10
Emil Fackenheim, “L’Olocausto e la filosofia” I filosofi hanno sistematicamente ignorato l’Olocausto. Perché? Primo: essendo inclini all’universale, i filosofi hanno poca consuetudine con il particolare, e ancor meno con l’unico. Così l’Olocausto diventa al massimo un caso di genocidio tra gli altri. Tuttavia, i filosofi hanno prestato attenzione a ciò che è radicalmente [momentously] unico. Hegel e Marx si sono occupati della Rivoluzione Francese, non di rivoluzioni in generale. Secondo: di rado i filosofi prendono in considerazione le questioni ebraiche. Per quanto riguarda l’ebraismo, il termine giudeo-cristiano raramente significa qualcosa di più di un segno di riconoscimento. Per quanto riguarda gli ebrei, essi sono un gruppo “etnico” o “religioso” tra gli altri, così come l’antisemitismo è ridotto ad un “pregiudizio”. Eccezionale è un’opera come Antisemita ed ebreo di Jean Paul Sartre, ed anch’essa è più adatta a definire l’“anti-semita” che l’“ebreo”. Tuttavia, il Terzo Reich, non soltanto la componente che prese parte all’Olocausto, fu “l’unico regime tedesco – l’unico regime in ogni tempo e luogo – ad avere come principio evidente nient’altro che l’odio omicida nei confronti degli ebrei, per cui ‘Ariano’ non significava altro che ‘non- ebreo’” (I giapponesi erano “ariani” onorari, e il Muftì “semita” di Gerusalemme era un ospite benvenuto nella Berlino nazista). Terzo: la Rivoluzione Francese, sebbene radicale, è un evento positivo. L’Olocausto è distruttivamente negativo. In quanto uomini, i filosofi hanno la tentazione di fuggire da esso ricorrendo a qualche formula livellante come “l’inumanità dell’uomo verso l’uomo specialmente in tempo di guerra” (Arnold Toynbee: “Ciò che i nazisti hanno fatto non è qualcosa di speciale”). In quanto filosofi, che sempre hanno avuto problemi con il male, hanno ora un nuovo problema. Tuttavia, i filosofi devono affrontare le aporie, non evaderle o ignorarle. Questo saggio considera l’Olocausto come unico; come antiebraico non accidentalmente, ma essenzialmente; e come un novum nella storia del male. L’unicità dell’Olocausto Il genocidio degli ebrei nella Seconda Guerra Mondiale ricorda molto da vicino il genocidio degli armeni nella Prima Guerra Mondiale. Entrambi furono 1) tentativi di sterminare un intero popolo; 2) compiuti con il favore della guerra; 3) con la massima

Emil Fackenheim, L'Olocausto e la filosofia

Embed Size (px)

DESCRIPTION

Articolo sul rapporto tra Olocausto e filosofia

Citation preview

Page 1: Emil Fackenheim, L'Olocausto e la filosofia

Emil Fackenheim, “L’Olocausto e la filosofia”

I filosofi hanno sistematicamente ignorato l’Olocausto. Perché?Primo: essendo inclini all’universale, i filosofi hanno poca consuetudine con il particolare, e ancor meno con l’unico. Così l’Olocausto diventa al massimo un caso di genocidio tra gli altri. Tuttavia, i filosofi hanno prestato attenzione a ciò che è radicalmente [momentously] unico. Hegel e Marx si sono occupati della Rivoluzione Francese, non di rivoluzioni in generale. Secondo: di rado i filosofi prendono in considerazione le questioni ebraiche. Per quanto riguarda l’ebraismo, il termine giudeo-cristiano raramente significa qualcosa di più di un segno di riconoscimento. Per quanto riguarda gli ebrei, essi sono un gruppo “etnico” o “religioso” tra gli altri, così come l’antisemitismo è ridotto ad un “pregiudizio”. Eccezionale è un’opera come Antisemita ed ebreo di Jean Paul Sartre, ed anch’essa è più adatta a definire l’“anti-semita” che l’“ebreo”. Tuttavia, il Terzo Reich, non soltanto la componente che prese parte all’Olocausto, fu “l’unico regime tedesco – l’unico regime in ogni tempo e luogo – ad avere come principio evidente nient’altro che l’odio omicida nei confronti degli ebrei, per cui ‘Ariano’ non significava altro che ‘non-ebreo’” (I giapponesi erano “ariani” onorari, e il Muftì “semita” di Gerusalemme era un ospite benvenuto nella Berlino nazista). Terzo: la Rivoluzione Francese, sebbene radicale, è un evento positivo. L’Olocausto è distruttivamente negativo. In quanto uomini, i filosofi hanno la tentazione di fuggire da esso ricorrendo a qualche formula livellante come “l’inumanità dell’uomo verso l’uomo specialmente in tempo di guerra” (Arnold Toynbee: “Ciò che i nazisti hanno fatto non è qualcosa di speciale”). In quanto filosofi, che sempre hanno avuto problemi con il male, hanno ora un nuovo problema. Tuttavia, i filosofi devono affrontare le aporie, non evaderle o ignorarle. Questo saggio considera l’Olocausto come unico; come antiebraico non accidentalmente, ma essenzialmente; e come un novum nella storia del male.

L’unicità dell’Olocausto

Il genocidio degli ebrei nella Seconda Guerra Mondiale ricorda molto da vicino il genocidio degli armeni nella Prima Guerra Mondiale. Entrambi furono 1) tentativi di sterminare un intero popolo; 2) compiuti con il favore della guerra; 3) con la massima segretezza; 4) dopo la deportazione delle vittime, con deliberata crudeltà, in luoghi remoti; 5) tutto ciò suscitando poche reazioni contrarie o anche solo proteste verbali da parte del mondo civile. Senza dubbio i nazisti ebbero da imparare e furono incoraggiati dal precedente armeno. Queste sono singolari affinità. Altrettanto singolari, tuttavia, sono le differenze. Le deportazioni armene da Istanbul furono fermate dopo qualche tempo, sia a causa di problemi politici che per le difficoltà logistiche poste da una città così grande. Berlino, Vienna, Amsterdam, Varsavia furono “rastrellate” [“combed”] per scovarvi gli ebrei. In questo, la maggiore efficienza teutonica ebbe un ruolo secondario; il ruolo primario lo ebbe una Weltanschauung. In America esistono riserve indiane. Riserve ebraiche in un impero nazista vittorioso sono inconcepibili: per contro, erano già stati pianificati musei per una “razza estinta”. A differenza dei turchi, i nazisti cercavano una “soluzione finale” di un “problema” – finale solo se, al minimo, l’Europa e, al massimo, il mondo intero fosse judenrein. In tedesco questa parola non ha corrispettivi come polenrein, russenrein, slavenrein. In altre lingue non esiste affatto; poiché Giordania ed Arabia Saudita sono di fatto senza ebrei, manca la Weltanschauung. L’Olocausto, allora, è solo un caso della classe “genocidio”. Come caso della classe: “sterminio deliberato, pianificato e largamente riuscito”, esso è senza precedenti e, almeno fino ad ora, senza seguito. È unico. Ugualmente unici sono i mezzi necessari a realizzare questo fine. Essi includono 1) una definizione scolasticamente precisa delle vittime; 2) procedure giuridiche per privarle di qualsiasi diritto; 3) un apparato tecnico culminante in treni della morte e camere a gas; e 4), soprattutto, un vero e proprio

Page 2: Emil Fackenheim, L'Olocausto e la filosofia

esercito di assassini e di complici diretti o indiretti: impiegati, giornalisti, avvocati, banchieri, medici, soldati, ferrovieri, impresari, ed una lista infinita di altri. La relazione tra complici diretti e indiretti è tanto importante quanto la distinzione. Lo storico tedesco Karl Dietrich Bracher intende la Germania nazista come un sistema duale. La sua parte interna era costituita dallo “stato delle SS”; quella interna, dall’establishment tradizionale – servizio civile, esercito, scuole, università, chiese. Quest’ultimo sistema mantenne un’esistenza separata fino alla, ma fu sempre più penetrato, manipolato, pervertito. E poiché esso oppose resistenza a questo processo solo occasionalmente e mai in maniera radicale, consentì allo stato delle SS di fare ciò che mai avrebbe potuto fare contando soltanto sui propri mezzi. Se i ferrovieri avessero organizzato forme di sciopero o di sabotaggio, o fossero semplicemente fuggiti, non ci sarebbe stato Auschwitz. Se l’esercito tedesco si fosse comportato analogamente, non ci sarebbero stati né Auschwitz né la Seconda Guerra Mondiale. Il presidente americano Ronald Reagan non sarebbe andato a Bitburg anche se nessuna SS vi fosse stata sepolta. Questo era l’esercito richiesto per il “come” dell’Olocausto. Il “perché” richiedeva un esercito di storici, filosofi, teologi. Gli storici riscrissero la storia. I filosofi dimostrarono che l’umanità è “ariana” o “non-ariana” prima ancora di essere umana. I teologi si divisero tra cristiani che consideravano Gesù un “ariano” e neo-pagani che rifiutavano il cristianesimo stesso come “non-ariano”; le differenze erano minime se paragonate agli obiettivi comuni. In questo caso si trattava di complici diretti. Ma anche qui necessitavano complici indiretti. Senza il prestigio di filosofi come Martin Heidegger e teologi come Emanuel Hirsch, la National-sozialistische Weltanschauung avrebbe ottenuto quell’aura di potere e rispettabilità? Ne avrebbe avuta alcuna? Lo storico cattolico-scozzese Malcolm May si domanda perché ciò che accadde in Germania non accadde in Francia quarant’anni prima, durante l’affare Dreyfus. La risposta è che in Francia c’erano cinquanta uomini giusti. Quale fu il “perché” dell’Olocausto? Sorprendentemente, ma significativamente, anche coloro che ne furono i maggiori artefici affrontarono raramente il problema. Tra questi va annoverato senza dubbio il comandante di Treblinka, Franz Stangl (Treblinka ebbe il minor numero di sopravvissuti). In una intervista rilasciata dopo la guerra, gli fu chiesto quale ragione egli adducesse, all’epoca dei fatti, per lo sterminio degli ebrei. Stangl rispose che volevano il loro denaro – come se gli ebrei non fossero stati per lungo tempo spogliati e derubati! Davvero Stangl non ne era a conoscenza? Sebbene Treblinka stessa fosse un segreto, la sua raison d’etre era sempre stata pubblica. Nella Weltanschauung nazista gli ebrei erano la feccia [vermin], e come tali non potevano essere giustiziati, assassinati, né si potevano risparmiare i bambini e i vecchi: dovevano essere sterminati – in modo freddo, sistematico, senza partecipazione emotiva, senza pensarci su. Quella della “feccia” (o del “virus” o “parassita”) è una “mera metafora”? Nel 1942, durante una conversazione a tavola, proprio dopo la conferenza di Wannsee che progettava la “soluzione finale”, Hitler disse: “La scoperta del virus ebraico è una delle più grandi rivoluzioni […] nel mondo. La battaglia che noi osiamo combattere è dello stesso tipo di quella di Pasteur e Koch nel secolo precedente. Quanti malanni possono essere ricondotti al virus ebraico! Noi ritroveremo la nostra salute solo quando avremo sterminato gli ebrei”. Per il razzismo, le “razze inferiori” sono pur sempre umane; anche per il razzismo nazista, gli slavi sono semplicemente troppi. Per l’antisemitismo nazista, gli ebrei non sono umani; essi non devono esistere affatto. La risposta di Stangl alla prima domanda del suo intervistatore era sbagliata, così come la risposta alla seconda domanda. “Se li avreste uccisi in ogni caso”, gli fu chiesto, “qual era la ragione di tutta quell’umiliazione, perché tutta quella crudeltà?”. Egli rispose: “Per condizionare realmente coloro che dovevano eseguire gli ordini. Perché fosse loro possibile fare ciò che facevano”. L’intervistatore manifestò dei dubbi sulla prima risposta di Stangl, ma accettò la seconda come onesta e sincera. Può essere stata onesta, ma non vera. La “crudeltà” includeva orrendi non-esperimenti [in-experiments] medici su donne, bambini, neonati. L’“umiliazione” significava anche costringere degli ebrei devoti a sputare sui rotoli della Torah e, quando non avevano più saliva, soccorrerli prontamente sputando nelle loro bocche. Tutto ciò era più semplice, per chi lo faceva,

Page 3: Emil Fackenheim, L'Olocausto e la filosofia

che premere grilletti e spingere bottoni? Treblinka – l’Olocausto – aveva due scopi ultimi: lo sterminio ed anche il massimo di umiliazione e di tortura. Anche questo – poteva Stangl non esserne stato consapevole? – aveva sempre fatto parte della Weltanschauung pubblica. Nel 1936 Julius Streicher affermò che “chi combatte gli ebrei combatte il diavolo” e che “chi domina il diavolo conquista il cielo”. Ed egli, il più vile, il più pornografico dei nazisti, aveva soltanto fatto eco a quanto il nazista più autorevole (ed ugualmente pornografico) aveva scritto molti anni prima: “Con gioia satanica sul suo volto, il giovane ebreo dai capelli neri si nasconde in attesa della donna ignara, per profanarla con il suo sangue. […] Difendendomi dagli ebrei, io lotto per l’opera del Signore”. “Punire” il “diavolo ebraico” con l’umiliazione e la tortura, allora, era parte della salvezza “ariana”. Forse era tutto. Il “diavolo ebraico” e la “feccia ebraica” (o “bacillo”, “parassita”, “virus”) andavano di pari passo nella teoria nazista. Per esempio, si consideri questo passo di Hitler del 1923, citato da Joachim C. Fest: “Gli ebrei sono indubbiamente una razza, ma non sono umani. Non possono essere umani nel senso di essere immagine di Dio, dell’Eterno. Gli ebrei sono l’immagine del diavolo. L’influsso giudaico [Jewry] è la tubercolosi razziale delle nazioni”. Di pari passo nella teoria, “diavolo” e “feccia” vennero sintetizzati nella prassi di Auschwitz, e questo rappresentò un novum senza precedenti nell’ambito sia del reale che del possibile. Anche nel peggiore degli stati, la pena è comminata per un’azione – il che può spiegare l’assunto di Hegel, sostenibile in passato ma ora non più, secondo cui uno stato qualsiasi è sempre meglio che nessuno stato. E persino nell’inferno dell’immaginazione poetica e teologica, l’innocente non può essere toccato. La prassi di Auschwitz era basata su un principio nuovo: per una parte dell’umanità, l’esistenza stessa è un crimine, punibile con l’umiliazione, la tortura e la morte. E il nuovo mondo prodotto da questa prassi includeva due tipi di abitanti: quelli che subivano la “pena” e quelli che la amministravano. Pochi hanno ancora compreso il carattere di novità di questo mondo. I sopravvissuti lo hanno compreso da sempre. Essi si riferivano a tutte le vittime “condannate” con il termine k’doshim (“i santi”), poiché anche quelli che tra loro erano criminali erano innocenti rispetto al crimine per cui erano stati “condannati”. Si riferivano al nuovo mondo, creato dai carnefici, come ad un “universo” differente dal proprio, o ad un “pianeta” diverso da quello in cui abitano gli uomini. Il fatto con cui gli storici ed i filosofi devono misurarsi è che Auschwitz non era un regno di questo mondo.

L’olocausto e lo storico

Tuttavia l’Olocausto ebbe luogo nel nostro mondo. Lo storico deve spiegare questo fatto, e il filosofo deve riflettere sull’opera dello storico.Raul Hilberg ha esaminato attentamente il “come” dell’Olocausto. Rispondendo al “perché”, egli ha detto: “Accadde perché volevano che accadesse”. Questa risposta sottolinea mirabilmente i ruoli rispettivi della Weltanschauung nazista e del processo decisionale ad essa connesso. Ma come si può accettare una simile Weltanschauung? Come si possono prendere decisioni di questo genere? Quasi rispondendo a queste ulteriori domande, Bracher ha scritto: “Lo sterminio [degli ebrei] si nutrì della follia biologistica dell’ideologia nazista, e per questa ragione è completamente diverso dagli orrori delle rivoluzioni e delle guerre del passato”. Ma sorgono ancora altre domande. Che cosa o chi era folle, l’ideologia o quelli che la crearono, la sostennero, la diffusero? In quest’ultimo caso, chi? Un solo uomo? O quest’uomo insieme ai suoi complici diretti? Oppure anche i complici indiretti? E, all’apice della questione, la “follia” può essere in se stessa una spiegazione, o è soltanto un modo per dire che i tentativi di spiegazione sono giunti al termine? Gli storici saranno riluttanti a trarre questa conclusione. Il “diavolo ebraico” non ha una lunga tradizione, che risale al Nuovo Testamento (cfr. specialmente Giovanni 8, 44)? Anche per la “feccia ebraica” (o “virus”, “parassita”), Hitler attinse alla cianfrusaglia antisemita dei decenni precedenti. Indubbiamente senza questi fattori l’Olocausto sarebbe stato impossibile, fatto che di per sé è sufficiente a distinguere nettamente l’evento in questione da altri genocidi. Ma questi (ed altri) fattori sono sufficienti per rendere l’Olocausto possibile? Spiegare un evento significa mostrare

Page 4: Emil Fackenheim, L'Olocausto e la filosofia

come esso è stato possibile, ma la mente accetta la possibilità dell’Olocausto, in ultima analisi, solo perché l’Olocausto è accaduto [was actual]. In breve, sembra che la spiegazione assuma una forma circolare. Nella sua incessante ricerca di spiegazioni, lo storico deve rispondere a questa sfida rivolgendo lo sguardo in maniera sempre più nitida su ciò che nell’Olocausto è unico. Il filosofo deve meditare sulla sentenza paradossale di Hans Jonas a proposito dell’Olocausto: “Il reale supera di gran lunga il possibile” [Much more is real than is possibile]. In termini minimi, ciò che divenne reale ad Auschwitz è sempre stato possibile, ma che sia così lo sappiamo ora. In termini massimi, Auschwitz ha reso possibile ciò che prima era impossibile; per questa ragione si tratta di un precedente. In entrambi i casi, i filosofi devono affrontare un novum all’interno di una questione vecchia quanto Socrate: che cosa significa essere uomini? [what does it mean to be human?]

Il Muselmann

Allan Bullock sottolinea come l’originalità di Hitler non fosse nelle idee, ma nel “modo terribilmente letterale in cui […] traduceva la fantasia in realtà, e [nel]la sua ineguagliata intuizione dei mezzi necessari per operare ciò”. Un prodotto originale di questa “traduzione” era il cosiddetto Muselmann. Se nel Gulag il dissidente subisce torture di carattere psichiatrico, secondo la teoria per cui nel paradiso dei lavoratori un tipo del genere dev’essere matto, la prassi di Auschwitz riduce il “non-ariano” ad un cadavere ambulante coperto dalla propria sporcizia, secondo la teoria per cui egli deve rivelarsi come la ripugnante creatura che era fin dalla nascita, sebbene sotto mentite spoglie [disguisedly]. In realtà, i Muselmänner includevano anche innumerevoli “Ariani”. Ma, come è più corretto dire che “i nazisti erano razzisti perché erano antisemiti” piuttosto che il contrario, così è più corretto dire che i Muselmänner non-ebrei erano ebrei-per-associazione piuttosto che definire i Muselmänner ebrei come una sottospecie dei “nemici del Reich”. Il processo si incentrava in particolare sugli ebrei. Le sue implicazioni, comunque, riguardano l’intera condizione umana e, dunque, i filosofi. Tra questi, pochi negherebbero che morire la propria morte [to die one’s own death] sia parte della libertà dell’io: in Essere e tempo di Martin Heidegger questa libertà è fondamentale. Sul Muselmann di Auschwitz Primo Levi scrive: “La loro vita è breve, ma il loro numero è infinito. Essi, i Muselmänner, i sommersi, formano la spina dorsale del campo, una massa anonima, continuamente rinnovata e sempre identica, di non-uomini che marciano e lavorano in silenzio, la scintilla divina in loro è morta, troppo vuoti per soffrire veramente. Si esita a chiamarli viventi; si esita a chiamare morte la loro morte”. A morire la propria morte è sempre stata una libertà che, accidentalmente, andava perduta. Sul pianeta Auschwitz, tuttavia, la sua perdita divenne essenziale, e la sua sopravvivenza accidentale. Scrive in proposito Theodor Adorno: “Con l’assassinio amministrato di milioni di uomini la morte è diventata qualcosa che mai prima poteva essere temuta in questa maniera. La morte non entra più nell’esperienza di vita dell’individuo, come qualcosa che si armonizza con il suo corso. Nei campi non era più l’individuo a morire, ma l’esemplare [specimen]. Ciò deve incidere anche sulla morte di coloro che sfuggirono alla procedura”. I filosofi devono affrontare una nuova aporia, che scaturisce dalla necessità di ascoltare il silenzio del Muselmann.

Male “banale” e Pianeta Auschwitz

Da un nuovo modo di essere uomini – quello delle vittime – ci rivolgiamo ora all’altro, quello dei carnefici. Da Socrate, i filosofi hanno conosciuto il male come ignoranza; ma tra gli operatori di Auschwitz c’erano dei dottori di ricerca [Ph. D. s]. Da Kant, i filosofi hanno conosciuto il male come debolezza, come cedimento all’inclinazione; ma Eichmann a Gerusalemme chiamò in causa, non del tutto a sproposito, l’imperativo categorico. Dalla psichiatria, la filosofia ha imparato a conoscere il male come patologia [sickness]; ma gli “intellettuali SD” che in maniera così efficiente progettarono la “soluzione finale” detestavano i sadici tipo Streicher [?], “volevano essere

Page 5: Emil Fackenheim, L'Olocausto e la filosofia

considerati brave persone” e avevano come “loro unico obiettivo […] risolvere il cosiddetto problema ebraico in modo freddo, razionale”. La filosofia ha anche avuto un’idea di ciò che i teologi chiamano male “radicale” o “demoniaco” – la grandezza diabolica che dice al male: “sei tu il mio bene!” Tuttavia, proprio come molti nel mondo subirono uno shock umano quando videro i filmati dei nazisti più famosi ai processi di Norimberga, così Hannah Arendt – un tardivo uccello di Minerva – subì uno shock filosofico quando, più di una dozzina di anni dopo, osservò Eichmann al suo processo di Norimberga. Di grandezza, in tutti loro, non c’era traccia. Il caratteristico criminale nazista era invece un individuo dozzinale [dime-a-dozen] che, essendo stato una volta un cittadino ordinario, anzi rispettato, si macchiò ad Auschwitz di crimini di una gravità e su una scala fino a quel momento inimmaginabili, solo per ridiventare, alla fine, un cittadino ordinario, senza alcun segno di notti insonni e sofferte. Eichmann era solo questo. Altri sono stati sorpresi a vivere in graziosi sobborghi, e i vicini hanno testimoniato di come si prendessero cura dei loro giardini e fossero amabili con i loro cani. Himmler stesso, se fosse scampato alla prigionia e all’impulso suicida, sarebbe tranquillamente ritornato al suo allevamento di polli. Il filosofo in Arendt cercava qualche profondità in questi uomini, e non ne trovò alcuna. Si trattava di persone “banali”, che commisero quello che a buon diritto può essere chiamato il più grande crimine della storia; e fu il sistema a metterli in condizione di compiere le loro atrocità. Il concetto di “male banale”, in ogni caso, è solo in parte un pensiero filosofico. Chi altri creò e mantenne il sistema, se non quelli come Himmler, Eichmann, Stangl, e il soldato ignoto che fu una SS assassina? In risposta a ciò, molti chiamerebbero senza dubbio in causa un uomo non ancora da noi annoverato tra i tipi banali. Ed, è vero, Adolf Hitler aveva una “intuizione ineguagliata dei mezzi” attraverso i quali “tradurre la fantasia in realtà”. Inoltre, l’intero Reich nazista, e dunque il Pianeta Auschwitz, si sarebbe indubbiamente disintegrato se qualche santo eroe fosse riuscito nell’impresa di uccidere proprio quell’unico individuo. Anche in questo caso, è impossibile ricondurre l’enormità del male perpetrato da tutti quegli uomini banali ad una qualche mostruosa grandezza del loro Führer. Infatti, se è una “superstizione […] che un uomo che influenzò grandemente il destino delle nazioni debba essere anch’egli grande”, allora Hitler è l’illustrazione più chiara di questa verità. Le sue idee, seppur esplose in una pretenziosa Weltanschauung, sono banali [trite]; tale è anche l’uomo, nonostante tutte le pose assunte per mascherare questo fatto. Piuttosto che una bassa astuzia, il suo unico tratto distintivo è una passione divorante, ed anch’essa è soprattutto nutrita da un bisogno, tanto futile quanto illimitato, di mostrare a loro – a chi? – che il nessuno è qualcuno [the nobody is somebody]. Questo “vero credente” [“true believer”] credeva davvero nelle cose che diceva? Ebbe mai il coraggio di esaminarle? Certamente – tutti i suoi biografi sono colpiti da questo fatto – egli non le ri-esaminò mai. Presumibilmente, anche quelle credenze facevano parte di una messa in scena in stile wagneriano, conclusasi con la morte teatrale del protagonista. A prescindere da queste considerazioni storiche, dobbiamo affrontare un problema filosofico. Se accettiamo e filosoficamente radicalizziamo la giustificazione addotta da Eichmannn, per cui egli sarebbe stato un semplice “ingranaggio nel sistema” [“cog in the wheel”], finiamo per attribuire ai pochi – anche ad uno solo? – un potere di ipnotizzare, manipolare, dominare, terrorizzare che è al di là di ogni umanità, e attribuire ai molti una suggestionabilità, manipolabilità e codardia [craven cowardice] che sono al di qua di ogni umanità. Ancora, se Auschwitz era un regno non di questo mondo, i suoi creatori ed operatori non erano né sovrumani né subumani, ma piuttosto – pensiero terrificante! – uomini come noi. Quindi, in gradi liberamente variabili, gli ipnotizzati e manipolati consentirono a se stessi di subire quel trattamento, e i dominati e terrorizzati si arresero alla loro codardia [craven cowardice]. Non solo Eichmann, ma ognuno di loro rappresentò qualcosa di più di un ingranaggio nel sistema. Gli operatori del sistema Auschwitz furono tutti i suoi creatori non banali così come tutte le sue creature banali. Un momento di verità, in tal senso, si ebbe durante il processo del 1964 per i crimini di Auschwitz, tenuto a Francoforte, in Germania. Un sopravvissuto ha testimoniato che, grazie ad un ufficiale SS di nome Flacke, un sottocampo di Auschwitz era stato un’“isola di pace”. Il giudice balzò su dalla

Page 6: Emil Fackenheim, L'Olocausto e la filosofia

sedia, elettrizzato: “Lei vuol dire che ognuno poteva decidere per se stesso di stare bene o male ad Auschwitz?”, domandò. “Questo è esattamente quello che voglio dire”, fu la risposta del testimone. Ma allora perché le eccezioni come quella di Flacke furono così rare da non poterle quasi toccare, e da non intaccare minimamente il corretto funzionamento della macchina dell’umiliazione, della tortura e dell’omicidio? E quelli che costituivano la regola, tutti uomini banali, come riuscirono ad innestare nel nostro mondo un male “sommo” [a “kingdom” evil] senza precedenti, assolutamente lontano dalla banalità e destinato ad ossessionare l’umanità, come un fantasma, per sempre? Noi non possiamo rispondere alla prima domanda. Messo alle strette dall’aporia della seconda, il filosofo non potrà che ripiegare su un detto familiare: Auschwitz come intero – al pari del Reich come intero, specialmente per come si è manifestato negli interminabili, vuoti Sieg heil del Parteitage di Norimberga – era qualcosa di più della somma delle sue parti. I filosofi hanno applicato senza esitazioni questo detto agli organismi animali. Alle realtà umane – una società, uno stato, una civiltà, un “mondo” – lo hanno applicato con qualche cautela, e soltanto se l’intero incrementa l’umanità di tutti al di là di ciò che sarebbe possibile alle singole parti, prese separatamente o in connessione tra loro. È nel contrasto con questa idea che il novum dell’Olocausto-come-intero [Holocaust-whole] si manifesta nel suo puro e semplice orrore. Esso non incrementa l’umanità dei suoi membri. Al contrario, l’Olocausto fu puramente teso alla distruzione dell’umanità (oltre che delle vite) delle vittime; nel perseguire questa meta, i carnefici distrussero la loro stessa umanità, anche in quanto non opposero resistenza alla sua distruzione. Perseguendo una meta vecchia di secoli, la questione socratica: “che cos’è l’uomo?”, il filosofo è, ora come allora, pieno di meraviglia. Ma la meraviglia antica è ora commista con un orrore nuovo.