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M. Macchioro - La prova di fisica per la maturità scientifica 148 Esame di stato di liceo scientifico Maxisperimentazione Brocca Tema di fisica anno 2002 Il candidato svolga una relazione su uno solo dei seguenti due temi, a sua scelta, prestando particolare attenzione al corretto uso della terminologia scientifica. Primo tema L’effetto fotoelettrico rimase per lunghi anni un mistero fino alla scoperta delle sue leggi da parte di Albert Einstein e le attività sperimentali di Robert Andrews Millikan. Nel 1905, Einstein riuscì a fornire un’interpretazione del fenomeno introducendo il concetto di fotone, la cui esistenza fu poi confermata dalla scoperta dell’effetto Compton nel 1923. Einstein, Millikan e Compton ebbero il premio Nobel per la fisica rispettivamente negli anni 1921, 1923 e 1927. Il candidato: 1. scriva e commenti le leggi fisiche dell’effetto fotoelettrico, descriva il fenomeno e proponga un esempio di applicazione tecnologica; 2. spieghi perché non è stato possibile interpretare l’effetto fotoelettrico utilizzando le caratteristiche di un’onda elettromagnetica; 3. descriva somiglianze e differenze tra il fotone di Einstein e il quanto di energia proposto da Planck nella radiazione del corpo nero; 4. descriva l’effetto Compton e commenti la formula: che mette in relazione le grandezze fisiche interessate; 5. calcoli l’angolo di diffusione di un fotone che, avendo un’energia iniziale di 0,8 MeV, ne perde un terzo per effetto Compton (h = 6,63 ∙10 -34 J ∙ s, m 0 = 9,11 ∙10 -31 kg, c = 3;00 ∙10 8 m/s) Secondo tema Una parte di un circuito (in figura) è costituita da tre resistori (R 1 = 100 Ω, R 2 = 200 Ω, R 3 = 300 Ω) e da un solenoide posto in aria. Questo è lungo 5 cm, ha una sezione circolare di 16 cm 2 ed `e formato da 1000 spire di resistenza trascurabile. All’interno del solenoide si trova un piccolo ago magnetico che, quando non vi è passaggio di corrente, è perpendicolare all’asse del solenoide perché risente soltanto del campo magnetico terrestre ( B t = 2 ∙ 10 -5 T). Il candidato: 1. esponga le sue conoscenze riguardo al campo magnetico terrestre e al l’uso della bussola magnetica; 2. spieghi il concetto di resistenza elettrica, descriva il tipo di collegamento dei tre resistori R 1 , R 2 e R 3 e ne calcoli la resistenza totale; 3. spieghi il concetto di induttanza e calcoli l’induttanza del solenoide, dopo aver dimostrato come si ricava la formula per il suo calcolo;

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M. Macchioro - La prova di fisica per la maturità scientifica 148

Esame di stato di liceo scientifico Maxisperimentazione Brocca Tema di fisica anno 2002

Il candidato svolga una relazione su uno solo dei seguenti due temi, a sua scelta, prestando particolare attenzione al corretto uso della terminologia scientifica.

Primo tema L’effetto fotoelettrico rimase per lunghi anni un mistero fino alla scoperta delle sue leggi da parte di Albert Einstein e le attività sperimentali di Robert Andrews Millikan. Nel 1905, Einstein riuscì a fornire un’interpretazione del fenomeno introducendo il concetto di fotone, la cui esistenza fu poi confermata dalla scoperta dell’effetto Compton nel 1923. Einstein, Millikan e Compton ebbero il premio Nobel per la fisica rispettivamente negli anni 1921, 1923 e 1927. Il candidato:

1. scriva e commenti le leggi fisiche dell’effetto fotoelettrico, descriva il fenomeno e proponga un esempio di applicazione tecnologica;

2. spieghi perché non è stato possibile interpretare l’effetto fotoelettrico utilizzando le caratteristiche di un’onda elettromagnetica;

3. descriva somiglianze e differenze tra il fotone di Einstein e il quanto di energia proposto da Planck nella radiazione del corpo nero;

4. descriva l’effetto Compton e commenti la formula:

che mette in relazione le grandezze fisiche interessate; 5. calcoli l’angolo di diffusione di un fotone che, avendo un’energia iniziale di 0,8 MeV, ne perde un

terzo per effetto Compton (h = 6,63 ∙10-34 J ∙ s, m0 = 9,11 ∙10-31 kg, c = 3;00 ∙108 m/s)

Secondo tema Una parte di un circuito (in figura) è costituita da tre resistori (R1 = 100 Ω, R2 = 200 Ω, R3 = 300 Ω) e da un solenoide posto in aria. Questo è lungo 5 cm, ha una sezione circolare di 16 cm2 ed `e formato da 1000 spire di resistenza trascurabile.

All’interno del solenoide si trova un piccolo ago magnetico che, quando non vi è passaggio di corrente, è perpendicolare all’asse del solenoide perché risente soltanto del campo magnetico terrestre (Bt = 2 ∙ 10-5 T). Il candidato:

1. esponga le sue conoscenze riguardo al campo magnetico terrestre e all’uso della bussola magnetica;

2. spieghi il concetto di resistenza elettrica, descriva il tipo di collegamento dei tre resistori R1, R2 e R3 e ne calcoli la resistenza totale;

3. spieghi il concetto di induttanza e calcoli l’induttanza del solenoide, dopo aver dimostrato come si ricava la formula per il suo calcolo;

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4. avendo osservato che l’ago magnetico ha subito una deviazione, con un angolo di 30° rispetto alla direzione originaria, calcoli, in μA, l’intensità della corrente che attraversa ognuna delle tre resistenze e il solenoide;

5. nelle stesse condizioni precedenti, calcoli il potenziale elettrico nei punti A, B e C, sapendo che il punto D è collegato a massa;

6. sapendo che tra A e D è mantenuta la differenza di potenziale già calcolata, ricavi l’angolo di deviazione dell’ago magnetico che si ottiene eliminando il resistore R2 e interrompendo, perciò, quel tratto di circuito.

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Svolgimento tema 1 1. Il candidato scriva e commenti le leggi fisiche dell’effetto fotoelettrico, descriva il fenomeno e proponga un esempio di applicazione tecnologica L’effetto fotoelettrico consiste nell’emissione di elettroni da parte di un metallo, quando viene investito da radiazione elettromagnetica di opportuna frequenza. Gli elettroni liberi del metallo prossimi alla sua superficie, in condizioni normali, non hanno l’energia sufficiente per superare la piccola barriera di potenziale che ne impedisce l’emissione. Tuttavia se essi assorbono una piccola quantità di energia, in genere di pochi eV, pari al cosiddetto lavoro di estrazione, essi abbandonano la superficie del metallo. Questa energia può essere fornita mediante riscaldamento (effetto termoelettronico) o mediante radiazione elettromagnetica (effetto fotoelettrico). Le osservazioni sperimentali portarono principalmente a due importanti evidenze, entrambe non spiegate dalla Fisica classica:

1. la prima è l’impossibilità di estrarre elettroni se la frequenza della radiazione non è almeno uguale a un valore minimo, caratteristico di ogni metallo, detto frequenza di soglia. La prima legge sull’effetto fotoelettrico è pertanto: “l’estrazione di elettroni da parte della placca metallica investita da radiazione elettromagnetica avviene solo se la frequenza della radiazione è maggiore o uguale a un valore minimo, detto frequenza di soglia, caratteristico del metallo; ciò indipendentemente dall’intensità della radiazione”. Secondo la spiegazione di Einstein, l’estrazione di elettroni può essere spiegata ipotizzando la natura corpuscolare della radiazione. Essa va intesa come composta da un gran numero di particelle, dette fotoni, prive di massa e dotate di energia data dalla relazione:

dove h = 6,63 ∙ 10-34 J∙s è la costante di Planck e f è la frequenza della radiazione. L’estrazione di elettroni avviene grazie all’interazione tra i singoli fotoni e gli elettroni. Un fotone riesce a strappare un elettrone dalla superficie del metallo se la sua energia hf è almeno uguale al lavoro di estrazione W0:

avendo indicato con f0 la frequenza di soglia. Quindi, in accordo con le evidenze sperimentali, se la radiazione elettromagnetica non possiede una frequenza almeno uguale a quella di soglia, neanche fasci di grande intensità possono generare l’emissione di elettroni. I valori di f0 corrispondono alla radiazione visibile per alcuni metalli, ultravioletta per altri.

2. La seconda evidenza sperimentale può essere così sintetizzata: “l’energia cinetica massima degli elettroni emessi da un certo metallo non dipende dall’intensità della radiazione ma dalla sua frequenza” questa affermazione costituisce la seconda legge sull’effetto fotoelettrico. L’indipendenza dell’energia cinetica massima degli elettroni dall’intensità del fascio fu spiegata da Einstein imponendo che essa fosse uguale alla differenza tra l’energia del fotone e il lavoro di estrazione:

l’energia cinetica massima cresce linearmente al crescere della frequenza della radiazione ( è una costante) ed è indipendente dall’intensità. Un fascio più intenso, pertanto, è costituito da un maggior numero di fotoni ed è in grado di estrarre un maggior numero di elettroni, ma non influisce sull’energia degli stessi. Tra le applicazioni tecnologiche dell’effetto fotoelettrico, la più importante è la cellula fotoelettrica. Essa è costituita da un involucro sotto vuoto nel quale sono disposti 2 elettrodi collegati a una batteria: il catodo, collegato al polo negativo, rivestito di una sostanza fotosensibile, e l’anodo, collegato al polo positivo. Illuminando il catodo, esso emette elettroni per effetto fotoelettrico e si genera così una corrente nel circuito. Se però un oggetto si interpone tra la sorgente luminosa e il catodo, quest’ultimo non emette più elettroni e la corrente si interrompe. Questo semplice dispositivo è usato, per esempio, nei cancelli ad apertura automatizzata, nei quali il passaggio di una persona ne blocca la chiusura, e negli impianti d’allarme, nei quali l’interruzione del raggio luminoso provoca un segnale acustico.

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2. Il candidato spieghi perché non è stato possibile interpretare l’effetto fotoelettrico utilizzando le caratteristiche di un’onda elettromagnetica Secondo la concezione classica, l’energia trasportata da un’onda elettromagnetica è legata al modulo quadro del campo elettrico (o magnetico) secondo le relazioni:

oppure

è la densità media di energia, notiamo che nelle formule compaiono i valori efficaci dei campi. E’ noto inoltre che, per definizione, la grandezza intensità di un’onda è proporzionale all’energia, essendo data dalla relazione:

quindi, immaginando la radiazione racchiusa in un volume di forma cilindrica

l’intensità media di un’onda è, pertanto, direttamente proporzionale alla densità di energia media. Per la Fisica classica, quindi, l’energia che la radiazione trasporta dipende unicamente dall’intensità e non dalla frequenza, quindi non trova alcuna spiegazione la presenza di una frequenza minima, al di sotto della quale neanche fasci molto intensi riescono ad estrarre elettroni. L’energia cinetica massima degli elettroni può essere misurata ricorrendo al seguente apparato sperimentale, nel quale è presente un tubo a vuoto contenente due elettrodi, di cui uno ricoperto del metallo che si vuole studiare. Si collegano gli elettrodi a una sorgente di f.e.m. variabile, in modo da variare la d.d.p. tra gli elettrodi, e a un microamperometro per misurare la corrente.

Studiando la relazione tra tensione e corrente, e ripetendo la prova con fasci di diversa intensità, si ottiene il seguente grafico:

Ponendo la placca metallica a un potenziale minore dell’altro elettrodo (ΔV > 0), gli elettroni vengono accelerati provocando un aumento della corrente, fino ad arrivare a un valore di saturazione, corrispondente al fatto che tutti gli elettroni emessi nell’unità di tempo raggiungono l’elettrodo positivo. La corrente di saturazione aumenta all’aumentare dell’intensità, e ciò è spiegabile ammettendo che fasci più intensi determinino l’emissione di un maggior numero di elettroni nell’unità di tempo. Invertendo le polarità degli elettrodi (ΔV < 0), gli elettroni vengono invece respinti fino ad annullare la corrente. La d.d.p. per la quale la corrente si annulla è detta potenziale d’arresto. In questa situazione,

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anche gli elettroni dotati di maggior energia cinetica non riescono a raggiungere l’elettrodo negativo, per cui è facile ottenere la relazione tra energia cinetica massima degli elettroni e potenziale d’arresto:

Il potenziale d’arresto, pertanto, è una grandezza misurabile per mezzo della quale è facile risalire all’energia cinetica massima. Dal grafico tensione-corrente appare evidente il fatto non spiegabile classicamente: fissato il metallo e la frequenza della radiazione, il potenziale d’arresto dovrebbe aumentare, in valore assoluto, col crescere dell’intensità del fascio, ciò perché a maggior intensità dovrebbe corrispondere una maggiore energia ceduta agli elettroni, e quindi, per la relazione precedente, un maggior potenziale d’arresto. Il grafico, invece, evidenzia un potenziale d’arresto sempre uguale a qualunque intensità. 3. Il candidato descriva somiglianze e differenze tra il fotone di Einstein e il quanto di energia proposto da Planck nella radiazione del corpo nero Per spiegare l’effetto fotoelettrico Einstein ipotizzò che tutta la radiazione fosse costituita da un insieme di corpuscoli, detti fotoni, privi di massa e viaggianti alla velocità della luce. I fotoni ipotizzati da Einstein trasportano un’energia proporzionale alla frequenza della radiazione secondo la relazione E = hf, dove h è la costante introdotta pochi anni prima da Planck. In questo modo, Einstein estese la quantizzazione dell’energia a tutta la radiazione, mentre secondo Planck la quantizzazione si manifesta solo nel momento in cui la radiazione, che per Planck ha comunque una natura ondulatoria secondo quanto teorizzato da Maxwell, interagisce con la materia. E’ proprio questa, pertanto, la differenza tra il quanto di energia di Planck e il fotone di Einstein: per il primo la quantizzazione è limitata solo all’interazione tra la radiazione e la materia, mentre per il secondo è proprio la radiazione stessa ad avere natura corpuscolare. 4. Il candidato descriva l’effetto Compton e commenti la formula:

che mette in relazione le grandezze fisiche interessate Il fenomeno noto come effetto Compton consiste nella diffusione subita da radiazione di alta frequenza da parte di un metallo. Questo fenomeno, scoperto nel 1923, presentava aspetti non spiegabili con la Fisica classica: infatti dalle evidenze sperimentali era emerso che, inviando un fascio di raggi X contro un blocco di grafite, il fascio diffuso presentava, oltre a una componente di lunghezza d’onda λ pari a quella della radiazione incidente, una seconda componente di lunghezza d’onda λ’ ≥ λ , il cui valore dipende dall’angolo di diffusione. La Fisica classica, invece, prevede che gli elettroni bersaglio dovrebbero oscillare alla frequenza della radiazione incidente, per poi riemettere nuovamente alla stessa frequenza: quindi la radiazione incidente e quella diffusa dovrebbero avere la stessa lunghezza d’onda, indipendentemente dall’angolo di diffusione. Per spiegare questo fenomeno, Compton utilizzò il modello a fotoni di Einstein della radiazione e ipotizzò che i fotoni del fascio incidente, considerati come vere e proprie particelle di energia E = hf e quantità di moto p = h/λ, urtassero elasticamente gli elettroni liberi del metallo, considerati inizialmente in quiete, cedendo loro una parte della propria energia e subendo al contempo una diminuzione della frequenza (infatti se E’ < E , allora f’ < f e λ’ > λ).

Applicando il principio di conservazione della quantità di moto, avendo indicato con θ l’angolo di diffusione del fotone e con quello dell’elettrone, si ottengono le seguenti equazioni:

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relativamente all’asse x:

relativamente all’asse y:

è il fattore relativistico

e è la quantità di moto relativistica dell’elettrone diffuso.

Imponendo inoltre la conservazione dell’energia cinetica:

dove è l’energia cinetica relativistica dell’elettrone diffuso, e combinando opportunamente le

tre equazioni così ottenute, Compton ottenne una relazione tra la lunghezza d’onda del fotone diffuso e l’angolo di diffusione θ:

dove me è la massa a riposo dell’elettrone, e la grandezza

, il cui valore è 2,43 ∙ 10-12 m, prende il nome

di lunghezza d’onda Compton dell’elettrone. Esaminiamo in dettaglio la formula precedente. Osserviamo che, partendo dal caso di urto radente ( θ = 0°), nel quale la radiazione non viene praticamente diffusa e non subisce alcuna variazione di λ, la variazione della lunghezza d’onda della seconda radiazione cresce al crescere di θ , fino a raggiungere il massimo valore per θ = 180° (urto centrale), nel quale essa è pari al doppio della lunghezza d’onda Compton. La presenza di una parte della radiazione diffusa che conserva la lunghezza d’onda iniziale può essere spiegata considerando che un certo numero di fotoni interagisce con gli elettroni più interni della grafite, che essendo fortemente legati al nucleo diffondono i fotoni senza però sottrarre energia alla radiazione: in pratica è come se il fotone interagisse con l’intero atomo, essendo la massa dell’atomo

molto maggiore di quella dell’elettrone, la quantità

diventa trascurabile, pertanto λ’ = λ.

5. Il candidato calcoli l’angolo di diffusione di un fotone che, avendo un’energia iniziale di 0,8 MeV, ne perde un terzo per effetto Compton Notiamo una certa leggerezza nel dato numerico dell’energia iniziale, espressa con una sola cifra significativa. Per dare significato ai risultati, considereremo il dato con tre cifre significative:

energia iniziale L’energia finale sarà:

trasformiamo le energie in joule moltiplicando i valori in eV per 1,60 ∙ 10-19 J/eV:

E’ possibile ricavare la lunghezza d’onda del fotone incidente e di quello diffuso tramite la relazione:

si ottiene

la variazione di lunghezza d’onda è pertanto:

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Δ Dalla legge dell’effetto Compton, per formula inversa, ricaviamo l’angolo θ di diffusione del fotone:

Δ

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Secondo tema Una parte di un circuito (in figura) è costituita da tre resistori (R1 = 100 Ω, R2 = 200 Ω, R3 = 300 Ω) e da un solenoide posto in aria. Questo è lungo 5 cm, ha una sezione circolare di 16 cm2 ed `e formato da 1000 spire di resistenza trascurabile.

All’interno del solenoide si trova un piccolo ago magnetico che, quando non vi è passaggio di corrente, è perpendicolare all’asse del solenoide perché risente soltanto del campo magnetico terrestre (Bt = 2 ∙ 10-5 T). Il candidato:

7. esponga le sue conoscenze riguardo al campo magnetico terrestre e all’uso della bussola magnetica;

8. spieghi il concetto di resistenza elettrica, descriva il tipo di collegamento dei tre resistori R1, R2 e R3 e ne calcoli la resistenza totale;

9. spieghi il concetto di induttanza e calcoli l’induttanza del solenoide, dopo aver dimostrato come si ricava la formula per il suo calcolo;

10. avendo osservato che l’ago magnetico ha subito una deviazione, con un angolo di 30° rispetto alla direzione originaria, calcoli, in μA, l’intensità della corrente che attraversa ognuna delle tre resistenze e il solenoide;

11. nelle stesse condizioni precedenti, calcoli il potenziale elettrico nei punti A, B e C, sapendo che il punto D è collegato a massa;

12. sapendo che tra A e D è mantenuta la differenza di potenziale già calcolata, ricavi l’angolo di deviazione dell’ago magnetico che si ottiene eliminando il resistore R2 e interrompendo, perciò, quel tratto di circuito.

Svolgimento tema 2

1. Il candidato esponga le sue conoscenze riguardo al campo magnetico terrestre e all’uso della bussola magnetica La Terra genera nello spazio circostante un campo magnetico le cui linee di campo escono da un punto situato nelle vicinanze del polo Nord geografico detto polo Nord magnetico ed entrano nel polo Sud magnetico, situato nelle vicinanze del polo Sud geografico. A dispetto dei loro nomi convenzionali, i poli magnetici della Terra sono in realtà un Sud quello Nord e un Nord quello Sud, ciò perché, assimilando la Terra a una sbarretta magnetica, il Nord magnetico è il polo da cui escono le linee di campo e il Sud quello in cui vi rientrano. L’intensità varia con la posizione ed è maggiore ai poli. Mediamente il valore è di circa 0,5 Gauss, cioè 0,5 ∙ 10-4 Tesla. La direzione e il verso del campo magnetico terrestre possono essere ottenuti utilizzando un semplice strumento detto bussola. Un ago magnetico, la cui polarità Nord viene annerita per evidenziarlo, può ruotare orientandosi lungo le linee del campo puntando il suo Nord verso il Sud del magnete Terra, che, come già detto, si trova nelle vicinanze dei Nord geografico. L’ago è normalmente posto su un quadrante sul quale sono riportati i punti cardinali. In questo modo è possibile orientarsi sulla superficie terrestre. La causa fisica della rotazione dell’ago della bussola in un campo magnetico risiede nel fatto che un magnete immerso in un campo subisce una coppia di forze tale da farlo ruotare, finché non raggiunge la posizione

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finale di equilibrio, nella quale diventa nullo il momento della coppia. In questa posizione l’ago prenderà la direzione della tangente alla linea del campo terrestre in quel punto, rivolgendo il suo Nord verso il Sud del magnete Terra e indicando così, approssimativamente, il Nord geografico. 2. Il candidato spieghi il concetto di resistenza elettrica, descriva il tipo di collegamento dei tre resistori R1, R2 e R3 e ne calcoli la resistenza totale La resistenza elettrica è definita, in base alla prima legge di Ohm, come il rapporto tra la tensione applicata ai capi di un conduttore e l’intensità di corrente che vi scorre:

Essa, in pratica, rappresenta l’opposizione offerta dal conduttore al passaggio della corrente. La resistenza dipende dalla natura e la geometria del conduttore, infatti per un conduttore cilindrico di lunghezza l e sezione S vale la seconda legge di Ohm in base alla quale la resistenza è direttamente proporzionale a l e inversamente proporzionale a S, e inoltre dipende dalla natura del conduttore mediante un parametro ρ detto resistività:

La resistenza elettrica si misura in ohm (Ω):

Ω

si dice che un conduttore ha resistenza di 1Ω quando, sottoposto a una d.d.p. di 1V, è attraversato da una corrente di intensità 1A. Per definizione, due o più resistori si dicono collegati in serie quando sono attraversati dalla stessa corrente, mentre si dicono collegati in parallelo quando sono sottoposti alla stessa differenza di potenziale. Osservando la figura, si nota che i resistori R2 e R3 sono collegati in parallelo, avendo i loro terminali nei punti B e C e quindi alla stessa d.d.p., mentre il resistore R1 è in serie col parallelo di R2 e R3 (ma non singolarmente con R2 o R3), in quanto si nota facilmente che la corrente che lo attraversa, giunta in B, si biforcherà in parti inversamente proporzionali nei due resistori R2 e R3 per poi riunirsi in C, e pertanto l’intero parallelo R2R3 è attraversato dalla stessa corrente di R1. Per calcolare la resistenza totale (o equivalente) si ricorre a due note regole:

la resistenza equivalente di due o più resistenze in serie si ottiene sommando tutte le resistenze:

Il reciproco della resistenza equivalente di due o più resistenze in parallelo si ottiene sommando i reciproci di tutte le resistenze:

Nel caso di due sole resistenze si può applicare la formula semplificata:

Pertanto, risolvendo prima il parallelo si ha:

Ω Ω

Ω Ω

e successivamente Ω Ω

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3. Il candidato spieghi il concetto di induttanza e calcoli l’induttanza del solenoide, dopo aver dimostrato come si ricava la formula per il suo calcolo Si consideri una spira qualsiasi percorsa da corrente. Sappiamo che essa genera nello spazio un campo magnetico e consideriamo il flusso concatenato alla spira. essendo il flusso proporzionale al campo, e quest’ultimo proporzionale alla corrente, si può dedurre un rapporto di proporzionalità diretta tra flusso e corrente. La costante di proporzionalità, che sarà data dal rapporto costante tra flusso e corrente, prende il nome di induttanza della spira (L):

l’unità di misura di questa grandezza si chiama Henry (H) ed è l’induttanza di una spira che, attraversata da una corrente di 1 Ampere, avrà un flusso magnetico concatenato di 1 Weber:

Nonostante la definizione, si può dimostrare che l’induttanza non dipende né dal flusso, né dalla corrente, bensì unicamente dai parametri geometrici del sistema e dalla permeabilità magnetica del mezzo. Ciò risulta evidente dalla dimostrazione della formula dell’induttanza di un solenoide. Chiamando con l la lunghezza del solenoide, A l’area di ciascuna spira e N il numero di spire, immaginando il solenoide nel vuoto, ricordiamo che il campo magnetico generato da un solenoide ideale nel suo interno è uniforme, è diretto come l’asse del solenoide e ha modulo:

Pertanto il flusso concatenato al solenoide sarà N volte quello di una singola spira:

applicando la definizione di flusso si ottiene la formula:

valida nel vuoto; se all’interno del solenoide è presente un materiale, è sufficiente moltiplicare per la permeabilità magnetica relativa:

dato che la permeabilità è significativamente diversa da 1 (in particolare >> 1) solo per le sostanze ferromagnetiche, è evidente che nella pratica solo queste ultime sono utilizzate per avvolgervi le spire del solenoide, ottenendo così un notevole aumento dell’induttanza. Dalle formule ricavate è evidente la dipendenza di L unicamente dai parametri fisico-geometrici del solenoide. Nel problema il solenoide è posto in aria, che può essere assimilata al vuoto. Sostituendo i dati, dopo aver trasformato la lunghezza in metri e la sezione in metri quadrati, si ottiene:

4. Avendo osservato che l’ago magnetico ha subito una deviazione, con un angolo di 30° rispetto alla direzione originaria, calcoli, in μA, l’intensità della corrente che attraversa ognuna delle tre resistenze e il solenoide Come già detto, un ago magnetico sulla superficie terrestre si orienta secondo le linee del campo magnetico terrestre, a meno che quest’ultimo non sia perturbato da un campo esterno che vi si sovrapponga. In questo caso, l’ago magnetico subisce una deviazione e si orienta secondo la risultante dei due campi. Essendo il campo generato dal solenoide parallelo al suo asse, i due campi risultano perpendicolari tra loro e il campo risultante formerà un angolo di 30° con quello terrestre.

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Bt è il campo magnetico terrestre e ha modulo 2,00 ∙ 10

-5 T (aggiungiamo due cifre significative per dare significato al risultato finale), Bs è il campo generato dal solenoide e Btot è il campo totale. Dalla figura deduciamo che:

e già sappiamo che

uguagliando le due espressioni possiamo ricavare la corrente che attraversa il solenoide:

Questa corrente attraverserà anche il complesso delle tre resistenze e in particolare R1, essendo collegata in serie alle altre due:

La corrente i si biforca nel parallelo R2R3 in parti inversamente proporzionali alle resistenze stesse. Osservando che

si ha

e, osservando che

si ottiene facilmente

In alternativa, ricordando che R2R3 = 120 Ω, possiamo ricavare con la prima legge di Ohm la d.d.p. ai capi del parallelo:

Ω e, sempre applicando la prima legge di Ohm, ricaviamo infine le correnti:

Ω

Ω

Bs

Bt

Btot

30°

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5. Nelle stesse condizioni precedenti, calcoli il potenziale elettrico nei punti A, B e C, sapendo che il punto D è collegato a massa

Essendo il punto D collegato a massa, in esso il potenziale è nullo, e, ricordando che un’induttanza ideale ha resistenza zero, anche in C il potenziale vale zero:

Abbiamo già calcolato la d.d.p. ai capi del parallelo R2R3, il valore ricavato sarà anche il valore del potenziale in B:

Utilizzando la prima legge di Ohm,ricaviamo la d.d.p. ai capi di R1:

Ω Avremo pertanto:

6. Sapendo che tra A e D è mantenuta la differenza di potenziale già calcolata, ricavi l’angolo di deviazione dell’ago magnetico che si ottiene eliminando il resistore R2 e interrompendo, perciò, quel tratto di circuito

Abbiamo ricavato nel punto precedente la d.d.p. tra i punti A e D:

Se si elimina il resistore R2, le resistenze R1 e R3 risultano in serie e saranno attraversate dalla stessa corrente, che attraverserà poi anche l’induttanza. La resistenza equivalente R1R3 diventa:

Ω Ω e la corrente sarà, tenendo conto che VA – VD = V13:

Ω

Dalla figura si ricava

ricaviamo Bs:

e infine

Bs

Bt

Btot

θ