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AUTUNNO 2014 Numero 7 ABEL FERRARA LE SCUOLE DI CINEMA UNA PARABOLA UNDERGROUND Cupo e potente l’esordio de “Le formiche della città morta” LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO “Fare film è come cercare di risalire un fiume al contrario” Studiare cinema a Roma: dove, come, quanto OPERA PRIMA DOSSIER ICONE MARCO PALVETTI, ATTORE DAL TALENTO MULTIFORME, È UNO DI LORO OVVERO AGGIORNARSI, CRESCERE, SALIRE PIÙ IN ALTO È QUELLO CHE NOI FACCIAMO E CHE FANNO I GIOVANI PROFESSIONISTI DI CUI VI RACCONTIAMO UPGRADE

Fabrique du Cinèma n. 7 2014

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AUTUNNO2014

Numero 7

ABEL FERRARA

LE SCUOLE DI CINEMA

UNA PARABOLA UNDERGROUND Cupo e potente l’esordio de “Le formiche della città morta”

LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO

“Fare film è come cercare di risalire un fiume al contrario”

Studiare cinema a Roma: dove, come, quanto

OPERA PRIMA

DOSSIER

ICONE

MARCO PALVETTI, ATTORE DAL TALENTO MULTIFORME, È UNO DI LORO

OVVERO AGGIORNARSI,

CRESCERE, SALIRE PIÙ IN ALTO

È QUELLO CHE NOI FACCIAMO E CHE FANNO I GIOVANI PROFESSIONISTI

DI CUI VI RACCONTIAMO

UPGRADE

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SSOMMARIO

Pubblicazione edita dall’associazione culturale Indie per cui Via Francesco Ferraironi, 49L7 (00177) Romawww.fabriqueducinema.it

Registrazione tribunale di Roman. 177 del 10 luglio 2013

DIRETTORE RESPONSABILEIlaria Ravarino

SUPERVISORLuigi Pinto

DIRETTORE ARTISTICODavide Manca

GRAFICA E IMPAGINAZIONEGiovanni Morelli

CAPOREDATTORE Elena Mazzocchi

STRATEGIC MANAGER Tommaso Agnese

REDAZIONESonia SerafiniChiara Spoletini

PHOTOEDITORFrancesca Fago

COMUNICAZIONE E WEBConsuelo Madrigali

WEB MASTERLuca Luigetti

EVENTI E MARKETINGIsaura CostaSimona Mariani

DELEGATO NORD ITALIALuca Caserta

RELAZIONI SALEKatia Folco

UFFICIO STAMPASara Battelli

STAMPAPress Up s.r.l.Via La Spezia, 118/C 00055Ladispoli (RM)

DISTRIBUZIONELuca Papi

Finito di stampare nel mese di agosto 2014

IN COPERTINAMarco Palvetti

total lookTRU TRUSSARDI

18 OPERA PRIMA SIMONE BARTOLINILE FORMICHE DELLA CITTÀ MORTA

36 ICONE ABEL FERRARA PASOLINI E IL DOBERMANN

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EDITORIALEOLTRE

WEBSERIEUN ROMANZO E UNA SCOMMESSA

BOOKCIAKNON SOLO BOOKTRAILER

COMICSZEROCALCARE

COVER STORYMARCO PALVETTI

RICCARDO GRANDI TRA CINEMA E COMMERCIALS

ROMA WEB FESTIVALLA SECONDA EDIZIONE

MONDO(CINE)CAMPIONI DEL MONDO - GERMANIA

VENEZIA 1968-2014INVERTIRE LA ROTTA

CROWDFUNDING/1E FU SERA E FU MATTINA

CINEMA E MODAYELLOW IS THE NEW BLACK

NUOVE DISTRIBUZIONIWEB MOVIES EXPERIMENT

CROWDFUNDING/2THE SHOW MAS GO ON

FUTURESALESSANDRO TAMBURINI

DOSSIERUNA SCUOLA DI CINEMA PER AURORA

MACROTECNOLOGIE

MESTIERI

FUMETTO

MARCO PANCRAZI

CAPELLI

MAKING OF

DIARIO

EFFETTI SPECIALI

DOVE

2047 SIGHTS OF DEATH

GLI EVENTI DI FABRIQUE

LUCA DELLA GROTTA

COME E DOVE FABRIQUE

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EDITORIALEEEDITORIALE

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di ILARIA RAVARINO foto ROBERTA KRASNIG

«Prima di cambiarle,

le regole,

dovete conoscerle»

E noi abbiamo ubbidito. Abbiamo studiato. Solo che poi, le regole, ci siamo dimenticati di contestarle. Siamo stati, forse, dei bravi studenti. Ma nel cinema non abbiamo cambiato un granché. Nemmeno i titoli di testa.La generazione dei trenta-quarantenni di oggi, autori e autrici cresciuti nelle scuole di cinema italiane, non è riuscita ad andare molto lontano. Colpa della crisi, certo. Colpa di un mercato che si contrae. Ma colpa anche loro: delle regole. Della tradizione, della storia, degli autori, dei padri, dei maestri che hanno deformato, anziché formare, l’istinto principale di ogni artista: la tensione a rinnovare. Ecco, la maggior parte di noi non ha rinnovato.Spesso, in buona fede, ha copiato. E nemmeno tanto bene.Ed ecco perché questo numero di Fabrique è dedicato alla rivolta.Quella che la generazione dei giovani autori, come i ragazzi di Under -The Series ispirati dalla 24enne Giulia Gubellini (in Webserie) o freschi trentenni pieni di talento come Alessandro Tamburini e Simone Bartolini (protagonisti rispettivamente di Futures e Opera Prima), sta mettendo silenziosamente in atto – senza proclami, senza striscioni, e spesso nemmeno tanto lontano dalle istituzioni. Una rivoluzione di linguaggio che si consuma anche dentro le scuole (cui è dedicato il nostro Speciale) e non solo in Italia (tutti i nomi nel dossier sul cinema tedesco), che riguarda la regia, la scrittura, la produzione. «Soldi da investire non ne avevo, nessuna produzione era interessata e neppure potevo chiedere un prestito in banca» ci dice il 29enne Emanuele Caruso, che invece di arrendersi per produrre il suo E fu sera e fu mattina ha coinvolto il pubblico. Sia come finanziatore attraverso il crowdfunding (come accade anche per il doc The Show MAS Go On, ne leggerete) che come vero e proprio produttore in crowd equity.Ma lo spirito rivoluzionario, che nel ’68, come ricordiamo in questo numero, infiammò i giovani leoni della Mostra di Venezia, non è univocamente legato a una questione generazionale. Essere ventenni aiuta, certo, e ce lo dice anche la nostra cover Marco Palvetti “affamato di rivoluzione”. Ma l’età non è indispensabile. «Non so cosa farei se avessi vent’anni oggi. Io, di anni, me ne sento 18». A dirlo, o meglio ruggirlo, è la nostra Icona, Abel Ferrara, intervistato da Fabrique prima del suo arrivo a Venezia. Il suo contributo? Imprevedibile, rivelatorio. Rivoluzionario:

«Chi vuole fare cinema la smetta di

lamentarsi:oggi nessuno ha più scuse».

OLTRE

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camicia TRU TRUSSARDI

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In principio Under era un romanzo fantadistopico italiano al 100% firmato dalla ventiquattrenne bo-lognese Giulia e pubblicato da Rizzoli. La novità è che il giorno dell’uscita in libreria è coinciso con l’arrivo in rete del primo episodio di Under The Series, webserie che prende le mosse dagli eventi nar-

rati nel libro reinterpretandone atmosfere e accadimenti. Primo e, a oggi, unico (almeno in Italia) caso di uscita in contemporanea di un romanzo e una serie, l’evento potrebbe aprire la strada a forme alternative di promozione. Nel frattempo, forte del suo status pionieristico, la serie si gode i riflettori. Gli episodi (dieci in tutto, pubblicati con cadenza settimanale sul sito under.nanopress.it) accompagnano le prime fasi di vita del romanzo fidelizzando un pubblico sempre più numeroso, curioso di capire a fondo la natura dell’esperimento, catturato dal plot e dall’elevata qualità del prodotto. «L’idea è venuta alla produttri-ce Gloria Giorgianni» ci racconta il regista Ivan Silvestrini. «Da principio pensavamo di realizzare una sorta di booktrailer per l’uscita di un libro su cui Rizzoli stava puntando moltissimo. La piattaforma sarebbe stata messa a disposizione da Trilud, che ne avrebbe curato anche il lancio. Poi mi hanno fatto leggere il roman-zo, ho fatto le mie considerazioni circa l’adattamento e le cose sono esplose. La serie ha raggiunto una tale complessità e autonomia da spingerci a tentare una vera e propria operazione crossmediale».Ivan Silvestrini è un giovane autore con una consolidata esperienza nelle serie digitali. Dopo un esordio tradizionale con la commedia Come non detto, ha confezionato Stuck – The Chronicles of David Rea, pri-ma webserie italiana girata in inglese, per poi dirigere Una grande famiglia – 20 anni prima, prequel della

UN’OPERAZIONE DI MARKETING

INTELLIGENTE E SOFISTICATA.

UN INVITO RIVOLTO AL PUBBLICO DELLA

RETE A SCOPRIRE FORME DIVERSE

DI FRUIZIONE CULTURALE. TUTTO

QUESTO È UNDER.

di VALENTINA D’AMICO

- Webserie -

SCOMMESSAROMANZOUN

E UNA

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e musicista del duo Paola e Chiara. «Avevo letto che Chiara studiava recitazione da anni, così le ho scritto presentandole il progetto. Lei mi ha risposto nel giro di dieci minuti e due giorni dopo era a Roma per il provino. Abbiamo parlato e lavorato sul personaggio, mi ha convinto e io devo aver convinto lei». A invogliare il grande pubblico a cliccare sugli episodi di Under non sono solo le interpretazioni del cast, ma anche l’impatto visivo del prodotto, fondamentale in un genere come la fantascienza: la qualità ci-nematografica tanto invocata ottenuta da Ivan e dai suoi collaboratori superando lo scoglio del budget limitato. Il regista chiarisce che «la potenza del look di Under è il frutto di cinque elementi: in primis la me-ravigliosa fotografia di Davide Manca, poi le scenografie di Federico Baciocchi, i costumi di Sara D’Angelo, le musiche originali di Matteo Curallo. E, dulcis in fundo, la Redigital per la post produzione». Con tanti talenti in campo, c’è speranza che un domani le webserie italiane riescano a portare una ventata di aria fresca nel nostro cinema? «Di certo ci provano, ma è una lotta impari. Per quanto si possa ottimizza-re e risparmiare non si giocherà mai lo stesso campionato delle serie tv. Ci vorranno investimenti colossali e l’Italia è un paese piccolo con un’industria debole. Mi piace, però, pensare che le webserie siano viste come un luogo di sperimentazione dove si testano le opinioni del pubblico di domani». A proposito di domani, quale futuro attende Under The Series? «Temo sia presto per parlare del futuro, ma mentirei se dicessi che io e Gloria Giorgianni non ci vediamo spesso per progettare un modo di far continuare a vivere questi personaggi da cui è davvero difficile separarsi».

nota fiction di Rai Uno pensato apposta per il web. Stavolta Silvestrini ha dovuto affrontare una sfida nella sfida misurandosi con l’adattamento di un romanzo ma, come conferma lui stesso, avendo un ampio mar-gine di manovra. «Ho letto il libro, l’ho chiuso e non l’ho più riaperto. Ho riflettuto sul cuore della narrazio-ne, sulle scene che più mi erano rimaste impresse e su come raccontare un mondo con il minor numero di location e situazioni possibili. Mi è stata lasciata libertà e io me la sono presa. Giulia Gubellini, che ho conosciuto due giorni prima delle riprese, mi ha detto solo: “Tradisci il mio lavoro come meglio credi”». Under The Series è ambientata nella Bologna del 2025, in un’Italia futuristica e sanguinaria distrutta dal default economico e in mano a un’Autorità Provvisoria militare che, per fronteggiare la crescente ribellio-ne delle masse, ha messo a punto una speciale arma di dissuasione: l’esecuzione di sei giovani ribelli in diretta tv con un format in stile reality show chiamato Under. Trama che ricorda i vari Hunger Games, Di-vergent, The Giver. Modelli con cui Ivan Silvestrini ha dovuto relazionarsi: «Amo i racconti distopici, credo siano un modo avvincente di guardare alla realtà. Attraverso un filtro di fantasia ci troviamo catapultati a contatto diretto con la nostra psiche e le dinamiche che la governano. Il mondo che conosciamo tende a raccontarsi come idilliaco, ma quali sono le forze che agiscono nel profondo? In Under “si cresce o si muore”. Magari nella vita di tutti i giorni non si muore, ma se non ci si arma in fretta degli strumenti per interpretare il presente, si soccombe a chi quegli strumenti li ha e ne fa un uso nefasto». La forza di Under proviene da un team di grandi professionalità al servizio dello show. A cominciare dagli interpreti, i vete-rani Giorgio Colangeli e Gianmarco Tognazzi, rispettivamente il Presidente dell’Autorità Provvisoria e T, e i sei giovani rinchiusi nel bunker. «Io e Gianmarco ci annusavamo da un po’» confessa Ivan «avevo il suo nome in testa ancor prima di scrivere una sola scena. È un attore talmente esperto, è capace di scherzare fino a un attimo prima del ciak e poi essere completamente in parte un istante dopo. Colangeli è un mito, una figura paterna. Valentina Bellè è l’attrice del futuro, ha tutto per sfondare, ma anche il resto del cast sono certo che stupirà». Ad attirare l’attenzione è, però, una debuttante di lusso, Chiara Iezzi, ex cantante

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«I RACCONTI DISTOPICI SONO UN MODO AVVINCENTE DI GUARDARE ALLA REALTÀ. ATTRAVERSO UN FILTRO DI FANTASIA CI TROVIAMO CATAPULTATI A CONTATTO DIRETTO CON LA NOSTRAPSICHE E LE DINAMICHE CHE LA GOVERNANO».

SCOMMESSAIl regista Ivan Silvestrini, sopra. Nella foto grande Matteo Martari. A sinistra Gianmarco Tognazzi, Chiara Iezzi e sotto Josè Dammert e Valentina Bellè.

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BOOKCIAKDa Romanzo criminale di Michele Placido a Gomorra di Mat-

teo Garrone alla “factory Moccia”: secondo un censimento dell’Anica, soltanto negli ultimi cinque anni sono stati quasi

200 i titoli prodotti (o coprodotti) in Italia tratti da romanzi, racconti, testi teatrali e opere letterarie.Eppure, nonostante la frequenza (e spesso il successo) degli adatta-menti – anche televisivi, si pensi al caso Mon-talbano – molto può ancora essere fatto per in-tensificare il dialogo tra il mondo dell’editoria e quello dell’audiovisivo. Da qui l’idea di un sito che faccia da ponte. E poi un premio alla Mostra di Venezia, che guarda al futuro: video sperimentali da associare agli ebook, come possibili e nuovissime quarte di copertina. Ecco il cammino percorso in poco più di tre anni da Bookciak (www.bookciak.it), la prima piattaforma web italiana per addetti ai lavori che cataloga i romanzi italiani più “cinema-

tografabili”, nata da un progetto speciale del Mibact, in collaborazione con Anica, Apt, Anac e premio Solinas. In tre anni di attività il sito conta oltre una cinquantina di produttori iscritti, da Rai Cinema all’indipen-dente Gianluca Arcopinto, oltre a numerosi filmaker. Mentre gli editori, più di quaranta, vanno da Feltrinelli e Mondadori a Nottetempo e mini-mum fax. In più, una sezione apposita raccoglie i soggetti premiati dal Solinas disponibili a diventare libri o film. «Stiamo lavorando per rendere ufficiale “l’unione di fatto” tra ci-nema e letteratura» spiega Domiziana De Fulvio dell’Associazione Calipso che è dietro le quinte del sito. «Vogliamo rendere più demo-cratico l’accesso degli editori, anche i più piccoli, al mondo del cine-ma». Con questa finalità è nato il premio Bookciak, Azione! giunto quest’anno alla terza edizione, in collaborazione con le Giornate de-gli Autori a Venezia e una giuria prestigiosa: Ettore Scola, Citto Ma-selli, Ugo Gregoretti, il produttore indipendente Gianluca Arcopinto e Lorenza Indovina. E il primo risultato raggiunto è che Se son rose di Massimo Vitali, uno dei libri in lizza lo scorso anno, ha trovato un produttore deciso a trasformarlo in film. «Lo scopo del premio» continua Domiziana «è dare visibilità imme-diata ai titoli della nostra banca dati. Si chiede ai concorrenti di realiz-zare dei video di massimo tre minuti ispirati al testo letterario scelto per il concorso. Ma attenzione, non si tratta dei tradizionali booktrai-lers che raccontano la storia del romanzo. I nostri sono bookciak:

un formato del tutto nuovo, aperto alla spe-rimentazione dei linguaggi e della rete dove esprimere il rapporto con il testo, attraverso i territori della video arte». Anche quest’anno sono stati tre i roman-zi selezionati dalla library per il concorso: Il bambino con le braccia larghe di Carlo Gnetti (Ediesse editore); Fratture di Massi-miliano Nuzzolo Vitali (Italic editore); Gob-bi come i Pirenei di Otello Marcacci (Neo Edizioni)». A Venezia sapremo chi saranno i bookciak vincitori.

LA PIATTAFORMA CHE FA INCONTRARE CINEMA E LETTERATURA

foto FRANCESCA FAGO

Da sinistra nella foto in alto: Elisabetta Pandimiglio, responsabile dei contenuti audiovisivi; Camilla Macro, responsabile comunicazione offline e online; Domiziana De Fulvio, responsabile coordinamento editoriale e public relations; Gabriella Gallozzi, presidente.

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Per più di dieci anni ZC è stata soltanto una firma su alcune fanzine, su qualche locandina di concerti o sulle copertine di gruppi punk emergenti. Il mondo legato ai centri sociali e agli spazi occupati è sempre stato il sog-getto delle sue illustrazioni. Ma nel 2001 arriva il G8 di Genova. Diciotten-

ne, al ritorno da quell’esperienza, qualcosa lo spinge a un cambiamento: l’arresto di persone conosciute e la soffocante sensazione di accanimento verso i manife-stanti gli dà la forza e la voglia di raccontare il suo punto di vista. Il primo passaggio al fumetto è dunque il racconto/diario di quelle giornate. La realtà di Genova è la scusa per iniziare a raccontare delle storie vere e proprie. Quello che da subito lo contraddistingue non è il realismo del segno ma la comprensione della storia; il tratto è quello che serve per raccontare le vicende, spesso autobiografiche. Poi un giorno, stanco di lavorare come traduttore di documentari di caccia e pe-sca, decide di provare a far diventare il disegno il suo mestiere. Tra il 2008 e 2011 collabora con una serie di riviste e giornali che chiudono in sequenza. Un giorno il direttore di XL nota una sua locandina, per sostenere le spese legali dei proces-sati di Genova, all’ingresso del Csoa Forte Prenestino. La collaborazione non fun-

L’ARMADILLO

INSIEMEA NOI

LOTTANON È UN SEMPLICE AUTORE DI FUMETTI. HA RIVOLUZIONATO IL RAPPORTO CON IL PUBBLICO, RIUSCENDO A PIACERE, PER USARE LE SUE PAROLE, SIA AL TEPPA DI REBIBBIA CHE AL RICERCATORE DEL CERN. CON IL SUO ARRIVO SULLA SCENA EDITORIALE HA COSTRETTO LE FIERE DI FUMETTI AD ATTREZZARSI A FILE CHILOMETRICHE.

di PIERLUCA DI PASQUALEfoto FRANCESCA FAGO

ZEROCALCARE

- Comics -

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ziona, la rivista ha un taglio più pop rispetto al suo più ideologico, ma qualcosa sarebbe cambiato, anzi si sarebbe aggiunto. ZC inizia parallelamente a dise-gnare altro: l’impulso arriva dalla perdita di un’amica molto vici-na, morta di anoressia nel 2010. L’unico modo per ricordarla è raccontarla in un disegno, rac-contare un’amicizia, di quanto gli piacesse da piccolo. Il primo esperimento di fumetto fuori dal tema dei centri occupati. Il primo a credere e a investire in lui è Makkox, che non lo inserisce

nei suoi spazi online come Canemucco e Coreingrapho; quello che ZC considera la sua balia ha fatto di più. Makkox lo sprona a inviargli sempre più tavole chieden-dogli di mantenere un taglio legato alla coscienza del personaggio. Il materiale au-menta, la storia funziona e così Makkox decide di pubblicare il suo primo libro: La profezia dell’armadillo. Un’autoproduzione in bianco e nero che in pochissimo tem-po va esaurita. Dalle prime 500 copie si passa di colpo a 5, 6, 7mila. Tutte le librerie lo vogliono, ma per un piccolo autore significa notti insonni per trasportare le copie in tutta Italia e 9 punti in meno sulla patente. Un incubo. A salvare ZC dal ripetere l’esame automobilistico è arrivata la Bao Publishing. Da qui l’obiettivo di curare il blog con una storia a settimana e pubblicando di continuo nuovi progetti. In questo percorso repentino La profezia rappresenta, probabilmente, il caso più veloce di trasposizione cinematografica dal fumetto, almeno in Italia. La trasfor-mazione in film è un’avventura che l’autore stesso considera una tantum. Non ha mai pensato di fare cinema e non crede che si ripeterà. Il fumetto e il cinema ri-mangono due mondi separati. È una vera e propria concessione, ammette, a Va-lerio Mastandrea che un giorno l’ha chiamato confidandogli che aveva amato il libro e che, poiché avrebbe voluto iniziare a fare regia, sarebbe stato lieto di con-frontarsi con il suo lavoro. La stima e l’affinità hanno unito i due artisti e tranquil-lizzato ZC: se anche il film non avesse avuto successo, sicuramente non avrebbe tradito lo spirito dell’opera, e con gli sceneggiatori Johnny Palomba e Oscar Glioti ha scritto l’adattamento. Sul film ha fatto il voto del silenzio, ma ci ha dichiarato che non è stato un lavoro semplice. Il personaggio è riscritto con vicende e sfumature completamente nuove rispetto al libro, non è più una storia autobiografica a episodi. Il primo a voler stra-volgere il fumetto è stato proprio lui, ribadendo che si tratta di due linguaggi diversi e che quando si vuole rimanere troppo fedeli a uno il risultato è scadente. Ha spinto gli altri a non seguire le atmosfere originali ma di volta in volta a inventare dinami-che nuove. L’armadillo, ci ha però assicurato, sarà un armadillo ma senza effetto gabibbo. Prodotto da Fandango, si tratterà comunque di un film a basso budget: non ci saranno interventi di animazione e buona parte delle cose più visionarie e surreali del fumetto non saranno riprodotte nello stesso modo. La parentesi cinematografica non distoglie però il nostro ZC, che tra una locandina per centro sociale e un manifesto per un lago che scompare, a ottobre pubblica Non di-menticare il mio nome, un nuovo fumetto per cui non nasconde molta emozione. È il libro su cui lavora da più tempo e che segna un passaggio di maturità. Una storia a cui tiene molto. Anche qui l’esigenza è quella di fissare nel tempo un ricordo, una vicenda, quella della sua famiglia che con la morte della nonna si sarebbe persa per sempre.

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IN PRIMA FILA12

Di Salvatore Conte, il personaggio che ha interpretato nella serie Gomorra e che gli ha regalato una valanga di elogi, il 26enne Marco Palvetti ha conservato la tenacia nel raggiungere un obiettivo: esortare la generazione di cui fa parte a uscire dal pantano in cui è sprofondata. Lui usa una parola dalle risonanze illustri, letterarie: cattività, cioè prigionia. Ed è un leit motiv che torna più volte durante la nostra chiacchierata.

MARCO PALVETTI

Stylist STEFANIA SCIORTINO / Hairstyle ADRIANO COCCIARELLI@HARUMI / Make up GIOVANNI PIRRI@HARUMI / Ringraziamo LA ZANZARA BISTROT ROMA

di CHIARA SPOLETINI foto ROBERTA KRASNIG

completo MISSONIper le sneakers si ringrazia SUEDE STORE Roma

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- Cover story -

IN PRIMA FILA13

«Mi piace farmi vivere dal personaggio, lasciare spazio al suo respiro. Comincio ogni volta un nuovo viaggio, senza idee preconcette».

Appuntamento in un pomeriggio che alterna temporali fuga-ci a schiarite: ed eccomi seduta di fronte a un ragazzo serio ed entusiasta che parla fitto di come uscire dalla “cattività” in cui anche il giovane cinema nostrano si dibatte, mi con-

fida la sua fame di “rivoluzione”, una rivoluzione che comincia dalla scuola, dall’educazione, dalla consapevolezza di avere delle respon-sabilità nei confronti del cinema, del teatro, dello spettacolo italiano. A 26 anni il coraggioso Marco coltiva progetti ambiziosi che tratta con la stessa determinazione con cui si muove tra i suoi coetanei; oltre che attore in importanti lavori televisivi, cinematografici e teatrali, è fondatore della compagnia under 35 Bluteatro che dal 2011 si è intelligentemente inserita nella proposta teatrale del nostro paese.E grande è la sua determinazione anche nell’af-frontare le sfide e le incognite che oggi il me-stiere dell’attore reca con sé, ma sempre a patto che ciò serva a portare nuova vita nel panorama anestetizzato dell’arte italiana: «Accetterei sì di lavorare a un’opera prima, magari anche low-low budget, se ne sposassi la causa, l’idea, se ne condividessi lo slancio generatore, ma lo farei mettendo in chiaro l’obiettivo della “missione”: cambiare le cose, dire qualcosa che non è stato detto, spaccare il mondo!».«C’è un’immagine» continua assorto «che da qualche mese mi ritorna in mente: un uomo, un attore ormai anziano che ha vissuto tutte le esperienze che la sua carriera ha potuto offrirgli, si gira a guardare indietro e si accorge che il suo mestiere non esiste più, è scomparso, soppiantato da qualcosa a cui ci stiamo abituando, da un sistema irresponsabile che non si accorge delle sue falle, che continua a promuovere santini, immaginette, non attori, “necessarie” al prodotto per motivi spesso solo commerciali». Soprattutto un’idea lo spinge a richiamare l’attenzione dei suoi colle-ghi sulla crisi che il giovane panorama culturale italiano sta vivendo in questo momento, come del resto ogni altro settore: la convinzione che le giovani leve spesso non si rendono effettivamente conto del sa-crificio e dello sforzo che richiede questo mestiere e non si accorgono dell’enorme responsabilità che hanno quando lo esercitano. È la sua esperienza di attore di teatro, tv e cinema che gli permette di suggerire ai suoi compagni di generazione di vigilare su ciò che sta succedendo.

Ascoltando questo ragazzo dallo sguardo ipnotico ci si rende conto che l’emergenza è alta e la parola che sembra avere più importanza per chi ha appena interpretato uno spietato boss mafioso, è responsabilità. «La mia generazione vive una cattività piena, un momento in cui chi è arrivato in alto non molla la presa perché comprensibilmente vuole continuare a vivere come ha sempre fatto, grato della credibilità che si è costruito nel tempo, a volte però immeritata; sta a noi quindi esercitare la nostra responsabilità, non accontentarsi, non accettando per esem-pio lavori dai pagamenti irrisori… Il prodotto che offre il nostro paese non è all’altezza di ciò che potremmo fare, ci vuole coraggio, il corag-

gio di dire che le cose così come stanno non van-no bene, e si può fare solo stando insieme in ma-niera onesta, guardandoci in faccia, capendo che cosa ognuno di noi dà a questo mestiere e in che modo potrebbe danneggiarlo. Bisogna riprendere in mano i contenuti, capire quello di cui abbiamo bisogno, cosa chiede il pubblico; soprattutto deve regnare sovrana e incontrastata la qualità, che il pubblico riconosce, quando si accorge che ancora sopravvive nascosta da qualche parte».Quando chiedo a Marco da dove può cominciare questo cambiamento, lui mi risponde senza in-certezze dall’educazione, dalla scuola; mi dice che bisogna riconsiderare il modo in cui ci si avvicina a questo lavoro, sempre troppo soggettivo, aleatorio, in mano spesso a “professionisti” improvvisati; in-sieme al talento è necessaria una scuola che possa stimolare quelli che verranno dopo, a fare meglio, a costruirsi un nuovo movente, più profondo e so-

lido. È concentrato quando mi racconta l’amore che prova per il suo mestiere, che è la sua vita e che difende a spada tratta contro la superfi-cialità di certi tempi moderni e certe teste indecise. Di questo amore mi dà dimostrazione quando gli domando che rapporto ha con i personaggi che interpreta. Sorride, finalmente pacificato: «Mi piace farmi vivere dal personaggio, lasciare spazio al suo respiro. Sono felice quando sono con lui, con qualcosa che è altro da me, ma che vive attraverso me. Comincio ogni volta un nuovo viaggio, senza idee preconcette, tenendo conto di picco-le intuizioni che nascono dalle parole che dirà, guardando dove guarda lui, sognando ciò che sogna lui… Interpreterei chiunque, vorrei farmi sorprendere sempre».

total look JIL SANDER

total look TRU TRUSSARDI

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PARiccardo, che progetti hai con il cinema? Ho cominciato con Tutto l’amore del mondo (2010), un film  cui sono legato, anche  se  oggi mi sento molto diverso. Sto lavorando per portare sullo schermo qualcosa di più personale, dove l’estetica cinematografica è in coda alla lista delle priorità. Per me il cinema deve portare lo spettatore fuori dalla comfort zone emotiva. Deve raccontare i cambiamenti della società partendo dall’intimo della persona, deve esplorare questo tempo e i suoi conflitti in maniera autentica e il pubblico è disposto, senza ombra di dubbio, ad abbandonare le proprie certezze in cambio di emozioni forti. Credo sia l’unica chance che ha il cinema, usare il suo enorme potere di seduzione. Cos’è la pubblicità per un regista?Quando un’azienda sceglie il regista del suo “film pubblicitario” lo fa solo per le sue capaci-tà. Ai clienti, che siano industriali o multinazionali o grandi agenzie di comunicazione, non importa di chi sei amico o parente, devi solo essere il più adatto per loro, punto. È molto sti-molante dal punto di vista della ricerca del linguaggio. E finalmente dopo tanto tempo in Ita-lia non c’è più lo snobismo verso i registi che “si prestano” alla pubblicità, anche perché si è accettato che l’artista non campa di aria, non tutti almeno. Molti autori di film meravigliosi hanno realizzato anche commercials bellissimi, solo per citarne alcuni: Nicolas Refn (Yves Saint Laurent), Alejandro González Iñárritu (Facebook, Nike), David Fincher (Adidas), David Lynch (Playstation), Michael Mann (Mercedes), Sofia Coppola (H&M). Pregi e difetti, dal tuo punto di vista, del cinema italiano oggi?Il genere commedia che si fa in Italia non mi attira, amo moltissimo la black comedy, l’umo-rismo cinico o sofisticato, ma non il farsesco buonista e in fondo moralista. Ho amato  Bo-ris e Smetto quando voglio, hanno osato uscendo dagli stilemi tipici dell’entertainment italiano, sia come storie che come cast. Mentre il mainstream ha bisogno di uno scossone e forse di una ventata di novità, il cinema indipendente sta crescendo riscuotendo successi anche nei festi-val. L’Italia è uscita dall’oscurantismo e forse ora è più chiaro a tutti quanto sia importante sup-portare la produzione culturale e cinematografica di un paese. Sono sempre di più i produttori che amano profondamente il cinema e sanno bene come posizionare un film sul mercato, e finalmente Sky con le sue produzioni ha spezzato il duopolio avvicinando tv e cinema.

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TRA CINEMA ECOMMERCIALS

A vent’anni ha fondato quasi per scherzo la Frame by frame insieme ad altri amici, un covo di nerds squattrinati che presto è diventato una delle prime società italiane di effetti speciali e post produzione digitale di concezione contemporanea. Prima dei trenta già lo cercavano in tanti, tra cui Mtv e i canali satellitari appena sbarcati in Italia. Oggi si divide fra advertising, cinema e tv.

INTERVISTA ARICCARDOGRANDI, MAESTRO DELL’IBRIDAZIONE FRA I DUE MONDI

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HigPPur se giovanissimo, il Rwf ha dimostrato infatti di saper far emergere gli autori indipendenti più capaci, aiutandoli a uscire dalla nicchia del web, e a coinvolgere le produzioni cinematografiche e i brand più importanti facendo capire loro le opportunità che il web può presentare. Patrocinato dal Mibac e riconosciuto come festival di riferimento di tutti i prodotti webnativi, an-che quest’anno il Rwf capitanato da Janet De Nardis, ideatrice e direttrice artistica, e Maximilia-no Gigliucci, direttore generale, ospiterà i direttori artistici dei web fest internazionali gemellati: Los Angeles, Marsiglia, Hong Kong, Melbourne, Vancouver, Miami, Washington DC. La prima edizione ha registrato ben sei milioni di visite sul sito ufficiale e quest’anno sono attesi numeri ancora più impressionanti, grazie alla presenza del primo Youtube Day italiano, alla crescita dello spazio legato ai fashion film, alle 10 tavole rotonde con ospiti internaziona-li, ai pitch con le case di produzione più importanti in Italia, agli oltre 200 titoli in concorso, all’evento webradio, alle centinaia di collaborazioni aperte con webzine e blog, alle 4 uni-versità coinvolte e ai workshop. La presenza di note fashion blogger e di youtuber di spicco nel panorama internazionale daranno un ulteriore tocco di glamour all’evento. Inoltre, per la prima volta i brand di ogni settore incontreranno i creativi della rete per porre le basi di un nuovo mercato.Molte le anteprime attese dagli appassionati webnauti: Vera Bes di Riccardo Milanesi con Gaia Scodellaro, Forse sono io 2 di e con Vincenzo Alfieri, Fuck zombies di Daniele Barbiero, The ghost blogger, Blackout the series e altre sorprese… I premi saranno assegnati da una giuria composta da Marco Muller, il presidente dell’Agis Gior-gio Ferrero, Luca Argentero, Max Bruno, Cristina Priarone, Massimo Gaudioso, Leonardo Fer-rara, Massimo Razzi, Mario Sesti, Carlo Principini, Michele Ferrarese. Presidente: Jean Michel Albert (direttore del Marsiglia Web Fest). Mattatore della serata finale: Saverio Raimondo.

WEB IN FESTIVAL N. 2

GIUNGE ALLA SECONDA EDIZIONE IL ROMA WEB FEST, CHE SI SVOLGERÀ DAL 26 AL 28 SETTEMBRE PROSSIMI PRESSO IL MAXXI: ANCHE QUEST’ANNO L’IMPEGNO È QUELLO DI SORPRENDERE IL PUBBLICO CON UN PROGRAMMA INNOVATIVO.

Proiezioni finalisti primo bloccoPitch Panel: Webserie interattiveAnteprimePanel: Le dinamiche finanziarie delle webserie Panel: Webserie e no profit

Proiezioni finalisti secondo blocco Evento Fashion film Workshop Youtube Panel: Donne nel web Panel: Il punto sul mercato delle webserie/i brandPanel: Diritto d’autore Panel: Fenomeno youtuber e blogger

Proiezioni finalisti terzo blocco Incontro direttori artistici web fest internazionali Panel: Webserie e nuove tendenze (food ecc.)Evento web radio Galà premiazioni Workshop webradio_DJ Panel: Storytelling

Highlights 26 SETTEMBRE

27 SETTEMBRE

28 SETTEMBRE

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ALL’INFERNO

UNAGIORNATA

- Opera prima -

Scritto, diretto e persino prodotto da Simone Bartolini, il suo duro e teso primo film racconta la parabola di un piccolo spacciatore sperduto in una Roma senza pietà, come il sound che ritma la sua caduta.

di LUCA OTTOCENTO foto RICCARDO RIANDE

Fin dal potente titolo che rimane subito impresso, il lungome-traggio d’esordio del trentenne Simone Bartolini evoca un mondo cupo che non lascia nessuno spazio a possibilità di redenzione: «privo di luce», come dichiara senza giri di parole

lo stesso regista. D’altronde, se si vuole raccontare il dramma della tos-sicodipendenza, non è possibile scegliere un approccio consolatorio. Girato quasi completamente con macchina a mano e interpretato in gran parte da attori non professionisti (con le sole eccezioni di Nina Torresi e Danilo Nigrelli), Le formiche della città morta narra la meta-forica discesa negli inferi di uno spacciatore di eroina che, nell’arco di 24 angoscianti ore, deve disperatamente trovare i soldi necessari a saldare un debito. Ciò che più di ogni altra cosa colpisce dell’opera prima – ambientata in una Roma indifferente alle sofferenze dei personaggi che la abitano e assai lontana da quella abitualmente mostrata al cinema – è la capa-cità di mettere in campo uno sguardo oggettivo in grado di mostrare la vita del protagonista senza mai giudicarlo, riuscendo al contempo a metterne in risalto la profonda umanità. Abbiamo incontrato Simone Bartolini, accompagnato dal sorprendente interprete Simon Pietro Manzari, in una sera d’inizio estate sul Tevere.

LE FORMICHE DELLA CITTÀ MORTA

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Come nasce il progetto del film e cosa ti ha spinto a raccontare una storia così tragica in cui è assente qualsiasi elemento di speranza?Il film nasce sostanzialmente dal mio vissuto. Il mio quartiere, Cit-tà Giardino, è quasi un’isola felice. Frequentando alcune zone vicine come il Tufello, San Basilio e Talenti, però, negli anni sono entrato in contatto con situazioni come quelle che si vedono nel film. Non ne ho semplicemente sentito parlare, ma le ho proprio esperite sulla mia pel-le avendo perso diversi amici a causa dell’eroina. Anche se ho deciso di non inserire nei titoli di testa un riferimento esplicito a queste persone, idealmente Le formi-che della città morta è dedicato a loro. Il mio lavoro tratta il tema della dipendenza dalla droga, che considero in realtà una dipen-denza dall’astrazione e dalla ma-gia. Come diceva Pasolini, infatti, l’uso delle droghe comporta un annullamento della sfera cultu-rale, conoscitiva e intellettuale, in favore di un ritorno al rito magico e al primitivismo. Ci tengo a dire che questo film l’ho sempre pen-sato all’interno di un progetto più ampio: quello di una trilogia at-traverso la quale in qualche modo raccontare me stesso e, nello specifi-co, tre diverse dipendenze che mi rappresentano. Il secondo capitolo si incentrerà sul tema della violenza e, più in generale, sulla dipendenza dell’uomo dall’istinto animale. La sceneggiatura la sto ancora scriven-do, ma posso dire che attraverso i tre personaggi principali vorrei evi-denziare tre differenti dinamiche della violenza: la violenza che porta ad altra violenza, la violenza necessaria e la violenza gratuita. Il terzo film sarà invece dedicato alla dipendenza dal sesso.

A proposito di sceneggiatura, ci puoi raccontare come si è evoluta la fase di scrittura del tuo esordio?Devo dire che il film finito si è rivelato piuttosto diverso rispetto a quan-to avevo originariamente scritto. Sin dall’inizio ho concepito questo mio primo lungometraggio come contrassegnato dalla presenza con-tinua del numero tre (la divisione in tre atti, il protagonista che torna a casa per tre volte e che si fa di eroina per tre volte, le tre ragazze con cui ha rapporti e così via). Secondo questa logica, Le formiche della

città morta doveva dunque ave-re tre personaggi principali: due donne e un uomo, che avrebbe rappresentato l’elemento di rot-tura tra le figure femminili. Nel momento in cui una delle due attrici protagoniste non ha potu-to più prendere parte al film, ho deciso di cambiare la struttura della storia, concentrandomi con maggiore decisione sulla vita del personaggio maschile e su quella che è la sua personale parabola cristologica. Credo che in ogni mio futuro lavoro ci sarà almeno un personaggio che seguirà una traiettoria simile. Tutti gli uomini

nella loro vita portano una croce e porre l’accento su questo aspetto è una cosa che mi interessa molto.Interviene Simon Pietro, che si sofferma sulla lavorazione del film, svol-tasi all’insegna del work in progress: «Credo sia importante sottoline-are come l’opera abbia davvero preso forma via via. Le modifiche e le integrazioni apportate alla sceneggiatura durante le riprese sono state molte. Non c’era un vero e proprio copione precostituito da seguire alla lettera e in più occasioni, ad esempio, mi è capitato di suggerire i dia-

Le foto grandi ritraggono dei momenti dell’intervista con Simon Pietro Manzari (qui a sinistra) e Simone Bartolini (a destra, con gli occhiali), le piccole sono immagini tratte da Le formiche della città morta.

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loghi. Il tutto naturalmente sotto la supervisione di Simone, con cui ci consultavamo di continuo mentre giravamo e al quale spettava sempre l’ultima parola». Pur essendo il sesto di sette figli di un uomo con alle spalle una decennale esperienza teatrale, Simon Pietro fa il rapper con il gruppo Quarto Blocco e prima di Le formiche della città morta non aveva avuto esperienze professionali in ambito teatrale o cinematogra-fico. Eppure, fin dalle prime inquadrature del film, offre un’interpreta-zione intensa e convincente. «Non è stato difficile» ammette «Simone ha costruito buona parte del suo lavoro e del personaggio princi-pale su di me. Il protagonista lo sentivo vicino e ciò mi ha senz’al-tro facilitato il compito, anche se il film non è la storia della mia vita e sarebbe alquanto riduttivo dire che mi sia limitato a interpre-tare me stesso».

L’uso delle musiche ha un ruolo molto importante. Hai pensato fin da subito a un forte legame tra il mondo che volevi trat-teggiare e il rap underground romano? Oppure anche questa scelta è stata presa in un mo-mento successivo?Uno dei miei principali punti di riferimento per il film è stato Accatto-ne di Pasolini e quindi inizialmente, per sottolineare la drammaticità degli eventi messi in scena, volevo utilizzare la musica classica. Tra i compositori a cui in un primo momento ho fatto ricorso c’erano Bach, Mozart, Debussy e Sciarrino. Nel montare il film, mi sono però reso conto che questo tipo di soluzione non mi soddisfaceva. Così ho pen-sato ad alcuni brani di musica elettronica e solo più avanti è arrivato

il rap. Prima di selezionare le musiche definitive ci sono voluti dodici montaggi differenti. Cambiando le musiche, mi veniva naturale mo-dificare anche il ritmo e l’alternanza delle immagini ed è per questo che il montaggio, di cui mi sono occupato con il direttore della foto-grafia Raoul Torresi, è durato ben sette mesi e mezzo. Nella colonna sonora finale sono presenti diversi artisti rap romani che hanno ac-cettato di regalarmi alcuni loro pezzi. Anche Federico Zampaglione mi ha offerto una sua canzone, L’inquietudine di esistere, eseguita dai

Tiromancino in collaborazione con Fabri Fibra.

Non deve essere stato semplice trovare i finanziamenti neces-sari per un film del genere, seb-bene si tratti di una produzione a basso costo. Come sei riuscito a realizzare la prima parte della tua trilogia sulla dipendenza?Pur non avendo una produzione alle spalle disposta a finanziare il progetto, ho deciso ugualmente di provare a imbarcarmi in que-sta avventura. In pratica, mi sono tuffato di testa senza vedere se c’era l’acqua sotto. Ho investito

nel film i pochi soldi che avevo da parte e ho chiesto a chiunque co-noscevo dei prestiti, riuscendo a ripagare tutti lavorando per due anni mentre mi dedicavo al film. Poi, a fase di montaggio già avviata da qualche mese, in un momento in cui avevo terminato la disponibilità economica, fortunatamente è arrivato il produttore Gregory J. Rossi della NeroFilm, che mi ha permesso di terminare la post-produzione e con cui in questi mesi sto cercando tra molte difficoltà di organizza-re una distribuzione autonoma.

«HO SEMPRE PENSATO IL FILM ALL’INTERNO DI UN PROGETTO PIÙ AMPIO: UNA TRILOGIA ATTRAVERSO LA QUALE IN QUALCHE MODO RACCONTARE ME STESSO E TRE DIVERSE DIPENDENZE CHE MI RAPPRESENTANO, DALLA DROGA, DALLA VIOLENZA E DAL SESSO».

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Meritocrazia, organizzazione, ambizione. E una variabile

tanto indispensabile quanto ineffabile: il talento. La ricetta del successo del cinema tedesco è semplice ed efficace. Promuovere i giovani registi, se meritevoli. Promuovere le registe donne, se meritevoli. Usare le scuole di cinema come vivai e trampolini di lancio. Far conoscere i propri talenti all’estero. Coprodurre. E spendere i soldi dello Stato là dove ce n’è veramente bisogno.

TERZO MERCATO D’EUROPA IN CUI I FILM EUROPEI INCASSANO DI

PIÙ E PER NUMERO DI FILM PRODOTTI (DOPO

INGHILTERRA E FRANCIA), SECONDO PAESE PER NUMERO DI SCHERMI

E DIGITALIZZAZIONE DELLE SALE, LA

GERMANIA CAMPIONE DEL MONDO (DI CALCIO)

È SUL PODIO ANCHE COME CINECAMPIONE

D’EUROPA.

- Mondo -

MONDOCINECAMPIONI DELdi ILARIA RAVARINO

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I FANTASTICIGERMANIA

Sotto i due protagonisti, padre e figlia, di Kokowääh (2011): il secondo capitolo, uscito lo scorso anno, ne ha bissato il trionfo.

Immagini tratte dal campione di incassi Fack ju Göthe, il film tedesco di maggior successo degli ultimi cinque anni.

IL CASO TEDESCO Secondo i dati pubblicati a maggio dall’Eu-ropean Audiovisual Observatory (Eao) la Germania sarebbe un paese cinematogra-ficamente prolifico (solo nel 2013 sono stati prodotti in Germania 236 film, di cui 79 al 100% nazionali, 82 documentari e un totale di 75 coproduzioni) e in grado di conquistare il pubblico. Quello casalingo, con sette film a superare il milione di biglietti (Fack ju Göthe, Kokowääh 2, Break up man, Hansel & Gretel: Witch Hun-ters, Frau Ella, The Famous Five 2 e The physi-cian) e non solo. Parla tedesco, infatti, il terzo film europeo che ha incassato di più nell’Ue, la commedia Fack ju Göthe di Bora Dagte-kin, piccolo caso che in patria ha fatto stac-care quasi sei milioni di biglietti, superando il risultato di un kolossal come Lo hobbit e

diventando il film tedesco di maggior suc-cesso degli ultimi cinque anni. E se è proprio l’Italia a strappare alla Germania il secondo posto per incassi in Europa, con lo strepitoso risultato di Sole a catinelle di Checco Zalone, la performance di Fack ju Göthe resta alta-mente rappresentativa dei punti di forza del cinema tedesco di oggi. Perché a dirigere il film non è un popolare attore come Zalone, ma un regista allevato nelle migliori scuole cinematografiche tedesche, che a 35 anni ha già all’attivo una serie, Türkisch für Anfänger, di straordinario successo. E, dettaglio signifi-cativo in un paese che da tempo si interroga a fondo sull’integrazione, è un tedesco figlio di emigrati (dalla Turchia).

REGISTI EMERGENTIMa per avere un’idea della distanza attitu-dinale che separa il nostro paese dalla Ger-mania è sufficiente dare un’occhiata alla new wave di registi emergenti nel paese. Fabrique ha chiesto a Birgit Koch, di German Films (il centro nazionale per la promozione del cine-ma tedesco), di segnalare al nostro giornale una rosa di nomi interessanti emersi nella scorsa stagione. Specificando la variabile di nostro interesse: giovani. «Ecco un elenco di registi che hanno presentato i loro film con successo nei festival tra il 2013 e il 2014» ci scrive Koch «ovviamente non è possibile dire che siano “i migliori” della loro generazione e non tutti sono così giovani» [vedi box].

13Till Kleinert THE SAMURAI

Maximilian Erlenwein STEREO

Frauke Finsterwalder FINSTERWORLD

Katrin Gebbe NOTHING BAD CAN HAPPEN

David Sieveking FORGET ME NOT

Jan Ole Gerster OH BOY

continua a pagina 24

David Wnendt WETLANDS

Rick Ostermann WOLFSKINDER

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Quanto al dato anagrafico, il più giovane (Katrin Gebbe) è del 1983. Ma il più “anzia-no”, Bastian Günther, è del 1974. Quaranta primavere quest’anno: da noi, senza alcun dubbio, sarebbe rientrato a pieno titolo nella categoria del “giovane esordiente”. Altro dato interessante, i nomi delle registe donne in questa lista: pochissimi. Eppure, sempre se-condo i dati dell’Eao (pubblicati e discussi in una tavola rotonda durante lo scorso Festival di Cannes), la Germania è il terzo paese eu-ropeo per numero di donne dietro alla mac-china da presa. Per trovarle, però, bisogna scavare un po’ più a fondo, inoltrandoci nel territorio degli esordi in corto. I cosiddetti bi-glietti da visita per i registi di domani.

I CINEASTI DI DOMANIMolti sono i festival tedeschi dedicati a pro-muovere il talento delle nuove leve. La Ber-linale, innanzitutto, con la sua sezione Per-spektive Deutsches Kino e il campus Berlinale Talents. Ma anche il Filmfest München, con il German Cinema New Talent Award, e il Film Festival Max Ophüls Prize aperto solo ai gio-vanissimi. Inaugurata nel 2011 da German

Films insieme al German Federal Film Bo-ard, l’iniziativa Next Generation – Short Tiger Award è nata con l’obiettivo di presentare al pubblico i migliori talenti emersi dalle scuole di cinema nazionali, allo scopo di «recuperare il senso del cortometraggio come forma d’arte indipendente destinata alla sala cinemato-grafica». Quest’anno 14 scuole professionali di cinema hanno inviato al concorso un totale di 58 film sotto ai 15 minuti di durata, cui si sono aggiunti altri 71 corti realizzati indipen-dentemente dalle accademie. Al Festival di Cannes 14 di questi lavori hanno partecipato alla selezione finale, e cinque hanno raggiun-to il palco della premiazione (in giuria: la re-gista Caroline Link, Alexandra Gramatke del

FILMAKADEMIE BADEN,Württemberg

UNIVERSITY FOR FILM AND TELEVISION, Potsdam

GERMAN FILM & TELEVISION ACADEMY, Berlin

KASSEL SCHOOL OF ART AND DESIGN,Kassel

ACADEMY OF MEDIA ARTS, Cologne

UNIVERSITY OF TELEVISION & FILM, Munich

HAMBURG MEDIA SCHOOL,Hamburg

TECHNISCHE HOCHSCHULE GEORG SIMON OHM, Nuremberg

Ramon Zürcher THE STRANGE LITTLE CAT

Christian Schwochow WEST

continua da pagina 23

SCUOLEGERMANIA

PARLA TEDESCO IL TERZO FILM EUROPEO CHE HA INCASSATO DI PIÙ

NELL’UE, LA COMMEDIA FACK JU GÖTHE DI BORA DAGTEKIN.

In alto Nothing Bad Can Happen di Katrin Gebbe. Al centro Tea Time di Thomas Schienagel.

Frame da Where We Are (©Hamburg Media School), in alto, e Job Interview (©Rovolution Film), in basso.

KurzFilmAgentur Hamburg e Gregory Theile di Kinopolis/Theile Group). Piccoli lavori che già nel genere e nella varietà di stili promet-tono un interessante futuro: Null di David Gesslbauer e Michael Lange (sperimentale), Abdullah di Jakob Besuch (animazione), At the Door di Miriam Bliese (fiction), Thieves di Lauro Cress (fiction), Another Way di Jan Heise (clip), Emil di Simon Steinhorst (docu-mentario animato), Hidden Track di Elisabeth Zwimpfer (animazione), High Wool di Moritz Mugler e Nikolai Maderthoner (animazione), Job Interview di Julia Walter (fiction), Touch of Silence di Sven Philipp Pohl (fiction), The Storyteller di Milan Ruben Kappen (clip), Tea Time di Thomas Schienagel, Marie Kister, Marcel Knüdeler e Wilfried Pollan (animazio-ne), Telekommando di Erik Schmitt (fiction) e Where We Are di Ilker Çatak (fiction).Segnate questi nomi, perché con estrema probabilità saranno quelli dei registi che co-struiranno l’Europa del cinema di domani: unita, transnazionale, eterogenea. Ma at-tenzione: se li troverete in concorso contro i vostri film, preparatevi ad arrivare ai rigori. E poi non dite che non ve l’avevamo detto.

Grzegorz Muskala WHISPERS BEHIND THE WALL

Bastian Günther HOUSTON

Jakob LassLOVE STEAKS

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INVERTIREROTTALA

DAL ’68 A OGGI LA MOSTRA DEL CINEMA

DI VENEZIA È STATA TEATRO DI TANTE MANIFESTAZIONI DI PROTESTA. NE

RIPERCORRIAMO LA STORIA E I PROTAGONISTI,

DA PASOLINI E MASELLI AI LAVORATORI

DI CINECITTÀ.

di ILARIA RAVARINO

I cittadini contro le Grandi Navi. Gli ambientalisti contro il taglio degli alberi. I lavoratori degli hotel di lusso. E ancora i precari e gli studenti, le femministe e gli antabortisti, i pacifici, i violenti. I feriti. Gli indignati. A guardarla retroattivamente, la storia recente della

Mostra del Cinema di Venezia è costellata da azioni – più o meno riuscite, qualcuna geniale – di protesta politica. Tanto che la “manifestazione”, inquadrata per un solo giorno dalle telecamere, è diventata negli ultimi cinque anni un elemento imprescindibile di ogni edizione. Ma cosa succede quando a protestare sono gli autori? Che fine fanno le loro richieste?

- Venezia -

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LA PROTESTA DEI PADRILa manifestazione più illustre e tumultuosa che la Mostra ricordi fu quella del 1968, raccontata da un documentario del 2008 (coprodotto/distribuito, non senza polemiche, da Medusa), Venezia ’68 di Antonello Sarno e Steve Della Casa. «Attraverso le testimonianze dei protagonisti abbiamo raccontato la disgregazione di quel movimento» ci racconta Sarno «afflitto da problemi di individualismo, disorganizzazione e parcellizzazione politica. Non era nostra intenzione insegnare a nessuno cosa fosse il ’68: infatti nel documentario non c’è una sola riga di commento. Ma le contraddizioni erano evidenti. Volevano cambiare lo statuto della Biennale anche a costo di annullare la Mostra, eppure nessuno scrisse una sola riga su quello che stava avvenendo a Praga».Nessuno, in quell’occasione, arrivò a tagliare lo schermo cinematografico con un rasoio, come aveva fatto qualche mese prima François Truffaut. Ma anche se a Venezia la protesta degli autori non fu altrettanto eclatante, l’intenzione originale era precisa: attaccare appunto lo statuto, immutato dall’epoca fascista, e lottare per un festival più democratico. Il risultato furono due giorni di lotta, che coinvolsero nomi illustri come quelli di Cesare Zavattini, Francesco Maselli, Liliana Cavani, Franco Solinas, Roberto Faenza e Pier Paolo Pasolini (che

tuttavia mandò in concorso il suo Teorema), e portarono alle dimissioni del direttore Luigi Chiarini e all’eliminazione del concetto di competizione dal festival. Per dieci anni.E se, prevedibilmente, le contestazioni segnarono la Mostra anche negli anni ’70, con la Contro-Mostra del 1972 e numerosi stop, nel trentennio successivo le proteste sono state poche e silenziose. Sia la nascita della Settimana Internazionale della Critica, nel 1984, che quella delle Giornate degli Autori nel 2004, si sono consumate senza feroci strappi istituzionali.

LA PROTESTA DEI FIGLIAlmeno fino al 2009, l’annus horribilis dei tagli al Fus, quando il vento della rivolta ha ricominciato a soffiare sul Lido. Con la manifestazione finita peggio dal 1968 a oggi: «Un corteo di un centinaio di ragazzi, tra cui il movimento 0.3 per i diritti dei lavoratori dello spettacolo, è stato caricato dalla polizia in tenuta antisommossa all’altezza dell’Hotel des Bains, ferendo 4 ragazzi», denunciava il sito di Articolo 21.Sostenuta anche da Sergio Castellitto e Carlo Verdone («Il governo ha deciso che in questo gravissimo momento di crisi economica, mentre gli altri paesi investono su progetti di ricerca e sviluppo, l’Italia può fare a meno del potenziale dei propri talenti creativi», recitava la loro lettera aperta al governo), la contestazione era animata dai giovani precari

della cultura e dello spettacolo. «L’intenzione era di alzare dei fogli con le scritte “Precario dello spettacolo” e “Precario della cultura”» dissero i portavoce del movimento 0.3 «Ma al primo foglio alzato al passaggio del Ministro Bondi, le forze dell’ordine sono intervenute massicciamente». Due anni dopo, nel 2011, è la volta degli occupanti del Teatro Valle invitati al Lido dalle Giornate degli Autori. Il loro gesto, la scopertura del telo che nasconde il cratere in cui sarebbe dovuto sorgere il nuovo Palazzo del Cinema, viene ripreso da Pippo Delbono. Ma non sortisce altri risultati. Altrettanto vana, nel 2012, la protesta dei lavoratori di Cinecittà Studios in lotta contro i licenziamenti, «per ribadire la contrarietà al piano di Luigi Abete che prevede la cancellazione a tutti gli effetti della missione principale degli Studios, proponendo attività commerciali al posto della produzione cinematografica». Una sessantina di lavoratori insieme agli occupanti del Teatro Valle e del Teatro Marinoni del Lido inscena una colorata protesta. Cartelli e slogan, fiocchi di neve finti e persino una bara, per sventare il funerale della struttura di Roma «che ha fatto e fa il cinema italiano». Il Valle attacca Venezia in un comunicato: «Perché mai un festival importante come quello di Venezia ignora la questione di Cinecittà? Non sono due luoghi diversi che parlano della

stessa cosa, che si ciba(va)no delle stesse prelibatezze? C’è ancora tempo per cambiare e invertire la rotta». La rotta, però, purtroppo non si inverte. E gli autori solidali (a Roma, non a Venezia) si contano sulle dita di una mano: Maselli, Scola, Scarpati.E nel 2013? La battaglia, stavolta, è tutta dei produttori: prima della presentazione del programma delle Giornate degli Autori insorge Angelo Barbagallo contro i tagli al tax credit. «Ancora una volta unite e compatte – recita il suo documento – le associazioni del cinema tutte parteciperanno al convegno indetto a Venezia dal governo, ma riterranno sgradita la presenza di chiunque del governo voglia presenziare a manifestazioni veneziane, annunciando fin d’ora di uscire dalle sale di proiezione se questo dovesse accadere». Ma la protesta, mediaticamente scavalcata dalle Femen al Lido contro il patriarcato, non accende gli animi.«Venezia è la vetrina del malessere e del benessere del cinema italiano e quest’anno, con il decreto Franceschini e l’Art Bonus, non credo che il comparto avrà da ridire» prevede Sarno. Eppure la situazione dei precari (dello spettacolo) non è migliorata, quella dei lavoratori di Cinecittà nemmeno. E il cratere è ancora al suo posto. Qualcosa, evidentemente, non ha funzionato. È ora di parlarne, e tocca ai figli farlo.

1968

2014

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incassi. Chi ha scelto questa formula non si è dunque limitato a dare un piccolo contributo per ricevere in cambio un gadget o un dvd, come avviene nel caso del crowdfunding, ma è diventato a tutti gli effetti un produttore. E in diversi casi ha anche deciso di acquistare più di una quota. Alla fine, su un budget complessivo di 70.000 euro, tra crowdfunding e crowd equity il film è stato finanziato da oltre 300 persone per 43.000 euro.

Come sei riuscito, da regista esordiente e sconosciuto, a ottenere un risultato del genere?Se mi fossi limitato a caricare il progetto sulla piattaforma online Pro-duzioni dal basso, l’unica in Italia a proporre il crowd equity, non sa-rei mai riuscito a raggiungere l’obiettivo. Per un intero anno mi sono dedicato alla promozione: interviste a radio, telegiornali, quotidiani ed eventi dove illustravo quella che sarebbe stata la storia del film e proiettavo alcuni miei precedenti lavori. In questo periodo Internet, soprattutto Facebook, è stato fondamentale. Senza il web, tutto quello che ho fatto sarebbe stato impossibile.

Se trovare i finanziamenti è stata dura, avventurarsi nell’autodi-stribuzione deve esserlo stato ancor di più…Una volta chiuso il montaggio, ero ingenuamente convinto di trovare un distributore, anche piccolo, con il quale poter ragionare. Dopo il ri-fiuto di molte case di distribuzione, guardando all’esempio de Il vento fa il suo giro di Giorgio Diritti mi sono convinto che dovevo provare da solo. Per questo film ho sacrificato quattro anni della mia vita. Da dicembre ho dovuto perfino lasciare il lavoro per dedicarmi esclusi-vamente alla distribuzione, il cui aspetto più difficile non è legato alla ricerca delle sale per le proiezioni ma alla promozione necessaria a intercettare il pubblico. Non mi sarei mai immaginato di dover segui-re un percorso di questo tipo: nella vita volevo essere un regista, ma per farlo sono stato costretto a inventarmi produttore e poi addirittura distributore. Ora continuerò a occuparmi della distribuzione del film almeno fino al termine dell’anno e forse anche per i primi sei mesi del 2015. Ma questa esperienza, visti gli enormi sforzi che ha comportato, non è in alcun modo replicabile. La speranza è che i risultati ottenuti con E fu sera e fu mattina mi daranno la possibilità di trovare un finan-ziatore per il prossimo progetto.

CQuali sono le dinamiche produttive che hanno portato alla realiz-zazione del film?Le mie scelte sono state dettate dalla mancanza di alternative. Soldi da investire non ne avevo, nessuna casa di produzione era interes-sata e non potevo neppure chiedere un prestito in banca correndo il rischio di compromettere il resto della mia vita. Mi è venuta allora l’idea di ricorrere al crowdfunding e al crowd equity. In particolare attraverso il secondo strumento, ho potuto vendere a 50 euro l’una singole quote del film che corrispondevano a una percentuale sugli

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AUTOPRODOTTO TRAMITE CROWDFUNDING E CROWD EQUITY E DISTRIBUITO IN TOTALE AUTONOMIA, E FU SERA E FU MATTINA È ORMAI UN CASO: IN SEI MESI È STATO VISTO DA 33.000 SPETTATORI, INCASSANDO QUASI 200.000 EURO. di LUCA OTTOCENTO

ISTRUZIONI PER COSTRUIRSI DA SOLI UN PICCOLO FILM DI

SUCCESSOConsiderata la tenacia dimostrata nel portare avanti il progetto dell’esordio cinematografico, appare profetico che il primo cortometraggio di Emanuele Caruso, scritto e diretto quando ancora frequentava l’Accademia Nazionale del Cinema di Bologna, si intitoli Una scelta di vita.

Sì, perché per vedere E fu sera e fu mattina sul grande schermo il ventinovenne regista piemontese negli ultimi anni ha dovuto occu-parsi in prima persona oltre che della sceneggiatura, della regia e del montaggio, della produzione e della distribuzione. Ambientato in un paesino delle Langhe sconvolto da un evento improvviso destinato a cambiare ogni cosa, il film è già un caso produttivo e distributivo, di cui Emanuele ci ha raccontato genesi e sviluppo.

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Y E L L O W

I S T H E

N E W

B L A C K

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- Cinema e moda -

Recitare non è molto diverso da una malattia mentale:

un attore non fa altro che ripartire la propria persona con altre.

È una specie di schizofrenia.

Assistente foto CAMILLA TOMASINO / Stylist STEFANIA SCIORTINO / Hairstyle ADRIANO COCCIARELLI@HARUMI / Make up GIOVANNI PIRRI@HARUMI

Per gli abiti delle ragazze si ringraziano COMPAGNIA ITALIANA, QUATTROMANI e MAD ZONE ROMA BOUTIQUE. Per gli abiti dei ragazzi BLACKBLESSED e SUEDE STORE ROMA

a cura di TOMMASO AGNESE E SARA BATTELLI foto ROBERTA KRASNIG

VITTORIO GASSMAN

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Anche il viaggio di Fabrique alla ricerca di nuovi talenti è un viaggio folle, perché tortuoso e complesso, come quello che esegue lo psicoanalista quando deve scoprire segreti celati

in un mondo pieno di trappole come quello della mente umana. Nel nostro paese infatti è sempre più difficile rintracciare, sostenere e va-lorizzare le nuove generazioni di attori, identificare la pazzia creativa del talento artistico, le doti nascoste di ragazzi che escono da scuole, seminari o semplicemente che vengono dalla strada. Da tempo però la nostra rivista si è messa alla ricerca della novità, della promessa o semplicemente dei giovani attori che cercano di emergere nel diffici-le panorama cinematografico italiano. È una missione che portiamo avanti con cura ed entusiasmo. In questo numero la nostra indagine ha trovato sbocco nell’interessante iniziativa di un’importante società di management, Sosia & Pistoia, in attività da più di trent’anni nel cinema, in televisione, teatro, pubblicità, editoria e radio. Un lavoro a 360 gradi che è il fondamentale presuppo-sto per la scoperta di nuovi talenti. Da quest’anno, infatti, la S&P ha de-

ciso di specializzarsi, aprendo una sezione dedicata agli attori under 30. Noi di Fabrique ci siamo rispecchiati nel loro modo di lavorare, nell’o-nestà e nella serietà della loro iniziativa, gestita da un’altrettanto gio-vane e capace responsabile, Federica Remotti, 25enne laureata in Arti e Scienze dello Spettacolo alla Sapienza di Roma e con un Master alla Ucla. Dunque un’iniziativa in perfetto stile Fabrique, dove la selezio-ne dei talenti viene fatta seguendo le novità del web, andando a teatro, al cinema, a rassegne, festival, saggi, scovando attori, attrici, registi e autori che andranno a comporre una squadra affiatata a cui verrà data la possibilità di sviluppare nel migliore dei modi un percorso artistico in grado di far emergere le capacità espressive e creative dei singoli, e sempre prestando la dovuta attenzione alle nuove forme di comu-nicazione. In questo dossier, realizzato con i nostri colori-bandiera giallo e nero, vi mostreremo alcuni di questi nuovi volti, punta di diamante del pro-getto e talenti abbastanza folli da meritarsi il nostro sguardo e la vo-stra attenzione.(Tommaso Agnese)

Gioelli in collaborazione con www.sosiapistoia.it

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Studi: Accademia Corrado Pani, Centro Sperimentale di Cinematografia.

Ruoli: Nel 2013 interpreta il personaggio di Gabriele in Roles (2013), la serie web pluripremiata di Ludovico Di Martino, con il quale sta per iniziare le riprese del suo primo lungometraggio dal titolo Mamma ti porto in vacanza, in cui sarà protagonista insieme a Guglielmo Poggi.

Modelli: Mi piacciono quegli attori che non ti fanno accorgere che stai vedendo un film ma riescono a coinvolgere appieno il pubblico, come Elio Germano e Toni Servillo. Rimango legato però anche ai miti del passato, Alberto Sordi, Marcello Mastroianni, Vittorio De Sica e tanti, troppi altri.

Studi: Scuola di Lucilla Lupaioli, con Valeria Benedetti Michelangeli e Alberto Bellandi, selezionata per un master (Caft) condotto da Massimiliano Bruno.

FABRIZIO COLICA

ARIANNA DEL GROSSO

23 anni, romano

22 anni, trevigiana

Il personaggio che avrei voluto interpretare: In futuro mi piacerebbe recitare il ruolo di un eroe folle, istintivo, geniale, sregolato... Un Kean dei giorni d’oggi! Rimasi estasiato quando lo vidi da piccolo recitato da Gassman.

Ruoli:È apparsa in vari corti, tra cui Tacet: 7.33 di Laura Catalano e Psycho Shakespeare con Alessandro Haber, scelto da Gigi Proietti per lo Shakespeare Fest, e nel film Dylan Dog - Vittima degli eventi.

Modelli: Monica Vitti. È stata una grandissima donna e artista, in grado di ribellarsi a un mondo cinematografico dominato da canoni diversi da lei e di imporre il suo talento nuovo e versatile.

Il personaggio che avrei voluto interpretare: Uno dei personaggi cui sono più legata emotivamente è Sophie (Marion Cotillard) in Jeux d’enfants, un film squisitamente francese. Però se potessi esprimere un desiderio per un ruolo da interpretare forse oserei dire la Maggie di Million Dollar Baby.

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Studi: Formazione con Massimiliano Bruno e Dominique De Fazio. 

Ruoli: In teatro con The Glass Menagerie; figlia di Claudio Bisio nel nuovo film di Massimiliano Bruno, Confusi e felici. Presto di nuovo in scena con il lavoro scritto e interpretato insieme ad Arianna Del Grosso Come se mangiassi il pane. 

Modelli: Anna Magnani è la mia mamma artistica. La sua risata aperta e i suoi occhi pieni mi danno forza e stimolo nel lavoro e nella vita. 

Studi: Recitazione al Centro Sperimentale e pianoforte al Conservatorio Giuseppe Verdi Milano.

Ruoli:Al cinema in Nessuna qualità agli eroi di Paolo Franchi, Amanda

LILIANA FIORELLI

MIMOSA CAMPIRONI

24 anni, romana

28 anni, pavese.

Il personaggio che avrei voluto interpretare: Amélie ne Il fantastico mondo di Amélie o Frida Kahlo in Frida. Sento vicini i personaggi forti e brillanti che però lasciano emergere la loro fragilità. 

Knox Story di Robert Dornhelm; in tv nella serie Nero Wolfe. In teatro Giulietta per la regia di Gigi Proietti. Presto sarà un’“allegra ragazza morta” nel musical lo-fi Cinque Allegri Ragazzi Morti di Davide Toffolo con la regia di Eleonora Pippo. Lavora anche al primo disco da cantautrice.

Modelli: Adoro Tori Amos. Ascolto la sua musica da sempre, adoro il suo modo di scrivere e la sua capacità di essere musicista, attrice... tutto. Unica.

Il personaggio che avrei voluto interpretare: Sono innamorata di tutte le interpretazioni di Marlene Dietrich. L’angelo azzurro ha segnato profondamente il mio immaginario.

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Studi: a Cosenza presso il Cifa (Centro internazionale formazione delle arti), a Roma alla scuola di Beatrice Bracco.

Ruoli: Il lavoro più importante è nel film La terra dei santi per la regia di Fernando Muraca. A breve girerà in Puglia un cortometraggio che riprende una leggenda garganica.

Modelli: Di recente ho visto diversi film con Pierre Clementi. Mi ha incuriosito e coinvolto la sua storia, ammiro la sacralità del “mestiere” come lui lo vedeva e viveva. 

Studi: Accademia Silvio d’Amico.

Ruoli:Al cinema ne La pecora nera di Ascanio Celestini, in tv nella serie Romanzo criminale. In teatro sarà

MARCO AIELLO

ALESSANDRO MARVERTI

26 anni, cosentino

29 anni, romano

Il personaggio che avrei voluto interpretare: Mi viene in mente un film, Stand by me - Ricordo di un’estate: avrei voluto impersonare uno dei ragazzi protagonisti, forse per vedermi adolescente.

nella nuova produzione del Teatro della Cometa Nessuno muore di Luca De Bei.

Modelli: In Italia su tutti Massimo Popolizio, Toni Servillo, Sergio Castellitto, Luca Zingaretti ma anche, tra i più giovani, Valerio Mastandrea, Elio Germano, Vinicio Marchioni. Ho un’insana passione per Stefano Fresi e Nicola Nocella, due geni assoluti.

Il personaggio che avrei voluto interpretare: La mia ossessione è Emile Hirsch: sono stato il Chris di Killer Joe come lui poco dopo al cinema. Un’altra volta, dopo aver letto Venuto al mondo di Margaret Mazzantini, ho pensato “Mi piacerebbe fare Diego”. Quando Castellitto ne ha tratto un film, indovinate un po’ chi ha chiamato? Sempre Hirsch. Forse dovrei iniziare a pedinarlo.

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DOBERMANN

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ABEL FERRARA

PASOLINI

DOBERMANN E IL Cerchiamo di mantenere la calma. Siamo col fiato sospeso,

immobili, sotto al tendone di Café Fabrique, in attesa che si plachi l’uragano. È una tempesta metaforica, s’intende.

di ILARIA RAVARINO foto FRANCESCA FAGO

Perché il sole brilla alto, l’Isola Tiberina è un’oasi rovente e il Tevere fa quel che può per rinfrescare una giornata torrida e afosa. Abel Ferrara ci ha raggiunto da qualche minuto, ma pare non veder-ci. È inquieto, nervoso, non si lascia avvicinare. Ringhia un saluto, s’arrabbia, ispeziona il posto, prende alcune decisioni. Poi le cambia. Si siede e schianta via una borsa, spazza le bottiglie dal tavolino, rifiutando ferocemente qualsiasi contatto. Le fotografie non adesso, nemmeno dopo,

forse mai: «Non sono un modello del cazzo». L’intervista forse, dipende, chissà. Vola una parola, bitch, lan-ciata contro qualsiasi persona a caso nel gruppo che lo circonda: noi, l’assistente personale, l’ufficio stam-pa. Impossibile individuare con chi ce l’abbia.

L’unica cosa da fare è aspettare. Oppure sforzarsi di intuire. Ferrara pare un mastino. Uno di quelli lasciati a guardia delle ville, implaca-bile nella sua missione: difendere il territorio, proteggere il padrone. E in questo momento, evidentemente, sta custodendo qualcosa di molto caro: il suo film. Pasolini, in concorso a Venezia, è un progetto per cui ha speso ogni energia. Ha intervistato e conquistato amici e parenti, guardato tutti i film e letto qualsiasi cosa Pier Paolo Pasolini abbia prodotto, fino ad arrivare a un livello di profondità estremo. In

questi giorni ne sta finendo il montaggio. Ed è facile immaginare che tutto vorrebbe tranne che essere qui, davanti a noi, per parlarne. Dunque mi siedo di fronte a lui esattamente come se mi stessi avvici-nando a un dobermann. Gli porgo la rivista. La scruta. Spiego: «È per i ragazzi che oggi vogliono fare cinema in Italia». Sfoglia il giornale. «Quindi finisco qua dentro». Silenzio. «Ok». Mezz’ora dopo l’intervi-sta finirà con un abbraccio e una consapevolezza: Ferrara stava pro-teggendo davvero qualcosa di prezioso.

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Partiamo dal suo film. Pasolini. Perché?Quello che mi fa muovere, da sempre, è il desiderio di esprimermi. Faccio film per seguire una visione. Pasolini mi interessava come giornalista, poeta, scrittore, artista, rivoluzionario. Era una persona-lità complessa. Ho cercato di studiarla a fondo e francamente non smetterei mai.

Il film però racconta solo una giornata nella vita di questa perso-nalità. L’ultima.Su Pasolini si potrebbe fare un milione di film. Io ho scelto di concen-trarmi su un solo giorno e me ne fotto di chi vivrà questo film come se fosse un’indagine. È un film e non me ne frega niente di chi ha am-mazzato Pasolini e come. Io mi occupo della tragedia, di quello che abbiamo perduto quando è morto.

In Italia il ricordo di Pasolini è ancora molto vivo.Cazzate. Non è vero. Tutti qui dicono che lo conoscono, la gente si riempie la bocca di sue citazioni. Ma in realtà ho l’impressione che il suo valore sia riconosciuto molto di più fuori dall’Italia.

In ogni caso gli italiani guarderanno il suo film “americano” con sospetto. Se le aspetta le critiche?Non me ne frega nulla, non mi pongo il problema. Le aspettative che mi interessano, e che non voglio tradire, sono le mie. Per il resto a me basta avere un cinema, con un tetto sulla testa, nel quale mostrare il mio film a un pubblico. Trovo presuntuoso avere qualsiasi genere di aspettativa.

Nel ruolo di Pasolini non ha scelto un attore italiano, ma Willem Dafoe. Perché?Prima di tutto perché io sono americano e non parlo l’italiano. E

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Finisce il film: a chi lo fa vedere per primo?Non ho una sola persona di fiducia: ho il mio gruppo. C’è il mio assi-stente, Jacopo, il montatore, il fotografo, lo sceneggiatore, che ha la-vorato sia su Pasolini che su Napoli Napoli Napoli. Ho un gruppo che mi dà il feedback, lo stesso da Go Go Tales in poi. Lavoro sempre con lo stesso team, anche in Italia. È fondamentale avere le persone giuste intorno quando fai un film. E poi, insomma, io non mi faccio mica un cazzo di selfie davanti alla telecamera: io faccio film.

Se è per questo ha fatto anche tv. La rifarebbe?Che ho fatto, Miami Vice? E ti pare bello? Forse sembrava bello ai ra-gazzini di nove anni incollati alla tv. Quando giro una cosa non me ne frega niente se è per il cinema o per la tv, il processo è uguale: la telecamera, gli attori, le storie. E per quanto riguarda il tempo, cioè la possibilità di raccontare una storia più lunga e dilatata... Welcome to New York, il mio ultimo film, durava due ore. Troppo lungo. Spero di tenere Pasolini sui 90 minuti.

Da anni vive e lavora in Italia. La sente, la decadenza del paese?Quale decadenza? Economica? Culturale? Politica? Io amo questo pa-ese e negli ultimi cinque anni l’Italia è diventata la mia casa. Io non avverto la decadenza. Piuttosto sento un certo dinamismo. M’impe-gno a portare la mia energia in ogni cosa che faccio in questo paese. E poi il film business è un disastro quasi dappertutto, non solo qui. Siamo nel pieno della rivoluzione digitale, sta cambiando tutto: come la gente gira i film, come li vede e come li vende. Ma quando il gioco si fa duro, si dice dalle mie parti, i duri iniziano a giocare.

Sì, ma la crisi c’è. Ed è durissima.Crisi o non crisi, oggi se vuoi fare un film non hai più scuse. Hai il cel-lulare, il tuo cazzo di computer, nessuno può fermarti. Se ti dicono “c’è la crisi mondiale” non li devi ascoltare, anzi non la devi usare nemme-no quella parola, “crisi”. La crisi è una parola inventata da Wall Street per fottere le persone. Non saprei nemmeno come tradurla, quella parola, in italiano. Esiste?

Esiste. Provi a immaginarsi adesso, in Italia, a 20 anni: direbbe an-cora così?Certo. Sarei identico a come sono oggi, visto che mi sento un 18enne, forse un 19enne. Farei le stesse cose, cercherei le stesse storie, lavore-rei con gli stessi attori, avrei le stesse difficoltà a trovare i finanziamen-ti. E non ascolterei le cazzate sulla crisi, non sentirei scuse...

Allora le va di dare un consiglio a chi oggi vuole fare cinema in Italia?Farlo. Perché finché non lo fai, il regista, non hai idea di cosa si tratti. Non lasciarsi scoraggiare, andare avanti, non permettere alla gente di mettere un muro tra ciò che vuoi fare e la tua voglia di farlo. Vai avanti, cazzo: hai una visione, una storia, un sentimento, un bisogno di co-municare? E allora inseguilo. Prendi il telefonino e inseguilo. Vincent van Gogh ha venduto un solo fottuto dipinto in vita sua e non si è sco-raggiato. E allora? Ringraziate Dio che avete un telefono e YouTube, che non vivete in un paese sotto dittatura, che siete a Roma, in un paese libero la cui arte è ammirata dalle persone in tutto il mondo. E il cinema è la forma d’arte più preziosa che esista.

poi per me Pasolini non è italiano. Mi spiego: sto facendo un film su un uomo che è essenzialmente un poeta. Anche quando fa le interviste lui è un poeta, non un giornalista. E non puoi fare un film sulla poesia senza trovare una lingua tua, intima e personale, per raccontarla. Pasolini era un tesoro universale, il suo lavoro è globale. Di più: intergalattico. Per rappresentarlo avevo bisogno di avere con me l’attore con cui ho la maggiore affinità. E ho fatto bene: Willem nel film è perfetto.

Come ha scelto le musiche?La musica sarà eccezionale, credo. Sarà ottima anche perché abbiamo deciso di non suonarla noi, né io né Willem.

Il processo creativo per lei è doloroso?Tutto diventa faticoso quando hai a che fare con le emozioni. È uno sviluppo doloroso e complesso. Un po’ come andare contro corrente, come cercare di risalire un fiume al contrario. Ostinatamente.

E come si sente ora che sta finendo?L’ultimo giorno di riprese è in assoluto il giorno più felice. Ma dura pochissimo. Sei esaltato per 24 ore e poi di nuovo devi ricominciare da capo, al montaggio. L’euforia resiste due giorni, poi monti, finisci il film, lo fai vedere al pubblico e ancora per qualche momento sei felice. Poi torni invisibile per i successivi sei mesi.

«L’ITALIA È DIVENTATA LA MIA CASA. IO NON AVVERTO LA DECADENZA. PIUTTOSTO SENTO UN CERTO DINAMISMO. M’IMPEGNO A PORTARE LA MIA ENERGIA IN OGNI COSA CHE FACCIO QUI».

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Il consumo cinematografico ha subìto nell’ultimo de-cennio un’evoluzione che ha messo in discussione la tradizionale filiera del settore. Venuta meno la centra-

lità della sala nello sfruttamento commerciale di un film, altri canali hanno acquisito rilevanza diventando strate-gici percorsi di distribuzione. Il web si configura come una delle opzioni più interessanti, sia per il potenziale bacino di utenti sia per la sua economicità in termini di diffusione di contenuti multimediali.In questo solco si inserisce il progetto Web Movies la pri-ma linea editoriale prodotta da Rai Cinema per i nuovi canali di distribuzione. L’iniziativa ha visto coinvolti nella realizzazione di dieci film a basso costo giovani produ-zioni e autori italiani, con opere legate ai generi thriller, giallo e fantasy. Il progetto richiama i famosi programmi di sperimentazione Rai a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, iniziative che favorirono le produzioni di cine-asti come Ermanno Olmi, Gianni Amelio, Giuseppe Ber-tolucci.I dieci film di Web Movies seguono dunque una filiera originale. La prima tappa è Cubovision, dove ogni titolo è visibile in anteprima gratuitamente per 15 giorni. Succes-sivamente i film sono disponibili su diverse piattaforme come il nuovo canale web Rai Cinema Channel, iTunes (a pagamento), e in seguito distribuiti in home video. L’o-biettivo è duplice: valutare la redditività di un percorso alternativo di sfruttamento cinematografico e permettere

a un gruppo di giovani autori e produttori di confrontar-si con alcuni generi cinematografici, testando le loro ca-pacità di creare prodotti di intrattenimento. «Con il film Aquadro mi sono misurato per la prima volta con un lun-gometraggio» afferma Tommaso Arrighi di Mood Film «e ho inoltre intrapreso una proficua collaborazione con la Bolzano Film Commission. È stata anche l’occasione per testare un gruppo di lavoro composto da giovani profes-sionisti, molti al di sotto dei trent’anni». Un’opportunità da non trascurare: le produzioni per il web costituiscono una “palestra” anche per nuovi tecnici e maestranze che non possono assolutamente prescin-dere nei loro percorsi di formazione dall’acquisizione delle moderne competenze digitali. Certo, sottolineano i giovani produttori, il basso costo non deve diventare la norma, soprattutto se applicato indistintamente a ogni progetto cinematografico. Un obiettivo, forse il più utopi-co, è quello di creare con la rete un mercato libero che si differenzi da quello tradizionale, con valori chiari e privi di posizioni dominanti.Interessante è anche il caso di Neverlake di Riccardo Pao-letti, opera girata in inglese e che rientra perfettamente nel genere horror di respiro internazionale. «L’esperien-za di Neverlake ha consentito di allargare la mia attività ai mercati stranieri» conferma la produttrice Manuela Cacciamani di Onemore Picture «avviando una serie di collaborazioni e stringendo contatti con altre realtà

Quando è la Rai a proporre nuove forme di distribuzione: l’analisi di un esperto.

WEB MOVIESEXPERIMENT

di SIMONE ISOLA *

*produttore con KimeraFilm

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produttive difficilmente raggiungibili. Per un giovane produttore un progetto come questo è un validissimo biglietto da visita che ne consolida il profilo professio-nale, facilitando l’inserimento su altri mercati nei quali il cinema di genere continua ad attrarre investimenti e l’interesse del pubblico». Complessivamente i giovani produttori coinvolti da Rai Cinema nel progetto Web Movies sono soddisfatti dell’i-niziativa. Alessandro Bonifazi di Blue Film (Happy Days Motel di Francesca Staasch), parla di «esperimento com-plessivamente riuscito, che ha in ogni caso consentito la realizzazione di 10 lungometraggi con un investimento complessivo di 1.500.000 euro, fino a pochi anni fa il bud-get medio di una singola produzione. Preso atto degli esi-gui risultati ottenuti dalle produzioni italiane nel normale ciclo distributivo, è ormai necessario valutare la redditivi-tà dei film per il web, sia in termini strettamente econo-mici sia per quanto riguarda la fondamentale fase della sperimentazione. In tal senso i film per il web lentamente si stanno facendo carico del ricambio generazionale, ruo-lo fino a pochi anni fa svolto dai cortometraggi». Se va dato atto a Rai Cinema di aver intrapreso un per-corso pionieristico e senza dubbio con importanti pro-spettive, il progetto Web Movies propone anche alcuni interrogativi. L’idea di proporre un film a una platea va-stissima di potenziali fruitori non può prescindere da una adeguata e necessaria promozione che trasformi tale

potenziale in reali consumatori; l’abbondante offerta di contenuti presente sul web rende fondamentale un buon posizionamento pubblicitario per l’affermazione di qual-siasi prodotto multimediale. Un tema, questo, che si lega all’annoso problema della pirateria: è infatti difficilmente immaginabile una produzione orientata esclusivamente per un circuito dove è difficile proteggere l’inserimento di contenuti multimediali dal download e dalla subitanea diffusione illegale. Si tratta di questioni di vitale impor-tanza che rendono ancora incerti gli investimenti verso un settore in piena evoluzione. È auspicabile da parte di Rai Cinema, dunque, ripetere e ampliare l’operazione, avendo ora a disposizione un ba-gaglio di dati e di esperienze per alzare il tiro e provare a centrare i diversi obiettivi fin qui esposti. Inserire ad esempio in questa sperimentazione il cinema del reale vuol dire assecondare uno dei fenomeni più importanti e internazionalmente riconosciuti della nostra produzione, che sottotraccia sta raccontando con efficacia la vita di un paese attraversato da contrasti e tensioni, in bilico tra un passato ormai denso di stereotipi e un futuro irto di incer-tezze. Le piattaforme legate al web possono finalmente valorizzare gli spunti più interessanti della cinematogra-fia nazionale, e accelerare un ricambio generazionale di autori, tecnici e professionisti, pronti al rinnovamento e a cogliere l’opportunità della rete per sperimentare moda-lità espressive originali.

Alcune immagini tratte dai Web Movies prodotti da Rai Cinema: Aquadro di Stefano Lodovichi (in questa pagina nella foto in alto a sinistra), Happy Days Motel di Francesca Staasch e Neverlake di Riccardo Paoletti.

WEB MOVIESEXPERIMENT

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SHOWMASGO ON

TRE AMICHE CHE SI OCCUPANO DI CINEMA GIRANO UN VIDEO DOCUMENTARIO SULLA CHIUSURA DI UN CELEBRE MAGAZZINO DELLA ROMA POPOLARE, TRA CITAZIONI CINEFILE, TEATRO D’AVANGUARDIA E NOSTALGIA.

The

Per chi vive a Roma MAS è sempre stata un’istituzione: troneggia immenso su Piazza Vittorio da quasi un secolo. Nato come mall di lusso, MAS (Magazzini allo Statuto) col tempo

si è trasformato fino a diventare il tempio degli sconti super, degli stock di abbigliamento a prezzi popolari dove si può trovare di tutto, dalle mutande alle tovaglie, dalle scarpe ai casalinghi.

Poi, dopo vicissitudini finanziarie e legali, la decisione della chiusura; anche se questo momento viene procrastinato nel tempo, il suo desti-no purtroppo è segnato. L’idea del video documentario The Show MAS Go On nasce una sera di inverno dello scorso anno in cui una video artista (Rä di Martino), un’aiutoregista (Marcella Libonati) e un’agente di cinema (Federica Illuminati), passando davanti al magazzino, avvertono lo stesso sen-so di perdita. La reazione alla chiusura è unanime: impossibile! Così decidono di iniziare subito le riprese per fermare il tempo di questo luogo/non luogo, trasformato per l’occasione in un palcoscenico con una compagnia di giro sui generis. Dicono le produttrici: «All’inizio c’e-ra solo l’entusiasmo che ci animava, perché veramente non avevamo mezzi, poi abbiamo capito che anche da sole potevamo iniziare la lavo-razione, non ci siamo fatte intimorire dalla mancanza di fondi. Più ne parlavamo con gli amici e più capivamo che avevamo fatto centro, MAS è nel cuore di tutti quelli che vi hanno messo piede almeno una volta». Con una buona dose di audacia le amiche hanno pensato di coinvol-gere un brand del lusso su scala mondiale che investe in arte come Gucci. E Frida Giannini, unitamente ai suoi collaboratori Lorenzo D’Elia e Angela Paoli, ha supportato con entusiasmo e lungimiranza il

©Rä di Martino

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scena cantata che richiama la scenografia di Giorni felici di Beckett, è sotterrato dentro a una delle montagne di panciere del piano terra. Rä ha sempre lavorato come artista sia con video o con brevi lavori in pel-licola e fotografici; anche in questo caso il suo approccio è stato sperimen-tale, focalizzandosi sulle idee ma adattandosi anche a osservare la realtà con attitudine più tipicamente documentaristica. Alcuni degli attori sono amici di lunga data: con Maya Sansa si conoscono fin da piccole e Filippo Timi appare in un suo video del 2006, La camera (nella pag. a fianco).

«La sera facevamo i conti a casa di Marcella che abita proprio a Piazza Vittorio, tutto il normale lavoro di produ-zione veniva fatto in piccolo nel salotto. Le idee più belle sono nate dalle chiacchiere con gli amici che passavano da casa, un amico ci ha suggerito il titolo, un’amica ha scattato le foto di scena, ma quello che più conta è stata l’atmosfera che avevamo creato in quei giorni a cavallo tra la fine del 2013 e il gennaio del 2014». La sorpresa finale è arrivata dal Comune di Roma, che ha deciso di sostenere il progetto attraverso l’Assessora-to alla cultura e alle politiche sociali, anche loro stregati dal fascino di MAS.

progetto sin dai primi giorni di shooting. «Ci siamo permesse l’agio di girare tante ore» ricordano le produttrici «per entrare proprio nel “cast naturale” che ogni giorno anima il grande magazzino, senza alterare con una troupe pesante i movimenti dei commessi e dei clienti; non volevamo intimorire nessuno e soprattutto non volevamo che nessu-no recitasse davanti alla telecamera». Il crowdfunding è sembrato il mezzo più adeguato per dare vita al documentario, «perché è democratico, aperto a tutti, visibile da chiunque sia curioso e magari decide di partecipare alla raccolta o anche solo navigare sul sito, in questo caso usando la piattaforma di Indiegogo, perché colpito dal tema trattato e da una novità produttiva che in Italia si deve ancora consolidare. I crowdfunders sono stati la colonna portante della nostra produzione, ci hanno consentito di far fronte alle spese più immediate, senza di loro non sarebbe stato pos-sibile nemmeno ipotizzare tante cose che sono state fatte».Per il supporto pratico e la post produzione il sostegno è venuto da Think Cattleya, nella cui sede romana Rä di Martino era già stata ospi-te con una sua mostra personale; Veriana Visco e Monica Riccioni l’hanno voluta nuovamente supportare a testimonianza di continuità lavorativa fatta di stima reciproca. La regista ha trasformato questo luogo cult in un “palcoscenico” al-ternando la realtà a scene recitate e citazioni cinemato-grafiche in un gioco di specchi, per cercare di raccontarlo sfruttandone i contrasti. La padrona di MAS, interpretata da Iaia Forte, è una sorta di Virgilio che recita sul montato audio della proprietaria con l’utilizzo del Verbatim, una tecnica mutuata dal teatro e già impiegata nel documentario anglosassone. Sandra Ceccarelli e Maya Sansa interpretano due momenti dell’e-pisodio The After Hours dalla celebre serie anni Cinquanta The Twilight Zone/Ai confini della realtà, in cui un mani-chino dimentica la sua vera natura e si risveglia nei panni di una donna in un grande magazzino. Filippo Timi, in una ©Caterina Nelli

©Sveva Bellucci

Uno still dal documentario con Maya Sansa.

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ALESSANDRO TAMBURINI

- Futures -

Alessandro Tamburini si racconta a Fabrique, tra i successi del suo

cortometraggio e i progetti più ambiziosi: «Le difficoltà si superano solo con

l’entusiasmo e la determinazione».

di EMANUELE RAUCO foto ANDREA DI LORENZO

Ci vuole un fisico (2013) è il titolo del corto diretto e interpretato da Alessandro con Anna Ferraioli Ravel, un

lavoro per il quale il giovane regista faentino ha ottenuto più di venti fra premi e menzioni in vari festival italiani.

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Se un regista sceglie l’Eur, il “Colosseo quadrato” e la geometria architettonica di Piazza Marconi a Roma per fare una chiacchierata ci si potrebbe fare un’idea

del suo cinema anche senza averlo visto. Nel caso di Ales-sandro Tamburini però si arriverebbe alle conclusioni sbagliate. Al contrario dello spigoloso quartiere romano il suo cinema è morbido e rotondo, è un viaggio sorridente e malinconico nella provincia, nei suoi ricordi e nelle sue storie attuali, con un occhio di riguardo per gli anziani: elementi che da quando ha avuto in mano un video 8 sono una costante del suo lavoro. Nato a Faenza nel 1984, Tamburini è un regista e attore che ha cominciato a farsi notare da chi frequenta i festival e il mondo dei cortometraggi con Ci vuole un fisico, storia di un amore casuale nato tra due ragazzi non proprio perfetti, con cui ha vinto decine di premi in giro per l’Ita-lia, tra cui il Cortinametraggio e il premio Pasinetti a Venezia, ed è passato sul canale Diva Universal della piattaforma Sky. La passione per il cinema risale, come da co-pione, all’infanzia: «Ho comincia-to ad avere il tarlo delle immagini fin da piccolo, quando mi hanno regalato la prima telecamerina, riprendevo fiori. Poi quando ho scoperto lo zoom è stata la fine…». Cortese e rilassato come il suo cinema, che dagli inizi semi-amatoriali fatti di campagna, zie e nonne, di ricordi autoriali tra Olmi e Pupi Avati («a cui ho in-viato uno dei miei primi lavori e che mi ha dato precisi consigli su cosa fare e come farlo») è arrivato a una forma sempre più matura e compiuta, dalle parti della com-media d’autore, autobiografica e agrodolce, assumendo quasi i tratti di un Woody Allen romagnolo. Chiave di volta della sua carriera ovviamente il Centro Sperimentale di Cinematografia: «Lì non solo ho imparato le basi tecniche e artistiche del mio lavoro, ma soprattutto ho capito la fatica del set: prima, lavorando da solo con parenti e amici, avevo l’impressione di giocare e divertirmi. Al Centro ho capito cosa significa la profes-sionalità del set e di tutti coloro che stanno intorno al re-gista, gestire le loro esigenze, risolvere i problemi». Non sono però solo vantaggi quelli che vengono dall’incontro con il set e dalla prospettiva di un salto di qualità: «Ca-pisci infatti anche che ci sono dei limiti, degli schemi da

seguire, dei modi di realizzazione e produzione che pos-sono ingabbiarti e rendere meno appagante e creativo il tuo lavoro». Per questo con i suoi compagni nel corso di regia del Csc ha cercato di creare un gruppo, di fare una squadra per potersi supportare: l’importante, parola di Tamburini, è non smarrirsi, capire quali progetti e quali idee sono efficaci e quali rischiano di farti perdere il con-tatto con la realtà e con un mondo della produzione ci-nematografica che in Italia rischia di essere una trappola ben più rischiosa di quella che dà il titolo al film amato-riale del 2007 con cui il nostro si è presentato al Centro, apprezzato in commissione da nomi come Nicola Giu-

liano e Paolo Sorrentino. Dopo aver raccontato la provincia e la campagna, la terza età in varie sfumature, da quelle esistenziali a quelle sessuali nel documen-tario Mai senza (in concorso al Riff), Tamburini sta cercando ora di affrontare il cinema con un oc-chio più “urbano”, raccontando la città, le sue notti, i suoi rapporti con i personaggi, proprio come in Ci vuole un fisico, che adesso si appresta a tramutare in un lun-gometraggio. E proprio in questo auspicabile approdo a un cinema di più ampia visibilità sta il nodo della questione per molti registi emergenti: si può fare bel cinema in Italia conservando la propria indipendenza? «Certo che si può fare, sono molto fiducioso nei re-gisti della mia età, come Claudio Cupellini o Pasquale Marino. Si può essere indipendenti sapendo che non si deve perdere tempo, che occorre concentrarsi su ciò che è meglio per il film e affron-tare le difficoltà. Per esempio, io

vorrei sempre con me Anna Ferraioli Ravel, la mia attri-ce e musa, bravissima e molto comunicativa; vorrei fosse lei la protagonista del mio primo lungo, ma siccome non è una bellezza classica e non è ancora famosa, in molti storcono il naso. Se si superano impasse come queste, al-lora si può realizzare ciò che si vuole e si può cambiare il cinema italiano». Anche se poi il cinema internazionale è sempre un richiamo irresistibile: «Lavorare con un attore internazionale sarebbe bellissimo, ma qui in Italia, anzi in Romagna. Ho capito che mi sono allontanato dalla mia terra solo momentaneamente, per ritornarci a un certo punto della carriera, come fanno tutti gli “espatriati”».

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CI VUOLE UN FISICO

PER FARE CINEMA IN ITALIA

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PROMOTION

STEP BY STEPQuesta storia inizia circa otto anni fa, al contrario

di come solitamente si scrive una sceneggiatura: avendo, cioè, già bene in mente il titolo. Sempli-

cemente mi sono svegliato una mattina pensando al per-sonaggio principale di un racconto e al titolo dell’opera che incorniciava un periodo della sua vita. Da quel titolo è nata una novella, di una decina di pagine, la sera stessa. Non mi soddisfaceva, c’era qualcosa che non riusciva a emergere in poche battute. Così ho provato a trascriver-la in una scaletta per un corto. Tagliando via personaggi secondari e location potevo raccontarla, ma il pensiero di impoverirla, di renderla “consueta” , mi intristiva. Ero concentrato esclusivamente su Sofia, il personaggio che fa da perno alla storia che mi sto raccontando, anche se con lunghissime pause, da un po’ di anni a questa parte. Faccio ancora una digressione: poco prima di iniziare questo racconto, con un gruppo di colleghi fondiamo Ro-meur Academy, accademia di formazione che ha trovato una collocazione stabile nel panorama della formazione romana e nazionale.In questo percorso ho avuto modo di conoscere le perso-ne che tradurranno dunque in immagini la sceneggiatura che sto finendo di scrivere con Simone Verrocchio, anche per lui prima sceneggiatura di un lungo. Simone è stato

studente Romeur un paio di anni fa; già si capiva che por-tava con sé qualcosa da insegnare agli altri.Eppure, quando si vuole produrre un film con un budget limitato, la vita dell’artista lascia ben presto il passo a quella del burocrate: documenti, aperture di pratiche, richieste al Comune per i permessi, e poi gli attori minorenni, la messa in sicurezza della troupe, le buste paga, il visto censura… continuo? Ebbene, sto scoprendo che il film che da anni ho intenzione di realizzare, nell’ottica che un giorno qualche distributore possa dimostrarsi interessato, necessita di tali e tanti documenti che la metà basterebbe a far passare la voglia di accendere la macchina da presa.Ma torniamo all’aspetto più creativo, che è l’unica “sana” pazzia che ci spinge ad andare avanti, in quella modali-tà comune ormai a molti per cui «i problemi si risolvono quando si presentano».Come fare per avere, sempre con questo budget limitato, attrezzatura e tecnici all’altezza di un prodotto spendi-bile, visto che molte migliaia di euro serviranno per far fronte alle incombenze burocratiche?In questo senso parto un po’ avvantaggiato. Dispongo, infatti, di attrezzature e di uno staff di studenti/stagisti e amici docenti/professionisti in grado di realizzare un prodotto di altissimo livello. Badate bene: questo non

ROMEUR ACADEMY Via Cristoforo Colombo, 573 - 00144 Roma - numero verde 800 910 410 - [email protected] - mail per acting: [email protected] - www.romeuracademy.it

COME PRODURRE UN FILM CON UN PICCOLO (MA NON PICCOLISSIMO) BUDGET

di PAOLO SECONDINO *

*Direttore Romeur Academy

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vuol dire che sfrutterò lo stagista stile Boris, a ognuno sarà riconosciuto un rimborso, i pasti e l’assicurazione, oltre ovviamente i crediti nel film; ai professionisti che colla-boreranno con me sarà ugualmente corrisposta una giu-sta retribuzione… Ok, il budget a disposizione a occhio è già ampiamente terminato. In fondo siamo folli e affamati giusto? Andiamo avanti.Per ovviare a tecnici come elettricisti, macchinisti ecc. gi-reremo con attrezzatura leggera, una Panasonic gh4, 4k nativo 8 bit 4:2:2 (non potrei chiedere di meglio), e il set di obiettivi cine della Samyang, che non saranno Zeiss ma fanno il loro sporco lavoro. A due spese non posso rinun-ciare: una Ghimball che acquisterò da un amico produt-tore (niente Jimmy, carrelli ecc., con la Ghimball si può fare anche il caffè) e un drone (che prenderò a noleggio) per un paio di giorni di ripresa.Per evitare di togliere lavoro ai professionisti lavoreremo nei week end; questo ci permetterà di controllare le ripre-se e fare dei premontati per capire se qualcosa non va.Cavalletti, spallaccio, monitor 7’’, luci led daylight a basso consumo (leggere, economiche, trasportabili e utilizzabi-li con batteria), poco altro e l’attrezzatura è pronta.Pre-produzione finita, produzione pronta a partire, e le musiche? Tutti abbiamo un amico musicista. Quello che

spesso rema contro è la Siae (per le piccole produzioni), la società che gestisce i diritti autoriali sulle musiche. Già, perché nella mia follia creativa ci sarebbe dovuta essere un’apertura musicale (diciamo 45’’) con Let her go dei Passengers. Un amico esperto di diritti d’autore ancora sta ridendo, per quanto alta sarebbe stata la richiesta eco-nomica per un pezzo del genere. Non ci siamo persi d’a-nimo, l’escamotage sembra essere semplicemente creare una cover il più possibile simile all’originale; a quel pun-to gli unici diritti d’autore relativi sarebbero gli eventuali passaggi televisivi, cinematografici, vendite (ad esempio su Itunes), ma questo non ci riguarda. A settembre ci saranno infine i casting, ogni attore avrà comunque un gettone di presenza e, con gli ultimi bot-toni e dadi che ci sono rimasti, proveremo a far entrare nel progetto un attore/ice già noto che aiuti la vendita del prodotto finito. Insomma, quanto costa produrre un film? Confesso che ancora non lo so. Quello che per ora posso dire è che tra pochi mesi avrò le idee più chiare e la testa più piena e, se la redazione di Fabrique me lo permetterà e non mi sarò dovuto vendere anche il Mac con cui scrivo, vi aggiornerò sugli step della produzione. Ad maiora.

Come fare per avere, con un budget limitato, attrezzatura e tecnici all’altezza di un prodotto spendibile, visto che molte migliaia di euro serviranno per far fronte alle incombenze burocratiche?

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È MATTINO A ROMA, UNO DI QUEI GIORNI DI LUGLIO IN CUI LA CITTÀ È UNA PIASTRA

ARDENTE, E INSIEME AD AURORA SALGO LE SCALE DELLA FERMATA DI SUBAUGUSTA.

AURORA HA DICIOTTO ANNI E SOGNA DI FARE LA REGISTA: VUOLE STUDIARE CINEMA NELLA

MIGLIORE SCUOLA DI ROMA.

- Dossier -

UNA SCUOLA DI

CINEMAPER AURORA

foto e testo TOMMASO RENZONI

Cominciamo con un giro al Centro Sperimentale di Cinematografia, il primo nome che viene in mente quando si pensa a uno studente di cinema. Il Centro infatti è la seconda scuola di cinema al mondo per data di nascita, e annovera tra i suoi docenti alcuni tra i migliori professionisti in circolazione, mettendo a

disposizione mezzi all’avanguardia e ampi budget per la produzione dei saggi di fine anno. Aurora è impressionata, conosceva già la scuola, ma di persona fa tutto un altro effetto.

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Poi arrivano le note dolenti: il Centro ha una selezione durissima, al termine della quale passano solamente sei alunni su circa quattrocento. «E se non passo?». Seduti a un bar al riparo dalla canicola, esaminiamo allora altre possibilità. Anzitutto, quali sono i requisiti fondamentali per una scuola di cinema? «Quando mi chiedono quale sia l’ingrediente vincente ho una sola risposta da dare» mi spiega al telefono Luca Rubenni, giovane talent scout e agente romano, «l’interdisciplinarietà: una scuola che abbia il maggior numero di corsi. Per coltivare davvero un mestiere che è tecnica, arte e gioco di squadra è fondamentale crescere insieme e confrontarsi, registi con attori e direttori della fotografia, sceneggiatori ecc.». Lo annoto nel mio taccuino, insieme a: durata dei corsi, pratica, selezione degli alunni. Ma anche avviamento al lavoro attraverso stage formativi, riconoscimento del titolo di studio, e poi aspetti non meno importanti come il costo della retta (il Centro costa 2000 euro l’anno) e servizi come video/biblioteca. Ed ecco che la lista prende forma.

CENTRO SPERIMENTALE DI CINEMATOGRAFIA

È l’ammiraglia delle scuole di cinema, ed è sicuramente la prima scelta. Motivo per il quale è inutile di-lungarsi a descriverne le ben note qualità. Purtroppo rilascia un attestato che non ha valore di laurea: per fortuna però, spesso basta il suo nome per aprire le porte del lavoro. Il Centro ha avuto tempo e modo di migliorarsi nel tempo, arrivando a offrire budget importanti ai propri allievi registi, anche se «i soldi non bastano mai quando fai il cinema seguendo le regole», mi ricorda sorridendo Francesca Marino, regista neodiplomata, «forse al primo anno i soldi sono pochi, ma sevono a farti capire che un regista deve saper amministrare il budget». E per quanto riguarda il lavoro? «Teoricamente per la regia le esperienze sono consentite, ma nei fatti devi sempre incastrarle nei periodi di fermo della scuola», e l’agenzia del Centro ahimè rappresenta solo alcuni attori, e nessun autore. C’è però da dire che negli ultimi anni, con il presidente Stefano Rulli, la scuola sta prendendo una strada di rinnova-mento che passa proprio attraverso la costruzione di un ponte con il lavoro.

VIA TUSCOLANA, 1524 - 00173 - TEL: (+39) 06.722941 - WWW.FONDAZIONECSC.IT

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NUOVA UNIVERSITÀ DEL CINEMA E DELLA TELEVISIONE - NUCT

ACCADEMIA NAZIONALE D’ARTE DRAMMATICA SILVIO D’AMICO

SCUOLA D’ARTE CINEMATOGRAFICA GIAN MARIA VOLONTÈ

ROMEUR ACADEMY

VIA GREVE, 61 - 00146 - TEL: (+39) 06.67664822 - WWW.SCUOLAVOLONTE.IT

VIA CRISTOFORO COLOMBO, 573 - 00144 - TEL: (+39)06.54210728 - WWW.ROMEURACADEMY.IT

VIA TUSCOLANA, 1055 – ROMA C/O CINECITTÀ STUDIOS - TEL: (+39) 06.7219555 - WWW.NUCT.IT

VIA VINCENZO BELLINI, 16 – 00198 - TEL: (+39) 06.8543680 - WWW.ACCADEMIASILVIODAMICO.IT

Dieci i corsi offerti: regia, sceneggiatura, produzione, recitazione, fotografia, suono, scenografia, co-stume, montaggio della scena e Vfx (che manca al Csc e invece è un’addizione importante alla forma-zione del cinema di domani). Ciascun corso è biennale, a differenza dei tre anni del Centro. Durante il primo anno si frequentano tutti e dieci i corsi e si realizza un cortometraggio come prova finale. Nel secondo anno invece le lezioni sono concentrate sulla disciplina prescelta. E da metà anno si lavora per la realizzazione del corto di diploma, realizzato con attrezzature fornite dalla scuola. Come il Cen-tro, la scuola rilascia un diploma. Durante il biennio si ha la possibilità di effettuare degli stage (non retribuiti) sia sui set che nelle varie aree di interesse (studi di post, sartorie, uffici di produzione), e di collaborare in attività esterne (realizzazione di documentari ecc.). C’è una selezione all’ingresso tramite test e colloqui, ma a differenza del Centro l’iscrizione è totalmente gratuita. Tuttavia sul piano dei servizi extra, essendo un’istituzione ancora “giovane”, paga lo scotto delle problematiche organiz-zative: «Non c’è un servizio mensa, la biblioteca/videoteca è ancora limitata. In compenso è previsto il rimborso dei titoli di viaggio», mi racconta uno studente.

«Prevediamo un corso master di filmmaking di 500 ore (oltre circa 300 ore di project work e stage) in cui lo studente si applica sulle principali professioni del cinema: sceneggiatura, regia, ripresa, montag-gio, fotografia, fonico di presa diretta», mi espone il direttore dell’accademia, rispondendomi per mail. E aggiunge: «La Regione Lazio e la Provincia di Roma certificano il nostro corso, noi recepiamo anzi un percorso formativo e uno standard proposto da loro: si chiamano diplomi di abilitazione professionale. Romeur è infatti attualmente l’unica realtà nel Lazio a rilasciare un diploma in telereporter (filmmaker) riconosciuto da Regione e Provincia, valido in tutta Europa per concorsi e insegnamento». Purtroppo però, proprio per via dell’attestato valido a livello regionale, la scuola non effettua alcun tipo di selezione: «Non possiamo fare discriminazioni, ce lo impone la Provincia: per essere ammessi ai nostri corsi basta-no 18 anni e una scuola media superiore». Dal punto di vista dei servizi offerti, la Romeur fa impallidire le concorrenti: «A ogni iscritto diamo in omaggio una Canon 70D con obiettivo o un IMac 21,5’’ per equiparare tecnologicamente la classe. L’accademia mantiene costi calmierati e comunque permette facili dilazioni di pagamento». Ma quanto costano i corsi? «Dipende: si va da corsi personalizzati da circa 1000 euro a master da circa 5000, tutti comunque pagabili con rate fino a 24 mesi». L’impressione che mi dà questa scuola è di un interessante istituto di formazione tecnica e professionale, in certo modo differente dalla formula della più tradizionale “scuola d’arte”.

Sette i corsi: regia, recitazione, montaggio, suono, sceneggiatura, produzione e fotografia, da uno a due anni di durata, per un costo annuo di 6000 euro più una tassa una tantum. «Al termine del corso vi sono i corti di fine anno, e durante l’anno si fanno dei contest interni dove si producono cortometraggi» ricorda un ex allievo, che aggiunge «il corso che ritengo migliore è fotografia, mentre a parere di molti scarseggia quello di regia». Quando domando come funzionano le procedure di ammissione, mi confes-sa: «C’è una sorta di colloquio, ma alla fine per entrare basta pagare la retta. Però la scuola offre molto, è all’interno di Cinecittà, ha un teatro di posa proprio e attrezzature di alto livello».

Il corso dura tre anni, alla fine dei quali viene rilasciato un diploma equivalente alla laurea. «I corsi fissi si tengono per lo più durante il primo anno: dal movimento scenico al canto lirico, alla danza, alla recitazio-ne in lingua inglese. Nei due anni seguenti alcuni dei corsi sono sostituiti da stage o spettacoli diretti da registi riconosciuti a livello internazionale» mi illustra Laurence Mazzoni, giovane attore dell’accademia che sta iniziando una carriera anche nel cinema. «Il programma didattico del secondo e terzo anno cam-bia per ogni classe, favorendo la creazione di un metodo personale di lavoro». Ma i budget sono soddi-sfacenti? «Personalmente credo che non ci sia bisogno di budget stratosferici per imparare, insegnare o mettere su uno spettacolo. C’è bisogno invece di voglia di fare e amore per quello che si fa, e questo nei miei insegnanti e colleghi l’ho sempre trovato».

Fine prima parte

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Il passaggio dalla pellicola al digitale è ormai ufficia-le, la rivoluzione tecnologica è in continuo e frene-tico sviluppo, e alla fine di questo lungo percorso le Mdp digitali sono diventate la nuova frontiera del

cinema. Il cambiamento non è stato indolore, ma ha sa-puto premiare chi ha creduto e investito in questo am-bizioso progetto, capace di allargare i confini delle pro-duzioni audiovisive creando nuove figure professionali e prospettive di lavoro. Nonostante le inevitabili difficol-tà iniziali, i risultati non hanno tradito le aspettative e il mercato continua a offrire prodotti sempre più all’avan-guardia. In questo numero ci concentriamo sui sistemi di ripresa della nuova ARRI AMIRA, l’ultimo gioiello di casa ARRI, azienda leader nella produzione di Mdp, accessori e sistemi di illuminazione cinematografici.Noi di Fabrique abbiamo avuto la possibilità di provare la nuova ARRI AMIRA presso i laboratori di D-Vision Italia, dove sarà presto disponibile per il noleggio insieme agli altri prodotti di casa ARRI.La nuova ARRI AMIRA è una Mdp compatta che unisce

a un’eccezionale qualità di immagine un design ergonomico ottimizzato, ideale per una grande varietà di produzioni. Dai reportage alle pubbli-cità, dalle fiction televisive al cinema, il tutto con una Mdp versatile e maneggevole che non pre-

clude le grandi prestazioni. La ARRI AMIRA ha infatti lo stesso sensore (2K 2048 x 1152) della ARRI ALE-XA, una delle migliori e più affidabili Mdp presenti sul mercato, e vanta la stessa eccezionale qualità d’immagi-ne. La medesima fiducia tributata alla ALEXA può essere

AMIRAIN QUESTO NUMERO DI MACRO CI

OCCUPIAMO DELLE NUOVE MACCHINE DA PRESA (MDP) DIGITALI CHE HANNO

RADICALMENTE CAMBIATO ALCUNI ASPETTI DELLA PRODUZIONE AUDIOVISIVA. NUOVE

TECNOLOGIE, NUOVI MESTIERI E UNA GRANDE NOVITÀ: ARRI AMIRA.

- Macro -

di LUCA PAPI

BENVENUTA

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La nuova ARRI AMIRA è una Mdp compatta, che unisce a un’eccezionale qualità di immagine un design ergonomico ottimizzato.E’ equipaggiata con un innovativo multi-viewfinder OLED ad alta risoluzione combinato a un monitor LCD pieghevole.

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«A DIFFERENZA DELLE MDP

CINEMATOGRAFICHE LA AMIRA È PRONTA ALL’USO COSÌ COME

VIENE ESTRATTA DALLA CUSTODIA.

SI PUÓ DUNQUE FARE A MENO

DELL’ASSISTENTE OPERATORE,

CONTANDO SU UNA MACCHINA

UTILIZZABILE ANCHE CON CONFIGURAZIONE

DA STUDIO CINEMATOGRAFICO».

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estesa oggi anche alla AMIRA, tanto da poterle usare in-sieme sullo stesso set - avendo un range dinamico di ben 14 Stop e bassi livelli di rumorosità. Mdp pronta all’uso e completa di tutti gli accessori, AMIRA è equipaggiata con un innovativo multi-viewfinder che rende il lavoro più facile per il singolo operatore: a un oculare OLED ad alta risoluzione unisce infatti un monitor LCD pie-ghevole, che consente di visualizzare un’immagine dal vivo quando l’ocu-lare non è in uso. A differenza delle Mdp cinematografiche, il cui corpo macchina richiede di essere comple-tato con tutti gli accessori ogni volta che viene messo in opera (dai fissag-gi al monitor, dal wiewfinder ai cavi di collegamento), la AMIRA è pronta all’uso così come viene estratta dalla custodia. In questo modo è dunque possibile fare a meno dell’assistente operatore, riducendo costi e tempi di preparazione, potendo comunque contare su una macchina utilizzabile anche con una configurazione da stu-dio/set cinematografico con banchetto, matte box, moni-tor on board.La AMIRA è adatta anche a progetti documentaristici, perché offre una gestione molto accessibile e una grande praticità d’uso: fattori chiave in situazioni di singolo ope-

ratore e per riprese a mano prolungate, che la rendono ideale anche per troupe televisive ENG (Elettronics News Gathering). La AMIRA dispone inoltre dei più popolari attacchi per ottiche, dal PL Mount,quello per le ottiche cinematografiche, all’attacco EF. Anche le opzioni audio

multicanale sono molto interessanti: 3 canali in ingresso di cui 2 in AES3, che permettono l’acquisizione diret-ta di segnali digitali bypassando la conversione e inviando al supporto di memoria il segnale digitale nati-vo. Gli ingressi e i selettori sono ac-cessibili dal lato destro della camera, arrecando il minimo disturbo all’ope-ratore. Un’interfaccia WiFi integrata espande ulteriormente le opzioni di controllo della camera, mentre il monitor LCD fornisce pieno accesso alle funzioni della stessa senza che l’AMIRA debba essere rimossa dal-la spalla dell’operatore. La camera utilizza i nuovi supporti di memoria CFast 2.0, con dimensioni identiche alle Compact Flash ma capaci di ve-

locità vertiginose, impensabili fino a oggi per una scheda di memoria (fino a 350 MB/sec in scrittura e fino a 450 MB/sec in lettura). Può registrare in Rec 709 o Log C uti-lizzando i codec ProRes LT, 422, 422HQ o 444 e offre inol-tre la possibilità di registrare immagini in Slow Motion di

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elevata qualità (fino a 200 Fps). Non solo. Con l’avvento del digitale è nata la figura del DIT (Digital Imaging Tech-nician), professionista che supporta il lavoro del direttore della fotografia (DOP), del montatore e del colorist: è il DIT che sul set controlla ed elabora i file prodotti dalle Mdp digitali e opera le LUT immedia-te di sola visualizzazione (per il DOP o per il regista), inviate in un secondo momento al laboratorio e utilizzate come guida in post-produzione sul girato. Ma il processo, ovviamente, comporta dei costi. L’AMIRA è l’unica nel suo genere a essere dotata di una serie di LUT 3D precaricate, utilizza-bili sul set durante le riprese. In alter-nativa, le produzioni possono creare delle proprie LUT 3D con sistemi di grading esterno, caricarle durante la preparazione ed eventualmente mo-dificarle direttamente in camera du-rante le riprese. Si tratta di un sistema molto efficace per creare look su mi-sura, risparmiando tempo e denaro e riducendo al minimo la quantità di lavoro di grading in post-produzione. Avere le LUT pre-caricate equivale essenzialmente al grading in-camera, un’opzione cioè che permette di creare approcci visivi coerenti e identificabili anche su produzioni di piccola

scala, che non possono permettersi di pagare un grade in post. Documentari, fiction, spot pubblicitari spesso richiedono look contrastanti per differenti elementi te-matici o narrativi. Con l’AMIRA queste configurazioni possono essere create prima ancora di iniziare la ripresa,

applicate al frame registrato o utiliz-zate unicamente per le immagini sul monitor. In entrambi i casi danno a chi produce film o programmi un maggior grado di controllo creativo sulla produzione.Con un solido scheletro interno che garantisce stabilità di camera e obiettivo, AMIRA è infine un pro-dotto molto durevole, costruito con materiali notevolmente resistenti. L’elettronica sigillata offre una prote-zione di alto livello contro umidità e polvere, mentre un sistema termico integrato consente di controllarne la temperatura. Forte di un costo in-feriore all’ALEXA, AMIRA è rivolta anche ai piccoli noleggiatori/free-lance e alle piccole produzioni che

possono acquistarla ammortizzando i costi nel tempo. Il primo modello è stato già consegnato in Italia a fine maggio ed è previsto per settembre l’arrivo sul mercato dell’ultima nata di casa ARRI. Benvenuta AMIRA.

La AMIRA è adatta anche a progetti documentaristici, perché offre una gestione molto accessibile e una grande praticità d’uso: fattori chiave in situazioni di singolo operatore e per riprese a mano prolungate, che la rendono ideale anche per troupe televisive ENG (Elettronics News Gathering).

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Ora vive a L.A. e fa l’attore, ma per anni ha lavorato in tutte le superproduzioni approdate nel nostro paese: da Rome ad Angeli e demoni, da Mangia prega ama a Venuto al mondo, in cui è la controfigura ufficiale di Emile Hirsch.BURNING

MAN

- Mestieri -

di GIOVANNA MARIA BRANCA

Quando hai deciso di diventare uno stuntman?Ho iniziato a fare arti marziali quando avevo 12 anni, e già da prima mi divertivo a vedere i film di Bruce Lee e mi allenavo a casa. Poi ho cominciato anche parkour, ginnastica artistica, break dance... A 18 anni poi ho capito improv-visamente che volevo lavorare nell’industria cinematografica, per cui mi sono chiesto: qual è il mestiere che mi si avvicina di più? Volevo fare l’attore, però avevo questo background di sport estremi e quindi ho deciso di provare con lo stunt.

Come hai iniziato?In Italia purtroppo non ci sono scuole, come accade invece in America. Ti devi formare da solo, come ho fatto io. E non è semplice: ci sono le famiglie di stuntmen, per cui se ci nasci en-tri facilmente in questo mondo, mentre per una persona esterna è molto più difficile. Devi per forza essere molto bravo in qual-cosa, e io sono stato fortunato perché praticavo arti marziali e parkour, cose che in Italia ancora non si vedevano molto. Ho fatto ricerche su quali erano i migliori stunt coordinators che lavora-vano in Italia. Poi ho preparato un dvd con le mie specialità e ho iniziato a chiamare l’assistente di Franco Salamon, a capo di uno dei più importanti gruppi di stuntmen italiani: l’ho chiama-to tutti i giorni per un mese e mezzo, per cui alla fine, esau-sto, mi ha detto di passare in palestra, e lo stesso giorno mi ha portato a visitare il set della serie a cui stava lavorando – Rome – che poi è stata anche il mio primo lavoro. Dopo aver visto il dvd mi ha chiamato subito, e da quel momento non ho mai smesso di lavorare. Era il 2004: ho lavorato come stuntman per 8 anni, anche e soprattutto con Emiliano Novelli, un altro stunt coordinator.

E adesso?Già da stunt avevo iniziato a fare qualcosa come attore, ma a lungo andare mi aveva creato dei problemi: lo spirito dell’attore che c’era dentro di me comin-ciava a emergere e sui set non mi bastava più fare la controfi-gura. Poi due anni e mezzo fa ho deciso di prendermi una pausa: prima sono stato per un anno a Londra a studiare l’inglese, poi mi sono trasferito a Los Angeles.Tra poco uscirà un film indipen-dente, tutto in lingua inglese, di cui sono protagonista: Tender Eyes, e al momento abbiamo appena terminato la traduzione di uno spettacolo teatrale scritto, diretto e interpretato da Vinicio Marchioni, La più lunga ora –

MARCO PANCRAZI

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Memorie di Dino Campana: lui mi ha autorizzato a prendere il testo per potarlo in giro negli States.

Raccontaci le esperienze che ti sono rimaste più impresse.Una delle cose più difficili che ho fatto, che forse è anche quella che mi è piaciuta di più, era una scena in cui ero avvolto dalle fiamme dalla cinta in su. Devi essere molo lucido: nel momen-to in cui hai il fuoco addosso (per 40, 50 secondi) non puoi re-spirare perché inaleresti fiamme, e un errore del genere ti costa molto caro. Poi è essenziale ave-re molta fiducia: quando decidi che sei arrivato al limite della sopportazione devi affidarti alle tre o quattro persone intorno a te che sono pronte a spegnerti con delle coperte bagnate. Un’esperienza bellissima è stata anche Miracolo a Sant’Anna di Spike Lee, girato in Garfagnana. Lì ho fatto un po’ di tutto, ero a disposizione per tutte le scene d’azione. Quando ti trovi a fare un film di guerra puoi servire per qualsiasi cosa, dalle esplosioni alle sparatorie, dai combatti-menti con il coltello alle scalate. E Spike è stato gentile, perché mi ha regalato un secondo e mezzo di gloria sullo schermo: serviva

la faccia di un killer che uccide uno dei protagonisti, e lui alla fine ha scelto me.

Ci si aspetta la presenza degli stunt nei film di genere, ma in realtà sono quasi dappertutto…A maggior ragione in Italia, dove non si producono film d’azione, per cui lo stunt lavora su tutto. Si viene convocati sul set, a prescindere se poi si lavora o meno, per qualsiasi scena che sia un po’ pericolosa per l’attore: non si può rischiare che si faccia male. Ricordo ad esempio una sequenza nel film di Woody Allen To Rome With Love, in cui Alessandro Tiberi doveva dondolarsi su una sedia e cadeva di schiena. Poi lui è stato molto bravo e l’ha voluta fare da solo, ma comunque io sono stato convocato sul set. Oppure sono stato chiamato sul set di Mangia prega ama perché dovevo guidare la vespa e passare vicino a Julia Roberts senza investirla: non è una sequenza pericolosa, devi sem-plicemente evitare di uccidere Julia Roberts!

Proprio perché qui non ci sono action movies, in cosa consiste il lavoro dello stunt nel concre-to in Italia?Negli Usa ci si specializza in una sola cosa: c’è chi fa le scene con il fuoco, chi le cadute dall’alto, chi le arti marziali. Si produco-no talmente tanti film d’azione che puoi anche fare solo una cosa e lavori comunque tantis-simo. In Italia non è così: una persona deve saper far tutto, altrimenti non lavora, cosa sia negativa che positiva, perché mi ha consentito di provare un po’ di tutto.

Cosa si prova a essere uno dei pochi in sala a sapere che in una scena ci sei tu?Brucia! Magari hai fatto una scena molto bella, e le persone sedute a fianco a te pensano che sia stato l’attore a farla, e tu vorresti poter dire loro “quello sono io!”.

Immagini di Marco al lavoro, fra cui: pag. accanto in alto in Tender Eyes, qui a destra come angelo in uno spot Wind.

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- Making of -

2047 SIGHTS

OF DEATHREGISTAAlessandro CaponeSOGGETTO E SCENEGGIATURATommaso Agnese REVISIONE A CURA DI Luca D’AliseraCASTMichael Madsen Daryl HannahDanny GloverStephen BaldwinRutger HauerNeva LeoniKai PortmanBenjamin StenderMarco BoniniMario OpinatoTimothy Martin

Riccardo CicognaMaurizio TeseiDIRETTORE DELLA FOTOGRAFIADavide MancaMONTAGGIOFabio LoutfyART DIRECTORDaniele FrabettiPRODUZIONEAmbi Pictures PRODUTTORI Andrea Iervolino Monika Bacardi

Segretaria di edizione.

Operatore con la steadycam. Capoelettricista con palla cinese su astaboom.

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Attrice al make up.L’elettricista e gli arredatori preparano tavolo luminoso.

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Effetto fumo e proiettore hmi riflesso.

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di SONIA SERAFINI foto MASSIMO RIGHETTI

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TRAMA2047, il nostro pianeta è governato cinicamente e con la repressione da un governo confederato centrale. I paesi che non hanno aderito sono terra bruciata. Ryan, un agente dei ribelli di GreenWar (Stephen Baldwin), viene inviato in missione da Sponge (Danny Glover), capo dell’organizzazione, allo scopo di raccogliere delle prove con cui inchiodare l’ala militare del governo ai suoi crimini efferati. Sulla sua strada troverà però il temibile colonnello Asimov (Rutger Hauer), coadiuvato dal maggiore Anderson (Daryl Hannah) e da alcuni mercenari senza scrupoli guidati da Lobo (Michael Madsen), e la sua missione si trasformerà presto in una resa dei conti che riguarda molto da vicino il suo tormentato passato. Dalla sua parte avrà solo Tuag (Neva Leoni), una sopravvissuta e forse una mutante, così innocente da poter solo essere sognata, così sanguinaria da far credere all’inferno.

IL PROGETTOFabrique Come sei riuscito a coniugare la partecipazione di grandi star americane con il modo di produrre italiano?Alessandro Capone Questa pellicola è un’impresa molto curiosa, in qualche modo è un ritorno alla tradizione cinematografica italiana degli anni Sessanta e Settanta, quando gli americani venivano nel nostro paese e si producevano insieme moltissimi film di questo genere. 2047 Sights of Death ha un cast davvero stellare, e se da una parte è un ritorno alle nostre tradizioni, dall’altro è una sorpresa e scommessa totale.Il film, di genere post-apocalittico, è stato scritto infatti da un giovanissimo sceneggiatore, il direttore della fotografia e molti altri membri della troupe sono under 35, così come il produttore Andrea Iervolino. Io sono piombato di colpo nel progetto, e, grazie anche alla mia esperienza, siamo riusciti a girare il tutto in sole tre settimane.

Si batte il ciak con l’attore davanti al green screen. Dialogue coach e aiutoregia.

L’elettricista monta un proiettore su una trave di cemento.

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La troupe al lavoro con due macchine da presa. Operatore con macchina da presa a mano.

Scena dello sparo, controluce dal basso 650w fresnel.

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Come sei arrivato agli effetti visivi?Tutto è iniziato quando ho lasciato l’università perché sentivo che mi dava ben poco, e non potevo permettermi di fre-quentare una scuola professionale all’estero. Mi sono messo a studiare per conto mio e da lì ho iniziato il mio percorso partendo dalla grafica, la cosa più semplice che si può fare a casa quando si hanno vent’anni. Sono passato al web, poi ho scoperto il 3D e quindi ho iniziato a lavorare con illustrazioni per l’architettura. Da lì sono approdato al video e ho iniziato a fare effetti visivi per clip musicali. All’inizio ero solo un ragazzino che cercava una strada alternativa, e ora eccomi alle prese con il grande cinema.

- Effetti speciali -

di GIOVANNA MARIA BRANCA foto CHROMATICA

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Come lavori in concreto?Nel cinema italiano lo scopo del nostro lavoro è fare quello che serve senza far vedere che è stato fatto. In America, dove si realizzano prodotti più eclatanti e volutamente tutti finti, ovviamente è diverso. Ma se fai un film come La grande bellezza Roma deve essere Roma, al massimo un po’ “ripulita”: a volte si tratta proprio degli inestetismi della città, da parabole e condizionatori montati su palazzi dell’Ottocento a lunghi piani sequenza che vanno “perfezionati”, perché con sampietrini e dislivelli ottenere dei movimenti sempre fluidi è complesso. Poi ci sono gli interventi più massicci. Ad esempio girare nelle proprietà del Vaticano è molto difficile, per cui la scena della Scala Santa è stata

AMICO E COLLABORATORE DI RODOLFO MIGLIARI DI CHROMATICA (DUE DAVID DI DONATELLO PER IL DIVO E LA GRANDE BELLEZZA), IL GIOVANISSIMO LUCA DELLA GROTTA, ORGOGLIOSAMENTE AUTODIDATTA, RACCONTA LE SFIDE TECNICHE AFFRONTATE CON SORRENTINO.

LUCA DELLA GROTTAL’immagine di apertura è tratta dagli studi per il pulcino digitale de La kryptonite nella borsa, pellicola del 2011 diretta da Ivan Cotroneo.

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filmata dentro Palazzo Spada, e noi l’abbiamo trasformata. Sempre nel caso della Grande bellezza appaiono anche ani-mali, che dovevano sembrare molto statuari, quindi molto difficili da realizzare. In America, dove per un solo animale ci lavorano magari trenta persone per un anno e mezzo, quando vengono proposti animali simili il linguaggio visivo è diverso: spesso c’è un montaggio veloce, un’azione concitata. Qui invece gli animali si vedono a lungo: penso ad esempio ai fenicotteri, che sono stati la sfida più difficile. La giraffa invece è un effetto non previsto, perché all’ultimo momento era saltata la possibilità di usarne una vera.

Seguite molti progetti, anche se in teoria siete una piccola società…In parte dipende dal fatto che siamo in pochi a essere integrati da tempo nell’industria cinematografica. Però sono nate e continuano a nascere molte società di effetti visivi: sono tantissimi i giovani che si mettono sul mercato. La nostra fortuna è che ci sono persone che hanno creduto in noi e da anni continuano a farlo. Ma il motivo principale per cui lavoriamo tanto è che siamo spinti dalla passione: non siamo una multinazionale gelida in cui parli con dei rappresentanti. A noi al contrario piace definirci uno studio artigianale.

Conosciamo i problemi che ci sono nel nostro paese per chi vuole produrre un film, o fare il regista o l’attore. Ma com’è la situazione del vostro ambito?Credo che i clienti in un momento di difficoltà come questo vogliano sincerità. Occorre essere onesti rispetto al budget necessario, dire chiaramente che certe cose verranno male con i soldi che ci sono a disposizione, ed è meglio non farle.

Tante aziende lo farebbero comunque, o magari anche chi deve imparare perché è giovane. Il fatto che ci siano società giovani che vogliono crescere è solo un bene, ma i problemi ci sono e bisogna stare attenti. In primo luogo c’è il rischio di uccidere il mercato, e poi di fare cose di scarsa qualità. Si vuole chiudere il prodotto con pochi euro, e se vende pur essendo scarso la qualità passa in secondo piano. La liberalizzazione totale di tutto comporta questo, oltre a una mobilità che sta spiazzando tutti. Ad esempio in Italia non esiste ancora un’associazione di categoria: per lo Stato siamo generici artigiani…

C’è un film a cui sei particolarmente affezionato?Ogni prima volta di qualcosa per me è stata importante. La primissima volta però è stata Il divo: ho avuto la fortuna di fare un film bello e difficile. Ero un po’ spaventato: la più grande emozione è stata vedere proiettato a Cannes il nostro lavoro in grande con la sala strapiena. Hai paura di aver fatto un errore, che nessuno se ne sia accorto prima e che lì si veda. Ad esempio, la cosa a cui ho lavorato principalmente è la sequenza dei titoli di testa con gli omicidi, con i titoli scritti in rosso e “incollati” alla scena, una cosa che all’epoca non si era ancora vista. Ma ci sono state anche altre prime volte. Una che ricordo con simpatia è La kryptonite nella borsa, per cui ho creato dei pulcini finti. Al piccolo protagonista muore un amico e il padre per consolarlo gli porta a casa dei pulcini da accudire; il problema è che il padre dà da mangiare a questi pulcini cibo inadatto, e loro iniziano a morire uno dopo l’altro. L’ultimo scappa e si suicida dal balcone, che è una cosa triste, ma come in ogni buona commedia all’italiana fa anche ridere. Per cui lo scopo del gioco era creare dei pulcini che sembrassero veri ma facessero ridere, degli attori a tutti gli effetti. E lì

abbiamo fatto un bel lavoro: vedere le persone in sala che ridono dà una grande soddisfazione. Ma dà anche una gran-de soddisfazione creare effetti che la maggior parte le persone non notano: vuol dire che nessuno ti fa i complimenti perché non sa cosa hai fatto, e dunque il lavoro è venuto bene.

Com’è lavorare con Paolo Sorrentino?È sempre una sfida, perché lui pretende molto da tutti, è costantemente alla ricerca della perfezione. Per capirci: all’i-nizio della Grande bellezza si vede la scena brevissima di un cane che viene tirato da un domestico. Non si poteva trascinare un cane vero perché sarebbe stato maltrattamento, e poi Paolo cercava l’effetto comico, quindi serviva lavo-rare in digitale. Su questa scena che dura circa 60 fotogrammi (due secondi scarsi) c’è stata una ricerca sul movimento pazzesca. Ci abbiamo lavorato tantissimo, finché non era esattamente come voleva lui.

«NEGLI USA, DOVE A UN SOLO ANIMALE

LAVORANO ANCHE TRENTA PERSONE,

C’È UN MONTAGGIO VELOCE, UN’AZIONE

CONCITATA. QUI INVECE GLI ANIMALI SI VEDONO

A LUNGO, UNA SFIDA PIÙ DIFFICILE».

Elaborazioni digitali per sequenze di vari film: a destra, studi

per la giraffa de La grande bellezza.

Il sodalizio con Paolo Sorrentino risale

ai tempi de Il divo (2008): «Ho avuto la

fortuna di fare un film bello e difficile».

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LORIS GIUSEPPE NESE. SALERNITANO, CLASSE 1991, STUDIOSO DI CINEMA E APPASSIONATO DI COMICS, È RESPONSABILE DEL COLLETTIVO DI PRODUZIONE MULTIMEDIALE “NOUVELLE SWAG”. LAVORA COME FUMETTISTA, ILLUSTRATORE, GRAFICO E VIDEOMAKER, CONVOGLIANDO LE SUE PASSIONI NELLA SERIE CEROTTI, NELLA QUALE CINEMA E FUMETTO APPUNTO S’INCONTRANO.

http://lorisgiuseppenese.blogspot.it/

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HISTOIRES DU CINÉMA

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DIARIO

Si è rinnovato il 6 giugno il consueto appuntamento per l’uscita del numero 6 di Fabrique: questa volta a festeggiare con noi anche gli amici di Maremetraggio International ShorTS Film Festival, dedicato alle nuove promesse del cinema italiano e internazionale. Ad aprire la kermesse una tavola rotonda proprio sulle potenzialità economiche dei piccoli festival, poi, dopo l’aperitivo con dj set, è salito sul palco il gruppo dei Bamboo, straordinari musicisti che come strumenti usano oggetti di recupero, e a seguire proiezione di corti e performance teatrali. Il tutto nella magica cornice dell’Aranciera di San Sisto, illuminata da giochi di luce e forme generate da animazione in videomapping. Tanta la gente del cinema, in ordine di apparizione: Gianmarco Tognazzi, Pietro Sermonti, Cecilia Dazzi, Elisabetta Rocchetti, Camilla Filippi e Francesca Valtorta. E ancora Edoardo Natoli, Riccardo Festa, i registi Davide Marengo, Francesco Bruni e la rivelazione dell’anno Sydney Sibilia. A sorpresa e in tarda serata è arrivata anche Alice Rorhwacher. Per festeggiare una rivista dedicata al giovane cinema italiano non potevano mancare anche volti nuovi, tra cui gli attori Josafat Vagni, Joele Anastasi, Guglielmo Poggi, Simona Tabasco e Esther Elisha.

SEI X SEI

GLI EVENTI DI FABRIQUE

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DOVE

CINEMA ROMACASA DEL CINEMA | 06.423601 | Largo Marcello Mastroianni, 1EDEN FILM CENTER | 06.3612449 | Piazza Cola di Rienzo, 74FARNESE | 06.6064395 | Piazza Campo De Fiori, 56GREENWICH | 06.5745825 | Via G. Battista Bodoni, 59INTRASTEVERE | 06.5884230 | Vicolo Moroni, 3MADISON | 06.5417926 | Via G. Chiabrera, 121MAESTOSO | 06.786086 | Via Appia Nuova, 416NUOVO CINEMA AQUILA | 06.70399408 | Via L’Aquila, 66NUOVO SACHER | 06.5818166 | Largo Ascianghi, 1POLITECNICO | 06.36004240 | Via G. Battista Tiepolo, 13QUATTRO FONTANE | 06.4741515 | Via Quattro Fontane, 23TIBUR | 06.4957762 | Via degli Etruschi, 36-------------------------------------------------------------------------------------------------CINEMA FUORI ROMAKING | 095.530218 | Via A. De Curtis, 14 Catania-------------------------------------------------------------------------------------------------TEATRITEATRO VALLE | Via del Teatro Valle, 21-------------------------------------------------------------------------------------------------LOCALI ROMABAR DEL GAZOMETRO | Via del Gazometro, 20/24BIG STAR | Via Mameli, 25CAFFÈ LETTERARIO | Via Ostiense, 95CATERING BIKER’S BAR | Via W. Tobagi, 49DOLCENOTTE | Via dei Magazzini Generali, 15DOPPIO ZERO | Via Ostiense, 68DVISION RomaGIUFÀ | Via degli Aurunci, 38KINO | Via Perugia, 34HARUMI | Via Cipro, 4m/4nHARUMI | Via della Stazione di San Pietro, 31/33LA TANA DEL BIANCONIGLIO | Via B. Bossi, 6LE MURA | Via di Porta labicana, 24MAMMUT | Via Circonvallazione Casilina, 79-------------------------------------------------------------------------------------------------LOCALI FUORI ROMAIL FRANTOIO | Via Renato Fucini 10, Capalbio (GR)OSTELLOBELLO | Via Medici 4, MilanoPIADE IN PIAZZA | P.zza Meda 5, Milano-------------------------------------------------------------------------------------------------SCUOLECENTRO SPERIMENTALE DI CINEMATOGRAFIA | Via Tuscolana, 1520CINE TV ROSSELLINI | Via della Vasca Navale, 58GRIFFITH | Via Matera, 3NUOVA ACCADEMIA DI BELLE ARTI | Via C. Darwin, 20 MilanoROMEUR ACCADEMY | Via Cristoforo Colombo, 573SCUOLA D’ARTE CINEMATOGRAFICA GIAN MARIA VOLONTÉ | Via Greve, 61-------------------------------------------------------------------------------------------------LIBRERIELIBRERIA DEL CINEMA | Via dei Fienaroli, 31-------------------------------------------------------------------------------------------------FESTIVALCalabria Film FestivalFestival Internazionale del Cinema di Roma LXX Mostra d’Arte Cinematografica di VeneziaRome Independent Film Festival Visioni Italiane Cineteca di Bologna-------------------------------------------------------------------------------------------------LUOGHI ISTITUZIONALIFilm Commission GenovaMIBAC Ministero per i Beni e le Attività Culturali | Via del Collegio Romano, 27

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Per tutta l’estate sull’Isola Tiberina Fabrique ha aperto un café-cocktail bar, diventato subito un apprezzato punto di incontro della capitale. Oltre 70 gli appuntamenti gratuiti tra proiezioni, anteprime, retrospettive ed eventi speciali.

Festeggiamo ormai il terzo anno di presenza nel festival più celebre d’Italia, con una conferenza su “Cinema e nuovi media” all’Excelsior, e a seguire un maxi party di presentazione del nuovo numero al Nikki Beach.

Inizia una nuova eccitante collaborazione di Fabrique con il mondo dei festival e della rete: la rivista è ora media partner del Roma Web Fest, con novità dal panorama delle webserie italiano e internazionale.

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