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Esercizi di Filosofia Per Immagini. - Mario Costa

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Il pensiero si può anche vedere.Parla agli occhi.

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Esercizi di filosofia per immagini

© 2012 Mario Costa

Pubblicato da Kainos, rivista on line di critica filosofica ISSN 1827 3750

Numero speciale Novembre 2012

La copertina e l'impaginazione sono di Andrea Bonavoglia

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MARIO COSTA

ESERCIZI

DI FILOSOFIA

PER IMMAGINI

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Filosofia per immagini

In un famoso luogo heideggeriano si sostiene che l’immagine “come aspetto vi-

sibile fa vedere l’invisibile”1. Sul “visibile” nessun problema, anche se è possibi-

le affermare e argomentare che l’immagine fa vedere se stessa e niente altro2, ma

è sull’ “invisibile” che nascono i problemi. Che cosa è o quale è l’invisibile che

appare nell’immagine?

La questione psico-fisiologica del pensare attraverso processi visivi, così come

si è andata sviluppando a partire da Rudolf Arnheim o come viene trattata nel

cognitivismo e nelle sue applicazioni, esula da questo lavoro.

Qui muoviamo dall’essere di fronte ad una immagine fisica e tentiamo di indivi-

duare l’invisibile che questa immagine ad un tempo nasconde e lascia apparire.

Nelle opere d’arte si presume, spesso, che l’invisibile che appare sia addirittura

l’Assoluto. Noi ci poniamo su un terreno meno metafisico e tentiamo di chiarire

come un pensiero può essere dato a vedere come immagine.

La filosofia ha espresso spesso questa esigenza di mostrarsi anche in immagine e

l’ha sostanzialmente affidata al “frontespizio” e all’ “antiporta” del libro. Il

modo più semplice, specie in opere di carattere scientifico, è quello di alludere

al contenuto del libro con una immagine che in vario modo lo riprende e lo illu-

stra: è il caso ad esempio del De humani corporis fabrica del Vesalio che lo rap-

presenta mentre disseziona un corpo tra i suoi allievi, o del Dialogo sopra i due

massimi sistemi di Galilei che si apre con l’immagine dei tre personaggi che di-

scutono nel testo. Ma la filosofia vera e proprio richiede un modo di autorappre-

sentazione più complesso e articolato: essa non si accontenta di indicare quello

che nel libro viene detto ma vuole direttamente mettere in scena i concetti, i con-

cetti del suo dire, questi sono l’invisibile che essa vuole fare apparire. E per far

questo essa si serve di uno strumento complesso ma, come si dirà, ancora poco

immediato: la retorica visuale (allegorie, metafore, simboli…): il frontespizio

della Grande instaurazione di Bacone rappresenta un vascello che si inoltra al di

là delle “colonne d’Ercole” verso l’ignoto della ricerca e della scoperta, il

Leviathan di Hobbes viene rappresentato così come sarà descritto e analizzato

nel testo, le immagini del frontespizio de l’ Origine de tous les cultes, ou

réligion universelle di Dupuis alludono alle origini mitologiche dei principali

1 Martin Heidegger – “poeticamente abita l’uomo”, in Idem – Saggi e discorsi (1954), Milano, Mur-

sia, 1976, pag. 135 . L’espressione è ricordata anche da Aldo Meccariello nel bel saggio Filosofia in

immagini, in “Kainós”, Rivista telematica di critica filosofica, N.1. 20012 Ciò che vale soprattutto, come presumo di aver dimostrato in numerosi miei lavori precedenti, per

l’immagine sintetica.

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culti religiosi, il frontespizio dei Principi di scienza nuova di Vico è una vera

summa visiva di tutto quanto sarà detto nel testo, e così via.

Il pensiero e i suoi concetti, sono dunque l’invisibile che appare e si dà a vedere

nelle immagini. Ma attenzione, nessun significato può veramente essere genera-

to dalla retorica per cui ciò che essa lascia apparire non è mai veramente un pen-

siero ma soltanto la traduzione in termini noti e sclerotizzati di un pensiero che è

già dato e che non risulta creato dall’immagine stessa; quello della retorica non è

insomma il vero apparire di un invisibile ma il semplice apparire di un visibile di

secondo livello.

Bisognava aspettare ancora molto a che l’immagine diventasse veramente crea-

trice facendo scoccare un pensiero come una scintilla e dandolo veramente a ve-

dere come un invisibile da essa generato: il fotomontaggio ha permesso tutto

questo.

Non mancano inutili tentativi di distinzione tra il collage e il fotomontaggio.

Nessuno dei tentativi fatti funziona veramente ed essi risultano fuorvianti perché

collage e fotomontaggio sono sostanzialmente la stessa cosa, proveniente da una

stessa tecnica, quella cioè di confezionare immagini servendosi di pezzi prove-

nienti dalla frammentazione di altre immagini; ciò che conta, dunque, non è la

provenienza dei materiali utilizzati ma il fatto che le immagini risultino costitui-

te dalla decomposizione di altre.

Dal punto di vista della tecnica nessuna distinzione è possibile, e che i fram-

menti derivino da foto o da immagini a stampa o da fotocopie o da qualunque al-

tra modalità tecnica di produzione di immagini, è una cosa del tutto secondaria e

ininfluente semplicemente perché qui la tecnica che viene effettivamente tema-

tizzata e che ingloba e dissolve tutte le altre è di fatto quella di mettere assieme

dei frammenti di immagini per confezionarne altre 3.

Nulla poi hanno a che vedere con l’origine di questa nuova tecnica, contraria-

mente a quanto spesso si afferma, l’introduzione di pezzi di giornali nelle pitture

dei futuristi o di Braque, Picasso e così via; in questi casi ciò che viene e resta

tematizzata è la pittura, ed ogni altro elemento in essa introdotto è ad essa fun-

zionale e risulta assimilato e assorbito nella sua logica specifica.

Così come, a rigore, non possono essere ritenuti fotomontaggi quelli di Kurt

Schwitters perché tendenti sostanzialmente, e nonostante l’impiego della tecnica

e di materiali da fotomontaggio, ad assumere la natura del quadro, non troppo

distante da quella di certi lavori futuristi e cubisti.

3 Una definizione più allargata di fotomontaggio potrebbe essere quella di “montaggio di contesti di si-

gnificato diversi tra loro”. Questa definizione terrebbe presente il fatto che il “montaggio” può anche

essere costituito dal semplice accostamento di due immagini, o di una immagine e di un testo scritto, e

così via, cosa che a volte avviene anche nei fotomontaggi qui presentati. Noi usiamo indifferentemente

il termine fotomontaggio per tutto questo e per tutte le procedure sopra indicate.

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L’invenzione e le prime applicazioni, in senso proprio, di questa tecnica vengo-

no rivendicate da più parti: Grosz e Heartfield se ne attribuiscono immediata-

mente la paternità 4, ma lo stesso vale per Raul Hausmann e Hannah Höch oppu-

re per il gruppo russo del Lef e in particolare per Aleksandr Rodčenko 5.

Se dunque nessuna distinzione è possibile operare sul piano tecnico, bisognerà

trovare altri elementi in grado di rendere possibile una pur schematica differen-

ziazione. E tali elementi, se non nella tecnica in sé, vanno individuati nel modo

nel quale la tecnica stessa, la sua tecno-logica, fa funzionare il soggetto. La tec-

nica del fotomontaggio, con le operazioni che essa richiede, fatte di ricerche vi-

sive, di scelte, di selezioni, di prelievi, di giustapposizioni e così via, fa funzio-

nare il soggetto in maniera “forte” e mostra, più di qualunque altro prodotto arti-

stico, la sua chiara e consapevole intenzionalità. In altri termini, per il fotomon-

taggio sembra valere ancora una residua “norma autorale” nel senso che è sem-

pre possibile, grazie alle operazioni che esso richiede, individuare, con una inter-

pretazione tendenzialmente priva di “resti”, l’intenzione dell’autore.

E questa intenzione, schematizzando, è di tre tipi fondamentali: comunicativa,

artistica o grafica. Anche se, ovviamente, l’un tipo non esclude gli altri, esiste

comunque in ogni fotomontaggio una intenzione dominante che si lascia facil-

mente riconoscere. Queste tre intenzionalità si ritrovano rispettivamente negli

aspetti e negli artisti più significativi del “dadaismo berlinese”, del

“surrealismo” e del “costruttivismo”.

Per caratterizzare il fotomontaggio ad intenzionalità prevalentemente comunica-

tiva valga quanto scrive Gunther Anders, in un testo del 1938, per presentare

una mostra americana di Heartfield.

Anders trascura ogni altra componente e considera il fotomontaggio unicamente

dal punto di vista comunicazionale, come una nuova forma di comunicazione

tesa sostanzialmente a svelare la verità che si cela dietro all’apparenza delle cose

e dunque a presentare non un’immagine ma un giudizio: “quando Heartfield

‘falsifica’, quando egli deforma la realtà e l’organizza in un modo sorprendente,

4 In una nota di un suo libro del 1929 Franz Roh dichiara di aver ricevuto da Grosz una lettera con la

seguente dichiarazione: “si, è vero, heartfield ed io abbiamo già fatto interessanti esperienze di mon-

taggio fotografico a collage nel 1925, abbiamo fondato allora il sindacato grosz-heartfield (berlino –

sudende, 1925), ho applicato allora il termine di ‘montatore’ a heartfield”, Franz Roh – Foto-auge

(1929), Liguori Editore, Napoli, 2007, pag. 135 Una più credibile origine di questa tecnica è quella riferita a Sergej Tretjakov dallo stesso Heartfield

parlando della guerra: “La censura di guerra non consentiva l’espressione di idee antimperialiste, tanto

meno in forma scritta. Perciò i soldati al fronte escogitarono ogni sorta di stratagemmi per descrivere

la vita di prima linea ai loro cari in patria, spesso imbevuti di sciovinismo. Bisognava mettere in luce

l’abisso tra la miseria del fronte e la vita dei parassiti borghesi, e uno dei mezzi era quello di incollare

foto e ritagli di giornali, per esempio “eroi” caduti per la patria insieme a immagini che illustravano gli

ozi dei parassiti capitalisti, il tutto completato da qualche sferzante battuta. Quello fu l’inizio”, Ec-

khard Siepmann – John Heartfield (1977), Mazzotta Editore, Milano, 1978, pag. 153

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non lo fa che per dare ad essa la sua forma reale […] egli sincronizza l’occhio

e la ragione […] Heartfield è il primo a rappresentare dei giudizi” 6.

Questa intenzionalità comunicativa sarà in seguito quella più universalmente

diffusa e verrà utilizzata nei più differenti ambiti della propaganda politica, della

pubblicità, della satira…

Per una considerazione del fotomontaggio come una nuova forma d’arte si pon-

ga, ad esempio, attenzione a quanto scrive Franz Roh nel libro già citato: “se i

fotomontaggi erano prima delle distruzioni di forme, un turbine caotico di feno-

meni dispersi, oggi al contrario presentano una struttura sistematica, una tenuta e

una calma pressoché classiche, che fermezza cristallina nel piccolo mondo di

chiarezza stellare rappresentato da “dadamérique”! quanto il gioco delle forme è

elastico, trasparente e delicato nella léda! Quale grandezza tranquilla nel paesag-

gio industriale” 7.

Roh trascura qui le intenzionalità di base e considera tutti i fotomontaggi dal

punto di vista estetico, anche quelli che con l’arte e l’estetica non hanno, e non

volevano avere, nulla a che fare, ad esempio, la Leda di Moholy Nagy.

Più corretto sembra il giudizio di Mario de Andrade, il grande personaggio del

modernismo brasiliano, che, avendo come punto di riferimento i fotomontaggi di

Jorge de Lima, effettivamente animati da una forte intenzionalità artistica, ha

potuto parlare del fotomontaggio come di un processo d’espressione lirica in

grado di rivelare le tendenze più intime, gli istinti e i desideri repressi, gli ideali

e la cultura. 8.

Anche de Andrade commette però l’errore di trascurare le intenzionalità specifi-

che e di parlare del fotomontaggio come se si trattasse sempre della stessa cosa.

Una più attenta analisi del fotomontaggio è quella che si ritrova in un testo di

Karel Teige del 1932. Pur accennando ad altri tipi di fotomontaggio, Taige mo-

stra chiaramente di ritenere quello costruttivista superiore a tutti gli altri per la

sua congruenza con la rivoluzione proletaria e industriale che si va svolgendo:

“L’avvenimento più importante nel processo di sviluppo del fotomontaggio è

l’intervento del costruttivismo sovietico: qui nasce il fotomontaggio moderno

nelle sue forme mature […] Il fotomontaggio è la “pittura” dell’epoca della mac-

china, della rotativa e del rotocalco; è la “pittura” di una classe che costruisce

6 Gunther Anders, George Grosz, John Heartfield, Wieland Herzfelde – L’art est en danger (1919-

1938), Paris, Allia, 2012, pp.59 e 63.7 Franz Roh – Op, cit. pag. 128 Mario de Andrade dedicò a Jorge de Lima, già grande poeta ed ora da lui ritenuto come il più grande

creatore di fotomontaggi del Brasile in grado di competere con gli artisti europei, un articolo del no-

vembre 1936 apparso su “O Estado de São Paulo”. L’articolo, dal titolo di Fantasias de um poeta, è

ora in: Jorge de Lima – Ana Maria Paulino – O poeta insólito, Istituto de Estudos Brasileiros – Uni-

versidade de São Paulo, 1987, p. 9 e segg. Per un approfondimento dei rapporti tra Mario de Andrade

e Jorge de Lima, cfr. anche Marta Emilia de Souza e Silva – Poesia visual em Alagoas, Ed. Universi-

dade Federal de Alagoas, 2007, pagg. 73-76

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un’industria gigantesca e produce en masse […] Già la parola stessa,

fotomontaggio, esprime il carattere costruttivo, di montaggio […] il montaggio è

il nuovo modo di lavorare, nella grafica, nell’architettura e nell’industria” 9.

Cercando dunque di operare nei fotomontaggi delle distinzioni basate sulla diffe-

renza tra le intenzioni dominanti che essi immediatamente manifestano ci sem-

bra di poter dire quanto segue.

Nel fotomontaggio costruttivista (Rodcenko, Moholy-Nagy, El Lissitzky…) non

c’è nulla di immediatamente artistico, nel senso di una qualsiasi volontà di

espressione dell’io, ma soltanto una ricerca oggettiva di nuovi modi della visio-

ne e di nuove modalità di riempimento di una superficie.

Nei fotomontaggi surrealisti (Max Ernst, Jorge de Lima, Jindrich Styrsky, Grete

Stern…) l’intenzione artistica è quella dominante, immediatamente, e il foto-

montaggio tende ad esprimere livelli più o meno profondi dell’io.

Nel fotomontaggio dadaista l’intenzione dominante è quella comunicativa, pre-

valentemente di natura politica: l’esempio più evidente è quello di John Heart-

field autore di una serie di famosissimi fotomontaggi antinazisti 10; al fotomon-

taggio politico di Heartfield di critica al regime hitleriano, corrispondono i foto-

montaggi politici di sostegno al regime sovietico di Gustav Klutsis e di Valenti-

na Kulagina; l’appartenenza di Klutsis al costruttivismo, prima ben evidente, è

ora rilevabile solo dal tipo di costruzione della pagina. L’intenzione comunicati-

va, di critica sociale e politica, è ugualmente presente ma meno evidente nei fo-

tomontaggi di Raul Hausmann e di Hanna Hoch, costruiti secondo una tecnica di

assemblaggio e di giustapposizione di provenienza cubista, ed in quelli di Johan-

nes Baader di intenzione fortemente anticlericale ed antireligiosa.

Come già detto, il fatto che un fotomontaggio abbia una particolare e ben ricono-

scibile intenzione dominante, non esclude che esso possa ad un tempo averne e

manifestarne altre; nulla impedisce, ad esempio, ad un fotomontaggio di tipo co-

municativo di avere ugualmente dei connotati di tipo artistico o grafico.

L’intenzione dominante dei fotomontaggi che qui si presentano è quella comuni-

cativa, ma essi ne complicano e arricchiscono la fisiologia.

Il fotomontaggio comunicativo è una sintesi di diversi tempi che si presentano

virtualmente e simultaneamente in superficie e che richiedono di essere virtual-

mente e simultaneamente attraversati e ripercorsi dal pensiero. In altri termini, il

tempo del fotomontaggio non è quello diacronico che si svolge ed è costruito

9 Karel Teige – Sul fotomontaggio (1932), ora in Idem – Arte e ideologia – 1922/1933, Torino, Einau-

di, 1982, pag. 195 e segg.10 In epoca più recente forse solo i fotomontaggi antibellici dell’inglese Peter Kennard, con la loro sor-

prendente essenzialità, hanno raggiunto la stessa efficacia di quelli di Heartfield, mentre quelli dello

spagnolo anarchico Josep Renau, rivolti a criticare un po’ tutto, risultano meno efficaci proprio a causa

della loro prolissità.

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dalla scrittura, e dunque anche dalla filosofia, ma un tempo compresso

costituito dalla implosione di diverse temporalità che irrompono sulla superficie

tutte quante assieme. Ed è ancora come dire che il suo assorbimento non si

esaurisce nella percezione e nell’ottico, come può verificarsi per altri tipi di

fotomontaggio, ma richiede immediatamente e necessariamente l’attivazione del

pensiero e del concetto11. Se ora le possibilità del singolo fotomontaggio, che già

non sono di poco conto, vengono potenziate da una serie di fotomontaggi che

hanno tutti il medesimo “nucleo concettuale” da comunicare, o almeno da

suggerire, allora le possibilità di comunicazione, anche di contenuti difficili o

complessi, sono pressoché illimitate. Ed è quanto tentano di fare i fotomontaggi

che qui si presentano.

Quello che abbiamo chiamato “nucleo concettuale”, raramente dunque viene

reso con un unico fotomontaggio, esso è invece generalmente penetrato con del-

le serie di fotomontaggi e con due differenti tipi di procedure: o la serie è fatta di

fotomontaggi singoli e autosufficienti ma che hanno comunque tutti a che fare

con lo stesso “nucleo concettuale” e ne tematizzano differenti aspetti, oppure i

fotomontaggi non sono singolarmente autonomi ma dipendono gli uni dagli altri,

di modo che la loro articolazione permette di rendere meglio concetti anche

complessi e profondi.

L’obiettivo più ambizioso da raggiungere è quello di rendere e suggerire, tramite

i fotomontaggi, concetti filosofici, con serietà o con ironia, servendosi pochissi-

mo delle parole, strumento ritenuto fondamentale e costitutivo della filosofia, e

facendo invece una sorta di “filosofia per immagini” .

La volontà di manipolare immagini per esprimere concetti e di concederci, in

certe occasioni, delle pause dalla scrittura, non per semplice divertimento, ma

per ricorrere ad un altro medium capace di far passare e di rendere immediata-

mente avvertibili livelli e sfumature di significato sostanzialmente inattingibili

da parte di qualunque scrittura filosofica, risale, come le date testimoniano, a

molto tempo addietro e, nonostante i numerosi e lunghi periodi di interruzione,

non è mai venuta meno.

La serie di fotomontaggi Immagini per un riesame del concetto di “vita quoti-

diana” fu pubblicata nell’ottobre del 1977 su “block notes”, una Rivista under-

ground curata da un gruppo di artisti salernitani (Antonio Davide, Ugo Marano,

Giuseppe Rescigno) e contenente tra gli altri contributi di Ico Parisi, Franco Ci-

priani, Enrico Crispolti, Achille Mango…

I fotomontaggi su L’arte e la critica: analisi di un rapporto, risalgono al 1979 e

costituiscono il mio contributo al primo degli “Incontri di Martinafranca” che in

quegli anni erano curati da Enrico Crispolti. Una delle immagini è stata recente-

11 Vincenzo Cuomo, con una efficace definizione, riferendosi ai miei lavori, parla del fotomontaggio

come di “un corto circuito teorico-visivo”, e vedi la Prefazione a Corpi, in “Kainos”, ottobre 2012.

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mente pubblicata nel Catalogo che ha accompagnato la Mostra (19 maggio – 28

luglio 2012) su detti “Incontri” voluta dalla Fondazione NOESI Studio Carrieri

di Martinafranca.

Il fotomontaggio su La scrittura compare sulla “quarta di copertina” di Co-inCi-

dences, N.12, 1997.

I fotomontaggi Sul corpo valgono come il mio contributo al Convegno Corpi or-

ganizzato nel marzo 2012 da Kainos (Rivista on-line di critica filosofica) e dal

Centro per la filosofia italiana, e sono in corso di pubblicazione negli Atti del

Convegno.

I fotomontaggi Divertissement visuel en hommage à Daniel Charles, costituisco-

no il mio intervento ad un volume collettivo che, come è detto, vuole essere un

omaggio al filosofo francese, gran mangiatore, musicologo e tra i maggiori co-

noscitori dell’opera e del pensiero di John Cage 12. I fotomontaggi si riferiscono

ai concetti chiave del pensiero di Cage, ripresi e continuamente commentati da

Charles. Il volume, coi fotomontaggi, uscirà per le Editions Hermann di Parigi

entro marzo del 2013. Le immagini relative a interpénétration sans obstruction

sono due perché la prima, quella che allude alla questione ebraico-palestinese, è

stata rifiutata e censurata dall’editore, ed ho dovuto così farne una seconda che

rendesse in altro modo lo stesso concetto.

Tutti gli altri fotomontaggi, di contenuto più specificamente filosofico, sono stati

da me realizzati nel corso dell’ultimo anno.

12 Un altro mio omaggio a Daniel Charles, questa volta scritturale, si trova nel N.5/2010 della Nouvelle

Revue d’esthétique alle pagg. 73-75

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