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Un nuovo genere letterario La narrativa per ragazzi è un tipo di letteratura caratteristico dell’Età moderna. Anzi, in Italia, non se ne trova praticamente traccia fino agli anni Ottanta del XIX secolo, allorché furono pubblicati Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi (1881) e Cuore di Edmon- do De Amicis (1886). Rispetto alla tradizione romanzesca precedente, questi due scrit- tori operarono una specie di rivoluzione letteraria; infatti se pensiamo, ad esempio, ai Promessi sposi, l’opera di Manzoni ci colpisce proprio per la pressoché totale assenza del- l’infanzia, che lo scrittore lombardo dimentica completamente quando costruisce il grup- po dei suoi personaggi più significativi. Manzoni si sforzò di operare secondo i criteri e le indicazioni programmatiche che erano nati nell’ambiente romantico milanese degli anni della Restaurazione: in altre parole, si pro- pose di elaborare una letteratura veramente nazionale e popolare. Eppure, trascura del tut- to i bambini come potenziale bacino di utenza da cui trarre i suoi famosi venticinque let- tori, dando per scontato che la letteratura si rivolgesse solo ed esclusivamente agli adulti. Al contrario, sia Collodi che De Amicis indirizzarono i loro romanzi proprio a un pub- blico di bambini; nel medesimo tempo, introdussero come protagonisti delle loro opere figure in cui i destinatari privilegiati dei libri potessero identificarsi, creando quell’inedi- to «apporto di identità anagrafica tra personaggi e let- tori» che rappresentò «il fulcro decisivo per le fortune del nuovo genere letterario» (V. Spinazzola). La narrativa di cui Collodi e De Amicis furono gli in- discussi pionieri si caricò fin dall’inizio di precise va- lenze educative e, quindi, ideologiche. Essi non si po- nevano per nulla in concorrenza con la scuola pubbli- ca; semmai, nella creazione di un nuovo tipo di italia- no, tutto da costruire, si proposero di integrare gli sfor- zi dell’istituzione scolastica, rendendosi conto del fat- to che il messaggio trasmesso dagli insegnanti nell’or- dinario percorso didattico, e con gli strumenti allora a disposizione (sussidiario, libro di lettura), poteva risul- tare assai poco incisivo. Se proprio vogliamo individuare un soggetto educativo alternativo, che gli autori di Cuo- re e di Pinocchio tentarono di contrastare, questo fu la Chiesa cattolica: essa, infatti, a fine Ottocento era an- cora su posizioni intransigenti, criticava severamente il nuovo Stato unitario e dunque era percepita dagli ere- di del Risorgimento come una pericolosa rivale nella co- struzione della Nazione e nell’elaborazione dei valori su cui fondarla. Sul piano didattico, il compito che Collodi e De Ami- cis si assunsero fu inedito e difficilissimo: si trattava in- fatti di coniugare piacevolezza della narrazione (e, in primo luogo, capacità di coinvolgere e appassionare Educare i nuovi italiani: Cuore e Pinocchio 1 UNITÀ 8 Educare i nuovi italiani: Cuore e Pinocchio F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012 APPROFONDIMENTO C CULTURA, CIVILTÀ E RELIGIOSITÀ Edmondo De Amicis.

Educare i nuovi italiani: Cuore - seieditrice.com · stesso anno in cui uscì I Malavoglia, di Giovanni Verga); in un primo tempo, il raccon-to apparve a puntate sulle pagine di un

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Un nuovo genere letterarioLa narrativa per ragazzi è un tipo di letteratura caratteristico dell’Età moderna. Anzi, inItalia, non se ne trova praticamente traccia fino agli anni Ottanta del XIX secolo, allorché furono pubblicati Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi (1881) e Cuore di Edmon-do De Amicis (1886). Rispetto alla tradizione romanzesca precedente, questi due scrit-tori operarono una specie di rivoluzione letteraria; infatti se pensiamo, ad esempio, aiPromessi sposi, l’opera di Manzoni ci colpisce proprio per la pressoché totale assenza del-l’infanzia, che lo scrittore lombardo dimentica completamente quando costruisce il grup-po dei suoi personaggi più significativi. Manzoni si sforzò di operare secondo i criteri e le indicazioni programmatiche che eranonati nell’ambiente romantico milanese degli anni della Restaurazione: in altre parole, si pro-pose di elaborare una letteratura veramente nazionale e popolare. Eppure, trascura del tut-to i bambini come potenziale bacino di utenza da cui trarre i suoi famosi venticinque let-tori, dando per scontato che la letteratura si rivolgesse solo ed esclusivamente agli adulti. Al contrario, sia Collodi che De Amicis indirizzarono i loro romanzi proprio a un pub-blico di bambini; nel medesimo tempo, introdussero come protagonisti delle loro operefigure in cui i destinatari privilegiati dei libri potessero identificarsi, creando quell’inedi-to «apporto di identità anagrafica tra personaggi e let-tori» che rappresentò «il fulcro decisivo per le fortunedel nuovo genere letterario» (V. Spinazzola).La narrativa di cui Collodi e De Amicis furono gli in-discussi pionieri si caricò fin dall’inizio di precise va-lenze educative e, quindi, ideologiche. Essi non si po-nevano per nulla in concorrenza con la scuola pubbli-ca; semmai, nella creazione di un nuovo tipo di italia-no, tutto da costruire, si proposero di integrare gli sfor-zi dell’istituzione scolastica, rendendosi conto del fat-to che il messaggio trasmesso dagli insegnanti nell’or-dinario percorso didattico, e con gli strumenti allora adisposizione (sussidiario, libro di lettura), poteva risul-tare assai poco incisivo. Se proprio vogliamo individuareun soggetto educativo alternativo, che gli autori di Cuo-re e di Pinocchio tentarono di contrastare, questo fu laChiesa cattolica: essa, infatti, a fine Ottocento era an-cora su posizioni intransigenti, criticava severamente ilnuovo Stato unitario e dunque era percepita dagli ere-di del Risorgimento come una pericolosa rivale nella co-struzione della Nazione e nell’elaborazione dei valori sucui fondarla.Sul piano didattico, il compito che Collodi e De Ami-cis si assunsero fu inedito e difficilissimo: si trattava in-fatti di coniugare piacevolezza della narrazione (e,in primo luogo, capacità di coinvolgere e appassionare

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Edmondo De Amicis.

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alla lettura un pubblico potenzialmente refrattario) e incisività del messaggio pedagogicoproposto. Forse, il compito fu a entrambi facilitato dal fatto di essere giornalisti, cioè scrit-tori abituati da tempo a dialogare con un pubblico vasto e variegato; certo, si trattava an-cora di un pubblico di adulti, ma che non era più formato solamente da un ristretto grup-po di specialisti o di professionisti delle lettere: come i potenziali piccoli lettori dei nuo-vi romanzi, anch’esso andava conquistato con abili strategie accattivanti o con tecniche nar-rative idonee a catturare e mantenere elevata la soglia dell’attenzione.Quanto al messaggio, esso può essere sintetizzato nel modo seguente: l’Italia è un paesegiovane e povero, ma la nuova generazione (quella dei lettori dei testi in questione) puòmigliorarlo e rafforzarlo. Si trattava ovviamente di un discorso moderato, che solo mar-ginalmente chiedeva radicali cambiamenti sociali e politici; per quanto la miseria dei cetipiù umili fosse affrontata di petto e per nulla mascherata o nascosta, l’accento cadeva sem-pre sul contributo che ogni singolo cittadino poteva offrire, sulla coscienza e l’onestàdell’individuo, sulla sua laboriosità, sulla determinazione che ciascuno doveva mettere nelportare a compimento gli impegni assunti. L’Italia – si diceva, in sintesi – non aveva tan-to bisogno di una classe dirigente meno conservatrice, meno attaccata ai propri interes-si (e a quelli dei gruppi dirigenti) e più disponibile a riforme capaci di incidere nella di-stribuzione della ricchezza: prima di tutto – questo il nocciolo del messaggio, esclusiva-mente centrato sull’atteggiamento morale da assumere – il nuovo Stato uscito dal Risor-gimento aveva bisogno di bravi italiani. A questo livello (etico ma, in fondo, anche po-litico), pur avendo preso le distanze dall’istituzione ecclesiastica e dalle sue posizioni anti-risorgimentali, sia Collodi che De Amicis potevano entrare in piena sintonia con il mes-saggio morale della Chiesa: pertanto, con il passar del tempo, sia Pinocchio che Cuore per-sero l’originaria connotazione di testi laici, che li caratterizzava all’inizio, e quindi entraronosenza problemi anche nelle case delle famiglie cattoliche, divenendo davvero i libriitaliani per antonomasia. Fino agli anni Sessanta del XX secolo, si può dire che tutti i bam-bini d’Italia siano stati educati con quei volumi, dei quali sarebbe davvero difficile so-pravvalutare la diffusione e l’influenza pedagogica.

Le avventure di PinocchioCarlo Collodi è lo pseudonimo di Carlo Lorenzini, che visse tra il 1826 e il 1890 e scel-se quel nome d’arte in memoria del paese natale della famiglia materna. Con il titolo Sto-ria di un burattino, la sua opera più celebre fu pubblicata a partire dal 7 luglio 1881 (lostesso anno in cui uscì I Malavoglia, di Giovanni Verga); in un primo tempo, il raccon-to apparve a puntate sulle pagine di un supplemento destinato all’infanzia (denominatoGiornale per i bambini), che usciva una volta la settimana, la domenica, come allegato delquotidiano fiorentino Il Fanfulla. Due anni dopo, nel febbraio 1883 (un mese dopo laconclusione della pubblicazione sulla rivista), le varie parti furono subito raccolte in unvolume, che ricevette il titolo definitivo: Le avventure di Pinocchio. Questa prima edizio-ne fu impreziosita dalla presenza di numerose illustrazioni predisposte da Enrico Mazzanti;nel 1886 (lo stesso anno in cui uscì Cuore) fu curata una seconda edizione. Per i parametridell’epoca, il successo editoriale dell’opera fu enorme: in appena quattro anni, Pinocchiofu ristampato per altre tre volte (1887, 1888, 1890).È possibile che, in un primo tempo, Collodi non avesse precise intenzioni pedagogiche,ma più semplicemente si fosse esercitato in una bambinata (l’espressione è sua) finaliz-zata a divertire i giovani lettori della rivista per cui scriveva. La straordinaria capacitàdi inventare situazioni comiche o grottesche fu senza dubbio uno dei più importan-ti punti di forza del libro; a questo dobbiamo poi aggiungere l’atteggiamento decisamenteambiguo del narratore, che apparentemente sta dalla parte del protagonista, anche quan-do si mostra monello, discolo o briccone. Il ruolo di pedagogo e di ammonitore, che ricorda al burattino i suoi doveri o il com-portamento socialmente accettabile, non è mai assunto dalla voce che conduce la nar-razione (prendendo spunto ed esempio dall’oralità: altro elemento che rende il testo par-

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Messaggio politicomoderato

Eccezionalesuccesso editoriale

R i fe r i me n t os t o r i o g r af i c o

pag. 111

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ticolarmente coinvolgente). Ad ammonire, esortare, rimproverarePinocchio sono sempre alcuni personaggi esplicitamente deputatia farlo, primi fra tutti il Grillo parlante e la Fata dai capelli tur-chini. Sul pubblico dei lettori-ascoltatori (Pinocchio, infatti, è pereccellenza il libro che un genitore può leggere a voce alta quandoracconta una favola ai propri figli) il testo otteneva uno straordinarioeffetto: mentre il narratore portava avanti il suo avvincente racconto,e mentre la sua apparente complicità permetteva al bambino di im-medesimarsi nel protagonista, condividendone errori e difetti, maanche pregi e paure, i personaggi di contorno obbligavano a unasevera riflessione sia sui comportamenti di Pinocchio, sia sul-le conseguenze pericolosissime del suo agire sconsiderato o social-mente problematico.Nel complesso, Pinocchio è un libro duro e, per certi versi spieta-to, nell’insegnamento che trasmette. Per chi sbaglia, non c’è com-passione alcuna; a seconda dei casi, possono solo arrivare la seve-rissima punizione del ribelle (chi ha trasgredito le regole sociali siè trasformato automaticamente in vinto, umiliato e sconfitto da for-ze più potenti di lui), oppure la beffa e il riso da parte di chi osserval’ingenuo che, dopo essersi lasciato ingannare, è scioccamente caduto nella trappola te-sagli da qualcuno più furbo di lui. Il presupposto di base che anima l’intera opera è quello secondo cui la vita è crudele; ilmondo in cui si trova improvvisamente gettato il burattino parlante pullula di furfanti edi imbroglioni, pronti a colpire e a sfruttare le debolezze altrui. E se la coppia più cele-bre di ingannatori (il Gatto e la Volpe) in realtà propone truffe di infimo e squallido li-vello, che solo uno sciocco (un citrullo, direbbe Collodi) non riesce a riconoscere imme-diatamente, ben più subdolo e spietato appare il viscido Omino di burro, che con la suacarrozza accompagna i ragazzi svogliati al Paese dei balocchi, favorisce la loro trasforma-zione in somari e li vende al miglior offerente, senza alcun rimorso di coscienza (dal mo-mento che, in fondo, la colpa è loro).

Un messaggio duro, ma in fondo ottimistaNell’insieme del romanzo, la figura che svolge il ruolo determinante nell’itinerario di for-mazione del protagonista è la Fata dai capelli turchini. Anche se viene chiamata «buonissima»,e in effetti non si stanca di andare a recuperare Pinocchio nelle situazioni più disperateper dargli sempre un’ulteriore opportunità di redenzione, in realtà spesso si mostra se-verissima, al limite della crudeltà. Mentre non esita a traumatizzare Pinocchio facen-dogli credere di essere morta per i dispiaceri che egli le ha dato (secondo una formula mol-to in voga nella pedagogia di fine Ottocento-inizio Novecento), di solito non intervienese non al termine delle disavventure del burattino: questi deve arrivare sull’orlo dell’abissoe quasi cadervi dentro, prima dell’intervento di salvezza della Fata. Il messaggio di Collodi, in questo caso, riguarda anche i genitori, oltre che i figli: se aibambini (con un pizzico di terrorismo pedagogico) si lascia intendere che i genitori potrebberoarrivare troppo tardi, cosicché spetta a loro stessi evitare gli errori più gravi e potenzial-mente fatali (Lucignolo muore somaro, stremato e sfinito «dagli stenti e dal troppo lavoro»),agli adulti si dice senza mezzi termini che nell’educazione non c’è spazio per l’indul-genza. In negativo, il modello offerto è quello di Geppetto, figura simpatica e amabile,ma assolutamente deleteria nel suo modo troppo debole e affettuoso di trattare il propriofigliuolo.Il difetto più grave di Pinocchio è la leggerezza, l’illusione che la vita sia semplice elieve; così, all’impegno scolastico o lavorativo, il burattino preferirebbe il facile e perpe-tuo divertimento, incarnato dalla banda (che Pinocchio segue, invece di comportarsi dabravo scolaro: «Oggi anderò a sentire i pifferi, e domani a scuola: per andare a scuola c’è

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G. Galizzi, Il gatto, la volpe ePinocchio all’osteria,illustrazione del 1880.

Geppetto: un modello negativo

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sempre tempo») e, a maggior ragione, dall’ambiguo Paese dei balocchi, l’equivalente in-fantile del canto delle sirene, tanto suadente quanto micidiale per chi cade nella sua rete. Il mondo in cui vive Pinocchio è un mondo di fame, come quello della realtà delle cam-pagne italiane di fine Ottocento. Il cibo è una vera ossessione per il burattino (e peri suoi occasionali compagni di avventura); tuttavia, pensare di sopravvivere con attivitàdisoneste sarebbe l’errore più grave che un ragazzo possa compiere: a fronte dell’impu-nità del misterioso Omino di burro, tutte le altre azioni illegali sono punite in modo du-rissimo e violento. Come degli errori si pagano tutte le conseguenze (e al danno si aggiungela beffa, perché tutti ridono della persona in difficoltà: la compassione, infatti, è una mer-ce davvero rara nel mondo in cui vive Pinocchio), come si dà per scontato che una per-sona finisca nei guai sempre e solo per propria colpa – su questo punto, il messaggio diCollodi coincide al cento per cento con il rigido pensiero di Renzo, alla fine dei Promes-si sposi – così è sicuro che la pena colpirà senza dubbio lo sciocco che ha sfidato lalegge, mentre questa non conoscerà attenuanti di sorta.Eppure, Pinocchio colpisce pure per l’ottimismo di fondo che pervade e attraversa da uncapo all’altro l’intera narrazione. Si dà infatti per scontato che il bambino, se da un latopuò prendere una cattiva strada che lo porterà sulla via del vizio e della perdizione, dal-l’altro è carico di potenzialità positive. Del protagonista, ad esempio, si mette sempre inluce lo straordinario «buon cuore», che lo spinge a straordinari gesti di eroismo e di ge-nerosità: all’inizio del romanzo, ad esempio, è disposto a sacrificare se stesso pur di sal-var la vita all’amico Arlecchino, che il burattinaio Mangiafuoco sta per gettare nel fuo-co; verso la fine del racconto, a maggior ragione, dimostra di possedere un coraggio e un’e-nergia eccezionali, quando si tratta di salvare Geppetto dal Pescecane e dalle onde del mare.Finalmente, quando a questa eccezionale bontà d’animo Pinocchio assocerà la consape-volezza della necessità di lavorare duramente (per mantenere se stesso e Geppetto, ormaianziano) la formazione di Pinocchio può dirsi completata e può avvenire la sua metamorfosiin essere umano.Come nei romanzi di Verga, anche nel racconto di Collodi non c’è redenzione per i po-veri, e il Paese dei balocchi (promessa da cui solo gli stolti possono essere illusi) appare unarozza caricatura del socialismo. Eppure, la brama di meglio del burattino (o, per lo meno,la pancia piena) può essere soddisfatta dal duro lavoro e dal rispetto della legge, che por-tano dignità e serenità a chi li sceglie come propri criteri etici di riferimento.Il destino dei giovani (persino quello dei più poveri) non è per nulla segnato, e in que-sto Collodi si distingue nettamente dalla narrativa naturalistica, dalla concezione di Lom-broso e da qualsiasi concezione deterministica, molto in voga in un’epoca in cui positi-

vismo e darwinismo insiste-vano sul ruolo decisivo delcorredo ereditario degli in-dividui. Tuttavia (anche se laFata dai capelli azzurri pos-siede qualche caratteristica si-mile alla Madonna della de-vozione popolare) nella durarealtà concreta i bambinidevono sapere fin dall’inizioche potranno contare solosulle proprie forze. Se non altro, onestà e labo-riosità sono convenienti: c’èsempre una notevole dose di utilitarismo pratico neldiscorso pedagogico col-lodiano, che si mostra deltutto laico anche sotto que-sto profilo.

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Violante Placidointerpreta la Fata

turchina nella fictiontelevisiva Pinocchio

(2009), diretta daAlberto Sironi.

Un mondo di fame

Coraggioe “buon cuore”

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CDOCUMENT IPinocchio diventa un bravo ragazzoNell’ultimo capitolo del romanzo, Pinocchio mette la testa a posto e diventa un bravo ragazzo, in

tutti i sensi. Innanzi tutto, mette definitivamente da parte la leggerezza che lo ha caratterizzato per granparte del racconto e inizia a lavorare sodo: dunque, il suo percorso di formazione si è concluso e ha avu-to buon esito. Di conseguenza, mentre Lucignolo va incontro a un tragico destino, la Fata perdona il bu-rattino e lo trasforma in bambino vero. In realtà, divenuto essere umano, Pinocchio non è affatto un bam-bino: è un adulto che ha imparato ad assumersi tutte le sue responsabilità. La scena seguente si svol-ge sulla spiaggia, dopo che Geppetto e Pinocchio sono riusciti a fuggire dalla pancia del Pescecane.

Non avevano ancora fatto cento passi, che videro seduti sul ciglione della strada duebrutti ceffi, i quali stavano lì in atto di chiedere l’elemosina. Erano il Gatto e la Volpe, ma nonsi riconoscevano più da quelli d’una volta. Figuratevi che il Gatto, a furia di fingersi cieco,aveva finito coll’accecare davvero; e la Volpe invecchiata, intignata e tutta perduta da unaparte, non aveva più nemmeno la coda. Così è: quella triste ladracchiola, caduta nella piùsquallida miseria, si trovò costretta un bel giorno a vendere perfino la sua bellissima codaa un merciaio ambulante che la comprò per farsene uno scacciamosche.

«O Pinocchio» gridò la Volpe con voce di piagnisteo, «fai un po’ di carità a questidue poveri infermi».

«Infermi!» ripeté il Gatto.«Addio, mascherine!» rispose il burattino. «Mi avete ingannato una volta, e ora non

mi ripigliate più».«Credilo, Pinocchio, che oggi siamo poveri e disgraziati davvero!».«Davvero!» ripeté il Gatto.«Se siete poveri, ve lo meritate. Ricordatevi del proverbio che dice: “I quattrini ru-

bati non fanno mai frutto”. Addio, mascherine!».«Abbi compassione di noi!».«Di noi!». «Addio, mascherine! Ricordatevi del proverbio che dice: “La farina del diavolo va

tutta in crusca”».«Non ci abbandonare!».«…are!» ripeté il Gatto.«Addio, mascherine! Ricordatevi del proverbio che dice: “Chi ruba il mantello al suo

prossimo, per il solito muore senza camicia”».E così dicendo, Pinocchio e Geppetto seguitarono tranquillamente per la loro

strada; finché, fatti altri cento passi, videro in fondo a una viottola in mezzo ai campi una bellacapanna tutta di paglia e col tetto coperto d’embrici [tegole, n.d.r.] e di mattoni. «Quella ca-panna dev’essere abitata da qualcuno» disse Pinocchio. «Andiamo là e bussiamo». Difattiandarono, e bussarono alla porta. [Ad accoglierli è il Grillo parlante]

[…] Preparato un buon lettino di paglia, vi distese sopra il vecchio Geppetto. Poidomandò al Grillo parlante: «Dimmi, Grillino: dove potrei trovare un bicchiere di latte per ilmio povero Babbo?».

«Tre campi distante di qui c’è l’ortolano Giangio che tiene le mucche. Vai da lui etroverai il latte che cerchi». Pinocchio andò di corsa a casa dell’ortolano Giangio; ma l’or-tolano gli disse:

«Quanto ne vuoi del latte?».«Ne voglio un bicchiere pieno».«Un bicchiere di latte costa un soldo. Comincia intanto dal darmi il soldo».«Non ho nemmeno un centesimo» rispose Pinocchio tutto mortificato e dolente.«Male, burattino mio» replicò l’ortolano. «Se tu non hai nemmeno un centesimo, io

non ho nemmeno un dito di latte».«Pazienza!» disse Pinocchio e fece l’atto di andarsene.«Aspetta un po’» disse Giangio. «Fra te e me ci possiamo accomodare. Vuoi

adattarti a girare il bindolo?».«Che cos’è il bindolo?».«Gli è quell’ordigno di legno che serve a tirar su l’acqua dalla cisterna, per annaf-

fiare gli ortaggi».«Mi proverò». «Dunque, tirami su cento secchie d’acqua, e io ti regalerò in compenso un bicchiere

di latte».«Sta bene».

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Il progetto culturale di Edmondo De Amicis Pare che l’idea di scrivere Cuore sia maturata nella mente di Edmondo De Amicis (1846-1908) nell’anno 1878. La genesi del romanzo, tuttavia, fu abbastanza lunga e tormenta-ta, visto che il libro venne infine pubblicato solo nel 1886 dalla casa editrice Treves. A fineOttocento, questo editore era uno dei più importanti e rinomati di tutto il Paese; ebrei,laici e particolarmente sensibili ai cambiamenti della società moderna, i due fratelli Emi-lio e Giuseppe Treves si proponevano di rinnovare la cultura italiana, che ai loro oc-chi peccava di arretratezza e di eccessiva subordinazione ai dettami della Chiesa cattoli-ca. I Treves accolsero con entusiasmo la proposta di De Amicis, sia perché intuirono chepoteva diventare un ottimo affare sotto il profilo commerciale (Cuore, in effetti, fu il pri-mo vero best seller italiano), sia perché andava nella direzione culturale da loro auspica-ta, cioè proponeva un modello educativo nuovo, idoneo all’Italia unita post-risorgimentale,coi suoi valori laici, a un tempo nazionali e liberali. Forse, Vittorio Spinazzola esagera nel definire Cuore «una sorta di Kulturkampf», di lot-ta frontale rivolta contro la Chiesa cattolica (condotta dall’autore in nome della civiltà)analoga al duro contrasto politico e culturale che caratterizzò il mondo tedesco negli anni

DOCUMENT IGiangio condusse il burattino nell’orto e gl’insegnò la maniera di girare il bindolo.

Pinocchio si pose subito al lavoro; ma prima di aver tirato su le cento secchie d’acqua, eratutto grondante di sudore dalla testa ai piedi. Una fatica a quel modo non l’aveva durata mai.«Finora questa fatica di girare il bindolo» disse l’ortolano, «l’ho fatta fare al mio ciuchino; maoggi quel povero animale è in fin di vita».

«Mi menate [mi conducete, n.d.r.] a vederlo?» disse Pinocchio.«Volentieri».Appena che Pinocchio fu entrato nella stalla vide un bel ciuchino disteso su la pa-

glia, rifinito [sfinito, stremato, n.d.r.] dalla fame e dal troppo lavoro. Quando l’ebbe guardatofisso fisso, disse dentro di sé turbandosi: «Eppure quel ciuchino lo conosco! Non mi è fi-sionomia nuova!». E chinatosi fino a lui gli domandò in dialetto asinino: «Chi sei?». A que-sta domanda, il ciuchino aprì gli occhi moribondi e rispose balbettando nel medesimo dia-letto: «Sono Lu…ci…gno…lo». E dopo richiuse gli occhi e spirò.

«Oh, povero Lucignolo!» disse Pinocchio a mezza voce; e presa una manciata dipaglia, si rasciugò una lacrima che gli colava giù per il viso. […] Prese il suo bicchiere di lattequasi caldo e se ne tornò alla capanna. E da quel giorno in poi continuò più di cinque mesia levarsi ogni mattina prima dell’alba, per andare a girare il bindolo e guadagnare così quelbicchiere di latte che faceva tanto bene alla salute cagionosa [cagionevole, soggetta a ri-cadute, a causa della debolezza del malato, n.d.r.] del suo babbo. Né si contentò di que-sto: perché a tempo avanzato, imparò a fabbricare anche i canestri e i panieri di giunco; ecoi quattrini che ne ricavava, provvedeva con moltissimo giudizio a tutte le spese giorna-liere. Fra le altre cose, costruì da se stesso un elegante carrettino per condurre a spasso ilsuo babbo alle belle giornate e per fargli prendere una boccata d’aria.

Nelle veglie poi della sera, si esercitava a leggere e a scrivere. Aveva comprato nelvicino paese per pochi centesimi un grosso libro al quale mancavano il frontespizio e l’in-dice, e con quello faceva la sua lettura. Quanto allo scrivere, si serviva di un fuscello tem-perato a uso penna; e non avendo né calamaio né inchiostro, lo intingeva in una boccet-tina ripiena di sugo di more e di ciliegie.

C. Collodi, Pinocchio, Milano, Salani, 2009, pp. 237-243

Quale ruolo assumono i proverbi citati, nel momento in cui sono pronunciati da Pinocchio?Quali aspetti del personaggio denotano?

Quali atteggiamenti denotano che Pinocchio è maturato e ha completato il suo percorsoformativo? Individua ed evidenzia nel testo le espressioni che ti paiono più significative.

Spiega l’espressione terrorismo pedagogico, strumento che – secondo alcuni critici – Collodiutilizza ampiamente al fine di rendere più incisivo il proprio messaggio educativo.

Il primo best selleritaliano

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Settanta dell’Ottocento. Nell’opera di De Amicis gli accentiesplicitamente anticlericali sono del tutto assenti e la po-lemica scopertamente anti-ecclesiastica praticamente nul-la; tuttavia è proprio questo, forse, il suo connotato più ri-voluzionario: in uno scenario storico italiano in cui l’autoritàsacerdotale era ancora potentissima e onnipresente (so-prattutto nelle campagne), ma nello stesso tempo aveva chie-sto ai cattolici di restare estranei rispetto alla nuova societàpost-unitaria (verso cui il papa aveva espresso un atteggia-mento di condanna dura e apparentemente inappellabile),De Amicis scelse di lasciar fuori la Chiesa dal suo pro-getto educativo, di ignorarla, di costruire i nuovi italia-ni senza di lei. Cuore è strutturato in forma di diario, che si dipana dal 7ottobre 1881 al 10 luglio 1882. Dunque, la finzione nar-rativa che regge l’intero racconto è quella secondo cui unalunno (Enrico Bottini) avrebbe registrato su un quader-no i piccoli e grandi eventi verificatisi all’interno di una clas-se di terza elementare di una scuola torinese, nell’ar-co di un anno scolastico. Il primo dato scandaloso emer-ge proprio a questo livello: infatti, mentre viene dato no-tevole rilievo ad alcune date simboliche (il 17 gennaio, quar-to anniversario della morte di Vittorio Emanuele II; il 3 giu-gno, giorno della morte di Garibaldi), non viene men-zionata alcuna festività religiosa (neppure Natale e Pa-squa). L’unico accenno che viene compiuto a una ricorrenza importante per la Chiesa ri-guarda il 2 novembre, giorno della commemorazione dei morti: anche per il mondo lai-co, però, questa data poteva avere una sua importanza, sia pure di segno diverso rispet-to al taglio che i cattolici davano alla memoria dei propri cari defunti. Per ragioni analo-ghe si incontra un riferimento al carnevale, ma questo è del tutto privo di seguito: com’ènoto, infatti, il tempo dello scherzo e della licenza precede quello della penitenza e del di-giuno, la Quaresima, di cui invece in Cuore non c’è traccia alcuna. In questo disegno coerente di vasto respiro, le annotazioni diaristiche ordinarie sono poiinterrotte da nove racconti mensili, che vengono presentati come narrazioni effettuate inclasse dal maestro. Nella finzione di De Amicis, l’insegnante dapprima cattura l’interessedei bambini con la tecnica della narrazione orale, e poi in un secondo tempo distribui-sce ai propri alunni un testo scritto: se la viva voce serve a suscitare emozioni, la possi-bilità di rileggere le parole favorisce la riflessione e l’interiorizzazione del messaggio mo-rale presente nel testo, mentre tutto l’insieme (presentato come «il racconto d’un attobello e vero, compiuto da un ragazzo») permetteva l’immedesimazione dello studente nelprotagonista.

La scuola microcosmo e la classe come metafora della nazione Il sottotitolo del romanzo è lungo, ma degno d’essere citato per intero: Storia d’un annoscolastico, scritto da un alunno di 3ª, d’una scuola municipale d’Italia. Si noti che, a fron-te di una presenza sovrabbondante di articoli indeterminativi (un / una) non se ne trovaneppure uno determinativo (del tipo il / lo). Attraverso questo elementare accorgimentolinguistico, De Amicis esprime il suo proposito, finalizzato non a raccontare una vicen-da romanzesca, bensì a esporre un preciso modello di società e di nazione. Per capire la strategia letteraria e culturale di De Amicis, può essere utile partire da un con-fronto con I promessi sposi. Nel racconto manzoniano, infatti, si racconta la vicenda di Ren-zo e Lucia, che per quanto abbia vari paralleli nella Lombardia del Seicento (si pensi alle

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Copertina della primaedizione tedesca diCuore, 1894.

I racconti mensili

Situazioni tipicheed esemplari

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numerose grida che l’autore ha consultato, in tema di matrimoni contrastati dai nobili eimpediti dai bravi) è comunque unica e irripetibile, a causa delle specifiche caratteristi-che (positive o negative) dei vari personaggi che entrano in azione. De Amicis, al contrario,non vuole dipingere la situazione particolare di questa o quella struttura scolastica, ben-sì una situazione tipica ed esemplare; obiettivo dell’autore è di ritrarre l’Italia (o, per lomeno, l’Italia settentrionale, delle grandi città in espansione), presentare un quadro in cuitutti possano riconoscersi e lanciare un messaggio universalmente valido, utile a tutti i veriitaliani che vogliano partecipare alla crescita del nuovo Stato unitario. Per molti versi, glialunni sono dei tipi, più che dei soggetti individualmente caratterizzati, mentre il mae-stro è un ideale, una figura che incarna il ruolo educativo che l’autore assegna alla scuo-la pubblica e, più in generale, allo Stato.L’intero impianto della narrazione è costruito su due coppie contrapposte: la primacomprende due figure negative, la seconda due personaggi esemplari, che devono rima-nere impressi nella mente (e, ancor più, nell’animo) del giovane lettore. La coppia che ri-sulta odiosa e profondamente antipatica è formata da Franti e Nobis; si tratta di due sog-getti molto diversi tra loro: uno, infatti, è povero e carico di rancore verso la società,mentre l’altro è un signore altero e sprezzante, fiero del proprio rango. Sia pure per mo-tivi opposti, entrambi, nel racconto, si auto-escludono dalla classe e si trasformano in estra-nei, rispetto a quella piccola comunità che, in realtà, sia pure in miniatura, rappresental’intera nazione italiana. Franti è visceralmente malvagio, un teppista meritevole solo dipunizione, del tutto incapace di offrire alcun contributo alla costruzione del grup-po-classe e, più in generale, alla comunità scolastica; assai più di Collodi, De Amicis pareinfluenzato, nella creazione di questo personaggio negativo, dalle teorie di Cesare Lom-broso sul delinquente nato, geneticamente tale e, pertanto, incorreggibile. Franti incarnaanche una certa immagine che la borghesia europea si era costruita, a proprio uso e con-sumo, delle classi subalterne: quando non accettavano passivamente il loro destino e cer-cavano di ribellarsi, venivano paragonate a furie devastatrici, ad animali impazziti e pe-ricolosi, che (sia pur a malincuore) bisognava abbattere per la sicurezza generale.De Amicis condivide questa impostazione (e Franti, infatti, sarà espulso dalla scuola); tut-tavia, il suo giudizio è durissimo anche nei confronti di Nobis, che rifiuta il principio li-

berale dell’uguaglianza civile, asua volta basato sull’idea illuministasecondo cui esistono dei precisi di-ritti dell’uomo, di cui nessuno puòessere privato. Ai fini della crea-zione della nuova Italia, l’arrogantementalità da antico regime di No-bis è inutile, proprio com’è dan-nosa la rabbia rivoluzionaria, ca-pace solo di distruggere, e non dicostruire. «Vi compiango. Siete unragazzo senza cuore», dice infine ilmaestro a Nobis, dopo aver con-statato la sua incapacità di redi-mersi: un’incorreggibilità appa-rentemente diversa, ma in realtàidentica (e semplicemente rove-sciata, speculare, quanto a classe so-ciale) rispetto a quella di Franti.

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Illustrazione tratta dal libro Cuore diEdmondo De Amicis, 1886.

Gli alunni sono dei tipi

Rifiuto della rabbia

e dell’arroganza

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CDOCUMENT II protagonisti di CuoreRiportiamo alcuni passi dai quali emerge con chiarezza il messaggio morale di De Amicis. Il suo

libro presenta infatti alcuni tipi, sostanzialmente fissi. Il giovane lettore doveva provare istintivo orro-re per alcuni soggetti negativi (Franti e Nobis), e immedesimarsi in quelli positivi (Derossi, Precossi,Garrone).

La madre di Franti (28 gennaio, sabato)Entrò tutt’a un tratto nella scuola la madre di Franti, affannata, coi capelli grigi arruffati,

tutta fradicia di neve, spingendo avanti il figliuolo che era stato sospeso dalla scuola per ottogiorni. Che triste scena ci toccò di vedere! La povera donna si gettò quasi in ginocchio da-vanti al Direttore, giungendo le mani, e supplicando: – Oh signor Direttore, mi faccia la gra-zia, riammetta il ragazzo alla scuola! Son tre giorni che è a casa, l’ho tenuto nascosto, maDio ne guardi se suo padre scopre la cosa, lo ammazza; abbia pietà, che non so più comefare! Mi raccomando con tutta l’anima mia! – Il Direttore cercò di condurla fuori; ma essaresistette, sempre pregando e piangendo. – Oh! Se sapesse le pene che m’ha dato que-sto figliuolo, avrebbe compassione! Mi faccia la grazia! Io spero che cambierà. Io già nonvivrò più un pezzo, signor Direttore, ho la morte qui; ma vorrei vederlo cambiato prima dimorire perché… – e diede in uno scoppio di pianto, – è il mio figliuolo, gli voglio bene, mo-rirei disperata; me lo riprenda ancora una volta, signor Direttore, perché non segua una di-sgrazia in famiglia, lo faccia per pietà d’una povera donna! – E si coperse il viso con le mani,singhiozzando. Franti teneva il viso basso, impassibile. Il Direttore lo guardò, stette un po’pensando, poi disse: – Franti, va’ al tuo posto. – […] Il Direttore guardò fisso Franti, in mezzoal silenzio della classe e gli disse con un accento da far tremare: – Franti, tu uccidi tua ma-dre! – Tutti si voltarono a guardar Franti. E quell’infame sorrise.

Superbia (11 febbraio, sabato)Carlo Nobis si pulisce la manica con affettazione quando Precossi [un bambino buo-

nissimo, ma povero, figlio di un fabbro alcolizzato, n.d.r.] lo tocca, passando! Costui è la su-perbia incarnata perché suo padre è un riccone. Ma anche il padre di Derossi è ricco! Eglivorrebbe avere un banco per sé solo, ha paura che tutti lo insudicino, guarda tutti dall’altoin basso, ha sempre un sorriso sprezzante sulle labbra: guai a urtargli un piede quando s’e-sce in fila a due a due! Per un nulla butta in viso una parola ingiuriosa o minaccia di far ve-nire alla scuola suo padre. E sì che suo padre gli ha dato la sua brava polpetta [gli ha datouna dura lezione, lo ha rimproverato severamente, n.d.r.] quando trattò di straccione il fi-gliuolo del carbonaio! Io non ho mai visto una muffa compagna! Nessuno gli parla, nessunogli dice addio [nell’Ottocento, era l’equivalente del nostro Ciao!, nelle formule di congedo,n.d.r.] quando s’esce, non c’è un cane che gli suggerisce quando non sa la lezione. E luinon può patir nessuno, e finge di disprezzar sopra tutti Derossi, perché è il primo, e Gar-rone perché tutti gli voglion bene. Ma Derossi non lo guarda neppure quant’è lungo, e Gar-rone, quando gli riportarono che Nobis sparlava di lui, rispose: – Ha una superbia così stu-pida che non merita nemmeno i miei scapaccioni. – Coretti pure, un giorno ch’egli sorridevadel suo berretto di pel di gatto [pelliccia tipica dei poveri, n.d.r.], gli disse: – Va un poco daDerossi a imparare a far il signore! – Ieri si lamentò col maestro perché il calabrese gli toccòuna gamba col piede. – Il maestro domandò al calabrese: – L’hai fatto apposta? – No, si-gnore, – rispose franco. E il maestro: – Siete troppo permaloso, Nobis. – E Nobis, con quellasua aria: – Lo dirò a mio padre. – Allora il maestro andò in collera: Vostro padre vi darà torto,come fece altre volte. E poi non c’è che il maestro, in iscuola, che giudichi e punisca. – Poisoggiunse con dolcezza: – Andiamo, Nobis, cambiate modi, siate buono e cortese coi vo-stri compagni. Vedete, ci sono dei figliuoli d’operai e di signori, dei ricchi e dei poveri, e tuttisi voglion bene, si trattan da fratelli, come sono. Perché non fate anche voi come gli altri?Vi costerebbe così poco farvi benvolere da tutti, e sareste tanto più contento voi pure!... Eb-bene, non avete nulla da rispondermi? – Nobis, ch’era stato a sentire col suo solito sorrisosprezzante, rispose freddamente: – No, signore. – Sedete, gli disse il maestro. – Vi com-piango. Siete un ragazzo senza cuore. –

E. De Amicis, Cuore, Milano, Mondadori, 2007, pp. 98-99 e 105-106

Che cosa hanno in comune Nobis e Derossi? Che cosa hanno in comune Franti e Nobis?Spiega l’esclamazione: «Va un poco da Derossi a imparare a far il signore!».

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La creazione di una comunità organicaAnche i ragazzi della seconda coppia che anima la narrazione – quella di segno diame-tralmente opposto, sotto il profilo dei valori da imparare, dato che entrambe le figure sonopositive e degne di ammirazione/imitazione – occupano posizioni opposte sulla scala so-ciale. Derossi infatti proviene dal mondo borghese (come per altro Enrico, cui De Ami-cis ha delegato la funzione di narratore); figlio di un ricco negoziante, è uno studente do-tato di intelligenza acutissima, ma anche di un carattere aperto e collaborativo. In un clas-sico racconto satirico di ambientazione scolastica, il primo della classe avrebbe potuto es-sere raffigurato come piccolo e occhialuto, come un secchione che compensa (grazie al-l’impegno nello studio) le carenze del proprio fisico e che trova negli ottimi voti quellagratificazione che la vita gli nega in tutti gli altri ambiti; al limite, avrebbe potuto appa-rire odioso, per la sua incapacità di relazionarsi con i compagni meno intelligenti e menostudiosi, costretti a copiare o a ricorrere ai suoi suggerimenti, per raggiungere una sten-tata sufficienza. Niente di tutto questo, in Cuore: Derossi è un leader nato, di cui è impossibile non su-bire il fascino; è una specie di eroe, e come tale è anche fisicamente bello, secondo i ca-noni estetici che il neoclassicismo aveva recuperato dal mondo greco e che la retorica na-zionalista, in Germania come in Italia, aveva proiettato sul volontario, disposto a rischia-re la sua giovane esistenza, in modo affatto disinteressato, per la libertà e l’indipendenzadella patria. In altre parole, Derossi rappresenta, per così dire, una nuova generazione digaribaldini, chiamati a combattere per l’Italia come i Mille o i Cacciatori delle Alpi; nel-l’immediato, il Regno è unito, i confini sono sicuri e lo straniero è stato espulso da (qua-si) tutto il territorio nazionale. Eppure, c’è da combattere una guerra ancora più impe-gnativa, la battaglia che deve trasformare l’Italia in un Paese moderno, capace di sta-re alla pari con gli altri Stati d’Europa. Mai come in questo momento – lascia intendereDe Amicis – la patria ha bisogno di eroi, di individui che si dedichino anima e corpo allasua crescita e al suo sviluppo. L’Italia, tuttavia, necessita del contributo di tutti, e tutti possono fare la propria parte.Per De Amicis, la nazione è come un grande corpo umano, che è sano e si sviluppa in modoarmonico solo quando i diversi organi collaborano e funzionano in maniera coordinata,ciascuno svolgendo il compito per cui sono stati creati. E come il piede o lo stomaco nonsono meno importanti del cervello, così (se sta al suo posto e non si lascia trascinare davelleitari sogni di rivoluzione) in quello speciale organismo che è la nazione, la classe ope-raia deve essere guardata con estremo rispetto e trattata con la dignità che merita il lavo-ro manuale. Ecco il motivo per cui De Amicis ci presenta Garrone, ragazzo di modeste condizionisociali, ma animato da uno straordinario altruismo. Gli episodi che vedono come pro-tagonisti Garrone e Derossi sono dei veri e propri exempla: nella loro diversità, i due ra-gazzi sono dei veri santi laici, i modelli in cui tutti gli italiani (borghesi o proletari, pocoimporta) devono specchiarsi, per imparare il comportamento esemplare che la società ela nazione chiedono loro. A differenza di Collodi (che gioca sul doppio registro del riso e della riflessione), De Ami-cis scelse lucidamente e consapevolmente di far leva sul sentimento, nel suo ap-passionato sforzo pedagogico rivolto a un’intera nazione. «Ah, la vedranno i fabbricantidi libri scolastici come si parla ai ragazzi poveri e come si spreme il pianto dai cuori di die-ci anni», scrisse l’autore nel febbraio 1886, in una lettera inviata all’editore Treves. Leg-gendo Pinocchio si ride e si impara, riflettendo sulle avventure che capitano al burattino,fanciullo dal «cuore buono», ma ancora leggero e immaturo. Cuore vuole strappare le la-crime, sia nelle sezioni che sono presentate come diario di Enrico, sia – a maggior ragio-ne – nei racconti mensili narrati dal maestro ai suoi alunni (diverse generazioni di ragazziitaliani piansero, fino agli anni Sessanta del XX secolo, leggendo La piccola vedetta lom-barda o Dagli Appennini alle Ande). Il lutto e la morte non sono per nulla assenti, sia nelle narrazioni presentate dall’insegnante,sia nella vita ordinaria della classe. Anzi, il lutto maggiore capita proprio al buonissimo

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Un leader nato

Il nuovogaribaldino

La metafora del corpo umano

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Garrone, che perde la madre:ma i ragazzi si stringono intor-no al compagno colpito dalladisgrazia e, quindi, paradossal-mente (per quanto vissuta sen-za alcun conforto di tipo reli-gioso) persino l’evento negati-vo contribuisce a unire il grup-po dei giovani scolari. Così laclasse di Cuore, ancora unavolta, si rivela come microcosmo,come una metafora della na-zione, della Patria che, me-diante il culto dei caduti, raffor-za i legami comunitari tra i pro-pri membri.

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Il carattere di PinocchioPinocchio è un romanzo di formazione: il protagonista, infatti, alla fine della vicenda è completa-

mente diverso da quello che era all’inizio. Anzi, in questo caso, la metamorfosi è talmente radicale cheil burattino di legno diventa un essere umano in carne e ossa. Fuor di metafora, ciò vuol dire che il bam-bino – chiusa l’ultima pagina del racconto – ha imparato una lezione educativa capace di farlo diven-tare un uomo per bene, laborioso e rispettoso delle regole sociali.

Pinocchio, dal punto di vista del carattere, rappresenta il tipo ideale ed eterno del mo-nello, vera ossessione della pedagogia toscana del tempo (mentre, significativamente, nonha quasi equivalenti, ad esempio, nel libro Cuore, dove Franti, tristo e cattivo, recita il ruolosenza possibile redenzione del lombrosiano delinquente nato). Del monello la caratteristicadominante è la leggerezza, non la cattiveria, e una serie di altri attributi, che hanno a chefare fondamentalmente con la leggerezza. Cos’è la leggerezza? La leggerezza è, in sostanza,l’incapacità di calcolare la portata e la conseguenza delle proprie azioni: dunque, la tendenzaad accondiscendere senza riflessione agli impulsi profondi del proprio desiderio. […]

Quella di Pinocchio, dunque, non è una vera e propria cattiveria: è l’istinto poco con-trollato o del tutto incontrollato di seguire il proprio piacere, anche praticando in grande stileil ben noto meccanismo della procrastinazione dei doveri:

«Oggi anderò a sentire i pifferi, e domani a scuola: per andare a scuola c’è sempre tempo– disse finalmente quel monello, facendo una spallucciata» (XI).

«Pinocchio esitò un poco a rispondere, perché gli tornò in mente la buona Fata, il vec-chio Geppetto e gli avvenimenti del Grillo-parlante; ma poi finì col fare come fanno tutti i ra-gazzi senza un fil di giudizio e senza cuore; finì, cioè, col dare una scrollatina di capo e dissealla Volpe e al Gatto: – Andiamo pure: io vengo con voi» (XVIII).

Il meccanismo delle funzioni, estremamente ripetitivo, viene tuttavia utilizzato in manierasapiente da Collodi, che sa utilizzare anche utili forme di rovesciamento, come nell’episo-dio della tentazione di Lucignolo a Pinocchio: «[Pinocchio:] E se poi la fata mi grida? – La-sciala gridare. Quando avrà gridato ben bene, si cheterà – disse quella birba di Lucignolo»(XXX); e subito dopo: «[Pinocchio:] Sarei quasi capace di aspettare. – [Lucignolo:] E la fata?– Pazienza! La lascerò gridare. Quando avrà gridato ben bene, si cheterà» (XXX).

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Illustrazione tratta dal libro Cuore, in una edizione di fine Ottocento.

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Gli altri difetti o colpe o debolezze di Pi-nocchio derivano essenzialmente dall’esi-genza di assicurare a questo impulso fonda-mentale del suo desiderio un sistema didifesa. Perciò è bugiardo (qualche volta,però, anche del tutto gratuitamente, comequando nega alla Fata di avere ancora lequattro monete in tasca: o perché mai lo fa,se il suo massimo desiderio, testimoniato per-sino dal supremo sacrificio del giorno prima,è quello, estremamente generoso, di portarleal suo babbo?; XVII). È testardo e ostinato nel-l’errore: «[L’ombra del Grillo-parlante:] Dàiretta a me, ritorna indietro. – E io invece vo-glio andare avanti. – L’ora è tarda!... – Voglioandare avanti. – La nottata è scura… – Voglioandare avanti. – La strada è pericolosa… –Voglio andare avanti» (XIII). […] È estrema-mente credulone: si lascia infinocchiare duevolte dalla Volpe e dal Gatto (XII-XIII e XVIII-XIX),sostanzialmente perché nel suo cervellino isogni di grandezza e di ricchezza si svilup-pano impetuosamente, senza incontrare gliostacoli della ragione.

Ci sono però aspetti del carattere di Pi-nocchio, che non si esauriscono in questoelenco negativo. […] Il versante positivo dellacaparbietà è l’ostinazione, il versante positivodell’ostinazione è il coraggio, il versante posi-tivo della prepotenza è una risoluta attitudinea difendersi dalla prepotenza altrui. È il casodella strenua resistenza opposta agli assassininei capitoli XIV e XV; è il caso della lotta ingag-giata con i compagni di scuola per farsi ri-

spettare, che non è baruffa, non è rissa, è sacrosanta difesa della propria dignità personale:calci e pugni, se sono dati per una giusta causa, non sono riprovevoli; una causa giusta nonpuò essere difesa passivamente («Fatto sta che dopo il calcio e quella gomitata, Pinocchioacquistò subito la stima e la simpatia di tutti i ragazzi della scuola: e tutti gli facevano millecarezze e tutti gli volevano un ben dell’anima» (XXVI). […]

Pinocchio è nato tanto monello, sventato, prepotente, leggero, quanto buono. Per esem-pio, quando si leva a difendere l’amico Arlecchino anche a rischio della propria vita (XI); e so-prattutto quando la minaccia degli assassini di prendersela con il suo babbo lo spinge irri-flessivamente ad aprire quella bocca che fino a quel momento aveva tenuta chiusa in manieratanto ostinata: «No, no, no, il mio povero babbo no! – gridò Pinocchio con accento disperato:ma nel gridare così, gli zecchini gli sonarono in bocca» (XIV). […] L’impresa di redimere il discolonon è impossibile, perché esiste questa condizione positiva, anch’essa congenita comequella negativa. Ad un certo punto, la Fata la teorizza molto limpidamente e ne fa l’asse delsuo programma di rieducazione: «[…] La sincerità del tuo dolore mi fece conoscere che tu aveviil cuore buono: e dai ragazzi buoni di cuore, anche se sono un po’ monelli e avvezzati male,c’è sempre da sperar qualcosa: ossia, c’è sempre da sperare che rientrino sulla vera strada.Ecco perché son venuta a cercarti fin qui. Io sarò la tua mamma…» (XXV).

Uno che come lui era «leggiero» e insieme aveva il «cuore buono», ma che la «leggerezza»avrebbe alla fine perduto, era ’Ntoni di padron ’Ntoni, la cui ombra sventurata sembra ag-girarsi inquieta intorno alle avventure del nostro burattino. «’Ntoni era accanto al capezzalee piangeva come un ragazzo, ché il cuore lo aveva buono, quel giovane»; «’Ntoni si mise apiangere come un bambino, perché in fondo quel ragazzo il cuore ce l’aveva buono comeil pane…». Le coincidenze sono impressionanti. Ed è vero che la storia di Pinocchio e quelladi ’Ntoni si assomigliano: ambedue sono fanciulli impulsivi e irragionevoli, che un sogno diricchezza e di benessere tende a traviare (uno si salva, l’altro no). D’altro canto, Collodiavrebbe avuto tutto il tempo di leggere I Malavoglia, apparsi nel febbraio 1881, quando simise a scrivere il capitolo XXV delle Avventure, che uscì sul numero del Giornale per i bam-bini dell’11 maggio 1882. Nonostante la tentazione presente nella scoperta di ogni analo-gia come questa, è preferibile pensare, più che ad una citazione testuale, ad una coincidenza

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Locandina del filmPinocchio di Walt

Disney (1940).

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antropologica profonda: la storia del povero che si perde per un eccesso di ambizioni do-veva essere inscritta nel destino sociale dell’Italia post-unitaria, e il motivo del «cuorebuono», inteso come l’ultimo argine all’esplodere di una irrefrenabile irrazionalità nazionale,percorre da cima a fondo la nostra cultura del tempo. È chiaro che questo è un filo che ar-riva fino a De Amicis, il cui libro – per arricchire il cumulo delle prodigiose coincidenze – siimmagina dall’autore svolto durante l’anno scolastico di una terza elementare torinese fral’ottobre 1881 e il luglio 1882, esattamente gli stessi mesi in cui Pinocchio galoppava senzaposa tra campagne e mari toscani.

A. Asor Rosa, «Le Avventure di Pinocchio. Storia di un burattino di Carlo Collodi», in A. Asor Rosa (a cura di), Letteratura italiana. 13 L’età contemporanea. Le opere 1870-1900,

Torino, Einaudi, 2007, pp. 461-466

Che differenza c’è tra leggerezza e cattiveria?Spiega l’espressione: procrastinazione dei doveri. Quali somiglianze si incontrano tra la figura di Pinocchio e quella di ’Ntoni, personaggio del

romanzo verghiano I Malavoglia?

Il progetto politico e pedagogico di Edmondo De Amicis

Per ammissione dell’autore stesso, Cuore è un libro che vuole far piangere. Tuttavia, il messaggioche trasmette non è per nulla pessimistico o disperato. Al contrario, il romanzo è un vero appello al-l’attivismo, un’appassionata esortazione rivolta alle giovani generazioni affinché partecipino in manie-ra consapevole alla costruzione del nuovo Stato post-unitario.

Libro ad alta tensione utopica, Cuore propone in forma catechistica un nuovo credo laico,elaborato in nome di quei settori della classe dirigente post-unitaria più disposti ad assu-mersi il ruolo di degni eredi delle idealità risorgimentali. Emblematica in proposito appare al-lora l’ambientazione dell’opera a Torino, non più capitale di stato ma presentata da De Ami-cis come la vera capitale morale della nazione. Lo scrittore intende rilanciare i valori cheavevano ispirato la borghesia patriottica nelle lotte per l’indipendenza e l’unità d’Italia: rag-giunto l’obiettivo, costituitasi in ceto di governo, questa classe deve ritrovare lo slancio en-tusiastico necessario per guidare le giovani generazioni alla conquista di un felice futuro. […]Ma la sua apertura d’orizzonti non comporta l’adesione alle parole d’ordine dello scientismopositivista; e non appare orientata sulla realizzazione di riforme razionalmente programmateper sanare le grandi piaghe sociali del Paese, quali venivano messe a nudo dalle inchiesteparlamentari sulla questione meridionale e la questione agraria. Né tanto meno De Amicismostra di acconsentire a prospettive di mutamento radicale delle strutture produttive: delresto, come avrebbe potuto farlo in un libro parascolastico?

La sua formazione umanistica induce invece l’autore di Cuore a fare leva sulle istanzenon della razionalità ma del sentimento, come le più adatte per stabilire un’intesa larga conla giovane generazione, considerata quasi alla stregua del settore di opinione pubblica menoaddottrinato, più inesperto. Ma non si trattava solo di esaltare le pulsioni altruistiche, nellaloro generosità disinteressata: occorreva anche mostrare come dall’esercizio delle virtù mo-rali e civili derivasse un rafforzamento dell’io, nel suo slancio di autoaffermazione vitale. Eccoallora la mobilitazione degli affetti in chiave attivistica; e la compassione riabilitata laicamentecome agente propulsivo d’un volontarismo fondato sulla fiducia energica in se stessi. Un si-mile paradigma concettuale era quanto di più lontano si potesse pensare dai canoni del na-turalismo e del verismo. A venirne rifiutati erano sia l’impersonalità della rappresentazione,sia l’asprezza contristata del linguaggio, sia il proposito di turbare e scandalizzare la cattivacoscienza conformista rinfacciandogli i guasti provocati dal prevalere dei meccanismi men-tali di un gretto utilitarismo economicista. De Amicis condivide questo scopo, ma preferiscerifarsi all’emotività romantica, nella sua tendenza a intensificare il pathos delle situazioni piùstrazianti. […]

Cuore appare come una sorta di frutto postumo del romanticismo risorgimentale, [...].Dall’orchestrazione degli affetti primari deve scaturire l’invito a oltrepassare gli egocentrismipersonalistici, i particolarismi di ceto o di casta per far prevalere ciò che unisce, non ciò chedivide gli uni dagli altri i cittadini della nuova Italia. In questo senso la questione sociale ap-pare non ignorata, no, ma trasposta in termini di questione civile: da risolvere con un rico-

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Page 14: Educare i nuovi italiani: Cuore - seieditrice.com · stesso anno in cui uscì I Malavoglia, di Giovanni Verga); in un primo tempo, il raccon-to apparve a puntate sulle pagine di un

noscimento di pari dignità a tutti i figlidella nazione. […] L’orizzonte idealedella liberaldemocrazia appare dunqueconcretato e arricchito assegnando allostato il compito di universalizzare un’i-struzione scolastica moralmente ugua-gliatrice: siamo tutti fratelli non in quantofigli dello stesso Dio, che ci attende nellechiese a lui dedicate, ma in quantomembri della medesima comunità sta-tale, che ci alleva nelle sue provvide isti-tuzioni educative. Cuore esprime unsenso dello stato che lo contraddistin-gue e isola molto nel panorama dellaletteratura coeva, per ragazzi o peradulti. De Amicis apologizza [celebra,difende in modo appassionato, n.d.r.]impavidamente l’onnipresenza efficiente

dell’amministrazione pubblica in tutti i settori degli apparati scolastici: sia pur sempre a li-vello di istruzione di base, senza riferimenti a quella superiore.

A venir suggerita è una concezione organicistica della collettività nazionale, o forse po-tremmo dire nazional-popolare, fondata su ordinamenti acconsentiti da tutti perché posti alservizio degli interessi generali. Certo, non può non sussistere un discrimine tra governantie governati: ma per De Amicis l’esercizio del potere comporta solo una nobile assunzionedi responsabilità da parte dei primi verso i secondi. La vita civile appare quindi come un per-fetto pendant [corrispondente simmetrico, n.d.r.] di quella militare: l’esercito ha una strut-tura gerarchica che distingue i ruoli di chi comanda e chi obbedisce, ma sottopone tutti allostesso codice disciplinare. Analogamente, la società borghese non solo prevede ma si reggesui rapporti di dipendenza tra ricchi e poveri, padroni e servitori: però li sublima [li trascende,li relativizza, n.d.r.] nell’osservanza comune delle regole di contribuzione al miglioramento delregime di civiltà.

Questo sistema concettuale viene calato negli apologhi narrativi di Cuore come un in-sieme di articoli di fede, non rivelati trascendentalmente ma egualmente forti d’una loro evi-denza assiomatica [indiscutibile, perché evidente per tutti, n.d.r]. Solo così lo scrittore ritieneche lo stato potrà aureolare la propria immagine di un’autorevolezza suggestiva non infe-riore a quella dell’istituzione ecclesiastica; e la letteratura edificante del laicismo sarà in gradodi emulare l’efficacia di quella religiosa, ripetendone la tecnica di martellare all’infinito i pro-pri precetti senza analizzarli né discuterli mai. La sfida era quanto mai impegnativa. Si trat-tava di appellarsi non agli uomini ma ai ragazzi di buona volontà per addestrarli alle virtù ci-viche, senza prometter loro ricompense oltremondane. Lo scrittore però evita di contraddirefrontalmente la metafisica e, per la penna della madre di Enrico, acconsente alla fiducia in«una bontà suprema e una pietà infinita» che autorizzi la «celeste speranza» d’un ricon-giungimento delle anime dopo la morte, per godere in eterno del loro affetto reciproco. Nonsolo, ma il maestro ricorre alla parola di Mazzini per confortare l’orfano Garrone e dirgli: «Lamorte non esiste, non è nulla. Non si può nemmeno comprendere. La vita è vita, e seguela legge della vita: il progresso. Tu avevi ieri una madre in terra: oggi hai un angelo altrove.Tutto ciò che è bene sopravvive, cresciuto di potenza, alla vita terrena. Quindi anche l’amoredi tua madre. Essa t’ama ora più che mai. E tu sei responsabile delle tue azioni a Lei più diprima. Dipende da te, dalle opere tue d’incontrarla, di rivederla in un’altra esistenza».

Ma ciò che conta, in questo vago teismo, è l’asserzione energetica che «Bisogna vin-cere il dolore», in «quello che il dolore ha di meno santo, di meno purificatore; quello che,invece di migliorare l’anima, la indebolisce e l’abbassa». Il dolore dunque, la morte, comeoccasione di prova per galvanizzare la volontà etica stringendo, non allentando i rapporti coipropri simili. Nessuno spazio al solipsismo [isolamento individualistico, n.d.r.] contemplativo;il sentimentalismo di Cuore non smentisce mai la carica attivistica del suo ottimismo sociale.

V. Spinazzola, Pinoccio & C. La grande narrativa italiana per ragazzi, Milano, Il Saggiatore, 1997, pp. 128-131

Spiega l’espressione: invito a oltrepassare gli egocentrismi personalistici, i particolarismi di ceto o di casta.

Spiega l’espressione: concezione organicistica della collettività nazionale.

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La visita a una scuoladi campagna italiana,

fotografia della finedell’Ottocento.