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#entrainscena il 10 ottobre! | Piattaforma rivendicativa studentesca

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Il 10 ottobre il Paese verrà animato da centinaia di mobilitazioni studentesche. Leggi la piattaforma politica, discuti nella tua scuola i "perché" della mobilitazione, elabora una tua piattaforma, entra in scena il #10o!

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#entrainscena il #10o, perché? 4

Fotografie della crisi 7

Istruzione gratuita e di qualità: un progetto di società

13 Reddito e spazi

per diventare veri cittadini 19

Sul filo del rasoio. Basta precarietà! 25

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#entrainscena il #10, perché?

L'Italia, un Paese in controtendenza sull'investimento in istruzione

Un Paese che escludee riproduce le disuguaglianze sociali

L’Italia è il solo Paese che registra una diminuzione della spesa pubblica per le istituzioni scolastiche tra il 2000 e il 2011, ed è anche il Paese con la riduzione più marcata (5%) del volume degli investimenti pubblici durante questi anni, confermando un raddoppiamento dei finanziamenti privati, ormai sempre più centrali per sostenere il nostro sistema formativo. Il numero di coloro che non studiano nè lavorano continua a crescere (26%), il tasso di abbandono scolastico rimane altissimo, le differenze di genere, così come quelle tra nord e sud, si acuiscono, le forme di partecipazione culturale subiscono un forte calo e il “figlio dell’operaio” ha ancora una propensione altissima ad abbandonare gli studi. Questi sono solo alcuni dati che emergono dal rapporto Education at a Glance dell’Ocse e dal Rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile (BES), redatto dal Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel) e dall’Istat.

Non sono letture ideologiche, non sono letture di parte. Il nostro Paese continua ad escludere, a riprodurre le disuguaglianze sociali, a non considerare l’istruzione e il welfare come la via d’uscita per dare un futuro alla nostra generazione e al Paese intero. I Governi di mezza Europa si ostinano ad attuare politiche volte a destrutturare il pubblico, in nome dei mercati e dei loro profitti. E intanto la crisi morde, e consente ai pochi di continuare ad arricchirsi mentre la povertà avanza e cambia i connotati delle città e delle nostre scuole, condannando tanti di noi a non avere sogni. La precarietà, difatti, è anche esclusione, marginalità, subalternità: una condizione di ricatto perenne che attraversa e plasma le nostre storie individuali, le nostre relazioni, i nostri desideri. Ci hanno fatto credere di non poterci permettere più nulla, mentre si prendevano tutto quello che ci spettava.

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#labuonascuola, una rivoluzione: ma in che verso?

Il Governo non vuole mettersi in discussione, lo costringeremo a farlo

Tutti meritano #labuonascuola: laica, pubblica, gratuita

Ora sembra riapparire la speranza, che si anniderebbe nelle nostre classi: ecco a voi #labuonascuola. Si dice che il Governo stia imprimendo una svolta rivoluzionaria sulla scuola. Non v’è dubbio. Ma verso quale direzione? Per rispondere alla disoccupazione giovanile si appiattiscono le scuole ad un mercato del lavoro precario invece che cambiare quest’ultimo, si aprono le nostre scuole agli investimenti dei privati, si danno più poteri ai dirigenti scolastici, si instilla la competizione per “meritare” quelli che una volta venivano chiamati diritti.

Ma non vogliamo soffermarci ulteriormente sul piano scuola del Governo, (qui la guida critica approfondita), perché non vogliamo farci trarre in inganno dalla velocità dei titoli dei giornali: non sono gli annunci a poter definire le nostre priorità. Del resto la Ministra Giannini ha affermato lapidariamente riferendosi al piano scuola: "i cardini del progetto di riforma sono quelli e quelli restano”. Non c’era da stupirsi, chiaro. Difatti pochi credono che la scuola possa essere cambiata in questo modo, senza attivare processi di partecipazione reale veri e prolungati nel tempo. Non basta una consultazione di due mesi, non si possono imporre dei temi, non si può pensare di risolvere tutto senza ascoltare e assumere le istanze di chi negli ultimi anni ha vissuto la scuola e ne ha immaginato la sua rivoluzione, provando a ridefinirla dalla A alla Z.

Pensiamo che la buona scuola si costruisca tutti insieme, e che tutti la meritino. La buona scuola è quella che include le differenze, che favorisce il protagonismo degli studenti, che educa alla libertà e non la soffoca, che crea cittadini e non sudditi, che favorisce la cooperazione e non la competizione. Ma la vera buona scuola è soprattutto quella alla quale possono accedere tutti, indipendentemente dalla nazionalità, dal sesso, dall’orientamento sessuale e religioso, dalla situazione socioeconomica di partenza. La buona scuola è quella per tutte e tutti dunque: laica, pubblica, al centro del territorio, presidio di cittadinanza e democrazia ma,

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Riprendiamo parola per cambiare la nostra scuola e il Paese

Protagonisti, non spettatori: la nostra generazione #entrainscena

soprattutto, gratuita.

Abbiamo bisogno di una forte scossa, di prendere parola non solo per migliorare la nostra condizione e riscattare le nostre vite, ma per cambiare il Paese. Si è chiuso il tempo della resistenza a prescindere, della contestazione senza la creazione, della difesa. Abbiamo lottato per troppo tempo cercando di salvare tutto quello che ci stavano rubando con la scusa della crisi economica. Nel 2008 scendevamo in piazza gridando “Noi la crisi non la paghiamo”. Ora possiamo dire di aver fallito; ora possiamo renderci pienamente conto di quanto la crisi abbia stravolto le nostre vite, le nostre scuole, le nostre città e territori. La crisi è stata troppo spesso utilizzata per giustificare il furto del nostro futuro.

Ora la nostra generazione è a un bivio: o accetta di essere spettatrice del proprio futuro, o costruisce il cambiamento per esserne protagonista. Possiamo ancora decidere di cambiare il nostro Paese, le nostre scuole e università, oppure demordere, consegnando il nostro futuro ai palcoscenici renziani e ai poteri forti. Non ci interessano le briciole, non ci interessano i palliativi. Non otterremo nulla se resteremo in silenzio, se non formeremo i collettivi nelle scuole e nei quartieri, se non risveglieremo il Paese intero. Otterremo tutto se sapremmo immaginare e costruire l’altro mondo possibile sempre più necessario. I cambiamenti si costruiscono soltanto se si guarda in prospettiva, se si parte dai propri bisogni provando a non farsi illudere dalle piccole battaglie che si possono vincere lungo il percorso. Siamo alla partenza, ma con noi cammina già la fine del viaggio. È giunto il tempo dell’attacco, è ora di entrare in scena: il 10 ottobre tutt* in piazza!

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Fotografie della crisi

Studiare: investimento privato o opportunità per la società?

L'istruzione si sta trasformando in un investimento privato delle famiglie

Contro il caro scuola, dai libri al contributo volontario

Da vent’anni a questa parte sull’istruzione pubblica si sono concentrate le attenzioni dei governi e delle imprese. Non tanto per renderla accessibile a tutti e di qualità, quanto per dequalificarla e tagliarne le risorse. Da un lato, la tendenza dei governi di tagliare sui finanziamenti è da ricondurre alla stretta generale che si è avuta sullo stato sociale soprattutto dal 2008, dall’altro le grandi imprese hanno iniziato a vedere nel sistema formativo un settore dove poter accumulare profitti, diretti ed indiretti. Il processo è ancora in corso ma è sempre più evidente: l’istruzione pubblica risulta non solo sempre più dequalificata, ma sempre meno accessibile per i costi che le famiglie devono affrontare all’accesso; le imprese provano ad entrare nella gestione e nella determinazione degli obiettivi formativi delle scuole, basti vedere i passaggi del piano scuola sulle risorse.

Che significa tutto questo? Che l’istruzione si sta trasformando in un investimento privato delle famiglie. Il modello è presto detto: quello americano. E dunque autonomia delle scuole fortissima, ricerca spasmodica di finanziatori sul mercato e obiettivi didattici sfalsati a seconda del contesto. L’America, un paese in cui le scuole migliori sono private e costosissime mentre quelle scuole pubbliche, finanziate con la fiscalità municipale, mantengono rette molto elevate e dove le più accessibili si trovano nei quartieri periferici e accolgono i poveri, gli svantaggiati, i discriminati. L’America è un paese in cui la disparità sociali sono strettamente connesse alle disparità educative.

L’Italia non è tanto lontana dal pieno avveramento di questo modello, anche senza aspettare le riforma renziana. I dati delle associazioni dei consumatori ad esempio parlano di più di 1300 € come spesa che deve affrontare uno studente iscritto al primo anno di liceo tra libri di testo, materiale

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Quando studiare diventa sempre più difficile

Scuole di serie A e scuole di serie B

scolastico e dizionari. A questo si devono aggiungere i costi per i trasporti e le cifre sempre più alte per il contributo “volontario”. I costi di quest’ultimo divengono di anno in anno, rendendo l’istruzione pubblica privata nella sostanza. Oggi le nostre scuole senza imporre il contributo non potrebbero garantire non solo le attività extracurricolari, ma anche quelle ordinarie. E se sommassimo i costi per accedere alle conoscenze informali, ossia libri, cinema, teatri? La somma totale, anche se variabile di caso in caso, sarebbe veramente altissima.

La conoscenza non è dunque un bene collettivo, non è più uno strumento di emancipazione individuale e collettiva. Da nord a sud, le alte percentuali di abbandono scolastico, dispersione e di NEET, stanno a confermare la tendenza da contrastare. Oggi non solo studiare diviene sempre più difficile, ma molti lo ritengono quasi inutile: ecco allora che si accolgono le riforme volte ad appiattire ciò che rimane della scuola alle esigenze di un mercato del lavoro precario che richiede basse competenze e flessibilità inumana; ecco allora che si sceglie il proprio percorso di studi in relazione al proprio contesto economico e sociale di partenza. Eppure la nostra Costituzione dice altro, precisando che tutti hanno diritto ad accedere ai più alti gradi di istruzione. L’istruzione pubblica ha perso il suo valore sociale, non è più vista come una priorità dalla quale partire per cambiare la propria condizione e il Paese intero, cambiando un modello di sviluppo sempre più ingiusto e dando un futuro alle nostre generazioni. Investire nell’istruzione pubblica significa combattere le disuguaglianze e dare a tutti i mezzi per poter comprendere e prendere posizione.

Si continua ad accentuare la divisione tra una formazione di alto e basso livello che coincide alla scelta tra licei, istituti tecnici, professionali e l’apprendistato con cui uno studente a 14 annipuò già assolvere all’obbligo scolastico. Il sistema d’istruzione opera così una canalizzazione precoce della società, selezionando in seno a questa cittadini di serie A e

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Per un dibattito sulla riforma strutturale dei cicli

Una scuola che riempie di nozioni

serie B.Gli istituti tecnici e professionali, già fortemente depotenziati dalla riforma Gelmini con un taglio ingente di ore, registrano un livello inferiore di competenze nelle materie di base ed una bassa propensione al sapere generale. L’alternanza scuola-lavoro, maggiormente diffusa nei tecnici e professionali, risulta spesso priva di un approccio didattico allo stage, poichè è carente la figura del tutor, e nella maggiorparte dei casi gli studenti sono lasciati a loro stessi il più delle volte svolgendo attività-sfruttamento molto diverse da quelle previste.Riteniamo necessario l’introduzione di uno “Statuto degli Studenti in Stage” che garantisca tutele didattiche, lavorative e assicurative, oggi previste solo in caso di morte o danno permanente. E’ necessario alzare l’obbligo di istruzione al 5° anno di istruzione secondaria di secondo grado, posticipando l’apprendistato all’assolvimento di quest’ultima e non rendendolo più alternativo alla scuola dell’obbligo. Riteniamo che esso sia lavoro minorile a tutti gli effetti e che debba essere abolito.

Sarebbe importante inoltre che si aprisse seriamente un dibattito in merito ad una riforma strutturale dei cicli che tenga conto del carattere emancipante del sapere e che fornisca a tutti gli studenti e le studentesse competenze generali indipendentemente dal percorso di studi intrapreso e potenzi le attitudini e vocazioni personali in preparazione dell’università e del lavoro. Proponiamo una scuola basata su competenze problematizzanti che sia divisa in un biennio unitario ed in un triennio specializzante, orientato per area di interesse (linguistico-umanistica, tecnico-scientifica).

Oggi facciamo i conti con una didattica fortemente ancorata a un modello di scuola classista ed escludente, propugnato dalla Riforma Gentile, e inadatta a cogliere i cambiamenti di cui sono state protagoniste scuola e società nel corso degli anni. Ora più che mai c’è bisogno di ripensare la didattica

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Una scuola che punisce

dalle basi, a partire da ciò che si studia e dal come si apprende, per essere in grado di immaginare un’alternativa radicalmente diversa. Non è più sufficiente contrastare il modello di lezione frontale, che è alla base dell’unidirezionalità dello scambio delle conoscenze: oggi per restituire importanza alla didattica dobbiamo considerarla come una branca di vitale importanza della pedagogia e non più come mero oggetto di valutazione. Un reale rinnovamento della didattica quindi non può essere banalizzato con tentativi di informatizzazione e introduzione di nuova strumentazione tecnologica, che, seppure strumenti che potrebbero essere utili ai fini didattici, non risolvono gli interrogativi alla base dei processi di apprendimento. La didattica deve essere partecipativa, fondata sugli interessi del singolo, coinvolgente e problematizzante, rivolta alla formazione della coscienza critica.

La valutazione è il meccanismo di aziendalizzazione maggiore introdotto nelle scuole. Si tenta di valutare la produttività, la capacità di un docente e di uno studente di insegnare o accumulare nozioni, quasi come se l’istruzione fosse una transazione bancaria tra docente e discente, si premia il merito. Le nostre classi sono sempre più classificate sulla base di schemi prefissati: secchioni, nella media, stupidi. Siamo etichettati da un numero senza possibilità di comprensione ed autodeterminazione alcuna.Ma la valutazione ha fatto perdere di vista il vero obiettivo della scuola pubblica. Davvero si va a scuola per accumulare la conoscenza di nozioni? La scuola dovrebbe avere come obiettivo costitutivo l’idea di non lasciare nessuno indietro. Oggi, invece, i meccanismi di valutazione sia del singolo lasciano a se stessi migliaia di studentesse e studenti.La valutazione non deve essere punitiva, ma un momento di crescita e di confronto. Per questo motivo rivendichiamo una valutazione dello studente narrativa e non numerica, basata fortemente sul confronto costante tra valutazione ed

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Un sistema che punisce la scuola

autovalutazione, come processo diacronico e non imposto, affiancato da un percorso di crescita individuale, di presa di consapevolezza di sè. Solo così nelle nostre classi non saremo più costretti ad assistere al propagarsi dello spirito di competizione tra noi studenti, perché l’errore sarà un imprescindibile strumento di crescita individuale e collettiva e perché la cooperazione e il confronto assumeranno reale centralità. Le nostre idee di valutazione non hanno niente a che vedere con i concetti di merito e premialità: la didattica deve essere funzionale alla formazione di una coscienza critica, slegata dalla valutazione quantitativa e a scopo punitivo. Si può parlare di processi di crescita solo se si tiene conto delle attitudini e delle inclinazioni personali, delle difficoltà di apprendimento riscontrabili da ognuno, spesso derivanti dal contesto socio-economico di partenza, e dei progressi dello studente durante tutta la sua carriera scolastica.Al tempo stesso rivendichiamo l’abolizione della bocciatura, che ad oggi rappresenta un fallimento del sistema formativo italiano, assente in tantissimi sistemi europei ed internazionali.

Anche a livello centrale si pianifica l’esclusione di tantissime scuole che, con la proposta inserita nel Piano Scuola di una parte di MOF assegnata su logica premiale, resteranno indietro, riceveranno meno fondi, avranno una minore possibilità formativa.A livello sistemico è impensabile pensare ad un rafforzamento del modello INVALSI, ed all’introduzione di meccanismi di ripartizione dei finanziamenti a livello premiale. Un Paese non può lasciare indietro intere scuole, tutti gli studenti devono avere le medesime possibilità. La valutazione del sistema non può essere imposta dall’alto, ma legata a meccanismi di autovalutazione delle scuole e basata sulle differenze di background e di obiettivi, che una scuola ha in base alla propria collocazione geografica e non solo. Una scuola del centro di Milano può avere gli stessi obiettivi e risultati di una scuola di Scampia? E’ necessario immaginare un sistema di

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Una scuola-impresa con al centro il preside manager

valutazione completamente nuovo, integrato con l’autovalutazione della scuola e del sistema-scuola svolta da chi la scuola la vive ogni giorno, utile al miglioramento, che non punisca, ma proponga spunti critici di interpretazione della realtà, che non valuti la prestazione del singolo studente, ma permetta la comprensione delle carenze del sistema sotto ogni aspetto.

La scuola deve prendere le proprie decisioni con gli studenti e per gli studenti, tenendo al centro la crescita sociale di ognuno.Rigettiamo la scuola “del preside manager”, in favore di una scuola in cui gli organi collegiali siano più partecipati dagli studenti, in cui siano presenti commissioni paritetiche, in cui sia possibile discutere per il rinnovamento ed il cambiamento della propria scuola dal basso.Non possiamo permettere che, sotto il velo degli slogan, si escludano le studentesse e gli studenti dalla vita del proprio istituto e li si releghi al ruolo di semplici fruitori passivi, rafforzando il ruolo del dirigente scolastico. La scuola non può essere un luogo in cui il dirigente deve giudicare la “produttività” dei propri “lavoratori”, non è un’azienda, ma un luogo di crescita collettiva, con obiettivi diversi e spesso non tangibili.

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Istruzione gratuita e di qualità:un progetto di società

Una rivoluzione copernicana del mondo della formazione

Un'istruzione gratuitae di qualità controla precarietà

Investire in un'istruzione pubblica, gratuità e di qualità, oggi, deve essere una priorità. Crediamo sia necessaria una rivoluzione “copernicana” che ridia dignità e centralità al mondo della formazione, là dove si gioca una partita fondamentale per il futuro non solo di migliaia di giovani ma anche per quello del Paese intero.

I dati diffusi dalla commissione UE riguardo il tasso di rinuncia all'istruzione dipingono una situazione allarmante. La media nel nostro paese si aggira al 18%, raggiungendo punte del 25% nel mezzogiorno. A questo quadro si aggiungono i dati OCSE-PISA secondo i quali il tasso di abbandono scolastico è estremamente elevato tra i figli di genitori che hanno frequentato solo la scuola dell'obbligo (27,7%) o che svolgono una professione non qualificata (31,2%), al contrario è quasi nullo tra i figli di laureati (2,9%) e tra quelli i cui genitori svolgono professioni specializzate (3,9%). A discapito della retorica meritocratica a cui siamo abituati, emerge che la differenza non la fanno le attitudini individuali, bensì tre fattori determinanti: la scuola frequentata, il contesto geografico e il livello d'istruzione dei genitori. E' impensabile, oggi, accettare il paradigma secondo cui il figlio di un impiegato o di un operaio non possa avere le stesse possibilità di un qualsiasi altro suo coetaneo. Per questo rivendichiamo un'istruzione gratuita e di qualità, per noi, come strumento di emancipazione e di autodeterminazione per liberarci dalla precarietà che ci è stata imposta (un'emancipazione che non deve più poggiare sul capitale familiare ma essere un obiettivo che tutti possano non solo sperare ma raggiungere concretamente), e per il nostro paese, perché è dalle scuole che si riparte per riscrivere il futuro.

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Privatizzazione e aziendalizzazione sono il problema, nonla soluzione

Scuole e università non sono variabili dipendenti dei mercati

Il processo di privatizzazione e aziendalizzazione dell’istruzione rappresentano, infatti, l’ennesimo tentativo di voler inseguire ed aggiustare un modello di sviluppo che invece risulta essere oramai al collasso e necessita quindi di essere superato e reinventato.Basti semplicemente pensare a quanto sarebbe anacronistico, ad oggi, semplicemente sostenere che questi tassi di produzione e di consumo possano essere mantenuti ancora a lungo, soprattutto quando essi risultano essere ancora così fortemente legati a risorse non rinnovabili del nostro pianeta. Non è più, infatti, pensabile di poter ragionare di crescita economica senza porsi l’interrogativo dell’eco-sostenibilità, come non è più possibile che esisti ancora, come nel caso dell’ILVA di Taranto, una dicotomia tra salute e lavoro che ti pone davanti alla scelta di dover lavorare a rischio della propria vita oppure di non lavorare.Le migliaia di devastazioni ambientali presenti nel nostro paese, caso-limite è quello della Terra dei Fuochi e dei tanti morti che questo ha prodotto, sono l’esempio più lampante di come sia necessario riuscire a costruire un nuovo modello di produzione e di sviluppo, che scardini anche i paradigmi culturali su cui questa società è stata eretta.

Scuole e università non possono essere considerate come variabili dipendenti dai mercati e flessibili a seconda delle esigenze delle aziende, ma riteniamo che debbano interfacciarsi con il proprio territorio per riuscire a dare risposte ai problemi che esso stesso vive. E’ quindi una responsabilità della formazione quella di riuscire ad insegnare un sapere che sia realmente critico perché è da qui che passa una reale inversione nel modello di sviluppo del nostro paese in una direzione di una maggiore equità e una maggiore giustizia.Non sono le scuole e le università a dover modellare lavoratrici e lavoratori educati ai paradigmi di questo modello di sviluppo, ma sono i luoghi dove questo può essere ripensato ed invertito. Dobbiamo iniziare ad interrogarci non solo sul “come” si studiano i temi, ma anche il “che cosa” si studia: non vogliamo più capire

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come si costruisce una bomba o un F35 per poi mettere in pratica la tecnica acquisita, ma vogliamo capire come riconvertire un’azienda inquinante, o recuperare dei luoghi in disuso. Rendere la scuola un luogo accessibile a tutti è il primo passo per rendere accessibile a tutti la democrazia, la determinazione del proprio futuro, la riscrittura del futuro del Paese. E’ da un’AltraScuola che comincia il percorso di riscrittura di un’AltraSocietà.

Come raggiungere la gratuità?

La gratuità dell'istruzione: un obiettivo concreto

Un diritto allo studioda ripensare

La gratuità dell’istruzione non è un obiettivo irraggiungibile o utopistico, in molti Paesi del nord Europa è stato realizzato, ed è indicata anche dall’ONU come obiettivo. In Italia l’istruzione è gratuita sulla carta, ma in realtà siamo ben lontani dall’instaurazione di una reale gratuità.

L’attuale sistema prevede che questo sia di competenza esclusiva delle regioni, e si è dimostrato fallimentare sotto più aspetti; in primis, la mancanza di finanziamenti e fondi statali, e l’impossibilità delle regioni di integrare con le proprie risorse, hanno causato grandi problemi e sbilanci. Come è facile immaginare infatti, in mancanza di una cornice comune ogni regione ha trattato arbitrariamente il diritto allo studio, alcune finanziandolo, altre lasciandolo deperire. Questo ha portato a disparità enormi all’interno del nostro territorio, cosa che non può essere tollerata perché i diritti degli studenti non possono essere resi “regionali”, andando a colpire fortemente le borse di studio, i trasporti, la possibilità di comodato d’uso e quant’altro. Non possiamo accettare che una persona abbia accesso o rimanga fuori dai luoghi della conoscenza soltanto perché è nata in una regione o in un’altra. Per questo il primo passo che bisogna fare per tutelare gli studenti è una Legge Nazionale sul Diritto allo studio, progetto

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Basta annunci: è tempo di investimenti strutturali

Cosa rivendichiamo

proposta da anni al MIUR dagli studenti, che, assieme a forti finanziamenti, fissi infine dei picchetti a cui tutti debbano attenersi. Non chiediamo quindi una centralizzazione ormai obsoleta, bensì un interesse vivo da parte del Governo alle problematiche degli studenti, delle studentesse e delle loro famiglie, che vada a riempire i vuoti normativi e a dare dei limiti di base alle Regioni, che dalla loro parte con massicci investimenti devono andare a implementare i diritti che mancano e a potenziare quelli già esistenti. Il nuovo sistema di borse di studio va integrato con l’erogazione del reddito di formazione, di cui si parlerà più avanti.

Altro punto fondamentale sono gli investimenti strutturali: il punto cardine è sopratutto quello di quantificare l'attenzione del governo sui grandi temi della scuola, non guardando agli annunci, alle promesse, alle parole ma più che altro ai fatti. Non è chiaro quale sia il reale impegno di Renzi in materia di investimenti scolastici, ne “La Buona Scuola” non vi sono cifre o impegni. L’istruzione necessita di entrate certe e fisse, di una progettazione scolastica annuale realistica e non basata su ipotesi di fondi, di una manutenzione strutturale degli edifici. Il finanziamento delle scuole non può essere responsabilità delle famiglie e dei loro contributi volontari. E’ necessario inserire i fondi su istruzione, università e ricerca in Legge di Stabilità, con una scelta chiara di priorità. L’esperimento attuato con i fondi sull’edilizia, rattoppati qua e là tra diversi capitoli di spesa ed attualmente sbloccati solo per un quarto del totale previsto, ha dimostrato la necessità di investimenti strutturali.

• Un sapere accessibile a tutti: borse di studio concesse in base al reddito e non più al merito, trasporti gratuiti o semi gratuiti, fornitura gratuita o semi gratuita dei libri di testo scolastici per tutti gli studenti, una carta sconti –“Io Studio”- per gli studenti, funzionante in tutte le regioni per entrare in musei, cinema, teatri,

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mostre, per i trasporti o l’acquisto di libri);• Reintegro dei tagli operati dalla Gelmini;• Una legge nazionale sul diritto allo studio;• Un ripensamento radicale dell’impostazione attuale dei

cicli formativi;• L’approvazione dello Statuto delle Studentesse e degli

Studenti in Stage;• L’istituzione di un reddito per i soggetti in formazione;• L’istituzione di un finanziamento strutturale in

istruzione, università e ricerca in legge di stabilità;• Un ripensamento della didattica frontale e

l’introduzione di forme di didattica alternativa;• Un’altra idea di valutazione dello studente e di

valutazione nazionale, che non sia punitiva;• Un nuovo modello di governance ed una scuola più

democratica e partecipativa;• Abolizione della bocciatura.

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Reddito e spaziper diventare veri cittadini

Un reddito di formazione per l'emancipazione studentesca

Se è necessario pensare ad una scuola a costo 0 che abbia l’obiettivo di fornire a tutti gli studenti la possibilità di comprendere e studiare il mondo, è anche necessario innanzitutto rendere rendere lo studente realmente indipendente dalla propria famiglia, capace di muoversi, approfondire, realizzarsi all’interno della società. Anche se non propriamente con queste intenzioni e attraverso formule discutibili, spesso legate a criteri strettamente meritocratici, il reddito studentesco è una priorità che già da anni alcuni paesi europei (ad esempio Belgio e paesi scandinavi) prevedono nel loro sistema welfaristico. In un paese come l’Italia con circa il 12.6% delle famiglie sotto il tasso di povertà, si avverte fortemente il bisogno di emanciparsi dalla propria condizione socio-economica di partenza. Il reddito di formazione, inserito in un ben più ampio sistema reddituale, è uno strumento che fa compiere all’idea di istruzione gratuita, come opportunità data a tutti, un ulteriore passo verso l’eguaglianza e la giustizia sociale.Vogliamo un reddito di formazione totalmente svincolato da criteri di merito, che si basi esclusivamente sulle condizioni di partenza del soggetto interessato, affinchè gli sia possibile sviluppare le sue capacità e le sue inclinazioni il più possibile integrato all’interno della collettività. Come studenti viviamo la duplice condizione legata anche al tessuto cittadino, alle sue articolazioni e ai suoi servizi, ma questo oggi non viene considerato. Si deve quindi intendere il reddito come uno strumento di abbattimento delle barriere non solo per la vita scolastica, ma anche per la vita di tutti i giorni.

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Reddito diretto e indiretto contro l'abbandono scolastico e per l'autonomia dei percorsi formativi

Fateci spazio! Gli spazi nelle scuole al servizio della creatività studentesca

Per queste ragioni esso deve costituirsi di forme tanto dirette di erogazione monetaria, quanto di forme indirette costituite da agevolazioni sui canali culturali, trasporti e quanto può incentivare la realizzazione di quelle passioni che si sviluppano al di fuori dei luoghi della formazione ma che sono altrettanto fondanti nel percorso di crescita proprio e collettivo. Vogliamo avere la possibilità di fare musica, teatro, esprimerci attraverso forme d’arte senza vincoli economici, partecipare alla visione di film, opere, leggere dei libri senza dover rinunciare ad altri aspetti della nostra vita, perché siamo convinti che la formazione debba avvenire anche tramite canali non propriamente formali per dare spazio a forme di auto-formazione.In ultima istanza è da prendere in considerazione un ulteriore dato che, soprattutto nelle regioni del sud, rappresenta di anno in anno un sempre più preoccupante esodo dai luoghi della formazione: la dispersione scolastica. Oggi questa, infatti, arriva ad una media nazionale del 18.8%. Risulta evidente la stretta relazione tra possibilità economiche e abbandono, tali cause sono spesso talmente profonde da non poter essere risolte in maniera efficace solo attraverso l’abbattimento dei costi dell’istruzione, ma solo attraverso uno specifico reddito di formazione di inserimento, necessario per incentivare i NEET a tornare sui banchi di scuola e completare il proprio ciclo formativo.

Una società che voglia considerare i giovani come cittadini e non come consumatori deve munirsi di spazi sociali, culturali e aggregativi che promuovano il protagonismo giovanile dentro e fuori le scuole.Il punto di partenza per la richiesta di spazi è senza dubbio la scuola. L'articolo 2 comma 1 del DPR 567/96 sancisce il diritto di usufruire di almeno un locale della scuola dopo il termine delle lezioni, come luogo di ritrovo per studentesse e studenti. L'apertura pomeridiana degli istituti può fornirci i mezzi per non vivere la scuola da semplici spettatori passivi, bensì da protagonisti, organizzando

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Il rapporto tra scuola e territorio non è subordinazione delle scuole alle aziende

Gli spazi nelle città come strumento di ricostruzione del tessuto sociale

momenti di mutuo aiuto (sportello autogestito, ripetizioni, approfondimenti), attività culturali (incontri, dibattiti, cineforum, iniziative sportive e/o musicali), usufruendo delle strutture scolastiche in modo autonomo e autogestito.Le aule autogestite e l'apertura pomeridiana degli istituti scolastici sono necessarie al fine di intercettare i bisogni degli studenti e possono costituire un importante presidio di socialità e una risorsa per il territorio. Basti pensare alla quantità di studenti pendolari che non hanno un luogo dove poter stare tra la fine delle lezioni e l'orario di partenza del loro mezzo, alla scarsezza o mancanza di spazi aggregativi pubblici, chiusi e riscaldati per i giovani in numerose città italiane, o alla funzione di vero e proprio presidio di legalità e di alternativa alla strada che una scuola sempre aperta può assolvere nelle situazioni di maggiore difficoltà.

Il Piano Scuola prova a dare centralità alla scuola all’interno del territorio, ma in un’ottica completamente diversa dalla nostra. Le scuole devono restare aperte per rappresentare un faro di cultura e di socialità all’interno delle nostre città, per riacquistare un ruolo sociale che stanno progressivamente perdendo. Questo ruolo non si riacquista sovvenzionando l’apertura delle scuole tramite finanziamenti o attività private, ma dando più centralità ai progetti studenteschi.Per questo, quest'autunno ci batteremo per avere un'aula autogestita e una forte programmazione di attività extrascolastiche a partecipazione democratica in ogni singolo istituto, affermando la nostra voglia di proporre, metterci in gioco e costruire dal basso un'alternativa al modello di governance accentrata nel dirigente scolastico prevista ne “La Buona Scuola”.

Le aule autogestite e l'apertura pomeridiana delle scuole sono indispensabili, ma sicuramente non sufficienti a rispondere al complesso dei bisogni di socialità, espressione e aggregazione dei giovani.Viviamo in città ricche di immobili in disuso di

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Cosa rivendichiamo

proprietà comunale, e contemporaneamente sofferenti della carenza di locali dedicati ai giovani, costretti ad alimentare i luoghi di consumo.Ora più che mai vogliamo riappropriarci di questi spazi per rispondere a un deficit democratico che vede la società giovanile fisicamente non rappresentata, intercettando i desideri e le necessità di chi ne fa parte. Gli spazi possono rappresentare un luogo per ridare soggettività agli studenti, sempre più ai margini della società e sempre più impossibilitati ad esprimersi.Pretendiamo locali idonei per studio, incontri culturali e ludici, assemblee, esibizioni musicali e teatrali, corsi autogestiti, espressione artistica, sala prove a utilizzo gratuito. Gli spazi di aggregazione possono dotarsi di fondamentali strumenti di mutualismo (che coinvolgono cioè persone diverse in attività da cui possano trarre beneficio reciproco), alcuni esempi possono essere la biblioteca sociale, il book crossing (scambio e libera circolazione di libri), i mercatini del libro usato (indispensabili in ambito scolastico per far fronte alla piaga del caro libri), le ripetizioni tra studenti. Oltre a essere un motore di espressione, gli spazi di aggregazione possono essere pensati anche come erogatori di servizi (consultorio, sportelli di ascolto) e rappresentano un presidio di prevenzione dalle situazioni di disagio personale.

• Un reddito di formazione per tutte le studentesse e gli studenti;

• Un reddito di reinserimento per combattere il fenomeno dei NEET;

• L'attuazione del DPR 567/96 e l'apertura pomeridiana delle scuole, per attività diverse dalla lezione frontale, che abbiano come protagonisti gli studenti;

• L'istituzione di spazi sociali nelle città, che sappiano dare un'alternativa all'aggregazione e alla socialità relegate al consumo, diventando motore di espressione, creatività, partecipazione e cittadinanza attiva.

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Sul filo del rasoio.Basta precarietà!

Contro la mercificazione del sapere

Scuole ed università oggi sono spazi totalmente asserviti alle logiche produttive e non più di emancipazione del singolo.Da un lato, attraverso i meccanismi di valutazione punitiva e gestione poco democratica, nel nostro sistema formativo si trasmettano in pieno i paradigmi di questa società e di questo sistema economico: competitività, frammentazione, autoritarismo, produttività.Dall’altro al mondo dell'istruzione si attribuisce anche la responsabilità della mancanza di occupazione giovanile, che oramai raggiunge il 43,7%. Quindi l’istruzione è sempre più al servizio del mercato, ed orientata, come dimostra la proposta di “l’Atlante del Lavoro” inserita ne “La Buona Scuola” di Renzi, che punta ad orientare la didattica sulla base delle necessità espresse di volta in volta dal mercato per i prossimi anni. Occorre quindi interrogarsi su quale sia la vera missione dell’istruzione: preparare al lavoro o preparare alla vita? La scuola deve fornire competenze critiche, deve dare a tutti strumenti di acquisizione di capacità per la vita, imparare ad imparare, analizzare in modo critico la realtà, sapersi relazionare con gli altri, avere consapevolezza di se stessi, saper utilizzare in modo personale i saperi acquisiti nelle situazioni di ogni giorno. Oggi la scuola sta perdendo tutto il suo valore pedagogico riducendosi ad essere un mero luogo di formazione al lavoro.Lo stereotipo della meritocrazia ne è l’esempio lampante: a scuola si cerca di imporre uno standard unico e piatto, uno studente “bravo in tutto” e per questo meritevole. Per noi la democrazia è la valorizzazione dell’originalità e della peculiarità unica nel singolo. Tutti siamo studentesse e studenti meritevoli. La scuola non dovrebbe appiattire le nostre attitudini ad uno standard unico, ma saperle valorizzare una ad una in modo diverso.

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A scuola di vita precaria.La bolla formativa

Non si può competere al ribasso con una idea di sviluppo personale orientata ad essere manodopera “sostituibile” sulla base della convenienza, ma al contrario valorizzare unicità e personalità.La vera missione della scuola è formare la persona, indipendentemente dal proprio ambiente di provenienza, ad affrontare il mondo fuori dalle pareti scolastiche in modo cosciente e critico, per affrontare e risolvere i problemi, ma soprattutto cambiarne i paradigmi.Il sapere non è fatto solo per comprendere, ma per prendere posizione e cambiare il mondo.

Da anni siamo ben lontani dagli obiettivi di Europa2020 su numero di laureati ed abbattimento della dispersione scolastica.Il fenomeno dei NEET (persone che non studiano e non lavorano perchè scoraggiate dal mercato) è in aumento e la vita di ogni studente sembra sempre più orientata alla ricerca dell’occupazione che allo sviluppo delle proprie attitudini.Nel 2012 si parlava di scoppio della cosìdetta “bolla formativa”, identificando con questa espressione l’incapacità dei giovani laureati altamente qualificati di trovare una occupazione affine alle proprie aspirazioni. La risposta è stata il tentativo di frammentizzare il percorso universitario e di inserirvi sempre maggiori barriere all’accesso, con l’idea di spingere volutamente ad un abbassamento delle competenze utili all’allocazione sul mercato del lavoro, piuttosto che dare priorità allo sviluppo del Paese.Oggi questo tentativo di parcellizzazione delle conoscenze e delle competenze, promosso da Rethinking Education a livello Europeo, oltre ad essersi radicato ancora maggiormente nelle università, ha raggiunto anche la scuola pubblica.Da un lato, sempre meno studenti si iscrivono ai Licei Classici o Scientifici Tradizionali, con una retorica del fare ha preso il sopravvento, dall’altro vi sono sempre meno diplomati e studenti che continuano il percorso universitario. L’istruzione gratuita è quindi non solo una necessità economica, ma anche

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A scuola di vita precaria.Quale alternanza scuola-lavoro?

un passo necessario per la liberazione dell’individuo, incatenato in schemi sociali imposti dall’alto, che aumentano volutamente le barriere per frequentare scuole ed univesrità e diminuiscono volutamente le tutele, per rispondere alla necessità del mercato di avere meno lavoratori altamente qualificati e più manodopera a basso costo.Noi pensiamo invece che al posto di abbassare volutamente la crescita sociale del Paese la sfida stia invece nel fare l’opposto: investire in ricerca, innovazione e sviluppo per modificare il sistema produttivo in modo adeguato ai nostri sogni ed alle nostre aspettative.

Il sempre più difficile accesso ai saperi, i costi elevati dell'istruzione, il sempre crescente tasso di abbandono scolastico sono campanelli d'allarme della condizione in cui versa oggi la scuola italiana. Il passaggio dalla scuola all'università non è fuori da queste logiche di esclusione, infatti, il momento di passaggio tra questi due luoghi è quello in cui è più evidente l’incapacità di immaginarsi un futuro. E’ oggi prassi l’idea di mettere in secondo piano i propri sogni e le proprie aspirazioni per scegliere sulla base di convinzioni e stereotipi cosa “darà più o meno certezza di occupazione”. Inoltre i test di ingresso alle diverse facoltà a numero chiuso, sono un fattore vincolante che impedisce la libera scelta del proprio futuro, volutamente inserito in una logica di esclusione da una formazione di alto livello. Emblema di questo appiattimento alle richieste di mercato sono gli studenti coinvolti negli stage formativi, i quali si ritrovano nelle aziende a svolgere mansioni inutili e per nulla formative, senza che siano loro garantiti alcuna tutela e alcun diritto. Altro esempio lampante è l’introduzione dell’apprendistato al quarto e quinto anno di superiori. Un esperimento preso al balzo dall’Enel, che riduce di 300 ore l’orario scolastico, completamente sostituite in ore di lavoro non pagato in azienda.Nella stessa direzione vanno i provvedimenti proposti ne “La Buona Scuola”: sistema duale tedesco ed una “School

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A scuola di vita precaria.Quale lavoro?

Guarantee” con incentivi per chi assume post-alternanza, senza alcun tipo di riferimento alla tipologia contrattuale.Così facendo a scuola insegna la precarietà, introduce in un futuro precario, favorisce dumping salariale e scontro genarazionale.In quale mondo del lavoro saranno inseriti questi studenti? Non si può non inserire un provvedimento di questo tipo nell’inaccettabile panorama delineato dal Jobs-Act e dal decreto Poletti.

In questa condizione generale di precarietà, sono sempre di più i giovani disposti a svolgere lavori in nero, spesso per paghe bassissime e con orari di lavoro sfiancanti, nella speranza di trovare un lavoro vero oppure per riuscire a pagare le tasse sull'istruzione ormai elevatissime. Anche riuscendo a completare gli studi sopportando gli elevatissimi costi dell’Istruzione in Italia, non abbiamo nessuna certezza di avere in futuro una vita serena, un lavoro sicuro e una stabilità economica. La nostra economia dimostra anno dopo anno di non essere in grado di offrire un posto di lavoro a tutti coloro che escono dai luoghi della formazione. Le uniche prospettive che ci vengono offerte sono precarie e non garantiscono in alcun modo il lavoratore: noi non avremo diritto alla certezza di uno stipendio, alle ferie e ai permessi per malattia, alla pensione. Oramai anche i contratti di apprendistato sono una tra le tipologie migliori in circolazione, tanto è precarizzato il lavoro e tanto sono diffuse le forme di lavoro atipiche. Questa è la precarietà che vive chi termina gli studi, questo è il futuro precario che ci viene offerto. Il decreto “Poletti” e “Jobs Act” sono solo le ultime misure di un lunghissimo percorso di precarizzazione che mira a ridurre i costi del lavoro ed abbattere le tutele sindacali, senza alcuna attenzione alla ricaduta sociale: incapacità di costruirsi una vita autonomamente, incapacità di fare progetti e non temere il futuro. L’unica soluzione messa in campo per risolvere il problema della disoccupazione giovanile è stata la Garanzia

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Cosa rivendichiamo

Giovani che però si è dimostrata totalmente inefficace, rispetto ai numeri di partecipanti, e rispetto all’obiettivo di fondo. Non si può infatti pensare di risolvere il problema della disoccupazione giovanile con l’idea che basti trovare un lavoro purché sia, senza alcuna limitazione delle tipologie contrattuali di inserimento, puntando a favorire la precarietà al posto di abbatterla.

Da un lato è necessario promuovere investimenti strutturali per una radicale inversione di tendenza nello sviluppo del Paese. Occorre modificare il tessuto produttivo per puntare ad un mercato del lavoro che sappia puntare al rialto e non al ribasso. La causa della disoccupazione giovanile non può che essere ricerca nel mercato del lavoro stesso, attribuirla all’istruzione sarebbe un’inaccettabile “scarica barile” sulle responsabilità oltre che un facile espediente per introdurre ancor più l’esistente nei meccanismi sociali che hanno creato la crisi. Dall’altro lato, occorre ristrutturare il welfare con un reddito minimo esteso a tutte le fasce della popolazione attiva.Noi non possiamo che rivendicare un lavoro che sia forma di emancipazione dell’individuo e di persecuzione delle proprie attitudini, compatibile con i propri spazi e tempi di vita, ma non precario. La flessibilità deve poter essere una scelta del lavoratore basata sulle proprie esigenze di vita, non un annullamento dei diritti, non una imposizione calata dall’alto da accettare senza se e senza ma. Per noi il lavoro non può essere fatica e sfruttamento, ma un complesso di attività in grado di realizzare la persona in tutte le sue potenzialità.

Basta lavoro precario, ridiamo dignità a questa generazione!

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