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Eparchia di Lungro Per gli Italo – Albanesi dell’Italia Continentale Contributi di studio e di riflessione in preparazione alla Chirotonia Episcopale di S.E. Rev.ma Mons. Donato Oliverio, IV Vescovo di Lungro. Cattedrale “San Nicola di Mira” Lungro Domenica 1 luglio 2012

Eparchia di Lungro fornisce una delle chiavi interpretative di tutta la storia della salvezza. La terminologia che ci interessa, infatti, traduce in greco quel che in ebraico viene

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Eparchia di Lungro

Per gli Italo – Albanesi

dell’Italia Continentale

Contributi di studio e di riflessione

in preparazione alla

Chirotonia Episcopale di

S.E. Rev.ma Mons. Donato Oliverio,

IV Vescovo di Lungro.

Cattedrale “San Nicola di Mira” Lungro

Domenica 1 luglio 2012

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CENNI STORICI SULL’EPARCHIA DI LUNGRO

(Protopresbitero Antonio Bellusci)

La sacra e veneranda Eparchia greca di Lungro degli Italo - Albanesi dell’Italia continentale, anche se canonicamente costituita nel 1919 dal Papa Benedetto XV, affonda le sue radici storico-religiose nell’anno 1439 allorquando nel concilio di Firenze venne ripristinata l’unione, dopo lo scisma del secolo XI, tra la Chiesa di Roma e la Chiesa di Costantinopoli.

Questo evento storico permise ai nostri padri di fede ortodossa, emigrati dalla penisola balcanica (Epiro, Chimara, Morea ed altre regioni dell’Ellade) a causa dell’invasione ottomana, di poter essere accolti in Calabria, Basilicata, Sicilia, Puglia, Molise ed Abruzzo come fratelli nella stessa fede di Nicea (325), anche se di rito bizantino-greco e di tradizione costantinopolitana. Riprese e continuò così in Italia la presenza della Chiesa Bizantina.

Dopo il concilio di Trento (1563) le nostre comunità arbëreshe furono poste sotto la giurisdizione dei Vescovi latini. Nel secolo XVII parecchie comunità arbëreshe furono costrette ad abbandonare il rito bizantino degli avi per passare al rito latino. Tale processo di latinizzazione cessò definitivamente con l’istituzione del collegio “Corsini” a San Benedetto Ullano (1732) da parte del Papa Clemente XII, grazie all’opera dei fratelli Stefano Rodotà (1689-1726), Felice Samuele Rodotà (1691-1740), Pietro Pompilio Rodotà (1707-1770) e di molti altri insigni Sacerdoti.

Il collegio “Corsini” diede una svolta decisiva alle nostre comunità, guidate da Vescovi ordinanti e da un clero molto colto. Tale azione di progresso e di rinnovamento culturale e spirituale proseguì agli inizi dell’800 nel collegio di Sant’Adriano in San Demetrio Corone, sotto la direzione del Vescovo - Presidente Mons. Domenico Bellusci di Frascineto (1774-1833).

Nel 1888 l’Archimandrita Pietro Camodeca dei Coronei rivolse un’istanza al Papa Leone XIII per chiedere l’autonomia ecclesiastica con un Vescovo ordinario Italo -Albanese. Il Papa

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Benedetto XV nel 1919 con la bolla “Catholici fideles” istituì l’Eparchia di Lungro.

Mons. Giovanni Mele (1885-1979) fu il primo Vescovo ordinario dell’Eparchia che guidò dal 1919 al 1967. Pose le fondamenta alla nuova Eparchia dandole una fisionomia di Chiesa Orientale ed organizzando la comunità diocesana nelle sue strutture principali.

Nel “Bollettino” dell’Eparchia, da lui fondato nel 1925, sono bene evidenziati i travagli, le povertà, le prospettive, i percorsi e le mete raggiunte.

Mons. Giovanni Stamati (1912-1987) diresse l’Eparchia prima come Amministratore Apostolico “sede plena” (1967-1979) e poi come Vescovo ordinario (1979-1987). Egli dedicò le sue energie all’azione pastorale, alla liturgia, alla lingua albanese, all’ecumenismo, alla costruzione di case canoniche. Sotto il suo Episcopato Falconara Albanese ritornò al rito bizantino degli avi (1974) ed, inoltre, venne istituita a Cosenza la Parrocchia “personale” del Santissimo Salvatore (1979).

Mons. Ercole Lupinacci (1934), oggi Vescovo emerito, dopo aver guidato l’Eparchia di Piana degli Albanesi (1981-1987), venne scelto a guidare l’Eparchia di Lungro (1987-2010).

Sotto il suo Episcopato, come si può rilevare dal “Bollettino” di Lungro e dal periodico quadrimestrale “Lajme/Notizie”, fondato nel 1981, c’è stato un notevole recupero iconografico e liturgico in tutte le nostre chiese con nuove iconostasi, battisteri, troni, ecc. Sono state particolarmente curate le relazioni con l’Albania, la Grecia, le Chiese Cattoliche Orientali in Europa e con gli emigranti arbëreshë in Europa e nelle Americhe.

È stata annessa a Lungro la Parrocchia di Cantinella (1989) ed è stata istituita in Castrovillari la parrocchia “personale” di Santa Maria di Costantinopoli (2003) ed in Cosenza il Seminario Maggiore Eparchiale (2006).

Gli avvenimenti più significativi durante il suo Episcopato sono stati la celebrazione della I Assemblea Eparchiale di Lungro (1996)

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e la celebrazione del II sinodo InterEparchiale di Grottaferrata (2004-2005).

Il Vescovo eletto, Mons. Donato Oliverio, nato a Cosenza nel 1956, ha conseguito il Baccalaureato in filosofia e teologia all’Angelicum e la Licenza in Scienze Ecclesiastiche Orientali presso il Pontificio Istituto Orientale di Roma. Ha ricevuto l’Ordinazione Sacerdotale il 17 ottobre 1982 da Mons. Giovanni Stamati e subito nominato Parroco della Chiesa di ”San Giuseppe” di Marri in San Benedetto Ullano.

Nell’Eparchia ha ricoperto vari incarichi: membro dell’Istituto Sostentamento Clero, Segretario dell’Istituto di Scienze Religiose “Giovanni Stamati”, membro del Consiglio Presbiterale, Protosincello e Moderatore della Curia, Segretario Generale della I Assemblea Eparchiale di Lungro e del II Sinodo InterEparchiale di Grottaferrata.

Ha pubblicato dal 1987 sulla rivista diocesana “Lajme/Notizie” vari articoli su argomenti pastorali, iconografici, ecumenici e sinodali.

L’Arcivescovo - Metropolita di Cosenza - Bisignano, Mons. Salvatore Nunnari, Amministratore Apostolico, il 10 agosto 2010 l’ha scelto e nominato come suo Vicario e Collaboratore “delegato ad omnia”.

Mons. Salvatore Nunnari dal 10 agosto 2010 fino ad oggi ha diretto e servito con amore paterno, saggezza, pazienza e profondo rispetto l’intera nostra comunità diocesana, il clero lungrese, il nostro rito bizantino e le nostre tradizioni orientali. Egli, come un “angelo di passaggio”, ci è stato sempre vicino confortandoci ed esortandoci ad avere una visione di Chiesa, fondata nella speranza, collaborazione ed attività pastorale.

Mons. Nunnari, presentando in cattedrale il nuovo Vescovo Donato, ha usato queste belle espressioni: “Oggi siamo qui per festeggiare un Vescovo che è di questa terra. Porterai il peso ed il servizio Episcopale con la pazienza e la saggezza del padre e con la bontà di una madre, perché il Vescovo è padre e madre per accogliere, asciugare qualche lacrima, camminare e guidare questa

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Chiesa per vivere nel tempo ed oltre il tempo, perché questa Chiesa porta la storia di ieri ma anche la bellezza della storia di oggi”.

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UN APPUNTO CIRCA IL VOCABOLARIO DELL’«EPISCOPATO» NEL LINGUAGGIO BIBLICO

P. Pino Stancari, SJ

Negli scritti del Nuovo Testamento la figura del Vescovo non è ancora del tutto delineata secondo quelle caratteristiche che verranno poi precisandosi nel corso dei primi secoli e che costituiranno un riferimento sacramentale imprescindibile nel corso della storia della Chiesa fino a noi.

In queste poche righe vorrei limitarmi ad alcune osservazioni circa il vocabolario dell’ “Episcopato”. Il termine epìskopos (a cui si connettono il sostantivo episkopì e i verbi episkopein ed episképtesthai), infatti, è presente nel Nuovo Testamento, ove viene attribuito senz’altro al Signore Gesù, che è l'agnello divenuto pastore di tutte le pecore (cf. 1Pt 2,25), come pure ai discepoli che svolgono ruoli di responsabilità nelle comunità Cristiane (cf. At 20,28; Fil 1,1; 1Tim 3,2; Tt 1,7).

In ogni caso, questa terminologia eredita e valorizza un linguaggio che è presente, in lungo e in largo, nell’Antico Testamento e che ci fornisce una delle chiavi interpretative di tutta la storia della salvezza. La terminologia che ci interessa, infatti, traduce in greco quel che in ebraico viene inteso come l’esercizio di una “visita”, con tutte le variabili di situazioni e di figure che la caratterizzano.

La storia della salvezza, dunque, è una storia Episcopale, nel senso che è la storia della visita mediante la quale Dio stesso si è reso presente nella storia umana, così da ridurla in obbedienza alla sua iniziativa d’amore e trasformarla in una rivelazione di grazia per la salvezza di tutti gli uomini.

Questa visita di Dio si è compiuta nella sua definitiva efficacia con la Pasqua di morte e di resurrezione e con l'effusione dello Spirito Santo. Questo modo specialissimo di visitare il mondo e di dare la svolta decisiva alla storia umana ci ha rivelato il segreto dell’intima vita divina e costituisce adesso l’evangelo affidato alla Chiesa, ossia quell’impulso vivo e inesauribile che muove dall’interno gli

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eventi della storia, per una testimonianza di salvezza efficace fino agli estremi confini della terra (cf. At 1,8).

Si può ben dire, dunque, che la missione della Chiesa è intrinsecamente Episcopale: essa è il prolungamento sacramentale di quella visita di Dio che ora evangelizza i tempi e gli spazi del mondo, le invisibili profondità di ogni cuore umano e le periferie più remote e più inquinate della storia universale.

Tutto ciò ci porta a ritenere che il ministero Episcopale sia essenzialmente realizzato in questa missione della visita, che incontra, che ascolta, che raccoglie, che benedice, che redime. Modello di questa speciale sollecitudine visitante è la Madre del Signore, che “si mette in viaggio” per “raggiungere” la regione montuosa della Giudea, ove “entra” nella casa di Zaccaria e “saluta” la cugina Elisabetta, suscitando in lei un sussulto di gioia profetica (cf. Lc 1,39-45).

Sarà, poi, lo stesso Zaccaria che, “pieno di Spirito Santo”, canterà la sua “profezia” (cf. 1,67), per rendere testimonianza alla “visita di Dio”, che ricapitola tutta la storia del passato (cf. 1,68) e già illumina tutto lo svolgimento della storia futura (cf. 1,78). La missione Episcopale della Chiesa sta ora nel presente di questa profezia: “Benedetto il Signore, Dio d'Israele, / perché ha visitato e redento il suo popolo, / … / per cui verrà a visitarci dall'alto come un sole che sorge / …”.

Questo è l'Episcopato che struttura dall'interno il cammino del nostro popolo Cristiano e lo conferma nel grande viaggio dell’evangelizzazione universale, “per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre / e nell'ombra della morte / e dirigere i nostri passi sulla via della pace” (cf. 1,79).

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L’EPARCHIA DI LUNGRO E L’EMIGRAZIONE ARBËRESHE

a cura della comunità della Chiesa Cattolica di rito bizantino “Sant’Atanasio” – Roma

Stato degli arbëreshë

Gli arbëreshë rappresentano una popolazione in stato di emigrazione permanente, prima nel XV secolo, dall’Albania verso le sponde occidentali adriatiche e joniche, e successivamente, verso il resto dell’Italia, l’Europa e le Americhe.

Le emigrazioni arbëreshë dall’Albania e dalla Morea verso il Regno di Napoli erano caratterizzate dalla presenza anche dei papàs che, in diverse forme, seguirono i ceppi di famiglie che si spostavano dalle terre d’origine verso altri luoghi.

Sotto l’aspetto dell’attenzione religiosa, la Chiesa cattolica di Roma con la fondazione del Collegio Greco (Papa Gregorio XIII, 1577) di Roma riservava ad essi alcuni posti gratuiti per la formazione del clero: il primo Sacerdote che ha studiato nel Collegio Greco è Luca Matranga che nel 1592 pubblica il catechismo arbëreshë “E mbësuame e Krështerë”.

Ci vorrà il XVIII secolo con la fondazione dei due Collegi di Calabria, prima il “Corsini” in S. Benedetto Ullano (CS) e poco dopo il seminario greco-albanese di Palermo, per avere un’offerta di studi più adeguata e un’opportunità estesa a un numero di studenti più ampio. Anche queste due istituzioni già negli statuti di fondazione allargavano lo sguardo alla diaspora, e alle zone di provenienza della popolazione arbëreshë.

A questo punto la mente va anche alle missioni dei monaci basiliani in Himara (Sud dell’Albania) nel XVII e XVIII secolo quando dal Monastero di Grottaferrata e da quello di Mezzojuso si recarono proprio nelle zone della Himara diversi monaci arbëreshë, alcuni dei quali successivamente furono eletti Vescovi di Durazzo (mons. Giuseppe Schirò, 1736) e di Ocrida (mons. Basilio Matranga, 1726).

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Ed è a tutti nota la presenza di papàs Demetrio Camarda nella Chiesa dei Santi Pietro e Paolo a Napoli e poi a Livorno.

La Chiesa ha sempre cercato di fornire agli emigranti un punto di riferimento per sostenerli nel loro difficile percorso di cittadini del mondo, ma nello stesso tempo di eredi di una cultura che ha rappresentato la base dell’identità laica e religiosa. L’Eparchia di Lungro

Quella di Lungro, già nella dicitura del titolo è Eparchia degli arbëreshë di tutta l’Italia Continentale, un’Eparchia, dunque, senza continuità territoriale, un’Eparchia di parrocchie sparse nelle regioni della Calabria, dove è concentrata la maggior parte delle comunità composte da comuni e frazioni, della Basilicata e dell’Abruzzo, ma anche un’Eparchia di Chiese non-parrocchie dedicate alla cura spirituale degli arbëreshë. Basti pensare ai grandi agglomerati urbani, città e altri centri zonali, dove gli arbëreshë si contano a migliaia.

La natura stessa e la struttura dell’Eparchia di Lungro fa pensare a un fenomeno che non è esente da una certa problematicità: gli emigrati arbëreshë nei vari centri dell’Italia continentale meridionale, centrale e settentrionale rappresentano una popolazione consistente, forse formano la maggioranza della popolazione arbëreshe, quasi un’altra Eparchia.

Le chiese di rito bizantino di Torino, di Milano, di Roma, di Lecce, di Cosenza, Castrovillari sono un esempio di attenzione per la presenza di arbëreshë nelle relative città. Una statistica di qualche anno fa avanzava la concreta ipotesi dell’esistenza di un numero superiore di arbëreshë di rito bizantino nelle varie città del continente rispetto alla popolazione rimasta nei centri di origine di Calabria, Basilicata e Abruzzo, incardinati nell’Eparchia di Lungro.

L’emigrazione è un fenomeno antico, ma anche attuale, e sottopone alle coscienze sensibili, ai responsabili delle società, problemi che richiedono risposte. La multietnicità e la multiculturalità per la società italiana solo ora si pongono come ricchezza per alcuni e

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povertà per altri. Gli arbëreshë hanno conosciuto già prima questo fenomeno e l’hanno vissuto con modestia, rassegnazione e spirito di adattamento nel contesto culturale e sociale italiano.

La Chiesa Cattolica uscita dal concilio di Trento aveva posto molte limitazioni allo sviluppo della cultura religiosa arbëreshë – infatti più della metà dei paesi arbëreshë nel XVI e XVII secolo si sono visti traghettare nel rito latino – mentre la Chiesa cattolica uscita dal Concilio Vaticano II ha rivalorizzato pienamente il patrimonio culturale civile e religioso auspicandone la ricomposizione, se qualcosa si era perso o incrinato lungo i secoli: «La Chiesa cattolica ha in grande stima le istituzioni, i riti liturgici, le tradizioni ecclesiastiche e la disciplina della vita Cristiana delle chiese orientali» (Orientalium Ecclesiarum, 1).

E proprio per questo tutti i membri della comunità cattolica orientale sono tenuti a considerare la propria tradizione come un bene prezioso per tutta la Chiesa e quindi essi stessi devono tutelare l’autenticità culturale, religiosa e rituale: «Tutti gli orientali sappiano e siano certi che sempre possono e devono conservare i loro legittimi riti liturgici e la loro disciplina, e che non si devono introdurre mutazioni, se non per ragione del proprio e organico progresso. Pertanto tutte queste cose devono essere osservate con somma fedeltà dagli stessi orientali, i quali devono acquistarne una conoscenza sempre più profonda e un uso più perfetto, e qualora per circostanze di tempo o di persone fossero indebitamente venuti meno a esse, procurino di ritornare alle tradizioni avite» (Orientalium Ecclesiarum, 5).

Il Codice canonico delle Chiese Orientali, seguendo l'orientamento conciliare dell’Orientalium Ecclesiarum 1, ha dichiarato formalmente nel can. 39 che: «I riti delle Chiese orientali, quale patrimonio della Chiesa universale di Cristo nel quale risplende la tradizione che deriva dagli Apostoli attraverso il Padre e che afferma la divina unità nella varietà della fede cattolica, siano religiosamente osservati e promossi.»

L’Eparchia di Lungro è una delle Chiese particolari cattoliche orientali, e la sua missione è: 1) la valorizzazione del suo prezioso e

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ricco patrimonio secolare, che rimane solida testimonianza delle origini autentiche Cristiane; 2) l’evangelizzazione con forme e modi conformi alla propria cultura e sensibilità; 3) la promozione del dialogo con le Chiese sorelle orientali ancora non in piena Comunione con la Chiesa Cattolica.

Di grande valore risuonano le parole del Concilio relative a quest’ultimo punto: «Alle chiese orientali che sono in Comunione con la sede apostolica romana compete lo speciale compito di promuovere l’unità di tutti i Cristiani, specialmente orientali, secondo i principi del decreto “Sull’ecumenismo” di questo santo sinodo, in primo luogo con la preghiera, l’esempio della vita, la religiosa fedeltà alle antiche tradizioni orientali, la mutua e più profonda conoscenza, la collaborazione e con il fraterno apprezzamento delle cose e delle persone.» (Orientalium ecclesiarum, 24).

In proposito, preziosi rimangono, ancora oggi, gli orientamenti contenuti nella documentazione presente in “Cattolici e Ortodossi oggi” (E. F. Fortino, Besa-Circolo italo-albanese di cultura, Roma 1970).

Un pensiero va, a questo proposito, alla Chiesa ortodossa autocefala d’Albania che negli ultimi venti anni, dopo la persecuzione del regime totalitario di Enver Hoxha, sta vivendo una fase di laboriosa riedificazione e di assidua e tenace catechesi, con cicli di catechismo giornaliero impartiti direttamente dai papàs. Risuonano emozionanti i canti liturgici neobizantini che si sentono nella cattedrale di Tirana, in lingua albanese, gran parte dei quali, combaciano nelle melodie con quelle che si sentono nelle nostre chiese arbëreshe. L’Eparchia di Lungro e gli arbëreshë dell’emigrazione

La celebrazione del II Sinodo InterEparchiale è stata per le tre circoscrizioni ecclesiali bizantine cattoliche d’Italia un vero dono e una benedizione celeste. Con le sedute tenute nella millenaria abbazia basiliana criptense anche gli arbëreshë della diaspora si sono sentiti più vicini alle eparchie d’origine. Ma il senso di

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appartenenza è stato maggiormente risvegliato dalle deliberazioni e dalle norme canoniche ivi decise e di recente pubblicate. E’ un’attenzione particolare quella che riserva il Santo Sinodo InterEparchiale agli emigrati: «Le eparchie, con la collaborazione delle parrocchie, si attivino per censire i loro emigrati nelle varie sedi italiane e per facilitare un collegamento e un’assistenza pastorale periodica sistematica senza attendere gli occasionali rientri dei fedeli lontani». (II Sinodo InterEparchiale, art. 678).

E’ un impegno concreto, fatto non solo di enunciazioni, come si desume dal citato paragrafo. Si tratta di un vero progetto, fatto di assistenza e servizio, che le due eparchie si sono assunte in maniera espressa e normativa: «Gli arbëreshë sono una popolazione di emigranti. Le comunità delle eparchie hanno conosciuto un esodo massiccio e continuo verso le Americhe, l’Europa e varie città italiane. E’ loro compito assicurare il servizio religioso a tutti gli emigranti» (II Sinodo InterEparchiale, art. 38).

E’ un vero onore per tutti, dunque, che le due eparchie si siano impegnate nel settore degli arbëreshë emigrati, perché in tal modo dimostrano consapevolezza della propria storia di eparchie in terra, prima straniera, e poi diventata sede permanente, e non disdegnano quei figli che, per ragioni per lo più di lavoro, si sono trasferiti nelle varie città italiane, o all’estero.

D’altronde non poteva essere diversamente se solo pensiamo che anche il percorso degli studi degli aspiranti Sacerdoti delle due eparchie ha favorito esperienze di formazione di ampio respiro: il Collegio Greco di Roma per sua stessa natura ha rappresentato un continuo contatto con espressioni ecclesiali tra le più varie dove è sempre presente il fenomeno dell’emigrazione. E anche la scuola di Grottaferrata, per gli studi medi superiori degli aspiranti al sacerdozio, con la sua stessa storia, ha sempre fatto proprio il problema dell’emigrazione.

E’ un momento importante l’Ordinazione del IV eparca di Lungro perché sigilla un’epoca che si presenta fondamentale per la componente cattolica orientale d’Italia. Gli eventi che si sono succeduti nel corso della seconda metà dell’esistenza dell’Eparchia

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di Lungro, che si appresta a celebrare il primo secolo di vita, segnano un crescendo di un percorso che va arricchendosi nella sua configurazione strutturale e missionaria.

Il I Sinodo InterEparchiale di Grottaferrata (1940), importante per il periodo in cui è stato celebrato, ha posto le basi per la continuazione dell’esistenza della componente cattolica orientale in Italia, con lo sguardo rivolto alla Chiesa orientale ancora non in piena sintonia con quella cattolica, e con attenzione alla purificazione del rito nel proprio interno. Ma sono stati l’Assemblea Eparchiale di Lungro e il II Sinodo InterEparchiale che hanno saputo raccogliere le preziose indicazioni che provengono dal Concilio Vaticano II e rilanciarle per la propria crescita in una prospettiva beneaugurante.

La Chiesa arbëreshë (Lungro e Piana degli Albanesi), finora rappresentata dalle comunità albanesi delle regioni d’origine (Calabria, Sicilia, Basilicata, Abruzzo), guarda con interesse e attenzione a quell’altra metà di popolazione arbëreshë in diaspora, diffusa nelle città e in grandi centri del resto d’Italia.

Siamo certi che il nuovo eparca, al quale va la stima, la devozione e l’augurio della comunità arbëreshë della Chiesa di Sant’Atanasio di Roma, unitamente alla Congregazione Orientale, col nuovo segretario S. E. Cyril Vasil, anche lui cattolico di rito bizantino, veglieranno sulla Chiesa arbëreshë in diaspora, in quanto patrimonio delle due eparchie e al contempo della Chiesa universale.

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Chi onora il Vescovo viene onorato da Dio.

Chi compie qualche cosa di nascosto

dal Vescovo serve il diavolo.

(Ignazio Agli Smirnesi)

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IL VESCOVO, VICARIO DI CRISTO, NEI DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II

E NEL CODEX CANONUM ECCLESIARUM ORIENTALIUM

Giovanni Giuseppe Capparelli

Introduzione

La Chiesa é «evento» e nello stesso tempo «istituzione», é divina e umana, comunità di fede, speranza e carità, e nello stesso tempo società, popolo dalle strutture sociali.1

Cristo, unico mediatore, ha costituito sulla terra e incessantemente sostenta la sua Chiesa santa, comunità di fede, di speranza e di carità, quale organismo visibile, attraverso il quale diffonde per tutti la verità e la grazia.

Ma la società costituita di organi gerarchici e il corpo mistico di Cristo, l'assemblea visibile e la comunità spirituale, la Chiesa terrestre e la Chiesa arricchita di beni celesti, non si devono considerare come due cose diverse; esse formano piuttosto una sola complessa realtà risultante di un duplice elemento, umano e divino.

Per una analogia che non è senza valore, quindi, è paragonata al mistero del Verbo incarnato. Infatti, come la natura assunta serve al Verbo divino da vivo organo di salvezza, a lui indissolubilmente unito, così in modo non dissimile l'organismo sociale della Chiesa serve allo Spirito di Cristo che la vivifica, per la crescita del corpo (cfr. Ef 4,16).2

Studiare e congiungere questi due aspetti di «evento e istituzione» voluti da Cristo, cioè i dati rivelati, é proprio della scienza teologica. I risultati di questo studio teologico sono la base imprescindibile cui il legislatore deve attenersi nell’elaborazione del diritto canonico. Giustamente si afferma da taluni che: «I Codici

1 Antonio Acerbi, Due ecclesiologie, EDB, Bologna 1975, 21. 2 Lumen Gentium, 8.

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sono solo mezzi, e direi assai umili, per realizzare il “Regno dell’Amore”».3

La Costituzione Apostolica Sacrae Disciplinae Leges, con la quale papa Giovanni Paolo II ha promulgato il Codice di Diritto canonico, evidenzia nel concreto il rapporto tra diritto e dottrina:

«Stando così le cose appare abbastanza chiaramente che il Codice non ha come scopo in nessun modo di sostituire la fede, la grazia, i carismi e soprattutto la carità dei fedeli nella vita della Chiesa. Al contrario, il suo fine è piuttosto di creare tale ordine nella società ecclesiale che, assegnando il primato all'amore, alla grazia e al carisma, rende più agevole contemporaneamente il loro organico sviluppo nella vita sia della società ecclesiale, sia anche delle singole persone che ad essa appartengono» ...

«Lo strumento, che è il Codice, corrisponde in pieno alla natura della Chiesa, specialmente come viene proposta dal Magistero del Concilio Vaticano II in genere, e in particolar modo dalla sua dottrina ecclesiologica. Anzi, in un certo senso, questo nuovo Codice potrebbe intendersi come un grande sforzo di tradurre in linguaggio canonistico questa stessa dottrina, cioè la Ecclesiologia conciliare. Se poi è impossibile tradurre perfettamente in linguaggio “canonistico” l’immagine della Chiesa, tuttavia a questa immagine il Codice deve sempre riferirsi ...».4

L’Eparchia

La Chiesa santa e cattolica, che è il corpo mistico di Cristo, si compone di fedeli che sono organicamente uniti nello Spirito Santo da una stessa fede, dagli stessi sacramenti e da uno stesso governo, e che unendosi in varie comunità stabili, congiunti dalla gerarchia, costituiscono le Chiese particolari o riti. Tra loro vige una mirabile Comunione, di modo che la varietà non solo non nuoce alla unità della Chiesa, ma anzi la manifesta. È infatti intenzione della Chiesa cattolica che rimangano salve e integre le tradizioni di ogni Chiesa 3 M. I. Cristescu, L’autorità legislativa nelle varie Chiese sui iuris e l’intervento della Sede Apostolica sul loro ius particolare, in Iura Orientalia VI (2010), 81-82. Su tale prospettiva: G. Ferrari, Le prospettive delle Chiese orientali «Fondamento della legge è l’amore» in Monitor ecclesiasticus, n. 4, (1972). 4 Il codice di diritto canonico, la cui normativa riguarda la sola Chiesa latina (can. 1), è stato promulgato il 25 gennaio 1983.

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o rito particolare; parimenti essa vuole adattare il suo tenore di vita alle varie necessità dei tempi e dei luoghi.5

L’Eparchia di Lungro è una delle chiese cattoliche orientali che trovano la regolamentazione comune nel Codex canonum Ecclesiarum orientalium (CCEO)6, mentre il diritto particolare, formulato in accordo sia con i principi del Codice stesso sia con le legittime tradizioni proprie, è stato elaborato dal II Sinodo InterEparchiale di Grottaferrata.7

Il CCEO non dà la definizione esplicita di Chiesa universale, ma descrive solo la figura della suprema autorità, il Romano Pontefice.8 Al contrario, dà una precisa definizione di Chiesa particolare, mutuata dal decreto conciliare Christus Dominus, che identifica con l’Eparchia: «L’Eparchia è una porzione del popolo di Dio, affidata alle cure pastorali del Vescovo coadiuvato dal suo Presbiterio, in modo che, aderendo al suo Pastore e da lui riunita nello Spirito Santo per mezzo del Vangelo e dell’Eucaristia, costituisca una Chiesa particolare, nella quale è veramente presente e opera la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica e apostolica» (can. 177).9

L’Eparchia è dunque una comunità, una Comunione di fedeli Cristiani «che, essendo stati incorporati a Cristo mediante il battesimo, sono costituiti come popolo di Dio e per questo motivo, partecipando nel loro modo proprio alla funzione Sacerdotale, profetica e regale di Cristo, sono chiamati, ciascuno secondo la sua 5 Orientalium Ecclesiarum, 2. 6 Il CCEO è stato promulgato dal Papa Giovanni Paolo II il 18 ottobre 1990 con la costituzione apostolica Sacri canones ed è entrato in vigore il 1 ottobre 1991. Secondo la previsione del can. 1 il codice riguarda tutte e sole le Chiese orientali cattoliche. Nella presentazione del CCEO G. Nedungatt conta ventuno Chiese orientali cattoliche: Enchiridion Vaticanum, 12, EDB, Bologna 1992, 890. Per approfondire lo studio del codice: Mons. Pio Vito Pinto (a cura di), Commento al Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2001; D. Salachas, Istituzioni di diritto canonico delle Chiese cattoliche orientali, EDB, Bologna 1993. 7 Il diritto particolare delle eparchie di Lungro e di Piana degli Albanesi e del Monastero esarchico di Grattaferrata «Orientamenti pastorali e norme canoniche», dopo la recognitio della Santa Sede, è stato promulgato dall’Amministratore Apostolico dell’Eparchia di Lungro, dal Vescovo di Piana degli Albanesi e dall’Archimandrita Esarca di Santa Maria di Grottaferrata l’8 settembre 2010 ed è entrato in vigore il 17 ottobre 2010. 8 Per una panoramica sullo stato attuale del dialogo tra cattolici e ortodossi sul tema del primato petrino: W Kasper (ed), Il ministero petrino cattolici e ortodossi in dialogo, Città Nuova Editrice, Roma 2004. 9 Mons. E. F. Fortino sul punto annotava: «La categoria Ecclesiae sui iuris supera in questo punto la visione che permaneva ancora nel Concilio Vaticano II che in qualche modo identificava le Chiesa particolari con i riti ... (Orientalium Ecclesiarum, 2). Il nuovo CCEO distingue chiaramente le due realtà, mentre la Chiesa sui iuris è un raggruppamento di fedeli congiunto dalla gerarchia a norma del diritto e come tale riconosciuto, il rito esprime un modo di vivere la fede propria di ciascuna Chiesa sui iuris (can. 28)», E. F. Fortino, La Chiesa bizantina albanese in Calabria. Tensioni e Comunione, Editoriale Bios, Cosenza 1994, 22.

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condizione, ad esercitare la missione che Dio ha affidato alla Chiesa da compiere nel mondo» (can. 7).

L’Eparchia di Lungro, è annoverata tra le “altre chiese sui iuris”. Nel CCEO si chiama Chiesa sui iuris, un gruppo di fedeli Cristiani congiunto dalla gerarchia, a norma del diritto, che la suprema autorità della Chiesa riconosce espressamente o tacitamente come sui iuris (can. 27).10 Le “altre chiese sui iuris” dipendono immediatamente dalla Sede Apostolica (can. 175).

Il Vescovo nei documenti del Concilio Vaticano II

Cristo Signore, per pascere e sempre più accrescere il popolo di Dio, ha stabilito nella sua Chiesa vari ministeri, che tendono al bene di tutto il corpo. I ministri infatti che sono rivestiti di sacra potestà, servono i loro fratelli, perché tutti coloro che appartengono al popolo di Dio, e perciò hanno una vera dignità Cristiana, tendano liberamente e ordinatamente allo stesso fine e arrivino alla salvezza.

Questo santo Sinodo, sull'esempio del Concilio Vaticano primo, insegna e dichiara che Gesù Cristo, pastore eterno, ha edificato la santa Chiesa e ha mandato gli apostoli, come egli stesso era stato mandato dal Padre (cfr. Gv 20,21), e ha voluto che i loro successori, cioè i Vescovi, fossero nella sua Chiesa pastori fino alla fine dei secoli.11

Il Vescovo Eparchiale è colui al quale è stata affidata da pascere a nome proprio l’Eparchia, la governa come vicario e legato di Cristo; la potestà, che egli esercita personalmente a nome di Cristo, è propria, ordinaria, immediata, anche se in ultima istanza l’esercizio della stessa potestà è governato dalla suprema autorità della Chiesa e può essere circoscritto entro certi limiti in vista dell’utilità della Chiesa o dei fedeli Cristiani (can. 178).12

10 Il CCEO distingue quattro categorie di Chiese sui iuris: le Chiese Patriarcali, le Chiese ArciVescovili maggiori, le Chiese metropolitane e le altre Chiese sui iuris. 11 Lumen Gentium, 18 12 Papàs G. Ferrari riportando il punto di vista ortodosso scriveva: «Per la teologia orientale il vertice del potere della Chiesa deve corrispondere al vertice dell’Ordine Sacro, perché non è possibile alcun potere nella Chiesa senza il corrispondente carisma dello Spirito Santo, secondo l’insegnamento dell’Apostolo. Sul singolo Vescovo, pertanto, non vi può essere altra giurisdizione che quella della comunità dei Vescovi, cioè del sinodo, mai quella del patriarca», G. Ferrari, Le Chiese orientali al Concilio Vaticano II in Ho Theologós, N. S., Anno III (1985), 243.

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Egli governa quindi a nome proprio la sua Chiesa particolare non come delegato o vicario del Romano Pontefice, bensì come legato e vicario di Cristo. Anzi, «Il Vescovo, agendo in persona e in nome di Cristo stesso, diventa, nella Chiesa a lui affidata, segno vivente del Signore Gesù Pastore e Sposo, Maestro e Pontefice della Chiesa».13

I Vescovi hanno ricevuto il ministero della comunità per esercitarlo con i loro collaboratori, Sacerdoti e Diaconi. Presiedono in luogo di Dio al gregge di cui sono pastori quali maestri di dottrina, Sacerdoti del sacro culto, ministri del governo della Chiesa. Come quindi è permanente l'ufficio dal Signore concesso singolarmente a Pietro, il primo degli apostoli, e da trasmettersi ai suoi successori, cosi è permanente l'ufficio degli apostoli di pascere la Chiesa, da esercitarsi in perpetuo dal sacro ordine dei Vescovi14.

Perciò il sacro Concilio insegna che i Vescovi per divina istituzione sono succeduti al posto degli Apostoli quali pastori della Chiesa, e che chi li ascolta, ascolta Cristo, chi li disprezza, disprezza Cristo e colui che ha mandato Cristo (cfr. Lc 10,16).15

13 Esortazione Apostolica Pastores gregis , 7. 14 Tratto caratteristico ed innovativo della Lumen Gentium è l’avere introdotto nel linguaggio della Chiesa d’Occidente una terminologia nuova e per certi versi dirompente, tanto che per evitare fraintendimenti è stato necessario ai padri conciliari premettere al testo della costituzione dogmatica una nota previa ed esplicativa. Uno di questi termini, riferito ai Vescovi, fu «collegio», il cui significato è stato ripreso e puntualizzato nel n. 8 della Esortazione Apostolica Pastores gregis: «... ne costituì Dodici» (Mc 3,14). La Costituzione dogmatica Lumen Gentium introduce con questo richiamo evangelico la dottrina sull'indole collegiale del gruppo dei Dodici, costituiti “sotto la forma di un collegio o di un gruppo stabile, del quale mise a capo Pietro, scelto di mezzo a loro”. In pari modo, attraverso la successione personale del Vescovo di Roma al Beato Pietro e di tutti i Vescovi nel loro insieme agli Apostoli, il Romano Pontefice e i Vescovi sono uniti fra di loro a modo di Collegio. L'unione collegiale tra i Vescovi è fondata, insieme, sull'Ordinazione Episcopale e sulla Comunione gerarchica; tocca pertanto la profondità dell'essere di ogni Vescovo e appartiene alla struttura della Chiesa come è stata voluta da Gesù Cristo. Si è posti, infatti, nella pienezza del ministero Episcopale in virtù della Consacrazione Episcopale e mediante la Comunione gerarchica col Capo del Collegio e con i membri, cioè con il Collegio che sempre co-intende il suo Capo. È così che si è membri del Collegio Episcopale, per cui le tre funzioni ricevute nell'Ordinazione Episcopale – di santificare, di insegnare e di governare – debbono essere esercitate nella Comunione gerarchica, anche se, per la loro diversa finalità immediata, in modo distinto». 15 Lumen Gentium, 20. Mentre oggi la questione è superata, durante il Concilio Vaticano II si scontrarono due concezioni sull’Episcopato totalmente divergenti tanto che i padri conciliari per dirimere le contrapposizioni e trovare una soluzione comune furono chiamati a rispondere ai seguenti quesiti: 1) se la consacrazione Episcopale sia il grado sommo dell’ordine sacro; 2) se ciascun Vescovo consacrato, in Comunione col papa e con gli altri Vescovi, divenga per ciò stesso membro del collegio Episcopale; 3) se il collegio dei Vescovi succeda al collegio degli apostoli nel compito di evangelizzare, santificare e pascere e se possieda – insieme al suo capo, il papa, e mai senza di esso – la piena e suprema potestà nella chiesa; 4) se questa potestà sia di diritto divino. Qualcuno sosteneva che il potere di governare il suo popolo il Vescovo lo riceverebbe dalla nomina papale e non dalla consacrazione Episcopale. Alla fine i quesiti ottennero risposta largamente affermativa e si affermò l’idea che l’intervento del papa nella nomina dei Vescovi riguarda solo la delimitazione territoriale, ovvero in quale diocesi il Vescovo consacrato eserciterà il potere di evangelizzare, santificare e pascere il suo popolo. Cfr G. Alberigo, Breve storia del concilio Vaticano II, Il Mulino, Bologna 2005.

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Per questa ragione la Chiesa si dice anche apostolica, in quanto fondata dal Signore, il primo e grande apostolo (cfr. Gal 4,4, Eb 3,1), e perché «costruita sul fondamento degli apostoli e dei profeti, ed ha come pietra angolare Gesù Cristo» (Ef 2,20); essa riconduce il suo principio agli apostoli, di cui conserva inalterata la dottrina e le altre tradizioni ordinatamente. La successione apostolica, da cui deriva il riconoscimento esterno distintivo che la Chiesa è vera e mantiene la dottrina apostolica intatta e autentica.

La successione apostolica è indispensabile nella Chiesa in quanto essa assicura la trasmissione della verità e della grazia divina nella Chiesa e la legittimità del messaggio apostolico e dei sacramenti e in genere assicura la continuità del corpo della Chiesa e la trasmissione di questa vita, della grazia divina nelle sue membra.16

I Vescovi, posti dallo Spirito Santo, succedono agli apostoli come pastori delle anime e, insieme col sommo Pontefice e sotto la sua autorità hanno la missione di perpetuare l'opera di Cristo, pastore eterno. Infatti Cristo diede agli apostoli ed ai loro successori il mandato e la potestà di ammaestrare tutte le genti, di santificare gli uomini nella verità e di guidarli. Perciò i Vescovi, per virtù dello Spirito Santo che è stato loro dato, sono divenuti veri ed autentici Maestri della fede, Pontefici e Pastori.17

Per compiere cosi grandi uffici, gli apostoli sono stati arricchiti da Cristo con una effusione speciale dello Spirito Santo disceso su loro (cfr. At 1,8; 2,4; Gv 20,22-23), ed essi stessi con la imposizione delle mani diedero questo dono spirituale ai loro collaboratori (cfr. 1 Tm 4,14; 2 Tm 1,6-7), dono che è stato trasmesso fino a noi nella consacrazione Episcopale.

Il santo Concilio insegna quindi che con la consacrazione Episcopale viene conferita la pienezza del sacramento dell'ordine, 16 Accanto a questa accezione corrente del concetto di «Chiesa apostolica» ve ne sono altre originali e di notevole interesse. Per il Vescovo ortodosso Ioannis Zizioulas, Metropolita di Pergamo, «l’apostolicità, come la cattolicità e l’unità della Chiesa, hanno una valenza escatologica. La Chiesa è apostolica non perchè si base sull’insegnamento o sull’autorità degli apostoli, ma sulla loro “testimonianza” che Cristo è risorto e, quindi, il Cristo professato dalla Chiesa è il vero e unico Cristo escatologico», Y. Spiteris, Ecclesiologia ortodossa, EDB. Bologna 2003, 98. Sul differente significato attribuito dalla Chiesa d’Occidente e dalla Chiesa d’Oriente all’espressione «Chiesa cattolica», utilizzata per la prima volta da Ignazio di Antiochia nella lettera Agli Smirnesi, si veda Y. Spiteris, op. cit., 89 e ss; la lettera di Ignazio di Antiochia Agli Smirnesi è pubblicata in I padri Apostolici, Città Nuova Editrice, Roma 1986, 133 e ss. 17 Christus Dominus, 2.

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quella cioè che dalla consuetudine liturgica della Chiesa e dalla voce dei santi Padri viene chiamata Sommo Sacerdozio, realtà totale del sacro ministero.

La consacrazione Episcopale conferisce pure, con l'ufficio di santificare, gli uffici di insegnare e governare; questi però, per loro natura, non possono essere esercitati se non nella Comunione gerarchica col capo e con le membra del collegio.

Dalla tradizione, infatti, quale risulta specialmente dai riti liturgici e dall'uso della Chiesa sia d'Oriente che d'Occidente, consta chiaramente che dall'imposizione delle mani e dalle parole della consacrazione è conferita la grazia dello Spirito Santo ed è impresso il sacro carattere in maniera tale che i Vescovi, in modo eminente e visibile, tengono il posto dello stesso Cristo Maestro, Pastore e Pontefice, e agiscono in sua vece. È proprio dei Vescovi assumere, col Sacramento dell’Ordine, nuovi eletti nel corpo Episcopale.18

Le tre funzioni di insegnare, santificare e governare il Popolo di Dio debbono essere esercitate con i tratti caratteristici del Buon Pastore: carità, conoscenza del gregge, cura di tutti, azione misericordiosa verso i poveri, i pellegrini, gli indigenti, ricerca delle pecorelle smarrite per ricondurle all'unico ovile.19

Il Vescovo nel Codice Canonico delle Chiese Orientali

Il can. 180 del CCEO stabilisce i requisiti che il candidato deve possedere per essere idoneo al ministero: distinto per fede salda, buoni costumi, pietà, zelo delle anime e prudenza; di buona reputazione; non legato da vincolo matrimoniale; di almeno trentacinque anni di età; costituito nell’ordine del Presbiterato da almeno cinque anni; dottore o licenziato o almeno perito in qualche scienza sacra.

Nelle “altre Chiese sui iuris” il Vescovo Eparchiale è nominato direttamente dal Romano Pontefice (can. 181).20 18 Lumen Gentium, 21. 19 Esortazione Apostolica Pastores gregis, 7 20 I Vescovi delle Chiese Patriarcali e ArciVescovili maggiori, entro il proprio territorio, sono eletti dal Sinodo dei Vescovi, mentre tutti gli altri sono nominati direttamente dal Romano Pontefice.

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I canoni dal 190 al 211 stabiliscono una serie di norme di carattere pastorale e giuridico che riguardano l’esercizio della funzione del Vescovo Eparchiale, i suoi diritti e i suoi doveri, e che si possono così sintetizzare:

1) Il Vescovo in quanto Pastore deve avere una sollecitudine pastorale verso tutti i fedeli Cristiani affidati alle sue cure, di qualsiasi età, condizione, nazione, che abitano stabilmente o temporaneamente nel territorio Eparchiale.

2) Il Vescovo deve vigilare in modo speciale affinché tutti i fedeli Cristiani affidati alle sue cure favoriscano l’unità fra i Cristiani secondo i principi approvati dalla Chiesa.21

3) Il Vescovo deve seguire con particolare sollecitudine i Presbiteri ascoltandoli come aiutanti e consiglieri, difenda i loro diritti e curi che adempiano i doveri propri del loro stato.22

4) Il Vescovo deve promuovere le vocazioni Sacerdotali, Diaconali, monastiche e religiose.

5) Il Vescovo deve difendere «con fermezza l’integrità e l’unità della fede».23

6) Il Vescovo deve offrire un esempio di santità di vita.

7) Il Vescovo deve celebrare frequentemente la Divina Liturgia e deve vigilare sulla vita liturgica della sua Eparchia;

8) Il Vescovo difende l’unità della Chiesa universale; è tenuto a commemorare prima di tutti il Romano Pontefice nella Divina Liturgia; e ogni cinque anni è tenuto a visitare Roma per venerare le tombe dei santi apostoli Pietro e Paolo e presentarsi al successore di san Pietro;

21 Nel decreto sulle Chiese orientali Orientalium Ecclesiarum (24) tale compito è ritenuto specifico: «Alle Chiese orientali aventi Comunione con la Sede apostolica romana, compete lo speciale ufficio di promuovere l'unità di tutti i Cristiani, specialmente orientali, secondo i principi del decreto « sull'ecumenismo » promulgato da questo santo Concilio, in primo luogo con la preghiera, l'esempio della vita, la religiosa fedeltà alle antiche tradizioni orientali, la mutua e più profonda conoscenza, la collaborazione e la fraterna stima delle cose e degli animi.» 22 Dal canto loro: «I chierici hanno un obbligo speciale di prestare rispetto e obbedienza al Romano Pontefice, al Patriarca e al Vescovo Eparchiale» (can. 370). 23 Il Concilio Vaticano II, proseguendo sulla via indicata dalla tradizione della Chiesa, spiega che la missione dell'insegnamento propria dei Vescovi consiste nel custodire santamente e annunciare coraggiosamente la fede: Lumen gentium, 25; Dei Verbum, 10.

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9) Il Vescovo ha l’obbligo di visitare canonicamente ogni anno tutta o in parte l’Eparchia, in modo che ogni cinque anni visiti l’intera Eparchia personalmente.

10) Il Vescovo che ha compiuto i settantacinque anni di età oppure che per infermità risulti meno idoneo all’adempimento dei suoi doveri è pregato di rinunciare all’ufficio.

In conclusione dunque i Vescovi reggono le Chiese particolari a loro affidate come vicari e legati di Cristo, col consiglio, la persuasione, l'esempio, ma anche con l'autorità e la sacra potestà, della quale però non si servono se non per edificare il proprio gregge nella verità e nella santità, ricordandosi che chi è più grande si deve fare come il più piccolo, e chi è il capo, come chi serve (cfr. Lc 22,26-27).24

Ricapitolano significativamente ciò che si richiede al Vescovo nel governo della Chiesa particolare un gesto e le parole del primo Vescovo durante la consacrazione Episcopale, quando porge all’eletto l’epigonàtion e gli consegna il bastone pastorale dicendo:

«Prendi il bastone per pascere il gregge di Cristo a te affidato; per i fedeli che ti sono soggetti sia sostegno ed appoggio, ma per i disobbedienti ed i pervicaci usa lo stesso bastone per correggere e per punire».

24 Lumen Gentium, 27.

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«Prendi il bastone per pascere il gregge di Cristo a te affidato;

per i fedeli che ti sono soggetti sia sostegno ed appoggio,

ma per i disobbedienti ed i pervicaci usa lo stesso bastone

per correggere e per punire».

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LA CHIROTONIA EPISCOPALE

Papàs Vittorio Amedeo Marchianò

La Chirotonia o Ordinazione Episcopale, ultimo e sommo grado del Sacramento dell’Ordine, dà all’ordinato la pienezza del Sacerdozio, lo costituisce capo, padre, maestro, pastore e liturgo della sua Chiesa e lo integra pienamente nel Collegio Apostolico dei Vescovi, che ha come capo il santissimo Padre, Papa di Roma, successore di Pietro.

Scrive San Cipriano (+258) che il Vescovo rappresenta Cristo e partecipa dell’unico Episcopato, questo infatti è un organismo unico, a cui i singoli Vescovi partecipano “in solido”, cioè in comune; per questo San Leone Magno (+461) afferma che Cristo è l’unico Vescovo. E i Vescovi in quanto a lui congiunti, formano il Collegio Apostolico.

Il nuovo Vescovo, attorniato dai Presbiteri, con la Celebrazione Eucaristica dà unità e santificazione al popolo di Dio, che gli è stato affidato, unendolo strettamente a Cristo e mettendolo in reale Comunione con Dio, e lo fa entrare in piena Comunione con l’unità della Chiesa Cattolica.

La Lumen Gentium afferma che nei Vescovi, assistiti dai Presbiteri, è presente in mezzo ai credenti il Signore Gesù, Pontefice Sommo.

Riassumendo il pensiero di San Paolo, troviamo detto che la capacità degli Apostoli, di cui i Vescovi sono successori con una successione ininterrotta e continua, non proviene da loro stessi ma da Dio, che li ha resi ministri della Nuova Alleanza e li ha chiamati al ministero dello Spirito; essi sono perciò economi dei misteri di Dio, e ad essi Dio ha affidato il ministero della riconciliazione tra Dio e gli uomini e la parola di questa riconciliazione, e Dio stesso esorta per mezzo di essi, e in modo particolare essi sono gli annunciatori del Vangelo.

La celebrazione della Chirotonia Episcopale è particolarmente solenne, festiva e gioiosa e avviene in due momenti distinti.

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Dopo il piccolo Isodo l’ordinando si pone su un tappeto preparato in precedenza davanti alla Porta centrale dell’iconostasi (su tale tappeto è raffigurata un’aquila, una città e due fiumi), mentre i tre Vescovi ordinanti siedono al centro della Chiesa.

L’aquila è simbolo dell’eccelsa grandezza dell’Episcopato, della sua santità, e dei pensieri divini che il Vescovo ha sotto l’ispirazione dello Spirito Santo. La città rappresenta la città di cui l’ordinando è stato eletto Vescovo. I fiumi sono simbolo dei doni dell’illuminazione, dell’insegnamento, della carità che il nuovo Vescovo deve dare alla sua Chiesa.

I tre Vescovi, già inseriti nella fede e nella tradizione vivente apostolica della Chiesa e nella Comunione cattolica della Chiesa, rappresentano il Collegio Apostolico dei Vescovi e la Comunione dell’intera Chiesa e di tutte le Chiese Cattoliche. Infatti l’Ordinazione del Vescovo supera i limiti della Chiesa particolare, Eparchia o diocesi, ma coinvolge gli altri Vescovi della medesima giurisdizione ecclesiale, le diverse autorità ecclesiali e il Romano Pontefice che fa la nomina. I tre Vescovi si fanno garanti della fede apostolica dell’ordinando, danno per primi il consenso all’avvenuta Ordinazione, e lo insediano come capo unico ed effettivo della sua propria Chiesa, accogliendolo nel Collegio Apostolico dei Vescovi della Chiesa Cattolica e nella Comunione vivente della Chiesa Cattolica.

La presentazione del candidato

Il primo Sacerdote concelebrante presenta il candidato secondo la formula di rito. E il primo dei Vescovi ordinanti domanda a questi: “cosa sei venuto a chiedere da noi?”. E il candidato risponde: “la Chirotonia della grazia del Sommo Sacerdozio, avendomi votato il Santissimo Padre, Papa di Roma”.

Nella Chiesa Cattolica, per le Chiese Orientali, il Vescovo è nominato dalla autorità suprema competente, previa approvazione del Romano Pontefice; essendo noi una piccola Eparchia, direttamente soggetta alla Santa Sede, abbiamo la grazia e l’onore

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che il nostro Vescovo è eletto direttamente dal Santo Padre, Papa di Roma.

Osserva Sant’Ignazio di Antiochia (+110) che chiunque il Signore manda come Vescovo bisogna accoglierlo, secondo le parole di Cristo dette agli Apostoli: “Chi accoglie voi accoglie me, chi rifiuta voi rifiuta me”.

Il candidato chiede la grazia del Sommo Sacerdozio, cioè dell’Episcopato. Dice San Simeone di Tessalonica (+1429) che <<il Sommo Sacerdozio è il massimo e perfettissimo dono, la divina opera di Cristo, la grande santità perché ordinato dallo Spirito e realizzato dalla venuta dello Spirito Santo; da questo dono è mandato a noi ogni dono ed illuminazione; e in tal senso il Vescovo è immagine del Padre delle luci per tutte le grazie che vengono tramite lui ai fedeli nella Chiesa. L’uomo riceve la potestà e la forza di Dio ed è fatto degno di sedere sul trono stesso di Dio. Il Sommo Sacerdozio, radice che rappresenta e porta Cristo è fondamento, principio, fonte della pietà; esso manifesta il Signore, porta la persona di Cristo, e il Vescovo tiene il luogo di Cristo, divenuto nella grazia come Cristo.>> Ho trascritto semplicemente questo splendido brano perché merita di essere conosciuto per la sua ricchezza e profondità teologiche.

Uguali idee si ritrovano in Sant’Ignazio di Antiochia, che invita a seguire il Vescovo come Gesù Cristo, perché a lui configurato con la Celebrazione Eucaristica; e, in modo più frequente, a seguire ed obbedire al Vescovo come al Padre di Gesù Cristo. Perché Dio è il Vescovo invisibile e il Vescovo presiede la Chiesa al posto di Dio. Anche per San Massimo il Confessore (+662) Dio dispose in terra, in vece sua, il Sacerdozio; poi questo Padre richiama molto profondamente l’aspetto kenotico del Sacerdozio a somiglianza del Signore Gesù che svuotò se stesso assumendo la forma di servo; al Vescovo è richiesto questo abbassamento al seguito di Gesù, Servo sofferente. E il Documento cattolico-ortodosso di Monaco del 1982 precisa che il Vescovo ha la exusìa, cioè la potestà del Servo, che il Figlio di Dio ha ricevuto dal Padre e che ha umanamente accolto con il consenso alla passione.

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La professione di fede

L’ordinando stando sulla coda dell’aquila, risponde alla domanda del primo Vescovo ordinante qual è la sua fede, e recita il Credo; alla fine il primo Vescovo lo benedice con un segno di croce invocando su di lui la grazia dello Spirito.

L’ordinando passa al centro dell’aquila e il secondo Vescovo ordinante gli chiede di esporre la sua propria fede riguardo la santissima Trinità e l’ordinando legge una lunga professione di fede trinitaria; il secondo Vescovo ordinante lo benedice invocando su di lui la grazia dello Spirito Santo per tutti i giorni della sua vita.

L’ordinando passa alla testa dell’aquila e il terzo Vescovo ordinante gli chiede di esporre la sua propria fede sull’Incarnazione e sulle due nature, e l’ordinando legge ancora una articolata professione di fede trinitaria, Cristologica e su altre verità di fede e di condanna delle eresie; e il terzo Vescovo ordinante lo benedice dicendo: “la Grazia dello Spirito Santo promuove per mezzo della mia pochezza te (nome), Sacerdote votato, Vescovo della città (nome)”.

Va subito notato che i tre Vescovi concelebrano insieme in questa prima parte della celebrazione, e che l’invocazione della grazia dello Spirito, e la promozione dell’ordinando a Vescovo, avviene gradualmente dopo ognuna delle tre professioni di fede. Infatti solo la vera fede, la fede apostolica della Chiesa permette la Comunione con il Signore Gesù Cristo ed è condizione necessaria ed insostituibile per ricevere la grazia dello Spirito Santo, che il Signore Gesù dà con abbondanza a coloro che hanno retta fede, viva e sincera.

L’ordinando è promosso Vescovo di una città ben determinata, perché c’è un legame profondo tra la comunità Cristiana di una Chiesa particolare ed il suo Vescovo. Per questo la Chirotonia Episcopale avviene sempre nella cattedrale dell’Eparchia, di cui il nuovo Vescovo sarà pastore. Questa comunità Cristiana, viva depositaria della fede apostolica, accoglie il nuovo Vescovo in quanto vero successore degli Apostoli, e che professa la loro medesima fede, e la comunità con il clero ed i Presbiteri dà il

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consenso e l’approvazione previa al candidato, che trovano la loro espressione legittima nelle consultazioni previe che vengono effettuate, e con l’àxios (degno) cantato dal clero e ripreso dai fedeli dà il suggello all’avvenuta Ordinazione Episcopale.

Il nuovo Vescovo presiede la Divina Liturgia, ma egli prega insieme a tutto il suo popolo e fa l’offerta del sacrificio dell’altare a nome di tutta la sua Chiesa. Con la Divina Liturgia il popolo di Dio è configurato in Corpo di Cristo con i vari carismi dello Spirito e il Vescovo ne diventa capo, guida, pastore.

Il Vescovo è interrogato per tre volte sulla sua fede, perché compito del Vescovo, in quanto successore degli Apostoli, è di predicare, mantenere, diffondere il Vangelo di Gesù Cristo, in modo integro senza alterazioni e in modo fedele evitando le novità e i ragionamenti umani, trasmettendo la pura e vivente e unica fede e Tradizione della Chiesa nella forma in cui l’ha ricevuta. Nella Chiesa, infatti, primaria è l’importanza della fede; è la vera fede che ci permette l’accesso a Dio, è la vera fede che ci permette di ricevere i doni di Dio, ed è sempre essa che qualifica la vita come Cristiana e ci fa camminare nella via della salvezza.

Durante la Divina Liturgia, nella preghiera che precede l’Isodo, il Sacerdote invoca dal Signore Gesù Cristo la conoscenza della sua verità per il secolo presente, in quanto questa è la grazia più necessaria ed utile per la vita Cristiana.

Il Tropario in onore dei santi Vescovi si apre presentando il santo Gerarca come regola di fede, cioè che ha mantenuto la vera fede, ha combattuto gli errori, ha proposto con chiarezza le verità da credere. Inoltre sempre nella Divina Liturgia nella commemorazione di Sua santità il Papa e del Vescovo diocesano, dopo parole di augurio, si conclude con l’invocazione al Signore “che siano retti dispensatori della sua verità”, perché questa è l’opera principale del loro sacro ministero. Anche l’Episcopato della Chiesa viene presentato subito dopo in questa connaturale funzione di dispensare rettamente la parola di Verità.

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Per Sant’Ireneo di Lione (+202) il Vescovo ha il carisma certo della verità. Ogni Vescovo infatti deve avere cura in primo luogo della salvezza di tutto il suo popolo, e condizione di tale salvezza è la vera fede.

La consegna del bastone pastorale

I Vescovi ordinanti si alzano e il primo Vescovo ordinante consegna al candidato il pastorale, di metallo prezioso, che termina con due teste di serpente abbassate, rivolta l’uno verso l’altra; il serpente è simbolo della prudenza, virtù che deve contraddistinguere il ministero del Vescovo. E gli dice: “Prendi il bastone per pascere il gregge di Cristo a te affidato, per i fedeli ubbidienti sia un sostegno, per coloro che disobbediscono un bastone di correzione”. Queste parole richiamano le espressioni di Paolo rivolte agli Anziani delle Chiese dell’Asia a Mileto: “Lo Spirito Santo vi ha posto come Vescovi per pascere la Chiesa di Dio” (At. 20,28). E si ispirano direttamente alle esortazioni che la prima Lettera di Pietro rivolge agli Anziani: “Pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non perché costretti, ma volentieri, come piace a Dio; non per vergognoso interesse ma con animo generoso, non come padroni delle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge. E quando apparirà il Pastore Supremo riceverete la corona della gloria che non appassisce” (5,2-4).

Il pastorale è segno di autorità e segno pure di servizio. Pascere ha una vasta gamma di significati; ma da tenere presente che nella Bibbia designa la cura particolare del Signore per il suo popolo e per ogni singolo credente, designa in modo forte l’opera del Messia a favore del suo popolo, e soprattutto l’opera salvifica di Cristo, di Lui il Pastore buono e splendido.

La consegna del pastorale all’ordinando lo configura a Cristo buon Pastore. Pascere, vuol dire guidare i fedeli; provvedere al loro bene, avere cura di loro, vigilare perché essi non ne riportino danno, richiamarli, correggerli, spingerli al bene, amarli anche a costo della propria vita.

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Dopo questo sacro rito la Divina Liturgia prosegue con l’ingresso di tutti i celebranti al Santo Altare.

La Chirotonia Episcopale

Dopo il canto dell’Aghios o Theòs, l’ordinando accompagnato dal secondo e dal terzo Vescovo ordinante, fa tre giri, come per il Presbiterato e il Diaconato, intorno all’altare baciandone gli angoli, mentre si cantano i Tropari usuali delle Ordinazioni maggiori. Poi si inginocchia davanti all’altare e vi pone sopra le sue mani incrociate sulle quali appoggia la fronte. Il primo Vescovo ordinante prende il Santo Vangelo, lo apre e lo impone con l’ omoforion sulla testa dell’ordinando, anche gli altri due Vescovi sostengono il Santo Vangelo, e tutti e tre impongono la mano sul suo capo. Il primo Vescovo ordinante ricorda di nuovo l’approvazione data all’elezione del nuovo Vescovo e recita la preghiera abituale delle ordinazioni maggiori: “La Divina Grazia che sempre cura le ferite e completa ciò che manca promuove (nome) il Sacerdote, Vescovo della città (nome); preghiamo perché scenda su di lui la grazia del Santissimo Spirito”. Da parte dei celebranti e poi del popolo si canta tre volte il Kyrie eleison.

Ogni uomo ha i suoi difetti, i suoi limiti le inevitabili mancanze e incoerenze, ma la grazia di Dio è potenza di santificazione, e di trasformazione interiore nel segno di una più intima e forte Comunione con Dio. E in modo corale avviene la preghiera dell’epiklesis, cioè invocazione, per la discesa dello Spirito Santo sull’ordinando. Vescovi, clero e popolo formano infatti insieme l’unico corpo di Cristo, che è la Chiesa, e ad immagine della Santissima Trinità è una comunità di uguali, ma con funzioni e carismi diversi, per questo tutti insieme, come un unico sacerdozio regale, invocano la discesa dello Spirito Santo sull’ordinando.

Quindi il primo Vescovo ordinante gli traccia tre segni di croce sul capo dicendo: “Nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”.

Afferma San Giovanni Crisostomo (+407) che nei Sacramenti opera tutta la Santa Trinità; e questo è tanto più vero per la Chirotonia

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Episcopale, ben a ragione San Dionigi l’Areopagita (fine V secolo) scrive che tutti i doni divini provengono alla Chiesa attraverso il Vescovo. L’Episcopato quindi è la sorgente ecclesiale, storica visibile e mediatrice di tutti i doni divini. Per questo in modo esplicito c’è questa benedizione trinitaria, che è glorificazione e invocazione della Santissima Trinità.

L’imposizione del Vangelo

L’imposizione del Santo Vangelo aperto sul capo e sul collo dell’ordinando è un rito proprio della Chirotonia Episcopale. Sempre San Giovanni Crisostomo, riferendosi a questo rito, osserva che il Santo Vangelo è la tiara del Vescovo, e proprio quando è nominato capo della comunità, gli si ricorda che lui pure è soggetto ai precetti del Vangelo, e che deve praticarlo e predicarlo.

Anticamente il Santo Vangelo era l’insegna propria del Vescovo, come possiamo vedere nelle icone dei santi Vescovi, che hanno sempre il Vangelo in mano. Ma il rito dell’imposizione del santo Vangelo ha anche un significato mistico; il santo Vangelo infatti è simbolo della destra potente del Signore Gesù Cristo, che opera invisibilmente nella Chiesa, come è detto espressamente nella preghiera dell’unzione della santa Ufficiatura dell’Olio Santo. Soprattutto questo rito indica che dal Santo Vangelo, sorgente di Spirito e Vita, viene sull’ordinato la fiamma e il fuoco dello Spirito Santo. Il Santo Vangelo è santificante e datore di Spirito Santo, perché è la memoria storica e viva del Signore Gesù ed è stato scritto sotto una speciale grazia dello Spirito Santo che ha ispirato gli autori facendo ricordare loro le parole pronunciate dal Signore Gesù con fedeltà e comprenderle nella loro pienezza guidandoli a tutta la verità. Per questo il Santo Vangelo è stato sempre venerato in modo principale nella Chiesa insieme alla Santa Croce. In esso c’è scritta la parola viva ed eterna del Figlio di Dio incarnato. Nel Vangelo c’è, per opera dello Spirito Santo, la presenza misteriosa e vera di Cristo Signore; è ormai nozione comune vedere nelle divine Scritture un’analogia con l’Incarnazione; per questo il Santo Vangelo comunica grazia, benedizione, forza e aiuto.

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È molto utile richiamare a questo proposito le parole illuminanti di San Simeone di Tessalonica che dice che il Vescovo può operare mediante Cristo tutte le cose di questi nello Spirito Santo, perché ha la grazia del Vangelo, è Divino Strumento del Vangelo, è tutto Vangelo. Poiché lotta per il Vangelo, ha da Dio una grande grazia, egli è il servo e il servitore di Gesù Cristo circondato però dalla sua grazia.

Anche San Dionigi Areopagita presenta il Vescovo come immagine di Dio, perché predica il Vangelo, attuando la volontà di Dio che vuole che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità.

La prima preghiera della Chirotonia Episcopale dirà in modo esplicito che l’ordinando è divenuto degno dell’evangelico giogo; giogo indica i precetti e gli insegnamenti dati dal Signore Gesù Cristo, e la totale disponibilità dell’ordinando ad abbracciare con ubbidienza e sottomissione l’insegnamento evangelico, ma anche a mettere tutta la propria vita, la propria volontà ed energia a servizio del Vangelo, impegnandosi perché sia conosciuto, accolto e vissuto.

La prima preghiera di Ordinazione

La preghiera si apre ricordando che Dio per mezzo dall’apostolo Paolo ha costituito per noi la serie dei gradi e degli ordini per il servizio e il ministero dei santi Misteri dell’altare, gli Apostoli i Profeti e i Dottori; si nota subito il richiamo a 1 Cor. 12,28, dove l’Apostolo elenca i vari carismi nella Chiesa.

Si invoca che il Signore Dio, per mezzo dell’imposizione della mani dei Vescovi, conceda all’eletto, da lui giudicato degno della dignità Episcopale, forza con la discesa, la potenza e la grazia del suo Santo Spirito, come ha fatto con gli apostoli ed i profeti, e come ha unto i re e santificato i Sacerdoti.

L’imposizione delle mani dei Vescovi nel Sacramento dell’Ordine è la mediazione ecclesiale, storica e visibile della grazia di Dio.

Viene specificata poi la straordinarietà del dono dello Spirito, se ne invoca infatti la discesa, la potenza e la grazia in modo simile come

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è avvenuto sugli Apostoli e sui Profeti, si richiamano pure l’unzione regale e la consacrazione Sacerdotale del’Antico Testamento. La figura del Vescovo nella Chiesa riassume in sé tutte le funzioni salvifiche dell’A.T. e i ministeri del Nuovo Testamento: Apostoli, Profeti, Dottori, e il suo ministero consiste principalmente nella celebrazione dei Santi Misteri della Divina Eucaristia.

Come Cristo fu il vero e primo Apostolo, il vero e supremo Profeta, il vero e unico Re universale ed eterno, il vero Sommo Sacerdote, così l’eletto partecipa pienamente a questa missione, portata a compimento e realizzata da Cristo.

Da tenere presente, come abbiamo già visto, che dopo ogni confessione di fede proclamata dall’ordinando i Vescovi pregano che la grazia dello Spirito venga su di lui. E in alcune Chiese bizantine nella Divina Liturgia della Chirotonia Episcopale si cantano Antifone, Isodikòn, Tropari e il Kinonikòn di Pentecoste, questo avviene per dare risalto alla speciale effusione dello Spirito Santo, del tutto singolare sul nuovo Vescovo, e lo unisce spiritualmente agli Apostoli nel Cenacolo sui quali lo Spirito Santo scese e si posò sotto forma di lingue di fuoco e presenta l’ordinato come un nuovo Apostolo, che deve continuare il loro ministero e che assume le loro prerogative.

La Chirotonia Episcopale comporta un dono del tutto particolare dello Spirito Santo ed è una nuova Pentecoste, ed è la sanzione il riconoscimento da parte della Chiesa del grande carisma del Sommo Sacerdozio che lo Spirito Santo ha dato ad un Presbitero della Chiesa per la guida e la cura del popolo di Dio.

La preghiera si conclude chiedendo a Dio che renda l’eletto partecipe della sua santità affinché sia degno di chiedere ciò che bisogna alla salvezza del popolo e sia esaudito. Il Vescovo non è solo degno di pregare davanti a Dio per il popolo, poiché trova grazia al suo cospetto, ma anche la sua preghiera risulta accetta a Dio che la accoglie e la esaudisce. E questa è una grande grazia proveniente dalla bontà di Dio e ottenuta dal Signore Gesù con la sua divina economia del piano salvifico. Il Vescovo è infatti

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fortemente congiunto con Cristo, Sommo Sacerdote, che intercede per noi presso il Padre.

La seconda preghiera di Ordinazione

Segue una litania recitata a bassa voce dal terzo Vescovo, alla quale rispondono i Vescovi e il clero che stanno attorno all’altare. Il terzo Vescovo svolge una funzione Diaconale, gli altri fanno le veci del popolo, questo avviene per sottolineare e onorare il grande carisma dell’Episcopato, vertice del Sacro Ministero, ma significa pure la reale uguaglianza di tutti i fedeli, in quanto membra dell’unico corpo di Cristo, che godono degli stessi doni divini e partecipano ugualmente per grazia alla vita divina. Non sfugge che c’è un esempio di grande umiltà da parte dei celebranti; anzi secondo la consuetudine antica, il nuovo Vescovo prende la presidenza della celebrazione della Divina Liturgia, si comunica prima degli altri, e dà la Comunione al Vescovo che lo ha ordinato e a tutti gli altri.

Gesù stesso ha insegnato ai discepoli che chi comanda deve farsi servitore, e chi è il più grande deve divenire come il più piccolo, e il nuovo Vescovo è invitato così ad una grande umiltà. O piuttosto è invitato ad essere pronto all’umiliazione al seguito di Gesù, Sposo della Chiesa con la sua passione. Ciò trova conferma nella stessa vestizione Episcopale; il sàkkos, corta tunica con mezze maniche, che il Vescovo indossa al posto del felònion Presbiterale, simboleggia infatti la veste di derisione con cui fu coperto Gesù durante la sua passione e la mitra, corona sormontata dalla croce, richiama la corona di spine del Signore Gesù Cristo, e la Croce pettorale esprime l’impegno del Vescovo a seguire Cristo, a rinnegare se stesso, a prendere la propria croce e andare dietro al Signore Gesù Cristo.

Il Vescovo “l’uomo (anìr) della Chiesa” (S. Simeone di Tessalonica), deve avere una dedizione totale verso la Chiesa che gli è stata affidata, fino a giungere ad offrire la propria vita a favore di essa e deve purificarla rendendola degna dell’unione con Cristo suo vero Sposo. Cristo, Sposo della Chiesa e Sposo delle anime nostre, è proprio il Cristo che subisce la passione e la morte per la nostra salvezza, come mostra molto bene l’icona del Nymfìos

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(Sposo), immagine del Cristo deriso con la corona di spine e la canna in mano, oppure il Cristo morto, calato dalla croce e posto nel sepolcro.

La Lettera agli Efesini precisa che Cristo ha amato la sua Chiesa e ha dato per lei la sua vita (5,25), e il Vescovo deve vivere questo mistero fino all’estremo con l’umiliazione e il sacrificio di se stesso.

Il seguito della preghiera presenta il Vescovo eletto come Maestro per offrire sacrificio ed offerta per il popolo. Le ultime parole di Gesù risorto rivolte agli Undici Apostoli sono le seguenti: “Andate dunque e fate discepoli e tutte le nazioni… insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt. 28,19-20). E gli Atti degli Apostoli ci presentano la comunità Cristiana degli inizi, nella quale tutti erano perseveranti nell’insegnamento degli Apostoli, nella Comunione, nello spezzare il Pane e nelle preghiere (2,42), e gli Apostoli che con grande forza davano testimonianza della resurrezione del Signore Gesù (4,33) e aggiungono che essi ogni giorno, nel tempio e nelle case, non cessavano di insegnare e di annunciare che Gesù è il Cristo (5,42); ci presentano poi le lamentele di quelli di lingua greca perché le loro vedove erano trascurate nella distribuzione del cibo, davanti a queste lamentele i Dodici riuniscono la comunità e precisano subito che essi non possono lasciare la Parola di Dio per servire alle mense, e propongono di scegliere sette uomini molto affidabili per svolgere questa ultima funzione, mentre essi si potranno dedicare alla preghiera e al servizio della Parola (6,1-4).

Il Vescovo presiede l’assemblea liturgica nella Celebrazione Eucaristica, è lui che fa le preghiere, è lui che spezza al popolo la Parola di Dio preparandolo all’incontro gioioso e reale del Cristo Risorto, che si riceve nella Santa Comunione, è dunque Maestro e Sommo Sacerdote. Ma il Vescovo è purificato da Cristo, il Sommo Sacerdote, e da questi riceve il dono dello Spirito Santo, sapienza prudenza, grazia, la vera luce; è confermato nella vera fede avendo ricevuto il Cristo vivente nel suo cuore insieme al Padre e allo Spirito Santo, ed è così sempre più abilitato nel suo ruolo di

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Maestro. Insegnamento e presidenza della Divina Liturgia sono intimamente legati; ma è dalla presidenza liturgica che proviene al Vescovo il carisma dell’insegnamento, del governo, dell’amministrazione, come evidenzia il Documento congiunto cattolico-ortodosso di Monaco del 1982.

Nella parte finale la preghiera specifica la funzione del nuovo Vescovo come Maestro nella Chiesa. Egli deve essere luminare nel mondo, diffondendo dappertutto la luce di Cristo, guida e luce di coloro che sono nelle tenebre con l’annuncio della verità evangelica, maestro ed educatore degli insipienti e dei fanciulli portandoli alla fede matura in Cristo, predicatore instancabile del Vangelo. Dichiara San Giovanni Crisostomo che il Sacerdote davanti ai tanti e vari mali spirituali dei fedeli ha a disposizione come medicina, solo la parola; e ammonisce che il digiuno, la veglia, il dormire per terra, che sono cose buone e sante, non sono di utilità per i fedeli, utile più di tutto per la loro salvezza è l’impegno del Sacerdote nella predicazione.

La preghiera definisce il nuovo Vescovo “Economo della Grazia del Sommo Sacerdozio”; la Lumen Gentium intende molto bene queste parole riferite a tutto il ministero pastorale del Vescovo: la Celebrazione Eucaristica, la predicazione del Vangelo, la cura pastorale, con la propria preghiera e il proprio impegno, con la celebrazione dei Sacramenti, dei quali anche organizza la regolare e fruttuosa amministrazione, con il ministero della Parola e l’esempio e con il conferimento degli Ordini sacri: con tutte queste azioni ministeriali effonde in pienezza la santità di Cristo sul popolo di Dio.

Nella preghiera si chiede anche al Signore di rendere il nuovo Vescovo imitatore del vero Pastore, cioè di Cristo. Scrive Mc 6,33-34: “Gesù vide una gran folla ed ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore e cominciò ad insegnare loro molte cose”. Il primo compito del Vescovo in quanto pastore del suo popolo è l’annuncio della verità salvifica. Il canone 19 del Concilio Trullano (692) prescrive che i pastori della Chiese devono insegnare ogni giorno al popolo, soprattutto la domenica e hanno il

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dovere di spiegare le Scritture secondo i commentari dei Padri. Il Vescovo infatti deve portare tutti coloro che lo ascoltano alla fede nella Trinità e nell’Incarnazione del Verbo eterno e Figlio Unigenito di Dio e nella sua mirabile economia divina di salvezza; e alla speranza Cristiana che tutto spera da Dio e dalla sua bontà, vivendo i fedeli già le delizie del secolo futuro e avendo ricevuto come caparra il dono dello Spirito; e alla carità al massimo grado e in primo luogo verso Dio, alla carità concreta verso gli altri nell’amore reciproco, nel perdono, nella misericordia. E deve entusiasmare questi fedeli a percorrere la via della salvezza che il Signore Gesù ci ha indicato con i suoi insegnamenti ed esempi evangelici, la via della croce, dell’amore, del dono e sacrificio di sé.

In Gv 10,5-17 Gesù si presenta come il Pastore buono e splendido, che vive in una esperienza di intima Comunione con le sue pecore, di esse ha cure e vuole dare ad esse la vita, e ama le sue pecore al punto di dare la sua vita in sacrificio per loro. Gesù Buon Pastore è il modello del Vescovo che deve avere cura, con tutto il suo impegno, delle anime dei fedeli a lui affidati per perfezionarli e deve vivere in familiarità di amore con loro, porre la sua anima per loro, in una dedizione totale fino al sacrificio di se stesso. Gesù ha invitato tutti i credenti in lui ad imparare da lui, mite ed umile di cuore.

Soprattutto il Vescovo deve prendere il Signore come modello della sua propria vita, e imitarne la mitezza, la mansuetudine, l’umiltà e la povertà. Nelle beatitudini sono messi al primo posto i poveri in spirito, e poi seguono i miti ( Mt 5,3.5).

Il tropario in onore dei Santi Vescovi, definisce il Santo Gerarca “immagine di mitezza”, ad intendere che ha avuto una mansuetudine così grande, che contraddistingueva tutta la sua vita e tutte le sue azioni, la sua persona manifestava sempre la mitezza. E tra le sue virtù sono ricordate l’umiltà e la povertà. Ecco come deve essere il Vescovo, mite, umile di cuore, povero per amore degli altri. Secondo un canone ecclesiastico antico, il Vescovo che litigava con i pagani o diceva cieco al cieco o zoppo allo zoppo, veniva immediatamente deposto. E San Dionigi Areopagita afferma

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che il Vescovo accoglie il catecumeno senza invidia e senza collera per le colpe commesse da questi, agendo alla maniera di Dio.

La vestizione e le acclamazioni

Il nuovo Vescovo si alza e il primo Vescovo prende il sàkkos, preziosa tunica che deriva dal vestito imperiale e tenendolo con la destra alzata e rivolgendosi ai fedeli proclama tre volte àxios (degno), lo stesso acclamano i celebranti e poi i fedeli, e il nuovo ordinato lo indossa. Il primo Vescovo prende l’omofòrion, stola molto larga ornata di croci che passa attorno al collo quindi al petto e le due estremità scendono ai lati della spalla sinistra e si ripete l’acclamazione con l’àxios. L’omofòrion è l’insegna Episcopale, infatti come vediamo nelle icone dei Santi Vescovi antichi sopra il felònion portano sempre l’omofòrion. Il nuovo ordinato indossa l’ omofòrion e recita la seguente preghiera: “Prendesti sulle Tue spalle la natura (umana) forviata e smarrita e quando fosti assunto la presentasti al Dio Padre. Ha giurato il Signore e non si pentirà, tu sei Sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedek.”.

L’Episcopato trae il suo valore e senso dall’azione salvifica del Signore Gesù Cristo che ha assunto la natura umana, l’ha salvata, l’ha presentata a Dio quale natura propria del Verbo e Figlio di Dio ed essendo totalmente a lui unita, siede in trono alla destra del Padre. E Gesù Cristo è ora glorificato alla destra del Padre come Signore unico e universale e gli è stato dato ogni potere in cielo ed in terra ed è sempre presente nella sua potenza divina insieme ai discepoli. Il Cristo glorificato alla destra del Padre esercita la sua funzione di Sommo Sacerdote presentando al Padre il suo sacrificio sulla croce, e intercedendo per noi e venendo in nostro aiuto. Il Vescovo non agisce da se, è unito al Cristo Salvatore, partecipe del sacerdozio eterno di Cristo, gode della presenza salvifica di Cristo. Si inserisce nella missione salvifica di Cristo, adoperandosi per la salvezza degli uomini forviati e smarriti e con la potenza di Cristo raduna nella Chiesa i fedeli ed i nuovi credenti. Come Cristo ha lasciato le novantanove pecore ed è andato in cerca di quella smarrita, il Vescovo deve agire con tutto il suo impegno per la

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conversione dei peccatori e l’adesione di fede a Cristo di coloro che sono lontani.

Le acclamazioni “degno” iniziate dal Vescovo ordinante, riprese dai concelebranti e ripetute dal popolo, esprimono il consenso della Chiesa Cattolica rappresentata dai tre Vescovi ordinanti, ed il consenso della Chiesa locale. Chirotonia infatti indica l’elezione del nuovo Vescovo, perché significa alzare la mano. Il Vescovo ordinante e gli altri due abbracciano e baciano il nuovo Vescovo ed egli prende il primo posto nella celebrazione della Divina Liturgia ad indicare la sua unione perfetta a Cristo e la sua configurazione totale a Cristo, Capo della Chiesa. Così egli assume in pienezza la cura della propria Chiesa di cui è il responsabile unico a tutti i livelli, ma sempre in Comunione con i Vescovi della sua giurisdizione ecclesiale e con le autorità ecclesiastiche, in primo luogo con il Santissimo Padre, Papa di Roma. Assume anche la cura della Chiesa Universale poiché entra a far parte pienamente del Collegio dei Vescovi, cura che esercita nella forma legittima del Collegio dei Vescovi presieduto dal Santissimo Papa di Roma.

Secondo l’antica consuetudine presente nell’Eucologio di Roma 1873, dopo la Comunione, il nuovo Vescovo riceve dal Vescovo ordinante la mitra, corona che deriva da quella imperiale, usata dal patriarca dopo la caduta dell’Impero bizantino, e man mano usata da tutti i Vescovi, la Croce pettorale, l’engòlpion, medaglione con una immagine sacra. Ma attualmente si usa dare queste insigne Vescovili dopo l’omofòrion sempre proclamando l’àxios (degno).

Conclusione

Come conclusione voglio aggiungere che il Vescovo chiama tutti all’unità, ha un grande amore verso tutti senza distinzione, buoni e cattivi; è testimone dell’amore infinito di Dio verso l’uomo, ogni uomo; e come Dio, che rimane sempre fedele nonostante la defezione dell’uomo, è misericordioso, capace di perdonare di comprendere, di essere benevolo; sa accogliere il peccatore in modo paterno e facilita la sua conversione e ne va in cerca se si è allontanato; è mosso dalla carità e si fa vicino a tutti pieno di zelo per la loro salvezza spirituale, e pieno di compassione per i loro

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bisogni concreti, povertà, malattia, sofferenza, ingiustizia subita; come Dio è difensore del povero, dell’ orfano, della vedova e dello straniero. Il Vescovo fa conoscere il volto paterno di Dio, egli è un padre che ama tutti come figli, non domina, non impone, ma chiama, propone rispettando la libertà e la dignità degli altri; come Dio è paziente , continua ad amare nonostante uno si sia reso colpevole, attende con perseveranza il ritorno dell’errante, accoglie tutti, chi è buono per fortificarlo nel bene, chi ha sbagliato per riammetterlo nella Comunione con Dio; sopporta come Dio la disobbedienza e si compiace dell’ubbidienza, ha cura di tutti: dei fedeli, dei peccatori, dei non credenti, la sua autorità consiste nella testimonianza dell’ amore gratuito, costante, senza limiti, che abbraccia tutti.

Il Vescovo come Dio è Pastore della sua Chiesa e guida tutti i credenti con sicurezza alla vita eterna, egli instancabilmente opera per l’edificazione dei fedeli, con la predicazione, con la celebrazione dei Santi Misteri dei Sacramenti, con il dialogo e l’incontro, con la vicinanza con la carità spirituale e concreta, ammonisce, esorta; si interessa del bene spirituale della comunità e di ogni singolo credente ; rigetta ogni deviazione nella fede, cura il peccato con il rigore richiesto e la clemenza necessaria; si preoccupa con particolare premura di coloro che sono caduti, spiritualmente feriti o malati, e ha la mano pronta per risollevare, e la medicina adatta per guarirli.

Egli dà unità e coesione ai fedeli della sua Chiesa e valorizzi i ruoli e i compiti di ciascuno mettendo in armonia i vari carismi per la crescita della Chiesa.

Troviamo scritto in San Paolo nella seconda Lettera ai Corinzi: “In quanto a noi siamo i vostri servi per Cristo”(4,5). Espressione molto forte per indicare la dedizione completa per la salvezza dei fedeli, tale dedizione è motivata secondo l’esempio di Cristo, per amor suo, perché Cristo realizzi la sua volontà salvifica. In tale prospettiva l’Episcopato è un ministero, una Diaconia, un servizio reso ai fedeli nella Chiesa; anche a coloro che non sono Cristiani e questo si fonda sulla parola e sull’esempio di Cristo. È molto

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significativo che San Gregorio Magno (+604), da noi chiamato “il Dialogo”, una volta eletto Papa, per indicare se stesso, continuò ad usare la formula “Servo dei servi di Dio”: formula che da allora divenne un titolo del Romano Pontefice.

Gesù Buon Pastore è il modello del Vescovo

che deve avere cura, con tutto il suo impegno,

delle anime dei fedeli a lui affidati per perfezionarli

e deve vivere in familiarità di amore con loro,

porre la sua anima per loro,

in una dedizione totale fino al sacrificio di se stesso.

Gesù ha invitato tutti i credenti in lui

ad imparare da lui, mite ed umile di cuore.

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«Come Gesù Cristo segue il Padre,

seguite tutti il Vescovo e i Presbiteri come gli apostoli;

venerate i Diaconi come la legge di Dio.

Nessuno senza il Vescovo faccia qualche cosa

che concerne la Chiesa.

Sia ritenuta valida l’eucaristia che si fa dal Vescovo

o da chi è da lui delegato»

(Smirnesi VIII, 1)

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IL VESCOVO EPARCHIALE NEL PRIMO SINODO INTEREPARCHIALE DI GROTTAFERRATA DEL 1940,

NELL’ASSEMBLEA EPARCHIALE DELL’EPARCHIA DI LUNGRO DEL 1995-1996

E NEL SECONDO SINODO INTEREPARCHIALE 2004-2005

Protopresbitero Vittorio Scirchio

La nomina del nuovo Vescovo diocesano di Lungro ci offre l’occasione per momenti di riflessione sul ruolo del Vescovo nella Chiesa e sulla particolare missione che ha una Eparchia bizantina nell’ambito della Chiesa italiana e nella Chiesa della Calabria.

Dalla Sede Apostolica più volte è stato ribadito questo ruolo con l’indicazione di metodologie e strade da seguire. Lo stesso Vescovo eletto mons. Donato Oliverio nel suo saluto al clero e al popolo, dopo la lettura della nomina, ha fatto riferimento a questo compito, facendo intendere che durante il suo Episcopato vorrà ottemperare al desiderato della Santa Sede. Il problema spinoso dell’unità dei Cristiani incombe più che mai. Di fronte alle parole di Gesù sull’unità dei suoi discepoli, nessuno può rimanere indifferente per l’integrità della fede. Gesù chiama ad essere uniti nella fede in Lui e nella realizzazione del precetto dell’amore lasciato alla Chiesa come suo testamento. Affinché il mondo creda, i Cristiani devono mostrarsi uniti nell’unico Signore risorto e così più credibili di fronte all’indifferenza e al relativismo del mondo.

La nomina di un pastore deve costituire un punto sicuro per i fedeli perché possano uscire dall’indifferenza del mondo incredulo, in quanto dal pastore, che dispensa rettamente la parola di verità, si sentano guidati nel camino difficile della conversione.

La missione di Chiesa Orientale Cattolica, l’Eparchia di Lungro la svolgerà se si adeguerà sempre più sotto la guida del nuovo Vescovo, alla tradizione orientale. Questo deve essere un obbiettivo mirato del Vescovo e della fattiva collaborazione del clero.

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Nei sinodi particolari e locali che le circoscrizioni bizantine in Italia hanno celebrato dal 1940 ad oggi, nelle varie proposizioni approvate e promulgate non c’è una costituzione particolare che tratta specificamente della figura del Vescovo. D'altronde non ci può essere in quanto è un problema che riguarda la Chiesa Universale. Quindi è il Concilio Ecumenico o il diritto comune della Chiesa ad occuparsene. Infatti nella Chiesa Cattolica è il Concilio Vaticano II, a cui hanno partecipato tutte le Chiese Orientali Cattoliche, a costituire la legge suprema della Chiesa Universale.

In modo dettagliato poi con la pubblicazione e la promulgazione dei due Codici di Diritto, quello latino (CIC) e quello per le Chiese Orientali Cattoliche (CCEO), è stata redatta tutta la normativa specifica sul Vescovo. Per i Sinodi locali, il Concilio e il CCEO, costituiscono la fonte di tutte le norme particolari delle Chiese sui iuris. Una norma del diritto particolare deve adeguarsi e non può andare contro il diritto comune, nel nostro caso contro il CCEO.

Nell’Intersinodo di Grottaferrata del 1940 qua e là nelle varie costituzioni si fa riferimento alla potestà del Vescovo, derivante dalla sua consacrazione sacramentale. Nell’Intersinodo del 2004-2005 e nell’Assemblea Eparchiale del 1995-1996 si specifica che il Vescovo viene costituito attraverso la consacrazione «ministro della parola, della liturgia, dei sacramenti».

Giovanni nel suo Vangelo mette in bocca a Gesù le parole: «vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il frutto rimanga».

Se il Vescovo è stato «costituito perché vada», il suo compito principale è evangelizzare. Il cuore della evangelizzazione oggi come sempre è l’evento morte e risurrezione di Cristo. Nell’evangelizzare il mondo odierno, il Vescovo deve privilegiare il dialogo, sapendo ascoltare e sapendo parlare amabilmente e in modo positivo. Nella prima parte introduttiva dell’Assemblea Eparchiale dal canone 1 al canone 38 si parla del primato della parola sulla vita

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della Chiesa, nella meditazione, nella conoscenza, nella lettura delle Sacre Scritture e nella predicazione.

Al canone 58 della seconda parte dedicata all’ordine sacro si dice con chiarezza: «in linea con la volontà del Signore, la Chiesa si presenta gerarchicamente ordinata in Vescovi, Presbiteri e Diaconi». In ogni Chiesa particolare «il Vescovo ha il compito di pascere a nome proprio la sua Eparchia, di governarla come vicario e legato di Cristo» (CCEO can. 178).

Il canone successivo, il 59, parla della Comunione che deve sussistere tra Vescovo e Presbiteri in quanto si partecipa allo stesso e unico sacerdozio di Cristo e il loro sacerdozio li accomuna nella stessa missione da svolgere. Il Vescovo pertanto è chiamato a promuovere ogni forma di vita comune.

La seconda parte è intitolata «Comunione». Nelle Chiese locali la Comunione si realizza attorno al proprio Vescovo, successore degli apostoli. «La Chiesa che esiste in un determinato luogo, così la nostra Eparchia si manifesta come tale quando e assemblea, quando è sinassi eucaristica» (can.191).

Quando si celebrano i divini misteri del Corpo e del Sangue, la Chiesa entra in Comunione con tutte le altre Chiesa particolari, grazie alla successione apostolica. Per quanto riguarda la costituzione sui soggetti ecclesiali (Vescovi, Sacerdoti, Diaconi), l’Assemblea Eparchiale al canone 206 elenca tutti i compiti che l’eparca ha secondo il CCEO: «la sollecitudine verso tutti, la fermezza nella difesa dell’integrità della fede, la custodia della vita liturgica».

Scrive Matsoukas nella sua ecclesiologia: «la funzione carismatica del Vescovo […] si attua […] all’interno del corpo della Chiesa. Il Vescovo è il rappresentante del Corpo; è un persona carismatica»25.

25 Cfr. N. A. Matsoukas, Teologia Dogmatica e simbolica ortodossa, vol. II, Edizioni Dehoniane, Roma 2006, 275-277.

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Attraverso la Rivelazione di Cristo, noi abbiamo conosciuto la Paternità di Dio. Se il Vescovo sarà padre riuscirà a promuovere la paternità Sacerdotale tra i Presbiteri e nel popolo di Dio. Da questa paternità li deriverà la sapienza e il discernimento. I compiti del Vescovo sono i compiti specifici della Chiesa, che abbiamo ricordato sopra, e cioè: l’evangelizzazione, la celebrazione e i sacramenti.

Il Vescovo nel Sinodo InterEparchiale del 2004-2005

Da considerare che questo Intersinodo è stato celebrato dopo la pubblicazione del CCEO. Rispetto all’Intersinodo del 1940 contiene tutta la ricchezza del Concilio Vaticano II e del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali. È ispirato, quindi, a delle fonti teologiche quali le costituzioni conciliari e ai canoni confluiti nel CCEO per tutte le Chiese Orientali Cattoliche.

Per le tre circoscrizioni bizantine in Italia, la celebrazione dell’Intersinodo è stato considerato da tutti come un evento di grazia, per cui si è fatta una lettura e un approfondimento delle proprie realtà in vista di un risveglio teologico, liturgico e di evangelizzazione.

Riferimenti alla figura e alla potestà del Vescovo Eparchiale vi sono qua e là in tutte le costituzioni intersinodali. Di articoli da evidenziare ne sono stati scelti solo alcuni. Nel capitolo riguardante il Diritto Canonico il can. 446 dice che l’autorità competente della nostra Chiesa è il Vescovo Eparchiale. Si tratta del ministero apostolico che Gesù ha istituito, e che si prolunga nel tempo in modo particolare nei Vescovi. I Vescovi sono quindi, successori degli apostoli in quanto attraverso la consacrazione ricevono la pienezza del sacerdozio.

Nella sezione riguardante i rapporti interrituali nel can. 544 che si ispira al can. 199 del CCEO, l’eparca è detto «moderatore, promotore e custode di tutta la vita liturgica nell’Eparchia a lui

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affidata». Scrive Matsoukas nella sua ecclesiologia che le Chiese dell’Oriente e dell’Occidente hanno organizzato la loro struttura sulla base del «potere Episcopale». Lo stesso S. Ignazio di Antiochia sottolinea l’unità della Chiesa non solo sotto il Vescovo, ma nel contesto del raduno liturgico e della celebrazione dei sacramenti. Non si basa quindi, su un ordine canonico ma asserisce che le comunità Cristiane dell’Oriente e dell’Occidente trovano la loro unità nelle assemblee liturgiche e nel contenuto della fede 26.

San Paolo nella I Lettera ai Corinzi parla di questa unita funzionale del Corpo di Cristo che è la Chiesa. Cosi nel corpo della Chiesa ci sono diversi carismi, mentre la forza spirituale dell’unità è una sola, quella del Santo Spirito. Il Santo Spirito ci fa attuare i carismi in favore degli altri. Uno è Vescovo, non per se steso, ma per gli altri.

Il Vescovo eletto, in una sua prima intervista, ha parlato di una nuova fioritura primaverile, cioè di azioni creative che fanno progredire e crescere il corpo, che è la Chiesa.

Il corpo carismatico della Chiesa non si può intendere senza un collegamento organico tra il popolo e la gerarchia. Senza il popolo non si può avere gerarchia, e senza gerarchia non ci sono rappresentanti del corpo del popolo per la teologia, l’insegnamento, la pastorale, la vita liturgica e ogni tipo di spiritualità. Il sacerdozio ministeriale del Vescovo, del Presbitero e del Diacono è una funzione carismatica che rende possibile la crescita e il progresso del corpo.27 Questo carisma si attua nella Chiesa, con la Chiesa, per la Chiesa, è infatti qualcosa di funzionale del Corpo stesso. Il sacerdozio ministeriale è all’interno del sacerdozio comune di tutto il corpo della Chiesa. Nel Concilio Vaticano II ci si è ispirati a questa tradizione orientale facendo propria la vita del Corpo e la vita liturgica.

26 Cfr. Ignazio di Antiochia, Agli smirnesi, in G. Zizioulas, l’Unità della Chiesa nella S. Eucarestia e nel Vescovo nei primi tre secoli, Atene, 1990. 27 Cfr. N. A. Matsoukas, op.cit., 275.

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Il Vescovo e l’ecumenismo

Nel can. 575, nella sezione dedicata all’ecumenismo, il Vescovo è chiamato centro dell’unità e promotore dell’unità. In questo senso, il Vescovo dell’Eparchia bizantina di Lungro insieme ai Presbiteri e a tutto il popolo di Dio, ha una missione singolare da svolgere nella Chiesa italiana e il quella locale calabrese. La Chiesa italiana ricorre sempre alle due diocesi di Lungro e di Piana degli Albanesi per far conoscere al mondo occidentale le ricchezze dell’oriente Cristiano. Per poter fare ciò anzitutto bisogna amare l’oriente e pensare che il santo Evangelo predicato agli apostoli si è incarnato nelle varie culture, manifestando l’unica fede nel Signore morto e risorto.

La nostra Eparchia ha nello stemma suo proprio l’immagine del Buon Pastore e la scritta giovannea «che tutti siano una»(Gv. 17,21). Anzitutto l’unità di vita tra il Vescovo, Presbiteri e popolo di Dio deve essere secondo le parole di S. Ignazio di Antiochia «come una sinfonia». L’Intersinodo intende promuovere e assicurare l’unità agapica all’interno della Chiesa locale per poter farsi poi promotrice di unità dentro la Chiesa Universale. Il can. 575 al punto a. specifica che il mistero dell’unità nasce dal ministero dell’unità della Santissima Trinità, originata dal Padre, fondata dal Figlio e animata dallo Spirito Santo, legata dal vincolo della stessa fede, dei misteri sacramentali, della concordia nel ministero.

Il can. 585 considera le Chiese Orientali Cattoliche in Italia come una realtà provvidenziale nel camino di ricomposizione della piena unità con le Chiese Ortodosse. Considerare che la nomina de IV Vescovo in ordine cronologico per l’Eparchia di Lungro è una opportunità singolare che ci viene offerta. Collaborare con la gerarchia ortodossa che ha incominciato a insediarsi anche in Italia non ci deve far paura, ma deve costituire un arricchimento reciproco nel dialogo leale e concreto.

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Sono tanti i fedeli Cristiani orientali che fuggono dai loro paesi per situazioni religiose avverse e condizioni economiche precarie e si inseriscono anche nelle nostre piccole comunità.

Conclusioni

La situazione odierna in Eparchia, ma anche in tutto il mondo è diversa dai periodi in cui furono celebrati i sinodi locali delle nostre eparchie. La crisi della società in tutti i suoi aspetti rende difficile il vivere l’Evangelo nel mondo indifferente e materialista. Per chi viene nominato Vescovo nel tempo odierno non è facile, e la testimonianza Cristiana si esige sempre più radicata nel solo Vangelo.

Nell’ultima cena Gesù si spoglia del mantello si cinge di un grembiule e lava i piedi degli apostoli, non come gesto di umiltà, ma per far comprendere ai suoi discepoli che la loro missione sarà servizio nell’uguaglianza, servizio «Diaconia».

…l’unità di vita tra il Vescovo,

Presbiteri e popolo di Dio

deve essere

secondo le parole di Sant’ Ignazio di Antiochia

«come una sinfonia».

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Pascimi, o Signore, e pasci tu con me gli altri,

perché il mio cuore non mi pieghi né a destra né a sinistra,

ma il tuo Spirito buono mi indirizzi sulla retta via

perché le mie azioni siano secondo la tua volontà

e lo siano veramente fino all’ultimo.

(San Giovanni Damasceno)

L’EPISCOPO NEI PRIMI SCRITTI CRISTIANI

Domenica Martino

Invita tutti per nome

La figura del Vescovo nella Letteratura Cristiana è un tema che in questa felicissima occasione si può solo sfiorare; eppure i Santi padri hanno lasciato una traccia indelebile e imprescindibile sulla natura di questo elemento, così antico originario ed essenziale della Chiesa, e del quale cercherò di fare cenno, che ha dato dopo i martiri, un modello di santità con la meravigliosa fioritura dei santi Vescovi: i Vescovi martiri Ignazio, Policarpo, Ireneo, Biagio, e poi nella finalmente trovata pace costantiniana fioriscono come svettanti luminosi palmizi d’oriente Basilio, Gregorio, Giovanni, Atanasio, Nicola, e Paolino, Agostino, Ambrogio in occidente. Attraverso questi uomini passa il fiume della profezia che ha costruito la Chiesa che oggi ancora noi serviamo e preghiamo.

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Dell’organizzazione della Chiesa e di ‘Episcopato’28 si parla già nel Nuovo Testamento: Vescovi, Presbiteri o anziani del giudeo-Cristianesimo primitivo29 e ancora: anziani e Presbiteri attestati negli Atti degli Apostoli30, questo quadro variegato viene riassunto con: «le chiese hanno come capi dei Presbiteri-Vescovi il cui incarico è triplice: presiedere le assemblee, insegnare la parola di Dio, combattere le false dottrine vigilando sulla fede».

Al di sopra di questi responsabili locali si trovano i collaboratori diretti di Paolo, Timoteo e Tito, incaricati dell’evangelizzazione e della organizzazione delle chiese in tutta la regione. Di Diaconi e Vescovi si parla già nella Lettera ai Filippesi31. I Diaconi sembrano avere un ruolo di collaboratori in rapporto all’evangelista che è incaricato del centro missionario. Quanto al rapporto tra il titolo di ‘Presbitero’ e di ‘Vescovo’ esso non è chiaro. Il termine “Vescovo” è sempre usato al singolare (1Tm 3, 2 Tt 1,7)32. La I lettera a Timoteo (3,1-13) parla insieme di epìskopo (al singolare, come in Tt 1,7) e Diaconi, e, separatamente, dei Presbiteri (1Tm 5,17-22). Non sappiamo se si può a questo punto già parlare di un Episcopato monarchico o di un Presbitero con una autorità maggiore.

Nell’ambito delle Lettere pastorali, la Prima Lettera a Timoteo che, nel riproporre i temi più tipici della dottrina paolina, sviluppa più ampiamente il tema del Episcopo e che sarà poi ripreso dalle prime testimonianze degli scrittori Cristiani33. La Lettera di Pietro dà il 28 «Il termine “Episcopato” ha preso nel corso dei secoli una precisa connotazione sacramentale-giuridica. Essa designa la guida unica della Chiesa locale (mono-Episcopato o Episcopato monarchico), ma ciò non esclude l’idea di collegialità, perché non si è Vescovi che all’interno del collegium Episcopale. Poiché alle origini non è facile trovare distinti questi aspetti, preferiamo mantenere la traslitterazione in episkopé, che significa letteralmente l’ufficio di chi “sovrintende”». Enrico Cattaneo, L’origine Apostolica dell’episkopé nella Lettera di Clemente ai Corinzi (1Clem 40-44) Su questo argomento cfr E. Prinzivalli, «La Prima Lettera di Clemente: le ambiguità di un conflitto», in ASE 26 (2009) 23-46. 29 Presbiteri o anziani, At 11,30; 14,23; At 15,22; Gc 5,14 30 Presbiteri –Vescovi At 20,17-28, evangelista At 21,8. 31«Paolo e Timoteo, servi di Cristo Gesù, a tutti i santi in Cristo Gesù che sono a Filippi, con i Vescovi e i diaconi» Fil. 1,1. 32 A. Lemaire, Les ministéres aux origines de l’église, LD 68, Paris 1971, pp. 123-138 33 «La dottrina relativa alla costituzione e alla organizzazione gerarchica della Chiesa: questo è l’apporto dottrinale più ricco delle Lettere pastorali[… ] Ecco perché le principali preoccupazioni dell’Apostolo in queste sue ultime lettere sono orientate nella scelta dei “capi” delle varie Chiese: Episcopi, presbiteri, diaconi, di cui si descrivono insistentemente le qualità spirituali richieste per un decoroso esercizio della loro missione […] Ecco così stabilita la catena della

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comando di custodire il gregge come il buon pastore34. L’Epistola agli Ebrei fa cenno a ‘dirigenti’ cui bisogna obbedire e nelle raccomandazioni finali dice: «ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunziato la parola di Dio; considerando attentamente l'esito del loro tenore di vita, imitatene la fede». La Didaché al capitolo XV si raccomanda: «eleggetevi dei Vescovi e Diaconi degni del Signore» e tra ‘le pietre bianche’, Il pastore di Erma annovera i Vescovi35.

La Traditio apostolica dà indicazioni su come deve essere eletto il Vescovo, i frutti da offrirgli, sul fatto che i Diaconi sono al servizio del Vescovo, e, la domenica, distribuisca, lui stesso, il pane a tutto il popolo.

La lettera scritta da Clemente Romano alla comunità di Corinto in Grecia intorno al 96-98 d.C., viene generalmente assunta come il documento patristico più antico; dal contenuto della lettera sembra di capire che sotto il regno di Domiziano, siano nati dei dissidi e fazioni arroganti abbiano deposto dal loro ufficio i Vescovi titolari. Per tale motivo Clemente richiama i fedeli di Corinto alla disciplina e all’obbedienza ricordando che Dio stesso esige dalle sue creature ordine ed obbedienza e richiama i Vescovi ad una cura sempre più attenta nei confronti dei più deboli.

La funzione principale del Vescovo è inoltre la Celebrazione della Liturgia, egli offre i doni e presenta le offerte. La celebrazione del Sacrificio divino è incarico specifico del Vescovo, ma ognuno nel suo posto è invitato a «piacere a Dio, agendo in buona coscienza e

“successione” apostolica, sia per quanto riguarda il governo delle varie comunità, sia per quanto riguarda il potere di magistero. È nella saldezza di questa catena che la Chiesa di tutti i tempi può avere la certezza di essere “la Chiesa del Dio vivente, colonna e sostegno della verità” (1Tim. 3, 15). Un solo anello che si spezzasse, non ci presenterebbe più la vera Chiesa di Cristo ma una sua sofisticazione umana». G. Di Nola «Introduzione», in Giovanni Crisostomo, Commento alla prima lettera a Timoteo Traduzione, introduzione e note a cura di G. Di Nola, Città Nuova Roma 34 1Pt 5, 2 «Pascete il gregge di Dio che è tra di voi, sorvegliandolo, non per obbligo, ma volenterosamente secondo Dio; non per vile guadagno, ma di buon animo». 35 «Ascolta ora quanto concerne le pietre che entrano nella costruzione. Le pietre quadrate, bianche e che combaciano con le loro congiunture sono gli apostoli, i Vescovi, i maestri e i diaconi, che camminando nella santità di Dio hanno governato, insegnato e servito con purezza e santità gli eletti di Dio, quelli che sono morti e quelli che sono ancora vivi», Cap XV, 1.

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dignità, senza infrangere la norma stabilita per il suo compito»; il Vescovo è successore degli apostoli36, ad esso sono richieste l’umiltà, la calma e la gentilezza per servire degnamente e santamente il gregge di Cristo.

Nessuno può dunque allontanare dal ministero un Vescovo; inizia a delinearsi il rapporto sponsale del Vescovo con la sede per cui è stato scelto, sancito poi nel 325 dal Concilio di Nicea. Il fatto poi che il Vescovo di Roma, Clemente, si preoccupi e intervenga nella lite che turba la pace della comunità di Corinto, testimonia due elementi importantissimi per la storia e la spiritualità dell’Episcopato. Innanzitutto una costante sollecitudine di un Vescovo per tutta la Chiesa, segno questo della grande solidarietà che anima i Cristiani e rappresenta una tappa per la storia del primato Petrino.

“I Vescovi dagli apostoli stabiliti o dopo da altri illustri uomini con il consenso della Chiesa tutta, che avevano servito rettamente il gregge di Cristo con umiltà, calma e gentilezza e che hanno avuto testimonianza da tutti e per molto tempo, riteniamo che non debbano essere allontanati dal ministero. Sarebbe per noi colpa non lieve se esonerassimo dall’Episcopato coloro che hanno presentato le offerte in maniera ineccepibile e santa” (Clemente Romano, Lettera ai Corinti, XLIV, 1 - 4).

Ma l’autore che ha dedicato maggior attenzione alla figura del Vescovo è, all’origine, Ignazio d’Antiochia37. Il Vescovo martire nativo della Siria nella prima metà del I secolo fu Vescovo di Antiochia intorno al 69 circa, salì sul glorioso soglio Episcopale 36 Gli apostoli predicarono il vangelo da parte del Signore Gesù Cristo che fu mandato da Dio. Cristo da Dio e gli apostoli da Cristo. Ambedue le cose ordinatamente alla volontà di Dio. Ricevuto il mandato e pieni di certezza nella risurrezione del Signore nostro Gesù Cristo e fiduciosi nella Parola di Dio con l’assicurazione dello Spirito Santo, andarono ad annunziare che il regno di Dio era per venire. Predicavano per le campagne e le città e costituivano le loro primizie, provandole nello spirito, nei Vescovi e nei diaconi dei futuri fedeli (Clemente Romano, Lettera ai Corinti XLII, 1- 4) 37 Siria 35 - Roma 107 ca., Vescovo di Antiochia (69 ca.), Eusebio di Cesarea Storia ecclesiastica, III, 36, 5-11, per notizie su Ignazio di Antiochia si rimanda a P. Nautin, Ignazio d'Antiochia, in Dizionario Patristico e di Antichità Cristiane II, Casale Monferrato 1984, colI. 1743-1745.

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dove la tradizione vuole sia stato primo Vescovo Pietro. La tradizione viene ripresa dal suo illustre concittadino e successore nella cattedra Episcopale Antiochena, Giovanni Crisostomo38; Eusebio di Cesarea, descrivendo la vita delle Chiese al tempo dell’imperatore Traiano, ci dice che Ignazio è il secondo Vescovo di Antiochia39. Nel corso della persecuzione di Traiano (98-117) Ignazio venne condannato a essere finito dalle bestie e condotto a Roma: «Dalla Siria sino a Roma combatto con le fiere, per terra e per mare, di notte e di giorno, legato a dieci leopardi, il manipolo dei soldati. Beneficati diventano peggiori. Per le loro malvagità mi alleno di più “ma non per questo sono giustificato”»40.

Durante il viaggio per raggiungere il patibolo ebbe modo di incontrare rappresentanti delle varie chiese e ciò genera il prezioso dono di fede scritta che è giunto fino a noi41. Giunge a Roma dove sarà finito dalle belve, intorno al 110, il suo martirio42

Sono frumento di Dio e sarò macinato dai denti delle fiere per divenire pane puro di Cristo. Supplicate Cristo per me, perché per opera di queste belve io divenga ostia per il Signore (Romani).

38 Giovanni Crisostomo, Homilia in S. Martyrem Ignatium, PG 50, 596. 39 Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica/1, Città Nuova Roma 2001, p. 164 e pp. 183-186. 40 Ign., Lettera ai Romani V,1. 41 Storia ecclesiastica, III, 22. 42 Ignazio, Vescovo di Antiochia, santo, martire, i suoi resti sono, unitamente a quelli di S. Clemente I, nell’urna posta sotto l’altare maggiore di S. Clemente Papa al Laterano. Dato in pasto alle fiere nel 107, le ossa furono raccolte dai fedeli che le trasportarono da Roma ad Antiochia. Qui Teodosio II (408-450) gli dedicò il tempio già della Fortuna. Con l’occupazione della città nel 637 da parte dei Saraceni, le reliquie furono riportate a Roma e deposte a S. Clemente. In seguito furono distribuite in varie chiese tra le quali S. Maria del Popolo e il SS. Nome di Gesù. In quest’ultima veniva indicata fino al secolo scorso la reliquia della testa. M.R.: 1 febbraio - Sant'Ignazio, Vescovo di Antiochia e Martire, il quale subì gloriosamente il martirio il 20 Dicembre nella persecuzione di Traiano, fu condannato alle fiere, e spedito legato a Roma, dove alla presenza del Senato, prima fu afflitto con crudelissimi supplizi, poi fu gettato in pasto ai leoni, da cui denti sbranato, divenne ostia di Cristo. La sua festa si celebra il primo febbraio. Il 17 dicembre la Traslazione di sant'Ignazio, Vescovo e Martire, il quale fu il terzo che, dopo il beato Pietro Apostolo, governò la chiesa di Antiochia. Il suo corpo da Roma fu trasportato ad Antiochia, ed ivi riposto nel cimitero della chiesa, fuori della porta Dafnitica; in quella occasione san Giovanni Crisostomo fece un discorso al popolo. In seguito le sue reliquie furono di nuovo trasportate a Roma, e con somma venerazione riposte nella chiesa di san Clemente, insieme al corpo di Clemente, vd Placido Lugano, Le Sacre Stazioni Romane, Libreria Editrice Vaticana 1960.

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Ignazio viene annoverato, nella letteratura Cristiana, tra i Padri apostolici43 o subapostolici44, e in tanti indicano in quest’autore l’orchestratore e il testimone della svolta autoritaria della Chiesa antica che uscendo dal modello ‘carismatico’ si avvia ad avere nel Vescovo il suo centro.

Il corpus Ignaziano è ormai attestato a sette lettere ritenute autentiche, sono lettere di carattere occasionale45 e denunciano una situazione di conflitto nella Chiesa di Antiochia, alla quale egli collega la sua prigionia e il suo martirio; con la comparsa delle prime eresie, gli avversari di Ignazio sono probabilmente su posizioni che negano che Cristo provenga dalla stirpe di Davide46 che abbia patito sotto Ponzio Pilato e che quindi sia risorto, e si rifiutano di prendere l’eucarestia, negano l’autorità di Presbiteri, Diaconi e Vescovi; da ciò possiamo dedurre che le questioni non sono solo dottrinali ma gli avversari di Ignazio sono dei ‘carismatici’ e non accettano quel passaggio che porta al concentramento dell’autorità nella persona di un solo Episcopo. Questo è un processo che è andato maturando nelle antiche chiese e che ad Antiochia sta avvenendo con dolorose divisioni, oltre alla lotta con i fedeli giudaizzanti.

Da Smirne, dove è Vescovo Policarpo, scrive la Lettera agli Efesini, il cui Vescovo è Onesimo, e alla Chiesa di Magnesia sul Meandro, nella quale epistola ricorda il Vescovo Dima, ancora alla Chiesa di Tralle presieduta dal Vescovo Polibio del quale riceve la

43 Gli scrittori Cristiani del I secolo e dell’inizio del II, il cui insegnamento è quasi l’eco diretta della predicazione degli apostoli (sia che li abbiano conosciuti personalmente, sia che abbiano ascoltato i loro discepoli). Con questa denominazione “Padri apostolici” si è soliti raggruppare questi scrittori: Barnaba, Clemente Romano, Ignazio d’Antiochia, Policarpo di Smirne, Erma, Pàpia di Gerapoli, l’autore della Lettera a Diogneto, la Didachè. Gli scritti dei Padri apostolici hanno un carattere pastorale, il loro contenuto, come lo stile, li accosta ai libri del Nuovo Testamento, specialmente alle epistole. Sono opere di congiunzione tra l’epoca della rivelazione e quella della tradizione, appartengono a regioni diverse dell’Impero romano: Asia minore, Siria, Roma. Sono scritti dettati da circostanze particolari, anche se possiamo rilevare tratti comuni di pensiero: il carattere escatologico e l’attesa per la imminente venuta di Cristo (parusia); il ricordo ancora vivo della persona di Cristo, una dottrina Cristologia uniforme introno al concetto di “logos”. 44 C. Moreschini-E. Norelli, Storia della Letteratura Cristiana antica greca e latina, vol. I, Da Paolo all’età costantiniana, Morcelliana, Brescia 1995. 45 C. Moreschini-E. Norelli, Manuale di Letteratura Cristiana antica greca e latina, Morcelliana, Brescia 1995, pp. 51-53. 46 Efesini XX.

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benevolenza47; poi scongiura i fedeli di Roma di non intercedere per scamparlo al martirio rivendicando al ‘Vescovo di Siria’ di poter tramontare per il Signore48. Dopo aver lasciato Smirne giunge nella Troade da dove invia una lettera alla Chiesa di Filadelfia49 e a quella di Smirne nella lettera agli Smirnesi50 dove è centrale la natura umana reale di Cristo, questa Chiesa è presieduta da Policarpo cui affida l’amato gregge di Antiochia.

Antiochia è città abituata ai primati: vi ha predicato Paolo, da lì parte il vangelo per il suo viaggio fino a Roma ci sono cinque profeti e dottori: «Barnaba, Simeone soprannominato Niger, Lucio di Cirene, Manaèn, compagno d’infanzia di Erode il tetrarca e Saulo…»51. Ad Antiochia i fedeli di Cristo sono per la prima volta chiamati Cristiani52 e Ignazio è anche il primo a chiamare la Chiesa «cattolica» ed egli stesso ci suggerisce un nesso di necessarietà, ci vuole un Vescovo perché la chiesa sia ‘tutti’: «Dove compare il Vescovo, là sia la comunità, come là dove c’è Gesù Cristo ivi è la Chiesa cattolica»53.

La Chiesa di Antiochia, eppure, appena nata sembra già ben strutturata con uomini e funzioni ben designate, costituita di spirito e istituzione54 si può già parlare della presenza di un «collegio Presbiterale, l’idea di questa struttura compatta traspare anche dalle parole di Ignazio che assieme al Vescovo richiama tutti ad onorare i

47 So che avete un animo irreprensibile e imperturbabile nella pazienza non per abitudine ma per natura. Me lo ha detto il vostro Vescovo Polibio, che per volontà di Dio e di Gesù Cristo è venuto a Smirne ed ha gioito tanto con me incatenato in Gesù Cristo, che io vedo in lui tutta la vostra comunità. 2. Avendo dunque ricevuto per mezzo suo la benevolenza nel Signore, l'ho glorificato, avendo constatato, come sapevo, che siete imitatori di Dio (Tralliani I, 1). 48 Non procuratemi di più che essere immolato a Dio, sino a quando è pronto l'altare, per cantare uniti in coro nella carità al Padre in Gesù Cristo, poiché Iddio si è degnato che il Vescovo di Siria, si sia trovato qui facendolo venire dall'oriente all'occidente. È bello tramontare al mondo per il Signore e risorgere in lui (Romani I, 2). 49 So che il Vescovo ha conseguito il ministero per servire la comunità non per sé, per gli uomini e per vanagloria, ma nell'amore di Dio Padre e del Signore Gesù Cristo. Di lui mi ha colpito l'equità; il suo silenzio ha più forza di quelli che dicono cose vane. Egli è armonizzato ai comandamenti, come la cetra alle corde. Perciò la mia anima beatifica lo spirito di lui rivolto a Dio conoscendo che è virtuoso e perfetto, la sua costanza e la sua calma in tutta la bontà del Dio vivente (Filadelfesi I, 1). 50 Saluto il Vescovo degno di Dio, il venerabile presbiterato, i diaconi miei conservi e, uno ad uno, tutti insieme nel nome di Gesù Cristo, nella sua carne e nel suo sangue, nella passione e nella resurrezione corporale e spirituale, in unione a Dio e a voi. A voi la grazia, la misericordia, la pace e la pazienza per sempre (Smirnesi XII, 1) 51 Atti 13, 1-2. 52 Atti 11, 26. 53 Ign., Lettera ai Smirnesi VIII, 2 54 Vedi G. Marchesi, Il Vangelo da Gerusalemme a Roma, Bur Milano 1991, pp. 187ss.

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Presbiteri e i Diaconi: «Come Gesù Cristo segue il Padre, seguite tutti il Vescovo e i Presbiteri come gli apostoli; venerate i Diaconi come la legge di Dio. Nessuno senza il Vescovo faccia qualche cosa che concerne la Chiesa. Sia ritenuta valida l’eucaristia che si fa dal Vescovo o da chi è da lui delegato» (Smirnesi VIII, 1)

Le lettere di Ignazio di Antiochia hanno come fulcro l’unità della Chiesa intorno al Vescovo ed egli fonda teologicamente il suo primato: come un solo Dio, così un solo Vescovo, immagine del Padre, che sta al posto di Dio.

Il Vescovo corrisponde a Dio, i Presbiteri agli apostoli, i Diaconi svolgono il servizio di Gesù Cristo; altro tema fondante è la Cristologia incentrata ancora sull’unità del realmente divino e del realmente umano incentrata sull’incarnazione e al carattere unico della nascita di Gesù da Maria Vergine, solo così ci può essere salvezza per l’uomo nella resurrezione con il Cristo di cui è premessa la carne di Cristo resuscitata nella Eucarestia. Ignazio è anche un mistico ed è per lui centrale la funzione del martirio nella splendida perorazione che ne fa nella Lettera ai Romani.

I suoi scritti testimoniano la presenza di un unico Vescovo, come guida della comunità55. Si tratta dunque di un Episcopato monarchico56 che pian piano sta prendendo forma; il modello ‘monarchico’ di organizzazione ecclesiastica patrocinato da Ignazio in una qualche maniera può esser derivato dall’organizzazione delle comunità giudaiche di Antiochia. Sappiamo, infatti, che proprio in queste comunità un collegio di anziani era presieduto da un

55 Vedi Ign., Lettera ai Agli Efesini 3, 2. 56 Nel secondo secolo assistiamo inoltre al tentativo delle principali comunità Cristiane di collegare la loro origine alla predicazione di un apostolo. In realtà il Vescovo voleva esibire una linea di successione Episcopale che avrebbe dovuto collegarlo direttamente, anche se attraverso vari anelli, ad uno dei seguaci più intimi di Gesù. Questo processo di precisazione del ruolo del Vescovo si accentuerà ulteriormente nel secolo seguente e troverà giustificazione ed alimento dal diffondersi di varie interpretazioni del messaggio Cristiano, le ‘eresie’, contro le quali bisognava far ascoltare una voce autorevole che fungesse da istanza ultima. Il ruolo del Vescovo e della catena dei suoi successori era comunque quello di documentare il più possibile l’originale insegnamento apostolico, normativo in quanto derivante da Gesù. Pertanto, l’autorità Episcopale derivava dalla capacità del Vescovo di attingere fedelmente alla fonte originaria dell’insegnamento evangelico e non da un’autonoma potestà di legiferare e di promulgare dottrine.

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archon57, appaiono più tardi, invece, i riferimenti epigrafici alla stessa carica sempre in ambito antiocheno: sull’iscrizione musiva del pavimento della sinagoga di Apamea (fine sec. IV). L’insistenza con la quale Ignazio promuove il modello monarchico dell’Episcopato costituisce, una avvisaglia delle difficoltà che esso aveva ad affermarsi. Quindi, facilmente, l’area siriaca non era già allora tutta allineata a questa direttiva di gestione ecclesiastica.

L’accanimento di Ignazio si potrebbe forse meglio intendere alla luce delle persistenze di quel Cristianesimo carismatico che lo stesso periodo nell’ambito siriaco si conosce grazie alla Didachè; anche se la forza che mette Ignazio di Antiochia è nell’affermarsi piuttosto che come attestazione di un fatto compiuto.58

Da questi scritti si deduce che l’ambiente ecclesiale ha un suo ordine stabilito da Dio e all’interno del quale ogni membro ha una propria collocazione fissa e che i responsabili non operano esclusivamente in senso organizzativo fine a sé stesso, cioè per il benessere della comunità, ma agiscono avendo di mira l’essere della comunità, poiché il valore delle loro funzioni illustrate nelle lettere di S. Ignazio si basa su riferimenti teologici e Cristologici; in forza di tutto ciò i capi delle comunità venivano considerati dai fratelli non come mere guide, ma come autorità “spirituali”59.

Progressivamente si concentrano nella stessa persona i ministeri apostolico ed Episcopale. Si configura il triplice grado del ministero ecclesiastico: Vescovo, Presbitero, Diacono. Nei documenti del terzo secolo viene significativamente riconosciuto al Vescovo “lo spirito che guida e regge”, che lo differenzia dal Presbitero e dal Diacono60. Il Vescovo è considerato il centro visibile dell’unità della Chiesa61. È eletto dalla comunità ecclesiale, mentre la 57 Flavio Giuseppe, Guerra giudaica 7,47. 58 Sulla diaspora giudaica nella Siria cfr. E. Schürer, Storia del popolo giudaico al tempo di Gesù Cristo, trad. it., III 1, Bre 1997, 45-50. 59 Ign., Lettera ai Ai Magn. 6,1; Ign., Lettera ai Ai Trall. 3,1; Agli Ef 4,1. 60 Vedi la Tradizione di Ippolito 61 Vedi Cipriano, le lettere e l'Unità della Chiesa Cattolica.

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consacrazione (aspetto sacramentale) è di competenza dei Vescovi, appartenenti alla stessa provincia ecclesiastica. I due momenti sono indissociabili.

Il Vescovo è un uomo della Chiesa, che appartiene alla comunità, che conosce la sua comunità volto per volto. Nel periodo dell’affermarsi della figura del Vescovo e dell’effettivo controllo istituzionale su comunità e gruppi di Cristiani che facevano percorsi sostanzialmente indipendenti l’uno dall’altro, un processo di unità che però causa delle fratture e delle crisi, un processo di unità che Ignazio paga con il martirio.

Sant’Ignazio, nelle lettere presenta le figure dei responsabili come “tipi” di Dio o di Cristo e su questa visione fonda la necessità di una adesione indiscussa del popolo ad essi, e in apparenza sembra prospettare, di conseguenza, «una collocazione dei ‘laici’ in un rango inferiore rispetto ai responsabili della comunità»

Il centro della sua opera è l’unità della Chiesa, stretta attorno al suo Vescovo; Ignazio ne fonda il primato su uno schema teologico: un solo Dio, immagine del Padre, e un solo Vescovo che è immagine del Padre: Similmente tutti rispettino i Diaconi come Gesù Cristo, come anche il Vescovo che è l’immagine del Padre, i Presbiteri come il sinedrio di Dio e come il collegio degli apostoli. Senza di loro non c’è Chiesa. (Tralliani III, 1)

Il Vescovo che sta al posto di Dio: Poiché nelle persone nominate sopra ho visto e amato tutta la comunità vi prego di essere solleciti a compiere ogni cosa nella concordia di Dio e dei Presbiteri. Con la guida del Vescovo al posto di Dio, e dei Presbiteri al posto del collegio apostolico e dei Diaconi a me carissimi che svolgono il servizio di Gesù Cristo che prima dei secoli era presso il Padre e alla fine si è rivelato (Magnesi VI, 1)

Bisogna, quindi, guardare al Vescovo e sottomettersi a lui come a Gesù Cristo: Quanto più uno vede che il Vescovo tace, tanto più lo

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rispetta. Chiunque il padrone di casa abbia mandato per l’amministrazione della casa bisogna che lo riceviamo come colui che l’ha mandato. Occorre dunque onorare il Vescovo come il Signore stesso. Proprio Onesimo loda il vostro ordine in Dio, perché tutti vivete secondo la verità e non si annida eresia alcuna in voi (Efesini VI, 1)

Ignazio è un mistico innamorato della Chiesa, Cabasilas lo cita chiamandolo «il divino Ignazio: in me c’è un’acqua viva e che parla»62 e dice ancora che il Vescovo deve fare in modo che la sua pietà sia fondata sulla roccia; il Vescovo, inoltre, deve essere evangelicamente prudente come un serpente e puro come colomba, starà fermo sotto i ‘colpi’ e come il grande atleta incasserà i colpi e vincerà, il legame con il Vescovo è un suggerimento che viene direttamente da Dio, quindi non abbiamo bisogno di doni particolari, perché la ‘profezia’ è lo stesso Vescovo: Se alcuni hanno voluto ingannarmi secondo la carne, lo spirito, invece, che viene da Dio non è stato ingannato. Egli sa donde viene e dove va e rivela i segreti. Quando ero in mezzo a voi gridai e a voce alta, con la voce di Dio: state uniti al Vescovo, ai Presbiteri e ai Diaconi. Quanto a quelli che hanno sospettato che io gridai prevedendo lo scisma di alcuni, mi sia testimone colui per il quale sono incatenato che non ne ebbi notizia da carne di uomo. Fu lo spirito che me lo annunziò dicendo: non fate nulla senza il Vescovo, custodite la vostra carne come tempio di Dio, amate l’unità, fuggite le faziosità, siate imitatori di Gesù Cristo come egli lo è del Padre suo (Filadelfi).

Il Vescovo è, evangelicamente, prudente come un serpente e semplice come una colomba, lui, per primo, deve seguire i consigli evangelici: Se ami i discepoli buoni, non hai merito; piuttosto devi vincere con la bontà i più riottosi. Non si cura ogni ferita con uno stesso impiastro. Calma le esacerbazioni (della malattia) con

62 Nicola Cabasilas, La vita in Cristo, Città Nuova, Roma 1994, p. 63.

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bevande infuse. In ogni cosa sii prudente come un serpente e semplice come la colomba. Per questo sei di carne e di spirito, perché tratti con amabilità quanto appare al tuo sguardo; per ciò che è invisibile prega che ti sia rivelato, perché non manchi di nulla e abbondi di ogni grazia. Il tempo presente esige che tu tenda a Dio, come i naviganti invocano i venti e coloro che sono sbattuti dalla tempesta il porto. Come atleta di Dio sii sobrio; il premio è l’immortalità, la vita eterna in cui tu credi. In tutto sono per te una ricompensa io e le mie catene che tu hai amate (Policarpo II, 1).

La sua pietà è fondata sulla roccia e non può venir meno, la carità del servizio e la rettitudine sono le armi proprie del Vescovo in funzione dell’unità, e poi ancora la sopportazione dei fratelli nella certezza della misericordia di dio di quale è fatto oggetto lo stesso Vescovo: Lodo la tua pietà in Dio, fondata su una roccia incrollabile, e rendo la massima gloria (al Signore), perché sono stato fatto degno del tuo volto irreprensibile. Potessi goderne in Dio. Ti esorto nella carità che hai a proseguire nel tuo cammino e ad incitare tutti a salvarsi.

Dimostra la rettitudine del tuo posto con ogni cura nella carne e nello spirito. Preoccupati dell’unità di cui nulla è più bello. Sopporta tutti, come il Signore sopporta anche te; sostieni tutti nella carità, come già fai. Cura le preghiere che non si interrompano; chiedi una saggezza maggiore di quella che hai; veglia possedendo uno spirito insonne. Parla a ciascuno nel modo conforme a Dio. Sostieni come perfetto atleta le infermità di tutti. Dove maggiore è la fatica, più è il guadagno (Policarpo I, 1, 2, 3).

Il Vescovo viene lodato come colui che ‘porta’ in sé tutta la comunità ed è di indicibile carità: In nome di Dio ho ricevuto la vostra comunità nella persona di Onesimo, di indicibile carità, vostro Vescovo nella carne. Vi prego di amarlo in Gesù Cristo e di rassomigliargli tutti. Sia benedetto chi vi ha fatto la grazia, e ne site degni, di meritare un tale Vescovo (Efesini I).

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La visuale di Ignazio non è irenica ma sanamente, ‘antiochenamente’ realista; egli stesso ha vissuto il conflitto la divisione, il suo Vescovo non avrà vita serena, sarà preda dei colpi terribili degli ipocriti e ancora Ignazio ricorda al Vescovo che anche lui è sopportato e quindi è necessario che sopporti tutti: Ti esorto nella carità che hai a proseguire nel tuo cammino e ad incitare tutti a salvarsi. Dimostra la rettitudine del tuo posto con ogni cura nella carne e nello spirito. Preoccupati dell’unità di cui nulla è più bello. Sopporta tutti, come il Signore sopporta anche te; sostieni tutti nella carità, come già fai. Cura le preghiere che non si interrompano; chiedi una saggezza maggiore di quella che hai; veglia possedendo uno spirito insonne. Parla a ciascuno nel modo conforme a Dio. Sostieni come perfetto atleta le infermità di tutti. Dove maggiore è la fatica, più è il guadagno (Policarpo I, 1).

Il suo Vescovo può subire ferite acerbe, può anche accadere che qualcuno non veda in lui il fratello che lotta strenuamente per la salvezza di tutti e di ciascuno, e quindi bisogna ricordare ai fedeli della Magnesia, ai fedeli, a noi, che anche le eventuali, occasionali debolezze del Vescovo sono un momento di gloria a Dio nell’amore vicendevole nella vicendevole unione a Cristo: Conviene che voi non abusiate dell’età63 del Vescovo, ma per la potenza di Dio Padre gli tributiate ogni riverenza. In realtà ho saputo che i vostri santi Presbiteri non hanno abusato della giovinezza evidente di lui, ma saggi in Dio sono sottomessi a lui, non a lui, ma al Padre di Gesù Cristo che è il Vescovo di tutti (Magnesi III, 1).

Per il rispetto di chi ci ha voluto bisogna obbedire senza ipocrisia alcuna, poiché non si inganna il Vescovo visibile, bensì si mentisce a quello invisibile. Non si parla della carne, ma di Dio che conosce le cose invisibili (Magnesi III, 2).

Il Vescovo è colui che non vacilla, non si lascia vincere dalla violenza, dall’insipienza, e c’è la promessa del riconoscimento di Dio nel riconoscimento della verità nella paternità, nella comune 63 Si tratta di un topos paolino ripreso anche da altri autori Cfr. 1 Tim. 4, 12; 1 Tim. 3, 5-6.

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figliolanza, Ignazio ci ricorda e conforta: È saggio del resto ritornare in senno, e sino a quando abbiamo tempo di convertirci a Dio. È bello riconoscere Dio e il Vescovo. Chi onora il Vescovo viene onorato da Dio. Chi compie qualche cosa di nascosto dal Vescovo serve il diavolo. Fate tutto nella carità, ne siete degni. In tutto avete confortato me e Gesù Cristo (conforta) voi. Assente e presente mi avete amato. Vi contraccambi Dio che raggiungerete sopportando tutto per lui (Smirnesi IX, 1).

Il Vescovo che ci racconta Ignazio non indietreggia, non vacilla, torna qui la metafora paolina della lotta, dell’atleta che vince quando ha imparato a non traballare sotto i colpi: Non ti abbattano coloro che sembrano degni di fede e insegnano l’errore. Sta fermo come l’incudine sotto i colpi. È proprio del grande atleta incassare i colpi e vincere. Dobbiamo sopportare ogni cosa per amore di Dio, perché anche lui ci sopporti. (Policarpo III, 1).

Ignazio incalza, ricorda al Vescovo l’abc della fede, lo incita a leggere, i ‘segni dei tempi’ e la guida paziente, ma di Dio: Sii più zelante di quello che sei. Discerni i tempi. Aspetta chi è al di sopra del tempo, atemporale, invisibile, per noi (fattosi) visibile, impalpabile, impassibile, per noi (divenuto) passibile, e sopportò ogni cosa (Policarpo III, 2).

Ignazio, il condannato, trova spazio per le avvertenze quotidiane, familiari, personali le indicazioni pastorali che sembrano provenire dall’Incontro delle famiglie; questo Vescovo non ha ‘grandi progetti’ non è fatto per ‘segnare i secoli’. Ignazio gli raccomanda di tenere i ‘suoi’, quelli che gli sono stati affidati, nel guscio della sua mano: Fuggi i mestieri vietati e di più predica contro di essi. Raccomanda alle mie sorelle di amare il Signore e di sostenere i mariti nella carne e nello spirito. Così esorta anche i miei fratelli, nel nome di Gesù Cristo, ad amare le spose come il Signore la Chiesa. Se qualcuno può rimanere nella castità a gloria della carne

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del Signore, vi rimanga con umiltà. Se se ne vanta è perduto, e se si ritiene più del Vescovo si è distrutto. Conviene agli sposi e alle spose di stringere l’unione con il consenso del Vescovo, perché le loro nozze avvengano secondo il Signore e non secondo la concupiscenza. Ogni cosa si faccia per l’onore di Dio (Policarpo V, 1).

Li tiene in mano li protegge fa si che non abbiano a temere, a patire di nulla, gli ultimi i più bisognevoli sono i primi ad essere nomati biblicamente, la ‘povera’ per eccellenza, la vedova, ‘colei che non ha’ e ancora il Vescovo che si fa carico dei compiti delle meraviglie di dio, è l’avere di chi non ha, tutto vede e sorveglia perché sia compiuto il bene, la carità è inscindibile dall’essere del Vescovo come già ricorda Il Pastore di Erma64 più che una delle qualità è essenza, infatti l’impulso alla carità vigile precede il richiamo alla altezza del compito: Non siano trascurate le vedove65; dopo il Signore sei tu la loro guida. Nulla avvenga senza il tuo parere e tu nulla fare senza Dio, come già fai. Sii forte. Le adunanze siano molto frequenti. Invita tutti per nome. Non disprezzare gli schiavi e le schiave; ma essi non si gonfino, e si sottomettano di più per la gloria di Dio, perché ottengano da lui una libertà migliore. Non cerchino di farsi liberare dalla comunità per non essere schiavi del desiderio (Policarpo IV, 1, 2, 3).

Ma perché tutto questo accada i fedeli devono essere legati, prossimi, sottomessi al Vescovo e ai Presbiteri: Cercate di tenervi ben saldi nei precetti del Signore e degli apostoli perché vi riesca bene tutto quanto fate nella carne e nello spirito, nella fede e nella carità, nel Figlio, nel Padre e nello Spirito, al principio e alla fine, con il vostro Vescovo che è tanto degno e con la preziosa corona

64 "I credenti del decimo monte, dove c'erano alberi che facevano ombra alle pecore, sono 2. i Vescovi e persone ospitali che sempre volentieri ricevettero nelle loro case i servi di Dio, senza ipocrisia. I Vescovi con il loro ministero protessero continuamente i bisognosi e le vedove, diportandosi sempre con purezza. 3. Questi sono tutti eternamente protetti dal Signore. Quelli che ciò operarono sono gloriosi presso il Signore. Il loro posto è già con gli angeli, se nel servire il Signore persistono sino alla fine". 65 I Tim. 5, 16.

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spirituale dei vostri Presbiteri e dei Diaconi secondo Dio (Magnesi XIII, 1)

Quanti sono di Dio e di Gesù Cristo, tanti sono con il Vescovo (Filadelfesi III) Per Burro mio conservo e secondo Dio vostro Diacono, benedetto in ogni cosa, prego che resti ad onore vostro e del Vescovo. Anche Croco, degno di Dio e di voi, che io ho ricevuto quale vostro modello di carità, mi è di conforto in ogni cosa. Così il Padre di Gesù Cristo lo conforti con Onesimo, Burro, Euplo e Frontone; in loro ho visto tutti voi secondo la carità. Possa io trovare gioia in voi per ogni cosa ed esserne degno! Bisogna glorificare in ogni modo Gesù Cristo che ha glorificato voi, perché riuniti in una stessa obbedienza e sottomessi al Vescovo e ai Presbiteri siate santificati in ogni cosa (Efesini II, 2).

Siate sottomessi al Vescovo e gli uni agli altri, come Gesù Cristo al Padre, nella carne, e gli apostoli a Cristo e al Padre e allo Spirito, affinché l’unione sia carnale e spirituale (Magnesi XIII, 2).

Se in poco tempo ho avuto tanta familiarità con il vostro Vescovo, che non è umana, ma spirituale, di più vi stimo beati essendo uniti a lui come la Chiesa lo è a Gesù Cristo e Gesù Cristo al Padre perché tutte le cose siano concordi nell’unità. Nessuno s’inganni: chi non è presso l’altare, è privato del pane di Dio. Se la preghiera di uno o di due ha tanta forza, quanto più quella del Vescovo e di tutta la Chiesa! Chi non partecipa alla riunione è un orgoglioso e si è giudicato. Sta scritto:«Dio resiste agli orgogliosi». Stiamo attenti a non opporci al Vescovo per essere sottomessi a Dio (Efesini V).

Il Vescovo è il centro della sospirata amata cercata unità, il Vescovo è ‘segno’ dell’unità e l’unità è segno della Chiesa.

Se Gesù Cristo per la vostra preghiera mi renderà degno di grazia ed è la Sua volontà, vi spiegherò in un secondo scritto che ho in mente di stilare, l’accennata economia per l’uomo nuovo Gesù Cristo, che

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consiste nella sua fede, nella sua carità, nella sua passione e resurrezione. Soprattutto se il Signore mi rivelerà che ognuno e tutti insieme nella grazia che viene dal suo nome vi riunite in una sola fede e in Gesù Cristo del seme di David figlio dell’uomo e di Dio, per ubbidire al Vescovo e ai Presbiteri in una concordia stabile spezzando l’unico pane che è rimedio di immortalità, antidoto per non morire, ma per vivere sempre in Gesù Cristo (Efesini XX).

Se siete sottomessi al Vescovo come a Gesù Cristo dimostrate che non vivete secondo l’uomo ma secondo Gesù Cristo, morto per noi perché credendo alla sua morte sfuggiate alla morte. È necessario, come già fate, non operare nulla senza il Vescovo, ma sottomettervi anche ai Presbiteri come agli apostoli di Gesù Cristo speranza nostra, e in lui vivendo ci ritroveremo. Bisogna che quelli che sono i Diaconi dei misteri di Gesù Cristo siano in ogni maniera accetti a tutti. Non sono Diaconi di cibi e di bevande, ma servitori della Chiesa di Dio. Occorre che essi si guardino dalle accuse come dal fuoco (Tralliani II, 1).

E i fedeli laici? Che poi soni i destinatari di tutta l’opera ignaziana, l’opera della salvezza, la divina economia salvifica. I laici, per Ignazio, sono per eccellenza ‘cattolici’, cioè Cristiani «secondo il tutto», che vivono la loro fede e il loro amore nella totalità di vita”. Tutto ciò implica l’appello alla reciprocità, poiché Ignazio spiega che nella Chiesa non vi può essere vero amore se non vi è rispetto e reciprocità: «Tutti dunque… rispettatevi a vicenda, in Cristo Gesù a vicenda amatevi sempre» (Ai Magn 6, 2). Nel corso della Lettera egli riprende poi il concetto affermando: «Siate sottomessi al Vescovo e a vicenda» (Ai Magn 13, 2). La sottomissione, secondo Ignazio non è a senso unico, soltanto nei confronti del Vescovo, ma, è reciproca e si estende a tutti i membri della comunità. Nella Lettera ai Tralliani viene ribadita questa affermazione: «Per mezzo di essa [la croce], egli [Gesù Cristo], nella sua passione, chiama a sé voi che siete membra sue. Non è dunque possibile che il capo sia

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generato separatamente, senza le membra dal momento che Dio promette unità, che è egli stesso» (Ai Tralliani 11, 2)

In questo testo che sembra esprimere “l’assioma ecclesiologico” proprio del pensiero Ignaziano, il Vescovo vuole esprimere l’identica e fondamentale uguaglianza di tutti i Cristiani come “membra”, formanti un unico corpo: Dove compare il Vescovo, là sia la comunità, come là dove c’è Gesù Cristo ivi è la Chiesa cattolica. Senza il Vescovo non è lecito né battezzare né fare l’agape; quello che egli approva è gradito a Dio, perché tutto ciò che si fa sia legittimo e sicuro (Smirnesi VIII, 2)

È altresì richiesta la vicendevole comprensione e il rispetto continuo come anche già la didachè ammonisce al capitolo 15: « Eleggetevi quindi Episcopi e Diaconi degni del Signore, uomini miti, disinteressati, veraci e sicuri; infatti anch'essi compiono per voi lo stesso ministero dei profeti e dei dottori. Perciò non guardateli con superbia, perché essi, insieme ai profeti e ai dottori, sono tra voi ragguardevoli. Correggetevi a vicenda, non nell'ira ma nella pace, come avete nel Vangelo.

A chiunque abbia offeso il prossimo nessuno parli: non abbia ad ascoltare neppure una parola da voi finché non si sia ravveduto»

Ignazio prega che: Tutti avendo una eguale condotta rispettatevi l’un l’altro. Nessuno guardi il prossimo secondo la carne, ma in Gesù Cristo amatevi sempre a vicenda. Nulla sia tra voi che vi possa dividere, ma unitevi al Vescovo e ai capi nel segno e nella dimostrazione della incorruttibilità (Magnesi III, 2).

Sapendo poi dotati di iniziativa avverte i Christifideles laici: Come il Signore nulla fece senza il Padre col quale è uno, né da solo né con gli apostoli, così voi nulla fate senza il Vescovo e i Presbiteri. Né cercate che appaia lodevole qualche cosa per parte vostra, ma

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solo per la cosa stessa: una sola preghiera, una sola supplica, una sola mente, una sola speranza nella carità, nella gioia purissima che è Gesù Cristo, del quale nulla è meglio. Accorrete tutti come all’unico tempio di Dio, intorno all’unico altare che è l’unico Gesù Cristo che procedendo dall’unico Padre è ritornato a lui unito (Magnesi VII, 1).

E alla grande scoperta della Chiesa post-conciliare il segno dei tempi per eccellenza, il segno di cieli e terra nuova: la coerenza.

Bisogna non solo chiamarsi Cristiani, ma esserlo; alcuni parlano sempre del Vescovo ma poi agiscono senza di lui. Questi non sembrano essere onesti perché si riuniscono non validamente contro il precetto (Magnesi IV, 1).

Il concilio Vaticano II, «scavalcando quasi due millenni di storia», elaborando la teologia del ministero si riferirà con precipuo interesse al pensiero di Ignazio66, che, paradossalmente, già nel II secolo ha indicato, anche se in maniera semplice, e qualcuno aggiunge, ‘un po’ primitiva’, il tracciato di fondo da seguire per impostare il nostro problema.

È da lui che riceviamo la prima testimonianza del principio secondo il quale non si celebra l’eucaristia senza il Vescovo. La ragione di questa norma è che il Vescovo è il garante dell’autenticità della fede e che sull’autenticità della fede si fonda l’unità della Chiesa, per cui l’eucaristia, che è la più alta realizzazione della sua unità, non si può celebrare senza il Vescovo. Tutto quel particolare rapporto che lega il pastore alla sua comunità ha, quindi, il suo principio nel ministero della Parola.

66 S. Dianich, Ignazio di Antiochia nella dottrina sull’Episcopato del concilio Vaticano II, in A. Autiero - O. Carena (edd.), Pastor bonus in populo. Figura, ruolo e funzioni del Vescovo nella chiesa, Città Nuova, Roma 1990, 267-288.

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La preoccupazione di Ignazio è soprattutto quella della fedeltà alla testimonianza apostolica, che numerose sette di vario genere in questa fase originaria della Chiesa stavano minando, sia riproponendo improbabili ritorni alle osservanze giudaiche, sia dissolvendo nelle fantasie gnostiche la concreta figura umana di Gesù.

Se l’evangelizzazione dei non credenti, la predicazione della parola di Dio nella comunità, la catechesi e la cura della crescita dei membri della Chiesa nella fede costituiscono il carisma fondamentale e quindi il primo compito dei pastori della Chiesa, di fatto la loro attività si distende su di un ben più ampio arco di funzioni. Tutte però si snodano intorno all’annuncio della fede.

Da questa consapevolezza, come già si notava, Ignazio ricavava il principio che la comunità non poteva celebrare l’eucaristia se non unita a colui che le ha portato e le garantisce la testimonianza apostolica.

Ci si potrebbe rappresentare, con un po’ di immaginazione, il primo momento nel quale la comunità, volendo fare la cena del Signore, aveva bisogno di decidere chi avrebbe dovuto fare la parte di Gesù e avrebbe dovuto spezzare in persona Christi il pane per i fratelli.

Ebbene, in una tale circostanza, si sarebbe potuto decidere di designare per questo ruolo il più santo, il più colto o il più abile a riprodurre i gesti del Signore; si designerà invece, sulla base di un criterio sacramentale, colui che ha ricevuto l’imposizione delle mani, per nutrire e custodire la fede della comunità, a stare a capo della tavola e a fare la parte di Cristo spezzando il pane nella cena eucaristica.

La pratica liturgica che vede la stessa persona, nella celebrazione eucaristica, tenere l’omelia e poi consacrare il pane e il vino

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esplicita perfettamente la stretta connessione esistente nel ministero ordinato fra il compito della Parola e quello del sacramento67.

Nelle sue Lettere Ignazio di Antiochia, ci racconta il padre come Vescovo invisibile, cioè come Vescovo di tutti. Ma è anche recente, perché il concilio Vaticano II nella Lumen Gentium 28 chiama il Vescovo «il padre dei Presbiteri e di tutto il popolo di Dio». È la ri-scoperta della Chiesa come famiglia di Dio, che rende più eloquente l’immagine paterna del Vescovo, il ressourcement ha reso questo padre frumento immarcescibile e fecondo per la Chiesa.

Nelle Costituzioni Conciliari Dei Verbum68, Lumen Gentium69, si trovano 13 citazioni nelle note, e Lumen Gentium, 2870 riprende chiaramente l’idea del Vescovo padre e la comunità che è immagine del Vescovo e viceversa71; la Sacrosanctum Concilium, che, in

67 Se l’evangelizzazione dei non credenti, la predicazione della parola di Dio nella comunità, la catechesi e la cura della crescita dei membri della chiesa nella fede costituiscono il carisma fondamentale e quindi il primo compito dei pastori della chiesa, di fatto la loro attività si distende su di un ben più ampio arco di funzioni. Tutte però si snodano intorno all’annuncio della fede. Da questa consapevolezza, come già si notava, Ignazio ricavava il principio che la comunità non poteva celebrare l’eucaristia se non unita a colui che le ha portato e le garantisce la testimonianza apostolica. Ci si potrebbe rappresentare, con un po’ di immaginazione, il primo momento nel quale la comunità, volendo fare la cena del Signore, aveva bisogno di decidere chi avrebbe dovuto fare la parte di Gesù e avrebbe dovuto spezzare in persona Christi il pane per i fratelli. Ebbene, in una tale circostanza, si sarebbe potuto decidere di designare per questo ruolo il più santo, il più colto o il più abile a riprodurre i gesti del Signore; si designerà invece, sulla base di un criterio sacramentale, colui che ha ricevuto l’imposizione delle mani, per nutrire e custodire la fede della comunità, a stare a capo della tavola e a fare la parte di Cristo spezzando il pane nella cena eucaristica. La pratica liturgica che vede la stessa persona, nella celebrazione eucaristica, tenere l’omelia e poi consacrare il pane e il vino esplicita perfettamente la stretta connessione esistente nel ministero ordinato fra il compito della Parola e quello del sacramento, S. Dianich, Il compito essenziale del ministero ordinato nel popolo di Dio, in «Credere Oggi» 133(2003) pp. 56-63. 68 Paolo Vescovo servo dei servi di dio unitamente ai padri del Sacro Concilio a perpetua memoria Costituzione dogmatica sulla divina rivelazione Dei Verbum 18 novembre 1965 69 Paolo Vescovo servo dei servi di Dio unitamente ai Padri del sacro concilio a perpetua memoria costituzione dogmatica sulla chiesa Lumen gentium 21 novembre 1964 70 I sacerdoti e i loro rapporti con Cristo, con i Vescovi, con i confratelli e con il popolo Cristiano. 28. Cristo, santificato e mandato nel mondo dal Padre (cfr. Gv 10,36), per mezzo degli apostoli ha reso partecipi della sua consacrazione e della sua missione i loro successori, cioè i Vescovi a loro volta i Vescovi [S. Ignazio M., Ad Ephes. 6, 1] hanno legittimamente affidato a vari membri della Chiesa, in vario grado, l'ufficio del loro ministero...] 71 «I sacerdoti, saggi collaboratori dell’ordine Episcopale e suo aiuto e strumento, chiamati a servire il popolo di Dio, costituiscono col loro Vescovo un solo presbiterio sebbene destinato a uffici diversi. Nelle singole comunità locali di fedeli rendono in certo modo presente il Vescovo, cui sono uniti con cuore confidente e generoso, ne assumono secondo il loro grado, gli uffici e la sollecitudine e li esercitano con dedizione quotidiana. Essi, sotto l’autorità del Vescovo, santificano e governano la porzione di gregge del Signore loro affidata, nella loro sede rendono visibile la Chiesa universale e portano un grande contributo all’edificazione di tutto il corpo mistico di Cristo (cfr. Ef 4,12). Sempre intenti al bene dei figli di Dio, devono mettere il loro zelo nel contribuire al lavoro pastorale di tutta la diocesi, anzi di tutta la Chiesa. In ragione di questa loro partecipazione nel sacerdozio e nel lavoro apostolico del Vescovo, i sacerdoti riconoscano in lui il loro padre e gli obbediscano con rispettoso amore. Il Vescovo, poi, consideri i sacerdoti, i suoi cooperatori, come figli e amici così come il Cristo chiama i suoi discepoli non servi, ma amici (cfr. Gv 15,15). Per

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ordine cronologico, è la prima costituzione conciliare, sono presenti solo 10 citazioni di testi patristici, di cui 8 sono contenute nel primo capitolo e 2 nel secondo. Tra gli autori Ignazio di Antiochia viene citato 4 volte72, Ci sono varie teorie circa l’uso delle citazioni patristiche ma resta il dato che Ignazio nei documenti del Concilio è il più citato dopo Agostino e Tommaso con le sue paginette.

In particolare la prima citazione di Ignazio, collocata al n. 5 della Sacrosanctum Concilium73, inserita cioè nel contesto del primo capitolo, dedicato ai principi generali della liturgia, nel quale viene delineato il rapporto che unisce Cristo, la Chiesa e la Liturgia.

Dio, il quale «vuole che tutti gli uomini si salvino e arrivino alla conoscenza della verità» (1 Tm 2,4), «dopo avere a più riprese e in più modi parlato un tempo ai padri per mezzo dei profeti» (Eb 1,1), quando venne la pienezza dei tempi, mandò il suo Figlio, Verbo fatto carne, unto dallo Spirito Santo, ad annunziare la buona novella ai poveri, a risanare i cuori affranti, «medico di carne e di spirito medicum carnalem et spiritualem»74 mediatore tra Dio e gli uomini. Infatti la sua umanità, nell’unità della persona del Verbo, fu strumento della nostra salvezza75.

La Orientale lumen II, 18: «Si fa in me ogni giorno più acuto il desiderio di ripercorrere la storia delle Chiese, per scrivere finalmente una storia della nostra unità, e riandare così al tempo in cui, all’indomani della morte e della risurrezione del Signore Gesù, il Vangelo si diffuse nelle culture più varie, ed ebbe inizio uno

ragione quindi dell’ordine e del ministero, tutti i sacerdoti sia diocesani che religiosi, sono associati al corpo Episcopale e, secondo la loro vocazione e grazia, servono al bene di tutta la Chiesa 72 Agostino (3 volte), Cipriano (2 volte) e Cirillo Alessandrino (1 volta), le citazioni si concentrano nei primi due capitoli. 73 SC, Principi generali per la riforma e la promozione della sacra liturgia i. Natura della sacra liturgia e sua importanza nella vita della Chiesa 5. Dio, il quale «vuole che tutti gli uomini si salvino e arrivino alla conoscenza della verità» (1 Tm 2,4), «dopo avere a più riprese e in più modi parlato un tempo ai padri per mezzo dei profeti» (Eb 1,1), quando venne la pienezza dei tempi, mandò il suo Figlio, Verbo fatto carne, unto dallo Spirito Santo, ad annunziare la buona novella ai poveri, a risanare i cuori affranti, «medico di carne e di spirito », (Ignazio d’Antiochia, Ad Eph. 7, 2; ) mediatore tra Dio e gli uomini [. Infatti la sua umanità, nell'unità della persona del Verbo, fu strumento della nostra salvezza. 74 Ignatius Antiochenus, Ad Eph. 7,2. 75 Sacrosanctum Concilium 5.

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scambio fecondissimo ancor oggi testimoniato dalle liturgie delle Chiese. Pur non mancando difficoltà e contrasti, le lettere degli Apostoli (cfr. 2Cor 9,11-14) e dei Padri76 […] mostrano legami strettissimi, fraterni, tra le Chiese, in una piena Comunione di fede nel rispetto delle specificità e delle identità».

Nei decreti: Presbyterorum ordinis77, la Mysterum fidei78: «…che l’Eucaristia è la carne del nostro Salvatore Gesù Cristo, che ha patito per i nostri peccati e che il Padre per sua benignità ha risuscitato»79, e al 76: Sono impresse nell’animo le parole del martire Ignazio, che ammonisce i fedeli di Filadelfia sul male delle deviazioni e degli scismi, per cui è rimedio l’Eucaristia: «Sforzatevi dunque,egli dice, di usufruire di una sola Eucaristia: perché una sola è la carne di Nostro Signore Gesù Cristo, e uno solo è il calice nella unità del suo sangue, uno l’altare, come uno è il Vescovo... »80.

Nel Catechismo della Chiesa Cattolica81, circa la verginità di Maria e la reale umanità del Cristo, al 49682 e al 498 «Sulla verginità di Maria Sant'Ignazio di Antiochia già testimonia tale legame: “Il principe di questo mondo ha ignorato la verginità di Maria e il suo 76 S. Clemente Romano, Lettera ai Corinti: Patres Apostolici, ed. F.X. Funk, I, 64-144; S. Ignazio d’Antiochia, Lettere, l.c., 172-252; S. Policarpo, Lettera ai Filippesi, I.c., 266-282 77 presbiteri ministri della santificazione con i sacramenti e l'eucaristia 5. Dio, il quale solo è santo e santificatore, ha voluto assumere degli uomini come soci e collaboratori, perché servano umilmente nell'opera di santificazione. Per questo i presbiteri sono consacrati da Dio, mediante il Vescovo, in modo che, resi partecipi in maniera speciale del sacerdozio di Cristo, nelle sacre celebrazioni agiscano come ministri di colui che ininterrottamente esercita la sua funzione sacerdotale in favore nostro nella liturgia, per mezzo del suo Spirito (35). Essi infatti, con il battesimo, introducono gli uomini nel popolo di Dio; con il sacramento della penitenza riconciliano i peccatori con Dio e con la Chiesa; con l'olio degli infermi alleviano le sofferenze degli ammalati; e soprattutto con la celebrazione della messa offrono sacramentalmente il sacrificio di Cristo. Ma ogni volta che celebrano uno di questi sacramenti i presbiteri - come già ai tempi della Chiesa primitiva attesta S. Ignazio martire (36) - sono gerarchicamente collegati sotto molti aspetti al Vescovo, e in tal modo lo rendono in un certo senso presente in ciascuna adunanza dei fedeli (37). 78 Lettera Enciclica di Sua Santità Paolo PP. VI Mysterium fidei sulla dottrina e il culto della ss. Eucaristia Lettera enciclica ai Venerabili Fratelli Patriarchi, Primati, ArciVescovi,Vescovi e agli altri Ordinari dei luoghi in pace e Comunione con la Sede Apostolica, e al clero e ai fedeli di tutto il mondo cattolico. Dato a Roma, presso San Pietro, nella festa di san Pio X il 3 settembre 1965 anno terzo del Nostro Pontificato 79 Smirnesi VII, 1. 80 Epistola ai Filadelfesi, 4. 81 Parte seconda, «la celebrazione del mistero Cristiano, Sezione seconda «I sette sacramenti della chiesa» Capitolo terzo, I sacramenti al servizio della Comunione 82 «I Voi siete fermamente persuasi riguardo a nostro Signore che è veramente della stirpe di Davide secondo la carne, [Cf Rm 1,3 ] Figlio di Dio secondo la volontà e la potenza di Dio, [Cf Gv 1,13 ] veramente nato da una Vergine, . . . veramente è stato inchiodato [alla croce] per noi, nella sua carne, sotto Ponzio Pilato. . . Veramente ha sofferto, così come veramente è risorto” [Sant'Ignazio di Antiochia, Lettera agli Smirniesi, 1-2].

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parto, come pure la morte del Signore: tre Misteri sublimi che si compirono nel silenzio di Dio»83. Alla Parte III. La Chiesa è cattolica Che cosa vuol dire “cattolica”? 83084, le Chiese particolari sono pienamente cattoliche per la Comunione con una di loro che: 83485 , circa l’ufficio di governare all’896: «Il Buon Pastore sarà il modello e la “forma” dell'ufficio pastorale del Vescovo. Cosciente delle proprie debolezze, “il Vescovo può compatire quelli che sono nell'ignoranza o nell'errore. Non rifugga dall'ascoltare” coloro che dipendono da lui e [...] Seguite tutti il Vescovo, come Gesù Cristo [segue] il Padre, e il Presbiterio come gli Apostoli; quanto ai Diaconi, rispettateli come la legge di Dio. Nessuno compia qualche azione riguardante la Chiesa, senza il Vescovo»86.

Circa il senso della morte Cristiana, al 1010: «Io cerco Colui che morì per noi; io voglio Colui che per noi risuscitò. Il momento in cui sarò partorito è imminente. Lasciate che io raggiunga la pura luce; giunto là, sarò veramente un uomo»87, 1011 «...un'acqua viva mormora dentro di me e mi dice: “Vieni al Padre!”»88 e al 1549 ancora: «Attraverso il ministero ordinato, specialmente dei Vescovi e dei Sacerdoti, la presenza di Cristo quale Capo della Chiesa è resa visibile in mezzo alla comunità dei credenti[…]89. Secondo la bella espressione di sant’Ignazio di Antiochia, il Vescovo è “typos tou Patros”, è come l’immagine vivente di Dio Padre»90 e 1554 «…Tutti rispettino i Diaconi come lo stesso Gesù Cristo, e il

83 «Il silenzio del Vangelo secondo san Marco e delle Lettere del Nuovo Testamento sul concepimento verginale di Maria è stato talvolta causa di perplessità. Ci si è potuto anche chiedere se non si trattasse di leggende o di elaborazioni teologiche senza pretese di storicità. A ciò si deve rispondere: La fede nel concepimento verginale di Gesù ha incontrato vivace opposizione, sarcasmi o incomprensione da parte dei non-credenti, giudei e pagani: [Cf San Giustino, Dialogus cum Tryphone Judaeo, 99, 7; Origene, Contra Celsum, 1, 32. 69; e. a] essa non trovava motivo nella mitologia pagana né in qualche adattamento alle idee del tempo. Il senso di questo avvenimento è accessibile soltanto alla fede, la quale lo vede in quel “nesso che lega tra loro i vari misteri”, [Concilio Vaticano I: Denz. -Schönm., 3016] nell'insieme dei Misteri di Cristo, dalla sua Incarnazione alla sua Pasqua. [Sant'Ignazio di Antiochia, Lettera agli Efesini, 19, 1; cf 1Cor 2,8 ]. 84 La parola “cattolica” significa “universale” nel senso di “secondo la totalità” o “secondo l'integralità”. La Chiesa è cattolica in un duplice senso. E' cattolica perché in essa è presente Cristo. “Là dove è Cristo Gesù, ivi è la Chiesa cattolica”, Ignazio di Antiochia, Lettera agli Smirniesi, 8, 2]. 85 la Chiesa di Roma, “che presiede alla carità”, Ignazio di Antiochia, Lettera ai Romani, 1, 1. 86 Ignazio di Antiochia, Lettera agli Smirniesi, 8, 1]. 87 Sant'Ignazio di Antiochia, Lettera ai Romani, 6, 1-2. 88 Iv i 7, 2. 89 Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 21 90 Sant’Ignazio di Antiochia, Lettera ai Tralliani, 3, 1; cf Lettera ad Magnesios, 6, 1.

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Vescovo come l'immagine del Padre, e i Presbiteri come senato di Dio e come collegio apostolico: senza di loro non c'è Chiesa»91.

Il 1593 recita: Fin dalle origini, il ministero ordinato è stato conferito ed esercitato in tre gradi: quello dei Vescovi, quello dei Presbiteri e quello dei Diaconi. I ministeri conferiti dall'Ordinazione sono insostituibili per la struttura organica della Chiesa: senza il Vescovo, i Presbiteri e i Diaconi, non si può parlare di Chiesa92.

La Pastores Gregis sul Vescovo Servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo93 ricorre a Ignazio ai numeri 7 «Molto antica è la tradizione che presenta il Vescovo come immagine del Padre, il quale, secondo quanto scriveva sant’Ignazio di Antiochia, è come il Vescovo invisibile, il Vescovo di tutti»94, al 15, parlando del fondamento nella Sacra Scrittura: «Insieme con sant’Ignazio d’Antiochia, anche il Vescovo ripete: «Mi affido al Vangelo come alla carne di Cristo»95, 19 nell’indicare il Vescovo come modello della spiritualità di Comunione: «Al riguardo, è sempre attuale l’esortazione che sant’Ignazio di Antiochia rivolgeva a Policarpo: «Nulla si faccia senza il tuo consenso, ma tu non fare nulla senza il consenso di Dio »96.

91 Sant'Ignazio di Antiochia, Lettera ai Tralliani, 3, 1 92 229) Cf Sant'Ignazio di Antiochia, Lettera ai Tralliani, 3, 93 Esortazione Apostolica Post-Sinodale Pastores Gregis del Santo Padre Giovanni Paolo II sul Vescovo Servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo, Città del Vaticano 2003. 94 La dimensione Cristologica del ministero pastorale, considerata in profondità, avvia alla comprensione del fondamento trinitario del ministero stesso […] Molto antica è la tradizione che presenta il Vescovo come immagine del Padre, il quale, secondo quanto scriveva sant’Ignazio di Antiochia, è come il Vescovo invisibile, il Vescovo di tutti. Ogni Vescovo, di conseguenza, tiene il posto del Padre di Gesú Cristo sicché, proprio in relazione a questa rappresentanza, egli dev’essere da tutti riverito. 95 L’Assemblea del Sinodo dei Vescovi ha indicato alcuni mezzi necessari per nutrire e fare progredire la propria vita spirituale. Tra questi c’è, al primo posto, la lettura e la meditazione della Parola di Dio. Ogni Vescovo dovrà sempre affidarsi e sentirsi affidato «al Signore e alla parola della sua grazia che ha il potere di edificare e di concedere l’eredità con tutti i santificati» (At 20, 32). Prima, perciò, d’essere trasmettitore della Parola, il Vescovo, insieme con i suoi sacerdoti e come ogni fedele, anzi come la stessa Chiesa, deve essere ascoltatore della Parola. Egli dev’essere come «dentro» la Parola, per lasciarsene custodire e nutrire come da un grembo materno. Insieme con sant’Ignazio d’Antiochia, anche il Vescovo ripete: «Mi affido al Vangelo come alla carne di Cristo» [...] Non c’è, difatti, primato della santità senza ascolto della Parola di Dio, che della santità è guida e nutrimento. 96 Portando su di sé questi tratti umanissimi di Gesú, il Vescovo diventa pure modello e promotore di una spiritualità di Comunione, […] Quale modello di ascolto, il Vescovo sarà altresì attento a cogliere, nella preghiera e nel discernimento, la volontà di Dio attraverso quanto lo Spirito dice alla Chiesa. Esercitando evangelicamente la sua autorità, egli saprà mettersi in dialogo con i collaboratori ed i fedeli per far crescere efficacemente la reciproca intesa. Ciò gli consentirà di valorizzare pastoralmente la dignità e responsabilità di ogni membro del Popolo di Dio, favorendo con equilibrio e

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Bisogna non solo chiamarsi Cristiani, ma esserlo; alcuni parlano sempre del Vescovo ma poi agiscono senza di lui. Questi non sembrano essere onesti perché si riuniscono non validamente contro il precetto (Magnesi IV, 1).

2000 anni fa, 50 anni fa, oggi in una piccolissima Chiesa il Vescovo è eletto, con le parole di Ignazio lo si accompagna, perché quest’uomo ha attraversato la storia? Perché nelle sue parole c’è l’odore acre della polvere, il tradimento trasformato in grazia, lo stridìo delle povere belve rinchiuse nell’arena e usate, c’è il sangue e brandelli di pelle della Chiesa di Antiochia che si divide ma esce salva, c’è l’avvertenza che la verità non si fa strada tra gli stessi fratelli, c’è il dolore di chi non aveva le lanterne accese e ha tramato e accusato tanto che un Vescovo muore nella persecuzione di un imperatore che è ricordato perché «proibì di ricercare i Cristiani», è il Vescovo è Cristiano colui che prescrive come si è Cristiani e Vescovi, è stato laico colui che ci indica l’arma potente dell’unità è l’uomo che ha portato con gioia la croce tanto che si preoccupa che qualcuno possa avere la cura inopportuna di toglierla eppure sprofonda negli abissali canyons del cuore umano tanto da avvertirci dei pericoli che esso corre, sprofonda in questo guazzabuglio incredibile a cui è stato donato un Vescovo.

serenità lo spirito di iniziativa di ciascuno. I fedeli devono infatti essere aiutati a crescere verso un'obbedienza responsabile che li renda attivi sul piano pastorale. Al riguardo, è sempre attuale l'esortazione che sant'Ignazio di Antiochia rivolgeva a Policarpo: «Nulla si faccia senza il tuo consenso, ma tu non fare nulla senza il consenso di Dio».

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«Nulla si faccia senza il tuo consenso,

ma tu non fare nulla senza il consenso di Dio »

Un sentito ringraziamento a quanti hanno contribuito con i loro scritti alla realizzazione di questo sussidio. I tempi ristretti non hanno consentito una veste più pregevole ma i preziosi contenuti arrecheranno abbondanti benefici spirituali a quanti si preparano all’Ordinazione del nostro nuovo Vescovo. Un elogio a chi lo ha pensato, lo ha proposto e ha lavorato per mettere insieme persone e pensieri. Tutti hanno lavorato a maggior gloria di Dio e in ogni cosa a Lui si eleva la lode e il ringraziamento.

Sarà utile rileggere questi preziosi lavori anche dopo l’evento di grazia di Domenica 1 luglio, ci saranno di aiuto nel capire sempre meglio la figura e il ruolo del Vescovo e il nostro rapporto con Lui. Egli è stato inviato da Dio alla nostra Chiesa per guidarLa con la parola e con l’esempio nel cammino di santificazione di ogni suo membro e nella realizzazione del progetto di Dio sulla nostra piccola Chiesa italo-albanese, in cammino verso il Suo primo centenario di vita.

Dhòxa to Theò!

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