ad una mancanza di aereazio-ne. Il formaggio si presenta in mezzo bianco e gessoso, questo può iniziare dopo 8/10 gior-ni dalla produzione, il difetto può apparire anche più tardi. provocando “amarore”. Quando si toglie dalla carta un formaggio lattico e si sente un odore di lievito di birra, lapasta si presenta granulosa, significa che l’acidificazione è stata troppo rapida. Se si sente un gusto piccante, può essere che il latte è stato troppo raffreddato o si è a finelattazione.

Bordo molle corrugatoCause. Temperatura di coagulazione troppo bassa. Raffreddamento della cagliata duran-te la coagulazione. Sgocciolatura difettosa in stufatura dovuta ad una temperatura troppobassa o troppo elevata.

Muffe insufficientiCause. Colture poco attive. Acidificazione iniziale rallentata (troppo bassa), prima dimettere il formaggio in salamoia il pH deve circa arrivare a 5

Muffe eccessiveUno sviluppo troppo rapido ed elevato delle muffe porta ad avere un “tappeto” spessoche facilmente si può staccare dal formaggio: questo è la conseguenza di una dissoluzio-ne locale della caseina nel sottocrosta (liquefazione del bordo ). Cause. Troppe muffeinoculate al latte o presenti nell’ambiente di stagionatura, sgocciolatura insufficiente. Pelo di gatto- Cause. Raffreddamento troppo basso della parte esterna, causato da un ele-vato quantitativo di acqua nella superficie esterna del formaggio. Spurgo insufficiente.Inquinamento da vapore acqueo durante la formazione delle muffe.

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IGIENE E BUONE PRATICHE DI LAVORAZIONE

La sicurezza è la priorità in ogni stadio della filiera di produzione degli alimenti, il cibodisponibile per i consumatori Europei è generalmente severamente controllato, quindisicuro da mangiare. Comunque, possono esserci occasionalmente delle malattie causatedalla contaminazione biologica oppure chimica, in ogni punto della produzione di ali-menti dal campo alla tavola. La responsabilità per assicurare le condizioni perfette di cia-scun cibo deve essere condivisa da ogni individuo operante nella filiera agroalimentare.Severi controlli legali hanno luogo per garantire alti livelli di sicurezza, igiene, qualità,nella produzione commercializzazione e manipolazione dei prodotti alimentari.Raramente gli alimenti sono sterili quando vengono consumati, la maggior parte conten-gono microbi che sono del tutto inoffensivi e spesso ne caratterizzano e determinano ilprocesso di produzione, si pensi ai batteri lattici dei formaggi. Capita occasionalmente,che i cibi possano contenere microbi patogeni ed essere quindi dannosi per la saluteumana, non possedendo i requisiti di sicurezza fondamentali. I tessuti interni di piante eanimali possiedono le necessarie difese per tenere a bada i microrganismi, con il risulta-to che generalmente parti vegetali o tagli di carne di animale in salute consumati freschi,possiedono una carica microbica che rasenta la sterilità. Comunque sia le condizioni distoccaggio, macellazione, insomma durante le varie operazioni unitarie che caratterizza-no il processo di produzione, può accadere che i microbi entrino nei cibi e trovino le con-dizioni necessarie al loro sviluppo. Le contaminazioni possono originarsi dalle materieprime stesse, dall’ambiente in cui avviene il processo di produzione, da veicoli qualiinsetti o roditori, oppure da fonti di contaminazione umana. Molte alterazioni di alimenti sono imputabili all’attività microbica, che anche se non ren-dono necessariamente l’alimento stesso pericoloso, ne possono cagionare le peculiaritàsensoriali.

LE BUONE REGOLE DI LAVORAZIONEAlimenti di origine animale rappresentano la principale fonte di microrganismi patogeni,spesso si trovano sull’animale vivo e rimangono ad esempio sulla carne dopo la macel-lazione, oppure perché quest’ultima è avvenuta senza eseguire le buone norme pratichedi processo. Senza appropriati trattamenti atti alla distruzione dei microbi, oppure se lecondizioni di igiene e temperatura non sono idonee, essi possono occasionalmente esse-re presenti sul prodotto finale. Esistono degli alimenti in cui si è constatato un elevatorischio di contrarre malattie di origine alimentare, proprio per un elevata frequenza diisolamento di patogeni dagli stessi e per dati epidemiologici risultati da notifiche, in cuisi è verificato il binomio alimento-microrganismo incriminato.Il latte crudo è quasi in totale abbandono proprio perché veicolo di numerosi patogeni.

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Formaggi stagionati, yogurt e burro sono prodotti sicuri grazie alle loro caratteristiche diacidità e di bassa attività dell’acqua. Casi di malattie alimentari si sono verificati su for-maggi freschi, una pastorizzazione idonea del latte, o dove, se non prevista tale operazio-ne unitaria nei disciplinari di produzione, un adeguato innesto di batteri lattici acidifican-ti e competitivi con i patogeni, possono insieme alle GMP (good manufactiring practice)tranquillizzare i sostenitori dell’obbligatorietà della pastorizzazione del latte da trasfor-mare in formaggio.Alimenti sottoposti prima della somministrazione a notevole manipolazione sono tra iprincipali incriminati a casi di infezioni intossicazioni e tossinfezioni alimentari. Nellamaggior parte dei casi la contaminazione è provocata dall’operatore che agisce da veico-lo inconsapevole per l’inoculazione di un determinato patogeno; periodi di terapia e pro-filassi per i soggetti portatori sani, rispetto delle norme igieniche fondamentali, partico-lare attenzione ad evitare la contaminazioni crociate nel luogo di preparazione ed infine,rispetto delle condizioni di tempo e temperatura tesi rispettivamente a limitare e adistruggere le polluzioni microbiche, garantiscono la salubrità del prodotto finito.

COME EVITARE LA CONTAMINAZIONELa responsabilità riguardo la sicurezza degli alimenti è condivisa da ognuno implicatonella filiera agroalimentare, ovvero in tutto il percorso esistente dal campo alla forchet-ta, coinvolgendo il settore primario, le industrie alimentari, i distributori e i consumatoricompresi.A livello della produzione sul campo, si possono ottenere prodotti con le specificheopportune, adottando anche qui un sistema di controllo dei punti critici; pratiche dimiglioramento fondiario e investimenti verso tecnologie innovative, mirano ad ottenereprodotti di qualità superiore.Allevamenti di bestiame gestiti in condizioni non idonee trasmettono al prodotto finitocaratteristiche che ne compromettono la qualità, si pensi al contenuto in cellule somati-che e alla carica batterica del latte per fare un esempio, dove tali valori superano i limitidi accettabilità, il prodotto diventa irrimediabilmente compromesso.A livello di industria alimentare, nel senso lato del termine recepito su Direttive CE rife-ribili al pacchetto igiene 2004, viene responsabilizzata essa stessa, con l’obbligo digestione delle non conformità e la redazione del manuale di autocontrollo igienico azien-dale.Misure correnti adottate per prevenire la contaminazione dei cibi includono:

• usare materie prime di qualità da fornitori sicuri con specifiche di prodotto con-formi al capitolato di acquisto

• seguire le Buone Pratiche di Produzione, le cosiddette GMP• adottare sistemi di gestione che permettano di identificare, monitorare e control-

lare i rischi durante tutto l’iter del prodotto• provvedere a programmi di aggiornamento per gli impiegati nella filiera

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• sviluppare la ricerca sui patogeni per conoscerli e controllarli meglioscambio di informazioni sulla sicurezza degli alimenti

Il livello finale della catena dal campo alla tavola, coinvolge le ditte impiegate nel cate-ring, nella ristorazione collettiva e le cucine stesse di casa, proprio perché numerosi casidi malattie di origine alimentare sono collegate con la manipolazione antecedente la som-ministrazione del cibo.Un numero semplice di regole, alcune raccomandate anche dall’OrganizzazioneMondiale della Sanità, per garantire la sicurezza durante questa fase di preparazione delcibo sono:

• Evitare il contatto tra alimenti ritenuti “sporchi” e alimenti già cucinati, ciò perridurre il rischio di contaminazioni crociate.

• Lavarsi le mani prima di manipolare i cibi e dopo aver toccato prodotti cosiddet-ti “sporchi”, in modo da minimizzare le contaminazioni.

• Utilizzare strumenti e utensili per specifiche operazioni unitarie, lavandoli sem-pre accuratamente dopo l’uso. In caso di carenze spazio temporali, vincolare perultime le operazioni su prodotti alimentari e superfici maggiormente contamina-ti.

• Tenere il locale di lavorazione in condizioni igieniche perfette, con specialeriguardo alle superfici di contatto con i formaggi, per prevenire le contaminazio-ni crociate.

• Proteggere gli alimenti da insetti, roditori e altri animali che possono veicolareagenti patogeni.

• Nella conservazione degli alimenti osservare rigorosamente le temperature ido-nee di stoccaggio per tipologia di prodotto. Controllare integrità delle confezio-ni e stato della merce al ricevimento, per poi immagazzinarla in modo tale dafacilitarne il turn-over (il primo che entra è il primo che esce). Prodotti non com-pletamente utilizzati, se possibile conservarli, devono essere riposti integri dietichettatura con adeguata protezione.

I principali riferimenti normativi sono: • REG.178/02 CE, del 28 gennaio 2002 che stabilisce i principi e i requisiti gene-

rali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezzaalimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare, in GUUE L31 del 1.2.2002.

• REG. (CE) N. 852/2004 del 29 aprile 2004 sull’igiene dei prodotti alimentari,versione rettificata in GUUE L 226 DEL 25.6.2004; norma base che ridefiniscela disciplina igienico-sanitaria delle produzioni alimentari in senso orizzontale,abroga la direttiva 93/43 CEE (recepita in Italia con D.Lgs 155/97) e detta cri-teri armonizzati per la sicurezza dei processi produttivi alimentari. La norma

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estende la propria efficacia anche alle produzioni primarie (all’agricoltura). • REG. (CE) N. 853/2004 del 29 aprile 2004 che stabilisce norme specifiche in

materia di igiene per gli alimenti di origine animale.Questi regolamenti sono il cosiddetto “pacchetto igiene”, esso costituisce il presuppostonormativo nell’ambito del quale è stata strutturata la riforma della disciplina comunitariain materia di igiene delle produzioni alimentari e controllo ufficiale., si obbliga gli ope-ratori dei comparti che attuano la produzione, preparazione, la trasformazione, la fabbri-cazione, il confezionamento, il deposito, il trasporto, la distribuzione, la manipolazione,la vendita, la fornitura o la somministrazione al consumatore ad attuare delle proceduredi autocontrollo che consentono di effettuare, in ogni fase del processo produttivo ali-mentare, la sorveglianza delle condizioni di lavorazione e la prevenzione di accidentalicontaminazioni degli alimenti. Lo strumento per individuare le fasi critiche e mantenere aggiornate le opportune proce-dure di sicurezza attuate in azienda, anche quelle agricole, è il Manuale Aziendaledell’Autocontrollo Igienico. Esso costituisce un approccio di tipo preventivo, sistemati-co e documentato della sicurezza alimentare. Procedendo da un’analisi dei potenzialipericoli insiti nelle trasformazioni alimentari per la salute dei consumatori, si identifica-no i punti critici di processo in cui tali pericoli, ed i relativi danni, possono essere tenutisotto controllo, al fine di garantire salubrità degli alimenti e sicurezza per i consumatori.Per ciascun punto critico vengono evidenziati i pericoli e le azioni preventive adottate, ilimiti critici, le modalità di monitoraggio, gli interventi correttivi che vengono attivati incaso di violazione dei limiti critici e le relative registrazioni. Sono infine illustrate nelManuale Aziendale di Autocontrollo Igienico le modalità che rendono dimostrabile adispezioni da parte di enti di controllo l’attivazione dell’intero sistema HACCP (HazardAnalytical Critical Control Point), stabilendo chi è il responsabile dell’applicazione delsistema. Il piano di autocontrollo verrà revisionato qualora si verificassero significativevariazioni nella tipologia del prodotto o nell’organizzazione del flusso produttivo.Periodicamente esso verrà aggiornato coi calendari di intervento (ispezioni, corsi di for-mazione, etc.). Chi lavora nel caseificio deve badare all’insieme dei comportamenti cheriguardano la pulizia e la cura delle persone, degli ambienti, delle attrezzature e dei pre-parazioni casearie ivi prodotte.

NORME INGIENICHE DEL PERSONALEIn base a quanto previsto dall’articolo 37 del D.P.R. del 26 Marzo 1980 n. 327, tutto ilpersonale destinato a venire a contatto diretto o indiretto con gli alimenti deve essere inpossesso del libretto di idoneità sanitaria (articolo 14). Inoltre si prevede che ogni perso-na che lavora in locali produzione alimentare deve mantenere uno standard elevato dipulizia ed indossare indumenti adeguati, puliti e, se del caso, protettivi (es. guanti). Laconseguenza di una scarsa igiene personale è la contaminazione dei cibi. I batteri posso-no trasferirsi dagli operatori agli alimenti durante la preparazione e divenire causa del

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manifestarsi di contaminazioni. Occorre quindi agire sull’igiene del personale, sul suoabbigliamento, sul suo comportamento e sulla sua formazione ed è necessario, inoltre,che tali azioni vengano comprese ed accettate dal personale stesso che deve essere con-sapevole del rischio di contaminazione che rappresenta.Il controllo dei rischi può essere ottenuto seguendo le istruzioni di questa sezione in rela-zione all’igiene del personale ed alle modalità che si conducono durante il processo dipreparazione.Vengono riportate le fondamentali norme igieniche che il personale addetto deve osser-vare; a queste fa seguito il buon senso di ogni operatore che si trovi a contatto con sostan-ze alimentari.

• Lavarsi le mani accuratamente e frequentemente, utilizzando acqua calda, sapo-ne liquido (o in polvere) ed asciugamani monouso e non riutilizzabili, ed in par-ticolare:

• prima di iniziare ogni lavorazione • dopo aver usato i servizi igienici• prima di manipolare alimenti• dopo aver manipolato oggetti o alimenti nelle varie fasi di processo • dopo essersi soffiati il naso• dopo aver toccato i rifiuti o i contenitori della spazzatura.

• Proteggere ferite ed abrasioni della pelle con cerotti resistenti all’acqua.• Tenere le unghie pulite e corte, evitandone la laccatura.• Utilizzare una divisa pulita, bianca ed idonea ad ogni operazione.• Indossare la cuffia protettiva, prestando attenzione a ricoprire l’intera capiglia-

tura.• Indossare calzature idonee e utilizzarle solo in caseificio• Evitare di compiere contemporaneamente più operazioni che possano favorire

possibili contaminazioni crociate, rispettando le mansioni assegnate.• Evitare di utilizzare prodotti detergenti durante le lavorazioni.• Non fumare nei luoghi di lavoro.• Rivolgersi al medico in qualsiasi caso di malattia, anche la più elementare.

EDIFICI LOCALIGli edifici e i locali devono essere tenuti in buono stato e sottoposti a manutenzione ogniqual volta se ne rileva la necessità. I vari locali di un caseificio sono: ricevimento/depo-sito latte, locale di caseificazione, stagionatura, confezionamento, vendita, i quali devo-no essere puliti, costruiti in modo tale da consentire un’adeguata pulizia e impedire l’ac-cumulo di sporcizia. Per quanto possibile, devono essere esenti da vapore, umidità eacque residue, onde evitare la formazione di condensa e muffe indesiderate sulle super-fici. Le porte e le finestre devono avere una superficie facilmente pulibile e disinfettabi-le; le finestre devono essere costruite in modo da impedire qualsiasi accumulo di sporci-

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zia e nel caso di apertura verso l’esterno devono essere munite di reti antinsetti facilmen-te amovibili per la pulizia.

ATTREZZATURE UTENSILIL’insieme delle attrezzature e degli utensili destinati a venire in contatto con gli alimen-ti devono essere conformi ai regolamenti vigenti, e in mancanza di regolamenti devonoessere fabbricati con materiali non assorbenti, resistenti alla corrosione e in grado di resi-stere a tutte le operazioni di lavaggio e disinfezione senza trasmettere ai prodotti sostan-ze tossiche o odori e sapori non desiderati. Le superfici devono essere lisce ed esenti dafessure o cavità.

PULIZIA E SANIFICAZIONE DI LOCALI ED ATTREZZATURELa sanificazione dei locali e di tutte le attrezzature ed utensili assumono una particolareimportanza in quanto volte a garantire la salubrità dei prodotti e ad assicurare un ade-guato livello di sicurezza igienica. Allo scopo di impedire la contaminazione degli ali-menti, l’insieme delle attrezzature e utensili deve essere pulito spesso e disinfettato. E’necessario smontarli e pulirli ad intervalli frequenti nel corso della giornata e, comunqueal termine della giornata di lavoro: è conveniente controllare con ispezioni periodichel’efficacia di tali tecniche. I detergenti e disinfettanti devono essere utilizzati per lo scopoal quale sono destinati ed essere autorizzati dall’autorità competente.Necessarie precauzioni devono essere adottate in tali operazioni per evitare che gli alimen-ti vengano contaminati dall’acqua di lavaggio, dai detergenti e dai disinfettanti; ogni resi-duo lasciato da queste sostanze su di una superficie suscettibile di entrare in contatto congli alimenti deve essere eliminato attraverso una risciacquatura con grandi quantità di acquapotabile prima che i locali o le attrezzature siano nuovamente utilizzati. Il materiale dimanutenzione e di pulizia deve essere mantenuto pulito e sistemato in apposito luogo olocale. Gli spogliatoi e i bagni devono essere mantenuti permanentemente puliti.

FASI E MODALITÀ DI SANIFICAZIONELe fasi di sanificazione sono:

1. Rimozione dei residui grossolani2. Detersione3. Risciacquo4. Disinfezione5. Risciacquo

1. La rimozione dei residui grossolani è la prima operazione da effettuare nel corso dellasanificazione. Viene effettuata ad ogni fine lavorazione e consiste nell’allontanamentodalle aree di lavoro di tutti quei residui originati nel corso della lavorazione che ostaco-lerebbero i successivi processi di pulizia.2. La detersione è l’operazione che consente di eliminare lo sporco dalle superfici tanto

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da renderle visibilmente pulite. Ci si avvale di prodotti detergenti.4. La disinfezione è un processo finalizzato alla distruzione dei germi patogeni e allariduzione del numero degli altri microrganismi.3. - 5. Dopo la detersione e dopo la disinfezione, le superfici e le attrezzature di lavora-zione devono essere risciacquate fino alla completa eliminazione dei residui di detergen-te e disinfettante con acqua corrente. La presenza di residui di prodotti detergenti o disin-fettanti potrebbe, infatti, costituire un fattore di rischio.Le diverse superfici devono essere sanificate seguendo un ordine preciso al fine di evita-re di contaminare parti già pulite. In ogni locale devono essere sanificate prima le pare-ti, poi le attrezzature ed infine i pavimenti.Prima di effettuare le diverse fasi di sanificazione è necessario rimuovere i residui di ori-gine alimentare, le polveri, parti di confezioni, liquidi ed altri materiali, che potrebberoostacolare le successive operazioni di sanificazione.Le procedure di pulizia e sanificazione sono un cosiddetto punto di controllo da registra-re. Il responsabile, in base al piano di sanificazione prestabilito, coordina l’attività deglioperatori addetti alle operazioni di pulizia e sanificazione. Le verifiche della corretta ese-cuzione di tutte le operazioni di pulizia e sanificazione vengono effettuate dal responsa-bile all’autocontrollo. Tutte le operazioni di pulizia e sanificazione vengono registrate suapposite schede di verifica dell’applicazione in oggetto. Si propongono schede di regi-strazione (SR) giornaliere, settimanali, quindicinali e mensili (Schede da consultare inappendice).

STOCCAGGIO DEI PRODOTTI USATI PER LA SANIFICAZIONEI prodotti usati per la detersione e sanificazione sono conservati in un ambiente separatodalla zona di produzione al fine di evitare il contatto accidentale con il prodotto. Inoltrelo stoccaggio dei prodotti avviene in uno spazio riservato a tale scopo. Si ricorda l’inuti-lità dell’utilizzo di svariati prodotti per la detersione e la disinfezione, per non gravare ininutili spese, si consiglia quindi un detergente basico e uno acido saltuario per rimuove-re la pietra lattea e un sanificante a base di sali quaternari d’ammonio per superfici eattrezzature che vengono a contatto con gli alimenti, ricordandosi di richiedere al forni-tore la scheda tecnica del presidio in questione.

BUONE REGOLE DI LAVORAZIONE NEL PROCESSO DI CASEIFICAZIONECiascuna operazione unitaria all’interno del processo di caseificazione presenta delleprocedure, chiamate buone pratiche di lavorazione, che riducono al minimo i rischi ed ipericoli associati alla produzione. Si rimanda quindi per osservare tali pratiche al capito-lo della tecnologia produttiva dove ogni fase è descritta nel complesso. Qui riportiamoun elenco delle buone pratiche di lavorazione da adottare, compatibilmente con il dia-gramma di flusso delle operazioni.

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MUNGITURAPrima della mungitura pulire la mammella e i capezzoli usando un differente panno umidoper ogni vacca, mammelle molto sporche necessitano di un lavaggio completo e, una voltafinito i capezzoli vanno asciugati bene prima di attaccare il gruppo di mungitura.E’ bene separare, in bovine sospette, i primi spruzzi di latte, verificando in esso dei cam-biamenti visibili. La concentrazione maggiore di batteri e cellule somatiche è presentenei primi millilitri di latte munto. Dopo la mungitura esercitare eventualmente cureall’apparato mammario, ricordandosi che se un animale è stato sottoposto a trattamentoterapeutico, il latte prodotto non deve essere utilizzato per tutto il tempo di sospensioneindicato. Le prescrizioni veterinarie devono essere conservate in azienda.

CONSERVAZIONE DEL LATTESe il latte non è refrigerato deve essere lavorato subito, può venire conservato per 48 oresolo se portato a 4 °C, il latte di capra può rimanere conservato a 4 °C per 72 ore.

FILTRAZIONEQuando il latte arriva in caseificio, tramite tubazione o bidoni, è consigliabile filtrarlonuovamente, verificando l’integrità del filtro e le sue condizioni igieniche.

SCREMATURASe si impiega una centrifuga smontare e pulire la macchina tutte le volte che viene uti-lizzata. Per la scrematura fatta per affioramento coprire le bacinelle e in alcuni casi com-patibilmente con il prodotto da ottenere, acidificare il latte con l’aggiunta di fermenti lat-tici così da competere con sviluppi microbici anomali, aumentare la resa del coagulo efacilitarne lo spurgo.

RISCALDAMENTO e TERMIZZAZIONEControllare in queste operazioni la temperatura e il tempo con termometro (non a mercurio).

AGGIUNTA di FERMENTI e CAGLIOQuando si utilizzano fermenti (termofili 40-42 °C e mesofili 25-30 °C) occorre dosarli inbase ad acidità e attività del latte, alla tecnologia di produzione e al tipo di fermento uti-lizzato. Nel caso di lattoinnesti o sieroinnesti prodotti in caseificio bisogna porre estremacura alla pulizia di tutta l’apparecchiatura, controllando temperature, tempi e acidità daraggiungere. Badare all’infezione da fagi praticando un adeguato turn-over dei fermentiutilizzati, rispettando tempi di scadenza e modalità di conservazione degli stessi.

LAVORAZIONE in CALDAIASi ricorda che il pericolo maggiore in cui si può andare in contro in queste fasi è una con-taminazione da insufficiente igiene di attrezzature e personale. Tra i tagli e le soste è

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opportuno misurare l’acidità del siero per assicurarsi che i lattici , nativi o aggiunti stia-no sviluppandosi regolarmente. Ogni tipologia di formaggio ha parametri diversi, perquesto motivo è importante fare riferimento ad una scheda di lavorazione (in appendiceal capitolo) che sarà utile come guida.

ESTRAZIONE della CAGLIATANelle operazioni relative a questa fase è importante individuare precisamente il lotto diproduzione, marchiando il preparato con numero aziendale, data di fabbricazione, nume-ro progressivo che individua il lotto; questa pratica è prevista dalla normativa e può rap-presentare una facile operazione che consente la rintracciabilità del prodotto e la separa-zione di prodotti non conformi.

SALATURA e STAGIONATURALa salatura a secco è svolta utilizzando sale grosso e calcolata in base al tipo di prodot-to, al peso, alla forma (mediamente 2-3%). Per la salamoia si consiglia di bollire l’acquacon il sale, controllare acidità e concentrazione di NaCl. Separare residui di sostanzaorganica (pezzi di formaggio, ecc.) periodicamente.Nella stagionatura sono indispensabili cure di manutenzione e rivoltamento effettuati conscadenza caratteristica per ciascun tipo di formaggio. Per i formaggi freschi si raccoman-da la pulizia costante delle superfici di stagionatura

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S.R.N

°

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QUESITI FREQUENTI SU FORMAGGI ED ALIMENTAZIONE

Come è classificabile nutrizionalmente un formaggio?

Il formaggio è un alimento ricco di proteine e di lipidi, inoltre può ritenersi la principalefonte di calcio e fosforo, componenti fondamentali dell’apparato scheletrico; grazie all’ele-vata biodisponibilità dei suoi nutrienti, ovvero la capacità di essere assorbiti e utilizzati dal-l’organismo umano, il formaggio è un prodotto alimentare nobile di elevatissimo valorenutrizionale.

Situazioni dietetiche particolari e raccomandazioni sul consumo diformaggi. Che cosa consigliare?

I formaggi a stagionatura media/lunga sono consigliati in tutti quei casi in cui la loro ele-vata appetibilità e densità energetica sia di ausilio nell’aumentare e nel favorire i processidigestivi (dietetica sportiva, ipocinesi e iposecrezione gastrica, anoressia, ecc.).

Viceversa in situazioni dietetiche caratterizzate da insufficienza epatica, gastrite, statiirritativi dei tessuti epiteliali, sono da sconsigliare i formaggi in cui si riscontrano elevate con-centrazioni di prodotti di degradazione contenuti soprattutto in quelli a stagionatura pro-lungata dove si riscontra elevata lipolisi e proteolisi. Tutti questi formaggi sono senz’altro daevitare in presenza di cefalee, allergie scatenate dalla presenza di ammine, terapie con far-maci anti-MAO (psicofarmaci). In queste situazioni sono da consigliare invece i “non stagio-nati” o “a pasta fresca”.

È più digeribile un formaggio fresco o un formaggio stagionato?

Un formaggio stagionato, proprio perché ha subito un processo di maturazione. Durantela stagionatura le molecole di caseina, la principale proteina del latte, ed i trigliceridi, sub-iscono modificazioni, in particolare una riduzione delle loro dimensioni, determinando unamaggior capacità di assorbimento.

Il contenuto di grassi nei formaggi li rende dannosi per i soggetti a cuiè stata consigliata una dieta equilibrata?

L’importante con un alimento così concentrato è non eccedere; mediamente l’introduzio-ne di 3-5 razioni settimanali di circa 40-50 g giornalieri per un prodotto stagionato e di circa80/100 g di un formaggio fresco, sono compatibili con qualsiasi tipo di comportamento ali-mentare che non abbia serie complicanze cliniche.

Cosa significa percentuale di grasso sulla sostanza secca (%s.s.) di unformaggio?

La sostanza secca di un formaggio rappresenta tutti i costituenti del formaggio, una voltaestratta tutta l’acqua. Quindi, se viene indicato che un formaggio ha il 50 % di grasso sullas.s., non significa che sia composto per metà da grasso, bensì che, una volta eliminata l’ac-qua, metà di quel che rimane è grasso.

È più calorico un formaggio fresco o uno stagionato?

Un formaggio fresco è più ricco d’acqua di uno stagionato; a parità di peso un formaggio

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fresco fornisce circa 1/3 di Kilocalorie in meno. Occorre però dire che a parità di apporto calo-rico, una porzione di formaggio stagionato è pari alla metà di formaggio fresco, fornendoquindi un apporto di nutrienti maggiore.

Fornisce più “grasso” in un pasto un formaggio fresco o un formaggiostagionato?

Confrontando due formaggi di caratteristiche opposte, un formaggio fresco a latte inte-ro (mozzarella) e un formaggio stagionato a latte parzialmente scremato (tipo grana), sipossono fare alcune considerazioni.

Cento grammi di formaggio fresco contengono: 50g di acqua e 20g di grasso.Cento grammi di formaggio stagionato contengono: 30g di acqua e 25g di grasso.Valutiamo che mangiare 100 g di formaggio fresco è normale, mangiare 100 g di formag-

gio stagionato corrisponde a circa 2 porzioni e mezzo; il formaggio stagionato fornisce, pro-porzionalmente alla sua giusta quantità introdotta (50g), circa la metà del grasso.

La ricotta è sempre un latticino con basso tenore di grasso?

La ricotta è ottenuta dalla cottura del siero a 85-90 °C e rappresenta un coagulo di siero-proteine. Essa è più magra della cagliata nella quale la rete caseinica imprigiona i globuli digrasso trattenendoli; a molte ricotte però di consistenza cremosa e spalmabile è stataaggiunta latte o crema di latte o panna, conseguentemente il contenuto lipidico e caloricoaumenta.

Il contenuto di colesterolo determina l’impossibilità di introdurre for-maggi nella dieta?

Per superare la soglia critica di 300 mg/die di colesterolo, un soggetto dovrebbe mangia-re quantitativi di formaggio superiori a 300 g al giorno; ricordandosi che questo componen-te (ritenuto pericoloso per individui con problematiche cardiovascolari) è presente in quanti-tà significative anche in altri alimenti di origine animale, questi non dovranno essere abbina-ti nei giorni in cui si introducono porzioni abbondanti di formaggi e latticini in genere.

In che cosa può eccellere sotto l’aspetto nutrizionale un formaggioderivato da animali allevati al pascolo?

Recenti studi hanno confermato elevati livelli di acidi grassi polinsaturi e acidi linoleiciconiugati in formaggi derivati da animali allevati al pascolo; questi grassi sono generalmen-te carenti nel latte e nella dieta delle popolazioni europee e americane, con conseguenti pro-blemi metabolici e ripercussioni a livello cardiovascolare.

I formaggi d’alpeggio dove la razione animale è basata sul pascolo, posseggono unacosiddetta elevata capacità antiossidante, in grado di proteggere dall’ossidazione il coleste-rolo e renderlo meno pericoloso.

Sperimentazioni effettuate hanno evidenziato che acidi grassi polinsaturi e coniugaticontenuti nei latticini svolgerebbero una azione di prevenzione dell’aterosclerosi, di aumen-to della massa ossea e di modulazione immunitaria.

Esistono formaggi a “basso contenuto calorico”?

Dal marzo 1992, è finalmente consentita, anche dalla legge italiana, la produzione di queiformaggi prodotti da latte scremato o parzialmente scremato con la dicitura di "magri" o"leggeri". I problemi di equilibrio nutrizionale imputabili al notevole contributo di lipidi posso-no comunque essere agevolmente superati limitando oculatamente le quantità consumate.

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Qual è la giusta quantità di formaggio da consumare?

Per un alimento così ricco di nutrienti è opportuno consigliare una porzione di riferimen-to, essa è condizionata dal livello di attività fisica individuale, dall’abbinamento con altrevivande, dalla frequenza di consumo giornaliera e settimanale.

Una porzione di un formaggio a pasta dura varia da 40 a 80 g (vedi foto 1), per un for-maggio fresco a pasta molle si passa da 80 a 130 g.

Queste porzioni, se affiancate a derivati di cereali e a vegetali freschi nelle opportunequantità, diventano un pasto completo capace di soddisfare il “Livello di AssunzioneRaccomandato di Nutrienti” consigliato.

Quali sono le peculiarità nutrizionali del formaggio di capra?

Il latte caprino possiede caratteristiche proprie che si manifestano anche sulle prepara-zioni casearie, soprattutto sono diverse la componente lipidica e proteica, i globuli di grassoe le micelle (aggregati di caseina) hanno dimensioni ridotte rispetto al latte vaccino.

Alcune sperimentazioni dimostrano che individui intolleranti ai prodotti vaccini, tollerinoprodotti di origine caprina, risultando questi ultimi più digeribili e assimilabili.

Esistono controindicazioni al consumo di formaggi per soggetti affet-ti da celiachia detta anche intolleranza al glutine?

Il glutine è un artefatto derivato da proteine dei cereali la cui formazione è legata alleoperazioni di impasto delle farine usate per prodotti da forno o per la produzione di pasta ali-mentare. Questo tipo di sostanza non è assolutamente contenuta nei prodotti a base dilatte, di conseguenza le persone affette da celiachia sono libere di nutrirsi con formaggio.

È possibile mangiare la crosta del formaggio?

Essa rappresenta nei formaggi una sorta di involucro la quale può presentarsi sotto sva-riate forme. Tendenzialmente è da scartare la parte di pasta che ha un contatto prolungatocon l’aria perchè si verificano delle reazioni di ossidazione e di irrancidimento soprattutto acarico di grassi e steroli che li trasformano in sostanze antinutrizionali. Le croste in generehanno un’elevata carica microbica; formaggi con croste putride o pigmentate di colori qualiil giallo e il rosso presentano croste non edibili, come pure formaggi completamente privi difioritura è probabile siano rivestiti di additivi antimicrobici per la conservazione.

Alcuni individui hanno manifestato disturbi generalizzati, mal di testae nausea in seguito al consumo di formaggi. Sono individui allergiciche non possono permettersi di mangiarli?

L’attività microbica provoca nel corso della maturazione una degradazione dei grassi edelle proteine del formaggio che, a seconda della lavorazione, può essere limitata o raggiun-gere valori percentualmente anche molto elevati. La proteolisi spinta fornisce amminoacidiliberi che possono essere decarbossilati ad ammine biogene (istamina, tiramina,etc.) dallaflora microbica del formaggio. In alcuni soggetti queste sostanze provocano: sbalzi pressori,rossori al viso ed al corpo, mal di testa ed anche nausea . Tali ammine sono particolarmentepresenti in alcune tipologie di formaggi a lunga maturazione. Tutti questi formaggi sonosenz’altro da evitare agli individui soggetti ad emicranie, intolleranza ad altri alimenti fer-mentati (vino, cioccolato, salsa di soia) scatenata dalla presenza di ammine, terapie con far-maci anti-MAO (alcuni antidepressivi). In tali situazioni i formaggi da consigliare apparten-gono alla tipologia “non stagionati” o “a pasta fresca”.

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Esistono allergie e intolleranze ai prodotti lattiero caseari?

Sì, alcuni individui, in particolare bambini, ma anche adulti in cui l’allergia o l’intolleranzaa volte perdura per tutta la vita, risultano allergici alle proteine del latte. In questo caso, ilconsumo dei formaggi (come di tutti i derivati del latte) deve essere evitato.Fortunatamente sono casi rarissimi che riguardano pochi soggetti; è invece diffusa la catti-va abitudine di raccomandare la proibizione di alcuni alimenti, tra cui anche i latticini, senzaavere fondate prove medico scientifiche. In questo modo si mette a repentaglio il dogmafondamentale di una sana e corretta alimentazione basata su una dieta il più possibile varie-gata, come consigliava la nonna: mangiare di tutto.

Qual è il metodo di conservazione che permette di preservare le carat-teristiche organolettiche, nutrizionali e di salubrità del formaggio?

Il frigorifero è sicuramente il luogo migliore per i formaggi freschi, dove è possibile conser-varli per qualche giorno nel medesimo contenitore in cui si trovavano all’atto della vendita.

I formaggi stagionati possono essere conservati in un contenitore ermetico a temperatu-re non superiori ai 10-12°C e mantenuto al buio. La pellicola alimentare permette una con-servazione migliore di piccoli pezzi singoli, ma deve essere cambiata dopo qualche giornodal porzionamento.

Ci sono delle situazioni alimentari in cui i latticini ed i formaggi sonoparticolarmente indicati?

Il calcio è il nutriente che caratterizza tutti i latticini, dove è presente nella forma più biodi-sponibile per l’assorbimento e l’utilizzazione a favore dell’organismo umano, quindi tutti i for-maggi sono particolarmente utili in situazioni dietetiche che richiedano elevati apporti di calcio(gravidanza, allattamento, rachitismo, prevenzione precoce dell’osteoporosi). Dovrebberoquindi essere inseriti stabilmente nei protocolli dietetici che prevedono elevati apporti di fibraalimentare e prodotti alimentari contenenti fitati (questi ultimi sono presenti in alta concentra-zione in molti alimenti di origine vegetale e sono in grado di chelare il calcio diminuendone cosìla sua biodisponibilità), come ad esempio in quelli per il trattamento della stipsi cronica.

Esistono formaggi che forniscono un maggior apporto di calcio?

Particolarmente ricchi di calcio sono i formaggi a pasta “semiduri” e “duri”, che grazie altipo di lavorazione della cagliata, a coagulazione presamica, che evita perdite di calcio ini-ziali ed al caratteristico ridotto contenuto in acqua, contengono sino a 1200 mg di calcio su100 g di prodotto tal quale, corrispondenti a 1-1,5 volte il fabbisogno giornaliero di calcio (adesempio, formaggi tipo grana).

Esistono dei formaggi biologici, le cui caratteristiche nutrizionali sonoda preferire nei confronti di quelli prodotti con metodo convenzionale?

Dal 1999 anche i prodotti lattiero-caseari possono essere garantiti come biologici, perchéderivati da latte di allevamenti che adottano condizioni produttive certificate e compatibili conil metodo “bio”. Queste produzioni garantiscono un miglior utilizzo delle risorse aziendali,ridotto impiego di fertilizzanti e presidi sanitari, grazie a idonee pratiche agronomiche e alle-vamenti rispettosi della salute animale; la conduzione biologica si traduce in un valore aggiun-to determinato dalla compatibilità ambientale e dal miglior sfruttamento delle fonti naturali.

A tutt’oggi nessuna testimonianza scientifica fondata permette di dichiarare che un for-maggio “bio” è nutrizionalmente più pregiato per la presenza di principi nutritivi e nutrientirispetto ad uno convenzionale.

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INDICEINTRODUZIONE pag. 7

IL LATTE “ 8

IL LATTE DI CAPRA “ 9COMPOSIZIONE CHIMICA E VALORE NUTRIZIONALE “ 9GLI INDICI CHIMICO-FISICI DEL LATTE CAPRINO “ 12I PARAMETRI IGIENICO-SANITARI DEL LATTE DI CAPRA “ 12

L’ACIDIFICAZIONE NELLA TECNOLOGIA CASEARIA “ 14LA FERMENTAZIONE LATTICA “ 14I BATTERI LATTICI: ORIGINI, RUOLI E CONDIZIONI DI SVILUPPO “ 15L’HABITAT E L’ORIGINE DEI BATTERI LATTICI “ 16LE VIE DEL METABOLISMO DEL LATTOSIO “ 16L’UTILIZZO DEI CITRATI “ 17EFFETTO DELLA TEMPERATURA SULLO SVILUPPO DEI BATTERI LATTICI “ 17I BATTERI LATTICI MESOFILI “ 18I BATTERI LATTICI TERMOFILI “ 18EFFETTO DEL PH SULLO SVILUPPO DEI BATTERI LATTICI “ 18EFFETTO DELL’ATTIVITÀ DELL’ACQUA (AW) SULLO SVILUPPO DEI BATTERI LATTICI “ 18EFFETTO DEL POTENZIALE DI OSSIDORIDUZIONE (EH) SULLO SVILUPPO DEI BATTERI LATTICI “ 18ESIGENZE NUTRIZIONALI DEI BATTERI LATTICI “ 19SENSIBILITÀ DEI BATTERI LATTICI AD ALCUNE SOSTANZE INIBITRICI “ 20CARATTERISTICHE DEI FERMENTI LATTICI UTILIZZATI IN CASEIFICIO “ 21LA MICROFLORA ALTERATIVA E PATOGENA “ 23

GLI STRUMENTI CHE PERMETTONO DI MISURARE E DI SEGUIRE L’EVOLUZIONE DELL’ACIDITÀ “ 27

RUOLO E SVILUPPO DELL’ACIDIFICAZIONE NELLA TECNOLOGIA DI CASEIFICAZIONE “ 29RUOLO E SVILUPPO DELL’ACIDIFICAZIONE NELLA TECNOLOGIA DI CASEIFICAZIONEDI UN FORMAGGIO A COAGULAZIONE LATTICA “ 29IL PROFILO DI ACIDIFICAZIONE NELLA TECNOLOGIA DI CASEIFICAZIONEDI UN FORMAGGIO A PASTA PRESSATA NON COTTA “ 30I PARAMETRI TECNOLOGICI CHE INFLUENZANO IL PROCESSOD’ACIDIFICAZIONE E DI COAGULAZIONE DEL LATTE “ 32CARATTERISTICHE DEL LATTE CHE AGISCONO SULL’ACIDIFICAZIONEE SULLA COAGULAZIONE “ 33

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ALTRI FATTORI CHE AGISCONO SULL’ACIDIFICAZIONE E SULLA COAGULAZIONE “ 34

STRUMENTI E TEST PRATICI PER IL MONITORAGGIO DELLA QUALITÀ DEL LATTE “ 36

I SISTEMI DI GESTIONE DELLA TEMPERATURA IN CASEIFICIO “ 38

DAL LATTE AL FORMAGGIO: LE FASI DELLA CASEIFICAZIONE “ 40LA MATERIA PRIMA “ 40RISCALDAMENTO “ 41INNESTO DEI FERMENTI LATTICI “ 41AGGIUNTA DEL CAGLIO “ 41COAGULAZIONE “ 42LAVORI IN CALDAIA “ 44ESTRAZIONE E FORMATURA “ 45PRESSATURA “ 45SALATURA “ 46STAGIONATURA “ 46ASCIUGATURA “ 47CONFEZIONAMENTO “ 47ETICHETTATURA “ 47SCHEDE DI LAVORAZIONE DEI FORMAGGI CAPRINI PRODOTTI NEL TERRITORIO DEL VCO “ 48

I DIFETTI DEI FORMAGGI “ 54

IGIENE E BUONE PRATICHE DI LAVORAZIONE “ 60LE BUONE REGOLE DI LAVORAZIONE “ 60COME EVITARE LA CONTAMINAZIONE “ 61NORME INGIENICHE DEL PERSONALE “ 63EDIFICI LOCALI “ 64ATTREZZATURE UTENSILI “ 65PULIZIA E SANIFICAZIONE DI LOCALI ED ATTREZZATURE “ 65FASI E MODALITÀ DI SANIFICAZIONE “ 65STOCCAGGIO DEI PRODOTTI USATI PER LA SANIFICAZIONE “ 66BUONE REGOLE DI LAVORAZIONE NEL PROCESSO DI CASEIFICAZIONE “ 66

QUESITI FREQUENTI SU FORMAGGI ED ALIMENTAZIONE “ 73

BIBLIOGRAFIA “ 77

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Stampa Press Grafica - Gravellona ToceGiugno 2012

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