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PERIODICO della FIDAart N.5 - Maggio ANNO 2015 FIDAart

FIDAart N.5 2015 Livio Conta

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Rivista di arte e cultura

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In copertina: Livio Conta, Chiaro di luna fra i rami, 2007, olio su tela, 80x75 cm

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Copyright FIDAart Tutti i diritti sono riservatiL’Editore rimane a disposizione degli eventuali detentori dei diritti delle immagini (o eventuali scambi tra fotografi) che non è riuscito a definire, nè a rintracciare

Intervista ad un artista Livio Conta

News dal mondo

pag. 4

pag. 5

pag. 6-19

Trentin Street Art Politiche culturali

Editoriale L’arte della fuffa e della truffa

pag. 22-23

pag. 20-21

Colt National Monument

Mercato dell’arte? Piero Manzoni

Colt SAA Revolver

FIDAartsommario05Maggio 2015, Anno 4 - N.5

pag. 32

pag. 24-25Storia dell’arte Steve Mc Curry

PIERO MANZONI

PIERO MANZONI

PIERO MANZONI

PIERO MANZONI

Omaggio a PIERO MANZONI “Monochrome Polyforme”, 2015

pag. 30

pag. 28

pag. 31

pag. 29

“ACHROME”, 1958-59

“ACHROME”, 1962

“ACHROME”, 1958

“ACHROME”, 1959

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EDITORIALE

L’ARTE DELLA FUFFA E DELLA TRUFFA

Qualcuno riconoscerà nell’immagine in alto il tipico “segno” di Cy Twombly, famoso artista americano trasferitosi in Italia negli anni cin-quanta e scomparso a Roma nel 2011 a 83 anni: un ghirigoro infantile tracciato con il pastello a cera (quelli dei bambini) su un fondo di comu-ne vernice ad olio. Il quadro, “Senza titolo” del 1970, ha le dimensioni di 155x190 cm. Ipotizziamo di trovarci di fronte a quest’opera in una galleria, una fiera o un’asta, senza sapere nulla dell’autore e di trovarla piacevole, oppure bella o anche bellissima e di volerla acquistare.Si sa che il prezzo di un dipinto ha poco di ogget-tivo ma, alla luce delle dimensioni, della tecni-ca usata, del contenuto, dell’impegno richiesto

all’artista per realizzarla e della sua piacevolez-za, quanto sareste disposti a pagare? E, anche non volendo limitarsi alle proprie (limi-tate) disponibilità economiche, quale potrebbe essere un “prezzo congruo” tale da remunerare l’artista, il proprietario del dipinto, il mercante, la casa d’aste, lo Stato e tutti quelli che ci gua-dagnano sopra? Questo tipo di “test del buon senso” proposto a persone non digiune di arte e di mercato, dà mediamente dei risultati non superiori a qualche decina di migliaia di dollari. Ora, provate ad azzardare una stima del quadro e poi leggete sotto a quale cifra è stato venduto all’asta di Christie’s di New York l’anno scorso.

Cy Twombly, “Untitled”, 1970, vernice ad olio, pastello a cera su tela, 155x190 cm, Christie's New York 2014, venduto a $ 69.605.000 (61.110.355 €)

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POLITICHE CULTURALI

TRENTIN STREET ART

L’operato dei TSW, i “Trentin Street Writers” (nome di fantasia), cioè i “creativi” che hanno ricoperto con spry multicolori tutte le facciate della ex mensa e del retro del Centro Culturale S. Chiara, merita un approfondimento. Tralasciando l’effetto complessivo abbastanza deprimente per il senso di abbandono e degra-do degli edifici pubblici, si può constatare che, a parte alcuni graffiti in cui si vede qualche capa-cità grafica e abilità nell’uso delle bombolette, la maggioranza dei “lavori” denota un’assenza di fantasia demoralizzante a causa di un reper-torio formale limitato e modesto composto dal-le solite Tag (firme) in Bubble style (lettere gon-fiate e ombreggiate), o peggio, da scarabocchi vandalici puri e semplici. Qual è la colpa di questi (speriamo) ragazzi? Non tanto quella del reato di imbrattamento di immobili pubblici punito dall’art. 639 del Codi-ce Penale con la pena della reclusione da uno a sei mesi! o della multa da 300 a 1.000 €, quanto quella di conformismo, banalità e ripetizione di moduli scontati e già visti da quattro decenni.Vuoi fare il writer alternativo e, magari, anche l’artista? Allora devi guardare “cosa e come” è stato fatto nel mondo, studiare e cercare di cre-are qualcosa di personale. Non basta ingrandire le scritte fatte a pennarello sui margini dei libri di scuola: l’arte richiede passione, esercizio, ri-

cerca. Se non si ha niente da dire, delle idee, un pensiero autonomo, allora è meglio risparmia-re i soldi degli spry ed evitare di aumentare i gas nocivi nell’atmosfera. D’altro canto, è positivo che dei giovani inve-stano il proprio tempo in attività collettive il cui fine è comunicativo ed estetico. Gli spry sono strumenti eccezionali in mano a persone capa-ci, ricchi di potenzialità formali e cromatiche ma, per apprenderne la tecnica, bisognerebbe poterli provare senza la paura di essere denun-ciati. Esiste a Trento un luogo che ben si preste-rebbe ad essere oggetto di grandi interventi di Street Art: il lungo, altissimo e triste muro che delimita l’area delle carceri di via Barbacovi.Perché non fornire gratuitamente il materiale e le attrezzature a singoli o a gruppi di writers, dando loro la possibilità di dipingere veri mu-rales che rendano più colorate le strade di una città un po’ troppo ingessata?

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Intervista a LIVIO CONTA

In basso: Notte in montagna, 2007, olio su tela, 70x100 cm

A sinistra: Meditazione, 2004, legno policromo, 65x50x25 cm

Nel panorama artistico trentino, Livio Conta ricopre un ruolo del tutto particolare. Artista a tutto tondo, è ottimo scultore dallo stile personale e potente con qualsiasi materiale: legno principalmente, ma anche pietra, bronzo, ceramica; è un bravissimo pittore che padroneggia tutte le tecniche, comprese quelle incisorie; possiede perfettamente il disegno con cui riesce a rappre-sentare con pochi e sintetici tratti studi di persone e bozzetti di sculture; realizza opere in mosaico, in acciaio, in vetro come nelle enormi vetrate della cattedrale di Tirana. Insomma, un artista com-pleto - come quelli di “una volta” - per intendersi, capace di fare tutto da solo ma, allo stesso tempo, sempre attento al nuovo e interessato a ricercare e sperimentare.Personaggio tutto d’un pezzo (come si conviene ad uno scultore) perchè, dopo aver vissuto a Parigi, Milano e molto viaggiato, ha deciso di ritornare alla sua terra d’origine stabilendosi a Monclassico, in Val di Sole, rinunciando così ad un successo più facilmente raggiungibile per privilegiare il rap-porto con le proprie radici. Nonostante il suo essere distante dai circuiti artistici e commerciali - o forse proprio per questo - Livio è riuscito a sviluppare e approfondire un suo mondo espressivo personale assolutamente riconoscibile e apprezzato che gli ha permesso di portare le sue opere in tutto il mondo. Non credo di sbagliare dicendo che è l’artista che più ha lavorato fuori del Trentino mantenendo sempre, però, quella sua caratterizzazione che ha colpito anche il Maestro Benedetti Michelangeli, diventato suo grande amico ed estimatore. Nel mercato artistico finanziarizzato d’oggi in cui capacità, competenza, impegno, coerenza, sono qualità marginali e sottomesse alla provocazione, alla moda e alla produzione di continue novità, Livio Conta rimane esempio di una serietà artistica e professionale sempre più rara. Paolo Tomio

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Aspettando l’alba, 1990, olio su tela, 180x140 cm

Quando e perché hai cominciato ad interessarti all’arte e dedicarti alla pittura?

Quando ero bambino la mia più grande sod-disfazione era prendere in mano una matita e disegnare tutto quello che vedevo o riprendere delle illustrazioni che a quel tempo mi sembra-vano dei capolavori. Oppure con qualche sgor-bia intagliare dei pezzetti di legno. Il mio inte-

resse maggiore consisteva nel sfogliare qualche raro libro d’arte e nel pensare a come si sareb-bero potute creare quelle “magie”. Quindi sono cresciuto interessandomi sempre all’arte, fin-chè intrapresi lo studio all’istituto d’arte. Poi ne feci il mio motivo di vita.

Quali sono state le correnti artistiche e gli artisti che più ti hanno influenzato?

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Potrei dire che lo scultore Rodin è stato uno dei personaggi più emblematici e complessi della scultura francese. Per la sua forza espressiva e capacità tecnica mi ha sempre impressionato.

Nel corso della tua carriera, hai conosciuto arti-sti locali o nazionali?

Ho conosciuto molto bene Augusto Murer, bel-lunese di Falcade. Renato Guttuso che incontrai a Merano, mi spronò a proseguire con la pittu-ra. A Roma conobbi il poeta e disegnatore Sini-sgalli e lo scultore Mastroianni.

Metamorfosi, 2000, bronzo, 82x37x60 cm

A Pietrasanta di Carrara frequentai un corso di scultura tenuto da Marino Marini.A Milano poi mi ricordo Floriano Bodini, Cap-pello, Barratella,il pittore Frunzo e tanti altri.

Perché, dopo aver vissuto a Parigi e a Milano, sei ritornato in Trentino?

E’ una storia lunga da raccontare. Sono torna-to principalmente per motivi famigliari, ma con l’intenzione di andarmene appena possibile e

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L’intervista, 1983, olio su tela, 250x150 cm

non rimanere in provincia….e mi ritrovo ancora qui dopo molti anni con la stessa voglia di an-darmene.Dove?…forse ancora a Parigi.

Pensi che un artista debba rimanere sempre le-gato alle proprie radici?

Non è che l’artista deve rimanere legato alle proprie radici. Rimane comunque anche se non lo vuole.Magari non si accorge, oppure tenta tutte le vie per non pensarci, ma l’inconscio non dimentica.

Hai praticato tutti i tipi di scultura: pietra, bron-zo, gesso ecc. ma perché è il legno che rimane il tuo preferito?

Il legno è una materia che non muore mai. Il tronco di legno si trasforma in una scultura e rivive una seconda vita. Ha il pregio di rivelare

la propria età con le nervature e con le sue scre-polature impreziosisce l’opera e la rende viva. Inoltre ha molte colorazioni, dal nero dell’eba-no al bianco dell’acero.

C’è il pericolo che la scultura in legno naturale sia vista come uno “stile alpino”?

Non credo che il legno sia legato solo allo sti-le alpino. Diversi artisti si sono cimentati con il legno. Come ad esempio Arturo Martini, Bar-lach, Ceroli, Vangi…ecc…E’ un materiale come gli altri adatto per la scultura, anche se bisogna apprendere la tecnica per riuscire a scolpire il legno.

Hai sempre continuato a disegnare, incidere e dipingere: quali sono, secondo te, le diversità tra le arti visive e la scultura?

Nella scultura c’è la tridimensionalità, la co-

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Incontri, legno, diamentro 120 cm

La Porta Della Luce, 1986, legno, 80x180 cm

struzione compositiva, i volumi ed il rapporto con lo spazio. Questa è la difficoltà, ma anche la bellezza della scultura. La pittura è più facile della scultura, perché è bidimensionale e sem-pre rimediabile. La parte difficile sta nel gusto e negli abbinamenti del colore, oltre che nella nella composizione.Nella scultura la soddisfazione è totale quando una forma riesce secondo la propria immagi-nazione, ma richiede sempre uno studio molto più complesso, rispetto ad altre tecniche.

Prima di approdare ad un linguaggio più figura-tivo, hai frequentato anche forme di espressio-ne astratta?

Ci fu un episodio breve negli anni sessanta, dove mi ero indirizzato verso un’astrazione del-la figura, con delle composizioni che oggi sem-brano strane, però equilibrate nei colori. Que-sto succedeva solo nella pittura.

Come definiresti il tuo linguaggio? Quali sono, secondo te, le caratteristiche che ti rendono ri-conoscibile?

Il critico d’arte Luigi Marsiglia scrive così: “L’arte di Livio Conta interpreta con linguaggio moder-no e contemporaneo, le radici dell’umano, radi-ci che si trovano in alto,accanto alla cima delle montagne”. Ci sono elementi ricorrenti nelle mie forme scultoree, tipo i legacci, figure che generalmente sono rivolte verso l’alto o fuse assieme. Oppure attraversate da un volo di co-lombe o altri elementi che richiamano l’ester-narsi di sentimenti o situazioni.

Qual è il significato delle donne con la testa ri-volta al cielo, un tema che ricorre spesso nelle tue opere?

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Esodo Spirituale, 2010, bronzo, 60x35x35 cmMi ha insegnato che i doni ricevuti non appar-tengono solo esclusivamente a noi artisti, ma si devono condividere con coloro che non li han-no. L’artista ha una responsabilità verso l’altro e quindi deve dare il massimo di se stesso, per far fruttificare il talento ricevuto. Mi ha insegnato quindi che si deve lavorare con fatica, sviluppa-re e raffinare sempre più il modo di esprimere la propria arte. Soprattutto credere in quello che si fa nonostante le difficoltà.

E’ un atteggiamento di chi cerca una luce diver-sa, una speranza, di chi invoca un aiuto, di chi cammina con fiducia verso un mondo migliore.

Sei stato un grande amico di Arturo Benedetti Michelangeli: cosa ti ha dato artisticamente questo personaggio?

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C’è qualcosa che ti interessa o che non ti piace nella scultura contemporanea?

Mi interessa l’arte contemporanea quando è seria. Quando un artista ne fa la sua professio-ne ed è frutto di studio, fatica e ricerca. Non mi piacciono e quindi non mi interessano le trova-te, le improvvisazioni e voler essere artisti a tut-ti i costi, anche quando è evidente l’assenza to-tale di talento. Soprattutto non voglio chiamare nemmeno “arte” le provocazioni, le volgarità, le banalità e tante brutture che purtroppo vengo-no spacciate come arte al giorno d’oggi.

Cosa cerchi di rappresentare nelle tue opere: concetti o emozioni?

Direi che mi interessano di più i concetti, perché le emozioni possono passare in fretta, mentre i concetti fanno riflettere e durano nel tempo.

Libertà, 2003, bronzo, 44x65x40 cm

Comunque credo che se l’opera d’arte è fatta con sentimento e con tutto l’impegno possibile dà sicuramente anche emozioni. Anche queste sono importanti.

Sei interessato ad un “messaggio religioso” nell’opera?

Sì certamente…cerco di esprimente sempre qualcosa di spirituale, che va oltre, che rimandi ad altro. Ognuno poi interpreta secondo la pro-pria sensibilità.

Come ti sembra il panorama degli artisti trenti-ni d’oggi? Chi apprezzi a livello provinciale?

Ho dei gusti particolari….come scultore apprez-

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Amanti, 2008, legno policromo, 100x50x70 cm

Segui la “politica culturale” trentina? Pensi che si possa fare di più per il settore dell’arte mo-derna?

Non seguo molto la politica culturale trentina. Comunque credo sicuramente che si possa fare di più, principalmente per gli artisti professioni-sti e per i giovani. Sono molto più attenti e con visioni più aperte nel Sudtirolo.

zo Renato Ischia, come pittori Ivo Fruet, Franco Chiarani…

Cosa manca agli artisti trentini per poter essere più presente sul mercato esterno?

Forse manca l’aiuto da parte delle istituzioni per scambi culturali con l’estero.

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Cos’è la bellezza? E’ un valore che ricerchi o è subordinato ad altri valori?

Dire in due parole che cos’è la bellezza è mol-to difficile. Penso comunque che ogni artista dovrebbe ricercarla, fare esperienza del bello, quello vero, che ci fa aprire il cuore al mistero e ci fa cogliere il senso profondo del nostro esiste-re. La bellezza è qualcosa che ha a che fare con la verità, la giustizia, la bontà, allarga gli oriz-zonti della coscienza umana e ci spinge verso il trascendente. La bellezza è qualcosa che eleva

l’animo umano e da speranza.Nelle mie opere ho sempre ricercato questo valore e credo che ogni artista dovrebbe essere consapevole della grande responsabilità di comunicare la bellezza.

Chi è l’artista?

L’artista è una persona che ha ricevuto un dono, un talento. Credo che l’artista abbia l’esigenza

Attesa, 1997, legno policromo, 63x20x26 cm

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puntando soltanto ad un tornaconto personale

E, per finire, cosa è per te l’arte?

Credo che l’arte sia appunto la ricerca della bel-lezza e sia indispensabile per l’umanità. Come Dostoevskij diceva:“L’umanità può vivere senza la scienza, può vivere senza pane, ma soltanto senza la bellezza non potrebbe più vivere, per-ché non ci sarebbe più nulla da fare al mondo. Tutto il segreto è qui, tutta la storia è qui”.

Volo Interiore, 2002, legno policromo, 92x35x25 cmPlenilunio, 2007, olio su tela, 80x75 cm

interiore e il dovere di esprimere questo dono, di non sciuparlo, ma di comunicarlo al prossi-mo e metterlo a servizio dell’umanità. Creando un’opera, l’artista, esprime se stesso a tal pun-to che la sua produzione costituisce un riflesso del suo essere e svela la sua personalità.L’artista non dovrebbe essere un improvvisato, come spesso capita al giorno d’oggi, o quello che fa la trovata più bizzarra. Essere artisti si-gnifica lavorare sodo per sviluppare il proprio talento e per trovare una propria strada. Un artista vero deve essere responsabile e con-sapevole di tutto ciò, per svolgere il suo lavoro senza lasciarsi affascinare dalla ricerca di vana gloria e dalla brama di una facile popolarità

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LIVIO CONTA

Livio Conta è nato il 28 gennaio 1939 a Monclassico,nella Val di Sole, in provincia di Trento.Dopo aver frequentato l’istituto d’arte si dedica a scultura, pittura e grafica. All’inizio degli anni ’60 si trasferisce a Parigi, dove si iscrive alla scuola di disegno del Museo del Louvre studiando nel contempo gli Impressionisti.Nel 1963 si reca a Pietrasanta per confrontarsi con la scultura del marmo; qui incontra Marino Marini che lo incoraggia a proseguire il percorso artistico, visti i risultati già raggiunti.Un lungo soggiorno in Spagna arricchisce la sua tavolozza, anche a seguito degli studi eseguiti sulle opere di El Greco.Il periodo trascorso a Milano, dove incontra vari artisti e critici, contribuisce in modo decisivo alla sua formazione sia culturale che stilistica. Legato da profonda amicizia al grande e indimenticabile pianista Arturo Benedetti Michelangeli, a cui dedica 43 opere pittoriche (Sensazioni melodiche), 23 delle quali esposte nel 1973 alla Salle Pleyel di Parigi durante un recital del Maestro, presenti anche il futuro Presidente della Repubblica francese Giscard D’Estaing e il pianista Arthur Rubinstein. Uno dei ritratti è stato riprodotto, per desiderio espresso dallo stesso Michelangeli, sulla copertina di un suo disco - Carnaval di

Schumann - edito dalla EMI nel 1975.Livio Conta ha esposto i propri lavori in numerose città italiane ed estere, tra cui Parigi, Barcellona, Monaco di Baviera, Strasburgo (Palazzo del Consiglio d’Europa), Basilea, Hannover, Torino, Roma (PalazzoBarberini), Palermo. Le mostre personali più recenti sono state a Milano, Brescia (Palazzo della Loggia) e Arezzo (Galleria Civica). Opere bronzee figurano in parchi pubblici a San Diego in California, nel mausoleo di Denver in Colorado, nel Wisconsin, in Florida, Texas, Grecia, Belgio, Croazia, Germania, Austria, Italia. L’attività nel campo dell’arte sacra risulta notevole. Sculture in bronzo, legno, marmo, oltre a mosaici, vetrate, affreschi e oli su tela, sono stati collocati in chiese italiane e in diversi edifici sacri all’estero.Fondamentali gli incontri personali avuti con S.S. Paolo VI e con S.S. Giovanni Paolo II, al quale l’artista fece dono nel 1981 della scultura Madonna della pace e fraternità fra i popoli. E’ stato spesso impegnato nella realizzazione di medaglie commemorative perassociazioni e comunità religiose. Nel 1995 ha ideato la medaglia in occasione della visita di Giovanni Paolo II a Trento per la beatificazione del vescovo G. Nepomuceno de Tschiderer e del 450° anniversario del Concilio di Trento.Dal 2000 al 2002 è stato impegnato nell’arredo sacro della Cattedrale di Tirana in Albania, dedicata a San Paolo. Ha realizzato qui opere di grandi dimensioni in vari materiali: pietra, bronzo, legno e ceramica; ha inoltre istoriato le cinque vetrate alte oltre dieci metri. Dal 2004 inizia la collaborazione artistica con il figlio Giorgio e vengono inaugurati i tre gruppi scultorei dedicati al beato Padre Monti: a Saronno, a Bovisio Masciago e a Milano in piazza Frattini.Nel 2006 realizza un gruppo scultoreo in bronzo per il santuario di Pietralba in Alto Adige e un monumento per il nuovo mausoleo di Chicago. Esegue inoltre l’arredo sacro per la chiesa di San Pio X a Caltanissetta, il monumento in bronzo a Padre Kino alto cinque metri. Nel 2010 significativo è l’incontro con S.S. Benedetto XVI in occasione della benedizione della statua bronzea della Madonna di Loreto collocata all’aeroporto di Fiumicino. Nel 2011 partecipa su invito alla LIV Biennale di Venezia, curata dal critico Vittorio Sgarbi.“… Di certo Livio Conta s’inserisce nell’attuale quadro dell’arte fantastica italiana, ma con una versionedel tutto propria, indipendente e, per sua fortuna,

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FIDAart copertina del N.5 2015

Periodico di arte e cultura della FIDAart

Curatore e responsabile

Paolo Tomio

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Tutti i numeri 2012-2013-2014-2015

della rivista FIDAart

sono scaricabili da:

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estranea ai tardi recuperi della maniera surrealista ealle falsificazioni simboliste ascrivibili soltanto a un contesto revivalistico. È una voce, la sua, che risuonaspontanea provenendo da una tradizione vissuta dall’interno ad ogni passo patita anche nelle sue implicanze umane e sociali, e divenuta ormai nell’artista sostanza vitale…” Carlo Munari - Milano 1977“L’elemento simbolico è il fulcro della scultura di Livio Conta. Da trentino radicato nella sua terra, questoartista rifiuta un certo formalismo edonistico oggi diffuso. Preferisce, come ha sempre fatto, approfondire la tematica dell’uomo, scavando al di dentro, in modo da riportare alla luce quasi i gangli psichici, i più reconditi moti, aggrovigliata, scheggiata, dilacerata, anche se alla fine si presenta secondo una linea che diventa armonica. Dall’ambiguità delle forme all’espressività dei contenuti. Desiderio disperato di colloquio umano, profonda “pietas”… Questo artista schivo e taciturno, che lavora con un raro impegno estetico ed etico, cova dentro di sé, nelle braccia che modellano come nella mente che crea, una specie di forza primigenia, che finisce per lievitare all’interno delle sue opere. Qualcosa appunto si sprigiona dalla materia: un impulso che è anzitutto spirituale…” Paolo Rizzi - Venezia 1983“Con il passare degli anni e con un lavoro di ricerca e tenacia esemplari, egli ha saputo portare il suo discorso artistico al di là e al di sopra di ogni tentazione illustrativa, per affidare all’opera stessa,alla sua sostanza e forma la verità poetica e pienamente quindi dimostrativa. Mi riferisco in particolare ad alcune opere degli ultimi due anni, da “Messaggero” del 1986 alle “ Parabole” e a “Intesa” del 1988 le quali, rifacendosi al memorabile “Legami” del 1986, confermano il pieno raggiungimento di una perfetta, elegante e libera “modernità” espressiva, che trova in una tecnica magistrale nello sfruttamento dei materiali (e specialmente del legno) il miglior modo di “dire” in una lingua rinnovata e nuova quanto in periodianteriori poteva risultare come compresso e al tempo stesso con trattenuta prepotenza proclamato”.Enzo Fabiani - Milano, 1989Studio via di Fassa 19- 38020 Monclassicomail: [email protected]. 0463/974267cell. 334 6322522

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MERCATO DELL’ARTE ?

PIERO MANZONI (1933-1963), ACHROME, (1958-59) caolino su tela a pieghe, 110x150 cm (vedi dett. a pag.30), Sotheby’s Londra 2014, stimato 5-7 milioni GBP, venduto a 12.626.500 GBP ($ 20.317.300, € 18.740.680). Con gli ol-tre venti milioni di dollari battuti per questo Achrome, uno dei soli nove pezzi eseguiti in tali grandi proporzioni delle trecento e più tele im-bevute di caolino, la quotazione di Manzoni si porta subito dietro i 20,885 milioni aggiudicati nel 2013 a Lucio Fontana. E’ la rivincita postuma di questo artista in quale, pur essendo scomparso a soli ventinove anni, nel breve e intenso spazio di vita ha prodotto tante e tali provocazioni artistiche da essere conosciuto anche dal grande pubblico. Man-zoni, infatti, è diventato popolare più per le sue scatolette di “Merda d’artista”, 90 multipli numerati e firmati (una è stata battuta all’asta nel 2012 a 160mila dollari), che per gli “Achro-me,” il ciclo di tele monocromatiche iniziato nel 1957 e proseguito fino alla morte prematu-ra nel 1963, oggi riconosciuto dalla critica e dal mercato come uno dei più innovativi e profondi contributi artistici all’età del dopoguerra.

Racconta Agostino Bonalumi che, nel febbraio del 1959, dopo una loro mostra assieme a En-rico Castellani conclusasi senza vendite nè in-teresse da parte di artisti e collezionisti, Piero sia sbottato: “Questi stronzi di borghesi mila-nesi vogliono la merda!». Qualche tempo dopo Manzoni mostrava soddisfatto a Bonalumi e Castellani una scatoletta di conserva sulla quale aveva incollato una fascetta con scritto a mano “Merda d’artista”, accolta subito con una gran-de risata di approvazione entusiastica e incon-dizionata dai due amici. Le opere che hanno contribuito a portarlo ai massimi livelli del mercato mondiale apparten-gono tutte al ciclo degli Achrome, monocromi minimalisti bianchi realizzati con moltissimi materiali quali paglia, polistirene, “michette”, ghiaia, feltro e lana per citarne alcuni ma, so-prattutto, quelle su tela composte da pieghe sa-ture di caolino che incarnano l’apogeo della sua ricerca concettuale pionieristica. Manzoni nel 1960 scriveva: “L’artista ha raggiunto la libertà integrale; materiale puro diventa energia pura, tutti i problemi di critica artistica sono sormon-tati, tutto è permesso”. Nella serie in caolino le infinite variazioni for-mali e spaziali movimentano queste entità mo-nocromatiche realizzate talvolta con un unico pezzo di tela stropicciato, altre con sagome qua-drate incollate in modo da creare una griglia re-golare; altre ancora, distribuendo le pieghe su tutta la superficie del quadro o concentrandole per definire dei disegni in zone precise. Etimologicamente significanti ‘senza colore’, gli Achrome sono estranei alla tradizione pittorica contemporanea perché intesi dall’artista come tabula rasa dei valori formali ereditati: “E ‘un bianco che non è un paesaggio polare, o un ma-teriale bello o evocativo, o una sensazione, o un

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PIERO MANZONI: Achrome, 1957-58, caolino su tela grinzata irregolare,

PIERO MANZONI

simbolo, o qualsiasi altra cosa; si tratta di una superficie bianca che non è altro che una super-ficie bianca“.Il processo di essiccazione del caolino in cui l’opera raggiunge la sua forma definitiva ha tol-to “la mano” dell’artista, ma ha anche dato soli-dità alle ondulazioni superficiali valorizzandone l’effetto scultoreo che la critica ha avvicinato aI panneggi rinascimentali in marmo statuario. Negli Achrome, come nei Tagli di Fontana o nei Cretti o nelle Combustioni di Burri, si ritrova la stessa volontà di superare il limite e il vincolo della superficie pittorica nell’intento di ricerca-re una nuova dimensione tridimensionale per raggiungere un’immagine metafisica di purez-za assoluta. Manzoni, infatti, scriveva: “Perché non liberare la superficie? Perché non tentare di scoprire il significato illimitato di spazio totale? Di luce pura e assoluta?”In sintonia con i principi fondamentali del gruppo Zero, Manzoni ha svolto anche un ruo-lo attivo e propositivo all’interno del dibattito

artistico-culturale italiano intrattenendo intensi rapporti anche con analoghe esperienze delle avanguardie europee. Insieme a Castellani ha pubblicato nel settembre 1959 la rivista Azi-muth a cui sono seguiti solo due altri numeri; lo stesso anno hanno inaugurato la Galleria Azimut a Milano dove, nel corso dei sei mesi in cui è rimasta aperta, sono state ospitate dodi-ci mostre personali e collettive di artisti come Yves Klein e Lucio Fontana considerati oggi tra le figure di maggior rilievo dell’arte europea del la seconda metà del ‘900.Le innovazioni premonitrici di questo giovanis-simo artista hanno anticipato sia l’Arte concet-tuale che, in parte, l’Arte povera anche se, nel suo caso, è più corretto fare riferimento a un neo Dadaismo, sia per il gioco dissacratorio che per l’uso dei materiali in quanto tali ma, in par-ticolare, per il piacere innegabile per lo sberlef-fo e l’ironia che sicuramente hanno contraddi-stinto l’opera di Manzoni.

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Colt SAA RevolverCOLT NATIONAL MONUMENT

A parte i dollari, la bandiera e gli hamburger, cosa amano di più gli americani? Sicuramente le armi da fuoco e, in particolare, una: il miti-co revolver Colt. Per intenderci quella pistola a tamburo che, a partire da metà ottocento, ogni soldato, pioniere o cow boy degno di questo nome portava al cinturone. Ecco perché a Yuma, in Arizona, l’associazione di rievocazioni storiche “3:10 to Yuma” (dal film Quel treno per Yuma) ha sentito il bisogno di ricordare “la pistola più celebre del mondo” erigendo - nella prateria sconfinata - a sua im-peritura memoria - un originale monumento: l’esatta riproduzione in acciaio di un revolver Colt Single Action Army 1873, lungo dieci metri e, in teoria, perfettamente funzionante.

Una perfetta, quanto involontaria, scultura Pop. Sul basamento è stato inciso in oro il vecchio detto della Frontiera: “Dio creò gli uomini, ma la Colt li rese uguali”. Si è svolto il classico ro-deo, sono state elette le reginette cow girls e si è chiuso il tutto con la parata a cavallo e, natu-ralmente, una sparatoria collettiva.Il modello costruito è il classico revolver a re-trocarica con cartuccia metallica conosciuto dai cinefili anche se, in realtà, fino al 1873 le Colt erano ad avancarica del tamburo, di calibro 36 e 45 e un peso di oltre due chili. Bisognava cari-care dal davanti ogni camera con la polvere da sparo, premere una palla di piombo in ciascuna delle sei camere del tamburo con la bacchetta a leva incernierata sotto la canna e, infine, inseri-

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Colt SAA Revolver

re le capsule necessarie per l’innesco.Gli oltre due milioni di persone sbarcate negli ultimi quattro decenni dell’800 nel Nuovo Mon-do, necessitavano di pistole e fucili efficienti per la caccia, la difesa e le infinite guerre. Nel 1835-36 Samuel Colt, a soli 21 anni, brevetta negli Stati Uniti e in tutto il mondo la sua inven-zione rivoluzionaria: un “revolver” che grazie a un tamburo rotante meccanicamente, poteva esplodere sei colpi in rapida successione senza dover essere ricaricato dopo ogni sparo. La cre-scente domanda di armi per l’uso nelle guerre contro il Messico prima, contro gli indiani poi, garantirà a Colt le commesse pubbliche che gli permetteranno di progettare nuovi modelli di revolver con parti intercambiabili e di produrre i pezzi con sistemi industriali di serie. E’ indubbio che le nuove pistole Colt a ripeti-zione (insieme alle carabine Winchester) siano state lo strumento fondamentale nella occupa-zione e colonizzazione del West grazie alla loro potenza di fuoco che ha causato in pochi de-cenni il genocidio dei precedenti “proprietari”, gli indiani, nonchè la (quasi) totale estinzione dei bisonti che abitavano da sempre le praterie. Questa piccola rivoltella ha rivoluzionato l’indu-stria delle armi da fuoco diventando la prima esportazione di produzione globale nella storia degli Stati Uniti che, nel frattempo, da nazione agricola isolata si stava trasformando in una grande potenza industriale e militare. La Colt Single Action, detta anche “Peacema-ker” (Metti pace), ha avuto un forte impatto in tutto il mondo diventando la pistola di maggior successo di tutti i tempi grazie anche al suo “de-sign” e alla qualità artigianale che hanno con-tribuito a ritenerla una delle più belle armi da fuoco moderne. Definita anche “The handgun that won the West” (la pistola che vinse il West)

la Colt è indissolubilmente legata a quella epo-pea dove era così popolare tra militari, pionieri, pistoleri, uomini di legge e cowboy da diventare il vero simbolo della regione.Celebrati in leggende, racconti e pellicole, i suoi numerosi modelli hanno contribuito in modo fondamentale a creare i miti di personaggi del Wild West come William “Buffalo Bill” Cody che portava sempre due Colt ad avancarica, John Wesley Hardin il pistolero più veloce del West che a venticinque anni aveva già seppellito 42 uomini, lo sceriffo Wyatt Earp (aveva una Colt Buntline con canna da 30 cm: vedi sopra) che con l’amico giocatore d’azzardo John “Doc” Hol-liday parteciparono alla sparatoria dell’“O.K. Corral”, o Butch Cassidy e Sundance Kid del ce-lebre “Wild Bunch” (Mucchio selvaggio), grup-po di pistoleri che assaltavano a cavallo i treni.In fondo, il revolver Colt rappresenta egregia-mente la modernità poiché segna il passaggio dall’epoca artigianale in cui la morte avveniva a colpo singolo, a quella industriale in cui la mor-te è diventata seriale. A sei colpi.

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STEVE McCURRY

Ci sono delle fotografie che, per ragioni miste-riose, sono dotate di un magnetismo che coin-volge e costringe lo sguardo dell’osservatore a non staccarsi dall’immagine. Alcune, purtrop-po, sono tragiche e illustrano situazioni dispe-rate, di morte, di fame, e sono quelle che ti la-sciano dentro un senso di colpa perché ti rendi conto che il mondo fa schifo.Invece, la fotografia scattata dal bravissimo Steve McCurry in Afghanistan nel 1984, pur rientrando nei reportage da zone coinvolte in conflitti che colpiscono le popolazioni, non riprende una scena di guerra ma racconta un momento “normale” in un campo profughi di Peshawar in Pakistan. La cosiddetta “Ragazza afghana” è una fotografia scattata da McCurry diventata celeberrima dopo essere stata pub-blicata sulla copertina della rivista National Ge-ographic Magazine del giugno 1985, che ritrae una bellissima ragazzina afgana a viso scoperto, un’orfana dodicenne che studiava in una scuola all’interno del campo. Sicuramente, quando ha incontrato lo sguar-do della ragazzina, McCurry ha riconosciuto quell’istante magico che si presenta raramente e casualmente a un fotografo ma non avrebbe mai immaginato che quegli enormi occhi verdi sarebbero diventati «la foto più conosciuta» della storia della rivista.Il ritratto del suo viso parzialmente velato dal drappeggio rosso, gli occhi di un verde cangian-te che inizia giallo intorno all’iride e finisce con un bordo nero, profondi, intelligenti, disarman-ti e pieni di umanità, e la sua espressione se-rissima e decisa, mista di sospetto e voglia di riscatto, sono diventati il simbolo del conflitto che dilania l’Afghanistan e, allo stesso tempo, di tutte le guerre. Cosa c’è dietro lo sguardo di quella ragazzina che ha dovuto crescere troppo

STEVE MCCURRY, Sharbat Gula, Afghan GirlPakistan, 1984

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STEVE McCURRY STORIA DELL’ARTE

STEVE MCCURRY, Sharbat Gula, La ragazza afgana Afghanistan, 2002

in fretta e alla sua età ha già visto cose che nes-suno dovrebbe vedere, che ti scruta passandoti da parte a parte? Come in uno specchio, ognu-no ci vede sè stesso, e si ritrova senza parole perché, davanti a quelle domande inespresse, non sa cosa rispondere. Dopo la caduta del regime talebano, nel 2002 il National Geographic ha rimandato il reporter in Afghanistan per cercare la ragazza la cui identi-tà era rimasta sconosciuta; dopo alcuni mesi di ricerche è stata ritrovata nel suo villaggio natio in una regione remota dell’Afghanistan e così, a distanza di 17 anni, McCurry è riuscito a foto-grafarla nuovamente. Quando McCurry ha ottenuto il permesso di in-contrarla, la donna è stata molto lieta di sapere che la sua foto era diventata un simbolo delle sofferenze e della dignità del suo popolo. Il suo nome è Sharbat Gula, sposata tra i 13 e 16 anni e madre di quattro figlie (di cui una morta pre-maturamente). Nella nuova fotografia del 2002, realizzata con la stessa posa di quella originaria, la ragazzina si è trasformata in una donna che già a 29 anni dimostra le tracce della vita non facile che le persone di quei paesi devono sopportare. Lo sguardo è sempre penetrante ma un po’ spen-to, serio, pensieroso, perché il futuro per chi è povero e vive in quelle regioni è sempre pesan-te e precario. Devota musulmana, Sharbat Gula, che solita-mente indossa il burka, ha accettato di farsi fo-tografare a viso scoperto confermando - come se ce ne fosse bisogno - il suo carattere deciso e coraggioso. Una stampa cromogenica digitale, 54x36 cm della foto dell’84 è stata recentemente aggiudi-cata all’asta per 25.000 $. Mc Curry ha dichiara-to che con quei guadagni aiuterà Sharbat.

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News dal mondo

PIERO MANZONI

PIERO MANZONI

PIERO MANZONI

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Omaggio a PIERO MANZONI

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“ACHROME”, 1958-59

“Monochrome Polyforme”, 2015

“ACHROME”, 1962

“ACHROME”, 1958

“ACHROME”, 1959

Maggio 2015, Anno 4 - N.5

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PIERO MANZONI, ACHROME, 1958-59, caolino su telaa pieghe, 110x150 cm, Sotheby’s Londra, 2014venduto a $ 20.317.300 (18.740.680 €)

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PIERO MANZONI, ACHROME, 1959, caolino su tela, 100x80 cm, Christie’s Londra 2013,

venduto a $ 4.200.680 (3.246.280 €)

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PIERO MANZONI, ACHROME, 1962, rosette e caolino,46x46 cm, Christie ‘s, Londra 2003venduto a $ 133.136 (116.479 €)

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PIERO MANZONI, ACHROME, 1958, caolino su telaa pieghe, 60x70 cm Sotheby Londra 2013, venduto a $ 2.874.170 (2.206.150 €)

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QUOTA DI ISCRIZIONE PER L’ANNO 2015

E’ stata mantenuta la quota d’iscrizione di euro 50.00 Il versamento dovrà essere effettuato con la causale: ISCRIZIONE ANNO 2014

IMPORTANTE

Per ragioni fiscali e contabili, TUTTI i versamenti (ad es. l’iscrizione, la quota annuale, par-tecipazioni a mostre o eventi FIDA ecc.) dovranno essere effettuati sul conto corrente della FIDA-Trento: Volksbank-Banca Popolare dell’Alto Adige - Piazza Lodron 31 38100 Trento IBAN: IT47 B058 5601 8010 8357 1214 752 NB! INSERIRE SEMPRE LA CAUSALE (es. iscrizione 2014)

Poiché questo Conto Corrente dovrà essere utilizzato sempre, si consiglia di stamparlo e di tenerlo sul computer in una cartella FIDASegretario-tesoriere: Nadia Cultrera - [email protected]

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MEMORANDUM

PAOLO TOMIO, Omaggio a PIERO MANZONI“Monochrome Polyforme”, 2015 fine art su tela, 90x63 cm

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