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MARIO GORI Il corpo in anim-azione 1

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MARIO GORI

Il corpo in anim-azione

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A MIO PADRE

Ogni sera, tornavi.Ti vedevo arrivare,senza ombra,come eri partito.Sudore di uomo,polvere di stradaimpastata al nero dell'officina,parte della tua carne.La forza, ormai stanca,mi lanciavi nel cielo.Sicuro.Inchiodavi due assi:il mio carrettino di legno.Quando ci sfidavamo nella corsami sembravi invincibile.Una volta arrivasti secondo.Non ci chiedemmo più niente.Quanto tempo ti ho offeso!Hai pianto in silenzioperché eri sempre il più forte.Ti ho gridato nel viso:- Dovevi reagire al fascismoe dopo la guerra diventare qualcuno.-Ora ho un figlio e capisco.Ti chiedo perdono.Sono pronto a morire per TE,Padre mio.E per lui.(Mario Gori)

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INDICE

Introduzione

Cap. I - LA COMUNITÀ EDUCANTEI.1. Società e comunità I.2. La comunità sociale e la comunità educativaI.3. L'educazione comunitariaI.4. La scuola della comunitàI.5. L'autonomia e la culturaI.6. Autonomia della scuolaI.6.1. I principi fondamentali della Costituzione I.7. Autonomia e democraziaI.8. Autonomia e sistema formativoI.9. Libertà di educazioneI.10. Scuola e comunità: autonomia e interazione

CAP. II - ANIMAZIONE COME EDUCAZIONEII.1. Gli anni dopo la contestazione del '69II.2. Animazione, perché ?II.3. Formazione degli animatoriII.4. Animazionecome animazioneII.5. Ambiguità dell'animazioneII.6. Aree dell'animazioneII.7. Usi attuali dell'animazioneII.8. L'animazione contemporaneaII.9. Quale animazione? Quale animatore dell'animazione?II.10. Contenuti, metodi e mezzi dell'animazioneII.11. Obiettivi dell'animazioneII.12. Diritto all'animazione e comunità educanteII.13. Animazione e interdisciplinaritàII.14. Animazione e insegnamentoII.15. Animazione esistenziale

CAP. III - L'ANIMAZIONE PERSONALISTA-COMUNITARIAIII.1. Osservare, riflettere, ragionareIII.2. Animazione e socializzazioneIII.3. Il gruppo come luogo privilegiato dell'animazioneIII.4. Animazione centrata sul soggetto e sul gruppoIII.5. Fasi della comunicazione nel gruppo

CAP. IV - OPERATORI DELL'ANIMAZIONE: FORMAZIONE E ORGANIZZAZIONEIV.1. Il ruolo dell'animatore dell'animazioneIV.2. Creatività dell'animatore dell'animazione IV.3. Obiettivi comportamentali IV.4. Caratteristiche dell'animatore dell'animazioneIV.5. I principi morali dell'animatore dell'animazione IV.6. Formazione dell'animatore dell'animazioneIV.7. L'animatore dell'animazione e il gruppo

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IV.8. Dall'animare all'essere IV.9. Verso una nuova professione IV.10. Formazione dell'animatore dell'animazioneIV.11. L'animatore dell'animazione come operatore socio-culturale IV.12. L'animatore dell'animazione come educatore

CAP. V - ANIMAZIONE: CAMPI, STRUMENTI, PROGRAMMAZIONE V.1. La comunicazione V.2. Il gruppo primario V.3. Metodo della ricerca e del lavoro V.4. Interazione fra i tre strumenti V.5. Animazione e programmazione educativa V.5.1. Gli scopi V.5.2. Analisi delle risorse V.5.3. Programmazione come prassi liberatoria V.5.4. Verifica V.6. Campi dell'animazione V.7. Criteri per interventi di animazione V.8. Animazione come risoluzione tra fenomenologia e simbolico V.9. Animazione e educazione fisica V.10. L'animazione scolasticaV.11. Proposta per una organizzazione nel territorioV.12. Quali scelte

CAP. VI - ANIMAZIONE E DRAMMATIZZAZIONEVI.1. La drammatizzazioneVI.2. Natura e scopo della drammatizzazioneVI.3. La drammatizzazione non è teatroVI.4. Espressione drammaticaVI.5. Drammatizzazione come educazione motoriaVI.6. Drammatizzazione e interdisciplinaritàVI.7. Il bambino attore naturaleVI.7.1. La drammatizzazione nell'età evolutivaVI.7.2. Il bambino e la drammatizzazioneVI.8. Dalla manipolazione alla costruzioneVI.9. Che cosa offre la drammatizzazione al soggettoVI.10. Dal gioco alla drammatizzazioneVI.11. Teatro nell'educazioneVI.12. L'animazione teatrale come educazioneVI.13. Teatro e scuola

CAP. VII - DRAMMATIZZAZIONE E ANIMAZIONEVII.1. Drammatizzazione e linguaggiVII.2. Drammatizzazione come espressione-comunicazione totaleVII.3. Programmare la drammatizzazioneVII.4. Il progettoVII.5. Forme di drammatizzazioneVII.5.1. Gioco e gioco drammaticoVII.5.2. GiocodrammaVII.5.3. Lo psicodrammaVII.5.4. Lo psicodramma pedagogicoVII.5.5. SociodrammaVII.5.6. Il teatro didascalicoVII.5.7. Il teatro inchiesta

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VII.5.8. Sport e rappresentazione drammaticaVII.6. Schema di lavoro per una drammatizzazione totaleVII.7. Come svolgere la spettacolazione

CAP. VIII - I METODI MIMICIVIII.1. Animazione mimo-gestualeVIII.2. Metodi mimici VIII.2.1. Etienne DecrouxVIII.2.2. Jean Louis BarraultVIII.2.3. Marcel MarceauVIII.2.4. Jacques LecoqVIII.2.5. Orazio Costa: il metodo mimicoVIII.3. Metodologia e didattica della mimicaVIII.4. Il mimo e la mimicaVIII.5. La danzaVIII.8. Tipologie di gesti mimiciVIII.9. Mimica pura e mimica genericaVIII.10. L'imitazioneVIII.11. Mimica e drammatizzazioneVIII.12. La pantomimaVIII.13. Il mimo giocoVIII.14. Il corpo raccontaVIII.15. Il corpo, gli altri, le coseVIII.16. Percezione, immaginazioneVIII.17. ProblemiVIII.18. Mezzi e tecnicheVIII.19. Lo spazio scenicoVIII.20. La respirazioneVIII.21. Espressività della voceVIII.22. Espressività della maschera e del costumeVIII.23. Il costumeVIII.24. Alcune esemplificazioni

BIBLIOGRAFIA

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INTRODUZIONE

Le proposte che seguono nascono dalla necessità di recuperare il significato educativo dell'animazione che merita di essere liberata dall'improvvisazione, dallo spontaneismo, dalle teorie permissivistiche, liberatorie, terapeutiche.

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Ci chiederemo quale rapporto intercorre tra comunità, educazione e animazione, che cosa intendiamo per animazione, situandola storicamente nel nostro tempo, infine che cosa intendiamo per operatori dell’animazione. L'ideale che teniamo presente si può definire «l'utopia della comunità del tempo libero», dove possa realizzarsi l'incontro tra la libertà e la necessità, grazie alla celebrazione di tutti i valori di cui ogni essere umano è portatore, primo fra tutti la libertà. «Il tempo libero non è la fine del lavoro; è il lavoro che è la fine del tempo libero. Questo deve essere consacrato all'arte, alle scienze e di preferenza alla filosofia», (Aristotele, Ethica Nicomachea).Da sempre l'essere umano ha cercato di riscattarsi attraverso la libertà e di ricreare se stesso attraverso il tempo libero, durante il quale partecipa alla costruzione del sé più vero e completo, cercando di non dividere più se stesso in due parti: lavoro (esistere) e il tempo libero (l'essere). Questa permanente affrancazione è stata ed è una permanente lotta dell’individuo che si ribella all'asservimento ai soli bisogni materiali, per raggiungere una tale qualità e quantità di tempo libero, che permetta l'estrinsecazione completa di ciascuna persona in una superiore collocazione spirituale. Tale lotta, oltre quella diretta contro ogni sistema di potere-dominio, prevede ancora fasi alterne che possono esprimersi da una parte in insoddisfazione di sé, o in una visione troppo materialistica o spiritualistica dell'esistenza; dall'altra in impegno di singoli o di gruppi impegnati nella realizzazione dell'utopia, fiduciosi nell'essere umano, con una visione positiva dell'esistenza delle future generazioni. Occorre aiutare ciascuno a recuperare la propria interezza e la propria creatività, nel rifiuto della parcellizzazione di sé, vincendo l'urto con la società dei consumi e i tentativi di mercificazione e di massificazione. Già si intravedono nuove correnti di pensiero e di cambiamenti sociali che indicano un rinnovato cammino.Ma ancora accade spesso che l'uomo cerchi di compensare, con gli svaghi del tempo libero, il tempo che non è più suo, perché lo ha venduto in cambio dei mezzi che gli consentono di godere di un tempo che apparentemente gli appartiene. Il tempo libero è una realtà esistente e in fase di ulteriore ampliamento. Esso è regolato da molti fattori: riduzione della giornata lavorativa, accresciuta possibilità economica di poterlo godere, presenza di innumerevoli modelli istituzionalizzati e spontanei a cui fare riferimento, cambiamenti in atto nella stessa scuola e in altre agenzie educative. Ciò che manca è però una formazione che permetta a ciascuno di operare scelte critiche personalizzate: manca cioè un'educazione al tempo libero, perché la maggior parte delle proposte non si pone in una reale prospettiva di educazione permanente. Una tale opera educativa spetta in primo luogo alla scuola, la cui latitanza (o quanto meno il suo andare a rimorchio), deve cessare. Dalla scuola deve partire una programmazione verso l’autonomia e nella continuità che vada oltre la scuola, fino a comprendere tutta la vita di ciascuno.L'utopia che l'uomo ha sempre sognato è quella di una comunità in cui la persona sia libera da ogni affrancamento e realizzi se stessa in comunione con le altre; una comunità in cui la persona sia il costante riferimento di tutte le cose e il lavoro e il tempo libero (i due volti del Giano bifronte), si unifichino. Si tratta di un mondo senza eroi, senza primi della classe, senza padroni, senza autorità, senza divi, senza dei, senza deleghe, senza la fittizia identificazione con il successo, senza il culto della personalità, senza modelli da imitare o con i quali identificarsi. Un mondo in cui ciascuna persona può finalmente svelarsi e dispiegarsi, perché conosce e si conosce e il cui libero sviluppo è condizione dello sviluppo di tutti e la propria libertà si identifica con il rispetto di sé e degli altri.Il lavoro diventa gioco e il gioco conoscenza e democrazia, cioè tempo di attività superiore, trasformando l'uomo in soggetto diverso, creato, ma autoformantesi nella tensione verso la realizzazione del proprio progetto storico. In tal senso qualunque processo di produzione immediata perde la sua vacuità ed il suo egoismo che ha reso l'uomo oggetto, poiché ciò che conta è la chiarezza e la permanenza del progetto ed il cammino dinamico della sua realizzazione. Un tale processo è disciplina morale, valore, etica per l'uomo in divenire; esercizio, scienza sperimentale, creatività per l'uomo che ogni istante diviene.La persona-soggetto darà secondo le proprie possibilità, le proprie capacità, i propri talenti, esercitando le proprie facoltà interiori e testimoniandole, controllandole e ristrutturandole; artefice di sé e capace di influire concretamente sui processi di crescita della comunità.In una comunità del tempo libero ciascuno potrà perfezionarsi in qualunque campo e a suo piacere e l'attività come processo e il relativo prodotto non gli saranno più estranei. La persona non sarà più animale da lavoro, carne da macello, animale da addestrare, fisicità da vendere, ma essere superiore in virtù del suo essere corpo-persona, corpo-fisico/simbolico.La ricomposizione tra fisicità e spiritualità, tra esistenza e essenza, tra necessità e libertà, tra società e comunità, tra classi e generazioni, tra ideologie e ideali, tra me e l'altro è il progetto che ci attende. Basta col dire: «ora è il tempo del gioco, ora è il tempo dello studio, ora è il tempo dello sport, ora è il tempo dell'amore, ora è il tempo del lavoro, ora è il tempo del riposo. Ogni giorno di ogni anno di tutta la nostra vita, deve avere in sé il gioco, lo studio, lo sport, l'amore il lavoro e il riposo».Intese le attività di animazione come mezzi che favoriscono la crescita positiva della persona e della comunità, lo scopo che dobbiamo darci è quello della formazione di operatori ad alto grado di qualificazione educativa, in grado di aiutare i soggetti nella scelta autonoma e cosciente delle proprie attività, piuttosto che limitarsi alla formazione di operatori in maniera generica e superficiale, all'insegna del «basta fare o muoversi», o soltanto fornire ambienti, luoghi e possibilità già predeterminate. Purtroppo la maggior parte delle iniziative di formazione degli operatori della animazione, oltre a non essere svolte a livello universitario (e post-universitario), offre proposte di attività

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parziali e standardizzate. Quasi tutti gli interventi privilegiano iniziative improvvisate e situazionali su richieste particolari.L'analisi di una diversa concezione del ruolo attuale della animazione, non può invece prescindere da un'attenta valutazione sul ruolo e sul contributo che una preparazione universitaria può dare agli operatori del settore.Fino ad oggi, in Italia, la formazione degli operatori per le attività di animazione, è stata gestita da una molteplicità di enti diversi per origine, natura giuridica, ampiezza territoriale, metodi, fondamenti ideologici, tipologia e uso di tecniche, ma certamente accomunati tutti dal desiderio di ampliare il consenso particolare, piuttosto che di ricercare una organica e qualificata soluzione alla problematica delle attività in oggetto. Si è osservato che quanto più è alta la spinta alla ideologizzazione, tanto più le attività di animazione sono centrate su gruppi chiusi, piuttosto che sulla incondizionata accettazione di tutti i soggetti richiedenti e che la formazione dell'operatore motorio è da una parte affidata allo spontaneismo casuale con il dilagare del lavoro nero e dall'altra centrata su ruoli e competenze tecnico specialistiche che generano arrivismo e gerarchizzazioni. Si ha insomma una pletora di motivazioni, mezzi, organismi, operatori, per mezzo dei quali agiscono condizionamenti che avvengono in ambienti già predisposti a forme selettive e discriminatorie, quando non si assiste all'instaurarsi di rapporti pseudoassistenziali che richiedono pesanti ipoteche per falsi fini etico-morali. Così l'animazione è costretta, fino dalle sue origini nonostante i proclami, a patire le pesanti ipoteche di una socio-cultura alla quale non può e non deve appartenere, ma di cui riproduce, con toni falsamente libertari, impostazioni retrograde o apparenti progressismi che sono però evidentemente staccati dalla sostanza del concetto di animazione (che è la persona stessa).Ad una animazione aprioristica, immotivata, stereotipata, strumentalizzata corrispondono comportamenti istintuali o automatizzati, che si riproducono a causa della formazione di operatori che rivelano professionalità fittizie, banali e vicarie, consumandosi, nella forma più immediata, attraverso attività ludiche ripetitive o anarchiche, in esperienze dove campeggiano toni di aperta aggressività, di esaltazione egoistica o di qualunquismo massificante, il movimento irrazionale, la violenza diffusa. Tutto ciò favorito sia dall'uso di attrezzature meccaniche e di materiali con bassi o nulli coefficienti di reinventabilità e di creatività, mediante esperienze imitative spersonalizzanti, di larga identificazione ed evasione, sollecitate dal contatto con schiere di falsi eroi e con effimere giustificazioni di marca pseudo-psicologica di ritorno al primordiale, alla natura animale dell'uomo che dovrebbe così farsi libero.In questo quadro le attività di animazione vengono spogliate dei caratteri distintivi e originali (personalizzazione, autonomia, creatività, simbolico, comunicazione-comunione), mortificandosi in momenti di alienazione e come processo di espropriazione di una gran parte delle esigenze e dei bisogni fondamentali della persona.Così l'animazione porta sulle spalle la pesante eredità e quindi le ipoteche di una tradizione fallimentare sul piano pedagogico e disumanizzante su quello etico, presentandosi come un'esperienza tendente a totalizzare la persona nella società, usata per avocare a sé il potere e quindi da combattere e da rifiutare. Gestita in forma gerarchica e non democraticamente partecipata, con aree di esperienza prese qua e là a prestito, senza ricerca e sperimentazione, frantuma le proprie esperienze nel mito socio-libertario dai confini chiari e dall'infecondo isolamento.Tale modello di animazione, che appare di indirizzo univoco e predefinito, muore ben presto, producendo nuova alienazione nei soggetti e disoccupazione negli operatori, tutti sacrificati sull'altare di finalità chiuse nel limitato concetto della sua unidimensionalità, nella quale, se abbiamo il coraggio civile di leggere seriamente le cifre, risulta più che mai evidente e inevitabile la spoliazione e la mortificazione di soggetti costretti ad uno squallido ludismo o ad atroci selezioni. Il costo di tali scelte è socialmente immenso.Dopo alcuni decenni di discussioni, si tratta oggi di dare ordine alla materia:- la scuola deve riappropriarsi delle troppe deleghe date, poiché ad essa spetta l'educazione;- l'università deve farsi carico della formazione degli operatori qualificati che il corpo-persona merita;- l'ente pubblico deve offrire servizi adeguati secondo le richieste dei cittadini;- l'ente di promozione motoria deve sollecitare e attivare tali servizi mettendo a disposizione i propri quadri organizzativi, ma usando operatori qualificati presso le università;- il CONI deve essere ricondotto al proprio specifico.In relazione a quanto precedentemente esposto, ribadiamo che è il momento di riordinare idee e strumenti, individuando la sostanziale coerenza delle linee metodologiche e operative interne ad un progetto di animazione permanente; se cioè l'ispirazione educativa non è rinnegata, ma rimane viva e autentica all'interno delle scelte che Governo, Università, CONI, Scuola, Enti di promozione andranno a fare.Tutto ciò anche mediante:- la scelta culturale: contro la animazione come religione, evasione, disimpegno, ma con la necessità di integrare tale esperienza nella realtà culturale, sociale e politica del Paese, ponendo al centro i concetti di persona e di comunità;- la scelta della persona: per fare bene animazione, essa deve essere un mezzo di liberazione della persona, combattendo la strumentalizzazione e la mercificazione purtroppo presente in tutti i suoi livelli;- la scelta dei «poveri»: perché i metodi e gli strumenti della animazione tradizionale (ma spesso anche di quella cosiddetta alternativa), sono inadatti ad eliminare l'emarginazione culturale e a realizzare una animazione per tutti, di tutti e con tutti;- la scelta associativa: perché la animazione passa attraverso l'esperienza associativa democratica e partecipata;

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- la scelta della comunità: perché il pluralismo associativo, l'accoglienza e la solidarietà sono le condizioni dello sviluppo della animazione per tutti, di tutti e con tutti;- la scelta politica: perché l'animazione per tutti, di tutti e con tutti, esige una scelta politica prioritaria, una organizzazione integrata di programmi e strumenti sempre più elevati.Il mondo della animazione si proclama neutrale, ma al tempo stesso frantuma e utilizza in mille rivoli ideologici il proprio valore socioculturale. Si tratta di due atteggiamenti fra loro contraddittori che continuano a convivere nel modello attuale di animazione, caratterizzandone la fisionomia culturale e gli indirizzi operativi. Dalla proclamata neutralità deriva la tendenza a separare l'animazione dalla vita e a isolare il soggetto sotto una campana di vetro fatta di falso perbenismo, lontano dalle attuali correnti culturali, disinformato e disimpegnato sui problemi del proprio ambiente e della società. In tal senso si pone come alternativa di vita anziché come educazione alla vita, anzi come vita stessa, da una parte contrapponendosi con presunzione e arroganza ad altri ambiti dell'esperienza, dall'altra coprendo con un velo di ipocrisia le sue distorsioni, mascherando i suoi contenuti e intenti reali. Insieme ad un superficiale idealismo moralistico (più o meno presente in tutte le espressioni di animazione), essa appare come sottocultura che subisce passivamente le influenze del momento e che si fa regolarmente veicolo e docile strumento della cultura dominante e dei più diversi centri di potere. Le esasperate forme di esaltazione dell'aspetto tecnico-specialistico, con la ricerca del risultato aderente al concetto di efficienza-profitto, spinge ad identificare il valore con il produrre, più che con il compiere autentiche esperienze di vita.Dall'altra parte si assiste al «basta fare, basta muoversi», con analfabeti che si improvvisano allenatori, istruttori, animatori ribaltando nei soggetti la rimozione dei propri «fallimenti» sportivi; o con genitori urlanti sugli spalti verso figli-campioni incitati a vincere o a morire.A queste impostazioni rispondiamo con una proposta personalista-comunitaria al centro dell'esperienza di animazione, poiché ciò equivale a rompere qualitativamente rispetto al modello dominante, vuol dire far scendere l'animazione dal suo attuale piedistallo di presunzione per incarnarla nella concretezza umana del praticante, in tutta la sua gamma di connotazioni, possibilità e bisogni, vuol dire rifiutare qualunque gerarchizzazione a cui portano i sistemi attuali di animazione, vuol dire prendere coscienza dell'ingenuo fideismo sulle qualità taumaturgiche di una animazione comunque praticata.Non è più sufficiente l'offerta del fare, lasciando che sia la sola attività a sviluppare i suoi effetti che invece di per sé non sono mai benefici. L'animazione ha valore e produce effetti benefici, se si fa pienamente animazione umana, nelle linee della storia della persona e della comunità, se si immette, ad integrazione, nel flusso della vita individuale e relazionale, con la propria autonomia e capacità dialettica, per partecipare ai processi culturali e formativi, senza moralismi, ideologie, strumentalizzazioni commerciali, di prestigio, di potere-dominio. Ciò non significa rigettare tutte quelle esperienze di animazione che hanno dimostrato validità, vuol dire che molte delle esperienze proposte fino ad oggi non sono adatte a tutti e non sono le uniche ad avere il diritto di fregiarsi del titolo di attività di animazione; vuol dire che l'animazione non può identificarsi con la quantizzazione e la gerarchizzazione dei risultati raggiunti.In definitiva significa attivare l'animazione sia verticalmente che orizzontalmente, sottomettendola alla diversità e alla specificità dei singoli nell'incontro con gli altri.Per un'analisi delle condizioni attuali delle attività di animazione, è necessario prendere in esame alcuni elementi.a)- Sul piano socio culturale: individuando le istituzioni e gli enti di animazione al fine di realizzare una analisi concernente:- le tipologie dei sistemi di interazione istituzionali finalizzati alla animazione;- le istituzioni e gli enti impegnati in tal senso;- le tipologie degli interventi ipotizzati;- il numero di interventi ipotizzati;- il numero di interventi realizzati;- la morfologia della frequenza degli utenti nei corsi attivati;- le metodologie utilizzate nella animazione;- le modalità di valutazione;- il grado di fruibilità delle proposte da parte dell'utente;- la continuità dell'interazione tra enti e utenti, nel tempo.b)- Sul piano etico-politico: individuando le scelte che stanno alla base dei piani promozionali e formativi. In tal senso dovrà essere realizzata un'analisi delle finalità previste nei documenti istituzionali fondamentali: statuto, guide organizzative, progetti tecnici, ecc.c) Sul piano formativo-organizzativo: individuando le metodologie che stanno alla base dei piani promozionali e formativi, realizzando una analisi specifica degli obiettivi implicitamente e esplicitamente perseguiti istituzionalmente e applicati in situazioni locali di base, medio e alto livello di professionalità, nella realizzazione delle proposte formative:- obiettivi istituzionali, associativi, organizzativi, agonistici, educativi, tecnici.

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In riferimento a queste analisi, dovranno essere compilate anche schede informative comparabili, in cui siano evidenti i modelli formativi e i referenti delle istituzioni e degli Enti che si occupano di animazione nelle varie aree territoriali (sintesi di obiettivi, contenuti, mezzi, metodi, attività e modalità di valutazione formativa, prevalenti).Una revisione delle finalità, degli obiettivi, dei metodi della animazione, può partire dall'analisi dell'esistente e dalla comparazione dei diversi modelli promozionali presenti sul territorio nazionale. Individuando gli aspetti socioculturali, etico-politici e formativi della animazione, congruenti con lo sviluppo integrale della persona in un nuovo assetto sociale rivolto alla partecipazione e alla cooperazione comunitaria, potrà essere realizzata una peculiare selezione delle finalità, degli obiettivi, dei metodi e dei criteri atti a garantire l'acquisizione di attitudini di comportamento idonee allo sviluppo della personalità, per dare a ciascuno l'autonomia decisionale, operazionale e relazionale.Tutto ciò implica anche una revisione della dimensione etica cui fa riferimento la formazione motoria di base. I concetti devono essere rivisitati e corretti alla luce delle molteplici acquisizioni scientifiche che oggi possono essere collegate al corpo-persona nella sua dimensione personale e comunitaria. Ad esempio lo sport può essere concepito come uno degli ambiti applicativi in cui possono trovare applicazioni le virtualità, le potenzialità, le capacità, gli atteggiamenti, le conoscenze, le abilità (operative e comunicative) e le competenze della persona. Ma esso può divenire un mezzo educativo flessibile ed adattabile alle esigenze della educazione e della formazione, se con un'operazione concettuale fondamentale, si riesce a concepire un ritorno della attività sportiva al gioco. Quest'ultimo, caratterizzato da flessibilità statuaria e quindi suscettibile di modificazioni (anche repentine) rivolte a rispondere alle necessità emergenti delle situazioni formative contingenti, è direttamente collegabile ad una concezione della persona che da oggetto di storia, si fa soggetto di storia mediante la sua adesione ad una gerarchia di valori liberamente eletti, assimilati e vissuti con impegno responsabile ed una costante riconversione interiore.La persona unifica così tutta la sua attività nella libertà e sviluppa nella crescita, attraverso atti creativi, la singolarità della sua vocazione. La libertà di scelta caratterizza dall'interno la persona come essere dotato di individualità biologica, di dignità etica, di padronanza delle proprie scelte; caratterizza la persona dotata di capacità di porre ordine, di integrare e unificare i desideri, le volontà e le speranze in un principio superiore di vita; caratterizza la persona dotata di tensione al cambiamento nella ricerca di perfezione, nell'impegno e nella comunione con le realtà esistenziali e trascendentali degli altri soggetti; caratterizza la persona dotata di responsabilità personale nell'intervento entro l'apparato sociale; infine caratterizza la persona dotata di capacità di accogliere e di donare per integrare la sua stessa esigenza in un'autentica comunione in comunità con gli altri.Lo sport è oggi qualcosa di più di un'attività che ha i suoi praticanti, i suoi organizzatori, i suoi spettatori. È un modello culturale che subordina l'uomo (con le sue potenzialità) considerandolo come mezzo in funzione del risultato inteso come fine. Risultato in termini di prodotto quantitativo, ovvero il «record», la «performance» e di spettacolo, ovvero di materiale commerciabile in grado di attivare giri d'affari di proporzioni vertiginose.E come tutti i sistemi che hanno successo, anche quello sportivo è in tendenziale espansione:- ricercando consensi nella opinione pubblica, dandosi giustificazioni etiche, che spesso camuffano spinte ideologiche, facendo appello ad affermazioni cariche di demagogia, ma che ormai siamo abituati a dare per scontare;- ricercando una base di adesione e di partecipazione sempre più larga, a garanzia di maggiori serbatoi a cui attingere nei processi selettivi per reperire il campione.Tale allargamento si è inevitabilmente spinto in direzione anche di una maggiore precocità, di un'anticipazione dei tecnicismi (anche se mascherati da avviamenti ludici), la ricerca di maggiori garanzie per il raggiungimento dei risultati (non importa se a scapito dei più).Ed è proprio qui che occorre operare il ribaltamento da sport-fine a sport-mezzo, da sport-prodotto a sport-processo, in realtà dall'uomo-oggetto all'uomo-soggetto, qualunque età abbia. Nello sport prevale l'individualismo e l'egoismo quando si ricerca una quantificazione delle prestazioni in base ad adattamenti continui delle potenzialità e delle capacità dei corpi-persona alle esigenze della performance. Le regole sportive sono caratterizzate da una rigidità che condiziona unidirezionalmente i processi di apprendimento al fine di migliorare i risultati. Il gioco fornisce invece occasioni formative multilaterali e polivalenti in cui prevale la qualificazione degli atti del corpo-persona. Esso prevede una innumerevole varietà di contesti e scenari interattivi che situazionalmente vengono adattati alle esigenze educative dei giocatori e della comunità educante, intervenendo sulle regole del gioco. Il gioco si avvale quindi di strumenti organizzativi flessibili: le sue regole, mediante alcune proposizioni verbali, definiscono le situazioni problemiche e i relativi concetti, mettendo in evidenza i «perché motori» ed individuando le possibili modalità di azione in modo categoriale, senza definire in concreto i «come motori», le forme operative e relazionali utilizzabili nel gruppo. Lo sport vive di una propria morale collegata alle prevalenti dinamiche del sistema di mercato di una società materialistica, si fa strumento di produzione di spettacolo da vendere e impiegare come veicolo pubblicitario (in particolare quando è realizzato ad alti livelli di prestazione). Il gioco invece diviene strumento e contesto educativo poiché consente a ciascuno l'esercizio personalizzato di una molteplicità di azioni democraticamente organizzate, liberamente finalizzate in senso operativo e comunicativo, rispetto a complessi di regole per mezzo delle quali i giocatori attivano e realizzano svariate forme di sperimentazione:- coll'efficacia delle loro azioni,

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- con la significatività dei loro gesti,- coll'intensità dei loro atteggiamenti.Il gioco acquista il suo valore allorché consente ai giocatori di progettare-realizzare-valutare liberamente molteplici forme di espressione del proprio corpo-persona, in quella dimensione etica facilmente collegabile ai valori autentici di libertà, responsabilità, cooperazione, ecc.L'utopia della rivoluzione sociale deve ispirare direttamente una trasformazione reale della comunità, anche nell'ambito educativo e formativo, per giungere sino alla realtà sportiva che assumendo la forma e la sostanza della comunità, nelle interazioni personali nel gruppo, in gruppo e tra gruppi, usa il gioco per stabilire il primato:- dell'amore sull'oppressione,- della partecipazione diretta e attiva sulla passività,- dell'impegno nella cooperazione sull'emarginazione,- dell'essenzialità e irripetibilità di ogni attimo della vita sulla sua futilità,- della significatività ed unicità di ogni atto sulla sua inutilità, - della responsabilità nella comunicazione sociale sull'indifferenza, ecc.Il gioco è dunque strumento educativo fondamentale in quanto consente la strutturazione di contesti interattivi, esso è adoperato dagli stessi protagonisti in relazione alle loro necessità educative e di sviluppo. Individuiamo così una finalità educativa più ampia di quella collegata all'apprendimento di abilità sportive, specie in età giovanile e cioè i valori della fratellanza, della solidarietà e della riconciliazione, della comunione, in un clima di festa a misura dei bisogni dell'uomo. Il congegno sportivo e le sue modalità di gerarchizzazione delle prestazioni, presenta problemi, difetti, limiti, specie se viene asservito spudoratamente ai processi di proliferazione del profitto nel mercato economico ed alle necessità di espressione di una prestazione che si esaurisce in se stessa sul piano dei valori e che renderanno difficile un adeguato cambiamento delle dinamiche legate al doping, alle operazioni di mercanteggio degli atleti, alle gestioni sanitarie spregiudicate, alla mercificazione delle tifoserie, ecc.Una pedagogia del corpo-persona, attenta e rivolta alla animazione umana dei ragazzi e dei giovani (ma non solo), anche per mezzo dello sport come mezzo educativo, deve rivelare questi problemi, individuarne le determinanti e riflettere sui limiti che derivano dall'attuale organizzazione socioculturale dello sport e della società. I giovani debbono poter vivere nuove occasioni di espressione della loro personalità, mediante l'adesione ad iniziative di animazione con forme naturali di pratica giocosa, entro società rifondate come comunità sotto il profilo etico, teleologico, organizzativo, metodologico e agonistico. Ciò mediante:- La libertà progettuale, centrale nel dirigere gli sforzi formativi della società-comunità.- La compartecipazione gestionale quale garanzia di una reale condivisione di finalità e dei ruoli organizzativi.- La polisportività che rende possibile flessibilità ed integrazione dei modelli efficientistici (culturismo e rispecchiamento egocentrico in se stessi), dominanti oggi nel sociale.- Il confronto tra persone e/o gruppi basato sull'elaborazione di strategie e sull'espressione di abilità cognitive, relazionali ed operazionali, che porta alla scoperta di nuove forme di competizione e di agonismo.È necessario riscoprire il senso di questi valori per attivare le potenzialità formative ed educative insite in una nuova concezione della animazione che si ponga al servizio della persona, in cui la partecipazione intergenerazionale e la cooperazione rendano possibili nuove forme di attività e di gestione rispetto a quelle attuali.Molte sono le domande a cui dobbiamo cercare di dare una risposta: Perché nasce lo sport? Come nasce? Qual'è il ruolo dello sport oggi e quale dovrà essere domani? Qual'è la sua funzione? Quali motivi inducono un soggetto a confrontarsi con un altro soggetto? Qual'è il ruolo, la testimonianza dell'uomo? Qual'è il suo destino? Che cos'è che spinge l'uomo a desiderare di essere domani ciò che non è oggi? Quali motivi lo portano allo scontro generazionale ed intergenerazionale? Quale aspirazione può rendere possibile la cooperazione? Che cosa è giusto insieme per il soggetto e la comunità? Nella comunità sportiva lo spazio-tempo disponibile per l'esercizio delle abilità sportive, non deve far dimenticare al singolo e al gruppo la necessità dell'esercizio della carità, della solidarietà, dell'incontro, sino a riconoscere la relatività dell'utilità dello sport fino alla sua stessa inutilità. Lo sport non potrà quindi essere un punto di arrivo, ma un traguardo intermedio, funzionale all'esercizio autonomo della propria personalità entro una comunità di fratelli dotati di capacità e abilità diversificate, ma sempre comunque portatori di pari dignità e di pari valore. I nuovi modelli della animazione riconducono i vari progetti formativi ad una concezione personalistica-comunitaria delle performance, entro i contesti applicativi scelti e determinati dalla comunità educante. In particolare la dialettica filosofica attuale riconosce l'unitarietà della persona nelle dimensioni cognitiva, emotiva-affettiva, linguistico-relazionale, cinetico-operazionale, nel divenire dinamico del corpo persona, espressione del progresso socioculturale e spirituale. Il corpo persona è soggetto di comunicazione e di testimonianza. Ne emergono dei valori che debbono essere acquisiti e collocati in rapporto ai i rispettivi ambiti applicativi.

AMBITO VALORI

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Personale: io Volontà, impegno, coraggio, fantasia, creatività, interazione, socialitàComunitario: io-altri Comunicazione, confronto, agonismo, competizione, incontro, aggregazione, coo-

perazione, accordo, integrazione, solidarietà, accoglienza, compartecipazione, comunione.

COMUNITÀ SPORTIVAANIMAZIONE CRESCITA CULTURALE (individuale e comuni-taria)Metodologia interdisciplinaritàObiettivi verso qualità e capacità esistenziali

- funzionali e coordinative- espressivo-comunicative- emotivo-affettive- relazionali- cognitive- etico-morali

Contenuti: prevalenza nella compresenza 0-3 anni corpo come esperienza3-6 anni corpo come linguaggio6-8 anni corpo come memoria8-11 anni corpo come immagine11-14 anni corpo come progetto14-...anni corpo come scelta

per promuovere la persona ecologica mediante - educazione corporeo-motoria ecologica

- avviamento ecologico allo sport - pratica ecologica dello sport - pratica dello sport ecologicoAttività - gioco tradizionale infantile (esistenziale)

- gioco educativo (scolastico e promozionale)- gioco sportivo (avviamento)- sport giocato (stile di vita)- sport (specializzazione)

Riferimenti didattici orientativi - multimedialità, multimodalità, polilinguismo, polivalenza, interdisciplinarità, immagine mentale, situazione problemi-ca, operazionalità, sociodramma, capacità combinatorie, transfer, ecc.

Significati - ecologico: riequilibro uomo-ambiente- personale: realizzazione originalità e autonomia- comunitario: realizzazione della solidarietà- estetico: senso del bello- culturale: consapevolezza cognitiva- senso: origine e originalità, testimonianza, destino.

CAP. I - LA COMUNITÀ EDUCANTE

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1.1 Società e comunità

I concetti relativi a «società» e «comunità», non sono equivalenti. A. Ross definisce la società (da socius: compagno, socio): una organizzazione di «interessi coincidenti e connessi», lasciati al libero gioco delle decisioni individuali; oppure «prelevati dalla sfera di libertà dei singoli e immessi nella sfera della giuridicità» (in questo caso gli interessi da privati diventano pubblici). (Giugni G., 1983)La comunità (da cum munus, partecipazione ad un compito) è una associazione di persone, strettamente collegate dalla coscienza che esse hanno di non essere isolate, ma parte di un tutto. Mentre la società è una organizzazione di interessi, pubblici e privati; la comunità è l'espressione del sentimento di appartenenza. Il passaggio dalla società alla comunità si ha, appunto, quando intervengono sentimenti di simpatia e di partecipazione mediante i quali l'individuo si riconosca col gruppo. (Giugni G., 1983)Secondo Mounier la «società» vera, è la società personalistica: un'unione di persone così intima da risultare essa stessa personale. Essa fonda il proprio vincolo sull'amore e sulla prassi della comunione. 1 «Il tirocinio della comunità è il tirocinio del prossimo inteso come persona nel suo rapporto con la mia persona; ed è quello che con termine felice si è chiamato il tirocinio del TU». Il rapporto dall'io al tu è l'amore, cui la persona in certo modo si decentra e vive nell'altra pur ponendosi e possedendo il suo amore. L'amore è l'unità della comunità come la vocazione è l'unità della persona. L'amore non si aggiunge alla persona come un di più, come un lusso, senza l'amore la persona non esiste.2

Questo tipo di comunità fondata sul vincolo dell'amore e sulla prassi della comunione, costituisce la sola società nella quale la persona può realizzarsi.Secondo il Tonnies, gli uomini possono avere tra loro due tipi di relazioni: una comunitaria e una sociale, completamente differenti: «Tutto cio che è fiducioso, intimo, vivente, esclusivamente insieme, è compreso nel concetto di comunità. La società è ciò che è pubblico, è il mondo; al contrario ci si trova in comunità fin dalla nascita con i propri cari legati ad essi nel bene e nel male. Nella società si entra come in una terra estranea…La comunità quindi si configura come un organismo naturale, segnato da una volontà comune, dal predominio degli interessi comuni, dalla solidarietà come regola di vita spontaneamente esercitata. Essa si struttura sulla base di bisogni costitutivi della persona, che si sente vivamente partecipe di tutto quello che accade, coinvolta in ciò che muta e in ciò che viene conservato». (Scaglioso C., 1985) Alla comunità va quindi dato un grande valore, indispensabile per la vita di ciascuna persona, che senza di essa non riuscirebbe a realizzare la propria umanità. I concetti, dunque, di «società» e di «comunità»3 esprimono due categorie o forme del vivere insieme spesso contrastanti. «Il concetto di società, infatti, viene utilizzato per indicare una forma di vita sociale, organizzata razionalmente per la soddisfazione dei bisogni e degli interessi individuali e, pertanto, regolata da rapporti essenzialmente giuridici che tendono a sostituirsi sempre di più agli altri tipi di rapporto a causa di conflitti, di interessi, di lotte per il potere, di lotte di classi, ecc. Il suo scopo è l'efficienza e il rendimento; le relazioni che vi predominano sono impersonali e indirette. Questo tipo di organizzazione sociale tende a realizzarsi principalmente nel campo politico, in quello economico e sportivo. Il primo è caratterizzato dai fenomeni della centralizzazione del potere e dalla burocratizzazione dell'amministrazione che mirano a spogliare gli individui della loro responsabilità. Il secondo e il terzo sono caratterizzati da una duplice tendenza: la gerarchizzazione, che si traduce in una complessa stratificazione sociale, raggruppata intorno alle funzioni dirigenziale ed esecutiva; e la dilatazione delle dimensioni, che portano alla 1 «La nostra vita è basata su ben precisi rapporti sociali con i nostri simili, da cui ci derivano gratificazioni e sollecitazioni positive, oppure frustrazioni e pulsioni negative, capaci di portarci verso forme patologiche di comportamento. È noto che questi rapporti, oggi, sono diventati difficili dovunque ci troviamo: nei luoghi pubblici, nelle strade, negli uffici, nelle stesse istituzioni educative, quali la famiglia» (Giugni G.,1983). Viviamo nell'era del materialismo, dove avere è molto più importante che essere, dove un uomo viene valutato non per ciò che è ma per quel che sembra, un'era che sembra dare valore solamente al dio quattrino. «Aumenta il numero di coloro che agiscono come se gli altri non esistessero o come se esistessero solo per il proprio utile». Ciascuno tende ad isolarsi, a chiudersi nel proprio mondo, è indifferente verso gli altri, quasi sempre intollerante», «vengono rimpianti come paradisi perduti, la comunità famigliare di un tempo e quella locale, dove i rapporti sociali erano fortemente personalizzati e mantenuti dai valori della solidarietà, della cooperazione, della partecipazione» (Giugni G., 1983).2 Bisogna procedere oltre: senza l'amore le persone non arrivano a divenire tali; tutta l'umanità è un'immensa cospirazione d'amore ripiegata su ciascuno dei suoi membri, ma talvolta mancano i conquistatori» (Mounier E., 1975).3 La comunità come valore è presente anche nei pensatori laici. Basti il riferimento a Karl Marx secondo il quale: «solo nella comunità con gli altri, ciascun individuo ha i mezzi per sviluppare in tutti i sensi le sue disposizioni; solo nella comunità diventa dunque possibile la libertà personale, che esisteva soltanto per individui che si erano sviluppati nelle condizioni di una classe dominante», (Scaglioso C., Quadrante 26, 1985).

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progressiva spersonalizzazione degli uomini. Il concetto di comunità, invece, viene utilizzato per indicare una forma di vita sociale, organizzata per soddisfare il bisogno di appartenenza e, pertanto, regolata dai sentimenti di comunanza, di solidarietà, di identificazione e di partecipazione. Essa costituisce un campo di esperienza vissuta, è il luogo in cui il soggetto prende coscienza di sé e si apre a se stesso nel momento in cui si apre agli altri». (Giugni G., 1983) Tali condizioni e tali funzioni hanno un diverso rapporto con i fondamenti assiomatici di riferimento e che in modo sintetico e generale potremo chiamare “tavola dei valori culturali”.4

«La comunità non è un aggregato qualsiasi e nemmeno un qualsiasi gruppo. Nella nostra concezione la Comunità è un gruppo sociale non dato, ma costruito e caratterizzato in base ad alcune precise condizioni e soprattutto ad alcune specifiche funzioni che investono il modo di essere sia della comunità intesa come insieme, sia dei singoli che la compongono. Possiamo assumere, in via di ipotesi, quindi, che la comunità è formata quando i suoi membri condividono un insieme di valori e quindi ritengono che tali debbano essere realizzati secondo una precisa e specifica articolazione di strutture e di programmi (politici, sociali, pedagogici, economici, ecc.). Ciascuna persona si realizza se contribuisce alla realizzazione degli altri: la realizzazione comporta alcune condizioni fra cui la libertà nella scelta dei valori e la conseguente autonomia nella determinazione delle condizioni e dei modi necessari all'attuazione concreta di quei valori. Ma né la libertà né l'autonomia possono dirsi reali se l'atteggiamento dei singoli e della stessa comunità non ammette difformità di scelte, non pratica cioè la tolleranza. Una comunità è tale se ammette la tolleranza, poiché l'intolleranza ne contraddice uno dei principi fondativi, indicato nel rispetto della persona. L'esserci della libertà della persona e la conseguente tolleranza, non sono sul piano esistenziale «stati» acquisiti definitivamente, quanto piuttosto processi costruttivi. Essi conferiscono alla comunità una proprietà dinamica la cui espressione più alta è proprio quel processo che nella nostra assunzione chiamiamo educativo: esso riguarda il singolo, la famiglia, la comunità e dà luogo, entro il progetto storico al progetto pedagogico» (Dalle Fratte G., 1986).

1.2. La comunità sociale e la comunità educativa

Si può parlare di comunità sociale come:- portatrice della cultura in cui il soggetto cresce psicologicamente, intellettualmente, fisicamente. È sulla base di questa cultura locale che il bambino, il fanciullo, l'adolescente, l'adulto, attribuiscono primariamente, e in forme spesso non riflesse, significato alla realtà; ed è sulla stessa base che nascono e si sviluppano, accanto ad idee di autentica saggezza, anche errori esplicativi e interpretativi, condizionamenti, squilibri, pregiudizi;- in senso più ristretto, riferendoci alle famiglie dei soggetti le quali hanno il diritto di cooperare con l'educatore nella individuazione degli obbiettivi educativi, culturali, sociali da raggiungere e di effettuare un'azione di controllo sul raggiungimento o meno degli obbiettivi stessi, ma anche il dovere di una cooperazione educativa che impedisca contraddizioni e fratture le cui vittime sarebbero proprio i soggetti dell'educazione. (AA. VV., 1977)Una comunità è educativa solamente nel momento in cui interviene nella educazione delle persone (dalla loro nascita e per tutta la loro vita) attraverso tutte le istituzioni che la costituiscono, cercando di organizzare un lavoro che sia il risultato della collaborazione di tutti, ma ricordandosi di lasciare libero spazio a ognuna delle agenzie che partecipano al processo educativo dei soggetti; il rispetto reciproco deve essere garanzia fondamentale; a ognuno il suo campo d'azione. Nella realtà il gruppo sociale tende a trasferire nell'agenzia educativa i propri moduli culturali; spetta poi ai professionisti dell'educazione mettere in discussione le proposte avanzate e giudicarle in rapporto alla loro efficacia educativa e culturale.Conoscere le radici del proprio mondo culturale, è uno degli obbiettivi fondamentali da raggiungere nelle agenzie educative di tutte le comunità.5 La cultura locale, che ha valore in sé in quanto emanazione del mondo psicologico, intellettuale, artistico, economico, sociopolitico, etico, spirituale del popolo del quale

4 In questo contesto il termine «tavola» sta ad indicare un insieme ordinato di elementi i quali, proprio per essere considerati valori, implicano o possono implicare un insieme di relazioni reciproche, che la riflessione o le stesse scelte del gruppo sociale interessato individuano, secondo una complessità che deve essere accertata in rapporto alla identità del gruppo stesso. La espressione «culturali» è integrativa della espressione «tavola di valori», e sta a dire che essi costituiscono un elemento della cultura del gruppo, cioè fanno parte di quei modi di soluzione dei problemi dell'esistenza che impegnano ogni uomo.

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fa parte, rappresenta in realtà anche il momento di iniziazione della cultura «riflessa» per almeno due ragioni: la prima, di ordine psicologico, in quanto è nell'ambiente locale che si realizzano e assumono un primo significato le esperienze dei soggetti, cioè i contenuti culturali dell'agenzia educativa; la seconda, di ordine epistemologico, in quanto è dalla riflessione critica sulla realtà esperienziale che origina il processo di ricostruzione della scienza, di consapevolizzazione dei significati, di individuazione dei valori, di capacità e volontà, di intervento razionale e responsabile. L'importanza della cultura locale è evidente. Ma è anche evidente una rapida e radicale trasformazione della stessa. Non si avverte più la forza della tradizione e tutti gli sforzi che si mettono in atto per farla rivivere, producono solo folklore, materia di consumo per i turisti. Tutto del resto cambia e l'evoluzione culturale è inarrestabile» (AA. VV., 1977).6

La macchina ha distrutto il mondo degli affetti ai quali subentra la necessità della competenza, cioè la razionalità. Naturalmente ciò non vuol dire che il mondo delle affettività debba considerarsi nullificato.7

Non vuol dire che il mondo di cui stiamo parlando non abbia più alcun senso, ma che se mai, si tratta di un senso riflesso, non immediatamente vissuto e che perciò rientra in quell'aspetto del problema che abbiamo enunciato con l'espressione «conoscere le radici del nostro mondo culturale». Fra gli aspetti affascinanti del nostro tempo c'è anche questo: che siamo chiamati a rinventare una cultura». (AA. VV., 1977)Già Dewej aveva espresso il suo pensiero a proposito della comunità naturale esistente un tempo e poi venuta a mancare per la nascita della rivoluzione industriale: «Gli effetti di tale rivoluzione possono essere identificati nell'alienazione dell'uomo da se stesso, dalle cose, dalla famiglia, dal lavoro, dal suo ambiente naturale: l'uomo è sottratto al suo abitat naturale, vengono meno i legami che lo univano all'ambiente della sua infanzia e adolescenza. Nascono i fenomeni dell'anonimato e dell'impersonale sulle rovine delle radici dell'uomo stesso, che sono comunitarie». (Orefice P., 1975).8

1.3. L'educazione comunitaria

«L'educazione comunitaria non è un'azione di riflusso, diretta a superare o limitare gli effetti negativi della vita sociale odierna, riportando la vita nelle campagne, restaurando forme di «comunità primitive», con i loro caratteri di staticità, chiusura, omogeneità, spontaneità, naturalezza, ecc., moltiplicando le comunità locali che soddisfano in funzione di un ritiro dalla vita sociale ordinaria e della difesa di ideali culturali, etici, politici, religiosi, ecc. L'educazione comunitaria non rinuncia alla razionalità dell'organizzazione sociale, non mira a contrapporre la comunità alla società o a renderla una sua alternativa. Mira piuttosto ad arricchire la società di elementi comunitari e, cioè, di impegno partecipativo e di solidarietà personalistica. Essa vuole applicare i principi di libertà, di democrazia e di umanesimo in ogni ambito sociale dove l'uomo si trova ad operare; abbattere le divisioni, i compartimenti stagni, le discriminazioni che separano

5 Quando si parla di «radici del nostro mondo culturale», ci si riferisce ad ambedue le culture che vengono arbitrariamente e, diremo, paradossalmente contrapposte: «la cultura che è costituita da quell'insieme di modelli psicologici, mentali, verbali, di comportamento che nascono dall'esperienza comune, individuale e sociale, da un vissuto quotidiano, cioè che tende a stratificarsi e a consolidarsi in quanto il ripetersi delle esperienze sembra confermarne il valore (le culture locali, popolari; si potrebbe perciò parlare di una cultura vissuta); la cultura «riflessa» che, pur nascendo dall'esperienza, ha però il suo segno distintivo nel raffronto sistematico, nella criticità, nella scientificità intesa nel senso più ampio, pregnante, dinamico, propulsivo, che può essere attribuito al termine «scienza».6 Dato che la civiltà contadina si è ormai modificata, e dato che proprio questa civiltà è alla base della cultura popolare, non si pone tanto la questione di far «rivivere» un mondo che non è più, o non sarà più, a breve scadenza (il processo di trasformazione culturale sembra ormai irreversibile), quando quella di individuare i «segni» della nuova cultura popolare che va nascendo e di favorirne e regolarne lo sviluppo. 7 Il dialetto, il canto popolare, le favole, le leggende locali, i giochi e i divertimenti tradizionali, l'esperienza sentenziale, le tradizioni religiose e via dicendo, erano e sono una risposta a certi bisogni di dare un determinato significato alla vita. Se questo subisce cambiamenti, cambiano le manifestazioni, pur restando praticamente immutate le esigenze profonde. Uno dei compiti della scuola, unitamente a tutti gli organismi che sono espressione di esigenze popolari, è di individuare con chiarezza e criticamente nei segni, le istanze profonde e le linee di tendenza, di giudicare le prime e le seconde, di analizzarne i contenuti possibili e di porsi, infine, nel flusso storico, come forza consapevolmente e costruttivamente propulsiva.8 Il Dewej è stato uno dei più accaniti sostenitori dell'importanza dell'ambiente naturale per lo sviluppo dei fanciulli, per la loro educazione ecc.. pur non riuscendo comunque (nonostante ci avesse provato) a formulare adeguate proposte per rendere operative le sue tesi. Quando arriva a porsi la domanda del come realizzare modelli di comunità educative in società industriali, rimanda la soluzione, limitandosi a un generico atto di fede nella tendenza a ricercare nell'uomo rapporti «stabili». Il Dewej indubbiamente fa un grosso salto di qualità quando riconosce che non è tanto la scuola quanto la comunità che deve essere investita del processo di formazione, per cui la pedagogia deve costruirsi una teoria in grado di coinvolgere l'intera comunità in questo processo.

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artificiosamente i diversi partners sociali e le loro culture, moltiplicando i rapporti umani di tipo diretto (faccia a faccia) e di tipo comunitario, il flusso delle comunicazioni personali, le relazioni interpersonali orientate a salvaguardare il rispetto dei diritti a tutti gli appartenenti ad un determinato gruppo e di quelli appartenenti ad altri gruppi; migliorare ed arricchire le qualità dei rapporti e delle relazioni umane fondandoli su norme morali; valorizzare la spontaneità, l'impegno disinteressato, il gratuito, il gioioso; riscoprire l'autentico significato delle tradizioni; costruire una molteplicità di livelli comunitari per rendere impossibile la concentrazione totalitaria del potere, salvaguardare il pluralismo e l'interculturalità, riprendere coscienza del mondo del vitale di quelle società intermedie che mediano l'individuo allo Stato; soddisfare bisogni immediati dei loro membri, favorendo l'equilibrio individuale, ma non la loro chiusura sociale creando comunità settoriali o corporative chiuse, e stabilire un nuovo rapporto con l'ambiente» (Giugni G., 1983). Nella suddetta prospettiva l'educazione comunitaria rappresenta uno sforzo ed un impegno di reazione alle conseguenze dei fattori negativi che spersonalizzano l'uomo e la vita sociale.9

Tutti possono essere protagonisti e cioè vivere, progettare, gestire la propria esistenza e, contemporaneamente, cooperare alla costruzione di una società non violenta e più giusta. Il nostro «IO» nasce e si sviluppa entro un «NOI»: entro, cioè, una molteplicità di comunità più o meno complesse (familiare, religiosa, locale, professionale, nazionale, europea). Le singole persone si costituiscono e contemporaneamente si completano e si perfezionano a vicenda mediante la reciproca solidarietà e la propria specificità culturale. L'emarginato, il diverso, lo svantaggiato sono anche essi protagonisti e possono diventare fonte di ricchezza per tutti, perché stimolano a pensare e agire in modo più umano.Ciascuno ha diritto di essere se stesso, di scegliere, di decidere, di partecipare, di collaborare, nella convinzione, tuttavia, che non può progredire senza il progresso degli altri. È necessario, pertanto, che ciascuno impari a pensare ed a occuparsi anche degli altri, che impari a sentirsi utile ed impegnato quotidianamente nell'incontro e nel colloquio con gli altri, che ciascuno prenda coscienza di ciò che è di per sé e di ciò che è nella comunità, la quale, conseguentemente, non è un semplice fatto emotivo o istituzionale: è qualcosa che già è in noi e che continuamente costruiamo.L'educazione comunitaria costituisce un campo esperienziale di questa costruzione della mutualità, della reciprocità, del rapporto circolare delle persone fra loro, dei gruppi fra loro. Essa prende in considerazione la persona non nella sua singolarità, bensì nella sua alterità, non le persone in se stesse, bensì il loro rapporto mediante il quale ciascuna si realizza e realizza una società diversa. Il rapporto non è una somma, ma una struttura in cui ciascuno dei suoi componenti rafforza ed arricchisce la sua identità e singolarità nel confronto con gli altri; è un processo di progressiva innovazione; è un linguaggio che rende possibile forme di comunicazione sempre più vasta». (Giugni G., 1983)La comunità, come si è già detto, non è un organismo spontaneo e naturale che deve essere recuperato o ricreato: è un modo di essere delle persone in relazione ed è un modo di essere dei gruppi in rapporto reciproco. Questo «modo di essere», deve fondarsi e consolidarsi nella coscienza di ciascuno e vissuto nella società. «L'educazione comunitaria, appunto, ha il compito di formare questa coscienza comunitaria e nel contempo sistemica: «comunitaria» perché rende la persona disponibile a perseguire, insieme agli altri, uno scopo e un progetto comune, che acquista significato morale nella misura in cui si discosta dai bisogni e dagli interessi egocentrici, narcisisti, particolari, e sa operare con la forza delle scelte di cui si assume la responsabilità; «sistemica» perché porta la persona ad inserirsi in una rete di interdipendenze, che

9 Reagisce, soprattutto, alle tendenze suicide del nostro tempo e che Garaudy attribuisce o all'assenza di fini come provano ad esempio le tendenze nevrotiche e di evasione (fuga nell'alcool, fuga nella droga, suicidi di adolescenti più frequenti nei paesi ricchi), la riduzione nel campo di esplicazione della propria personalità per effetto dell'ipervalutazione dei ruoli connessi al funzionamento della struttura produttivo-distributiva; la costruzione di conflitti nell'ambito della personalità per l'interiorizzazione di valori contrastanti; l'impoverimento della disponibilità partecipativa ed il conseguente atteggiamento verso gli altri di tipo aggressivo-competitivo-strumentale; la formazione di stati di frustrazione, di insicurezza e di ansia per il continuo confronto fra sé e gli altri, la propria condizione e gli obiettivi fissati dalla società, le proprie aspirazioni e la realtà; oppure ad un eccesso di mezzi come provano la possibile prospettiva dell'esaurimento delle risorse naturali e l'inquinamento, necessarie conseguenze di una concezione che nella natura niente altro vede se non un'immensa riserva da saccheggiare e un luogo dove scaricare i rifiuti di una società che ha in mano i mezzi per distruggerla sotto entrambi gli aspetti. (Giugni G., 1983)

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abbraccia l'intera umanità, liberandola dalla coscienza esclusiva di gruppo, ossia dall'idea che ogni individuo abbia solo la sua comunità di appartenenza o il suo gruppo di riferimento». (Giugni G., 1983) «Ma la comunità educativa non deve essere pensata come una sorta di Eden, dove i contrasti siano appianati e i conflitti risolti una volta per tutte. Tale conflittualita è insita nel divenire stesso del processo storico: la comunità che pensasse di aver raggiunto lo stadio ultimo e perfetto di realizzazione, finirebbe con lo sclerotizzarsi e si autocondannerebbe al fallimento. In sintesi diventa «comunità educativa» quella in cui nessuno educa nessuno, neppure se stesso, ma dove «gli uomini si educano in comunione attraverso la mediazione del mondo» (Orefice P., 1975).

1.4. La scuola della comunità

Non può esistere una comunità senza che vi sia inclusa l'istituzione «scuola», così come non si può parlare di scuola al di fuori della comunità.Si parla di «scuola della comunità», «scuola nella comunità», e di «comunità scolastica».La scuola è infatti, ancor prima di essere istituzione, una comunità di persone: «La scuola non può quindi esistere senza la comunità alla quale appartiene. Il concetto di appartenenza va letto nella sua denotazione più estesa: la scuola appartiene alla comunità, in quanto, storicamente, essa l'ha voluta come organizzazione capace di realizzare i fini valoriali della comunità; è, questa, un'appartenenza genetica». (Dalle Fratte G., Quadrante 28, 1986)Siamo consapevoli della crisi di transizione oggi in atto tra l'area dei mondi vitali e quella del sistema sociale e delle sue istituzioni. La scuola della comunità si propone come possibile soluzione per superare la crisi. «Questa ipotesi costituisce una possibile alternativa che, mentre supera l'immobilismo e/o l'illusione riformistica degli organi centrali, puntando sugli aspetti chiave della crisi e non solo su quelli organizzativi e funzionali, non elimina o riduce il ruolo dell'istituzione scolastica nei confronti della famiglia e dell'ambiente socio-culturale, ma ne recupera tutta l'importanza e ne qualifica la responsabilità educativa. La scuola della comunità guarda alla persona come valore primario e alla società come l'ambiente nel quale tale valore si realizza. Essa pertanto non si caratterizza come un struttura dove vengono trasmesse solo delle informazioni e neppure come una struttura impersonale e dipendente da una realtà esterna all'istituzione o protesa a riprodurre se stessa, ma piuttosto come una istituzione collegata con i mondi vitali presenti nella società, mediante rapporti di collaborazione e attività volte a fini educativi. L'istituzione infatti è capace di fare proprio, in una mediazione critica e costruttiva, il vitale del vivere sociale che si concretizza nelle relazioni interpersonali, nei legami tra la comunità e l'istituzione e nei valori espressi che vanno continuamente verificati, interpretati e tradotti nell'attività didattica. Sembra questa la via che, fuori da ogni astrattismo e da ogni retorica, permetta alla comunità civile di esprimere e gestire la propria scuola guardando in prospettive di sviluppo alla propria realtà socio-culturale nel più vasto quadro della cultura nazionale e mondiale». (Dalle Fratte G., Quadrante 28, 1986)La scuola è un realtà indispensabile alla comunità nell'attuazione della sua responsabilità educativa. «È tuttavia prevedibile che difficilmente nel prossimo avvenire l'educazione potrà fare a meno di una istituzione specializzata come la scuola, che solleciti organicamente un passaggio dalla «cultura ecologica» che la persona assorbe, in virtù dei suoi rapporti quotidiani e di vita e un gruppo o un comunità, alla «cultura umanistico-scientifica», caratterizzata da una riflessione metodologicamente controllata, passaggio cui può introdurre anche la scuola materna. La responsabilità educativa della comunità non può non implicare quindi l'istituzione della scuola, che così diventa «scuola della comunità», dove per comunità si intende il connettersi stabile a questo fine, ma anche a fini di espressione diversa di autonomia sociale, delle molte comunità nelle quali le persone primariamente vivono e crescono, le famiglie, i più ampi gruppi di parentela e di vicinato, le realtà associative o comunità di altro genere». (Gubert R., Quadrante 25, 1985)Ma non è sufficiente attribuire l'etichetta di «comunità» al concetto di scuola per aver risolto tutti i problemi. Riuscire ad ottenere un rapporto comunitario con tutte le persone che appartengono ad una stessa scuola non è assolutamente facile; è necessario che cambino, per esempio, in primo luogo i rapporti tra insegnanti e alunni, poi tra insegnanti e genitori, ecc. E tutto questo sarebbe solo l'inizio, ma anche se è così poco, oggi come oggi sembra sia veramente un'utopia raggiungere il traguardo sopraddetto. «In questa società infatti, il giovane è ritenuto un soggetto passivo, sottoposto all'adulto, condizionato da modelli imposti e dalle strutture protettive della famiglia, con limitate responsabilità di scelta e, perciò, di autentica

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responsabilità. La scuola, conseguentemente, è un istituto controllato e dominato dalla classe dominante come suo strumento di conservazione e di perpetuazione; è una istituzione destinata prevalentemente all'istruzione intesa come «trasmissione» di una cultura codificata (sganciata cioè dalle sue radici sociali) e condizionante le scelte; è, ancora, rigidamente selettiva, per cui dà valore determinante al titolo di studio: meta e termine del valore scolastico e mezzo per ottenere un impiego; è l'unico centro, o per lo meno il centro privilegiato delle informazioni, colte a ottenere il consenso; ritiene infine il compito educativo soltanto collaterale». (Giugni G., 1983)La scuola si deve necessariamente trasformare da quell'istituto che è, destinato alla mera trasmissione di cultura e di istruzione, in ambiente destinato invece allo sviluppo della personalità di ciascun alunno. «Quindi si cercherà di soddisfare i veri bisogni dell'alunno (il bisogno di svilupparsi, di crescere; il bisogno di sicurezza, il bisogno di possesso di ordine, di regolamentazione; il bisogno di riuscire; il bisogno di apprendimento; il bisogno di socializzazione) per cui la scuola tenderà a trasformarsi in «ambiente» atto a soddisfarli mediante stimoli che provocheranno le sue reazioni. Questa nuova funzione della scuola, è ovvio, attribuisce all'insegnante il compito non più di istruire, bensì di educare nell'unica forma compatibile con lo sviluppo della personalità dell'alunno che si sviluppa con l'aiuto di quanto l'ambiente contiene, una relazione non manipolativa, che lo strumentalizza al programma, alla scuola e al suo punto di vista; bensì identificatoria che consiste nel porsi dal punto di vista dell'alunno per comprendere la situazione in cui si trova e aiutarlo a superare le eventuali difficoltà» (Giugni G., 1983).

1.5. L'autonomia e la cultura

Per capire a fondo l'autonomia10 occorre prima di tutto spiegare bene cosa si intende per «autonomia» di un soggetto. «L'autonomia di un soggetto, nasce dalla consapevolezza che il soggetto ha della propria identità, consistenza e capacità di iniziativa. Essa, in ambito istituzionale e sociale, può essere confusa con l'indipendenza, solo se lo stato è concepito o si concepisce come fonte ultima e totale di determinazione. Lo stato deve invece riconoscere il proprio limite, in rapporto alla specificità del campo d'azione; entro una cornice deliberativa generale, al soggetto deve essere riconosciuta la competenza di decidere nella concretezza del suo contesto civile». (Dalle Fratte G., Quadrante 43, 1989)11

«L'autonomia non è un concetto semplicemente tecnico-giuridico: essa è invece espressione della diversità storica della comunità, del suo costruirsi intorno a valori ed esperienze di vita condivisi da un determinato gruppo sociale, in un determinato territorio. La straordinaria storia delle nostre genti è riuscita a stratificare, nel corso dei secoli, contenuti, valori, esperienze che hanno dato vita ad innumerevoli esperienze istituzionali, in vitale connessione con lo sviluppo della cultura intesa come pratica di vita ed elaborazione di giudizi sulle cose, sul mondo, sui rapporti personali. La ricchezza irriducibile dell'esperienza giuridica del nostro paese, sta a testimoniare quanto siano essenziali, per la comprensione della nostra storia e della nostra cultura, da una parte il rispetto per le autonomie sociali e dall'altra la valorizzazione intelligente della diversità intesa come un valore, come il gradiente necessario per l'esistenza di flussi di solidarietà e pertanto di organizzazione istituzionale non fine a se stessa e alla conservazione di astratti interessi burocratici, ma dedicata all'affermazione dei valori sociali e condivisi della persona e della sua storia, articolata con le diverse storie di altre persone e delle loro aggregazioni e autonome istituzioni». (Garancini G., 1987) L'autonomia costituisce la generale condizione, individuale e

10 «Pochi concetti sono stati oggetto di dibattito e di discussione quanto quello di «autonomia». Il dibattito chiaramente, non riguarda l'ambito lessicale del termine, quanto, piuttosto, il problema che sorge quando si tratta di applicare il concetto di autonomia alla realtà umana in generale e alla dimensione pedagogica dell'agire umano in particolare» (AA.VV., Quadrante 50, 1991).11 Aldo Moro si era così espresso davanti all'assemblea costituente: «Il parlare (...) dei diritti dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali, mette in chiaro che la tutela accordata a queste formazioni non è nient'altro che una ulteriore esplicazione, uno svolgimento dei diritti di autonomia, di dignità e di libertà che sono stati riconosciuti e garantiti da specifici articoli della costituzione, all'uomo come tale. Si mette in rilievo cioè la fonte della dignità, dell'autonomia e della libertà di queste formazioni sociali le quali sono espressione della libertà umana, espressione dei diritti dell'uomo, e come tali devono essere valutate e riconosciute. In questo modo noi poniamo un coerente svolgimento democratico, poiché lo stato assicura veramente la sua democraticità, ponendo a base del suo ordinamento il rispetto dell'uomo guardato nella molteplicità delle sue espressioni, l'uomo che non è soltanto singolo, che non è soltanto individuo, ma che è società nelle sue varie forme, società che non si esaurisce nello stato. La libertà dell'uomo è pienamente garantita se l'uomo è libero di formare aggregati sociali e di svilupparsi in essi. Lo stato democratico riconosce e garantisce non soltanto i diritti dell'uomo isolato, che sarebbe in realtà un'astrazione, ma i diritti dell'uomo associato secondo una libera vocazione sociale» (Garancini G., Quadrante 31, 1986).

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sociale, necessaria affinché, in una collettività, la cultura sia libera, viva e critica. Nella società attuale, dove è presente una tensione al massimo di individualità e di universalità, l'autonomia di iniziativa culturale delle formazioni sociali intermedie assume in più la necessaria funzione di evitare le esasperazioni individualistiche, ricoinvolgendo persone e famiglie in una partecipazione attiva e responsabile.Il pluralismo delle istituzioni, che da tale autonomia consegue, è il necessario spazio di libertà per ciascuna formazione sociale di approfondire la propria cultura e di elaborare la propria proposta. Ciò non esime dall'impegno di ogni gruppo o comunità di comprendere le culture «altre» e di lavorare con tutti gli altri cittadini su quei valori che, sia pure su fondi diversi, tutti in qualche modo riconoscono. Si tratta però, di evitare ogni imperialismo ideologico, politico, ed economico proposto come disegno universalistico metaculturale, privilegiando, al contrario, una logica federativa interculturale. (AA.VV., 1991)

1.6. Autonomia della scuola

La Costituzione Italiana e autorevoli Carte Internazionali recepite nel nostro ordinamento, riconoscono i diritti inviolabili delle singole persone e delle loro comunità originarie. Tale riconoscimento è una presa d'atto, ma è anche attribuzione di valore ed impegno ad apprestare gli strumenti per il concreto esercizio di tali diritti; l'esercizio dei diritti di libertà, di eguaglianza, di pieno sviluppo, di effettiva partecipazione all'organizzazione politica, economica, sociale non può prescindere dalla natura e dalla storia dei soggetti: persone, famiglie, comunità locali-nazionali-internazionali, comunità di lavoro, comunità di lingua, di cultura, di religione. Le formazioni sociali originarie sono titolari di diritti pubblici soggettivi, gli stessi riconosciuti alla persona, in quanto le stesse sono parte della storia naturale di essa o frutto della sua libera vocazione associativa. In forza proprio della loro continuità e contiguità con l'esperienza personale e sociale, tali formazioni sono quelle più direttamente in grado di dare risposte adeguate ai bisogni della persona e perciò, Nel quadro del coordinamento stabilito dalle istituzioni e dall'ordinamento nazionale, godono di diritti e adempiono ai doveri direttamente e con priorità rispetto ai servizi e alle funzioni sociali che da queste formazioni non promanano.12 L'assunzione di impegni e di responsabilità da parte delle componenti naturali interessate, tramite l'autonomia di istituzione e l'autentica partecipazione, deve diventare la regola di funzionamento delle strutture di servizio e la regola di governo della cosa pubblica. Solo in tal modo i soggetti singoli ed associati possono dar pubblica espressione dei propri diritti originari. (AA.VV., Quadrante 50, 1991)

1.6.1. I principi fondamentali nella costituzione

12 L'ingresso della parola «autonomia» nel vocabolario dell'ordinamento scolastico italiano, è avvenuto nei primi anni del regime fascista, ad iniziativa del ministro Giovanni Gentile. Ovviamente quella particolare autonomia cui il ministro riformatore si riferiva, coerentemente alla sua visione stato-scuola, era quella didattica; ossia, come egli la definiva, «l'autonomia interna della scuola». Quest'idea del Gentile veniva particolarmente sottolineata con il nuovo modello di programmi per cicli. Il riformatore del 1923 lasciava al collegio dei docenti di istituto ampia libertà di organizzare e distribuire gli studi nelle varie classi: unica norma per tutti il numero di ore settimanali stabilito dal regolamento statale per ogni classe e per ogni materia. In omaggio a questo criterio di autonomia interna, erano inopportuni programmi di studio per ogni classe, bisognava lasciare la possibilità ad ogni istituto di distribuire variamente lo svolgimento della materia «così come consigliavano alla coscienza didattica degli insegnanti le varie condizioni di tempo e di luogo». Il principio gentiliano dell'autonomia didattica ebbe vita contrastata e difficile; già nel 1926 venivano introdotti i primi ritocchi; nel 1936 i nuovi programmi del ministro De Vecchi ripristinavano la scansione rigida e obbligante dei piani di studio annuali, con indicazione precisa delle opere tra cui scegliere come letture per le discipline filosofico-letterarie. A giustificazione del ritorno al programma di classe, si adduceva la necessità di evitare che gli alunni trasferitisi da una ad un'altra sede durante il corso di studi, si trovassero in difficoltà per eccessiva differenza fra i criteri didattici adottati nei diversi istituti scolastici della penisola. Sepolta definitivamente l'idea di autonomia didattica, sia pure limitata ad una 'delega' più che come riconoscimento di un requisito proprio, la parola «autonomia» riapparve invece, quasi negli stessi anni, con preciso riferimento ai compiti di gestione (Gozzer G., Quadrante 46, 1990).

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Nello campo dell'istruzione e dell'educazione la Costituzione13 afferma la originarietà del diritto a ricevere istruzione ed educazione e la originarietà della funzione originaria soggettività della persona e delle sue comunità storiche o naturali (famiglia, comunità culturale e religiosa, comunità locale) e del loro compito fondamentale di prepararsi e preparare a concorrere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, al progresso materiale e spirituale della società. L'ordinamento vigente, conferma l'ipotesi e il principio che la struttura funzionale in sé, non deve avere alcun progetto educativo o culturale da proporre; e, d'altra parte, costituisce un cammino anch'esso tutto interno all'ordinamento per sostenere l'autonomia amministrativa delle unità del sistema scolastico formativo. Tale autonomia non si reggerebbe sufficientemente se fondata esclusivamente sul principio organizzativo della delega, e soprattutto non si reggerebbe il riconoscimento, se pur teorico, di una serie così vasta di competenze come quelle previste dal D. P. R. 416/1974; essa, invece, appare molto più organica a un principio di rappresentanza, come quello che governa quelle strutture che sono dotate, proprio in considerazione del loro ruolo fondamentale politico, di organismi di governo o quanto meno di partecipazione alla gestione sociale eletti direttamente dagli aventi diritto (nel caso della scuola dalle componenti di quella che si chiama la «comunità educante», e che potrebbe dirsi meno suggestivamente «la comunità scolastica»). Ma proprio questo richiamo alla formazione dal basso di una sorta di catena di rappresentanza, non può non rinviarci ai principi iniziali: a quel primato dello stato persona nella società e (ora lo si capisce più chiaramente), a quel primato della società sullo stato-apparato (o più ampiamente sull'insieme dei pubblici poteri) che trae la sua origine e insieme la sua legittimazione tecnica dal riconoscimento esplicito che la nostra Costituzione fa delle autonomie, sociali e locali».14

«L'iniziativa di fare 'cultura' non può che essere delle autonomie sociali: nessuna istituzione giuridico-amministrativa, infatti, può pretendere di avere essa stessa una sua cultura da proporre, e, tanto meno un suo progetto educativo, un suo modello di uomo e di società» (Garancini G., Quadrante 29, 1986).Il compito degli Enti Locali, se vengono bene intesi come enti esponenziali e strumentali delle comunità locali, come luoghi creati per offrire un servizio e non per esercitare un potere, deve essere quello di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale» che si oppongono alla libera esplicazione dell'iniziativa culturale e scolastica delle comunità organiche locali a partire dalle famiglie, per crescere con le aggregazioni culturali e religiose, portatrice delle tracce e dei semi della storia vissuta e vivente della gente. Quello che gli Enti Locali devono offrire, è un servizio alla 'libertà' e non l'impostazione di modelli o schemi che non potranno non essere astratti e estranei. «La scuola è una grande ipotesi di libertà: qualsiasi suo stravolgimento ai fini di controllo sociale, implica una doppia violenza, prima di tutto ai soggetti titolari del diritto a ricevere istruzione e ad essere educati (che significa essere introdotti nella realtà in maniera adeguata alla loro personalità e alla loro storia) e poi al nostro ordinamento che nei suoi principi generali e anche nella sua normativa di quadro ordinaria, fa salva, anzi esplicitamente riconosce e si impegna a garantire e promuovere, la titolarità dei soggetti sociali autonomi del diritto ad insegnare e educare secondo la propria storia e secondo la propria tradizione (secondo una accezione dinamica e costruttiva e non statica e conservativa, che non ha). (Garancini G., Quadrante 29, 1986)

1.7. Autonomia e democrazia

13 L'art. 30 individua la comunità storica primigenia nella storia di una persona, cioè la famiglia come luogo responsabile delle indicazioni educative per lo sviluppo del soggetto in età evolutiva; responsabile, perché non si tratta soltanto del riconoscimento della titolarità di un diritto, ma anche dell'attribuzione di una precisa responsabilità e di precisi oneri nei confronti della società stessa,(tant'è vero che l'articolo 31 impegna la Repubblica ad agevolare l'adempimento dei compiti relativi alla famiglia). L'art. 34 indica la scuola come luogo funzionale (strumentale) dell'esercizio del dovere-diritto all'istruzione (obbligatoria = dovere, gratuita = diritto), indica altresì, combinato con l'art. 31 e con l'art. 33 secondo comma, i compiti e i limiti d'intervento dello stato-istituzione e dello stato-apparato in questo campo («...agevola…la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi...»: art. 31; «... detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi»: art. 33; «...rende effettivo questo diritto...» art. 34). Se poi cogliamo, all'art. 33 primo comma, la libertà d'insegnamento come elemento fondamentale di questo sistema, che implicitamente costituisce la funzione docente come funzione sociale pubblica (come diritto del cittadino e della sua comunità: una sorta di diritto alla tradizione nel senso espresso sopra; e come interesse della comunità e della collettività), ci troviamo a vedere confermata per lo stato-istituzione, la funzione di promozione, supporto e garanzia del libero viluppo della cultura e del patrimonio storico della nazione (art. 9) e, per ogni scuola che risponda alla caratteristiche sistematiche e strumentali di un servizio pubblico, la primaria funzione sociale.14 «I cittadini sono titolari di diritti costituzionali soggettivi assoluti e pubblici: soggettivi perché personali e addirittura individuali; assoluti perché essi non possono essere né compromessi, né rinunciati, né arbitrariamente sospesi o eliminati; pubblici perché l'intera struttura istituzionale è chiamata non solo a riconoscerli, ma soprattutto a garantirli e tutelarli» (Garancini G., Quadrante 43, 1989).

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La democrazia richiede l'autonomia di un popolo e delle collettività sociali che lo costituiscono e quindi una forma di governo che preveda la possibilità dell'esercizio effettivo di tale autonomia, consistente nella capacità di dare attuazione effettiva ai diritti soggettivi della persona e delle formazioni sociali. Principi regolativi di un tale sistema politico democratico, debbono essere quelli della sussidiarietà e della libera partecipazione alla realizzazione del bene comune, in un quadro che preveda modalità di auto-coordinamento e di coordinamento fra le pluralità dei soggetti sociali, espressive della comune appartenenza ad una medesima realtà collettiva.Dopo 50 anni circa di esperienza democratica retta da una Costituzione che garantisce il riconoscimento e la promozione dell'autonomia delle persone e delle formazioni sociali nelle quali esse svolgono la propria personalità, è ancora necessario rivendicare spazi per tale autonomia. Solo se si intraprende con decisione il percorso verso il riconoscimento delle autonomie sociali e locali, si può ristabilire un positivo ed efficace rapporto tra i cittadini e le istituzioni politiche e si dà compimento alla democrazia. Ogni agenzia educativa rientra anch'essa nel gruppo di istituzioni 'politiche' sopraddette, che hanno bisogno di «autonomia», per poter essere un efficace strumento della comunità, o, per essere più corretti, di ogni comunità. In particolare «la scuola è della comunità e ogni comunità ha una sua scuola. Una scuola di stato, pertanto, può avere senso soltanto se si individuano gli strumenti giuridici e i canali politici per far si che essa sia dello stato, ma il più possibile dello stato-comunità e non dello stato-persona, stato-apparato, stato-potere. Tutte le volte che questa appartenenza della scuola allo stato inclina nel secondo senso piuttosto che nel primo, non possono non nascere difficoltà in ordine al rispetto delle libertà connesse allo sviluppo della cultura, alla libertà di insegnamento, al rispetto delle autonomie sociali e locali, insomma in ordine alla piena realizzazione del pluralismo inteso come criterio conoscitivo e organizzativo dell'assetto democratico della società». (Garancini G., Quad. 31, 1986)

1.8. Autonomia e sistema formativo

Una profonda crisi ha investito il sistema formativo in Italia e la sfiducia verso la capacità degli apparati formativi (in particolar modo la scuola) sembra aumentare sempre più. Nonostante le ingenti risorse investite ed il succedersi di interventi di intento riformatore, l'obbiettivo del cambiamento del sistema di formazione, non è stato raggiunto. Si manifesta urgentemente, quindi, la necessità di una scelta strategica capace alla radice di colmare lo scarto fra bisogni formativi e realtà istituzionali: è la scelta dell'autonomia; si tratta indubbiamente di una rivoluzione, rispetto alla situazione attuale, ma è l'unica soluzione che può radicalmente cambiare la situazione.Autonomia, quindi, e specificatamente autonomia funzionale, che significa innanzitutto dare un «padrone» a ciascuna agenzia educativa e questo padrone non può essere che la comunità che la esprime. Autonomia funzionale significa inoltre «consentire (...) di operare in modo coerente con la storia e la cultura della comunità che la esprime. Lungi da ogni forma di astrattezza e di genericità, i giovani devono essere condotti sulla via del sapere partendo dal proprio mondo pur nella prefigurazione di orizzonti sempre più vasti, ma nella certezza della base di partenza. E quindi autonomia funzionale significa possibilità (...) di scelta di educatori che conoscano e quindi sappiano interpretare ai fini educativi la realtà storico-culturale del territorio, che vivano sul posto e quindi abbiano la possibilità di effettuare la loro opera educativa verso la comunità non solo nei locali e negli orari, essendo essi stessi inseriti in quel contesto sociale, di cui fanno parte integrante, e di cui conoscono le vicende e le esigenze. Autonomia funzionale significa capacità di reperire nel territorio i fondi necessari (...) proponendo ai giovani e alle famiglie sacrifici anche economici che diano fra l'altro il senso dell'importanza dell'educazione.Autonomia funzionale significa ancora possibilità di modifica di ordinamenti e strutture generali, ma nel rispetto dell'unico vero fine che è quello della formazione dell'uomo.E in tal senso autonomia funzionale significa per il centro di smettere la gestione e occuparsi fondamentalmente di fornire un quadro sempre aggiornato di politica educativa assieme all'indicazione di un filo conduttore che possa servire da guida locale per non discostarsi dalla necessaria unità di indirizzo, pur nella varietà delle situazioni concrete e dei diversi strumenti adoperati per affrontarle. Ma il centro soprattutto deve farsi carico del controllo delle attività di periferia per accertare possibili deviazioni dai fini da raggiungere e provvedere affinché quelle deviazioni non abbiano a verificarsi ulteriormente, provvedendo a spiegare, correggere, formare, aggiornare le strutture bisognose di aiuto.

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L'autonomia funzionale in definitiva significa proprio questo: consentire ad ogni comunità di educarsi partendo dai valori della propria cultura per elaborare con mezzi e strumenti originari, valori nuovi per una società migliore nella quale, rimossi mediante un valido sistema educativo tutti gli ostacoli che limitano la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, sia consentito a tutti quel «pieno sviluppo della persona umana» auspicato dalla nostra Costituzione. (Augenti A., D'Amore G., Delai N., Quadrante 46, 1990)

1.9. Libertà di educazione

Vediamo ora quali sono i diritti la cui titolarità viene inequivocabilmente affermata dalla Costituzione per le persone e le loro formazioni sociali originarie (e questo con particolare riguardo alla famiglia e, ancor più, particolarmente ai genitori). E ricordiamo a questo proposito, che una delle scelte qualificanti della nostra costituzione è proprio questa di riconoscere i diritti insieme alla persona e alle sue comunità sociali. a) Il primo diritto è il diritto all'istruzione e all'educazione. Il diritto cioè a ricevere tutti quegli apporti che consentano di acquisire i dati e i criteri di giudizio per vivere da protagonisti la propria esperienza di persone di cittadini; il diritto a crescere, a imparare, a maturare, a diventare adulti, cittadini a tutti gli effetti. Se infatti il compito della persona non è soltanto quello di sopravvivere, ma è anche e soprattutto quello di vivere inserita in una comunità e ad essa dare il proprio apporto e la propria solidarietà, condizione necessaria per far ciò è possedere gli strumenti e i criteri; e, ancora, tutto ciò non può svolgersi asetticamente, neutralmente, al di fuori del confronto diretto e continuo con la propria esperienza, la propria storia, la propria traccia culturale, affettiva, in una parola, esperienziale. b) L'istruzione e l'educazione si svolgono attraverso l'utilizzazione di determinati strumenti e con il concorso di determinate professionalità: ciò va inteso come insieme organizzato e finalizzato di strumenti atti a fornire l'istruzione, e la «funzione docente», intesa come espressione personale di soggetti abilitati a prestare insegnamenti, a loro volta atti ad essere organizzati e fusi dall'intelligenza del soggetto per raggiungere il voluto e dovuto grado di istruzione, vengono in considerazione in questo particolare momento. Cosicché, la disponibilità di uguaglianza di tali strumenti, la possibilità di accedervi liberamente e senza discriminazioni, l'esigenza che essi siano posti a disposizione di tutti su un piano di uguaglianza, anche dal punto di vista della qualità effettiva, costituiscono i contenuti di un altro diritto soggettivo costituzionale: il «diritto all'educazione». Questo diritto compete al cittadino in quanto tale, senza alcuna discriminazione dovuta a una qualsiasi ragione. E spetta ai pubblici poteri vigilare affinché nessuna discriminazione si attui.c) A questi diritti della persona in quanto tale, e del cittadino in quanto tale, si aggiunge un diritto che, se è della persona singola (il diritto all'espressione del proprio pensiero, il diritto alla libertà di insegnamento), è soprattutto delle formazioni sociali, delle comunità umane: il diritto ad insegnare ed educare secondo la propria storia, la propria esperienza, il proprio bagaglio culturale, storico, esperienziale. Chiamiamo questo diritto «diritto alla tradizione», intendendo con «tradizione» sia l'atto del trasmettere il proprio patrimonio culturale e morale, sia il contenuto stesso di tale patrimonio. Un diritto alla tradizione che è delle comunità umane (prima fra tutte la famiglia) non soltanto e non tanto perché glielo riconosce la Costituzione, quanto soprattutto perché così è nei fatti e nella dinamica della formazione di ciascuno: a partire dalla stessa trasmissione del bagaglio cromosomico della generazione, ha origine, per i genitori un compito altissimo e impegnativo, che è quello di introdurre nella realtà alla quale lo hanno fatto affacciare, l'uomo che essi hanno generato: un dovere diritto al mantenimento, all'istruzione e all'educazione che, riconosciuto esplicitamente loro dalla Costituzione (art. 30), è il compito più alto e impegnativo che la persona possa assumersi in questa nostra società. Espropriare i genitori di questo dovere diritto, vuol dire negare non solo la Costituzione, ma i principi fondamentali stessi dei rapporti umani, gli stessi principi di umanità. Il dovere-diritto della tradizione, dell'introduzione alla realtà dei giovani uomini e cittadini cui si è data vita, appare strettamente collegato, appunto al diritto di generare non solo fisicamente, ma anche culturalmente, umanamente, socialmente. Espropriare i genitori di questo dovere-diritto e poi caricare ugualmente i genitori di questa responsabilità, è atto malfido e incoerente. Negli ultimi decenni il dato probabilmente più costante di tanti (cattivi) «maestri del pensiero», di tanto sociologismo di riflusso, di tanto «pensiero debole» è stata la svalutazione della famiglia e segnatamente del ruolo dei genitori. Non solo la svalutazione, quanto anche la colpevolizzazione, la attribuzione ad essa di ogni oscurantismo, di ogni compressione, di ogni malattia sociale. La generazione dei trenta-quarantenni ricorda, nei suoi anni di adolescente, quanto si sia battuto su questo tasto: ebbene, la generazione dei trenta-quarantenni è ora

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diventata una generazione di genitori più consapevoli, più istruiti, più capaci di resistere alle lusinghe dei «maestri del pensiero»; e se ancora costoro, o i loro apprendisti, van dicendo che «occorre difendere i giovani dalle famiglie e dai genitori», i genitori di oggi hanno gli strumenti e la consapevolezza necessari per svelare quanta strumentalità ci sia in tali affermazioni: la strumentalità di chi vorrebbe sottrarre le giovani e giovanissime generazioni al «potere» delle famiglie e dei genitori per averli, indifesi e culturalmente vergini, nel proprio. D'altra parte l'affermazione corretta e coerente del diritto alla «tradizione» non riguarda soltanto un interesse o un diritto personale o comunque infrastatuale: essa concerne anche un preciso interesse della collettività, che non può non essere migliorata e arricchita dall'apporto delle diversità, dalla assunzione aperta delle responsabilità dei singoli e delle famiglie, delle comunità sociali e locali, dal pluralistico apporto delle diverse culture, delle diverse esperienze, delle diverse proposte di vita; che non può non essere migliorata e arricchita dall'espansione libera e dallo sviluppo armonico e valorizzato delle diverse personalità e delle diverse formazioni sociali. Gestori dello stato e delle istituzioni pubbliche che a ciò si opponessero, mostrerebbero di preferire una società plumbea, uniforme, totalitaria nel senso sociale e culturale (e non solo politico) del termine, una società intollerante e incapace di aprire alla libertà e alla dinamica costruttiva delle diversità. Una società, insomma, non democratica ma dittatoriale: e non importa molto se tale dittatura sia esercitata anche formalmente da pochi, o sia formalmente attribuita a molti: la storia insegna che sempre, da destra come da sinistra ,la repressione delle libertà e delle energie culturali e sociali porta ad un regime contrario all'uomo, o addirittura nemico dell'uomo e della (sua) umanità (Garancini G., Quadrante 43, 1989).

1.10. Scuola e comunità: autonomia e interazione

Società e scuola sono tra loro distanti, e potremo incolpare entrambi per questo divario che, almeno oggi, non sembra più dovuto ad una scarsa conoscenza reciproca. Un proficuo avvicinamento non può discendere da semplici accordi o compromessi, ma deve scaturire da identità di vedute, dalla convergenza di consensi ed iniziative. Occorre che la problematica educativa sia da entrambi intesa, compresa e collocata in prospettive che non trascurino la condizione umana; occorre che entrambi operino attraverso un complesso di rapporti, interrelazioni, collegamenti, scambi, intese ed alleanze. (Aldisio S., Pichelan E., Giffoni V., Benadusi L., Quadrante 48, 1991)C'è bisogno di nuovi modelli ormai, anche nel quadro del sistema formativo presente in Italia, dato per scontato che la via di uscita, e non solo nell'ambito della scuola e della formazione, non è segnata da quanti infilano la testa sotto la sabbia per non vedere le lacerazioni profonde del tessuto sociale e l'alto livello di degradazione raggiunto dal vivere sociale, pur di godere le briciole di uno sbiadito benessere.Occorre dare senso alla vita, occorre recuperare la volontà di significato, proponendo un rinnovato e ritrovato progetto di umanesimo che abbia il suo punto di forza nella centralità dell'uomo inteso come persona, nella qualità della vita sentita nel suo significato più profondo, nella socialità intesa come solidarietà, nel segno della partecipazione di tutti alla costruzione del bene comune. Si tratta di riproporre la visione di uno stato che vive delle autonomie e delle comunità che lo costituiscono; si tratta di colmare il vuoto esistente tra i mondi vitali e il sistema sociale, ponendo alla base una razionalità secondo valori, nel corretto senso di una transazione che esalta la vita e l'incontro con l'altro che e fuori di noi. (AA.VV., Quadrante 38, 1988)

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CAP. II - ANIMAZIONE COME EDUCAZIONE

In questo capitolo intendiamo delineare la natura, i caratteri, la funzione dell'animazione, richiamando soprattutto l'attenzione sul rapporto che intercorre tra animazione ed educazione.

dove quando chi

come perché

con che cosa ANIMAZIONE con chi

SOGGETTO COME EDUCAZIONE SOGGETTO

fare testimoniare

sapere conoscere

2.1. Gli anni dopo la contestazione del '69

Intorno agli anni '70 la nascita e la diffusione dell'animazione si deve da una parte a istanze politiche (in particolare della sinistra) che la traducono sul piano di un'educazione alternativa (da ricordare le proposte e le esperienze di Passatore, Rostagno ed altri); dall'altra si evidenzia anche negli ambienti cattolici. In ogni

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caso si fa elemento rilevante anche all'interno degli studi pedagogici permettendo all'educazione di riappropriarsene in maniera culturalmente e sperimentalmente fondata.15 Da allora il ruolo e la figura dell'animatore dell'animazione si sono andati delineando come quelli, mediante i quali, le rinnovate concezioni dell'uomo, della società, del rapporto tra fede e politica, attraverso gruppi sociali laici ed ecclesiali, si danno il compito di un'educazione «liberante» soprattutto dei giovani. In questi gruppi i cambiamenti culturali, i rapporti tra educazione e politica, si strutturano alla luce della fede come elemento primario di riferimento del progetto della liberazione della persona nella sua integralità.Negli anni successivi si assiste a una sorta di riflusso che partendo dal politico investe anche il progetto di liberazione dato all'animazione, soprattutto perché molti animatori si erano illusi che bastava animare per ottenere rapidamente risultati significativi nelle coscienze dei soggetti e nel cambiamento delle strutture (sia laiche che ecclesiali). Altri avevano creduto che compito dell'animazione fosse quello di sostituire un potere nuovo al precedente, cioè di liberare attraverso un modello storico, concreto di liberazione, (tutto ciò senza rendersi conto che animare non vuol dire «liberare da...», ma «liberare per...», «liberare con...» e quindi finendo in effetti per cambiare i soggetti del potere, ma senza eliminarlo). Si deve riconoscere che questa prima fase dell'animazione ha costituito una spinta al cambiamento nei diversi processi formativi. La rinascita dell'animazione, più fedele alla sua sostanza e alle sue istanze di fondo, si ha con l'accentuazione della sua dimensione pedagogica, oltre che come luogo in cui riformulare nuove istanze politiche, nella sua definizione epistemologica ricercante uno statuto teorico, una concezione di persona, di vita, di educazione, di progetto storico e metastorico. Ciò al fine di animare l'uomo svelandogli le strutture ingannevoli del potere e dell'ideologia, aiutandolo a raggiungere capacità di pensiero critico e di autonomia.L'animazione è chiaramente «non neutrale», ma è sempre meno «azione politica» e sempre più «azione sull'azione politica»; non sceglie un potere, un'ideologia, una fede, una cultura. Si pone contro il conformismo, e pur non rifiutando il senso del potere nella storia, assume la necessità di fare riferimento e di confrontarsi con i diversi modelli di potere-dominio. La dimensione educativa dell'animazione pone attenzione sia alle istanze sociali e politiche della persona, che a quelle individuali (personale/politico, privato/pubblico, affettivo/ intellettuale). L'animazione tenta anche di ridurre le disuguaglianze culturali prodotte dai diversi contesti, a partire dalla scuola e si fa anche intergenerazionale, multiculturale, multietnica.16 Un professionalità docente e un volontariato sempre più professionalmente elevati, possono essere l'occasione di una vera presa di coscienza del ruolo essenziale che l'animatore dell'animazione deve svolgere nel sociale per dare il suo contributo al miglioramento della qualità della vita e alla stimolazione di più ampie condotte attive di partecipazione.

2.2 Animazione: perché?

L'animazione si è sempre posta come un modo diverso, rispetto alle prassi abituali e dominanti, di fare educazione, trasformando molti concetti base, spostandone obiettivi e confini, dimostrando che è possibile educare in ogni contesto, in ogni età della vita dell'uomo se esistono condizioni di libertà, sia fuori che dentro le diverse agenzia educative, (formali e informali). Se l'educazione ha allargato il proprio «oggetto» tradizionale inglobando l’animazione, ha ancora senso continuare a parlare dell'animazione? Basta usare il termine educazione per comprendere anche quello di animazione? «Bisogna constatare al riguardo che

15 Negli anni '60 il forte sviluppo industriale ha determinato anche una trasformazione culturale che si è sempre più evidenziata nell'incontro-scontro tra la cultura tecnico-universalistica e le culture locali. Tale fenomeno ha coinvolto soprattutto quanti hanno dovuto partecipare ai grandi flussi migratori di quegli anni, ma ha anche modificato valori, modi di vita, di lavoro, di produzione e di convivenza di tutta la società italiana. Le culture locali, quelle migranti e la cultura tecnologica, almeno inizialmente, sono risultate perdenti a favore di quella tecnico-universalistica, determinando sia negli adulti che nelle nuove generazioni, una perdita della propria identità storico-culturale non essendosi realizzata l'integrazione tra le diverse culture. In un certo senso la cultura industriale ha privato della memoria la coscienza degli individui proponendo un presente in cui il senso dell'esistenza non ha più trovato né domande né risposte. In questo sradicamento ha giocato un ruolo fondamentale il consumismo, imponendo nuovi bisogni e il loro soddisfacimento fuori dalla tradizione e dalla cultura locale, dalla vera realtà del soggetto.16 Si è via via assistito a diversi tentativi di istituzionalizzazione dell'animazione con la conseguenza, da un lato, di un diretto intervento, da parte di Enti diversi, sempre più massiccio tendente ad assumerne il controllo, in particolare per ciò che riguarda la formalizzazione della professione e dei criteri di scelta per i datori di lavoro, dall'altro si presenta con ambiguità nel rapporto tra volontariato e forme e modelli consumistici che inducono nuova passività.

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l'animazione, nonostante in molti casi sia entrata nelle istituzioni, educative e non, non ha bisogno per realizzarsi del contesto istituzionale, al contrario dell'educazione che si fonda sempre su una istituzione: scuola, famiglia, chiesa, ecc. L'animazione poi non deve trasmettere un sapere sociale e dei modelli di comportamento riconosciuti come validi dalla cultura sociale dominante, ma deve invece aiutare la persona a realizzarsi e a divenire protagonista della propria costruzione, come individuo e come soggetto sociale» (Pollo M., 1986). Tuttavia, secondo la nostra opinione animazione, formazione, apprendimento fanno parte, con aspetti diversi, della educazione, poiché tutte concorrono alla formazione integrale e permanente della persona.17

Quando nella scuola si fa animazione, si tratta di una educazione animata e quando si fa animazione nel sociale, si può parlare di animazione educante. L'educazione rappresenta quindi il momento caratterizzante la promozione umana, in campo individuale, sociale e culturale; ad essa spetta abilitare ciascuno alla libertà e alla responsabilità portando il soggetto a vivere e a rispondere in prima persona, a rendere conto a sé e agli altri di ciò che è, vuole e fa, a testimoniare il suo essere e il suo dover essere.

FORMAZIONE

SOCIALIZZAZIONE PERSONA ACCULTURAZIONE

EDUCAZIONEL'animazione è un originale stile e metodo educativo che dovrebbe aggettivare ciascun termine. Animare la persona vuol quindi significare aiutarla a scoprire e realizzare la propria «anima», intesa come insieme di disposizioni, caratteristiche, ideali, valori, progetti più intimi, propri ed originali.18

2.3. Formazione degli animatori

Secondo la nostra opinione, l'animazione è il modo dinamico di realizzare l'educazione permanente. Intese le attività di animazione come mezzi che favoriscono la crescita positiva della persona e della comunità, uno degli scopi che dobbiamo darci è quello della preparazione di operatori ad alto grado di qualificazione e di specializzazione professionale in grado di educare i soggetti ad una scelta cosciente delle proprie attività formative e ricreative, piuttosto che limitarsi alla formazione superficiale e generica di animatori dell'animazione, o soltanto fornire agli individui, luoghi o possibilità già strutturate.Purtroppo la maggior parte delle iniziative di formazione degli operatori della animazione, oltre a non essere assolutamente svolte a livelli universitari o post universitari, prepara un tipo di operatore a tali (e con tali) attività con caratteristiche parziali e standardizzate. Ciò perché non esiste un progetto reale di educazione permanente, ma quasi tutti gli individui e le iniziative si collocano su livelli di improvvisazione e situazionalmente a richieste particolari.L'analisi di una diversa concezione delle attività di animazione, non può più prescindere da una attenta valutazione sul contributo fondamentale che una preparazione universitaria può dare agli operatori del settore. Fino ad oggi in Italia, la formazione degli operatori per le attività di animazione, è stata gestita da una molteplicità di enti diversi per origine, natura giuridica, ampiezza territoriale, metodi, fondamenti ideologici, uso delle tecniche, ma certamente accomunati più del desiderio di ampliare il consenso particolare, piuttosto che di ricercare una organica e qualificata soluzione alla problematica delle attività in oggetto.Possiamo certamente affermare che si è trattato più di ricerca della quantità che della qualità.

17 «Spesso educazione è sinonimo di formazione, oppure di socializzazione, di inculturazione. Ma ciò che distingue tutti questi termini è la qualità dell'azione, che specifica e determina il modo di intervenire nella realtà. Quando possiamo parlare di educazione in modo specifico e proprio? Si parla dell'educazione in senso stretto, quando l'intervento a favore della crescita umana è cosciente e voluto e proteso al raggiungimento di una specifica finalità. La socializzazione e l'inculturizzazione avvengono spesso secondo modalità quasi meccaniche, automatiche» (Nanni C., 1986).18 Formazione: processo di crescita della persona, risultante dall'intersezione tra: a) le potenzialità soggettive, b) le concrete possibilità storico ambientali, c) le attività sociali di aiuto specifico allo sviluppo di nuove generazioni. Socializzazione: processo mediante il quale un individuo viene ad inserirsi progressivamente nelle strutture, nei ruoli e nelle forme di vita nella società. Acculturazione: processo mediante il quale l'individuo viene ad acquisire e a riconoscere il patrimonio sociale di idee, valori, norme, modelli di comportamento e espressione che globalmente diciamo cultura. Educazione: attività personale e sociale intenzionale che ha lo scopo di promuovere personalità capaci di vivere la vita intensamente e responsabilmente.

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Spetta all'Università proporsi quale gestore privilegiato nel contesto della molteplicità delle istituzioni con finalità educative che operano nella dimensione scolastica ed extrascolastica.Si osserva che quanto più alta è la spinta della ideologizzazione, tanto più le attività di espressione Corporea sono concentrate su gruppi chiusi piuttosto che sulla accettazione di tutte le molteplicità dei soggetti richiedenti, e che la formazione degli operatori è da una parte affidata allo spontaneismo casuale e dall'altra centrata sui ruoli tecnico-specialistici; in ogni caso non si formano mai degli educatori. Si ha insomma una pletora di motivazioni, mezzi, organismi, operatori, per mezzo dei quali agiscono condizionamenti che avvengono in ambienti già predisposti a forme selettive e discriminatorie, ideologiche e tecniche, quando addirittura non si assiste alla instaurazione di rapporti pseudo-assistenziali che chiedono pesanti ipoteche per falsi fini etico-morali chiaramente di parte. L'animazione è quindi costretta, fino dalla sua origine, a partire le pesanti ipoteche di una socio-cultura alla quale non può appartenere perché sfacciatamente ideologica, ma di cui riproduce con toni falsamente libertari, impostazioni retrograde o apparenti progressismi che però sono evidentemente staccati sia dalla realtà socio-culturale che dalla persona.Ad una animazione aprioristica, immotivata, stereotipata, improvvisata, superficiale, corrispondono comportamenti spontaneistici o automatizzati, certamente statici che si riproducono a causa della formazione di operatori rivelanti professionalità fittizie, banali e vicarie, consumandosi, nella forma più immediata, attraverso attività ludico-manipolatorie-motorie ripetitive o anarchiche, in esperienze dove campeggiano toni di aperta aggressività, di esaltazione egoistica, di movimento irrazionale, di violenza diffusa, di massificazione spersonalizzante. Tutto ciò è favorito dall'uso di attrezzature meccaniche e di materiali di gioco con bassi o nulli coefficienti di reinventabilità e di creatività e mediante esperienze imitative o avventurose disumanizzanti, di larga identificazione ed evasione, sollecitate dal contatto con schiere di falsi eroi favolistici o fantascientifici a cui vengono date effimere giustificazioni di marca pseudo-psicologica di ritorno al primordiale, alla natura animale dell'uomo che così dovrebbe farsi libero. In questo quadro il tema della libertà nelle attività di animazione, viene spogliato dei caratteri distintivi ed originali (personalizzazione, autonomia, creatività, socializzazione) mortificandosi in momenti di alienazione e come processo di espropriazione di una notevole parte delle esigenze e dei bisogni fondamentali della persona.19 Tale modello di animazione, che appare di indirizzo univoco e predefinito, muore ben presto producendo nuove alienazioni nei soggetti e disoccupazione negli operatori, sull'altare di finalità chiuse nel concetto limitato alle tradizionali attività cosiddette espressive, con le quali si è troppo a lungo mascherato un modello pedagogico unidimensionale delle cosiddette attività curricolari, nelle quali risulta oggi più che mai evidente ed inevitabile la spoliazione e la mortificazione dei soggetti costretti ad uno squallido ludismo o ad atroci selezioni.Possiamo dire che negli anni si sono evidenziate due tendenze relativamente alla interpretazione e attuazione metodologico-didattica delle attività di animazione:- efficientismo delle attività educative assistenziali, con allargamento eclatante del servizio sociale, che però non garantiscono assolutamente un corretto e giusto grado di maturazione della persona;- eccessiva delega da parte della famiglia per i minori e dell'adulto di sé, all'Ente e per questo all'animatore dell'animazione spontaneistico o al tecnico (le cui uniche caratteristiche sono generalmente l'originalità fine a se stessa e la scadente preparazione). Le realizzazioni relative, improntate da una parte allo spontaneismo e dall'altra alla violenza sulla persona, si sono dimostrate insufficienti, mancando ad esse alcune strutture fondamentali (personali ed interpersonali) ed una progettazione culturale, non riuscendo a trovare modelli o proposte efficaci ad equilibrare l'esistere e l'essere.Anche nei casi che hanno ottenuto qualche risultato, le grandi difficoltà di collegamento di questi «capovolgimenti» pedagogici con le strutture tradizionali (famiglia, scuola, fabbrica, sindacato, chiesa), ha avuto come conseguenza l'isolamento o la chiusura dell'esperimento e il ritorno a modelli pedagogici ancora più tradizionali.20

19 L'animazione attuale porta sulle spalle la pesante eredità e quindi le ipoteche di una tradizione ricreativa spesso fallimentare sul piano pedagogico e disumanizzante sul piano etico, presentandosi come un'esperienza totalizzante la comunità e pertanto apparentemente combattuta e rifiutata dalle diverse ideologie, che però in effetti furbescamente la usano per avocare il potere a sé. Gestita in forma gerarchica e non democraticamente partecipata, con aree di esperienze prese a prestito qua e là senza possibilità di un minimo di ricerca e di sperimentazione (a livello universitario), frantuma la propria esperienza nel mito libertario e socializzante, dai confini marcati e quindi dall'infecondo isolamento.

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Si tratta di attività così complesse e importanti che non possono essere lasciate allo spontaneismo, anche se istituzionalizzato, ma delegate invece a quadri operativi specializzati a livello universitario e con caratteristiche personali di grande disponibilità verso gli altri. Tali operatori dovrebbero essere in grado di esprimersi in una esperienza diretta con ciascuna persona e la comunità, in situazioni di animazione effettivamente educanti, nella creazione di centri culturali polivalenti nel territorio.Dimensionando le possibilità di intervento secondo le caratteristiche e le possibilità dei probabili fruitori, gli spazi, i contenuti, le tecniche, il tipo di istituzionalizzazione, l'animatore dell'animazione deve poter controllare un complesso di attività socioculturali necessarie per attuare su tutto il territorio e per tutti i soggetti, una educazione interfunzionale e interdisciplinare permanente, gestendola pedagogicamente e quindi anche didatticamente. La scuola non può venire esclusa da questo discorso per non ridurre se stessa ad un limitato esecutore di direttive ministeriali, pur se con diligenza e coscienza, ma senza capacità critica e quindi scollata dalla realtà della quale ormai troppi abusivi si sono appropriati. L'animatore dell'animazione, attraverso la preparazione universitaria, operando fuori e dentro la scuola, deve definirsi come figura professionale ad alto coefficiente culturale e operativo che, a secondo della realtà o delle scelte personali (vocazionali), propone un ruolo educativo interdisciplinare e polivalente, permanentemente rigenerantesi, pedagogicamente qualificato, tecnicamente preparato, disponibile democraticamente.

2.4. Animazione come educazione

«Animare è l'atto di ricevere l'anima; l'atto del dare l'anima; complesso delle facoltà e degli atti vitali; moto vivace di persona, passionato o no», (Dizionario Italiano, N. Tommaseo). «Animare è coll'anima, dar vita al corpo, conservagliela, sorvegliarvela; dar vita ai viventi quanto alle cose inanimate; attività artistica; trasmettere agli altri sentimenti, idee». Nelle sue radici storiche il verbo animare indica l'azione attraverso la quale la vita infonde di sé l'uomo e l'universo, designa una qualità dell'agire che appartiene alle azioni umane (e divine), quali ad es. l'atto educativo attraverso cui l'educatore trasmette ai soggetti valori, principi, idee, opinioni; l'attività artistica che, animando la materia, crea l'opera d'arte; l'atto di chi muove gli altri all'azione attraverso i propri sentimenti e le proprie idee. Già in questi significati si osserva come il termine animare voglia indicare non un gesto, una cosa, un contenuto particolare, ma una specifica qualità presente nelle azioni umane ed anche un metodo di condurle in sintonia con il senso della vita: è un significante presente in alcuni segni e contenuti della vita umana.21

L'interpretazione più nota negli anni delle origini del movimento dell'animazione, è quella legata all' «animazione teatrale». Nata come liberazione dell'espressività e della fantasia, attraverso la festa e il gioco, è passata via via ai problemi della vita quotidiana e del territorio evolvendosi verso l'animazione socio-culturale. Un'altra tendenza intende l'animazione «come processo di maturazione socio-culturale» (Jelfs M., 1987), con il fine di favorire i processi di crescita delle capacità delle persone e dei gruppi di partecipare e di cambiare la realtà sociale e politica in cui vivono. È un'educazione liberatrice che si avvale, oltre che dell'azione nel territorio, dell'uso dell'azione psico-sociale volta a promuovere la capacità

20 Secondo l'International Play Association, sono operatori della animazione, coloro che operano per l'uomo e con l'uomo, in funzione creativa e stimolatrice, affinché l'uomo riscopra se stesso attraverso un'attività non economicamente produttiva: tale dovrebbe essere l'arte, la filosofia, l'attività motoria, il teatro, la danza, ecc.21 «L'animazione socio-culturale è un settore della vita sociale i cui agenti si pongono come obiettivo una certa trasformazione delle attitudini e dei rapporti interindividuali e collettivi attraverso un'azione diretta sugli individui stessi. Questa azione si attua in generale mediante la mediazione di attività diverse e con l'aiuto di una pedagogia facente appello ai metodi non direttivi o attivi», (Labourie R.). «Sono le attività svolte da persone che si riuniscono e che determinano esse stesse il contenuto di quella attività, in funzione di obiettivi sociali e culturali e attività educative al di fuori del tempo di lavoro: vita familiare, vita urbana o rurale, attività del tempo libero, attività sportive ecc. È essenzialmente l'ambito delle associazioni volonta-rie, volontarie, o di istituzioni semi-pubbliche. Così è nato il concetto di animazione socio-culturale di cui la semantica esprime l'intenzione di dischiudere la cultura congiungendola ai fenomeni della vita collettiva, di allargare il campo della vita culturale ai problemi della vita quotidiana. L'animazione socio-culturale si inserisce nel quadro di una emancipazione collettiva. Si è pertanto imbarazzati nel definirla chiaramente, a causa della sua stessa complessità e della sua diversità. L'animazione socio-culturale consiste essenzialmente nell'offrire delle possibilità di cultura nel più largo settore possibile della vita del cittadino, facendone partecipe il più grande numero» (Charpetreau J., 1964). «Si designa per animazione ogni azione in gruppo o su un gruppo (una collettività o un ambiente) mirante a sviluppare la comunicazione e a strutturare la vita sociale, ricorrendo a metodi di semidirettività; è un modo di integrazione e di partecipazione. La sua funzione si definisce come una funzione di adattamento alle forme nuove della vita sociale con i due complementari aspetti di rimedi ai disadattamenti e di elemento di sviluppo individuale e collettivo» (Imhof J.P., Conferenza nazionale sull'animazione, 1966).

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espressiva della persona. La terza tendenza è quella dell'animazione intesa nel senso culturale del temine: si tratta di una vera e propria teoria educativa, fondata su concezioni filosofiche-antropologiche, su un metodo valido e su un particolare uso degli strumenti.La scelta dell'aggettivo «culturale», deriva dal privilegio delle dimensioni della cultura nella costruzione dell'identità individuale e storico-sociale dei soggetti dell'animazione.Il quarto filone è quello che si limita ad «applicare tecniche e metodi di lavoro» desunti dagli studi di dinamica di gruppo e dalla comunicazione interpersonale, a varie attività educative.È la dimensione più tecnica e diffusa del fare animazione, anche perché tutti gli altri filoni utilizzano abbondantemente queste tecniche all'interno dei loro percorsi formativi.Il termine animazione non è riferibile ad un fatto specifico e limitato, ma ad una condizione educativa polivalente e interdisciplinare; in un certo senso può essere considerata «positiva aggettivazione» di qualunque insegnamento, contenuto, situazione.22

L'animazione qualifica ulteriormente l'educazione poiché investe ampiamente le varie dinamiche individuali e di gruppo, soprattutto nei campi della polivalenza operativa delle conoscenze e dei linguaggi, permettendo di affrontare le varie situazioni mediante un rapporto dinamicamente positivo tra compiti consueti e compiti nuovi. Non si tratta di superare unicamente il tradizionalismo educativo che è sempre considerato in maniera critica, ma anche di assicurarsi, di volta in volta e in senso positivo, che le innovazioni socio-culturali che vengono introdotte siano generatrici di capacità, di scelte soggettive/oggettive, implicite/esplicite, individuali/sociali. Per cogliere il più giusto orientamento educativo ed evolutivo, è necessario muovere delle richieste del soggetto e del gruppo, promuovendo la capacità di soddisfare i propri bisogni e l'attivazione delle proprie caratteristiche, attraverso un'integrazione tra mezzi, tecniche, metodi ed obiettivi. L'animazione non si pone quindi come contrapposizione ad una educazione fisica «superata», non è soltanto un aspetto tecnico, ma è la stessa educazione finalizzata alla espressione/comunicazione.» L'animazione è un modo di essere. È il nostro atteggiamento fisico-simbolico di fronte alle cose. È il complesso delle situazioni che creiamo entrando in rapporto con gli altri. Fare animazione significa superare la staticità della conservazione culturale, rompere con il settorialismo di tipo scolastico e con la suddivisione delle materie, a favore dell'interdisciplinarità. Significa creare atteggiamenti attivi nei confronti della realtà, in una prospettiva aperta in sempre nuove soluzioni» (Rostagno R., Pellegrini B., 1978). «L'animazione si pone come un metodo formativo in senso lato che deve consentire all'individuo di partecipare attivamente, creativamente e criticamente alla gestione dei processi che il sistema sociale in cui è inserito ha attivato, affinché egli possa sviluppare le sue specifiche caratteristiche, la sua personalità e nello stesso tempo svolgere un ruolo utile secondo le regole e i fini del sistema stesso, assorbendo anche tutta la irripetibile esperienza umana che è accumulata nella sua cultura» (Pollo M., 1986).Compito dell'animazione è di promuovere uno sviluppo profondo del senso di solidarietà e delle capacità di istituire rapporti sociali sereni ed equilibrati, di liberare e stimolare le attitudini espressive e le capacità creative e fantastiche degli individui.23 L'animazione è una necessità umana, propria della società industriale e della civiltà del benessere. I comportamenti così detti di massa, hanno la loro principale

22 «Esiste ancora una certa confusione e soprattutto una visione limitata nel significato attribuito al termine animazione. Lo stesso appellativo viene da alcuni messo in discussione per il fatto che in qualche caso è stato squalificato da un cattivo uso. Purtroppo la confusione è dovuta anche alle difficoltà di penetrarne la natura che per le sue caratteristiche si può manifestare sotto multiformi aspetti. Si cercherà quindi di testimoniare l'ampiezza delle sue possibilità e, contemporaneamente, l'identità dell'obbiettivo che persegue, qualunque sia lo specifico nel quale è impegnata. Obbiettivo che consiste nell'inventare, cercare, conquistare con tutti i mezzi della comunicazione, la chiave che apre il varco della conoscenza, unico mezzo per una crescita progressiva e continua della persona. Crescita che avviene solo attraverso una conoscenza reale conquistata, cercata, intensamente vissuta, sia individualmente che collettivamente. Una conoscenza non manipolata, l'unica vera che può liberare l'intelligenza dai condizionamenti remoti e presenti e sviluppare quell'attitudine critica capace di eliminare al massimo le contraddizioni più o meno gravi dei comportamenti. Contraddizioni insite nella natura umana e favorite dal modo con il quale si somministra la cultura che diventa una sovrapposizione, una vernice, non una conquista raggiunta attraverso scelte spontanee» (Vincitorio E.S.).23 Si parla anche di una derivazione dal francese «jeu dramatique»; «per qualche tempo, infatti, si è parlato, invece che di animazione, di gioco drammatico» (Santoni Rugiu A. , Fagni, 1976).Animazione è un termine che ci giunge dalla Francia dove ha preso forma negli anni '60. Lo ha illustrato nel 1967 l'animatore dell'animazione capo della «Maison de la culture» di Grenoble, Georges Bejean, le cui tesi non si discostano dalla media delle varie tesi francesi. Secondo Bejean, l'animazione ha alcuni compiti precisi: - informare (sugli autori, opere ecc.); - formare una capacità di giudizio; - diffondere conoscenza (studio di stili, metodi, tecniche di lavoro); - sintetizzare (stimolare interessi, coinvolgere, ecc.)» , (Bongioanni M., 1977).

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motivazione nella comodità, nella piacevolezza, nella facilità. Essa promuove l'interesse critico per i fatti propri della civiltà del benessere.

2.5. Ambiguità dell'animazione

Non sempre si parla di animazione a proposito; spesso si trova un po' ovunque: nel territorio (strada, scuola, tempo libero), nel teatro, nello sport, nella musica, c'è chi sostiene l'animazione spirituale, liturgica, ecc. Una sorta di originale, di nuovo, di bello, di mai visto. Questo suo moltiplicarsi induce una pletora di definizioni, di concettualizzazioni, di teorie; quando poi si scende sul piano operativo, il moltiplicarsi diviene un inarrestabile spezzettamento, tanto che basta conoscere qualche ricetta, qualche piccola tecnica, qualche gioco per sostenere che si tratta d'animazione, (teatro, musica, sport, danza, tornei, feste, festival di partiti, fotografia, bricolage, burattini, tessitura...). Gli hobbies diventano animazione, gli strumenti e le tecniche da mezzi diventano fini con scadenti operazioni di mercato. Molto spesso l'animazione finisce anche per coincidere con le dinamiche-terapie di gruppo. Ma l'animazione non si riconosce in alcuna delle precedenti attività, essa è piuttosto una qualità dell'agire, un carattere di molte azioni umane connesse con le azioni del dare, conservare e sviluppare la vita nelle sue dimensioni individuale, sociale, materiale e spirituale, terrena e divina. Animare è in sostanza un modo di vivere positivo e di testimoniarlo. Questa qualità propria dell'uomo, questo modo di vivere, fanno riferimento ad una precisa idea di persona, ad una precisa ontologia che rimanda alle disposizioni dell'uomo: alla libertà, alla creatività, alla religiosità, alla alterità, alla gioia, all'amore. Per aiutare a liberarsi da condizionamenti, stereotipi, ideologie. L'animazione ridà forza a tutte quelle forme di vita che vengono schiavizzate, alienate, oppresse da parte dell'uomo sull'uomo, aiutando ciascuno a rivelarsi in tutte le sue potenzialità. Animare è quindi dare vita, aggiungere vita all'esistenza quotidiana nello scoprire il senso profondo che hanno anche le azioni apparentemente più povere e banali.L'animatore dell'animazione capace si accosta al quotidiano come momento di gioia e di festa e la persona animata si apre poco a poco al senso della propria vita e a quella degli altri. Ciascuno va accolto come altro («cum unum»). Mentre il sociale è spesso luogo della contraddizione, dello scontro, dell'antagonismo, della concorrenza, della divisione, la comunità si pone come luogo dell'incontro, del dialogo, della cooperazione, della solidarietà, dell'accettazione, dell'accoglienza. Se riusciamo a guardare in profondità la realtà quotidiana, possiamo trovarvi domande e risposte che vanno al di là del rumore e dell'esteriorità delle cose, comprendendone il continuum e riuscendo a trascenderle. L'animazione aiuta a cogliere questa tensione, questa richiesta verso una speranza che dà ogni giorno senso e spessore alla vita di ciascuno.

2.6. Aree dell'animazione

L'animazione si rivolge alle aree personale, sociale, trascendente.- Nell'area del personale, il compito dell'animazione è quello di aiutare ciascuno ad accogliere e costruire la propria identità personale, originale e irripetibile, attraverso la lettura della realtà mediante i segni e i simboli della propria cultura. L'apprendimento e la competenza dei diversi linguaggi umani, relazionati fra loro, permetterà di ampliare le capacità di espressione-comunicazione, di usufruire e di produrre cultura, di rapportarsi con la memoria storica e di progettare il futuro. Il lavoro educativo dell'animazione in quest'area, aiuta inoltre il soggetto ad arricchire e dominare la propria vita personale mediante la coscienza di sé e della realtà, a padroneggiare i linguaggi, a integrare il linguaggio logico-razionale con quello simbolico-poetico, a utilizzare creativamente simboli e segni.- Nell'area del sociale il compito dell'animazione si rivolge soprattutto ad aiutare il soggetto ad essere responsabilmente presente nella comunità e a progettare il cambiamento con gli altri.- Nell'area del trascendente animare vuol dire aiutare ciascuno a vivere il quotidiano e a trascenderlo contemporaneamente, educando a porsi le domande radicali che ogni soggetto ha dentro di sé e che sovente trovano nella realtà risposte contrastanti. La conoscenza e la scienza non riescono a dare tutte le risposte (la vita, la morte, l'amore, il futuro): a quelle mancanti può rispondere solo la trascendenza.

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2.7. Usi attuali dell'animazione

a)- Nell'attività di gioco-creativo. In Italia spesso l'animazione viene intesa come insieme di tutte quelle attività ludiche e espressive fatte per stimolare la creatività dei ragazzi; in genere si aggiunge al sostantivo (animazione) un aggettivo (musicale, grafica...) per evidenziare il suo carattere alternativo ai metodi scolastici tradizionali. In altri casi l'animazione indica semplicemente che una certa attività espressiva tradizionale è stata caricata ideologicamente, riducendosi ad una specie di bricolage dell'immaginario e dell'effimero senza poter produrre alcunché di positivo per chi la pratica o la subisce.b)- Nel tempo libero. L'animazione assume una funzione organizzativa al tempo libero del sociale, strutturandolo come un lavoro, usandolo per il suo aspetto economico e prendendo possesso degli ultimi spazi di libertà rimasti alle persone (v. animazione nei villaggi turistici). La stessa cosa accade per una consolidata industria basata sull'offerta di sport.c)- Nelle dinamiche di gruppo. È forse quella più sofisticata e di maggior livello culturale. Sviluppatasi dalle dinamiche terapeutiche di gruppo, viene adattata ad un gruppo di formazione usando tecniche, procedimenti, laboratori e simili (che secondo alcune teorie delle scienze psico-sociali, dovrebbero aiutare i soggetti ad apprendere, a prendere coscienza, a maturare). In ogni caso pur se attenuata, è sempre una terapia «soft» il cui scopo è quello di liberare l'individuo dai condizionamenti sociali che lo limitano. Spesso ha assunto connotazioni marcatamente ideologico-alternative e/o esistenziali determinando ulteriore allontanamento dalla riflessione su sé per trasferire i problemi sul sociale e sugli altri.

2.8. L'animazione contemporanea

Attualmente l'animazione indica un vasto insieme di attività che hanno tra di loro poca relazione; si presenta pertanto ambiguamente caricandosi di molteplici significati che la rendono disponibile a molti usi strumentali.Occorre delimitare l'animazione in una serie di interventi per cui, attraverso la stimolazione di dinamiche individuali e collettive, il gruppo sia in grado di usare energie, dinamiche, ritmi, tecniche, in direzione espressivo-comunicativa, attraverso:- l'individuazione e la stimolazione di dinamiche personali e di gruppo;- la proposta di sperimentare linguaggi e tecniche; - la progettazione e l'elaborazione di un intervento collettivo con una o più tecniche, trovando gli spazi di comunicazione;- l'individuazione di scopi ed obbiettivi relativi a:. liberare le potenzialità del singolo e del gruppo;. offrire al gruppo diverse possibilità di socializzazione;. offrire al gruppo diverse tecniche espressive;. confrontare le proprie esperienze con quelle degli altri, in spazi e tempi sempre più ampi;. coinvolgere globalmente il soggetto e il gruppo alla partecipazione ad un progetto; . dare la possibilità di diverse occasioni di comunicazione tenendo conto del contesto ambientale; . integrare tra loro tutti i linguaggi;. stimolare il gruppo a creare forme culturali autonome e innovative.Se il riferimento prevalente dell'animazione è stato finora quello della scuola, oggi i suoi obbiettivi e il suo campo d'azione investono il territorio e il sociale, (scuola, laboratori teatrali, centri sociali, comunità educative, sport e tempo libero, prevenzione e recupero...). L'animatore dell'animazione potrebbe occuparsi a buon diritto di tutti gli aspetti dell'uomo (fisicità, socialità, creatività, religiosità, cultura, ecc.). Indichiamo per «fisicità» il rapporto corpo-natura che il sociale ha reso oggi tra loro squilibrate: «Una civiltà dell'energia e dell'elettronica, della razionalità e della tecnica, tende a rimuovere la natura come un ostacolo ed un errore. Corpo umano e natura vengono considerati al massimo come luoghi di consumo e il loro valore è solo quello di scambio». L'animazione si pone l'obbiettivo di far riappropriare i soggetti di valori estremamente importanti come il proprio corpo e la natura.Nel settore corporeo si comprende tutto ciò che riguarda le potenzialità fisiche del soggetto (verificabili attraverso l'educazione corporeo-motoria, la danza, lo sport); la coscienza sanitaria (alimentazione e

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medicine alternative); l'educazione sessuale (nella dimensione dell'amore). Nel settore ambientale rientrano le attività ecologiche, escursionistiche, urbanistiche, archeologiche, cioè tutte quelle attività che si propongono di far riscoprire l'ambiente, riconsegnandolo all'uomo» (Contessa G., 1985).24

L'animazione è stata sovente assimilata alle attività alternative, oppure ad un metodo pedagogico ispirato alla non direttività. Ma le attività alternative hanno determinato il proliferare di tecniche e didattiche, anche originali, che sono spesso finite in una sterile novità fine a se stessa Tuttavia sono state individuate nuove forme di apprendimento, integrative di quelle tradizionali (quale ad esempio la valorizzazione del gioco dal punto di vista intellettuale ed affettivo).Non si può tuttavia ridurre l'animazione alla presentazione di attività originali e «divergenti», senza modificare il modo di realizzare il rapporto educativo e senza che esse portino, in maniera diversa da quella tradizionale, ad apprendimenti culturali e a modificazioni di comportamenti e atteggiamenti.All'insegnante «autoritario», che ordina «ciò che si deve fare», si va gradualmente sostituendo l'insegnante che si impegna «per fare insieme con gli alunni».Per C. R. Rogers i presupposti che giustificano l'assunzione di tale atteggiamento educativo, sono diretti a favore dell'autonomia intellettuale e affettiva del soggetto. La teoria di Rogers è sostenuta da un atteggiamento di rispetto e di fiducia nell'essere umano e si concretizza su due principi base:- l'essere umano ha la capacità latente (o già manifesta), di comprendersi da solo e di risolvere i suoi problemi in maniera sufficiente a soddisfare i suoi bisogni psico-fisici;- l'esercizio delle capacità di realizzazione delle proprie potenzialità richiede a ciascun essere umano relazioni interpersonali positive.Rogers chiama «tendenza attualizzante» la capacità di ciascuno di realizzare le proprie tendenze innate attraverso la ricerca del soddisfacimento dei bisogni elementari, di quelli di ordine intellettuale (ricerca, esplorazione, ecc.) e di quelli spirituali. L'animazione dovrebbe consistere in una «relazione di aiuto» (Rogers), intesa come rapporto interpersonale nel quale uno dei partecipanti (l'educatore), cerca di aiutare la valorizzazione e l'attuazione dei talenti personali dell'altro (il soggetto), il quale può giungere ad un apprendimento autentico e spontaneo.Ciò avviene attraverso due momenti educativi, l'educazione integrante o insegnamento e quella liberante o animazione: - l'educazione integrante è quella che ha come «fine reale di integrare l'individuo nella società, facendo di lui un buon cittadino, cioè un uomo d'ordine»;- l'educazione liberante prende in considerazione soprattutto la persona, senza preoccuparsi delle cose da trasmettere, ma cercando di farla crescere come essere capace di autonomo sviluppo.L'essere umano porta già in sé un progetto di crescita, compito dell'educatore è quello di aiutarlo ad attualizzare tale progetto e contemporaneamente a costruirsi una capacità critica attraverso l'esperienza, il dialogo, il confronto. L'educatore non è solo colui che educa, ma è anche colui che mentre educa è educato nel dialogo con l'educando, il quale, a sua volta, mentre è educato, anche educa. Ambedue diventano così soggetti del processo in cui crescono insieme; a questo punto nessuno educa nessuno, e neppure se stesso: gli uomini si educano in comunione, attraverso la mediazione del mondo...L'educatore deve rendersi conto che quando inizia questo processo, egli si prepara a morire. Solo con questa morte, che solo lui può prendersi su se stesso, sarà possibile la sua rinascita come allievo e la rinascita dell'allievo come educatore.

2.9. Quale animazione? Quale animatore?

24 - SOCIALITÀ: intendiamo i rapporti umani, le relazioni interpersonali e di gruppo, che il nostro sistema produttivo ha sacrificato. «Individualismo, competitività ed efficientismo hanno gradualmente relegato i rapporti fra gli uomini, prima nel solo ambito familiare, poi nell'ambito del sogno. L'animazione ha in tutto ciò un compito importante e preciso: la riscoperta della socialità e il suo sviluppo, non solo come condizione di un vivere umano, ma anche come premessa di un vivere civile e politico, ha portato l'animazione a operare nel fronte della partecipazione, cioè della socializzazione del potere». - ESPRESSIVITÀ (espressione-comunicazione): il nostro sistema culturale, privilegia la lettura e la scrittura di tipo verbale. Tutti gli altri linguaggi espressivi (mimico, gestuale, visivo, grafico pittorico, manuale ecc...) sono stati ridotti nelle riserve degli specialisti, quindi sottratti all'individuo, perché contengono eccessive dosi di soggettività, cioè di qualità. Oggi, ogni sforzo dell'animazione, è stato finalizzato a far riappropriare i soggetti del potere e della capacità di esprimersi e di produrre cultura, con tutti i linguaggi espressivi». - GIOCO: in una società dove tutto è merce, la gratuità diventa un valore rivoluzionario. Diffondere il gioco, assume il significato di rivalutare la gratuità come momento altamente educativo e liberatorio. Il gioco (infantile e adulto) è un'attività libera di riprogettazione del mondo. Chi gioca è padrone del gioco, gioca per sé stesso, riproduce ed insieme modifica la vita reale. Si diverte, cioè fa un'esperienza di diversità», (Contessa, G. 1985).

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Ci siamo richiamati ad alcuni principi del Rogers, di un autore cioè le cui stimolazioni hanno contribuito non poco (e per molti motivi non sempre di natura scientifica), a far rivedere il concetto tradizionale di insegnamento; abbiamo inoltre cercato di definire il concetto di animazione. Cercheremo ora di individuare le ragioni legittimatrici di un fenomeno decisamente complesso, che si configura in una straordinaria pluralità di fatti e non è riducibile a definizioni univoche. D'altronde i modi coi quali oggi si fa animazione rispecchiano diversi modi di intendere l'animazione e l'osservatore superficiale potrebbe essere indotto a credere che l'animazione sia un «fenomeno» esclusivo dei nostri giorni, un'espressione dell'ansia di liberazione, un superamento dei tabù, dei pregiudizi, dei limiti imposti dalla tradizione alla libera espressione dell'uomo.Pertanto la parola «animazione» è diventata una delle parole magiche oggi alla moda, alle quali si fa ricorso per dare «tono» ai discorsi e a vaghe proposte di attività alternative.25

Tuttavia a noi preme precisare che l'animazione è «legittimata ovunque da motivazioni qualificanti ed è sottesa alla realizzazione di situazioni umane e sociali più congrue in ordine alla persona» (Scaglioso C., 1973). L'animazione di cui vogliamo parlare è un'animazione socio-culturale, la quale ha varie articolazioni ed è volta ad individuare metodi e tecniche «per parlare a tutti, anche a coloro che manifestano rifiuto o disprezzo a partecipare volontariamente alla propria maturazione culturale e alla propria formazione sociale, prendendo parte ad una serie di attività, svolte liberamente, non imposte o legate a vantaggi di tipo prettamente professionale» (Scaglioso C., 1973). C'è quindi una sostanziale differenza tra l'animazione di oggi e quella di ieri e tale differenza non è relativa solo ai mezzi o alle tecniche, ma al principio da cui essa deriva. Ieri l'animazione, come l'educazione scolastica, non si rivolgeva a tutti; oggi l'educazione scolastica e l'animazione si rivolgono a tutti, sono state riconosciute come diritto di ciascuno. Oggi l'animazione socio-culturale si iscrive nel capitolo dell'educazione permanente ed è intesa come «strategia» volta ad aiutare l'uomo, ogni uomo, a costruirsi nella comunità costruendola, ad integrarsi nell'organizzazione sociale «consolidandone la vita, all'insegna di una partecipazione dinamicamente creativa, che valorizzi attitudini e competenze».26

Ricordiamo anche, sempre allo scopo di chiarire il concetto di animazione, che «è prevalentemente un metodo. Potremmo adesso aggiungere che è un metodo per vivere, nella bellezza dell'apertura e del pluralismo, la pienezza della vita sociale, la volontà del dialogo e la sicurezza gratificante che viene dall'esercizio leale della tolleranza.; la democrazia culturale è il fine che si intende conseguire attraverso l'animazione», conseguentemente alla presa di coscienza di sé, della propria «anima», cioè delle virtualità più profonde. Pertanto l'animazione si propone di valorizzare la creatività del singolo, di responsabilizzarlo, di fare del rapporto tra l'uomo e la sua realtà un problema di base, di onorare l'iniziativa di gruppo e soprattutto essa non vuole limitarsi alla democratizzazione della cultura perché intende promuovere la democrazia culturale.Si è detto che l'animazione oggi è un diritto di tutti. «Animare vuol dire educare la persona a prendere coscienza di sé, del rapporto con gli altri, dell'ambiente che lo circonda e ad appropriarsi degli strumenti culturali che fanno dell'uomo il protagonista creativo e modificatore della realtà». L'animazione è un metodo educativo basato sul rapporto interpersonale («relazione di aiuto» di Rogers) che si forma tra l'educatore e i soggetti, nel quale il primo cerca di aiutare i secondi a estrinsecare le proprie caratteristiche.Fare animazione significa superare la staticità della conservazione culturale, rompere con la suddivisione del sapere in materie a favore dell'interdisciplinarità; significa creare atteggiamenti nuovi nei confronti della realtà, in una prospettiva sempre aperta a nuove soluzioni. L'animazione non è quindi trasmissione di cultura, ma creazione di cultura ed elaborazione di una propria visione del mondo.

25 Ci sembra opportuno ricordare che «l'animazione, nella misura in cui è sinonimo di manifestazione e modo di vivere, è un fatto di tutti i tempi; ogni società ha conosciuto molteplici forme d'animazione quali le celebrazioni religiose, le feste, i giochi, i movimenti sociali. Ogni società ha concentrato questa animazione in tempi particolari e in luoghi privilegiati, come l'agorà, le vie commerciali, i luoghi di culto e di pellegrinaggio. Ogni società ha avuto infine i suoi animatori dell'animazione, stregoni, notabili, preti, leaders, militari, profeti» (Therry, 1970).26 Per chiarire il significato che assume oggi l'animazione, ricordiamo la «definizione positiva» che si legge nei documenti relativi al Symposium di S.Remo (26-29 aprile 1972) sull'animazione socio-culturale. In questo documento si afferma che «per animazione socio-culturale si deve intendere ogni attività regolata nella sua dinamica dai metodi non direttivi e aventi il fine di aiutare i membri di una comunità: a) a prendere coscienza della situazione in cui vivono, dei loro bisogni e delle loro attitudini; b) a porsi sul piano dei rapporti cordiali ed aperti gli uni con gli altri, e di conseguenza a partecipare più attivamente alla vita delle comunità; c) ad approfondire la cultura personale, tenendo conto, a seconda dei casi, delle attitudini fisiche, delle capacità di esprimersi e di essere creativi».

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Poiché la metodologia dell'animazione deve essere di natura interdisciplinare, l'animatore dell'animazione dovrà ricercare l'equilibrio tra le due tendenze che caratterizzano la crescita e l'apprendimento, cioè la tendenza all'espressività e la tendenza alla formalizzazione, dosando le sue proposte a seconda dei soggetti dato che alcuni tendono prevalentemente all'una o all'altra.27 Secondo altri Autori l'animazione, come momento della formazione, si può considerare una ricerca comune di soluzioni idonee, durante le quali l'animatore dell'animazione, curando le dimensioni permanenti e simultanee della propria attenzione, le finalizza a porre ciascuno dei componenti il gruppo in grado di esprimere esplicitamente tutto ciò che pensa su ciò di cui si sta parlando.L'animazione si può considerare complementarmente:- promozione di interazioni nel gruppo;- sensibilizzazione dei singoli ad esprimersi; - capacità di stabilire validi rapporti interpersonali con il gruppo e di farli stabilire tra i componenti del gruppo stesso.Dal punto di vista sociale generale, l'animatore dell'animazione è una «figura» nuova, relativamente recente, correlata alle istanze di democraticità; nel gruppo ha quindi più una funzione metodologica che contenutistica (al limite l'animatore dell'animazione potrebbe conoscere poco del tema che è oggetto della discussione del gruppo). L'animazione «pura» è quindi «provocazione» con moderazione e guida: l'animatore dell'animazione fa venire fuori tutto ciò che ciascuno pensa o sa su un argomento; è maieutica senza forcipe. L'animazione ha un'altra funzione formativa: la conduzione finalizzata a un obiettivo verso cui l'animatore dell'animazione-conduttore orienta il discorso del gruppo.In linea generale l'animatore dell'animazione attua la propria vigilanza in varie direzioni:- se stesso (idea che ha di sé e del proprio ruolo);- i singoli membri del gruppo (attenzione riguardare i loro atteggiamenti);- il gruppo come totalità (attenzione alla dinamica del gruppo);- il compito (finalizzazione dei propri sforzi al programma programmato);- le condizioni (vigilanza sulle condizioni generali in cui il lavoro si svolge); - i metodi di lavoro (riflessione generale metodologica di lavoro);- il materiale (predisposizione di tutto ciò che occorre perché il lavoro si svolga senza intoppi e interruzioni). All'interno del gruppo l'animatore dell'animazione ha tali compiti e funzioni specifiche, che corrispondono a qualità non sue, bensì ad aspetti particolari del suo ruolo.Le più significative sono:- si assume l'incarico della programmazione;- si sforza di conseguire gli scopi della programmazione;- fa in modo che tra i membri del gruppo si operino certi cambiamenti di atteggiamento e acquisizioni di conoscenze in relazione agli obiettivi della programmazione;- si ripropone di ricreare il clima e le condizioni più favorevoli per conseguire gli scopi;- impiega i metodi più adeguati e predispone e utilizza il materiale più funzionale;- si impegna nel far avvicinare il più possibile, puntando a farli coincidere attraverso la program-mazione, i «desideri» dei responsabili del programma a quelli dei membri del gruppo.28

Gli aspetti storici della dinamica dell'animazione e i corrispondenti momenti metodologici del comportamento dell'animatore dell'animazione, possono essere cosi esposti:- pone con chiarezza il problema;- accerta l'interesse di ciascuno all'argomento;- fa esprimere ad ognuno l'opinione personale sul problema;

27 Bongioanni ritiene che il termine animazione giunga dalla Francia dove ha preso consistenza e forma nel periodo degli anni '60, illustrato da G. Bejean, secondo cui l'animazione ha alcuni compiti precisi: - informare (sugli autori, sulle opere, ecc.) - formare una capacità di giudizio; - diffondere conoscenze (stili, tecniche, metodi di lavoro); - sintetizzare (stimolare interessi, coinvolgere).28 Limbos divide le diverse forme di colloqui in: - inchiesta (entrare in discussione con qualcuno per conoscere il suo parere sul problema o su una questione particolare: entrare in relazione); - conversazione (colloquio corrente); - colloquio selettivo (viene usato quando un candidato si presenta come postulante un impiego, un posto di lavoro); - colloqui di circostanza (sono conversazioni che si hanno in circostanze specifiche; si tratta di un «colloquio su un problema»). Analizza inoltre gli atteggiamenti che si possono assumere durante un colloquio in termini di: -aiuto-sostegno (appoggio, assistenza); -valutazione (stima, apprezzamento, giudizio); - inchiesta (esplorazione, sondaggio, investigazione); -interpretazione (istruire l'altro sulla propria situazione); - comprensione; -ordine-consiglio (si presenta all'altro un modello d'azione).

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- di tanto in tanto fa il punto della situazione:- rilancia ai membri del gruppo i quesiti che vengono rivolti a lui;- favorisce lo scambio (opinioni, critiche, informazioni, ecc.) fra i membri del gruppo;- fa la sintesi finale obiettiva (e non dal proprio punto di vista).Alcuni momenti classici si ritrovano in ogni tipo di animazione, sono quei momenti che caratterizzano la metodologica operativa dell'operatore socio culturale. Per Limbos la discussione, il dibattito, l'eventuale messa in questione (contestazione) sebbene sempre possibili, non sono lo scopo principale. Non si tratta di una informazione a senso unico, ma di scambi allo stesso livello.

2.10. Contenuti, metodi e mezzi dell'animazione

L'attività più diffusa è quella della «ricreazione « e del «divertimento». «Oggi il problema non è più quello di bollare il divertimento e la ricreazione come futilità, ma semmai di diffonderli dando ad essi una valenza d'animazione. Divertirsi significa fare esperienze di diversità; ricrearsi significa rigenerarsi, perdere stanchezza fisica e psichica, lasciare certe pigrizie e prepararsi ad un atteggiamento rigenerato verso la vita» (AA.VV., 1980).Un'altra attività caratteristica dell'animazione, è quella della «sensibilizzazione». «Gli animatori dell'animazione si sono sempre occupati di sensibilizzare l'utenza, alle problematiche relative alle aree prima indicate. L'errore principale verso la sensibilizzazione è stato quello di non capire subito che non è possibile modificare la sensibilità (fatta di emozioni, atteggiamenti, pregiudizi, false coscienze) attraverso azioni solo razionali.Sensibilizzare significa toccare le emozioni, far vibrare il cuore, sollecitare i sentimenti», (Note di pastorale giovanile, 1985). C'è da sottolineare, che in questo campo l'animazione è stata debole, soprattutto per gli scarsi apporti avuti dalla psicologia. Un grosso lavoro l'animazione l'ha svolto nel settore della formazione. «Ben presto gli animatori dell'animazione si sono accorti che l'animazione può anche essere una professione, ma deve essere soprattutto un metodo comune a tutte le professioni sociali. Gli animatori dell'animazione hanno lavorato molto in questo senso, come formatori di insegnanti, educatori, psicologi, pedagogisti, volontari, operatori culturali ecc.» (Quaderni d'animazione sociale, 1986).Un'altra attività meno appariscente dell'animazione, ma non per questo meno importante, è quella che viene definita di relazione o di connessione. «Essendo una caratteristica del nostro sistema sociale la separazione e la specializzazione, è stato sempre importante operare nel senso di aumentare le connessioni tra persone, gruppi, enti diversi. L'animazione ha lavorato per connettere la scuola al territorio, le istituzioni assistenziali al quartiere, il teatro alla scuola, la musica alle biblioteche, lo sport al gioco, la vacanza all'arte ecc...» (Contessa G., Ellena A., Salvi R., 1979). «L'animazione è per definizione un'attività preventiva. Essa ha a che fare con la qualità generale della vita e degli uomini: si occupa quindi di tutta la popolazione. Può occuparsi anche di svantaggiati-deviati, ma solo in quanto persone e non come categorie speciali stigmatizzate». «L'animazione è una pratica sociale preventiva solo assieme ad altre pratiche preventive, all'interno di una società organizzata per prevenire».I contenuti e i metodi della animazione sono diversi a seconda della metodologia dei diversi autori, mentre sul piano della programmazione generale vi è, in genere, una identità di vedute. Il metodo di lavoro consiste di tre momenti interdipendenti: (Rostagno-Pellegrini, 1978)- la partecipazione individuale;29

- il lavoro di gruppo;- il lavoro collettivo. «Il gioco di gruppo racchiude in sé il pericolo di far sorgere la coscienza sociale esclusiva, ossia quella che identifica la persona con il proprio gruppo, escludendo tutto ciò che sta al di fuori delgruppo; cosicché tale persona ha due morali: quella per il gruppo e quella fuori del gruppo. Verso i membri del gruppo darà aiuto nel senso del servizio sociale e si comporterà bene, ma verso gli altri farà il contrario

29 Occorre considerare che il lavoro individuale troppo esclusivo, determina una competitività che riduce alla base l'aspetto educativo del rapporto con gli altri, portando miglioramenti sul piano dell'istruzione, ma non su quello complessivo dell'educazione. Al contrario, il prolungato lavoro di gruppo rende incerta la persona in riferimento a sé, causando ugualmente ansie e tensioni negative. «La preponderanza assoluta del lavoro collettivo rispetto a quello individuale e di gruppo (caso non frequente), genera nei bambini un senso di deresponsabilizzazione derivato dall'agire costantemente al riparo dalla collettività» (Rostagno R., Pellegrini B., 1978).

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(occorre) formare la coscienza comprensiva, ossia la coscienza per cui gli altri gruppi sono riconosciuti come coordinati e cooperanti col proprio gruppo» (Giugni G., 1973).

Ipotesi metodologicaProgettazioneRealizzazioneDeterminazione degli obiettiviScelta dei contenuti, tecniche, strumentiRealizzazioneRilevamento del metodoEsecuzioneValutazioneVerifica nella comunicazione

Schema di programmazione della attività di animazione (Rostagno-Pellegrini 1978):

Relativamente ai mezzi e relative tecniche che sono necessarie per attuare l'animazione, vengono suggerite:»... pittura, disegno, modellaggio, musica, ceramica, ritaglio, danza, ecc., sono altrettante porte aperte all'espandersi dei fanciulli; il gioco drammatico...» (Small M., 1975). In ogni caso, qualunque siano il mezzo o la tecnica adoperati, il lavoro deve essere attuato con interventi individuali, di gruppo, tra gruppi, di classe, di interclasse, in assemblea, in interscambio con le varie componenti sociali del territorio.30 Occorre tener conto di una struttura del lavoro per itinerari o unità di lavoro che si sviluppino secondo momenti di progettazione-realizzazione-verifica, attuabili in spazi di tempo brevi o lunghi, ma sempre mediante una organizzazione dei materiali elaborati e degli elementi espressivi ai fini della comunicazione.31

Relativamente alla ricerca d'ambiente affermano Rostagno-Pellegrini, (1978): «Nella scuola è presente una concezione tecnicistica di ambiente che indica, con questo termine, il reticolo di strade, vie, piazze, ambienti naturali, edifici, monumenti. A questa concezione va sostituendosi quella che mette in relazione gli aspetti storici, geografici, topologici con la presenza e l'intervento dell'uomo. È un modo di vedere l'ambiente in termini socio-culturali. L'ambiente non è che la risultante di una estensione che il bambino compie del suo corpo come individuo o delle sue relazioni sociali come persona. Dagli 8/9 anni in poi la ricerca ambientale si estende: dal corpo alla famiglia, dal gruppo amicale al quartiere o al paese, al mondo. L'indagine sul territorio raggiunge i luoghi di lavoro, le associazioni ricreative, le sedi politiche, gli spazi in cui i ragazzi misureranno la propria capacità di intervento».Infine, relativamente ai contenuti dell'animazione, l'animatore dell'animazione può concepire la sua scelta specialistica secondo le seguenti variabili:- in funzione dell'ambiente nel quale l'animatore dell'animazione deve agire (città o campagna, paese in via di sviluppo, ambiente industriale, scuola e famiglia);

30 Rostagno-Pellegrini (1978) elencano gli strumenti tecnici necessari per l'indagine, l'elaborazione e la presentazione delle sintesi («spettacolo»), «- strumenti visuali (macchina fotografica, cinepresa, video-tape, lavagna luminosa, episcopio, moviola, proiettore); - strumenti fonici (magnetofono o registratore, radio, giradischi); - strumenti grafici (questionari per interviste, giornali, riviste, libri, enciclopedie)».31 Itinerario di animazione: Titolo............. Sottotitolo esplicativo...............1)- Situazione di partenza: condizioni di lavoro, materiali, luogo, proposte dei ragazzi e dell'animatore dell'animazione, ipotesi, progetti. 2a)- Fase operativa: applicazione di tecniche espressive, ricerca di campo, bilanciamento tra espressione e razionalità. 2b)- Approfondimento: creazione e moltiplicazione dei linguaggi, organizzazione dei prodotti espressivi e dei materiali della ricerca. 3)- Comunicazione teatrale: presentazione, spettacolo, mostra, verifica del dibattito, eventuale progettazione (Rostagno R., Pellegrini B., 1978). Metodo di animazione(es: schede gioco): Titolo........-Situazione:…… dove si può svolgere il gioco; -in che modo si dispongono i bambini; -come preparare l'ambiente. - Esecuzione: - come si svolge il gioco; -cosa fa e dice l'animatore dell'animazione per guidarlo; -pause e riprese del gioco; - suggerimenti per vivacizzarlo; - possibili sviluppo e varianti. - Strumenti: - ciò che occorre per giocare (Rostagno R., Pellegrini B., 1978). Tecniche di animazione: (livelli) -Prerappresentativo: sensomotorio e psicomotorio: gioco, giocodramma, rumore, suono, ritmo, musica, gesto, danza, azione mimica, pantomima. -Rappresentativo: pittorico, plastico, figurativo (pittura, manifesti, scenari, collage, modellaggio, marionette, burattini), trasformazione dei materiali per ottenere oggetti di uso, trasformazione di materiali per ottenere simboli, immagini. - Simbolico: verbale (racconto libero, cantastorie, cantacronaca, dialogo), linguaggi non verbali (Rostagno R., Pellegrini B., 1978). Mezzi e tecniche: -Attività manuali, disegno e composizione, pittura, arti grafiche e pittoriche, decorazione di sale, locali -Uso di materiale di base: carta, cartone, terra, gesso, legno, tessuto, giunco o altri prodotti, metallo, elementi presi dalla natura, smalti, cuoio, ecc. -Fabbricazione di oggetti utili e decorativi. -Attrezzature di laboratorio. -Giochi e attività di distensione (Limbos E., 1972).

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- in funzione delle tecniche di attività che servono di supporto all'animazione, come la musica, il teatro, la danza folkloristica, i laboratori di attività manuale, il cinema, le attività di svago e di vacanza, le tecniche audio-visive;- in funzione dell'età dei membri ai quali l'animazione si rivolge: bambini, adolescenti, adulti, terza età;- in funzione dei gruppi particolari, gruppi di uomini, di donne, di celibi, di minorati o malati, gruppi permanenti-occasionali, gruppi professionali, movimenti giovanili e raggruppamenti di educazione popolare, équipes parrocchiali, gruppi sindacali» (Limbos E., 1972).

2.11. Obiettivi dell'animazione

L'obiettivo primario dell'animazione è la formazione integrale della persona mediante l'attivazione delle sue potenzialità, del suo modo di essere e del suo interpretare l'esistere anche in relazione al mondo e agli altri. L'animazione sollecita anche lo sviluppo della cultura dell'individuo che consiste nel sapere, nel saper fare, e nell'essere.32

L'animazione, nata da una doppia crisi, quella della scuola e quella del teatro, non sostituisce però né l'una né l'altro, ma può di entrambi costituire «la giusta motivazione e lo sbocco opportuno, può essere un esercizio estetico, un affinamento strumentale, uno stimolo all'approfondimento del tema in oggetto dal punto di vista letterario, storico, geografico, matematico, tecnologico e via dicendo» (Santoni Rugiu A., Fagni, 1976).Gli stessi autori distinguono tre tipi di animazione: quella classica, quella di ricerca e quella creativa:- classica: ricorda le forme tradizionali come quelle rappresentazioni teatrali che danno vita, anima (anzi ri-anima) ad un testo;- di ricerca: punta sulla sollecitazione delle intenzioni e quindi sulla ricerca di vario tipo (documentaria, espressiva, ecc.), delle migliori modalità in vista della animazione;- creativa: in campo educativo è la più completa ed efficace; aggiunge alle prime due il momento comunicativo.Si afferma inoltre che «la sperimentazione come attività innovativa programmata e verificata possibilmente da un gruppo interdisciplinare di insegnanti e animatori dell'animazione, trova una sua dimensione molto opportuna nello svolgimento delle libere attività che non possono essere insegnate, ma svolte, guidate, stimolate insieme agli allievi e possibilmente con la partecipazione di più educatori che si dedicano ad esse; si dice ormai comunemente che esse vanno animate» (Santoni Rugiu A., Fagni, 1976).

2.12. Diritto all'animazione e comunità educante

L'animazione socio-culturale, essendo un processo che interviene al momento dei loisirs, e pur contando su «se stessa, sulla gratificazione che procura», è strettamente legata all'educazione; i temi dell'educazione socio-culturale pongono la scuola di fronte ad una necessità di aggiornamento che riguarda metodi, strutture, contenuti. La scuola pur avendo talvolta bisogno di aspetti direttivi «anche se con l'esercizio più discreto dell'autorità, vista come forza liberatrice», non può trascurare «le esigenze dell'educazione permanente e dell'animazione socio-culturale, proprio perché essa ha il dovere di fornire lo spunto critico», di inventare forme nuove di creazione, in un impegno culturale che non si risolve in una mera e vuota trasmissione di dati, nozioni e valori» (Scaglioso C., 1973). «Su questo piano, si iscrive l'importanza di una scuola veramente orientata, una scuola aperta all'interazione piena con la società, nel rispetto al diritto dell'educazione che è propria di ognuno» (Scaglioso C., 1973). D'altronde è opportuno ricordare che ogni educatore, proponendosi come facilitatore dell'apprendimento, come organizzatore, come esperto di metodi e di tecniche, come suscitatore di energie, è un animatore dell'animazione.33

Ma se riflettiamo sul fatto che la scuola è chiamata a consentire ad ognuno di concretizzare il proprio diritto all'educazione, cioè a valorizzare il proprio potenziale educativo, «ad affermare e ad esprimere la

32 «Uno dei vantaggi della moderna idea di animazione è che consente di risolvere, nel modo più equilibrato, l'opposizione tra autoritarismo e permissivismo culturale e che riesce a fondere la forma per ragazzi, dal momento che è destinato dagli educatori a vantaggio dei primi, con la forma dei ragazzi perché il loro ruolo, anche se non esclusivo, è centrale» (Santoni Rugiu A.Fagni, 1976).33 È vero che l'arco nel quale il discorso dell'animatore dell'animazione ha trovato fertile terreno è stato quello delle attività parascolastiche, delle libere attività complementari, scelte liberamente dagli alunni secondo la propria vocazione e la propria passione, quali le attività sportive, quelle musicali, quelle scientifiche, fino al giornalismo e al cineforum.

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propria congruenza umana, ad autorealizzarsi attraverso la qualificazione che deriva dall'apprendimento, grazie all'efficienza e al dinamismo che esso conferisce alle varie funzioni che compongono la personalità», l'insieme dei metodi che vanno sotto il nome di «animazione» possono consentire alla scuola stessa di conseguire le sue finalità formative in qualsiasi momento. E se l'educazione intende promuovere l'interfunzionalità e mira a far si che le funzioni che interagiscono nella personalità individuale si onorino vicendevolmente in modo che il potere dell'una celebri il potere delle altre; l'animazione può offrire contributi e sollecitazioni alla valorizzazione di ogni funzione. Ma questi compiti dell'animazione possono essere raggiunti soltanto quando gli animatori dell'animazione, mediante la metodologia interdisciplinare, collocano la loro opera nella prospettiva dell'educazione (permanente) e la illuminano con una precisa coscienza pedagogica.

2.13. Animazione e interdisciplinarità

La metodologia dell'animazione, come quella dell'insegnamento, è di natura interdisciplinare. Non si tratta certamente, essendo molto di più, del centro di interesse o di argomento, ma è invece tendenza alla ricerca dell'equilibrio tra le espressività e la formalizzazione, entrambe alla base della crescita e dell'apprendimento, rivolte all'unità della persona e a quella della cultura (fare, sapere, essere, testimoniare).Mentre la tendenza all'espressività si attua mediante le manifestazioni immediate del soggetto che hanno come mezzo di attuazione il gioco, la tendenza alla formalizzazione è lo sforzo che occorre compiere per mettere ordine nelle prime manifestazioni attraverso l'apprendimento di un linguaggio comune strutturato sintatticamente e il suo continuo approfondimento e affinamento. Alcuni tendono all'espressività manifestandosi con comportamenti originali, divergenti, estrosi ma spesso troppo individualistici; altri invece privilegiano la formalizzazione, la meticolosità, la precisione e l'ordine spesso fino al conformismo.L'interdisciplinarità appare come ricerca del minimo squilibrio possibile fra attività espressive e attività formali con privilegio situazionale dell'una sull'altra in riferimento ad età o a contesti particolari, ma avendo come obiettivo permanente il minimo squilibrio esistenziale. Ciò può accadere non attraverso la compresenza di due linee parallele di attività, l'una espressiva e l'altra formale, ma secondo una stessa linea di sviluppo che è sempre contemporaneamente gioco, riflessione, fantasia e analisi, invenzione e produzione immaginativa e elaborazione culturale e ricerca. La didattica delle attività espressivo-formali deriva dalla progressiva maturazione dei ragazzi che conquistano via via una sempre più evidente razionalità. Lo spazio educativo viene occupato dagli apprendimenti giocati e dal gioco per apprendere, nell'equilibrio, con una sempre più precisa costruzione semantica e strutturazione sintattica di ogni linguaggio, per permettere un reciproco scambio di informazioni.L'educatore stimola (animatore dell'animazione), attraverso il gioco, l'apprendimento lasciando che sia il bambino (prevalentemente) a trovare le risposte e a richiedere le formalizzazioni; l'educatore integra le conoscenze mancanti (insegnante) nel rispetto dell'età senza forzare le tappe.La formalizzazione deriva dalla espressione/comunicazione che determina l'esigenza di dare una forma sociale codificata al conosciuto, sperimentato, vissuto soggettivo. Pertanto il vissuto individuale viene via via razionalizzato, culturizzato, oggettivato attraverso il confronto critico tra le proprie e le altrui esperienze, andando verso tempi e spazi sempre più lontani e codici sempre più universali. Tale processo deve avvenire anche attraverso l'esigenza interiore di arricchimento del proprio vissuto, voluto da tutta la propria persona per non essere soltanto accumulo di nozioni, ma crescita di cultura.Nella preadolescenza e nella adolescenza, si determina un'evidente spostamento verso le attività formali essendo in grado i ragazzi di rendere formale anche il non direttamente sperimentato nel confronto con il vissuto già culturizzato, ciò al fine di preparare ad un inserimento effettivo nel contesto della comunità umana. Infine l'adulto dovrebbe, a questo punto, essere in grado di manifestare il più compiutamente possibile, la libertà del proprio essere e la creatività del proprio agire nel suo esistere individuale e sociale.L'animazione interdisciplinare (unitamente all'insegnamento), è il mezzo che favorisce la partecipazione da parte di ciascuno alla creazione di cultura e l'educatore diventa quindi anche animatore dell'animazione culturale. L'insegnamento è il mezzo che integra la partecipazione di ciascuno alla fruizione di cultura e quindi l'educatore è anche insegnante di cultura formale. L'educatore, attraverso l'animazione e l'insegnamento, aiuta ciascuno a prendere coscienza di sé anche in relazione al gruppo e all'ambiente, aggettivando, mediante tecniche gioiose, le variabili dell'esistenza e sperimentando l'interfunzionalità e

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l'interdisciplinarità di tutti i linguaggi, scelti e organizzati situazionalmente per la comunicazione interpersonale. Così la comunicazione tende a rendere unitari gli aspetti più diversi dell'animazione ampliando le capacità espressive e i contenuti da trasmettere da parte di ciascuno.

2.14. Animazione e insegnamento

L'animatore dell'animazione assume il ruolo di agevolatore (facilitateur) del processo di crescita insito in ciascuna persona, di aiuto nella realizzazione della tendenza attualizzante oltre che di spinta ad un processo d'integrazione sociale. L'insegnante propone una normalizzazione semantica e sintattica ai fini della comunicazione sociale.34 L'educatore, come animatore dell'animazione e insegnante, riveste anche il duplice ruolo di esperto e di consulente. Come esperto aiuta gli altri ad approfondire e soddisfare i loro interessi mediante l'indicazione dei mezzi culturali disponibili. Come consulente, interviene chiarificando, accettando e riformulando i sentimenti e le espressioni individuali e del gruppo per favorire una autentica comunicazione. L'esperto interviene sul gruppo soprattutto per guidarlo intellettualmente.Occorre in ogni modo far si che si realizzi un apprendimento significativo (Rogers) dotato cioè di significato per lo stesso soggetto poiché soddisfa le sue esigenze e va nella direzione conoscitiva che egli desidera. Riteniamo sostanzialmente che non si possa fare una scelta definitiva di ruolo, ma solo situazionale, sempre cioè in grado di adattare e rigenerare se stesso. Di fronte al gruppo l'animatore dell'animazione-formatore addotta necessariamente uno stile particolare che si ricollega ai tre stili di animazione: lo stile democratico-associativo, lo stile autoritario, lo stile lasciar correre (Limbos E., 1972).

2.15. Animazione esistenziale

L'animazione si definisce per i caratteri che le sono essenziali, i suoi fini, raggiungibili mediante una proposta educativa volta alla realizzazione della persona totale.L'animazione esistenziale ha per dimensione la vita, aderisce puntualmente, fedelmente, flessibilmente all'uomo vivente ed operante nella sua contemporaneità materiale e socio-culturale; essa riconosce dell'uomo, oltre l'obiettiva biotipologia fisio-psichica, i suoi bisogni, tendenze, aspirazioni, condizionamenti, costumi, attività, regime di vita, cultura, ne asseconda l'evoluzione vitale, ne sviluppa le forze e la abilità, ne incrementa il potere di azione, di estensione, di relazione, di adattamento, di produzione, di difesa, nel dominio della ragione e della coscienza, ne favorisce l'efficienza operativa individuale e sociale, ne promuove, con l'armonico sviluppo funzionale psico-fisico, la sua personalizzata, dinamica, sana integrazione all'ambiente, ne sostiene lo sforzo di liberazione da tutto ciò che ostacola la completa e felice attuazione della sua personalità nel fisico, nell'intellettuale, nel morale, nello spirituale (Perotto I., 1971).Essa non è scuola di attività fisica o di lavoro di tipo manuale; occorre rivendicare, anche attraverso di essa, l'originalità del pensiero, della creatività spontanea, ma anche operativa e produttiva, del pensiero convergente senza il quale il pensiero divergente sarebbe soltanto vuoto originalismo: insomma di tutti quegli elementi necessari per giungere ad effettuare delle sintesi producendo simboli e quindi comunicazione, che qualificano l'umano. L'animazione esistenziale è in fondo un mezzo rivolto ad una idea di costante aspirazione, un nuovo stato di coscienza, una visione totale della formazione, non più scolasticamente o ricreativamente isolata e limitata, ma compenetrata inseparabilmente con la vita, quasi un'utopia biopedagogica.Occorre rilevare come da alcuni anni, nel campo della animazione, si assiste prevalentemente ad un recupero e ad un uso del corpo, la cui scoperta, presa di coscienza ed organizzazione, rapporto con il

34 Si possono distinguere tre atteggiamenti educativi da parte dell'educatore: - il lasciar fare, il non intervenire, la permissività; - la pressione, la coercizione, la direttività; «se autorità può significare il diritto che ha l'adulto di imporre l'obbedienza al bambino, lo stesso termine è pure utilizzato per esprimere una certa qualità della persona, che noi preferiamo chiamare «presenza» e che permette di far nascere, senza costrizione, rispetto e fiducia nel bambino; la direttività è un atteggiamento dell'adulto davanti alla scelta di situazione educative e nella loro realizzazione da parte del bambino. Così l'adulto può essere fortemente direttivo, senza avere alcuna autorità» (Vayer P., 1972, 1973); - la facilitazione, l'espressione di tutti i punti di vista e la loro accettazione, l'autonomia del pensiero, la scelta democratica della regola. Chiaramente dobbiamo propendere per questo terzo tipo di intervento.

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mondo delle cose e con quello degli altri, costituendo il vissuto, determina e influenza la maggior parte delle forme e dei livelli di conoscenza dell'essere umano.L'attuale rinnovato interesse per il corpo e le sue innumerevoli possibilità applicative dirette o subordinate, quali quelle nel campo della psicomotricità, della cinesica, della mimica e gestualità, della educazione ritmico-musicale, della danza e del teatro, ecc., come rinnovamento di una didattica più aperta e disponibile alle variabili di scelta individuali, si inserisce in maniera prioritaria nel generale dibattito sviluppatosi relativamente alla riforma educativa nel suo complesso. Le approfondite riflessioni su tutta una seria di linguaggi non tradizionalmente scolastici, la valorizzazione di tutte le attività espressive (mimiche, gestuali, grafiche, coloriche, vocali e verbali), individuali e sociali ed una ridifinizione di quelle relazionali, il superamento di modelli e ruoli di derivazione idealistica o materialistica, sta investendo le istituzioni preposte all'educazione, determinando un particolarissimo momento di transizione nel quale, compresa l'animazione, tutti gli aspetti del processo educativo vengono messi in discussione.Il quadro a cui occorre fare riferimento è quindi estremamente complesso e di non immediata acquisizione critica, individuandosi esso dentro e fuori l'istituzione scolastica, nell'ampliamento del concetto di metodo, contenuti, educazione, territorio, ambiente e nella riflessione sui significati da dare ai termini di ricerca, sperimentazione. espressione, condizionamento, creatività, interfunzionalità, interdisciplinarità, processo formativo, riforma della scuola. In tal senso l'animazione ci appare come una parte fondamentale dell'opera totale e permanente di formazione, potenziamento e difesa di ogni individuo e dell'intero corpo sociale, e alla sua attuazione, direttamente o mediatamente, deve partecipare la volontà coordinata di ogni persona e di tutta la comunità. Il suo assunto è squisitamente umano e sociale e così i suoi problemi, perché l'animazione esistenziale ha anche il volto dell'ereditarietà non tarata, della casa salubre, dell'alimentazione sufficiente e integrale, dell'aria pulita della città, dei silenzi rilassanti, delle vacanze recuperative per tutti, dell'igiene e profilassi sociale, del decoro e della sicurezza sociali, dell'equilibrio emozionale, del lavoro fisico e mentale e del riposo armonicamente contemperati, del lavoro e delle condizioni di lavoro non deformanti, del rispetto di ciascuna persona non defraudata del suo tempo di essere libera, ma liberata dalle ossessioni del sesso della violenza e dell'ideologia assoluta, ha il volto della contestazione di ogni privilegio che stabilisca un classismo bio-pedagogico. È in fondo lo stesso volto della giustizia sociale e della fraternità (Perotto I., 1971).Necessita quindi una ristrutturazione interdisciplinare socio-culturale dell'animazione ai suoi vari livelli e nei suoi vari linguaggi, come metodologia-didattica globale ed episodica nella ricerca della polivalenza dei come e dei perché, come ricerca della più precisa problematizzazione personalizzata, come stile di vita personalista-comunitaria, come educazione permanente usufruibile e riprogettabile per tutta l'esistenza.La concezione dell'animazione è dinamica, disancorata da ogni immobilismo dottrinario e da ogni stabilizzazione metodologica, rivolta alle situazioni problemiche della vita. Un po' di animazione nella scuola o nel tempo libero, non può certamente soddisfare. Occorrono invece un complesso di interventi coordinati mediante operatori (educatori-animatori dell'animazione) con alto coefficiente di cultura e di professionalità in una dimensione temporale che va oltre la scuola per abbracciare tutta la vita. Esaurire come si fa oggi l'animazione in un fatto di esercizio alternativo, situazionale, staccato dai modi del comportamento totale o dal contesto esistenziale permanente, significa porsi in una visuale astratta e deformante dei suoi concetti e dei suoi contenuti.L'animazione deve dilatarsi fino a comprendere tutta la vita nella sua dinamica globale e nella sua totalità cronologica, fino a coincidere con essa, quasi ad identificarsi con una lucida coscienza dell'esistenza, fonte del discernimento critico e della libertà.L'animazione non è certamente ritorno alla natura proposto da chi vive sogni idillici o ha visioni materialistiche: se di ritorno alla natura si deve parlare, si tratta certamente di recuperare la natura vera della persona che è contemporaneamente corporeità, intelligenza e spiritualità, capace di produrre simboli attraverso il suo essere nel mondo.Anche l'animale si muove, mima, gesticola, si accoppia, costruisce, ma la persona trasforma tutti questi elementi in concetti, cultura, sentimenti, progetti, quindi in simboli e valori.Così l'ideologia situazionale assume significato se cerca di andare verso l'idea; il concetto è produttivo se cerca di avvicinarsi al valore; la didattica è veramente educazione e non solo ricreazione e insegnamento, se si legittima teoricamente e metodologicamente, se si fa sintesi critica e dinamica del pensiero.L'educazione in generale e l'animazione in particolare, tutelano effettivamente l'unità della persona nella misura in cui le impediscono strumentalizzazioni ideologiche o quantizzazioni specifiche, in particolare

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durante il periodo dell'età evolutiva, quando le difese critiche e la formazione funzionale e comportamentale sono ancora in via di sviluppo. L'animazione diventa pertanto anche un vero e proprio processo di alfabetizzazione motoria, grafo-colorica, ritmico-musicale, parlata e scritta, senza alcuna preoccupazione di scoprire e selezionare atleti, pittori, attori, musicisti, poeti e romanzieri, ma con il fine di aiutare ciascuno a camminare, respirare, disegnare, leggere, scrivere, fare di conto come scoperta e organizzazione di sé e rapporto comunicativo con gli altri.Le considerazioni che abbiamo espresso in questo segmento del nostro discorso, hanno voluto richiamare l'attenzione sulla necessità di conquistare idee chiare intorno all'animazione, di liberarla dalle interpretazioni pressapochistiche, parziali, ideologizzate. Fare animazione significa assolvere un compito di natura educativa, con la coscienza della legittimazione delle varie proposte, degli obiettivi da conseguire, della finalità da raggiungere. L'animazione infatti è un insieme di metodi che si pongono al servizio dell'educazione, la quale a sua volta è tale soltanto quando si configura come educazione permanente. Valorizzare l'animazione significa operare per far si che ognuno possa concretizzare il suo diritto all'educazione, cioè rispettare i diritti della persona ed effettuare una scelta di vita che «implica l'attenzione di un principio di base: non la preferenza per questo o quel modo di vivere, per questa o quella forma d'arte, ma la scelta è l'uomo nei suoi valori, è la natura umana nella sua ricchezza del suo potenziale e dei suoi doni, è il bene della società». Ed è superfluo precisare che il problema dell'animazione è un problema che interessa la scuole e l'extrascuola, ma è un problema complesso la cui soluzione reclama la presenza o l'efficacia di una pedagogia sociale. E quando parliamo di pedagogia sociale pensiamo alla «pedagogia di una società come educatrice dell'uomo e delle sue generazioni, di fronte alla dignità e al valore delle persone, ciascuna di esse come persona, e di fronte alla propria stessa vitalità fluente verso un sempre diverso domani, elevantesi e operatrice e attrice di educazione nell'imperativo e nell'etica dell'efficienza e della funzione dei valori» (Agazzi E., 1965). Ed in questa prospettiva assume particolare importanza anche la formazione dell'animatore dell'animazione e la conquista da parte dello stesso di una professionalità che, come ogni professione, si qualifica per competenze, eticità e socialità.

CAP. III - L'ANIMAZIONE PERSONALISTA-COMUNITARIA

3.1. Osservare, riflettere, ragionare

Ci chiediamo se osservare, riflettere, pensare e ragionare sono capacità che ciascuno deve apprendere dalla famiglia, dalla scuola, personalmente o se sono anche compito dell'animatore dell'animazione. Ogni nuova esperienza che promuova la maturazione personale e di gruppo, deve passare attraverso la riflessione, cioè il pensare quali siano le scelte da fare per raggiungere autonomia e responsabilità decisionale.Nel gruppo si alternano momenti di entusiasmo e di gioia ad altri di crisi, individuali e collettive; in questo secondo caso spetta all'animatore dell'animazione sollecitare la discussione (con il soggetto o il gruppo), invitando a riflettere.Pensare (e riflettere) è una capacità operativa, non un atteggiamento astratto. Il «che cosa» si pensa, non è indifferente al nostro «pensare», dipende da quante cose abbiamo da elaborare, quante informazioni possediamo e soprattutto dal modo e dalle capacità di elaborarle.Da ogni conoscenza occorre trarre nuova coscienza, da ogni esperienza saper trarre ricchezza ed essere capaci di coordinare, categorizzare e modellizzare conoscenze ed esperienze. Non è tanto e soltanto il «che

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cosa» che ci serve per pensare, quanto e soprattutto essere in grado di «saper come» utilizzare le informazioni.La capacità di osservare35 è la prima e fondamentale operazione del pensare; essa è la capacità di esporsi al «dato», lasciandosi «impressionare» dall'oggetto, evento, elemento. Si tratta di raccogliere informazioni, di individuare nella situazione gli elementi e le variabili che contribuiscono a definirla; occorre compiere operazioni di analisi, di catalogazione (categorie di somiglianza e di differenza), di valutazione e di ponderazione del loro valore e attribuzione di significato, di richiamo di conoscenze già possedute che possono completare i dati raccolti, di formulazione di concetti, di valutazione del valore effettivo degli elementi osservati. Educare a pensare e a riflettere è fondamentale per:- avere attenzione alle diverse operazioni (non solo dibattere problemi o porre temi per la discussione);- richiamare l'attenzione dell'animatore dell'animazione sull'importanza e la delicatezza degli obiettivi: educare i soggetti a pensare, significa aprire la mente ad una attività complessa e quindi non può essere lasciata all'improvvisazione. L'animatore dell'animazione deve possedere una managerialità educativa ed essere ricco di stimoli educativi per il gruppo;- fornire una serie di elementi di confronto e di esemplificazione per suscitare il confronto dando avvio alle attività nella riflessione del gruppo. Un soggetto capace di pensare, dovrebbe avere le seguenti caratteristiche.- abilità e imparzialità nell'uso dell'evidenza;- concisione e coerenza nella organizzazione dei pensieri e nella loro articolazione,- capacità di distinguere tra inferenze logicamente valide e non;- capacità di sospensione del giudizio se vi è insufficiente evidenza;- capacità di comprendere la differenza tra ragionamento e razionalizzazione;- capacità di previsione delle probabili conseguenze prima di decidere; - capacità di comprendere l'idea dei «gradi di credenza»;- conoscenza del valore del costo dell'informazione, di come va cercata, disponibile a cercarla effettivamente;- capacità di cogliere le identità, somiglianze, analogie anche non immediatamente evidenti; - capacità di auto educarsi, di imparare da solo e di mantenere costante l'interesse a farlo;- capacità di applicare appropriatamente il «problem solving» e capacità di transfer;- capacità di applicare tecniche formali a problemi non formalizzati;- capacità di ascolto;- saper comprendere la differenza che esiste tra far valere le proprie idee e avere ragione;- saper riconoscere che la maggior parte dei problemi reali hanno più di una soluzione e che ciascuna può a sua volta essere diversa sotto molteplici aspetti e che può risultare difficile compararle;- capacità di ricercare approcci insoliti per problemi complessi;- capacità di esprimersi in maniera essenziale e comprensibile;

35 Poiché la realtà è dinamica, occorre anche avere la capacità di concettualizzarla nel suo divenire; il gruppo giovanile in particolare, a causa delle reciproche interazioni, per l'intervento dell'animatore dell'animazione, per l'incidenza del sociale, è soggetto a continui cambiamenti che vanno riflettuti e analizzati, per poter riformulare la realtà con l'aiuto dell'animatore dell'animazione. Il ragionamento (induttivo e deduttivo), oggetto da sempre della filosofia e della logica, è stato anche ultimamente oggetto di nuova attenzione perché considerato il fenomeno di ogni nostro ragionare e il modo più classico di argomentare nella scienza. Il modo di ragionare quotidianamente utilizzato, è in stretto rapporto con l'attività inferenziale (attività con la quale completiamo, interpretiamo, traiamo conclusioni da un messaggio linguistico). L'attività inferenziale, di tipo deduttivo e induttivo e di comprensione, è fondamentale ogni volta che ascoltiamo o leggiamo, o vediamo un messaggio; essa ci permette non solo di comprendere, ma anche di farlo in profondità; in tal modo si ha la possibilità di diventare «critici» e di saper formulare interrogazioni successive (o al contrario sentirsi insicuri). Il ragionamento deduttivo è quel processo o modo di pensare che non va oltre le premesse assunte come vere; si traggono cioè idee, conclusioni o opinioni a partire da premesse che già le contengono e che non sono messe in discussione. In tal modo ciò che viene asserito è solo apparentemente nuovo, poiché è già precontenuto in una asserzione precedente. Siamo invece in presenza di una induzione se da alcuni particolari siamo in grado di inferire conclusioni più ampie e generali, (probabilmente). In maniera più o meno evidente e consapevole, la comprensione di qualunque messaggio linguistico avviene all'interno di un processo di ragionamento deliberato e controllato. In ogni caso la «validità» di un ragionamento riguarda la sua forma e non il suo contenuto (che si fonda sulla verità delle premesse);tuttavia ci possono essere errori anche nell'uso di questa procedura apparentemente semplice (spesso si confonde verità con validità, altre volte forma deduttiva con quella induttiva, ecc.).

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- capacità di comprendere la differenza tra conclusioni, supposizioni ed ipotesi;- saper mettere in discussione i propri punti di vista cercando di capire sia le argomentazioni contrarie che le implicazioni di altri punti di vista;- capacità di riconoscere la differenza tra la validità di una credenza e l'intensità con cui ci si attiene;- abilità a riproporre punti di vista differenti senza distorcerli, esagerarli o ridicolizzarli;- consapevolezza della propria limitata capacità di comprensione;- saper riconoscere la fallibilità delle proprie opinioni, dei possibili pregiudizi che vi possono essere nascosti e del pericolo di evidenziare eccessivamente qualche aspetto a seconda delle personali preferenze.

3.2. Animazione e socializzazione36

La società si è sempre rivolta, ed oggi in particolare, al mondo dell'educazione richiedendo interventi capaci di operare significativamente in contesti che cambiano continuamente i modi di vivere, di comunicare, di perseguire valori, per aiutarla ad assolvere dinamicamente compiti consueti e compiti nuovi. Dopo un primo momento nel quale l'animazione ha quasi assunto il significato di educazione nuova contrapposta ad una educazione superata, si è evidenziata come un aspetto tecnico della comunicazione e infine come metodologia polilinguistica che facilita l'espressione-comunicazione.L'animazione socio-culturale sintetizza, nel momento della operatività, conoscenze e competenze che le vengono da scienze quali la pedagogia, la psicologia, la sociologia e da più ambiti specialistici di collegamento tra queste scienze quali la pedagogia sociale, la psicopedagogia, la psicologia dei gruppi; coglie importanti supporti per le sue realizzazioni mediante l'approfondita conoscenza delle strutture dei diversi linguaggi, delle diverse attività espressive e delle diverse modalità associative come delle loro didattiche o tecniche organizzative.» La socializzazione può favorire lo sviluppo della persona solo se quest'ultima riesce a padroneggiarla « (Macciò C., 1975).L'obiettivo centrato sulla persona è mediato dall'attività in/di gruppo del quale vengono utilizzate le energie latenti allo scopo di risvegliare le virtualità di tutti i suoi componenti.La strategia si attua nel coordinamento di una sequenza di interventi e di attività che possono presentarsi anche in forme molto differenziate relativamente ai bisogni e alle realtà particolari, attuate singolarmente o in équipe. «L'animazione socio-culturale è la funzione continuamente rimessa in discussione, da un'équipe di animatori dell'animazione impegnati in un ambiente da essi ben conosciuto e in cui sono accettati. Insieme alla comunità di cui fanno parte, essi si sforzano di stimolare la creatività e la libera espressione dei singoli membri favorendo:- la partecipazione attiva e l'impegno personale;- l'adesione ad obiettivi liberamente scelti in funzione dei bisogni e l'elaborazione dei mezzi di realizzazione;- la presa di coscienza delle possibilità di realizzazione;- le relazioni interpersonali positive;- l'adattamento all'evoluzione della società;- l'autonomia di ciascuno ed il rispetto dei valori e della personalità degli altri;- le comunicazioni e le relazioni con le altre collettività» (Limbos E., 1972).Essa si trova a dovere contemperare, occupandosene e preoccupandosene, tre dimensioni:- la facilitazione dei rapporti tra le persone;- l'apprendimento in situazione di problem-solving;- la crescita nell'espressività.«Il gruppo è un'insieme di persone interdipendenti nel perseguimento dei loro obiettivi individuali, collegate tra loro da un obiettivo fondamentale comune» (Macciò C., 1975).Nell'animazione socio-culturale la conduzione dei gruppi può realizzarsi sia attraverso specifiche tecniche socio-dinamiche, la proposta di attività occupazionali, espressive, ricreative, psicologicamente rapportate agli interessi delle persone e dei gruppi cui si rivolgono, sia attraverso l'interagire di queste due linee metodologico-operative. Tra la conduzione dei gruppi e le proposte operative concrete, accessibili e gratificanti, si scoprono le proprie virtualità e ci si rafforza nella convinzione di poter e saper essere, di

36 «Il fenomeno della socializzazione va analizzato rigorosamente perché può essere fattore sia di valore che di disumanizzazione. In quanto tale il fenomeno è neutro; è la volontà degli uomini che può determinarlo e far si che abbia riflessi più positivi che negativi» (Macciò C., 1975).

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saper e poter fare. Se l'animazione è incontro e risveglio a livello della persona che viene animata, se viene a mancare questo dinamismo, essa fallisce; essa deve essere in grado di porsi come metodologia del rinforzo e della conservazione delle motivazioni che possono consentire al processo di crescita di espandersi nelle interrelazioni: «il gruppo è concepito come un insieme dinamico» (Macciò C., 1975), «gli obbiettivi di un gruppo non sono immutabili, si evolvono in funzione della dinamica e della storia del gruppo stesso» (Limbos E., 1972).Tale metodologia educativa è applicabile in comunità sia di adulti, sia di giovani e fanciulli; ma quanto meno gli utenti sono maturi e autonomi, tanto più l'animatore dell'animazione dovrà affiancare l'educando, sorreggendone l'impegno nei confronti di mete personali, sovrapersonali e sociali con l'offrire consulenza e incoraggiamento.37

S'intende così per socializzazione l'insieme dei processi tramite i quali un individuo sviluppa per tutta la vita, nel corso dell'interazione sociale con un numero indefinito di altre individualità e collettività, (a partire dalla famiglia), gradi via via più elevati di comunicatività/espressività e di competenza. Tutto ciò è compatibile con le esigenze della sua esistenza psicofisica, sociale e intellettiva, entro una data cultura, ad un certo livello di civiltà, in rapporto con tipi variabili di gruppi o di organizzazione, con i mezzi forniti, attraverso forme di scambio, relativamente ai diversi stadi di età.Il termine socializzazione non è proprio sinonimo di formazione della personalità, poiché molti processi di socializzazione hanno scarso rilievo per il suo sviluppo, mentre solo certi settori di questa, descritti da concetti (quali il carattere sociale), appaiono rilevanti dal punto di vista della socializzazione. Accentuando l'interiorizzazione degli elementi culturali, che avviene nei primi anni di vita, si parla di socializzazione come di un processo di «inculturazione» che a sua volta implica un determinato modello di personalità.

3.3. Il gruppo come luogo privilegiato dell'animazione

Si intende per gruppo un vero e proprio sistema sociale dotato di una propria identità.L'animazione culturale svolge la propria opera formativa nel e attraverso il gruppo; la relazione educativa animatore dell'animazione/soggetto è mediata dalla situazione di gruppo. Nel gruppo ciascuno può sperimentare una relazione autentica e profonda con l'altro e accedere ad una conoscenza e ad una capacità critica sul rapporto con sé stessa e la cultura in cui vive. Il gruppo è il laboratorio in cui si incontrano l'io, l'altro e la cultura.L'esperienza del gruppo appartiene alla vita quotidiana di ciascuno ed è questa esperienza comune che diviene oggi una delle scelte fondanti dell'animazione poiché si osserva:- la funzione che di fatto, nell'attuale momento culturale, svolgono i gruppi primari all'interno della condizione giovanile e nella società;- la funzione che il gruppo svolge nel soddisfacimento di alcuni bisogni primari dell'uomo;- la presa di coscienza del dinamismo che il gruppo attiva per la crescita delle persone.Il gruppo può essere definito come un sistema (sistema: insieme di unità interagenti e in relazione tra loro); è, infatti, un insieme di unità (i componenti) in relazione tra loro (comunicazione) e interdipendenti relativamente allo scopo.38 Essendo il gruppo una trama di rapporti, l'individuo con la sua specificità non appartiene al gruppo, ad esso appartengono solo le sue relazioni, i suoi comportamenti comunicativi. Le persone non si perdono all'interno del gruppo, ma in esso realizzano una parte del loro progetto di sé.

GRUPPOluogo dove la persona si manifesta come soggettoluogo delle relazioni con gli altrirealtà della solidarietà in un sistema di comunitàsoggetto specifico e autonomo della vita sociale

37 «Il gruppo esiste a partire dal momento in cui obiettivi e mezzi sono chiari a tutti i suoi componenti che, per arrivare a tale risultato, hanno dovuto incontrarsi e comunicare a livelli profondi» (Limbos E., 1972).38 Il gruppo è allora qualcosa di più di un'astrazione e qualcosa di meno di una sovranità egemone rispetto alle entità che lo formano. Nel gruppo come sistema le persone, pur aggregandosi in una nuova entità, non perdono la loro identità, autonomia e libertà. Il gruppo pertanto non consiste in una semplice somma di individui né in un'entità superiore: è invece l'insieme dei rapporti tra le persone.

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Il gruppo è un sistema di persone in relazione tra loro, attraverso i processi di comunicazione che vivono coscientemente una interdipendenza reciproca, rispetto agli scopi che danno significato al loro stare insieme, senza annullarsi come soggetti. Tale sistema è in grado di agire sia nei confronti dell'ambiente naturale, sia dell'individuo, sia del sociale come un tutto, come una unità. Esso è la concreta esperienza del NOI nella presenza delle diverse individualità.L'interazione è la misura della partecipazione e della coesione del gruppo. Essa va intesa come un'azione reciproca, come uno scambio comunicativo che determina nel momento in cui avviene, interdipendenza tra i comunicanti. Essi sono in contatto reciproco, agiscono e vivono in maniera interdipendente; il loro vissuto personale entra nello scambio comunicativo, la loro vita viene condivisa; tutto ciò non avviene nel caso della comunicazione di massa. Più il gruppo è ricco di partecipazione, più esso appare dinamico e unito (numero delle interazioni, loro diffusione e tono affettivo). È necessario che la maggioranza dei membri del gruppo sia coinvolta nelle interazioni, che questa abbiano un valore positivo, contribuendo a creare un clima di accettazione e di reciproca fiducia tra i membri del gruppo. L'interazione va considerata l'unità di misura della partecipazione e del coinvolgimento delle singole persone nella vita di gruppo. La coesione39 e l'unità di gruppo aumentano con lo sviluppo verso una tonalità affettiva positiva. L'interazione tende a promuovere una coesione fondata sull'attrazione; essa è il tessuto connettivo del piccolo gruppo, quello in cui i rapporti sono personali, faccia a faccia.

3.5. Animazione centrata sul soggetto e sul gruppo

Una delle norme della leadership è quella di «preoccuparsi veramente della vita del gruppo, delle motivazioni dei suoi membri, degli obiettivi e della loro armonizzazione, orientata, soprattutto, verso la massima personalizzazione dei membri del gruppo stesso» (Macciò C., 1975). Il metodo «non direttivo» (Rogers C.R., 1976) non significa il rifiuto da parte dell'educatore del suo ruolo d'insegnante, per assumere solo quello di animatore dell'animazione. Il successo del processo educativo dipenderà essenzialmente dalle capacità e disponibilità dell'educatore a tras-formarsi continuamente e situazionalmente in animatore dell'animazione e insegnante.Rogers per primo si è accorto della limitatezza dell'espressione «non direttiva» che egli in seguito sostituì con quello «educazione centrata sul soggetto», riconosciuto come coautore del processo educativo e contemporaneamente dell'educatore visto come garante del diritto di ciascuno alla propria autonomia. Da una parte accade che «l'individuo si 'conquista' l'autorità grazie alle sue abilità, nelle situazioni 'specifiche' in cui queste abilità sono richieste e l'autorità gli viene attribuita 'perché è un esperto'« (Klein J., 1968). Dall'altra accade invece che il «gruppo» affermi che «l'amicizia si fonda più spesso su ideali simili che su personalità simili. I membri che cercano di controllare il gruppo tendono a perdere le simpatie di cui godevano» (Klein J., 1968). Oppure avviene che l'individuo voglia «soprattutto essere apprezzato da coloro che stima: per questo motivo è disposto a conformarsi alle loro aspettative» (Klein J., 1968).Noi riteniamo più esatta la dizione di educazione centrata sul soggetto e sul gruppo, per richiamare meglio l'attenzione sul dovere dell'educatore di riconoscere l'identità della persona e della comunità come reciproci portatori di valori.Ha valore quindi la relazione che i soggetti instaurano con l'educatore, quella che l'educatore instaura con essi e quella che i soggetti instaurano tra di loro, nella quale l'educatore interviene per facilitare la comunicazione all'interno del gruppo.40

Ciò non significa sfuggire ad un rapporto con sé stessi, tuttavia anche questo tipo di rapporto dovrà essere ramificato all'interno di una rete di rapporti comunitari.Il gruppo non è un'unità pianificata e asetticamente armonica, ma un insieme vivo e reale di personalità individuali e quindi diverse, per cui i contrasti e le difficoltà emergono sempre. Tuttavia il loro superamento, al quale possono essere legati altri contrasti e ad altre difficoltà, pur se facilitato dalla presenza attiva e stimolante dell'educatore, può essere realizzato solamente dallo stesso gruppo. «Nell'evoluzione attuale e futura del contesto socio-culturale, la pertecipazione si manifesta sempre più

39 Coesione: insieme di forze che tengono unite le varie persone che formano il gruppo.

40 «Gli ostacoli socio-affettivi che costituiscono altrettante barriere alla partecipazione aperta e totale dovrebbero essere rimossi» (Limbos E., 1972). «Ogni persona, nel gruppo, riceve e da agli altri e contribuisce a modellare la personalità del gruppo» (Macciò C., 1975).

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indispensabile, sia a scuola (gruppi di lavoro) che negli svaghi e nelle vacanze (scelta degli obiettivi da raggiungere e scelta dei mezzi), o sul piano dell'animazione socio-politica» (Limbos E., 1972).Spesso l'educatore instaura con il gruppo un rapporto di esemplarità, presentandosi come modello, come personaggio e non come persona autentica.41

La riconciliazione tra il gruppo e l'educatore si opera nella accettazione reciproca della condizione umana, della propria autorità, compresi i limiti e i valori. L'educatore deve sempre dimostrarsi come soggetto che ricerca continuamente la verità, proponendosi nella sua autenticità. Perché la partecipazione sia possibile, sono necessarie una certa struttura e delle tecniche. La partecipazione è provocata da un interesse per obbiettivi che si presentano come entusiasmanti. L'animazione non deve dimostrarsi schiacciante, ma bensì stimolante. Per queste sue caratteristiche l'animazione è di fondamentale importanza poiché tende ad affrancare dai condizionamenti esterni rivolti sovente al privilegio unico o dell'individuale o del sociale.I gruppi possono avere diversa consistenza (grandi gruppi o gruppi ristretti), e quindi un diverso metodo di conduzione, perché mentre in un gruppo relativamente numeroso si potrà avere una partecipazione diretta e eventuali scelte di tipo democratico-associativo, in un gruppo molto numeroso potrà essere tenuto un atteggiamento autoritario e direttivo.In ogni caso sarà importante che i membri provengano da esperienze diverse in modo da far trovare nel confronto punti di incontro.Bisogna considerare anche il singolo all'interno del gruppo e le relazioni da stabilire e intensificare da individuo a individuo e da animatore dell'animazione al singolo membro del gruppo. Determinante è il dialogo che si instaura fra due persone.42 Determinante è il desiderio di incontrarsi; desiderio che ogni membro deve sentire non soltanto verso persone con le quali è già in sintonia, ma anche verso gli isolati che subiscono questa situazione.43

Per un animatore dell'animazione la difficoltà più ardua da superare consiste nel fare accettare metodi e vie di apprendimento nuove, in quanto nel fare questo vengono sovvertite radicate abitudini all'interno delle quali un soggetto ha trovato la propria sicurezza e il proprio modo di essere.In quest'ottica chiunque porti idee innovatrici è considerato un pericolo. Per evitare ciò è necessa-rio che attraverso la comunicazione tra diverse persone, si arrivi tutti insieme a considerare la possibilità di un cambiamento che, se affrontato in gruppo, viene accettato dalla totalità. È perciò indispensabile che ogni membro modifichi un po' la sua precedente posizione in quanto, ai fini del gruppo, si rivela più proficuo un piccolo passo da parte di tutti, che grandi cambiamenti da parte di pochi, perché in questo caso le resistenze da vincere risulterebbero molto di più. Altro pericolo da evitare sono le insoddisfazioni più o meno latenti che ogni membro sopporterà, in quanto la formazione che gli verrà data non risulterà mai corrispondente a quella che attendeva.44

Gli animatori dell'animazione responsabili nel loro compito, si avvalgono di diversi metodi e tecniche di animazione, adattabili secondo le diverse composizioni dei gruppi (sesso, età, numero, etc.), e comunque per la maggior parte incentrate sulla discussione fra i membri, che servirà sia per imparare a conoscere gli altri (studio dei casi) che per conoscere sé stessi (TV a circuito chiuso). Altri metodi come il brainstorming (tempesta nel cervello) danno l'idea di come da una piccola scintilla è possibile risalire a conclusioni completamente diverse da quelle iniziali.

41 «Il personaggio non è l'individuo che siamo, ma quello che vogliamo far credere di essere, più ancora, quello che gli altri vogliono farci essere. Dopo esserci aggiustati di aver messo da parte il nostro essere più intimo e più vero, noi assumiamo un volto destinato agli altri, diventiamo una costruzione per uso esterno» (Gusdorf G.).42 Per Jacobson:»il dialogo è una situazione in cui due persone esprimono una per l'altra ciò che hanno desiderio di dire e bisogno di manifestare nel momento in cui ne hanno desiderio o bisogno e in cui l'una e l'altra possono e vogliono comprendere i loro reciproci messaggi» poiché si debbono evitare casi di persone isolate all'interno del gruppo, in quanto fino a che vi saranno degli isolati non potrà esistere un gruppo.43 Di essi ne esistono di diversi tipi: gli ignoranti, persone ai quali non si presta attenzione, che per essere recuperati devono avvertire un senso di fiducia intorno a sé; i respinti; coloro che sono considerati una minaccia da parte del gruppo, che tende così ad escluderli, per poi recuperarli una volta che ha capito che non ha niente da temere da questi; gli individualiti, egocentrici che si servono del gruppo per soddisfare i propri bisogni personali, che col tempo si adatteranno al gruppo stesso; gli introversi, timidi e timorosi che hanno paura della comunità, ma che si integrano appena si sentono partecipi.44 Difficile anche la creazione di gruppi standard di dodici-quindici elementi per ragioni logistiche, come impegnativo sarà il superare certi modelli stereotipati, condizione quest'ultima indispensabile per l'esistenza stessa dell'animazione, in quanto «l'animazione socio-culturale e l'educazione non solo cimiteri racchiudenti i resti del passato. Sono nettamente dinamiche e inserite sul presente e soprattutto sull'avvenire» (Limbos E., 1972). L'animatore dell'animazione dovrà superare queste difficoltà, sforzandosi di far scoprire al gruppo questi fenomeni per trovare insieme delle soluzioni.

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All'interno di un gruppo vi saranno quindi membri di estrazione diversa che nella loro formazione, «accetteranno di diventare diversi per aderire meglio all'équipe. L'unità dell'équipe è dunque composta dalla pluralità dei suoi membri, tutti tra loro diversi ma capaci di accettarsi come tali, poiché unità non significa identità, né identificazione a un modello unico, a uno stereotipo culturale» (Limbos E., 1972).È questa dunque la condizione base alla quale deve tendere un animatore dell'animazione responsabile, perché possa svolgere il proprio compito nei migliori dei modi possibile.Uno degli scopi della dinamica di gruppo è quello di far imparare ad apprendere alle persone.45 «La persona con più esperienza sul tema e sul soggetto in esame, gioco un ruolo attivo, ma né questa né alcun altra domina il gruppo. Tutti partecipano positivamente al lavoro, e sono in grado di condividere le proprie vedute, idee ed esperienze» (Pollo M., 1986).- I suggerimenti vengono giudicati in base al loro contenuto, non in base alla posizione (status) di chi parla: conta l'opinione di tutti.- Alla fine dell'incontro ciascuno si sente soddisfatto.- Il gruppo ha una forte identità.- Il gruppo è efficiente.46

«La dimensione di un gruppo», la sua struttura, i ruoli, la comunicazione, l'influenza reciproca, sono tutti elementi studiati e ormai assodati dalla dinamica di gruppo» (Jelfs M., 1987).

3.7. Fasi della comunicazione nel gruppo

Persino nei piccoli gruppi che privilegiano i rapporti faccia a faccia, la comunicazione può essere un problema.47 La gente non sempre ascolta, sente e capisce che cosa si sta dicendo: nei gruppi più numerosi, i problemi possono essere ancora più gravi.È importante quindi, che i «canali di comunicazione» siano chiaramente definiti e resi efficienti; diversamente i membri potranno sentirsi isolati ed alienati. «Uno dei modi migliori per immagazzinare, condividere le informazioni e facilitare la comunicazione, consiste nel preparare dei resoconti sugli aspetti

45 «Le dinamiche di gruppo sono alla base del nostro modo di lavorare con gli altri in qualsiasi situazione. Se ignoriamo il processo e le dinamiche, lavorare in gruppo diventa difficile; gli incontri potranno diventare noiosi e poco piacevoli; vi prenderanno parte sempre meno persone; i partecipanti, annoiati ed estraniati, arriveranno a decisioni di scarsa fantasia. Alla fine anche il contenuto ne soffrirà: perché contenuto e processo sono strettamente in relazione. Questi sono precisamente i motivi per cui le dinamiche di gruppo sono importanti» (Jelfs M., 1987).46 Per gli psicologi è stato relativamente facile inventare e realizzare degli esperimenti con gruppi, utilizzando questionari, videotapes e altre tecniche. Sebbene esperimenti di questo genere siano artificiali, si è avuta una gran mole di risultati e, negli ultimi trenta anni lo studio delle domande di gruppo ha dato vita ad una vasta area di consensi.47 Dimensione. «È facile sostenere che più persone significa più esperienza e cervello al servizio di un compito da svolgere. Tuttavia dato che molta gente viene inibita dai gruppi numerosi, i piccoli gruppi sono spesso più efficienti nel risolvere i problemi ed arrivare a prendere decisioni. Quindi, per quanto un movimento o una organizzazione siano numerosi, possono essere divisi in piccoli gruppi di discussione o di lavoro. Il numero ottimale è 5/15 membri, secondo il tipo di compito che il gruppo deve svolgere» (Tonelli R., Stadium, 1986). Struttura. Ogni gruppo ha la sua ragione di esistere; spesso ha un'attività da svolgere. Non appena un gruppo incomincia ad affrontare il suo compito affiorano delle diversità fra i membri. Alcuni, con più esperienza nel campo, sanno (o credono di sapere) più degli altri. Alcuni, sono più o meno estroversi di altri, più o meno dominanti, più o meno creativi, più o meno sensibili di altri. Da queste differenze emergerà rapidamente una struttura informale di gruppo, basata sul modo con cui la gente partecipa e sul come percepisce e sente la partecipazione degli altri. «Sovrapposta a questa struttura informale, può esserci una struttura formale di qualche tipo: gerarchica, collettiva o egualitaria, oppure mista. Un collettivo non funziona se i membri non si fidano gli uni degli altri; in un piccolo e limitato gruppo di amici una struttura formale con un capo, un segretario e un cassiere può essere ridicola» (Tonelli R., Stadium, 1986). Ruoli. «Un ruolo è un fascio di condotte accettate da tutti, in una società o in un gruppo, connesse ad una determinata posizione all'interno del gruppo stesso o della società. Nei gruppi, i ruoli sono generalmente suddivisi in tre principali categorie: ruoli di compito, ruoli di mantenimento, ruoli egocentrici (Ancona L.). Per quanto riguarda il compito, c'è da dire che ogni gruppo ha un compito o un lavoro da svolgere, impostogli dal mondo esterno o scelto dai membri. Per avere buon esito, il gruppo deve portare a termine il suo compito, e i membri che occupano «ruoli di compito» devono fare in modo che questo accada. «Per quanto riguarda invece i «ruoli di mantenimento», si occupano di mantenere il gruppo unito sufficientemente a lungo per portare a termine il suo compito (Agli F., 1953). «I ruoli egocentrici, sono quelli maggiormente evidenti. Per mille motivi, sia consci che inconsci, le persone possono mettere le esigenze personali al di sopra di quelle dell'intero gruppo. Un esempio è chi blocca sempre ogni proposta, o magari qualsiasi proposta fatta da x» (Agli F., 1953).Influenza e presa di decisioni: «Se una persona nel gruppo ha una certa influenza su qualsiasi altra, ne diventa il leader e il gruppo assume un certo tipo di struttura gerarchica. Certo è che la struttura di un gruppo e i suoi modelli di influenza, sono strettamente legati al come vengono prese le decisioni al suo interno. Il modo con cui si prendono decisioni è davvero democratico solo quando ciascuno dà il proprio contributo, sulla base di una influenza «informata « e quando ogni contributo è considerato equamente (Camoglio M., 1985).

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del problema in esame. Gli incontri potrebbero cominciare con un momento informativo per ricollegarsi ai contenuti dell'ultima riunione o almeno ricordarli. A loro volta, le persone possono specializzarsi su un'area precisa o su un argomento, e fungere da fonte di informazione per gli altri» (Maioli E., 1988).Comunicazione tra i ruoli.Quando su alcune persone si trovano insieme per la prima volta, di solito si crea un'atmosfera carica di disagio e di tensione che spesso si manifesta con il silenzio. Se in questa situazione anche l'animatore dell'animazione non interviene e si limita ad osservare lo stato di tensione si fa ancora più evidente. Di solito questa situazione di disagio viene rapidamente superata attraverso vari sacrifici ed espedienti (alcuni dei quali sono tecniche di animazione), tutti finalizzati a consentire alle persone di indossare la maschera del loro ruolo sociale nei rapporti che nascono nella comunicazione del gruppo. Tutte le tecniche di animazione che propongono (sotto varie forme) la presentazione reciproca dei diversi membri, perseguono lo scopo di rendere noti i ruoli sociali di questi.48

Nella vita del sistema sociale i rapporti tra le persone sono codificati alla funzione sia di dare stabilità e identità al sistema sociale, sia di conservare alle singole persone di rapportarsi con altre senza ansietà e insicurezza.Assumere la maschera del ruolo consente quindi ai membri del gruppo che sta nascendo, di comunicare senza eccessivo coinvolgimento personale, poiché la riproduzione di processi di comunicazione verbale, tipici dei rapporti tra ruoli del sistema sociale, è fonte di sicurezza per i membri del gruppo che però pagano, almeno in quel momento ,con la rinuncia ad un incontro più autentico al di là dei ruoli. Non si hanno ancora interazioni, ma rapporti di comunicazione formali e standardizzati, sufficienti però a consentire alle persone di iniziare ad agire insieme.Gettare la maschera.Se indossando la maschera i membri del gruppo iniziano a rapportarsi fluidamente e ad iniziare con discreta efficacia le attività, occorre però passare rapidamente a gettarla per iniziare a svelare agli altri alcuni aspetti più intimi della loro personalità (portare nell'area nota, elementi dell'area privata). In un primo momento alcune persone possono sentirsi come spogliate dall'aggressione degli altri col rischio di scatenare aggressività reciproche, anche se poco durevoli.Il gruppo rifugio.Inizia il periodo della reciproca tolleranza che consente di scoprire il gruppo come luogo in cui si può trovare aiuto contro le aggressioni presenti nel sociale. È una fase molto ricca affettivamente anche perché i membri hanno timore di perdere l'unitarietà appena raggiunta. Un tale timore rende però i rapporti meno liberi e spontanei. Non si è ancora in presenza di relazioni autentiche; è stato superato il formalismo tra i ruoli, ma non è ancora libero e spontaneo per la paura latente di perdere l'altro, vissuto come oggetto buono. In ogni caso si tratta di una tappa fondamentale nella ricerca delle interazioni autentiche tra i membri del gruppo e quindi della loro maturità.Alcuni gruppi si fermano a questa tappa: invece che luogo di maturazione, diventa luogo di regressione (gruppi rifugio delle esperienze giovanili) che non porta alla conquista dell'identità e dell'autonomia individuale.Nascita delle interazioni autentiche e dell'autogestione.Si tratta in effetti di una sorta di nuova nascita sia per i singoli che per il gruppo (che necessariamente, come ogni rinascita, passa anche attraverso esperienze dolorose). Per giungere a questa fase i soggetti devono « buttare fuori», anche violentemente, quelle che vengono chiamate «aree cieche», cioè gli aspetti più intimi che erano stati tenuti precedentemente nascosti. Vi sono spesso aggressioni verbali tra i membri.Se il gruppo è capace di superare questa fase, senza distruggersi, nascono interazioni autentiche, le persone imparano a convivere accettandosi reciprocamente per ciò che sono in realtà, senza maschere, per gli aspetti positivi e per quelli negativi. Il gruppo è ora in grado di autogestirsi, di organizzarsi e diventa efficiente relativamente agli scopi per cui esiste. Si sviluppa la partecipazione democratica di tutti i membri alle decisioni.

48 Per gli adulti la maschera del ruolo può essere quella della loro attività professionale; per i ragazzi il loro ruolo informale (studioso, spiritoso, sportivo, ecc). La maschera del ruolo consente ai membri del gruppo di uscire dallo stato paralizzante di ansietà e insicurezza perché permette loro di agire come se il gruppo fosse solo un frammento della più ampia società nella quale ciascuno è inserito.

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L'animatore dell'animazione ha, a questo punto, esaurito il suo compito: diventare inutile al gruppo è la testimonianza che il processo educativo è giunto a buon fine: «un educatore è stato realmente utile se è riuscito a diventare inutile». Sociogramma (Jelfs M., 1987). «All'inizio si chiede ai partecipanti di compilare il questionario sul loro rapporto con gli altri membri del gruppo: «Chi conosci meglio nel gruppo? Chi di meno? Chi nel gruppo vorresti conoscere meglio?». Le risposte vanno date disegnando linee di colore diverso, con frecce che vanno dal cerchio di chi compila il questionario al cerchio del membro del gruppo prescelto. La preparazione del cartellone è la stessa dello schema di interazione. Questo strumento è semplicemente un accorgimento per rappresentare la situazione del gruppo. È indispensabile usare questa tecnica con molto tatto, perché qualcuno «meno conosciuto», o che nessuno vuole conoscere meglio, difficilmente aumenta la stima per sé stesso.49

Obiettivi per il gruppo.

49 Alcune esercitazioni per l'osservazione del gruppo:- Viaggio dentro il gruppo (Camoglio M., 1985): obiettivo: fare in modo che vengano in superficie le forze che agiscono nel gruppo e i ruoli che si assumono, in un gruppo di 10/24 persone. Procedimento: i partecipanti sono divisi in due gruppi uguali. Il gruppo A sta nel cerchio interno ed ha un argomento da discutere entro un limite di tempo. Il gruppo B siede nel cerchio esterno ed osserva la discussione del gruppo A. Le istruzioni al gruppo B, vengono date in modo che il gruppo A non sente. Tali istruzioni varieranno secondo l'esperienza del gruppo; ad esempio, ogni membro del gruppo B osserva l'emergere nel gruppo A di ruoli specifici, come il conciliatore, il dominatore, il chiarificatore; oppure ciascun membro del gruppo B è incaricato di osservare il comportamento di un membro del gruppo A.Osservazioni: è un esercizio di base per studiare i gruppi; infatti permette di confrontare le osservazioni personali dei protagonisti di una discussione, con quelle di osservatori. Nel momento in cui si coinvolge nella discussione il gruppo sotto osservazione di solito dimentica presto la presenza degli osservatori.- Autoanalisi dei ruoli (Camoglio M., 1985). Obiettivo: fare una discussione sui ruoli nel gruppo, permettendo ai partecipanti di cogliere i propri ruoli; aiutare le persone a chiedersi come modificare le loro reazioni nel gruppo. Procedimento: Ciascuno ha una lista di controllo e impiega 5 minuti per pensare individualmente ai propri ruoli e per compilare le colonne della lista. Specificate che le liste sono di uso personale e non verranno raccolte o discusse. Osservazioni: questa lista va utilizzata solamente dopo una discussione sui gruppi e sulle dinamiche di gruppo o con un gruppo che ha già familiarizzato con l'argomento. Diversamente non sarà capita, dal momento che la distinzione tra ruoli di compito e ruoli di mantenimento non è ovvia.- Problemi e conflitti nella vita di gruppo. «Gli studi sulle dinamiche dei gruppi hanno mostrato delle costanti non solo nello sviluppo positivo di un buon gruppo, ma anche per quanto riguarda la presenza di problemi. Molti gruppi hanno problemi di potere e di leadership, di élite, noia confusione, manovre sotterranee, mancanza di disciplina, atmosfera negativa o distruttiva» (Mucchielli R., 1985).Esaminiamoli uno a uno: Potere e leadership. Nei gruppi sperimentali, la persona più produttiva in termini di compito è considerata dal gruppo come il «leader». Tuttavia dopo una serie di incontri, questa persona, diventa quella che piace di meno. «I problemi di potere possono essere affrontati attraverso una «struttura di gruppo», in cui il coordinamento è svolto a rotazione, in modo che una persona a turno si prende la responsabilità dell'ordine del giorno e dello svolgimento dell'incontro. Così si controlla l'iniziativa di chi vuole dominare, e si assicura che tutti possano parlare. È decisivo instaurare un'atmosfera più calda e rassicurante; in casi estremi, il gruppo può arrivare al punto di chiedere a colui che domina di andarsene» (Maioli E.). Élites: Un'élite è un piccolo gruppo di persone che possiede un certo potere su un gruppo più grande, spesso senza il consenso di quest'ultimo. «Nelle organizzazioni informali, le elites possono essere combriccole o gruppi di amicizia, la cui coesione si manifesta nell'ascoltarsi l'un l'altro con molta attenzione senza interrompersi. Dal momento che si parla spesso fuori del gruppo e si consultano di frequenza quando ci sono decisioni da prendere, le combriccole finiscono per avere più potere, nel gruppo, delle persone che non hanno l'opportunità di contatti informali. In grandi gruppi non strutturati, le elites sono quasi inevitabili, ma si può fare in modo che non acquisiti troppo potere, adottando strutture democratiche nel prendere decisioni» (Maioli E.). Noia: la noia può nascere dal fatto che il lavoro non è in sé interessante o dal fatto che le persone sono stanche o alienate. Agli inizi, nessun incontro di gruppo deve durare più di 75 minuti e se le persone stanno sedute per tutto quel tempo, ci dovrebbe essere una breve pausa in cui rilassarsi, alzarsi o distendersi. Va assicurato anche un adeguato cambiamento d'aria nella stanza, perché lo star seduti a lungo riduce il livello di ossigeno nel cervello. «Un buon animatore dell'animazione sarà consapevole dell'emergere dell'alienazione, ancor prima che diventi un problema. I rimedi consistono nel rivedere l'agenda, fare 10 minuti di pausa, invitare tutti a muoversi e stare in piedi o fare qualche gioco veloce. L'uso poi di strumenti visivi come i cartelloni, gli elenchi, permette a ciascuno di seguire ciò che accade, minimizzando il rischio dell'alienazione». Confusione: sono molte le ragioni di confusione negli incontri. Ogni persona pensa in modo diverso e si distingue per la sua capacità di seguire argomenti astratti o cose concrete. Si può alludere a fini opposti, si può usare un linguaggio diverso, si può parlare di persone o idee non familiari agli altri; si può perdere di vista lo scopo dell'incontro. «In questi casi l'animatore dell'animazione può riassumere e riformulare ciò che si sta dicendo, puntualizzare la situazione e ricordare l'obiettivo della discussione» (Jelfs M., 1987).- Atmosfera negativa e di sfiducia. «Si verifica quando ciascuno dà la peggiore interpretazione alla parola detta, storce il naso ad ogni proposta e fa degli interventi maliziosi, magari su singole persone.L’unico rimedio è rompere in qualche modo la tensione, per esempio, attraverso un momento di sfogo delle frustrazioni chiedendo a qualcuno di dire qualcosa di positivo su un’idea prima di criticarla, interrompendo con giochi non verbali, come «Il cerchio della fiducia», fare giochi di presentazione. Se fallisce anche questo, lasciate perdere!» (Beauchamp A., Graveline R.,1983). Procedimento: a gruppi di circa 10 persone, in piedi, in cerchio, con una persona al centro. La persona al centro si

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1) Passare dalla conoscenza reciproca all'accettazione dell'altro. Compito dell'animatore dell'animazione sarà soprattutto lasciare spazio sufficiente affinché tali ruoli si manifestino o siano scoperti o conosciuti.2) Recuperare gli emarginati.3) Favorire e suscitare il sorgere di una differenziazione complementare di leadership.4) Definire sufficientemente obiettivi, regole e norme di comportamento.5) Trovare alcuni elementi oggettivi di condivisione.6) Favorire l'espressione, il confronto e il chiarimento.7) Stimolare e far sorgere valori oggettivi condivisi.Apprendere a lavorare insieme.Sotto questo titolo (Jelfs M., 1987) sono raccolti tre tipi di materiali:- Tecniche di «presentazione»50, per conoscersi prima di lavorare insieme. - Tecniche di «chiarificazione» del tema, del problema o delle aspettative, in un incontro di gruppo.- Tecniche per la «verifica» degli incontri del lavoro svolto.Spesso i partecipanti agli incontri non si conoscono, vedono nell'altro soltanto un aspetto. Ciò limita seriamente la loro efficacia nel lavoro di gruppo.51

Verifica degli incontri (Pollo M., 1986).Tutti questi esercizi sono per la maggior parte basate su disegni e cartelloni, elaborati dai

lascia cadere verso l’esterno cioè addosso alle persone che le stanno attorno in cerchio; quest’ultime prendono la persona la centro e se la passano delicatamente tutt’intorno. L’esercizio si svolge in silenzio o con un sottofondo musicale. Questo esercizio rilassa, e si ha la sensazione di sentirsi quasi trasportati fuori da sé stessi, piacevolmente. Può essere un’esperienza molto forte. È molto improntante che il gruppo sia abbastanza grande, forte e unito per sostenere il peso della persona. Si può concludere appoggiando delicatamente la persona sul pavimento e massaggiandole la schiena, prima leggermente poi più forte, alla fine diminuendo la pressione simultaneamente.Strumenti d’osservazione del gruppo.- Schema delle interazioni (Jelfs M., 1987). «Su di un foglio, l'osservatore disegna dei cerchi che corrispondono a ciascun partecipante del gruppo, collocandoli su una grande circonferenza immaginaria. Al centro del foglio, un cerchio vuoto rappresenta il gruppo. Ogni intervento fatto nel gruppo viene rappresentato con una freccia, che va da colui che parla a colui al quale la comunicazione è rivolta. Se i messaggi sono rivolti al gruppo in generale, allora si rappresentano con linee che da chi parla vanno al cerchio centrale». Osservazioni: nell'esempio riportato sopra, possono essere notati facilmente i vantaggi di tale schema: anzitutto contiene gran parte delle informazioni sul gruppo; il numero e la direzione dei messaggi dicono molto sui singoli individui; è facile leggere e capire cosa sta succedendo.50 Presentazioni: «Le introduzioni sono più efficaci se al proprio nome si aggiunge qualche informazione sulla propria persona. Queste informazioni possono essere direttamente collegati agli scopi del gruppo (o a ciò che ci si aspetta dal gruppo, dall'associazione o istituzione che si rappresenta). L'obiettivo è di abbattere le barriere tra le persone, dar loro l'occasione di interagire in modo formale che informale. Le introduzioni migliori sono quelle integrate nel programma e che non hanno l'apparenza di un rituale forzato. Come minimo ognuno dovrebbe sentire il nome di tutti i presenti. Al di là di questo la scelta di una tecnica introduttiva dipenderà dalla dimensione del gruppo, dal numero di nuovi arrivati, dalla procedura e dal tono del resto dell'incontro» (Macciò C., 1975).Ecco alcune proposte (Jelfs M.,1987)- Giro dei nomiObiettivo: presentare i nomi dei partecipanti il più velocemente possibile; introdurre altre informazioni ad uso del gruppo. TEMPO: da 15 a 30 secondi ciascuno. Procedimento: i partecipanti siedono in cerchio e ciascuno dice il suo nome. Ciascuno può dire per quale motivo è venuto, elencare le proprie abilità, raccontare qualcosa di originale. Osservazioni: fornendo ulteriori informazioni oltre al nome, c'è maggiore possibilità di ricordare il nome stesso.- Accumulo di nomi: «Seduti in cerchio, uno dice il suo nome; la persona che segue, ripete il nome del vicino e aggiunge il suo, la terza dice in ordine tutti e tre i nomi, e così via».- Presentazioni reciproche: «I partecipanti formano delle coppie, preferibilmente con chi non conoscono. Ciascuno ha a disposizione tre minuti per presentarsi al suo compagno. Dopo tre minuti si inverte l'ordine. Poi si passa a riunirsi in gruppo e ciascuno presenta il proprio compagno a tutti gli altri membri del gruppo».- Autobiografia: «Ogni partecipante ha 5 minuti per scrivere sulla scheda qualsiasi cosa voglia dire di sé stesso eccetto il nome. Si raccolgono le schede si mescolano e si passa il mazzo alla prima persona del gruppo che legge ad alta voce la prima scheda. Gli altri devono indovinare che l'ha scritta. Una volta indovinato si scrive il none sulla scheda e la si appende al muro. Il mazzo delle schede viene quindi passato alla persona successiva».- Presentazione mimata: «Chiedere a ciascuno di rappresentare senza parole un'occupazione che gli piace, qualcosa di particolarmente importante, o un modo di fare che esprime la propria personalità. Una persona, per esempio, insisteva nel cercare di far stare in piedi due matite, una con la punta sopra l'altra: voleva dimostrare che gli si proponevano sempre cose impossibili.51 Per quanto riguarda le chiarificazioni, sono molto importanti perché offrono l'opportunità ai timidi e ai meno dinamici di partecipare più del solito, e permettono a tutti di capire ciò che viene proposto e discusso. Le verifiche, invece, valutano sistematicamente i risultati di ciò che si fa, si può imparare e migliorare.

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gruppi stessi. «C'è da dire che questi elenchi sono semplificazioni; non danno informazioni complete, né sono in grado di indicare tutto ciò che è stato detto e inteso, né i collegamenti tra fatti e idee. Possono tuttavia servire come memoria di gruppo; forniscono una serie di informazioni da esaminare in dettaglio, per scoprirne i collegamenti».52

«Verificare è determinare il valore: un processo in cui si verifica se l'obiettivo è stato raggiunto, come è stato raggiunto o quali vantaggi ha arrecato e a quale prezzo (pro e contro). Quando si valuta un lavoro lungo e complesso, è importante suddividerlo in modo che tutti parlino della stessa cosa nello stesso momento. Possibili suddivisioni sono il contenuto (che cosa è avvenuto) e il processo (come è avvenuto); oppure l'organizzazione, la conduzione, le tecniche, il programma e il clima; oppure che cosa è successo in un dato corso o in dato giorno» (Santoni Rugiu, Fagni, 1976).Discutere, sia in piccoli gruppi che tutti insieme; valutando l'accaduto e la propria reazione. Per facilitare la discussione dei gruppi, si possono formulare alcune domande.Questa verifica é rapida e verbale, mentre chi l'ha animato si limita a prendere appunti, senza esprimere il suo parere.

52 Alcuni strumenti:- Cartelloni sul muro: la compilazione dei cartelloni, fa parte integrante della riunione: su di essa si riporta l'elenco delle voci e dei temi, così come vengono discussi. Possono però essere utilizzati in modo più informale, incoraggiando i partecipanti a scrivervi le proprie osservazioni, idee e commenti in qualunque momento vogliano.- Ordine del giorno murale: L'ideale è scrivere le voci una sotto l'altra, lasciando degli spazi vuoti, per eventuali modifiche. A volte è utile raggruppare le voci per categorie o trascriverle con colori diversi.Le categorie più comuni di raggruppamento sono: comunicazioni, punti da discutere, cose da decidere.- Chiarificazione dell'azione personale: ciascuno scrive sul foglio un'azione che fa fatica ad intraprendere. Poi traccia una linea verticale al centro del foglio, dividendolo così a metà; sul lato sinistro scrive gli ostacoli percepiti o reali, esterni o interni, che sembrano impedirlo nell'agire; sul lato destro elenca dei provvedimenti da prendere, che potrebbero rimuovere gli ostacoli.- Chiarificazione degli scopi; «Invitate i partecipanti a rispondere in due minuti alla domanda: «Quali sono gli scopi della mia vita?»-. Trascorsi due minuti, invitateli ad esaminare ciò che hanno scritto ed aggiungere eventualmente qualcosa, entro altri due minuti. Nello stesso tempo procedete con la domanda: «Come vorrei trascorrere i prossimi tre anni?». Ci sono dei temi che ricorrono nelle varie risposte? La maggior parte degli scopi possono rientrare in una categoria come «personale, familiare, sociale, professionale, comunitaria, spirituale.» Gli scopi scelti, come più importanti, differiscono in qualche modo dagli altri ? Può essere utile discutere i risultati in gruppi di 4-5 persone.

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CAP. IV. - OPERATORI DELL'ANIMAZIONE: FORMAZIONE ED ORGANIZZAZIONE

In questo capitolo vogliamo esprimere le nostre considerazioni e le nostre proposte circa la formazione degli animatori dell'animazione, cercando di tracciare le linee della loro «nuova» professione, riferendosi alla loro preparazione scolastica ed extrascolastica Ci richiameremo inoltre ai problemi connessi all'organizzazione esprimendo le nostre proposte che reclamano l'affermazione di una politica della risorse umane.

4.1. Il ruolo dell'animatore dell'animazione53

Partendo da una analisi della realtà sociale dei nostri giorni, l'autore presenta l'animazione come momento indispensabile per una società nella quale vanno sempre più aumentando gli spazi che l'uomo può gestire, con una maggiore possibilità di utilizzazione del tempo libero (visto non come riposo dalle fatiche del lavoro, o come possibile nuova fonte di guadagno, ma come risposta del proprio essere, anche in una funzione comunitaria). Il fine ultimo prevede un lavoro in funzione dell'uomo, con tutte le persone che fanno ciò che più le realizza, non più oggetti ma soggetti.Più si evolve la società, più assume importanza l'animazione e di conseguenza colui che vi è preposto: l'animatore dell'animazione socio-culturale. Un'animazione rinnovata, aperta a tutti, diritto per tutti, fatta con tutti e inserita nel campo dell'educazione permanente, diventa così un metodo, un modo di vivere, che si propone sia di favorire la vita di gruppo che la creatività del singolo, armonizzandole insieme. L'animatore dell'animazione dovrà presentare determinate caratteristiche, quali la creatività, la capacità di adattamento, un certo stile di atteggiamento e comportamento, competenza, maturità ed altro; con una visione globale dei molteplici problemi che dovrà affrontare, poiché il suo compito sarà quello di educare in funzione dell'avvenire. Non vi saranno modelli precostituiti, ma ognuno dovrà sapersi adattare alle più svariate situazioni, con una notevole elasticità mentale.La formazione stessa dell'animatore dell'animazione non seguirà dei vincoli rigidi, ma sarà un continuo apprendere e un continuo rimettere in discussione. Questa formazione di base, dopo una sensibilizzazione iniziale tesa a scoprire i diversi aspetti e le varie esigenze dell'animazione culturale, si sviluppa sul piano della teoria e su quello della pratica, proponendosi tre obiettivi:- padronanza nel campo delle tecniche educative e socio-culturali, - far risaltare l'importanza della relazione nell'animazione dei gruppi, - contribuire personalmente all'arricchimento culturale di altri animatori dell'animazione.Per raggiungere questo, però, non sono sufficienti né qualche esperienza pratica né pochi giorni di stage, ma dopo la formazione di base, vi deve essere una continua formazione, un aggiornamento permanente. Il perfezionamento può precedere o essere preceduto dalla specializzazione; cioè l'animatore dell'animazione si specializza in vista di una azione in un determinato ambiente, anche se questa non deve essere rigida, ma disponibile al cambiamento in quanto appaiono continuamente nuovi settori.54

Gli animatori dell'animazione devono avere una preparazione non dogmatica e nello stesso tempo devono apprendere un certo modo di comportarsi, un saper-essere che li legittima educativamente e dà senso al loro saper-fare. Un'altra dote importante, se non fondamentale, per l'animatore dell'animazione è la malleabilità, cioè la capacità di sapersi adattare in qualsiasi situazione imprevista e la plasticità e cioè la capacità di saper rimettere in discussione vecchi concetti che si rivelano non adatti o adattabili alla nuova condizione e situazione.55

Deve sempre prevalere l'aspetto umano su quello tecnico; bisogna inoltre tener conto del tipo di attività e di ambiente su cui deve operare l'animatore dell'animazione. Per fare ciò sono necessari certi accorgimenti 53 Un approfondimento sul tema generale della formazione degli animatori dell'animazione non può prescindere da una lettura di uno dei maggiori fautori dell'animazione E. Limbos.54 «...l'animatore dell'animazione non deve essere l'oggetto, ma bensì il soggetto attivo della formazione, l'agente cioè della formazione stessa» (Limbos E.,1972), viene così sovvertito il tradizionale rapporto fra colui che insegna e coloro che apprendono, in quanto l'animatore dell'animazione-insegnante è leader (con relativa assunzione di iniziative e di responsabilità), ma soltanto in veste di suggeritore, facilitatore, apprendendo egli stesso insieme agli altri (e dagli altri, anche dagli allievi).55 La leadership può essere considerata «una specie di entità astratta, diffusa, che plana nel gruppo, circola fra i suoi membri e di cui alcuni, a seconda della circostanze e del temperamento, si impadroniscono per un periodo più o meno lungo e con maggiore o minore intensità (Limbos E.,1972).

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pratici: una certa durata del tempo del processo di formazione per favorire la maturazione e l'assimilazione dei nuovi concetti; vivere in comunità per più soggiorni della durata di alcuni giorni; dare molta importanza ai processi di auto-formazione, essendo determinanti le esperienze dirette; offrire una certa conoscenza dei mezzi tecnici a disposizione; una presenza di un gruppo di animatori-insegnanti che attesti la bontà del lavoro che gli animatori dell'animazione si apprestano a svolgere.Tutto il contenuto del programma di formazione sarà basato sulla assimilazione di uno stile personale, di un «saper-essere», che per un animatore dell'animazione costituisce la base principale del suo ruolo. Importante naturalmente è anche una maggiore conoscenza della realtà sociale che verrà captata grazie ad apporti esterni; e proprio per questo i futuri animatori dell'animazione saranno agevolati affinché possano documentarsi personalmente.L'attenzione è rivolta soprattutto al campo della psicologia sociale, allo studio attivo dei fenomeni che regolano la vita di gruppo, ad alcune tecniche che gli saranno di aiuto nel gruppo da animare, poiché è proprio l'autoconduzione del gruppo il fine a cui è rivolto il compito dell'animatore dell'animazione: la riuscita dell'animatore dell'animazione consiste, infatti, nell'allontanarsi dal gruppo che inizialmente guidava e che lentamente è divenuto capace di autogestirsi.L'animatore dell'animazione dovrà scoprire quindi i mezzi e i modi per far sì che domani altri riescano dove è riuscito lui. Tutto questo però non lo può scoprire da solo, ma si dovrà avvalere dell'aiuto di insegnanti-animatori dell'animazione che lo guideranno nel suo compito senza per questo insegnare ciò a cui può arrivare da solo.Uno tra i tanti metodi è quello dei gruppi di discussione libera, tornando anche su argomenti già trattati, o facendo riflettere il gruppo su ciò che accade al suo interno, dando modo ad ognuno di scoprire aspetti della propria personalità ancora sconosciuti. Bene sarà cambiare ogni tanto il modo di gestire queste riunioni per evitare la stanchezza o l'abitudine dei membri. È indispensabile una certa maturità per potersi immergere nel ruolo, avendo, nel contempo, già preso coscienza dei propri problemi personali e cominciato a risolverli. Soltanto su queste basi un animatore dell'animazione potrà confrontarsi con gli altri, fare comparazione, analogie o riferimenti. Vi sono anche alcune controindicazioni generali: è, infatti, consigliabile non ammettere individui troppo instabili, con scarso equilibrio nervoso, asociali o psicotici, perché, evidentemente, tali caratteristiche non facilitano la sua relazione con il gruppo. L'animazione socio-educativa (scuola) e quella socio-culturale (nel sociale), sono legate dalla stessa finalità che consiste nella sollecitazione degli interessi ad agire e alla cultura promossi nei confronti della persona e del gruppo, nel loro sostegno e nella spinta ad aiutare la piena affermazione dei soggetti (responsabilità ed autonomia). L'animatore dell'animazione da un lato aiuta il «risveglio» e il potenziamento della disposizioni del soggetto e della loro concretizzazione, dall'altro si propone come sollecitatore democratico dell'autodisciplina del gruppo. Egli dovrebbe avere certe caratteristiche, quali:. carattere gioviale ed aperto;. disponibilità alla comprensione;. padronanza di sé (unità e coerenza di comportamento);. acuta sensibilità (cogliere i messaggi e assumere il comportamento adeguato);. volontà di coerenza;. intuizione predittiva delle condotte e capacità di proazione;. disponibilità all'ascolto e alla collaborazione (al dialogo);. equilibrio;. competenza culturale;. organica visione della vita e del mondi (comprensione del senso e dei significati);. conoscenza delle motivazioni;. conoscenza delle interazioni dinamiche del gruppo;. capacità di osservare senza pregiudizi (obiettività);. vigile senso critico (valutazione, autocritica);. capacità di iniziativa (innovazione, promozione);. capacità di dialogo (spinta alla vita comunitaria in termini di cooperazione e di solidarietà, di libertà e di autonomia).

4.2. Creatività dell'animatore dell'animazione.

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Le doti creative dell'animatore dell'animazione consistono nelle capacità di risolvere i problemi, di generare condizioni educative, di identificare nuove situazioni per dare nuove risposte. E ciò fino a far raggiungere al gruppo autonomia e responsabilità. È creativo se è capace ogni volta di suggerire strade inesplorate ma percorribili, trovando soluzioni adatte al momento e alle varie situazioni, accettando ed espandendo l'originalità del gruppo e della persona, personalizzando l'intervento, inventando quello più educativamente valido per ciascuno.Dal punto di vista della creatività, le caratteristiche dell'animatore dell'animazione sono:. una accentuata intensità e ricchezza qualitativa di risorse psicologiche, di sentimenti e di affetti; una grande apertura all'esperienza altrui e propria;. capacità di tollerare l'ambiguità e l'imprecisione reali, senza pregiudizi;. capacità di autocritica e di autocambiamento;. atteggiamento positivo verso la ricerca, l'esplorazione del nuovo, rimessa in discussione continua del già acquisito;. vasta gamma di interessi;. entusiasmo con persistenza delle motivazioni, capacità di lavoro e autodisciplina;. equilibrio tra elementi affettivi e elementi cognitivi (rifiuto dell'estrosità e dell'eccentricità);. grande apertura tale da esperire continuamente la situazione affettiva e cognitiva del gruppo, vivendo dentro di sè la sua dinamica vitalità, percependone le possibilità realizzative, anticipandone ciò che può diventare, coordinando e potenziando le capacità del gruppo nel suo dinamico fluire verso la realizzazione di nuovi modi di vita.

4.3. Obiettivi comportamentali.

L'animatore dell'animazione deve essere:. sensibile ai problemi: dato un insieme confuso e disordinato, saper descrivere specifici problemi da affrontare in modo appropriato; saper distinguere molti elementi della situazione; saper utilizzare una lista di controllo degli elementi per ampliare l'analisi dei possibili problemi.. capace di definire i problemi: data una situazione problemica, saper riconoscere il problema nascosto o evidente; ampliare il problema o ridefinirlo; ridefinire o chiarire il problema cambiandone i termini; identificare i sotto-problemi per meglio affrontarli e risolverli.. capace di pensiero divergente: data la descrizione di una situazione ordinaria, saper descrivere il proprio abituale modo di comportarsi; valutarne l'efficacia dei modelli di risposta; saper sviluppare molte possibili vie alternative (mettendo in discussione le risposte abituali); saper selezionare tra le possibili alternative, le risposte ritenute più utili; saper sviluppare e organizzare un piano di azione di cambiamento sulla base delle risposte alternative individuate.. capace di dilazionare il giudizio: esaminando una situazione problemica, saper produrre molte risposte; saper dare risposte senza imporre valutazione aprioristiche; aspettare a valutare le risposte degli altri.. capace di nuove relazioni: in una situazione problemica o di coppia di stimoli problematici, saper identificare le analogie, differenze, somiglianze; saper elencare idee per metterle in relazione e paragonare i diversi elementi e le esperienze.. capace di valutare le conseguenze delle proprie azioni: all'interno di un gruppo di possibili soluzioni, saper identificare una varietà di criteri per valutare le situazioni e le soluzioni proposte; sviluppare per ogni problema molti criteri; dilazionare il giudizio nei riguardi del criterio.. capace di pianificare l'arricchimento delle idee: dato un problema e la situazione proposta, o un gruppo di soluzioni, saper identificare modalità di arricchimento (o difficoltà) relative a parole chiave e a nuovi stimoli; specificare un piano per facilitare l'arricchimento e l'accettazione.. capace di scoprire e osservare attentamente i fatti: descritta una situazione o un'esperienza problemica, saperne elencare molte caratterististiche e attributi; definire le difficoltà per superare il proprio punto di vista; descrivere molte tecniche di rottura degli stereotipi; descrivere la configurazione, le caratteristiche e le funzioni delle parti importanti della situazione.. capace di usare tecniche efficaci per scoprire nuove idee: in un'esperienza o in una situazione problemica, saper descrivere e dimostrare l'uso di molte tecniche per facilitare la riproduzione delle idee (ingrandimento, riduzione, ricombinazione...).

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. capace di trasformare idee «inutili» in idee utili descrivendo le vie attraverso le quali tali idee possono assumere valenza positiva; dimostrare le tecniche per determinare i criteri essenziali; saper lavorare prima con le idee più importanti; trovare e dimostrare le analogie nelle idee utili.. capace di descrivere e utilizzare un approccio sistematico al problem-solving (trovare i fatti, trovare le idee, trovare i problemi, trovare le soluzioni, trovare l'accordo).. capace di descrivere l'incidenza della relazioni interpersonali sul problem-solving (fiducia, impegno, onestà, apertura...); sviluppare nel campo affettivo la coscienza delle proprie potenzialità e dei propri limiti; l'inclinazione a riconoscere le proprie potenzialità e a superarne i limiti; la volontà di apprendere nuove idee e il tentare di applicarle alle situazioni reali.Dal punto di vista della creatività le caratteristiche dell'animatore dell'animazione sono:. una accentuata intensità e ricchezza qualitativa di risorse psicologiche, di sentimenti e di affettività, grande apertura all'esperienza altrui e propria;. capacità di tollerare l'ambiguità e l'imprecisione reali, senza pregiudizi;. capacità di autocritica e di auto-cambiamento;. atteggiamento positivo verso la ricerca, l'esplorazione del nuovo, rimessa in discussione continua del già acquisito;. vasta gamma di interessi;. entusiasmo con persistenza nelle motivazioni, capacità di lavoro e autodisciplina;. equilibrio tra elementi affettivi e cognitivi (rifiuto dell'eccentricità e dell'estrosità);. grande apertura da esperire continuamente la situazione affettiva e cognitiva del gruppo, vivendo dentro di sé la sua dinamica vitalità, percependone le sue possibilità realizzative, anticipandone ciò che può diventare, coordinando e potenziando le capacità del gruppo nel suo dinamico fluire verso la realizzazione di nuovi modi di vita.

4.4. Caratteristiche dell'animatore dell'animazione

Il nostro tentativo è anche quello di superare la contrapposizione tra chi sostiene che l'animatore dell'animazione deve essere l'insegnante poiché «...nessuno più di lui conosce i ragazzi, perché nessuno più di lui può programmare il proprio intervento rispettando i tempi di maturazione del bambino» (Rostagno R., Pellegrini B., 1978), e coloro che invece affermano la inconciliabilità tra il ruolo dell'insegnante e quello dell'animatore dell'animazione» che allo stato attuale delle cose può usare delle tecniche di animazione, ma non essere animatore dell'animazione; gli insegnanti infatti, e con gli insegnanti una tipica categoria di educatori, sono innegabilmente depositari di un'autorità» (Bongioanni M., 1977).56

Ma quali sono le qualità che questo operatore deve possedere per riuscire ad agire positivamente nel contesto educativo? Limbos ne elenca alcune, sottolineandone le finalità: «- Creatività: permette di inventare mezzi nuovi ed originali, d'immaginare vie e soluzioni specifiche, di uscire dai sentieri battuti e dai modelli prestabiliti.- Adattamento: la plasticità e la mutevolezza delle strutture, delle mentalità, delle idee esigono un continuo ripensamento.- Stile: una stile di animazione e di relazione centrato sui gruppi e sugli individui con i quali si trova in contatto.- Competenza: una competenza reale nella funzione e nel ruolo da esplicare, che dia la possibilità di dominare le tecniche utilizzate per l'animazione.- Maturità: di poter affrontare le situazioni ed i problemi dell'ambiente nel quale interviene. Tale maturità permette di considerare gli avvenimenti e le relazioni con obiettività e con distacco.- L'integrazione nell'ambiente prescelto.- Una fondamentale attitudine all'ascolto ed al dialogo. L'animatore dell'animazione è il legame tra gruppi ed ambienti diversi.- Una visione prospettica delle situazioni e dei problemi. L'animatore dell'animazione si distingue da una semplice diffusione di cultura, da un'informazione e da un certo tipo di attivismo i quali non possono che avere un'azione del tutto epidermica e superficiale» (Limbos E., 1972).

56 Come abbiamo più volte affermato, per noi l'animatore dell'animazione e l'insegnante non sono che due aspetti complementari dell'educatore che situazionalmente svolge le due funzioni, senza mai determinare un eccessivo squilibrio tra le due variabili.

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In particolare l'animatore dell'animazione deve essere in possesso delle seguenti caratteristiche:«- Ha il senso della responsabilità, s'impegna fortemente, possiede una grande maturità. - È dinamico ed entusiasta. Trascina il gruppo con la sua vivacità ed il suo ottimismo. Crede in ciò che fa. - Possiede una forte personalità; è qualcuno al cui contatto non si resta indifferenti. È un testimone. - Ispira confidenza e si sa che è onesto, leale. - Mostra iniziativa, ha delle idee e dà prova di immaginazione e di audacia. - È un buon organizzatore, in possesso delle qualità necessarie per amministrare il gruppo e farlo ben funzionare» - È un essere aperto, accogliente, di idee larghe, ricettivo. - Ha un ideale, dà vita al gruppo, gli dà un senso. - È obiettivo, realista e sa distinguere l'essenziale» (Limbos E., 1972).Le componenti della personalità dell'animatore dell'animazione sono individuate in:«- una certa disponibilità ed una certa apertura a tutti; - un equilibrio personale e una sufficiente maturità; - creatività, immaginazione, una certa facilità a esprimersi e a comunicare; - una reale capacità di dialogo; - una facilità a stabilire relazioni con gli altri membri; - un allenamento a valutare ciò che si fa o si vive, con lucidità e obiettività» (Limbos E., 1972).Infine per quanto riguarda lo stile dell'animatore dell'animazione, vengono suggerite le seguenti caratteristiche:«- Suscita la partecipazione dei membri, accoglie le iniziative e fa nascere l'interesse e il desiderio di impegnarsi nell'azione, catalizza ciò che si dice e ciò che si fa, provoca la creatività, facilita l'espressione di tutti, favorisce la comunicabilità. - Dà prova di autorità: ci si attende che diriga effettivamente il gruppo, lo conduca, lo guidi, tracci degli orientamenti. - È qualcuno che non impone le sue idee, ma ascolta, propone, rispetta la personalità e le idee degli altri. - Il suo ruolo è anche quello di coordinare, di sintetizzare le idee, le azioni e le attività del gruppo. - La compiutezza di ciascun membro e una delle sue principali preoccupazioni; ma è anche un educatore che veglia all'armonioso sviluppo dell'insieme delle persone costituenti il gruppo. - non resta inattivo o abbandona i membri a se stessi, ma collabora allo stesso titolo di chiunque altro, dà un'efficiente aiuto e si considera realmente al servizio del gruppo» (Limbos E., 1972).

4.5. I principi morali dell'animatore dell'animazione

Macciò ha espresso con chiarezza tre principi morali dell'animatore dell'animazione:. Principio di competenza: l'animatore dell'animazione deve conoscere l'uomo, le leggi psicologiche, le dinamiche di gruppo, il suo ruolo, le tecniche pedagogiche più avanzate, avere esperienze pratiche di vita di gruppo.. Principio del rispetto dell'altro: l'altro non è mezzo o strumento, ma soggetto di dialogo (la discussione permette a ciascuno di essere all'interno del gruppo e di dare il suo aiuto al raggiungimento di comuni obiettivi).. Principio di lealtà poiché occorre non agire mai all'insaputa dei singoli, non nascondere mai gli obiettivi perseguiti per il loro stesso perfezionamento; abolire i metodi e le tecniche di formazione che espongono al rischio di manipolazione delle coscienze; non divulgare né usare per altri fini le informazioni raccolte nel corso dei colloqui (Macciò C., 1975).Alcune regole che l'animatore dell'animazione dovrebbe seguire nell'animazione del gruppo, sono:. evitare ogni contraddizione tra ciò che si dice e ciò che si fa;. stimolare i talenti poiché «ciascun individuo possiede doti peculiari, delle qualità sue proprie e la vita di gruppo deve permettergli di svilupparle. Il gruppo ne risulterà più ricco, più omogeneo (complementarità). Ma perché i talenti possano essere messi al servizio di tutti, conviene che le responsabilità siano suddivise in modo che ciascuno abbia la sua parte, perché non può esservi sviluppo totale degli individui senza responsabilità individuale e collettiva» (Macciò C., 1975).Agli animatori è richiesto non soltanto un serio approfondimento pedagogico, ma anche la conoscenza di tecniche e dei mezzi relativi, quali il linguaggio mimo-gestuale, quello grafo-colorico-pittorico-plastico,

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quello verbale, quello iconico, i documenti, i giochi, ecc. Inoltre egli deve saper cogliere le singole esigenze, dosando il proprio intervento per rendere equilibrate alcune caratteristiche quali l'espressività/razionalità, l'immedesimazione/astrazione, la libera espressione/ricerca (Bongioanni M., 1977). Altre caratteristiche che deve possedere l'animatore dell'animazione sono ancora la malleabilità, cioè la capacità di rimettere in discussione le situazioni stabilizzate e il contenuto della sua azione, quindi «l'attitudine a comprendere, ad accettare la realtà, a scoprire, ad adattarsi e a evolvere, costituisce una delle fondamentali qualità dell'animatore dell'animazione. L'animatore dell'animazione ammette ed accetta l'idea di vivere in una specie di instabilità, di contestazione permanente, di continua rimessa in discussione; accetta, in breve, di fare il suo lavoro in una certa insicurezza» (Limbos E., 1972). Ciò vuol dire capacità di rimettere in discussione se stesso. In ciò potrà essere aiutato dalla sua capacità di saper «osservare, prevedere, suggerire, saper guidare il gioco, ma non comandare nel senso letterario del termine.Osservare è essenziale. È il frutto delle osservazioni che permette di conoscere la via da seguire, di prevedere e suggerire i giochi, di stabilire una proficua progressione» (Small M., 1975). Ma non basta che l'animatore dell'animazione abbia fiducia in se stesso, se non si apre agli altri e non è disponibile nei loro confronti, accettando i loro errori intesi come «inadeguatezza tra la risposta e il modello formale concepito dall'istruttore» (Le Boulch J., 1975). L'errore pertanto in effetti non esiste: si tratta della risposta individuale e contestuale a un determinato problema.Infine è necessario che l'animatore dell'animazione non si chiuda nelle proprie abitudini, perché questo gli determinerebbe un minor impegno attraverso la proposta di situazioni ormai scontate, di sicuro effetto e di certi risultati, ma poco adatti alla crescita e al cambiamento; ciò avviene a due livelli:1) atteggiamento generale, per avanzare verso una maggiore pienezza del proprio essere;2) al livello dei metodi. Avendo perfezionato una tecnica che gli sembra efficace, egli potrebbe rinchiudersi in questo metodo e in queste attività «sicure»che, in capo a qualche tempo, diventerebbe puro formalismo, ritualismo, tale da impedirgli una vera disponibilità alle persone e agli avvenimenti» (Macciò E., 1975).

4.6. Formazione dell'animatore dell'animazione

La figura dell'animatore dell'animazione socio-culturale è sempre più richiesta per assolvere a tutta una serie di compiti emergenti in rapporto alle mutate condizioni di vita, alle nuove esigenze della famiglia, alle più ampie richieste di conoscenze operative e di cultura.57

Sul problema della formazione dell'animatore dell'animazione esistono due tendenze: una afferma il carattere spontaneo di essa; l'altra il carattere istituzionale. A queste due tendenze corrispondono rispettivamente la presenza di un settore privato di formazione e di un settore pubblico.58

57 «Chiamato in modi diversi, realizzato con diverse sfumature attorno al quasi archetipo dell'insegnante-educatore-assistente-monitore, l'operatore socio-culturale è un personaggio antico. Volendo delineare rapidamente una fenomenologia dell'operatore socio-culturale, che agisca secondo moduli praticati ancora oggi, ma esclusivi nel passato, non possiamo non pensare alla figura del prete. Detentore dell'istruzione religiosa, egli era il quasi esclusivo curatore del tempo libero dei ragazzi, l'organizzatore del doposcuola, il tutore della socializzazione tra i giovani; d'altra parte non può sfuggire la funzione formativa e culturale dei funzionari dei partiti politici. In diversa misura, funzione di operatori socio-culturali hanno avuto o hanno il bibliotecariato vecchio stampo, l'assistente sociale, il sindacalista. Gli insegnanti, qualora non siano solo buone vestali della classe media trasmettitori di cultura, ma tendano ad un intervento più articolato, sono operatori socio-culturali, ci pare che l'operatore socio-culturale sia il risultato del fermento politico e culturale prodottosi negli anni orbitanti attorno al '68 la cui sconfitta non ha significato un colpo di spugna sul passato, ma ha lasciato intatta la voglia di fare cultura, di fare politica, di operare con fantasia. Studenti, neo-laureati o diplomati disoccupati, cattolici del dissenso, hanno tratto dal clima di quegli anni la spinta ad una attività molto spesso non pagata, volontaria, sperimentale. Dalla sconfitta delle illusioni del '68, dall'avvilita figura dell'insegnante è uscita la speranza di una professione nuova che cosa deve dunque essere capace di fare un animatore dell'animazione? Prima di tutto crediamo che a monte delle sue competenze didattiche-operative debba esserci una solida formazione professionale, connotata da una buona conoscenza della scienze umane (pedagogia, psicologia, sociologia, antropologia) e storiche» (Convegno di Ravenna , 1976).58 In Francia, la formazione pubblica sembra prendere il sopravvento su quella compiuta da centri e da associazioni private. La formazione degli animatori dell'animazione si compie mediante corsi ai quali si uniscono indispensabili periodi di tirocinio («stages»). I diplomi e i certificati che attestano le competenze specifiche nei vari settori dell'animazione, sono rilasciati da taluni ministeri (ad es. dal «Ministero della gioventù e dello sport») o anche da associazioni private riconosciute di pubblica utilità.

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Le strutture che si pongono lo scopo della formazione degli animatori dell'animazione, dovrebbero organizzare i corsi relativamente ad un preciso programma di formazione che tenga conto dei seguenti criteri di base:«- La finalità perseguita: animatori dell'animazione per bambini, adolescenti, giovani, adulti, terza età; ambiente rurale, urbano, industriale; situazione di studio, di lavoro, di svago; animazione occasionale o permanente, ecc. - Formazione anteriore di ciascun candidato. - Tipo di animatore dell'animazione da formare: animatore dell'animazione di un ambiente determinato, un animatore dell'animazione globale. - Livello al quale si pone la formazione: base comune, perfezionamento, specializzazione, aggiornamento» (Limbos E., 1972).Unitamente a questi antecedenti criteri, in ogni caso, la formazione dell'animatore dell'animazione deve tendere a formare un operatore obiettivo, capace di distinguere l'essenziale dal secondario, la realtà sostanziale da quella superficiale. I gruppi di animatori dell'animazione da formare non dovrebbero essere più numerosi di 12/15 soggetti e la durata dei corsi abbastanza lunga e approfondita, tanto che noi proponiamo una preparazione a livello di laurea universitaria. Sono indubbiamente da contestare e da eliminare tutti quei corsi svolti dai più «strani» organismi che con estrema superficialità propongono qualificazioni culturali ed educative in un campo che invece necessita di lunghi approfondimenti.59

Ma qualunque sia la serietà degli studi e la loro durata, sappiamo che non vi potrà mai essere una situazione ideale, poiché ciascuno ha una propria idea di animazione; tuttavia in conseguenza ad una identica preparazione di base, occorre insistere anche sull'autoformazione che permette a ciascuno di «essere di più».60 Ma è anche l'ambiente che sollecita adattamenti e cambiamenti da parte dell'animatore dell'animazione che ogni volta deve reinventarsi in rapporto alle mutate condizioni ambientali e alle richieste dei soggetti. Formazione e disponibilità al cambiamento sono interagenti; infatti: «accettare di formarsi significa anche accettare di modificarsi, di cambiare, di spogliarsi del vecchio essere, di evolvere» (Limbos E., 1972).Un altro argomento di discussione riguarda la questione se l'animatore dell'animazione debba essere più polivalente o più specializzato. Certamente polivalenza non vuole assolutamente significare che l'animatore dell'animazione debba conoscere e saper fare tutto, tuttavia si può anche accettare il fatto «che appare necessario, quando il programma esige notevole approfondimento, ricorrere a formatori specializzati in determinati settori; tutti hanno, comunque, un comune denominatore: una reale competenza nell'animazione dei gruppi centrata sulla relazione» (Rostagno R., Pellegrini B., 1978).

4.7. L'animatore dell'animazione e il gruppo

Non è pensabile oggi ad un animatore dell'animazione puramente tecnico, poiché ogni esperto in determinate materie e settori dell'animazione socio-culturale, deve essere preparato anche per ciò che riguarda la scoperta e l'analisi di ciò che accade, al di là delle semplici attività, nella profondità di ciascuna persona. Così l'animatore dell'animazione, a seconda dei casi, adotta diversi comportamenti e tecniche differenziate (che richiedono, per essere assimilate, lungo e paziente tirocinio) con particolare riguardo a quelle che riguardano le relazioni umane.61

59 Attualmente mancano gli animatori dell'animazione: «…alcuni hanno creduto di poter trovare una soluzione nell'organizzazione di corsi di riqualificazione che permettono di trovarsi al corrente di ogni nuova ricerca. Ma è un'illusione credere che in 3/6 giorni si possa condensare il lavoro di tutto un anno di studi, non può costituire che una tappa provvisoria ,una soluzione di attesa. Sarebbe pericoloso crederla la soluzione» (Macciò C., 1975). «...la formazione degli animatori di gruppi di giovani o di adulti, non può effettuarsi in pochi giorni di stage, né con qualche esperienza pratica. Occorre una progressione dosata e pensata e un'alternarsi di fattori stabiliti dalle scienze umane, nonché di applicazioni pratiche in situazioni concrete, con finalità di verifica e di valutazione» (Limbos E.,1972).60 «...le nozioni chiarificanti in tutto o in parte gli interrogativi più urgenti, l'insegnante di buona volontà dovrebbe andare a cercare in opere di psicologia, di neurologia (patologia e fisiologia), di epistemologia, di fisiologia dell'attività, di biomeccanica, di etologia, per finire con la cibernetica e la teoria dell'informazione» (Calabrese L., 1975).

61 Se relativamente allo svolgimento di tecniche (laboratori per le attività creative, i giochi, i sussidi audiovisivi, il teatro, le inchieste), la preparazione dell'animatore dell'animazione riguarda la padronanza del mezzo e il dominio del materiale, nel contesto delle relazioni interpersonali, è necessario acquisire una preparazione che va ben oltre le capacità artigianali e che dipende dagli approfondimenti culturali e scientifici.

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Quando un gruppo si riunisce, si possono osservare i seguenti modelli base:1)- Riunione-discussione: l'argomento si presenta naturalmente e senza preparazione. L'animatore dell'animazione usa tecniche adatte a chiarire, a favorire l'espressione. Effettua delle sintesi e mette in evidenza le conclusioni.2)- Riunione-ricerca: l'argomento è fissato prima. Lo si può studiare e ci si può documentare. L'animatore dell'animazione si comporta come nel caso 1, ma esprime anche il suo punto di vista senza imporlo.3)- Riunione-esercizio: l'animatore dell'animazione assume in questo caso il ruolo di tecnico che organizza l'esercizio-esperimento e che si dimostra rigido sulle condizioni precise del suo svolgimento.4)- Riunione di lavoro o di incarico: l'animatore dell'animazione coordina, coopera, ed eventualmente interviene per aiutare o per compensare.5)- Riunione-distensione: l'animatore dell'animazione partecipa come tutti gli altri membri6)- Riunione-informazione: l'animatore dell'animazione esprime delle idee o comunica delle notizie. Bada che l'informazione non venga passivamente ricevuta, ma faciliti gli scambi e i contributi di tutti.7)- Riunione-decisione: l'animatore dell'animazione informa obiettivamente il gruppo in vista dell'elaborazione della decisione da prendere.8)- Riunione-valutazione: l'animatore dell'animazione assume il ruolo di chiarificatore cercando di mettere in luce ciò che resta nascosto o confuso per aiutare il gruppo a rettificare percorso o obiettivi.L'educatore non è un modello psico-pedagogico prestabilito, anche se si muove in continuo riferimento a dei principi educativi fondamentali. Egli deve essere mosso, nella quotidiana metodologia/didattica, da un sicuro spirito sperimentale, da un modo di porsi su quella che possiamo chiamare «pedagogia dell'amore», con rassicuranti relazioni tra lui e il soggetto nel rispetto dell'identità-diversità di ciascuno con gli altri, personalizzando le proprie proposte per aiutare ciascuno a realizzare al massimo le proprie potenzialità e ad accettare/produrre simboli comunitari. L'educatore non si pone quindi come modello: il modello più valido per il soggetto è se stesso, nel confronto con gli altri uguali-diversi. Pertanto l'educatore deve abbandonare la presunzione di avere l'esclusività del sapere assumendo l'atteggiamento dell'aiuto e della comprensione, per porsi costantemente come educatore proponente integrante, situazionalmente animatore dell'animazione-insegnante. Don Bosco lo chiamava assistente, Rogers «facilitatore».62

4.8. Dall'animare all'essere

È importante che si arrivi ad una definizione attualizzata della figura dell'animatore dell'animazione nel contemporaneo contesto socio-culturale e in prospettiva, mediante una preparazione professionale generale e specifica. Limbos distingue il saper fare dal saper essere: «mentre la formazione degli animatori dell'animazione tecnici, particolarmente competenti in determinate tecniche, consiste nell'acquisizione di un «sapere» e di un «saper fare», quella degli animatori dell'animazione centrati sulle relazioni umane in seno a gruppi di giovani e di adulti, mira, in più e soprattutto, alla scoperta e all'assimilazione di uno stile personale, di un saper essere:- sapere: conoscenze, competenze;- saper fare: tecnica, realizzazioni;- saper far fare: interessare, comunicare, trasmettere;- saper vivere: inserimento socio-culturale;- saper essere: relazione con gli altri;- essere: personalità, autenticità» (Limbos E., 1972).L'obiettivo della formazione dell'animatore dell'animazione, si presenta con caratteristiche polivalenti, poiché si rivolge ad ottenere: acquisizione di tecniche educative e competenze socio-culturali, capacità di cogliere le interrelazioni, stile di vita permanentemente rigenerantesi e di arricchimento sul piano interiore, perfezionamento delle conoscenze, acquisizione di un bagaglio socio-culturale e umano.Il «saper essere» è raggiungibile attraverso un cammino di crescita che attraversa varie fasi:

62 Questo animatore dell'animazione non è «uno solo, ma sono i molti di cui si compone un gruppo, una comunità, una società» (Bongioanni M., 1977). Lo stesso concetto è sostenuto da Limbos:»... ciascun membro della società è di volta in volta, a seconda delle circostanze e del momento animatore dell'animazione e animato; i mass-media hanno una parte notevole della formazione degli individui e i presentatori dei programmi radio-televisivi dovrebbero essere animatori dell'animazione di grande valore» (Limbos E.,1972).

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«- Fase prima: sensibilizzazione, informazione: il futuro animatore dell'animazione scopre e cerca le condizioni più favorevoli in rapporto alle realtà che gli si presentano, con l'aiuto di persone responsabili, di osservatori e del gruppo stesso. - Fase seconda: la formazione si dispone su tre livelli:1)- apprendimento tecnico;2)- relazione (saper essere);3)- realizzazione personale. - Fase terza: perfezionamento. È la formazione continua permanente, complementare. Essa mira all'aggiornamento degli animatori dell'animazione in funzione delle evoluzioni e dei bisogni. - Fase quarta: specializzazione. L'animatore dell'animazione si specializza in vista di un'azione in uno specifico ambiente. La specializzazione non si inserisce in un quadro rigido: nuovi settori appaiono in continuazione, in funzione dei bisogni, degli ambienti, dell'età, del genere di gruppi, delle tecniche, delle attività, degli interessi» (Limbos E., 1972). Ma in ogni tipo di formazione occorre soprattutto stabilire e mantenere un armonico equilibrio tra agli aspetti tecnici, attivi, lavorativi e umani. È inoltre necessario dare, a colui che intende dedicarsi all'animazione socioculturale, una precisa idea della sua futura attività anche attraverso la testimonianza di altre persone ugualmente impegnate, con osservazioni dirette e sperimentazioni: «La fase di sensibilizzazione-informazione gli fornisce l'occasione di familiarizzarsi con un campo di attività e di rapporti umani» (Limbos E., 1972). La specializzazione successiva è subordinata a tutte le esperienze precedenti e permette di scegliere uno o più settori nei quali si svolgerà prevalentemente l'azione dell'animatore dell'animazione.L'animatore dell'animazione/formatore è la persona adatta alla formazione di altri animatori: «l'équipe di animatori dell'animazione-formatori espleta un'azione su tre livelli:la preparazione della formazione, l'animazione propriamente detta di questa formazione (fase operazionale) e, infine, la valutazione dei risulati ottenuti in riferimento alle finalità-obiettivi che si è proposto di raggiungere» (Limbos E., 1972).

4.9. Verso una nuova professione

Tra le molte figure che in qualche maniera sono riconducibili a quella dell'animatore dell'animazione, si trova sovente quella dell'animatore dell'animazione sportivo.63

La sua consuetudine con ragazzi e giovani con il compito di comunicare ed educare, gli ha fatto sperimentare molte possibilità e diversi modelli educativi. Animazione può essere una pista di ricerca per avviare una più precisa collocazione educativa, un miglior condizionamento con altri interventi, una ricomprensione della scuola, più vicina alla ricerca, alla creatività, al recupero dei veri fondamenti culturali, e non la trasmissione chiusa di contenuti e di tecniche» (Sigalini D.).64

Abbiamo già affermato che il ruolo dell'animatore dell'animazione è quello di facilitare democraticamente l'attuarsi della persona nella comunità. Allorché egli si rende conto che l'individuo o il gruppo non hanno più bisogno di lui: «Uno degli scopi perseguiti dall'animatore dell'animazione, consiste nel ridurre via via di più la dipendenza dei membri della comunità nei suoi confronti, in modo da renderli autonomi al massimo. Per un animatore dell'animazione socio-culturale, riuscire significa allontanarsi, passare la mano ai membri del gruppo o della collettività divenuti capaci di amministrarsi da soli, nella maggior parte delle situazioni» (Limbos E., 1972).L'educatore come animatore dell'animazione-insegnante, esperto-consulente, facilitatore-integratore è sempre e comunque al servizio degli altri per attivare e non per criticare, per chiarire e non per forzare, con un comportamento chiaro, senza sottofondi di malizia ideologica: «una delle regole fondamentali per l'animatore dell'animazione è di evitare ogni contraddizione fra ciò che si dice e ciò che si fa; egli dovrà mutare in tre direzioni le abitudini:

63 «A lui si applica il termine in modo inconsueto, fa parte di un mondo che si autogenera quasi senza accorgersene. La squadra di calcio che compare sui manifesti murali dei vari paesi, è una «scuola» e l'allenatore ne fa da perno. In una comunità educante l'allenatore sportivo può avere una forte incidenza formativa; è giusto che si accosti al discorso dell'animazione, a partire dal suo punto di vista. Si può sperare che dei ragazzi dopo aver fatto tanto sport, riescano ad essere uomini? A valere più delle scarpe che usano ? A vivere una solidarietà e una condivisione che va oltre i confini del campo sportivo ? 64 « Si avventura nell'animazione anche una «coppia di genitori», o soltanto uno dei due, che avvertono lo sfascio cui sono ridotti i servizi educativi. Animazione diventa per loro una proposta di valori, di principi, d'esperienze mature. È giusto che anche i genitori si allenino a cercare questo stile educativo, a confrontarsi con vari modelli, che vengono presentati dalla società» (Floris F., 1986).

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- i rapporti delle persone tra loro, onde arrivare a un vero dialogo, a uno, scambio nel rispetto reciproco delle opinioni;- la coesione del gruppo dipende dal fattore precedente ed è condizione di progresso per i singoli e per il gruppo;- l'inserimento del gruppo nella vita sociale» (Macciò C., 1975).Queste considerazioni sulle funzioni dell'animatore dell'animazione vogliono richiamare l'attenzione sulla necessità di riflettere sulla sua stessa professionalità. Occorre precisare che collocarsi nella prospettiva della professione significa impegnarsi su tre piani: competenza, eticità, socialità e ci preme soltanto ricordare che non è corretto parlare di animatori dell'animazione senza riferirsi alla deontologia degli stessi. L'impegno dell'animatore dell'animazione è, infatti, un impegno complesso che non può essere soddisfatto facendo leva sull'esercizio di «doti naturali» e di tecniche e che si configura (come quello dell'insegnante) in un impegno di natura etica, che mentre richiede il possesso di qualità umane, quali la serietà, l'onestà, lo scrupolo nell'esecuzione del proprio lavoro, esige una competenza e una disponibilità sociale che arricchiscono ed alimentano la competenza stessa e permettono di esprimere nel piano operativo i principi e le responsabilità che danno impulso e vigore alla professione» (Macchietti S., 1979).Occorre distinguere nella formazione degli educatori-animatori dell'animazione tre aspetti che hanno assunto diversi significati con il passare del tempo:- la formazione volta a promuovere la conquista di precisi e specifici contenuti culturali e le conoscenze che l'educatore dovrà poi trasmettere, arricchire, riprogettare continuamente;- la formazione pedagogica volta a promuovere la coscienza educativa, attraverso gli studi pedagogici, dei problemi attinenti all'educazione e alla didattica;- la formazione personale che permette all'educatore di assumere atteggiamenti e comportamenti idonei al suo ruolo.È necessario che i tre momenti siano contemporaneamente presenti nel processo di formazione dell'educatore-animatore dell'animazione, poiché «un'educazione nuova la si misura soprattutto dalla capacità dell'educatore di promuovere attività e interessi, di coinvolgere emotivamente e praticamente i ragazzi, di liberare la loro espressività ludica e artistica, di innescare comportamenti pragmatici e corporei del tutto assenti nella scuola tradizionale, in un clima comunitario denso di lavoro materiale, di socialità rassicurante e di iniziative individuali» (Massa R. 1977). La formazione può prevedere inoltre la preparazione dell'educatore-animatore dell'animazione psicologo (che valuta, usa metodi di studio e di osservazione del comportamento del soggetto per progettare l'azione educativa), psicopedagogista e operatore sociale (il quale adatta l'educazione alla realtà ambientale e socio-culturale).L'educatore-animatore dell'animazione è la figura prioritaria e la sua preparazione e formazione devono essere rivolte ad una approfondita conoscenza di sé e del suo modo di stabilire in rapporti interpersonali, in particolare con i soggetti dell'educazione. La sua formazione è permanente poiché si effettua sia nel periodo degli studi di formazione professionale, sia in quello in cui si svolge la professione.Limbos indica alcune modalità di formazione:- processo di formazione circolare che parte dal concetto stesso di formazione e ne prevede il continuo ridimensionamento;- durata nel tempo per favorire la maturazione e l'assimilazione;- formazione di una équipe di animatori dell'animazione che attesti il lavoro concreto del gruppo; la loro caratteristica è di essere testimoni, più che modelli teorici;- vita in comunità durante periodi di incontri e/o stages residenziali;- priorità accordata all'autoformazione, al tirocinio diretto e personale. Ciò permette di assimilare le proprie esperienze vissute operando sintesi personali in maniera critica;- discipline generali in riferimento ad un filone comune e discipline specifiche in funzione dei diversi tipi di animatori dell'animazione da formare.Le scelte riguardano:- le conoscenze scientifiche e tecniche di partenza;- l'apprendistato e la formazione tecnica per acquisire sicurezza nell'utilizzare i sussidi ;- operazioni concrete accertate e verificate; esse possono essere di vario tipo:. individuali, in équipe, di gruppo;. studi particolareggiati di diverse realizzazioni effettuate sul campo;. personale approfondimento nei diversi campi socioculturali e nelle relazioni interpersonali;

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. possibilità di aggiornamento permanente per gli animatori dell'animazione in attività, partendo dai bisogni che si evidenziano o sottintesi.Per avere un numero sufficiente di animatori dell'animazione, occorre la disponibilità di strutture, di una organizzazione universitaria che sia in grado di organizzare, preparare, formare, selezionare e coordinare gli aspiranti animatori dell'animazione e gli animatori dell'animazione effettivi.65 Ciò dovrebbe avvenire, per non rischiare di riprodurre una situazione burocratica, sclerotica, dirigenziale, selezionante, (come ad es. esiste attualmente nel mondo sportivo).La formazione dell'educatore-animatore dell'animazione deve essere «continua» e deve esistere la possibilità di formare, secondo precisi programmi, persone che abbiano la propensione a fare gli animatori dell'animazione ai quali va riconosciuto il diritto di esercitare questa nuova professione a tempo pieno dove è necessario il loro intervento.Abbiamo detto che l'animatore dell'animazione-educatore è colui che riesce a stabilire, con coloro con i quali è chiamato ad operare, un clima di sicurezza psicologica in cui sia possibile esprimere un'autentica libertà di esperienze. Perciò deve essere una persona salda su se stessa con una concezione positiva dell'essere umano e delle relazioni interpersonali.La padronanza di se stesso, l'equilibrio emotivo può derivare da una profonda conoscenza di sé e dalla accettazione dei propri limiti che può consentirgli di evitare di ricorrere a meccanismi difensivi, al fine di conservare un'immagine di sé non corrispondente alla realtà e permettergli di accettare gli altri in relazione a ciò che ciascuno di essi è. Ciò evita di proiettare sugli altri i propri sentimenti e le proprie angosce e fa sentire libero di vivere la propria esistenza, anche nei momenti negativi. Si tratta in tal senso di una sorta di presenza «periferica» in quanto: «meno interverrà quando non verrà sollecitato e più i fanciulli lo sentiranno pronto ad aiutarli quando lo vorranno e soltanto allora il suo intervento sarà sollecitato. E sarà allora più utile, poiché i fanciulli sanno domandare con giusta precisione quello di cui hanno bisogno, informazioni o consigli e il maestro prende l'abitudine di rispondere giustamente e con precisione a quello che essi domandano» (Cousinet R., 1952)La maturità emotiva è fondamentale perché permette all'educatore-animatore dell'animazione di partecipare all'evoluzione di una persona senza cercare di modellarla a propria immagine e somiglianza, poi permette di stabilire rapporti affettuosi senza eccedere per non favorire atteggiamenti di abbandono, di dipendenza e addirittura di plagio.L'animatore dell'animazione non deve, per le sue frustrazioni personali, affettive e professionali, cercare di gratificarsi attraverso l'eccessiva disponibilità affettiva degli altri o i loro risultati.La maturità emotiva è inoltre indispensabile per superare i periodi difficili del rapporto educativo, senza cadere nello sconforto e per vivere quelli più produttivi senza eccessiva illusione. Queste considerazioni sottintendono due diversi aspetti: il primo riguarda il problema della valutazione di opportunità dell'istituzione di un determinato servizio di animazione; il secondo riguarda gli aspetti educativi e sociodinamici che costituiscono la didassi di un animatore dell'animazione nel suo concreto operare. In effetti si deve valutare la necessità e l'opportunità di un intervento di animazione, attraverso tre parametri:- valutazione della situazione oggettiva del contesto preso in considerazione;- analisi del settore di animazione che maggiormente può soddisfare in quella situazione con tutte le valenze educative che esso offre;- valutazione delle possibili forme che l'animazione stessa può assumere.66

4.10. Formazione dell'animatore dell'animazione socio-culturale

«La formazione degli animatori dell'animazione di gruppi di giovani o di adulti non può effettuarsi in pochi giorni di stage, né con qualche esperienza pratica. Occorre una progressione dosata e pensata, e un

65 Occorre un Ente (Stato, Regione, Provincia, Comune...) che provveda a stipendiarli chiedendo conto del loro lavoro. Tale struttura dovrà essere concepita in modo da rispondere a esigenze locali e non a disposizioni verticistiche che, se pur attente, risultano quasi sempre essere estranee alla realtà del territorio.66 «L'animatore dell'animazione è precisamente colui che favorisce l'autogestione del gruppo da parte dei membri stessi. Egli facilita le attitudini, i comportamenti, le attività, le relazioni che permettono una partecipazione attiva alla vita del gruppo, al potere-leadership, alle fasi decisionali» (Limbos E.,1972).«Ogni membro ha un suo particolare ritmo che va rispettato: le esperienze devono quindi essere dosate e progressive», (Limbos E.,1972).

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alternarsi di fattori stabiliti dalle scienze umane, nonché di applicazioni pratiche in situazioni concrete con finalità di verifica e di valutazione» (Limbos E., 1972).Tramite il contatto diretto con i problemi che dovrà affrontare, il futuro animatore dell'animazione potrà afferrare più facilmente la caratteristica della sua funzione. Limbos chiarisce il processo di formazione dell'animatore dell'animazione suddividendolo in quattro fasi:1)- Sensibilizzazione-informazione. Il futuro animatore dell'animazione scopre i diversi aspetti e le esigenze dell'animazione culturale. Egli cerca di porsi nelle condizioni più favorevoli in rapporto alle realtà che gli si presentano, con l'aiuto di persone responsabili, di osservatori e del gruppo stesso.2)- Formazione.Si dispone su tre livelli:- apprendimento tecnico;- relazione (saper essere);- realizzazione personale.Scopo da raggiungere è la formazione di animatori dell'animazione di base polivalenti.3)- Perfezionamento. È la formazione continuata, permanente, complementare. Essa mira all'aggiornamento degli animatori dell'animazione in funzione della evoluzioni e dei bisogni.4)- Specializzazione.L'animatore dell'animazione si specializza in vista di una azione in un determinato ambiente specifico (Limbos E., 1972).Voglio sottolineare l'importanza della terza fase di formazione, quella del perfezionamento, che ci fa comprendere come la figura dell'animatore dell'animazione non sia mai completa, poiché richiede continui apporti e modifiche.Anche l'animatore dell'animazione non si deve sottrarre a quella che viene definita «educazione permanente», se vuol rimanere al passo con i tempi.Infatti «il pericolo per l'animatore dell'animazione sarebbe di rinchiudersi nelle abitudini, sia:- al livello del suo atteggiamento generale, il che gli impedirebbe di avanzare verso una maggior pienezza del proprio essere;- sia al livello di metodi. Avendo perfezionato una tecnica che gli sembra efficace, egli potrebbe rinchiudersi in questo metodo che, in capo a qualche tempo, diverrebbe puro formalismo, ritualismo, tale da impedirgli una vera disponibilità alle persone e agli avvenimenti (Macciò C., 1975).Su cosa deve basarsi il difficoltoso processo di formazione dell'animatore dell'animazione?Limbos ne definisce con estrema chiarezza i punti fondamentali che sono:- un processo di formazione «circolare» che partendo dal concetto stesso di formazione, ne prevede il continuo ridimensionamento;- una certa durata nel tempo, per favorire la maturazione e l'assimilazione;- una équipe di animatori che costituisca la concreta attestazione di un lavoro di gruppo...- la vita in continuità, durante periodi relativamente estesi, in occasione di sessioni o di «stages» residenziali in internato, ecc.- una priorità accordata all'autoformazione, vale a dire alla scoperta che il tirocinio può effettuare attraverso esperienze che intensamente sta vivendo. - materie generali, in riferimento ad un tronco comune e materie specifiche viste in funzione dei differenti tipi di animatore dell'animazione da formare (Limbos E., 1972).«La formazione non consiste nel proporre un insieme di ricette, anzi di «trucchi», l'applicazione dei quali dovrebbe infallibilmente condurre a risultati probanti e garantiti.L'obiettivo della formazione è triplice: far acquistare una certa padronanza nel campo delle tecniche educative e socio-culturali; far scoprire l'importanza della relazione nell'animazione dei gruppi e permettere ai partecipanti di procurarsi i mezzi per conoscere, migliorare e applicare concretamente tale relazione, contribuire al personale sviluppo del futuro animatore dell'animazione dandogli l'occasione di arricchirsi interiormente, di perfezionare le sue conoscenze, di acquisire un bagaglio sociale, culturale ed umano da cui potrà trarre profitto nella vita di tutti i giorni e che gli permetterà di progredire verso una maggiore maturità, verso uno stadio più adulto (Limbos E., 1972). Quindi non dobbiamo valorizzare esclusivamente l'acquisizione di tecniche educative, poiché per far sì che l'animatore dell'animazione sia veramente

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completo, e quindi degno di tale denominazione, deve egli stesso svilupparsi ed arricchirsi e quindi giungere a un sempre maggiore livello di maturità.Gli aspetti fondamentali che devono convivere in un buon animatore dell'animazione sono principalmente tre: tecnico, umano ed attivo lavorativo. Molto spesso è stato privilegiato l'aspetto tecnico nella convinzione che per formare animatori dell'animazione fosse soprattutto necessario fornirgli delle nozioni, mentre sappiamo che l'aspetto umano, quello delle relazioni, è sicuramente la base di una buona formazione.67

L'animatore dell'animazione che stiamo delineando non è un tecnico specializzato in particolari attività, infatti la sua azione è basata sulle relazioni in seno ai gruppi e sull'acquisizione di un «saper essere» più che di un «sapere» e un «saper fare». «Per raggiungere questo scopo è necessario porre i futuri animatori dell'animazione in situazioni di gruppo assolutamente concrete, in cui essi possono scoprire gli aspetti diversi di questa fondamentale relazione, senza tuttavia escludere le basi tecniche e scientifiche di notevole importanza» (Limbos E., 1972).È ovvia la necessità di avere anche basi tecniche e scientifiche che permettano all’animatore dell'animazione di formarsi un bagaglio di cognizioni e una competenza in diversi campi: «tecnico, che si riferisce cioè ai sussidi dell'animazione ed ai mezzi concreti per affrontarla con successo:- gestione e funzionamento dei gruppi e delle collettività, particolarmente per tutto ciò che costituisce l'infrastruttura materiale e l'attrezzatura;- sociale ed umano, riguarda punti relativi alla vita in gruppo e alle positive relazioni con gli altri;- formazione personale e generale, che mira allo sviluppo del candidato ed alla sua realizzazione socio-culturale;- psicologico e pedagogico basato sulla conoscenza degli individui e sui metodi per educarli, siano essi giovani o adulti;- ecologico ed economico, che permette di considerare i rapporti dell'uomo con l'ambiente nel quale è destinato a svilupparsi (Limbos E. 1972).«La funzione di animatore dell'animazione socio-culturale non è privilegio di una costa di persone considerate colte o istruite; appartiene al contrari, ad ogni individuo vivente in relazione con i suoi simili. Una madre di famiglia è per i suoi figli un'animatrice socio-culturale, un'insegnante anima la sua classe (Limbos E., 1972).Quindi tutti in alcuni momenti della vita siamo chiamati a svolgere il ruolo di animatore dell'animazione.Alcuni hanno una disposizione innata e quindi sono molto facilitati nel loro compito; nonostante ciò è necessario che tutti, e soprattutto i meno dotati, si impegnino in un processo di formazione progressivo continuo e permanente. Infatti all'animatore dell'animazione «si richiede la dote di riformulare continuamente e in continuità con il passato il suo background culturale e umano generale, per saper affrontare i diversi problemi che il gruppo incontra.Giorno per giorno matura la capacità empatica per comprendere e accettare situazioni forse diverse da quelle che desidererebbe o pensava di incontrare» (Comoglio M., 1985).In sintesi la formazione dell'animatore dell'animazione deve essere volta a promuovere:- la conquista di precisi e specifici contenuti culturali e delle conoscenze e competenze tecnico-didattiche,- la capacità di comunicazione polilinguistica,- la capacità di arricchimento continuo,- la capacità di continua riprogettazione,- la formazione pedagogica volta a promuovere la conoscenza educativa,- continui studi psico-pedagogici (soggetto),- studi attinenti all'educazione e alla didattica (oggetto),- continua formazione personale: atteggiamenti e comportamenti idonei al soggetto e all'oggetto,- continua formazione culturale.L'animatore dell'animazione socio-cuiturale è capace di operare ai vari livelli di alfabetizzaziome e di comunicazione dei vari linguaggi, tali da permettere a ciascun soggetto di crescere attualizzando le proprie capacità scegliendo criticamente la propria esistenza.

- sapere

67 «Un animatore dell'animazione che conosca le tecniche e non invece il metodo e i fondamenti dell'animazione, è simile a un chirurgo che sappia tagliare, saturare e cucire senza però conoscere né l'anatomia, né la fisiologia umana. La sua tecnica gli sarebbe inutile nella maggior parte dei casi, quando non addirittura pericolosa (Pollo M.,1986).

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- fareCULTURA - conoscere TESTIMONIARE

- organizzare- comunicare- comprendere

Tale operatore potrebbe permettere lo sviluppo di un rapporto ottimale tra la scuola, l'Ente Locale, il territorio, il sindacato, la fabbrica e le altra agenzie educative, in grado di rispondere con interventi appropriati alla richiesta sociale di attività, prospettando una trasformazione del territorio capace di far compiere al decentramento delle attività di animazione un salto di qualità che è ormai un inderogabile processo di sviluppo qualitativo e quantitativo del quale la comunità prendendo sempre maggiormente consapevolezza e che permetterà a ciascuno di avere ancora più tempo libero per esistere e per essere, per realizzarsi come persona nella comunità.Sempre più la programmazione deve tendere a capillarizzarsi a tutti i livelli di un rapporto particolare e dialettico con la scuola e il territorio, attraverso la progettazione e l'attuazione di esperienze significative nel campo dell'animazione che tenda a svilupparsi sempre più oltre lo specifico e il chiuse di istituzioni specialistiche per investire con il sue salto di qualità culturale e tecnico la società, la scuola, la fabbrica, la famiglia, la parrocchia, le diverse comunità e i vari insediamenti, ecc. Superamento quindi sia di un'animazione insegnata che di una spontaneistica, poiché: «il fanciullo non è come quelle piante che, portate fuori dalla serra, intristiscono e muoiono per mancanza di clima adatto. L'educatore non ha alcun bisogno di diventare quel sapiente botanico che cerca il tulipano nero»; è un semplice giardiniere che prepara il terreno, zappa, innaffia, strappa le erbacce, perché i fiori possano germogliare, crescere e sbocciare liberamente» (Small M., 1979).Si avverte quindi l'inversione di tendenza dell'animazione improvvisata, che va verso una culturizzazione generalizzata e permanente, fino a costituire uno dei momenti più qualificanti dell'aggregazione e della crescita individuale. L'animatore dell'animazione, in collegamento con la scuola e tutte le varie Istituzioni, potrà costituire lo strumento di coordinamento e di realizzazione delle varie politiche culturali del territorio rispetto alla domanda di cultura che il territorio si pone. Chiaramente più ampie responsabilità e conoscenze competono in tal senso all'animatore dell'animazione poiché non si tratta più soltanto della gestione di una prassi mediocremente realizzata, ma piuttosto di valorizzare tutto quello che di nuovo e di serio in questi tempi la società va esprimendo.Ciò vuol dire sviluppo e approfondimento del pluralismo delle istanze del movimento educativo, polivalenza e interdisciplinarità della educazione contro le sempre più evidenti occasioni di strumentalizzazione specialistica o ideologica che certamente si celano dietro la gestione del consenso acquisito. La prospettiva deve essere quella dell'autonomia culturale dell'animatore dell'animazione nella società e non la dipendenza da essa, in funzione dell'autonomia del singolo e del gruppo ai quali solamente spetta la scelta critica situazionale e mai definitiva:L'animatore dell'animazione costruisce con i ragazzi 1a loro cultura, perché considera la realtà dei soggetti nei loro bisogni fondamentali e tenta con loro di rispondere a questi bisogni. Il bisogno non è solo riferito all'avere, ma anche all'essere. È certamente ideologia e non educazione anche proporre aprioristicamente particolari situazioni di aggregazione e di attività, mentre è educazione proporre a tutti una educazione di base polivalente che poi ciascuno adatterà a sé situazionalmente scegliendo la propria variabile. Così l'essenza del ruolo dell'animatore dell'animazione è quella di proporre lo scopo di dotare il sistema speciale di operatori periferici estremamente qualificati preposti alla programmazione, coordinanti da una parte l'intervento dell'attività e dall'altra le richieste della base determinando una organicità delle iniziative ed una risposta alle istanze con proposte serie ed efficaci.Il potere dell'animatore dell'animazione non è pletorico o pleonastico, perché in una moderna società dove la ideazione e la esecuzione sono due momenti complementari di cui ogni sistema si dota per lo sviluppo e la sopravvivenza di una struttura specifica per progettare e programmare, anche l'animatore dell'animazione deve inserirsi in un quadro unitario ed organico di una molteplicità ed eterogeneità di servizi sociali di cui il singolo e la comunità devono avvalersi.Il potere dell'animatore dell'animazione, quello che conta, lo assume in sé in quanto soggetto incaricato di studiare, ricercare e programmare, decidendo. le innovazioni di cui necessita la struttura sociale e quindi il suo futuro. In tal modo l'animatore dell'animazione acquista una dimensione ampia e organica perché i

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servizi di cui si fa carico diventano servizi di cultura e la sperimentazione è necessaria affinché un sistema sociale possa diventare anche un sistema modernamente formativo (come avviene già in tutti i Paesi della Comunità Europea).L'università si fa pertanto centro di educazione all'animazione, le sedi dove si devono eliminare gli squilibri della formazione degli operatori da un lato, e dall'altro quelli sociali nel campo delle specifiche attività, attraverso:- il passaggio dal presente modo di attuazione delle attività di animazione di tipe verticistico-amministrativo o spontaneistico-divergente, ad una concezione fondata sulla pluralità delle variabili metodologicamente strutturate, corrispondente ad un nuovo modo di intendere la funzione educativa della quale l'animatore dell'animazione si fa promotore e garante;- la riappropriazione, sottratta alla società dei consumi, al CONI, ai più diversi Enti e Associazioni, Cooperative e gruppi spontanei, del ruolo totalizzante e accentratore di soggetti di animazione culturale propagandanti ideologie, ponendo invece nella persona, nella famiglia, negli aggregati sociali, la sede naturale delle scelte morali, culturali, politiche, secondo il dettato della Costituzione, per cancellare definitivamente il pericolo di ulteriori deleghe che finiscono per evidenziarsi come uniche determinanti il modello culturale di animazione;- una pluralità di proposte culturali capaci di creare condizioni di vita migliori in tutti i campi dell'esistenza;- il superamento dell'attuale innaturale isolamento dell'animatore dell'animazione dal contesto sociale, culturale, ambientale, valoriale, favorendo modelli culturali permanentemente critici e l'attuazione di un reale rinnovamento pedagogico possibile solo con una formazione universitaria.Gli obiettivi generali che possono rappresentare una qualificante piattaforma programmatica possono essere così riassunti:- animazione culturale per tutti nella prospettiva di un umanesimo integrale e plenario;- educazione ad una animazione culturale partecipata del singolo e della comunità;- diritto per tutti ad una animazione culturale, al proprio orientamento e riapprofondimento culturale permanente e ricorrente;- diritto per tutti ad una piena possibilità di culturizzazione interdisciplinare attraverso l'animazione in riferimento alle proprie richieste e necessità;- diritto per tutti a scegliere, tra una vasta gamma di variabili di animazione, la propria attività culturale esistenziale che concorra al progresso materiale e spirituale del singolo e della comunità, valorizzando le caratteristiche peculiari della persona e del gruppo.Così l'Università quale centro polivalente di cultura e di formazione anche degli animatori dell'animazione, diventa centro di sperimentazione continua in una prospettiva di cambiamento delle strutture, dei contenuti, dei metodi, delle prospettive occupazionali offrendosi come centri di aggiornamento permanente, prevedendo un programma attuale con prospettive di sviluppo e di cambiamento che elevino il livello culturale ed operativo degli animatori dell'animazione e quindi dl tutta la popolazione, modificando l'orizzonte dei bisogni e delle acquisizioni che si traduca in impegno di giustizia sociale, realizzando uno scambio di influenze tra l'insegnamento e l'animazione, tra destinazione occupazionale e formazione permanente, tra cultura come alfabetizzazione generalizzata di base e specializzazione culturale come scelta vocazionale.In tal modo la nuova figura dell'animatore dell'animazione, si inserisce nella realtà e la trasforma nel rispetto della molteplicità delle dimensioni culturali; diventa elemento stimolante di riflessione critica e di proposte pluridimensionate contro un attivismo episodico fine a se stesso, contro l'appiattimento determinato da proposte regredenti verso la massificazione di modelli primitivi, facenti leva sull'inconscio collettivo, sull'alternativa come liberazione, che sottintende un ribaltamento di valori. Al contrario l'animatore dell'animazione, attraverso la proposta di attività permanenti, ricorrenti ed episodiche, aiuta ciascuno a diventare, da prevalente fruitore, a prevalente produttore e fruitore attivo, dando l'avvio ad un processo di modifica del quadro culturale generale che, attraverso un alto grado di preparazione e di ricerca, sollecitato dalla base, giunge a realizzazioni usufruibili da tutta la comunità.Relativamente a tutte queste considerazioni, la funzione principale dell'insegnante-animatore dell'animazione è l'essere agente di cambiamento attraverso la spinta che dà all'autogestione dei gruppi: l'intervento dell'insegnante-animatore dell'animazione comprende tre aspetti:

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- l'aspetto psicologico attraverso il quale egli, conosciuto il bambino, si propone di farlo crescere mutandone gli atteggiamenti, i pregiudizi, la percezione dei suoi bisogni e dei modi di soddisfarli;- l'aspetto sociologico è quello che l'insegnante desume dall'organizzazione sociale del gruppo e modifica ristrutturando i rapporti di ruoli;- l'aspetto pedagogico orienta e stimola ad imparare nuove modalità di apprendimentoL'insegnante-animatore dell'animazione evita di sostituirsi ai ragazzi, sollecita le loro espressioni motorie, pittoriche, verbali, ed interviene ponendo domande che problemizzino le situazioni e facciano nascere il dubbio. Da questi dubbi vengono enucleati i problemi e si costruiscono ipotesi di soluzione. L'animatore dell'animazione è un continuo riformulatore di obiettivi in funzione della crescita culturale dei ragazzi.L'insegnante-animatore dell'animazione non programma a priori i contenuti, ma organizza gli stimoli da offrire e, eventualmente, suggerisce le tecniche da usare. Educa la sensibilità, l'intelligenza, la creatività, l'astrazione, lasciando ai bambini la facoltà di crescere secondo il proprio ritmo. Lavora su contenuti che provengono dall'esperienza e che attraverso l'esperienza possono essere verificati, promuove attività di gioco, di lavoro, di studio, di ricerca nelle quali ogni ragazzo si riconosce, trova le motivazioni per l'impegno, si realizza», (Rostagno R., Pellegrini B., 1978).Partendo da tali presupposti si può dare inizio ad iniziative di integrazione e di trasformazione dei modelli culturali e organizzativi tradizionali per una educazione umanistica nuova, aderente all'attuale domanda sociale e in prospettiva gene razionale.Poiché soprattutto le attività di animazione comprendono tutte quelle iniziative che tendono ad allargare il campo degli interventi tradizionali, occorre che l'animatore dell'animazione assuma un diverso respiro culturale rispondente alle modificazioni emergenti per avviare modelli socio-culturali di sicuro risultato di formazione di uno stile di vita permanentemente creativo.Gli argomenti spaziano su iniziative culturali di interesse generale e specifico e di grande variabilità, ma l'istituzionalizzazione dovrà essere permessa solo ad una struttura universitaria ed ai relativi operatori da essa formati. Un tale intervento ha chiari e immediati risvolti sulla politica in generale e sulle condizioni di vita nel loro complesso, effetti positivi sul clima e sulla qualità del dibattito e del confronto che investe l'attività di animazione e l'educazione in generale, poiché mette in moto un movimento di alternative qualificate e qualificanti circa i contenuti e i fini verso cui deve muovere una moderna struttura sociale.

4.11. L'animatore dell'animazione come operatore socio-culturale

La definizione dell'animatore dell'animazione come operatore socio-culturale polivalente, permette un ulteriore momento di crescita e di ampliamento delle competenze di formazione, gestione e organizzazione delle attività di animazione, rappresentando uno dei più significativi momenti di rinnovamento della scuola, del territorio, delle stesse condizioni di vita di tutti i cittadini.Il principio della partecipazione democratica si avvale quindi di supporti educativi ad alto grado di professionalità e trova una sua più ampia e concreta realizzazione dentro e fuori la scuola; inoltre la programmazione e la gestione cessano di essere di esclusiva competenza di enti delegati ai servizi sociali, ma vengono richieste e assegnate alla espressione elettiva della comunità nei vari campi dell'animazione: gli animatori dell'animazione socio-culturali. In tal modo essi vengono investiti del ruolo di protagonisti, relativamente agli ambiti specifici, del quale devono appropriarsi per progettare e operare, non solo nell'ambito istituzionale tradizionale (la scuola e le attività integrative), ma anche prima e dopo essa, al permanente servizio della crescita personale e comunitaria di ciascuna persona.Appare oggi più che mai la contraddizione tra lavoro, formazione e cultura; qualificazione professionale e qualificazione esistenziale; insegnamento e educazione permanente; fabbrica, scuola e attualità socio-culturale; educazione come alfabetizzazione e specializzazione; tempo libero autogestito e tempo libero istituzionalizzato, ecc.Per troppo tempo, nel passato, «l'insegnante ha istruito senza poter più trovare il tempo per spiegare i problemi che la sua istruzione ha fatto nascere e senza potersi assicurare che questi problemi erano stati compresi» (Cousinet R., 1952) Tali fratture potrebbero trovare nell'animatore dell'animazione, e mediante la sua opera, un momento di reale ricomposizione e di progettazione risolutiva. Ciò potrebbe accadere attraverso la ricerca di una interfunzionalità tra il permanente miglioramento della sua preparazione universitaria ed un progetto globale di animazione capillarizzata sul territorio e sui soggetti.

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I campi di intervento sono molti e tutti di estremo interesse: tra gli altri si possono ricordare l'educazione corporea di base, la mimica e la gestualità, l'educazione ritmico-musicale, lo sport sociale, la drammatizzazione e il teatro, le attività ricreative e del tempo libero, l'educazione alla e della famiglia, il trattamento e il recupero degli svantaggiati, il reinserimento degli anziani, la riscoperta e l'adattamento della tradizione popolare, ecc. Tutto ciò in funzione della ricomposizione valoriale dei nuclei aggregativi (a partire dalla famiglia), lo scambio e l'incontro tra i diversi gruppi e comunità sempre più ampie, l'intervento promozionale, organizzativo e operativo su ogni centro polivalente, la ricerca teorico-metodologica generale e quella didattica capillarizzata sul territorio, i vari aggregati sociali e il soggetto, la messa a disposizione di tutta la comunità della propria conoscenza, esperienza, professionalità.Il collegamento sempre più paritetico ed elettivo tra l'animatore dell'animazione e gli Enti delegati ai servizi sociali e la richiesta di tutta la comunità, si indirizza quindi nei campi particolari delle attività di animazione determinando, da parte di ciascuna, una riappropriazione del proprio ruolo al servizio di tutti coloro che desiderano partecipare dell'esperienza.Si pongono così le premesse e le condizioni perché il sistema promozionale e gestionale attuale, spesso improvvisato e superficiale, cominci a porsi su piani di armonico e qualificato intervento nei confronti della effettiva realtà di ciascuna persona e del suo gruppo di appartenenza e di scelta sollecitandone l'attuazione di tutte le potenzialità proprie e alternative, compensative e creative, nella scuola ed oltre, verso una permanente liberazione. In tal modo, nei confronti dl tutte le componenti sociali che hanno come coefficiente comune la spinta aggregativa determinata da interessi di animazione, l'animatore dell'animazione ricerca un effettivo riconoscimento ed istituzionalizzazione per recuperare il proprio ed esclusivo diritto all'educazione di questi aspetti particolari dell'esistenza, per gestire, quale supporto scientifico e operativo delle tradizionali istituzioni, tali attività, formandosi contemporaneamente, ma autonomamente, i propri modelli operativi, attraverso un continuo processo di rinnovamenti e di riforme a cui occorre che ciascuno dia il proprio apporto per farle diventare più facilmente realizzabili.L'assistente sociale, il tecnico specializzato, il giornalista, i responsabili delle comunità sono tutti animatori dell'animazione socio-culturali permanenti o occasionali, professionali o volontari» (Limbos E., 1972).Tuttavia nella società contemporanea e in prospettiva: «l'animazione culturale è la funzione di una équipe di animatori dell'animazione impegnati in un ambiente da essi ben conosciuto e in cui sono accettati. Essi si sforzano di stimolare la creatività e la libera espressione dei singoli membri favorendo:- la partecipazione attiva e l'impegno personale;- l'adesione ad obiettivi liberamente scelti, in funzione dei bisogni e l'elaborazione dei mezzi per raggiungerli;- la presa di coscienza delle possibilità di realizzazione;- le relazioni interpersonali positive;- l'adattamento all'evoluzione della società;- l'autonomia di ciascuno ed il rispetto dei valori e della personalità degli altri;- le comunicazioni e le relazioni con le altre collettività» (Limbos E., 1972).Attraverso questa nuova figura di animatore dell'animazione, si può mettere in moto una innovazione che interessa tutto il tempo umano in moltissimi dei suoi aspetti, fino a rappresentare una positiva inversione della tendenza storica della nostra politica della animazione, poiché introduce il concetto di gestione culturale dl tali attività, ad alto coefficiente di professionalità, essendo da una parte espressione qualitativamente elettiva della comunità e dall'altra immediata operatività in risposta alle richieste emergenti.La programmazione e l'attuazione delle attività di animazione, non può quindi essere delegata all'ente il quale a sua volta, pressato dalle richieste e dai tempi, delega i primi gruppi che trova, per gli evidenti pericoli di ideologizzazione, spontaneismo, improvvisazione, contrari ad una proposta educativa che presuppone al contrario qualificate conoscenze e mentalità scientifica. L'autorità educativa non è quindi più quella delegata alle più diverse équipes o gruppi di incontro improvvisati, ma usufruisce dei suggerimenti metodologici e tecnici degli esperti reali e così attende, qualitativamente e quantitativamente, ai problemi educativi e culturali che adoperano come mezzo l'animazione.L'animatore dell'animazione diviene il punto di riferimento obbligato, istituzionalmente, per individuare le sedi, gli strumenti, gli elementi adatti per cogliere e servire la domanda di educabilità proveniente dalla base. «L'animatore dell'animazione socio-culturale è destinato a evolversi ed a inserirsi in ambienti e gruppi a volte differenti rispetto al numero. I suoi rapporti con gli altri si inquadrano a tre livelli:

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- grandi gruppi: comunità, collettività ed anche folle relativamente numerose;- gruppi ristretti, formati da 20 o 25 membri al massimo, che costituiscono, inoltre, delle entità in cui l'individuo quotidianamente si evolve, sia nel lavoro scolastico o professionale, sia nelle attività ricreative;- persone, individualmente considerate, che avvicina ogni giorno o che incontra occasionalmente» (Limbos E., 1972).Un tale animatore dell'animazione non è assolutamente finalizzato alla società dei consumi, all'apparato produttivo, al C0NI, al partito, ma risulta strumento essenziale di collegamento e di dialettica tra i programmi della scuola, dell'ente delegato al servizio sociale, del sindacato, della parrocchia, del quartiere, esprimendo una più vasta e dinamica cultura usufruibile e producibile all'interno della propria struttura ed avviando contemporaneamente un decentramento operativo secondo il principio della gestione e della partecipazione dell'utenza alla determinazione dell'offerta dei servizi, anziché secondo quella della capillarizzazione destinata a rimanere in superficie o dell'accentramento verticistico delle iniziative, metodi e sistemi che quasi mai sono in sintonia con le necessità del singolo, del piccolo gruppo, del territorio. L'animatore dell'animazione assume anche compiti di progettazione didattica delle attività elaborando proposte di sperimentazione interfunzionale e interdisciplinare e controllandone periodicamente la qualificazione, programmando studi e ricerche utili ad una più approfondita conoscenza della realtà locale. Inoltre egli è in grado di stimolare e sollecitare i centri polivalenti di cultura distribuiti nel territorio, stimola i singoli e le famiglie a fruire delle iniziative permanenti nel territorio e dei momenti di sintesi periodica (case vacanza, settimane bianche, campeggi, ferie, ecc.). In tal modo tutta la popolazione diventa destinataria e partecipe degli insediamenti culturali capillarizzati nel territorio, attraverso un progetto di animazione permanente e ricorrente, la promozione della crescita psico-fisica e culturale dell'individuo e della comunità, l'intervento sulle strutture e sul personale dipendente, la preparazione degli altri operatori socio-culturali, delle attività, l'incontro con le diverse generazioni, ecc.Un tale operatore diventa chiaramente autorità della politica culturale di un gran numero dl attività in qualunque centro di aggregazione, in particolare per la ricerca scientifica che svolge e per le stimolazioni innovative e le risoluzioni organizzative, logistiche e di aggiornamento che propone come risposte alle innumerevoli richieste della comunità.Programmare sul territorio significa come prima cosa effettuare delle rilevazioni capillari dei bisogni culturali e delle risorse strutturali esistenti, successivamente interpretare tali realtà stabilendo delle priorità sul piane degli interventi come espressione del rispetto della comunità locale e delle necessità del singolo, rifiutando qualunque privilegio di gruppi economicamente più forti e più produttivi, intervenendo sulle condizioni dell'ambiente di lavoro, su quelle scolastiche, sull'educazione della coppia al1a procreazione ed alla educazione dei figli, alla diagnosi pre-natale e post-nata1e, sugli anziani, gli svantaggiati, la programmazione e la realizzazione urbanistica, oltre che sui campi di intervento tradizionali.La rilevazione sul territorio va fatta recuperando in particolare tutte quelle esperienze e quegli spazi che possono servire, attraverso un salto qualitativo di cultura, a dare ampio respiro alle prime e fondamentali esigenze di movimento e di cultura e sono inoltre più facilmente usufruibili da parte di coloro che generalmente oggi ne sono esclusi (i piccolissimi, le donne, gli anziani, gli svantaggiati, i lavoratori).Tuttavia occorre anche considerare la struttura accentrata e l'attività di specializzazione, che devono essere destinate a particolari momenti da affinare e approfondire. Approntando da una parte una categoria di animatori preparati e dall'altra numerosi centri polivalenti di cultura decentrati sul territorio, decentrando nei grossi insediamenti e aggregando nelle zone disperse, prevedendo una alfabetizzazione generale relativamente a tutte le attività di animazione, riteniamo che si possa effettivamente aiutare ciascuno a diventare produttore di cultura e di sollecitazioni aggregative, cioè, in ultima analisi, animatore dell'animazione.

4.12. L'animatore dell'animazione come educatore

L'animatore dell'animazione non è il docente depositario-trasmettitore di valori assoluti, della norma comportamentale, della cultura ufficiale; poiché la cultura è il modo di essere al mondo, cioè il modo in cui l'uomo elabora dei prodotti in risposta ai suoi bisogni, l'animatore dell'animazione è colui che costruisce con gli altri il proprio modo di essere al mondo.L'animatore dell'animazione non è unicamente l'esperto in attività espressivè; egli sa dosare l'intervento a seconda delle esigenze dei singoli ragazzi e realizzare un giusto equilibrio fra espressività e razionalità, in

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quanto il suo obiettivo è formare dei soggetti equilibrati. L'animatore dell'animazione reinserisce nel circuito educativo tutte le potenzialità espressive e comunicative della persona, non solo la lingua imposta dalla scuola come unico mezzo di comunicazione, ma il corpo, il gioco, i gesti, il suono, il ritmo, il silenzio, la voce, il disegno, le immagini, il fumetto, la TV, il giornale, i libri, il museo, la fabbrica, la piazza, il teatro, la strada...Animatore dell'animazione può essere l'insegnante, con l'opportunità, per il periodo di aggiornamento, di avvalersi di animatori dell'animazione specializzati; è però di fondamentale importanza superare la dicotomia tra l'animatore dell'animazione specialista e l'insegnante; fino ad ora l'animatore dell'animazione si presentava come «adulto alternativo», come uomo libero da condizionamenti culturali, dai tabù, dalle repressioni comportamentali, dotato dal punto di vista dei rapporti sociali, in contrapposizione alla figura del maestro viziata da abitudini codificate dalla routine, legata a schemi nozionistici, carente di stimoli.Di fronte a questa alternativa di modelli il bambino è costretto a scegliere il proprio adulto di riferimento»; ne deriva una morale educativa che è il comportamento nei confronti di una società divisa tra buoni e cattivi, dove bisogna saper distinguere gli uni dagli altri, per amare i primi e condannare i secondi (Passatore F. 1979).Il prime compito dell'educatore è di far nascere e di lasciar nascere il desiderio di esprimersi per l'altro, poi di comprendere l'altro, poi di entrare in relazione con l'altro mediante un gesto che ha un valore simbolico e che ci condurrà verso l'espressione corporale (mimo, danza). Fondamentale risulta il ruolo dell'educatore che svolge il suo compito di sollecitazione delle varie forme espressivo-comunicative, pone problemi, fa nascere dubbi, di modo che i ragazzi abbiano costante desiderio di crescita, nelle sviluppo delle loro capacità critiche.Un fine importante di tutte le attività di animazione è, senza dubbio, la comunicazione, cioè il rapporto attivo tra un soggetto e l'altro, il gruppo, la collettività. Pertanto è necessaria la scelta di cosa si vuol comunicare, come la si vuol dire, con quali linguaggi, dove, perché.L'animatore dell'animazione-educatore deve avere disponibilità all'uso e all'invenzione di modalità d'intervento per la nascita di un rapporto comunitario, consapevolezza delle varie problematiche oggettive del gruppo, cioè: realtà diverse, aggressività, condizionamento, ludicità, tensione alla creatività, caratteristiche che possiamo considerare comuni nel bambine in generale. È proprio dell'animatore dell'animazione partire da queste caratteristiche per avviarle in un processo di organizzazione del gruppo che si manifesta in tecniche d'intervento, diverse rispetto alle varie situazioni, alle età, al disadattamento, alla disponibilità, ecc...A questo proposito possiamo prendere come esempio la tesi di Passatore che così divide queste tecniche:- tecniche d'avvicinamento: l'animazione deve apparire disponibile, rifiutare il ruolo tradizionale dell'insegnante. Atto provocatorio questo, con lo scopo di rompere immediatamente i condizionamenti della classe.- Tecniche di socializzazione: l'educatore deve cercare di incanalare l'aggressività del bambino in funzione socializzante, stimolando in lui il desiderio di lavorare insieme, necessariamente in collaborazione. Si tratta di un coinvolgimento effettuato attraverso una proposta operativa, fatta apparentemente al singolo bambino, ma che per realizzarsi ha bisogno dell'operosità di tutti.L'intervento deve essere uguale per tutti per mettere in condizione di parità i singoli bambini, e di conseguenza recuperare al gioco anche i disadattati e gli isolati.- Tecniche liberatorie: l'educatore deve favorire nel bambino la liberazione della sua emotività e restituirgli una libertà gestuale, rimuoverlo in senso psicologico, stimolarlo nell'uso della fantasia; deve aiutarlo a recuperare la sua primitiva espressività. Con queste premesse risulta chiaro come non debba esistere nella pratica scolastica la figura dell'animatore dell'animazione esterno, questo, infatti, si deve identificare con il maestro stesso. Altrimenti si può correre il rischio che l'animatore dell'animazione esterno, non conosca gli specifici problemi della classe e delle varie visualità dei bambini, applichi tecniche inadeguate e calate dall'alto. È dunque da evitare il lavoro saltuario nelle scuole dell'animatore dell'animazione che dopo aver stimolato alla drammatizzazione o ad altri modi di comunicare, se ne va, lasciando spesso immutata la situazione.- Tecnica della successione logica: serve a predisporre il gioco didattico e l'utilizzazione degli strumenti in forma ordinata, conseguente e rapportata al momento logico, creativo ed operativo, allo scopo di favorire l'andamento del lavoro della classe in maniera autosufficiente.

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- Tecniche decondizionanti: alla base dl un atteggiamento educativo nuovo c'è la necessità di intervenire con tecniche decondizionanti da certi stereotipi, dal conformismo. Si basano principalmente sull'uso di stimoli all'astrazione, all'espressività personale, al recupero di tutti i canali percettivi, all'utilizzazione di materiali poveri, all'invenzione e all'utilizzazione di nuove tecniche espressive, alla realizzazione di rapporti antiautoritari e antirepressivi dentro e fuori la scuola.- Tecnica della trasformazione dell'oggetto: è uno stimolo alla conoscenza in senso creativo. Si basa sia sulla flessibilità, cioè la capacità di adattamento a situazioni diverse, sia sulla consapevolezza, cioè la capacità di produrre un gran numero di idee adattando la realtà e gli oggetti alle diverse soluzioni inventate.- Tecniche di conoscenza: cioè stimoli all'organizzazione della conoscenza delle cose, delle persone e dell'ambiente in senso giocoso.- Tecniche di concentrazione: consiste nel favorire la concentrazione nel bambino attraverso esercizi ritmici, sonori, mimici, e sensoriali, utilizzando interventi di stimolo analogico, induttivo, immaginativo.- Tecniche dl coinvolgimento: la proposta tende a motivare l'azione espressa nel ragazzo non in senso estetico ma in funzione sociale.- Tecniche di comunicazione: la comunicazione deve essere la finalità principale di un'educazione basata sulla libera espressione.Il bambino non è un individuo fisso, classificato e catalogato una volta per tutte. L'educatore deve comprenderlo, ma è molto più importante la comprensione che il bambino deve raggiungere da se stesso. Il desiderio profondo del bambino è quello di essere libero nei suoi atti, veramente libero, ossia non giudicato e sottoposto selettivamente al desiderio dell'adulto. Vasti campi di attività devono essergli permessi perché vi si esprima in tutta libertà, senza costrizione educativa. Il ruolo dell'educatore è di proporre degli oggetti, delle materie, dei suoni, dei temi generali di ricerca, e di lasciare che i bambini stessi esplorino tutti questi elementi, attendendo che nella loro ricerca, essi abbiano bisogno di lui. Non sono i bambini a disposizione dell'educatore, ma viceversa. Ciò nonostante l'atteggiamento dell'educatore non può essere totalmente permissivo; egli deve aiutare ciascuno a conoscere se stesso e gli altri in un concetto di ordine e di rispetto che, a poco a poco, diventerà la base del vivere soggettivo e sociale.

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CAP. V -ANIMAZIONE, CAMPI, STRUMENTI, PROGRAMMAZIONE

I principali strumenti che possono aiutare il raggiungimento degli obiettivi dell'animazione, sono:- la comunicazione,- il gruppo primario,- il metodo di ricerca e di lavoro.

5.1. La comunicazione

È la funzione che rende concreti i sistemi simbolici creati dall'uomo per leggere l'ambiente.Pertanto l'azione educativa tende a far si che le persone si riapproprino e ristrutturino i loro processi di comunicazione. La comunicazione è anche la rete di collegamento primaria del sistema sociale, la strada attraverso cui si realizza la socializzazione e l'identità culturale (psico-fisica-sociale-cognitiva) con l'altro.

5.2. Il gruppo primario

È il luogo (nello spazio-tempo) privilegiato per l'animazione culturale poiché è il cardine dell'individuo e delle organizzazioni sociali più vaste e dei loro mutamenti.Le metodologie scientifiche permettono all'animatore dell'animazione di controllare efficacemente i processi di mutamento individuali e sociali orientandoli verso la presa di coscienza per la quale si intendono cinque fenomeni connessi sincronicamente e diacronicamente:. Il confronto concreto fra le categorie del pensiero, gli atteggiamenti, l'esperienza quotidiana. Si tratta di analizzare la coerenza tra i vari sistemi simbolici dell'individuo (in particolare astratti e concreti).. Di conseguenza la constatazione di quanto può esservi di falso, di distorto, di inadeguato o di positivo, valoriale, coerente tanto nelle categorie che negli atteggiamenti a priori dell'individuo.. Riflessione razionale sulle categorie mentali e sugli atteggiamenti e i sistemi simbolici per aiutare ciascuno a prenderne consapevolezza e diventare competente, per demistificare le certezze a priori che spesso alterano il proprio rapporto con la realtà e con gli altri. Questa coscienza-competenza conduce ad un dinamico mutamento dei sistemi mentali e degli atteggiamenti individuali.. La scoperta di una nuova realtà, il cambiamento dei precedenti sistemi simbolici e la nascita di nuovi, provoca concretamente una nuova percezione della realtà che si fa più profonda e significativa della precedente.. La coscienza supera i sistemi simbolici radicati nel passato, coglie il presente nella sua totalità e si orienta verso il futuro.Imparare ad apprendere, avviene correttamente, nella maggior parte dei casi, dall'essere nel gruppo. Pertanto l'animazione culturale è una strategia di formazione globale.

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5.3. Metodo della ricerca e del lavoro

Se consideriamo l'animazione come strategia educativa in grado di sviluppare l'autonomia, la capacità di partecipazione critica e attiva alla fruizione ed alla creazione della cultura sociale da parte di individui e gruppi sociali, la metodologia della ricerca diventa allora acquisizione critica e attiva della cultura sociale, abilita gli individui e i gruppi ad impossessarsi di quei sistemi simbolici che servono a potenziare la loro capacità di crescita e di progresso. Inoltre la metodologia della ricerca dà garanzia che le proprie scoperte ed acquisizioni culturali, svolte secondo procedure logiche validate dalla cultura sociale, possono essere comunicate e confrontate con gli altri, facilitandone la circolazione sociale.

5.4. Interazione fra i tre strumenti

L'interazione tra i tre strumenti produce particolari effetti congruenti agli scopi dell'animazione, in particolare favorisce l'apprendimento e l'evolversi da parte degli individui e dei gruppi della loro capacità di apprendere.68

Metodologia della ricerca e dinamica di gruppo aiutano fortemente la revisione critica del rapporto di comunicazione che ciascuno ha con se stesso, gli altri e la natura.Il gruppo di appartenenza è dunque un sistema aperto che scambia continuamente materia-energia e informazione con l'ambiente in cui vive, anche attraverso il recupero dell'esperienza individuale così da inserire, nel processo educativo, ogni persona con la sua storia, la sua originalità e irreperibilità in quanto fornisce esperienze più vaste di quelle del gruppo. I tre strumenti indicano (nello spazio-tempo) il sistema concreto-simbolico, il metodo e l'insieme dei canali di comunicazione in cui l'apprendimento si lega con l'esperienza passata e presente e con il progetto comunitario del domani. Insieme si pongono l'obiettivo di condurre i soggetti ad autogestire, individualmente ed insieme, i processi di formazione ed apprendimento (co-animatori dell'animazione di se stessi e degli altri e formazione permanente).L'animazione si fa strategia di liberazione delle disposizioni umane, in particolare delle capacità di apprendimento e di autogestione della persona attivando concreti processi volti ad aiutare tutti a maturare una presa di coscienza di sé e degli altri, ad assumere la responsabilità individuale e collettiva, ad analizzare la propria vita quotidiana. Pertanto gli strumenti dell'animazione culturale derivano dallo studio della dinamica di gruppo e della comunicazione umana; consentono un'analisi scientificamente ed essenzialmente corretta delle esperienze quotidiane; consentono l'azione di ricollegamento tra parola e cosa, tra parola ed esperienza, tra parola e carne che la cultura sociale ha separato svuotando il nostro modo di comunicare di realtà e di verità.

5.5. Animazione e programmazione educativa

La proposta va organizzata secondo le ormai classiche tappe della programmazione educativa (analisi della situazione, individuazione di valori e scelta di un progetto di uomo, definizione di finalità e scelta di obiettivi ai vari gradi, delineazione di alcune strategie, metodi, mezzi, orientamenti, valutazione e verifica).Programmare in animazione vuol dire migliorare la propria competenza educativa, verificare continuamente gli obiettivi scelti, rendere intenzionale e quindi responsabile la propria attività, confrontandosi continuamente con la realtà, tendere al cambiamento.Il progetto educativo dell'animazione vuole rispondere alla domanda:- quale tipo di persona si vuole raggiungere e qual'è il suo senso ? All'interno del progetto si costruisce un curricolo (un itinerario) che esprime il cammino di trasformazione e di crescita che compie un soggetto a seguito di un intervento educativo. In esso l'educatore-animatore dell'animazione formula e pianifica le azioni atte al conseguimento degli obiettivi formulati dal progetto. L'itinerario esprime il progetto in termini di progressività, ne specifica i contenuti, esperienze, tempi, obiettivi particolari, ecc.

68 Attraverso le dinamiche che si sviluppano nel gruppo primario, gli individui superano i blocchi mentali e affettivi che limitano la presa di coscienza di gran parte delle informazioni provenienti dal macrosistema e contemporaneamente permettono, con una adatta metodologia, di sottoporle ad una rigorosa valutazione validante.

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La programmazione educativa costituisce il collegamento tra i principi e le teorie educative e la sua tradizione in attività educativa concreta, all'interno di un determinato sistema sociale. Essa non si limita alla definizione dei fini, all'inventario delle risorse e alla individuazione dei mezzi, ma poiché è cosciente che il processo formativo si svolge in un universo concreto-simbolico che si realizza nel presente e si proietta nel futuro (memore del passato), considera la dimensione etica di ogni strumento, la reale distribuzione del potere e l'utopia che può modificarla ed infine il sistema dei valori sociali in uso.Una reale pratica di animazione, come educazione-liberazione, ha la necessità di una programmazione costruita dall'animatore dell'animazione insieme al gruppo soggetto-oggetto dell'animazione. La programmazione costituisce già di per sé un metodo di animazione e ne è parte integrante.

5.5.1. Gli scopi

La definizione degli scopi è il primo momento della programmazione ed ha carattere di centralità nella costruzione del progetto. La definizione degli scopi deve essere fatta con molta cura, ricchezza di contenuti e ampia articolazione di significati.Si tratta di costruire un sistema concettuale (complesso di assunti teorici) nei quali sostanziare, con un significato profondo ed univoco, i fini dell'azione educativa (più che definire gli scopi, si tratta soprattutto di concettualizzarli). Definire gli scopi vuole anche dire chiaramente quale antropologia si è scelta, dando ad essi il senso: si desidera raggiungere un fine poiché si pensa che sia utile ed abbia un valore rispetto ad un particolare sistema di cultura, di ideologie che ne sono il riferimento, attraverso un percorso che li riconduce alla vita quotidiana.Tuttavia la concettualizzazione non è solo una operazione teorica (per non rischiare di trasformarsi in una imposizione acritica di un metodo educativo), ma nasce dal rapporto dell'animatore dell'animazione con il gruppo primario, luogo del suo operare, utilizzando il metodo scientifico. È nel gruppo che si affronta la concettualizzazione degli scopi che costituisce un momento fondamentale del suo educarsi attraverso l'animazione. In questa fase l'animatore dell'animazione ne è la guida (in termini di feedback) e pertanto deve essere competente sulle metodologie di concettualizzazione imparando ad applicarle correttamente. È inoltre il garante della tradizione (in senso lato), cioè il garante della coerenza dei processi di apprendimento rispetto al sistema culturale nel quale essi avvengono. Sotto lo stimolo dell'animatore dell'animazione, il gruppo muove da propri bisogni, dalla propria realtà per giungere alla concettualizzazione; successivamente inverte il processo (dalla teoria all'esperienza e da questa alla teoria). Usa quindi sia il metodo induttivo che quello deduttivo. Gli scopi di cui si parla sono quelli presenti nel gruppo sociale in oggetto di formazione, o nell'organizzazione e\o istituzione che promuove l'attività di formazione. Nelle altre fasi della programmazione, gli scopi di cui sopra si salderanno con quelli dell'animazione culturale. I processi formativi muovono sempre da scopi e interessi che sono essenziali per la vita sociale o del gruppo o dell'organizzazione-istituzione che promuove il gruppo formativo.69

È già animazione far capire che attraverso un frammento di vita, si è già nell'universo della vita. Concettualizzare intorno agli scopi, vuole anche dire alcune cose intorno agli strumenti che si intendono usare per raggiungerli (quindi anche dei mezzi, risorse, professionalità, ecc.). È chiaro che lo scopo che risulta dall'attività educativa, non è solo quello prescelto dall'animatore dell'animazione e/o dal gruppo, ma risulta dall'interazione con quelli generati dal contesto più ampio e dagli stessi dinamismi dell'attività educativa. La programmazione (previsione) individua e concettualizza gli scopi all'interno di un disegno organico (progetto). Inoltre si analizzano il tempo e le risorse (strumenti, uomini, potenzialità, possesso di beni economici, possesso di un determinato potere...) che si hanno a disposizione.

5.5.2. Analisi delle risorse

L'inventario dei mezzi e delle risorse costituisce il momento di analisi qualitativa degli strumenti a disposizione dell'animatore dell'animazione e del gruppo, preparandoli ad essere incorporati in un sistema

69Va tenuto conto sia degli scopi immediati, evidenti (operativi), che di quelli intermedi (comunicativi), che di quelli permanenti (di transfer): gli scopi immanenti alla vita del gruppo di formazione devono saldarsi con quelli formativi più ampi.

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organico: il programma. Si tratta di vedere qual'è il tipo di analisi utile per l'animazione per chiarire fino in fondo gli scopi immanenti delle risorse, la loro dimensione etica, il loro valore e il loro rapporto con la distribuzione sociale del potere. Mentre la scelta della risorsa uomini che interverranno con la loro professionalità nel processo formativo non può essere pre-calcolata, ma dipende dalle esigenze che si evidenziano nel cammino del gruppo, gli strumenti possono già essere predisposti. Uno strumento è il sistema simbolico (concettuale o concreto), che media il rapporto dell'uomo con se stesso, con gli altri, con la natura.Si possono dividere gli strumenti in due insiemi:- quello che comprende i sistemi simbolici che possono essere definiti come sistemi concettuali astratti (teoria dei sistemi);- quelli che inducono operazioni di trasformazione della natura in ogni senso.Sotto il termine strumenti si raccolgono l'esperienza, la cultura, l'arte, la tecnologia della storia dell'uomo. Quindi per risorse si intendono sia le teorie e metodologie scientifiche che i beni e le tecnologie materiali necessarie allo svolgimento del processo formativo; essi presentano sia un significato esplicito che uno implicito (come gli stessi scopi). Ma gli strumenti, oltre la loro natura e la loro efficacia, hanno anche una dimensione etica, poiché mettono in rapporto con gli altri, con se stessi e influiscono nell'ambiente e nella natura, migliorandoli o peggiorandoli.Per la sua natura etica, la valutazione dello strumento deve essere svincolata dalla sfera della morale privata, per coinvolgere direttamente quella collettiva, in maniera partecipata e condivisa dal sistema sociale in cui la formazione avviene. L'invenzione di nuovi strumenti va sempre fatta a misura d'uomo, rifiutando le spinte all'efficienza e al profitto. Poiché gli effetti di uno strumento non sono del tutto prevedibili, se ne richiede una continua verifica, un controllo permanente attento ad ogni sviluppo indiscriminato, con la disponibilità anche ad eliminare quegli strumenti (anche se produttivi e efficienti) che riducano lo spazio vitale restringendo l'universo simbolico dell'uomo, soprattutto nella sua disposizione alla trascendenza. Ogni strumento (simbolico, concettuale, concreto) struttura sia la percezione della realtà che la costituzione e l'organizzazione del mondo concreto dell'uomo (rapporto natura-società).La valutazione etica dello strumento, nei termini di una morale sociale, è funzione particolare del sistema simbolico, quale strumento fondamentale nel sistema sociale. I sistemi simbolici, per la loro natura, sono sempre strumenti di azione e quindi di trasformazione della realtà.

5.5.3. Programmazione come prassi liberatoria

Essendo la programmazione, non atto astratto compiuto prima del processo di animazione, ma riflessione continua che accompagna, orientandolo, il processo di animazione, è essa stessa un aspetto particolare dell'animazione. L'animazione mira principalmente ad esercitare una funzione liberatoria e di trasformazione della realtà sociale, nella misura in cui oltre a far evolvere la coscienza e la vita simbolica degli individui e dei gruppi, critica il potere ed avvia la sua ridistribuzione. Poiché il potere è prima di tutto simbolico, avendo sede nei simboli presenti nella vita sociale, l'animazione, svelando la prigione dei simboli che limita la libertà individuale e sociale, avvia una profonda e pacifica rivoluzione verso la liberazione della persona e della società.

5.5.4. Verifica

Il sistema formativo deve avere la capacità di retroazione, cioè di continua revisione critica dei processi durante il loro svolgimento. Occorre progettare veri e propri meccanismi retroattivi per poter effettuare verifiche periodiche in cui attuare la revisione di quanto effettuato fino a quel momento, sia in relazione alla sua dimensione interna (coerenza dell'azione di animazione), sia esterna (significati nelle relazioni del sistema formativo con quello sociale).La validazione della programmazione consiste pertanto nella previsione dei risultati, ma anche nell'elaborazione e progettazione di quegli strumenti che consentano, da parte del sistema formativo, un controllo interno (verifica della coerenza e del senso) ed un controllo esterno (significati che l'animazione e i suoi atti e fatti acquisiscono nelle sue relazioni con l'ambiente). Tale verifica riguarda sia il presente, sia la previsione dei significati che il discorso formativo acquisirà nel futuro dei soggetti.

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5.6. Campi dell'animazione

Ma quali, in concreto, le condizioni strutturali, gli aspetti socio-dinamici, i sintomi comportamentali che possono far ritenere opportuno o necessario un intervento di animazione, quali sono i limiti che l'educatore-animatore dell'animazione deve porre alla sua opera, ossia quando è bene che egli attenui gli interventi di proposta, di rilancio, di promozione di attività nel suo gruppo. 70 Possiamo validare la necessità e l'opportunità di un intervento di animazione attraverso tre parametri:- la valutazione della situazione oggettiva del contesto preso in considerazione;- analisi del settore di animazione che maggiormente può soddisfare in quella situazione con tutte le valenze educative che esso offre;- valutazione delle possibili forme che l'animazione stessa può assumere.È possibile inoltre stabilire alcuni canoni (sia dal punto di vista della istituzione, che da quello della conduzione di attività di animazione), che costituiscono indicativamente criteri sufficientemente validi per affermare e verificare l'utilità degli interventi di animazione.Sia nel campo dell'animazione educativa scolastica che in quello formativo e promozionale extrascolastico (cultura e educazione popolare, tempo libero e vacanze, ecc.), sono al centro delle attività tanto i singoli quanto i gruppi in un rapporto di comunità dialogante in cammino anche operativamente intorno a un'idea, un sentimento, una fede intimamente vissuti e testimoniati nelle attività per il loro sviluppo e per la loro affermazione. Nella scuola l'animazione può svolgersi a tre diversi livelli: di classe, di istituto scolastico, di insegnanti. Nel primo caso si può fare riferimento a più discipline, ad una ricerca in comune, visita ad un monumento, a una mostra, all'organizzazione e allo svolgimento di una gita scolastica, ecc.71

Esiste oramai da tempo l'esigenza di valorizzare la partecipazione scolastica che dà maggiore sicurezza ai soggetti e continuità di sviluppo al sistema sociale, pur nelle continue e profonde trasformazioni. Nella partecipazione si incontrano coloro che promuovono le innovazioni e coloro che da queste possono trarre vantaggio attraverso un continuo processo di chiarificazione e di espressione-comunicazione. Si tratta di stimolare, sorreggere e ordinare l'alunno ad agire, consolidare, affermare tutte le sue facoltà. L'animazione si presenta quindi come una ulteriore formazione dell'insegnante che deve integrare il tradizionale rapporto verticale con l'alunno, con quello orizzontale alunno-alunno stimolando le forze spontanee e la loro libera espressione per favorire l'autonoma espressione della personalità. Pertanto la formazione dell'insegnante deve essere profondamente rinnovata non solo con l'acquisizione di nuove tecniche, ma anche e soprattutto con la disposizione, affinata dalla cultura e dalle esperienze, a diventare suscitatore e orientatore di attività.Vi è ancora nella scuola contrasto tra insegnamento e animazione, sia per la mancanza di preparazione specifica, sia per il comportamento tradizionale (ormai retrogrado) della maggior parte dei docenti. L'animazione, orientandosi su un piano critico, supera lo spontaneismo e l'attivismo per rendere dinamico e continuo, nel singolo e nel gruppo, lo svolgersi di attività congruenti con una visione unitaria della vita e del mondo. Con l'uso di molteplici linguaggi e con il coordinamento delle acquisizioni all'interno di intese e sforzi in comune, aiuta a porre le basi di una formazione umana e sociale consapevole e responsabile.Nell'extrascolastico (lavoro, formazione professionale, vita sociale, istituzioni sociali e culturali degli enti locali e delle associazioni e organizzazioni civili, politiche e religiose), l'animazione aggiunge al suo carattere educativo quello socio-culturale, con lo scopo di favorire in tutti i campi dell'espressione e del pensiero e delle manifestazioni dell'azione dell'uomo, la formazione della persona nella pienezza della vita comunitaria.La persona si costituisce e si afferma soprattutto nello sforzo costante di adeguare il proprio pensiero e le proprie azioni alle aspirazioni e ai bisogni legati ai valori etici della propria esistenza con la consapevolezza e la volontà che trova nell'interiorità di ciascuno, le spinte adatte al suo dispiegamento e al suo disciplinamento. L'animazione muove dall'interno dell'uomo.Gli animatori dell'animazione socio-culturali, per le loro conoscenze socio-psico-pedagogiche e per la loro preparazione nel campo delle tecniche della espressione e dei codici della comunicazione, suscitano e

70 «Nella formazione degli animatori dell'animazione è essenziale la preparazione alla guida e all'animazione delle valutazioni, in quanto esse rappresentano un mezzo privilegiato per misurarne il progredire» (Limbos E., 1972).71 La crisi della tradizionale relazione pedagogica E/B che postulava la trasmissione di un sapere, in se già costituito, dal primo (certamente attivo) al secondo (generalmente passivo), l'incapacità dell'istituzione educativa di aprirsi alle nuove esigenze di istruzione poste delle classi sociali (soprattutto da parte di quelle più arretrate dal punto di vista culturale), trova risposta nell'animazione scolastica.

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ordinano nuove esperienze, nuovi confronti e nuovi valori esistenziali a partire dall'interno dei singoli soggetti e dei gruppi, per restituire l'uomo a se stesso, nella pienezza dei suoi poteri di affermazione, rendendolo responsabile individualmente (con l'impegno legato all'esercizio della propria attività) e socialmente (con la mutua intesa realizzata nel gruppo di cui si fa parte).L'animazione si attua con metodi non direttivi fondati sull'autodeterminazione dell'individuo che favoriscono il libero gioco delle tendenze, dei desideri, delle motivazioni, moltiplicando le situazioni nelle quali possono affermarsi tali disposizioni. Tra animatore dell'animazione e soggetti si stabilisce un rapporto empatico (relazione di comprensione) di gratificazione che libera nell'individuo le sue spinte naturali, attraverso lo sviluppo di una relazione d'intesa in cui soggetto e animatore dell'animazione operano insieme nel reciproco autocontrollo mirato all'autoperfezionamento.L'atteggiamento non direttivo va usato in ogni relazione educativa ed in particolare nei seguenti settori:- culturale: lettura, ricerche bibliografiche, folklore, musica, teatro e cinema, televisione, conferenze, ecc.;- scientifico/tecnologico: ricerche d'ambiente, speleologia, ecologia, laboratori, fotografia, meccanica, modellismo...;- fisico-psico: minorazioni, psico e socio-motricità, disadattamenti...;- economico e socio-politico: formazione professionale, pubblicità, propaganda, coscienza sociale, volontariato...;- sportivo-ecologico;- espressione-comunicazione corporeo-artistica: voce, trucco, mimo, pantomima, danza, teatro, burattini, recitazione, disegno, pittura, plastica...;- turismo sociale: viaggi, scoutismo, vacanze...;- tempo libero: week-end, spettacoli, hobby, «fai da te», soggiorni vacanze...;- ricreativo: feste, giochi, balli, canti, floricultura, giardinaggio, pesca, escursioni, collezionismo...Ricordiamo inoltre l'animazione dei giovani, adulti ed anziani, possibilmente intergenerazionale; quella relativa alle categorie professionali; ecologica; multiculturale e multi-etnica. L'animazione può dunque estendersi a tutti e in tutti i campi della attività umana, evidenziando anche la sua funzione politica rendendo possibile la partecipazione in particolare di coloro che rischiano di restare isolati, estranei ai nuovi modelli di vita, alle nuove forme di linguaggi e di espressione creativa, riducendo le ineguaglianze socio-culturali tra gli uomini.L'animazione socio-culturale realizza i propri obiettivi se:- accoglie, senza condizioni, ogni soggetto e il suo mondo;- interpreta la relazione educativa in chiave di comunicazione simmetrica;- sceglie il gruppo come ruolo privilegiato dell'esperienza educativa;- usa tecniche e strumenti (formativo-educativi) in maniera originale e creativa.L'animazione assume sempre una concezione positiva dell'uomo, si pone con fiducia e con accoglienza nei confronti di tutte le esperienze dei soggetti, perché anche quelle più povere, più devianti, più marginali contengono germogli che, se aiutati a crescere, possono consentire il raggiungimento di una più matura ed evoluta condizione esistenziale. Ogni situazione, anche la più disperata, è sempre aperta alla speranza. L'altro è sempre portatore di una ricchezza unica, originale e irripetibile che l'educatore deve accogliere come un dono prezioso.L'animatore dell'animazione deve sempre partire dalle potenzialità contenute nella situazione reale del gruppo, quindi dalle persone con cui opera individuandone le possibili vie di maturazione e di evoluzione. Non esistono situazioni educative migliori di altre, poiché in ciascuna vi è sempre una potenzialità educativa. L'uomo non è soggetto ad alcun determinismo e l'azione educativa pertanto non può violare, manipolare o ignorare lo specifico e particolare modo di essere di ciascuno, per farne qualcosa di diverso. Ma vuol anche dire che occorre «suggerire» alle persone quei cambiamenti ulteriormente positivi che le portino a superare i limiti della propria personalità.In animazione si ha relazione-comunicazione educativa, quando:- si riconosce l'asimmetria della comunicazione; nella relazione educativa gli adulti rappresentano la memoria culturale di ciò che è stato fino a quel momento elaborato; i giovani, pur essendo portatori del futuro, sono alla ricerca di una identità personale e di dare un senso alla loro esistenza;- vi è disponibilità reciproca alla comunicazione: si è cioè in presenza di un «patto comunicativo» tra educatori e giovani, che consenta lo scambio di informazioni e di valori;

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- si è disponibili al cambiamento da parte di entrambi i soggetti. «Nessuno educa nessuno; nessuno è educato da nessuno; ci si educa tutti insieme».Nel gruppo il singolo prende coscienza di sé, sperimentando l'incontro responsabile e solidale con l'altro e ricollegandosi in un rapporto più produttivo con la cultura sociale.5.7. Criteri per interventi di animazione

Sia che ci si trovi in una condizione ambientale aperta, sia all'interno di una struttura già costruita, sia che vi siano già elementi di riferimento (culturali, ricreativi, assistenziali) o che manchino, occorre sempre avere la responsabilizzazione dell'animatore dell'animazione del settore, il quale può da un lato aggregare le forze disponibili per attuare attività «integrative» che sostituiscono temporaneamente quelle che sarebbero possibili con strutture complete; dall'altro di valutare l'effettiva necessità delle strutture esistenti e di determinare la loro migliore configurazione e il loro miglior uso. Per le esigenze e le necessità della comunicazione occorre che l'animatore dell'animazione riesca a trovare momenti di aggregazione e di scambio prima tra più individui e poi tra gruppi sempre più ampi e differenziati. Ciascun individuo, o ciascun gruppo, pur continuando a mantenere la propria sostanziale identità, deve potersi aprire agli altri nella ricerca del maggior equilibrio possibile tra divergenza/convergenza.La convivenza forzata deve trasformarsi in convivenza armonica, sempre nella ricerca del minimo squilibrio possibile tra individualità/socialità. Comportamenti eccessivamente divergenti o convergenti dimostrano la necessità di una animazione incentrata sul soggetto/gruppo o indicano la presenza di una animazione sbagliata (si osservano comportamenti abulici rispetto alle attività e agli impegni, ripetitività delle occupazioni, rapidissimi cambiamenti di interessi) dovute o a superficialità dei fruitori o a stimolazioni errate o a false motivazioni.L'attività di animazione si rivela utile anche quando si presenti la necessità situazionale di istituire centri di aggregazione per prevenire (ed anche recuperare) devianze individuali e dei gruppi, o la necessità di un «risanamento» del territorio deprivato socio-culturalmente attraverso la partecipazione del gruppo, deve saper gestire la conduzione educativa rispettando le diverse dinamiche, mediante tecniche programmate per obiettivi, secondo il seguente orientamento:- Normalizzazione dei ritmi: da un inizio in cui si possono avere attività che si susseguono con ritmi troppo incalzanti, si deve passare alla normalizzazione delle attività che consiste nella gestione dei ritmi da parte del gruppo in maniera tale che tutti possano avere il tempo di esprimersi e di consolidare gli apprezzamenti anche mediante ricomposizioni attuate dall'animatore dell'animazione di sottogruppi differenziati per interessi e tempi operativi: dall'individuo, al microgruppo, al macrogruppo.- Affermazione di nuovi leaders: questa fase si accompagna a quella precedente e consiste nell'opportunità che, sia nel micro che nel macrogruppo, viene offerta a tutti di diventarne il leader situazionale. Ora l'animatore dell'animazione si ritira dalla leadership (pur nell'attenzione del coordinamento) per potersi meglio dedicare ad approfondire le sue conoscenze del gruppo e a favorire la comunicazione interna, sia per cogliere esigenze emergenti, elaborare nuovi piani di intervento per i successivi impegni del gruppo.- Ritmi di assimilazione e di fruizione: poiché ogni attività di animazione ha un periodo di incubazione, uno di elaborazione e di preparazione psicologica, uno di attuazione ed uno di rimeditazione sull'attività svolta, è necessario che non si passi ad ulteriori attività, fino a quando quest'ultimo periodo non si è concluso, per non generare rifiuti o deboli accettazioni, o atmosfera fittizia e dispersiva, sia nei confronti di ciò che è già stato effettuato che verso quello che si è troppo presto iniziato (Limbos E., 1972).Gli aspetti tecnici fondamentali dell'animazione sono la tematizzazione e l'aggregazione.- La tematizzazione: consiste nell'offerta di temi o campi di intervento, di precisi obiettivi, presi dalle esigenze del gruppo, resi gradualmente interessanti sé da costruire su di essi affermazioni concrete e costruttive critiche che aumentino il senso di sicurezza del singolo come gruppo.- L'aggregazione: consiste nello sviluppare la socializzazione mediante la comunicazione interpersonale attuata con l'affermazione di ciascun membro della comunità come individuo relazionato al gruppo, la costituzione di sottogruppi autonomi per compiti e competenze, in sintonia con la comunità nel suo complesso. Si adoperano inoltre ulteriori momenti quali incontri, feste, escursioni, condotti con l'attenzione alle varie psicodinamiche e con didattiche tipiche, sollecitando ciascuno ad essere attore/fruitore affinché possa comprendere di essere necessario per costruire con gli altri situazioni gioiose e gratificanti.

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In tal modo l'animazione permette l'affrancamento da condizionamenti esterni troppo vincolanti, poiché in essa è insita la tensione alla educazione permanente.Sul piano della programmazione occorre tener conto del punto di vista educativo, organizzativo, intenzionale, professionale dell'educatore che studia le strategie generali e le tecniche settoriali più opportune per realizzare l'animazione nel gruppo di cui si interessa. Sul piano della partecipazione, della conduzione del gruppo, della elaborazione comune di obiettivi, su quello della non direttività, occorre tener ben presente il punto di vista dell'usufruitore della animazione. Si tratta insomma di equilibrare le necessità tecniche, necessarie a qualunque attività umana e sempre più sofisticate rispetto alle sue sempre maggiori estensioni e approfondimenti, con la libera espressione/comunicazione, tra il perfezionamento non deprimente e la motivazione gratificante.Gli aspetti tecnici dell'animazione non sono comunque sufficienti a fare animazione se non si integrano nelle relazioni interpersonali che si determinano nella dinamica del gruppo. Solo in tal modo l'animazione spinge alla realizzazione/integrazione ottimale delle risorse che attivano e rinforzano la crescita, lo sviluppo psichico e intellettivo del singolo e della comunità. Così l'animazione si inserisce a pieno titolo nella educazione permanente mediando positivamente le attività espressive, ricreative, culturali, attraverso l'uso di tutti i linguaggi umani, attenta alle leggi socio-dinamiche al fine di migliorare il singolo mettendo a sua disposizione le energie del gruppo (e al contrario).

5.8. Animazione tra fenomenologia e simbolico

L'esistenza dei vari livelli motori, sportivi e del tempo libero non è un fenomeno limitato al nostro tempo, perché è tipico della storia umana. Invece è tipico di oggi la commistione, la confusione, l'interferenza e quindi il loro svilimento espressivo con le conseguenti difficoltà di comunicazione e di espressione.L'accentuata dinamica dello sviluppo culturale e sociale determina un continuo frammentarsi e tecnicizzarci di attività motorie di base, sportive e del tempo libero usate spesso a fini particolari determinando equivoci ed imprecisioni, aumentando la confusione espressiva e comportamentale della persona. La banalizzazione superficiale ed equivoca di attività motorie particolari, l'anarchia dei linguaggi corporei, si determina al di fuori di ogni apprezzamento critico costruttivo o avvertenza del loro valore inserita in un progetto universale riguardante la persona.È in particolare a livello suggestivo ed emotivo che la loro apparente uguaglianza provoca il moltiplicarsi di operatori e di proposte come alternativa alla crisi di identità di sè e del mondo con una conseguente incertezza di scelte valoriali, l'abbandono al prassico casualmente positivo, una crescita senza programmazione facilmente strumentalizzabile da una parte alla attuale gestione del potere e dall'altra a chi il potere vuole prenderselo adoperando tali attività. Si evidenziano così modelli comportamentali motori divergenti per tempi e scopi di formazione, contraddittori perché privilegianti nelle loro particolarità etico tradizionali, empirico-pratici, specificatamente religiosi, scientificamente strutturati, a sfondo socio-politico, retorico propagandistici, consumistici e demagogici, estetico-espressivi, ecc. I tentativi di superamento interdisciplinare di tali forme di espressione e comunicazione, la loro concretezza e aderenza al vissuto, il loro carattere pragmatico, la giusta rivendicazione rispetto alla scuola tradizionale, si caricano di problemi socio-culturali, etici e formativi, ma non prospettano positive vie di soluzione.Gli attuali problemi appaiono quelli della struttura e della funzione motorio-espressiva, della sua analisi categoriale, della sua collocazione nei concetti e strumenti del sapere, del comportamentale e del relazionale per determinare una attuazione plastica, organica, totale, una creatività operativa e spontanea, ma soprattutto produttiva da parte di ciascuna persona nella sua specificità umana individuale e coscenziale e nel contesto storico e sociale.Se il corpo non esprime e non comunica e quindi non si struttura linguisticamente e simbolicamente, non si riflette né su di sé autocontrollandosi, né prende rilievo strorico-sociale, non risultando pienamente umano e quindi di fatto cultutale. Al di là di ogni tecnicismo e ideologia, la forma motoria-simbolica intesa in senso autocreativo come mezzo di espressione e comunicazione, diventa la base anche per ogni valenza sociale della cultura la cui anima unitaria e il suo significato per la persona, passano oggi attraverso una teoria e metodologia del linguaggio motorio, prima riflessione su tutte le forme espressive e comunicanti umane, ma con una concezione privilegiante la funzione semantico-simbolica.

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La bipolarità persona/mondo si interiorizza esprimendosi e interpretandosi in quella pensiero/linguaggio e corporeità/coscienza, a cui le funzioni simboliche e la comunicazione storico-sociale, danno armonia e unità di senso.Dall'apprendimento-comunicazione senso motoria, si articolano le osservazioni/esperienze topologiche, di relazione/confronto, di relazioni logiche, intuitive, strutturali simboliche sempre nella compresenza del corpo, superando obiettivi specifici a livello di differenze, identità, analogie tra i vari codici e diversi comportamenti, incrementando il lessico cinesico mediante una sua strutturazione sintattica, che permetta di cogliere rapporti sempre più ampi e complessi tra significante (movimento) e significato (gesto), mediante l'acquisizione di uno stile di vita polilinguistico interdisciplinare come metodologia/didattica e interfunzionale come persona e gruppo. Il recupero del corpo deve essere quindi effettuato attraverso una seria valutazione critica che ne permetta l'integrazione agli altri linguaggi umani e non certamente come proposta alternativa che ne sollecita una materialistica rivalutazione.72 D'altra parte rifiutiamo anche il mito dell'individuo, della classe, della razza, ma anche quelli del collettivo, del rifiuto dei ruoli, della pianificazione massificante.73

Superare il tradizionalismo non significa proporre una alternativa come nuovo valore: la persona non ha bisogno di una alternativa, ma di essere aiutata a scoprire e conoscere tutte le alternative possibili, attraverso la sua diretta partecipazione critica a tutte le ideologie, per interpretare e risolvere ciascun problema cogliendo situazionalmente la risposta ritenuta più giusta in una dimensione agonistica permanente, rispettosa di sé, della natura, degli altri. Educata attraverso una pedagogia della scoperta, del rispetto e dell'amore, la persona decide autonomamente come Io nella contemporanea scoperta e accettazione degli altri.La persona non è somma di parti, ma forma totale che si sostanzia in reciproche interfunzionalità a seconda dei talenti, dell'età, del mondo oggettuale, degli altri, della unitarietà della conoscenza che è per definizione interdisciplinare. La persona è un significante al quale l'educatore deve proporretutti i modi possibili per significarsi attraverso ciò che noi abbiamo chiamato «motricizzazione della cultura e culturizzazione della motricità», verificando attraverso una polivalenza di proposte e di linguaggi le proprie possibilità creative produttive.Attraverso la interfunzionalità dei vari linguaggi umani (corporeo, grafo/ colorico, vocale, scritto, per immagini) è possibile verificare interdisciplinarmente ogni contenuto e comunicare qualunque messaggio partendo da una prima creatività spontanea, pensiero divergente soggettivamente originale, attraverso una creatività operativa, più specificatamente educativa, pensiero convergente necessario ad intendersi con gli altri, preparando la più qualificante creatività umana, quella produttiva, nuovo pensiero divergente, dinamico divenire della specie umana e socialmente usufruibile, fino alla genialità della creatività emergente. Il corporeo deve quindi razionalizzarsi al fine di una positiva crescita individuale e sociale della persona diventando cultura in particolare nel suo momento di trasformazione simbolica rappresentativa del vissuto.Così l'educazione fisica, non diventa il momento applicativo delle scienze mediche, pedagogiche o sociali, ma rivendica una propria autonomia in quanto più che scienza, appare come sintesi scientifica. Mentre l'educazione motoria qualifica ulteriormente l'umano, lo sport lo quantizza essendo parte applicativa della prima e momento operativo particolare delle scienze umane. Il movimento non è quindi mai fine a se stesso o finalizzato a funzionalità particolari, non è «come» naturale soltanto o che si nobilita nel suo tecnicizzarsi: esso è sempre gesto, linguaggio, comunicazione, come/perché, significante/significato,

72 Rifiutiamo quindi sia il privilegio del corpo, che quello dell'intelletto, che quello dell'anima, considerandoli ciascuno strumenti parziali di ideologie particolari: «...la carne strutturata da sola, non è l'uomo completo, ma solo il corpo dell'uomo cioè una parte dell'uomo. Ma neppure l'anima da sola costituisce tutto l'uomo, è l'anima dell'uomo, cioè una sua parte. E neppure lo spirito dell'uomo è l'uomo. Solo la fusione, l'unione, l'integrazione di questi elementi costituisce l'uomo perfetto» (Ireneo di Geone, Contro le eresie).73 «...Tutti hanno la mano, ma ciascuno ha la propria mano. Così il recupero del corpo è necessario, ma come riferimento situazionale alla realtà del fanciullo prima e dell'adulto poi, come momento del continuo trascendere della persona rispetto sia all'individuale che al sociale, come verifica parziale di una struttura totale, cercando di correre il minor rischio possibile di caduta sia nell'individualismo, sia nel sociologismo, sia nell'esclusivamente prassico, sia nel simbolismo assoluto. In tal modo la persona recupera il suo ruolo all'interno di una dimensione etica universale e lo diviene pertanto anche il corpo nella misura in cui né si privilegia, né si misconosce, né si fa servo, né padrone, ma si propone come uno dei momenti educativi e comunicativi, a parità di diritti e doveri con tutti gli altri mezzi e forme educative e linguistiche, operativamente espressive e comunicativamente produttive di realtà e di simboli, nella persona considerata nella sua effettiva integralità e interfunzionalità, cioè come struttura individuale e sociale totale.» (Gori M., 1978).

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(movimento, gesto, segno, simbolo, codice). L'educazione motoria deve essere sempre personalizzata con riferimenti situazionali alla realtà individuale, a quella del gruppo, a quella del territorio, sempre con motivazione gioiosa e adoperando come mezzo il gioco. Ciò al fine di mettere ciascuno in grado di porsi affettivamente nei confronti della propria e dell'altrui esperienza e proposta per realizzare la scoperta raggiungendo sempre più elevati livelli di intelligenza, creatività e maturità fino a configurarsi un proprio stile di vita personalista/comunitario anche da un punto di vista motorio.Così ogni aspetto della realtà e del vissuto, può e deve essere verificato con tutti i linguaggi umani, partendo da quello motorio per giungere a quello parlato e scritto. In tal modo anche l'inserimento degli svantaggiati e il loro recupero, pur se parziale, trova effettive soluzioni; infatti non privilegiando il linguaggio più simbolico, i termini di normalità e di anormalità tendono ad avvicinarsi poiché lo svantaggiato, attraverso una diversificazione di linguaggi e quindi di tecniche e di possibilità espressive comunicative, trova quello maggiormente adatto alle sue caratteristiche positive per apprendere e mettersi in relazione con gli altri «normali» i quali entrano con lui in sintonia dialogica attraverso la rispettiva conoscenza di un comune linguaggio.A ciascuno va quindi proposta una educazione che porti alla massima attuazione le proprie potenzialità attraverso una polivalenza di esperienze e di possibilità espressive e comunicative che gli permettano di trovare le risposte per operare scelte; ciò è possibile anche attraverso il rifiuto educativo della specializzazione e della socializzazione come scelte aprioristiche, attraverso la spinta ad una crescita personale permanente realizzazione di sé nel pieno rispetto della pluralità delle persone. È necessario perciò rifiutare qualunque proposta di educazione motoria, grafo/colorica, parlata/scritta, ecc. fin dalla scuola materna e per tutto il periodo dell'età evolutiva, come momenti liberatori e decondizionanti o come strumentalizzazioni alle mode ed alle ideologie adultistiche, ma per proporre al fanciullo e al ragazzo la più ampia pluralità interdisciplinare di esperienze. Non si presentano scelte, ma si offrono proposte; non si presenta l'alternativa ma tutte le alternative, non l'ideologia, ma tutte le ideologie senza alcuna diversità per i due sessi.Il recupero della tradizione popolare (giochi, danze, teatro, ecc.), diventa la presa di coscienza della propria realtà storica e socio-culturale da adattare successivamente alla realtà attuale; quindi non tradizionalismo, ma tradizione riscoperta e reinterpretata poiché essa appare come valore che supera il momento storico particolare.Infine decondizionamento dallo sport sia esso specializzazione o aggettivato come sociale.Lo sport potrà divenire sociale solo dopo che ciascuno sarà stato messo in grado di acquisire, attraverso una uguaglianza di proposte educative, una diversa e propria personalità critica in grado di gestire le proprie scelte indirizzandosi verso uno stile di vita psicomotoriamente valido in senso assoluto e situazionalmente, ma non necessariamente, anche in senso specialistico. Nello sport è l'essere umano che si adatta allo spazio, al tempo, agli altri, all'oggetto, ecc. Al contrario è la persona che adatta creativamente, insieme agli altri, qualunque gioco che in tal modo permette una più evidente libertà individuale e comunitaria.L'essere umano è interfunzionale per natura: la testa non è la parte nobile del corpo rispetto alla borghesia delle mani o al sottoproletariato dei piedi, poiché ciascuna parte appartiene alla persona. La interdisciplinarità è il metodo per realizzare la più positiva interfunzionalità individuale e sociale dell'essere umano. A ciascuna persona, spetta, attraverso l'educazione, ricostruire tale sintesi già data, operando costantemente per andare al di là del soggettivo e del quotidiano, trascendendo da sé verso l'alterità e l'altro assoluto, recuperando il senso metastorico dei valori, verso una libertà e una dignità sempre più qualificante l'umano, dinamica perché sempre perfettibile, ma mai perfetta.Anche in tema di interdisciplinarità si cade facilmente nella antica e astratta contrapposizione tra vecchio e nuovo come «semplicistico equivoco polemico attribuendo al vecchio ogni sorta di errore e al nuovo tutta la positività possibile».74 Vi è pertanto la necessità di una cultura plurilinguistica aperta e dinamica nei contenuti e nello spirito delle corrispondenti strutture concettuali, libera e liberatrice da istanze prassistiche

74 Come nel '600/'700, anche oggi assistiamo ad una prevalente acritica accettazione della polemica nei confronti dell'immobilismo tradizionale da parte di una nuova pseudocultura con una profonda evidenziazione delle disarmonie tra individuo e società, natura e cultura, ambiente naturale e sviluppo umano, progresso e istituzioni, istintività e razionalità, possibilità teoriche e realizzazioni pratiche e tecniche, teoria e prassi, auto ed eteroeducazione, animatore dell'animazione ed insegnante, ruoli definiti e rifiuto dei ruoli, classi e generazioni, valore e quotidiano, fenomenologia e trascendenza, esistenziale e essenziale, movimento e gesto, corpo e anima, indubbiamente descrivibili come caratteristiche dello scontro tra l'idea e l'ideologia nella nostra epoca.

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e da incondizionamenti di potere, da ideologie particolari e da programmazioni specialistico-tecnicistiche, sempre dinamicamente critica.L'aspetto primario del lavoro culturale, qualunque sia il suo mezzo, è il carattere precipuamente etico della ricerca e la sua essenza teorico-conoscitiva. L'intento unitario di fondo tra ben conoscere e ben operare, tra essere e dover essere, orienta oggi la ricerca interdisciplinare tendente al ristabilimento della sintesi tra valore e effettualità, tra come e perché, tra conoscenza e volontà, tra scienza ed educazione. La interdisciplinarità ha in sè l'idea dell'attuazione concreta dell'umanità della persona nella sua realtà storica e culturale e nelle sue prospettive dinamiche senza fine che ne trascendono la realtà effettuale.L'etica non deve ridursi a dipendenza rispetto alla realtà strorica e sociale, come al conoscenza a semplice constatazione dei fatti. L'educazione interdisciplinare è un processo che consente alla persona, sviluppandone e dirigendone le energie, di realizzare il suo dover essere, di partecipare ad un mondo di valori ed in parte di costruirlo, attraverso un passaggio continuo della potenza all'atto, dal significante al significato, dalla forma alla sostanza.Essa è processo psicologico/etico, sviluppo e disciplina delle funzioni, attitudini, energie psichiche; dall'altra è processo di cultura, inserimento della persona nel mondo dei valori che costituiscono la civiltà e la spiritualità umana, inserimento nella storia senza storicismo. Tutto ciò ha senso se si riconosce alla persona il desiderio di superarsi e realizzarsi compiutamente, anche umanamente attraverso la coscienza del proprio dover essere come presentimento dell'assoluto e dell'eterno e la tendenza verso un valore e una realtà metastorica come bisogno di partecipare all'assoluto. Non si ha storia senza metastoria e la persona non avrebbe storia se non partecipasse dell'infinito, spinta da sempre e per sempre verso il valore, il perfetto, il transumano che gli sono interfunzionali, ma che contemporaneamente lo trascendono. Il fattore dinamico della educazione, non è l'arte del maestro soltanto, ma soprattutto quello della persona che chiede. Si sperimenta per educare ancora prima che per conoscere e si cerca di conoscere per integrare ciò che manca e non per criticare.L'educazione è, per definizione, interdisciplinare, essa è sintesi scientifica, superando qualunque scienza particolare, della quale essa ha bisogno per generalizzare, ma andandone al di là perché ogni atto educativo è singolo e irripetibile così come lo è ogni persona.Premessa indispensabile per accedere alla metodologia interdisciplinare è il concetto di interfunzionalità che si afferma sia sul piano personale che su quello comunitario. La interdipendenza reciproca tra tutti gli aspetti di ciascun essere umano si trasferisce all'interno di un processo di socializzazione tra uguali nel rispetto della singolarità di ciascuno.Ciascuno è interfunzionale fino al momento del suo concepimento e, in quanto unità, predisposto a realizzare in sé la unitarietà del sapere e del comportamento. Attraverso l'educazione occorre sollecitare il permanere di questa interfunzionalità data attuandola nel quotidiano anche mediante la realizzazione con gli altri effettuando nel gruppo di lavoro una ulteriore e più ampia unitarietà del sapere e del comportamento. La persona è quindi totale fino dal primo attimo in cui inizia il suo esistere (interfunzionalità soggettiva) che si attualizzerà in essere durante tutta al sua esistenza (interfunzionalità comunitaria e unitarietà del sapere come lavoro di gruppo).Pertanto la interfunzionalità e la interdisciplinarità come modi di esistere e di essere superano l'individualismo, il sociologismo, lo storicismo, insomma qualunque particolarismo per proiettarsi verso l'infinito e l'eterno, verso l'Altro assoluto.La cultura deve diventare autoliberazione e liberazione permanente dei talenti di ciascuna persona, liberazione costante della propria umanità e dalla propria umanità. Il fattore dinamico della educazione non deve essere più soltanto l'arte del maestro che trae fuori o inserisce dentro, ma soprattutto quello della persona che chiede poiché ogni atto educativo è singolo ed irripetibile così come lo è ciascuna persona. L'educazione diventa quindi la sintesi equilibrata tra la animazione e l'insegnamento, tra gli stimoli, le proposte, le risposte e le integrazioni, tenendo sempre presenti gli elementi informativi della motivazione: - attivazione della volontà di apprendere per dare risposte a problemi concreti e reali;- ricerca dell'effetto positivo suggerendo i punti di riferimento per gli ulteriori approfondimenti;- ricerca dell'effetto del contenuto attraverso tutte le possibili verifiche per la sicurezza della conoscenza;- integrazione degli apprendimenti parziali nell'unità della vita personale;- stimolo alla ricerca permanente di ulteriori variabili e quindi di nuove conoscenze;- stimolo alla ricerca permanente di ulteriori variabili e quindi comportamento scientifico.

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5.9. Animazione ed educazione fisica

Un presupposto indispensabile per la proliferazione della attività di animazione è costituito dalla preparazione professionale degli animatori dell'animazione; un altro presupposto è invece l'organizzazione razionale dell'animazione. Qualunque istituzione che intenda programmare, gestire e indirizzare le attività di educazione motorie di base, quelle sportive e del tempo libero, deve prima di tutto porsi alcune domande fondamentali sul significato di queste attività, poiché dalla chiarezza di idee sulle stesse dipende in gran parte la loro qualificazione educativa.75

Molto spesso in mancanza di idee, ma molto più spesso in presenza di ideologie (partitiche, economiche e sportive) sempre più parcellarizzate e reclamizzate, si continua a fare richieste, affermazioni e a dare risposte che travisano il concetto di educazione-animazione di base, «generalizzata, permanente, esistenziale, rispettosa dei diritti di ciascuna persona».Mentre l'educazione deve essere proposta a tutti, indipendentemente dall'età, dal sesso, dai limiti o dalle qualità individuali, lo sport e il tempo libero sono una scelta aposteriori, personale, critica che ciascuno effettua al termine di una proposta e di un processo educativo di base, di una educazione motoria polivalente, che permetta a ciascuno di poter scegliere criticamente, su una reale base di esperienze plurime, acquisite «qualitativamente bene», quella che dovrà essere la sua dimensione motoria esistenziale.Chi intende fare una reale programmazione educativa, non può nascondersi dietro il numero dei partecipanti o indirizzarla in maniera univoca verso lo sport. Non farebbe, a lunga scadenza, neppure il proprio interesse. Non si può e non si deve continuare la corsa ad una appropriazione sempre più anticipata dei soggetti: andando avanti di questo passo le federazioni finiranno per tesserare l'atto sessuale.Occorre invece programmare una educazione motoria che permetta a ciascuno di crescere, onorando tutte le funzioni che interagiscono nella sua personalità. Solo più tardi, non prima dei 14-15 anni potrà da ciascuno essere iniziata una pratica sportiva specialistica o potrà aver luogo una scelta particolare di impiego del proprio tempo libero.Come «l'alfabetizzazione» e l'iniziazione ai linguaggi tradizionali avviene nel periodo della scuola dell'obbligo, così «l'alfabetizzazione» come iniziazione motoria deve avvenire dalla infanzia alla adolescenza.Una nuova e diversa politica dello sport e del tempo libero non possono che essere la conseguenza di una politica delle attività motorie di base, infatti l'educazione allo sport esige come presupposto l'educazione motoria. Il problema posto in questi termini va affrontato con interventi immediati, ma con scadenze lunghe e la soluzione del problema esige l'utilizzazione di competenze non improvvisate, ma conquistate attraverso lo studio e l'esperienza. D'altronde questo problema rimanda alle idee dell'educazione permanente.Invece di programmare e costruire maxi-impianti, occorre recuperare, ristrutturare e costruire un'ampia serie di piccoli impianti polivalenti, piccole strutture funzionali «in termini educativi» e logistici, che favoriscono la partecipazione a livello di quartiere, strada, circolo, distretto. La spesa capillarizzata e il servizio offerto raggiungerebbero tutti i cittadini che ne diverrebbero così realmente utenti, in particolare tutti coloro che sono normalmente esclusi dal maxi-impianto e dalla relativa attività. Il recupero del concetto di mini-impianto permetterebbe l'integrazione dello stesso nel territorio e l'aggregazione degli abitanti, in, specie i bambini, anziani, donne e potrebbe favorire sia la crescita integrale del soggetto (o il suo mantenimento funzionale), sia la gestione prevalentemente autogestita, quindi potrebbe promuovere migliori condizioni di vita per la comunità e valorizzare la comunicazione reciproca. Non è tardi cominciare a parlare di scelta sportiva o del tempo libero a 14-15 anni, nella misura in cui dall'infanzia a questa età tutti hanno potuto accedere ad una educazione motoria di base. È solo in questa età e nel periodo immediatamente successivo che stanno definendosi le strutture del soggetto e mentre l'educazione motoria di base si preoccupa di fornire a tutti identiche proposte qualitativamente valide, è solo dopo i 14-15 anni che ciascuno potrà quantizzare queste qualità ed orientarsi nella scelta delle attività specifiche.Proporre un'attività specialistica fino dagli anni della infanzia, significa non rispettare la realtà del soggetto che cresce ampliando soltanto il numero dei soggetti da selezionare per ottenere più ampi risultati di élite.

75 Si rileva ancora, purtroppo, come troppo spesso l'idea comune di tali attività continui ad essere un concetto aprioristicamente precisato e determinato come scelta organizzativa e operativa da parte delle varie istituzioni (Ente Locale, Stato, CONI, Federazioni, Enti di Propaganda, ecc.).

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Né alcuno sport è sociale, o completo o di base, perché ciascuno è attività specifica e specialistica che quantizza le qualità motorie di base (camminare, correre, lanciare, lottare), privilegiando l'una o l'altra e non l'interezza e l'integrità della persona in tutte le sue componenti.Occorre fare attenzione a non trasformare gli sports in minisports o sports per i nani contrabbandandoli come attività educative di base.La proposta educativa si basa su una considerazione esistenziale di cui la scelta specialistica è una delle tante possibili, ma non certamente l'unica poiché a livello di tempo libero e di sport sociale le scelte possibili sono moltissime. Anche la proposta educativa motoria di base è sempre competitiva e agonistica per quanto tali caratteristiche si riferiscono a valori umani di rispetto di sé a degli altri.Lo sport è specializzazione, quindi scelta critica a posteriori rispetto all'educazione motoria di base. Si sente sempre più spesso parlare, anche con enfasi, non sempre certamente con malizia, più spesso per fede di provenienza, di attività sportiva ideale, compensativa, educativa, ecc., di validità maggiore degli sport di squadra rispetto a quelli asimmetrici, di uomo acquatico o di dimensione verticale dell'umano, di eliminazione del contatto con l'avversario o di maggiore possibilità di socializzazione negli sport, in cui si entra in contatto diretto con l'altro. Qualche sport in particolare (atletica, attrezzistica, pallavolo pallacanestro, nuoto) è considerato come la base per tutti gli altri sport. Tutto ciò non può non lasciare estremamente perplessi e non può non indurre sempre di più ad aumentare la critica e la diffidenza rispetto ad un tale modo di affrontare i problemi.Lo sport è un rito di élite: i sacerdoti in campo diventano modello limite nei confronti di migliaia di spettatori ai quali manca la partecipazione diretta alla gestione del prodotto.Domandiamoci quando e perché sono nati gli sport, quali sono le resistenze e le abilità specifiche di ciascuno sport mini o maxi esso sia. Lo sport è sempre anche ideologia e moda. L'attività motoria generalizzata, polivalente è sempre educazione. Nel contesto della dinamica dei gruppi, gli sport presentano ruoli codificati con variazioni minime. Nel gioco lo scambio dei ruoli è continuo.Ogni attività individuale o di gruppo deve in prospettiva permanente valorizzare tutte le persone. Ogni attività comunitaria deve presupporre una scelta situazionale, mai definita del ruolo, uno scambio continuo dei ruoli, educativamente acquisito e deve concedere ampio margine alla creatività in spazi e tempi adatti alle risposte di ciascuno. Infine gli sport si presentano come attività ad altissimo grado di controllo individuale e sociale. Quando si è educatori preparati, fare i tecnici, gli allenatori, gli animatori dell'animazione, diventa un gioco da ragazzi.

5.10. L'animazione scolastica

L'animazione psico-socio-motoria nella scuola può realizzarsi con l'adozione di metodologie di conduzione dei gruppi e delle attività desunte da modelli animativi, volta a diversi obiettivi e verso diversi livelli di fruibilità, di competenza di organi o persone che assolvono nell'organizzazione scolastica funzioni diverse.Queste possibilità possono intanto essere riferite a tre diversi ambiti operativi:- l'animazione di una classe: microgruppo;- l'animazione di più classi: intergruppo;- il coordinamento delle attività di animazione che hanno per fruitori l'intero insieme degli alunni di una scuola: maxigruppo.a) Animazione di una classe: l'educatore, attraverso attività saltuarie e ricorrenti, attiva momenti che facilitano il processo di socializzazione degli alunni; l'acquisizione del concetto di reciprocità; l'espansione della comunicazione nelle sue molteplici forme e linguaggi; l'acquisizione di una aumentata capacità di collegamento tra le diverse conoscenze e le diverse metodologie per accrescere la creatività nella soluzione di problemi e per favorire l'apprendimento sperimentato dei procedimenti logici e logico-operativi che la ricerca richiede.b) Animazione di più classi: l'impianto generale delle attività viene avviato verso forme innovative di programmazione con un più evidente riferimento alle caratteristiche socio-culturali del territorio.c) Coordinamento delle attività di animazione che hanno per fruitori l'intero insieme degli alunni della scuola: vi rientrano tutte quelle iniziative che propongono all'alunno l'immagine della scuola ch'egli frequenta, offrendo occasioni in cui il singolo si ritrova con i tanti compagni di scuola. Si tratta prevalentemente delle manifestazioni e delle occasioni «in grande» sia come momenti di fruizione di

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manifestazioni e di rappresentazioni, che come momenti di partecipazione o collaborazione ad iniziative diverse (spettacoli, mostre di pittura, scultura, fotografia, ecc.) fatte nella scuola con opere degli alunni; collaborazione a giornalini scolastici; partecipazione a gare sportive; a incontri culturali; alle più diversificate attività ludiche.

5.11. Proposte per una organizzazione nel territorio

Ci sembra opportuno completare il nostro discorso con la indicazione dei criteri, metodi di ricerca e di analisi da mettere in atto per la programmazione delle attività motorie, sportive, ricreative e del tempo libero, cui faremo seguire la presentazione più analitica delle questioni da affrontare.L'organizzazione ragionata delle attività motorie, sportive, ricreative e del tempo libero, presuppone:- la ricerca di tipologie per le attività motorie, sportive e del tempo libero;- la programmazione territoriale delle attività motorie, sportive e del tempo libero;- l'analisi del fabbisogno qualitativo e quantitativo di centri di aggregazione permanenti ed episodici per le suddette attività;- l'analisi del fabbisogno qualitativo e quantitativo degli operatori necessari.La prima ricerca si suddivide in tre campi di indagine, sviluppati parallelamente e che riguardano i seguenti aspetti:1) Definizione delle classi tipologiche per le varie gamme di necessità per le varie attività culturali (motorie di base, sportive, del tempo libero, mantenimento e recupero funzionale, teatro mimico-gestuale e verbale, danza popolare, gruppi folkloristici, settimana bianca, casa vacanza, campeggio, ecc.), attraverso un esame delle esperienze più significante sul territorio locale, loro analisi critica in rapporto ad esperienze nazionali ed estere; censimento di organismi istituzionalizzati e spontanei di comprovata serietà ed esperienza, collegamenti con studiosi dei problemi specifici, rapporti con le attività produttive che operano nel settore, indagine sulle tecnologie e sui costi, studio degli aspetti giuridico-normativi, ecc.Tutto ciò deve portare alla realizzazione di schede riassuntive degli elementi corrispondenti ai bisogni e alle richieste espresse dalla realtà attuale e in prospettiva con tutti i dati e gli elementi necessari che consentano valutazioni, confronti, classificazioni per scambi tra le facoltà di Scienze motorie, i Dipartimenti di Scienze dell'educazione e i diversi centri polivalenti di cultura.2) Definizione dei metodi per la determinazione dei nuclei per le attività motorie, sportive e del tempo libero, attraverso l'analisi di due componenti:a) analisi della popolazione, delle sue tendenze, delle linee di programmazione nel territorio regionale di competenza delle facoltà di Scienze motorie e di Scienze dell'educazione, delle attrezzature per i servizi di cui sopra;b) tipologie dei singoli interventi ed attrezzature elaborate nel primo tipo di ricerca, ma soprattutto recupero e strutturazione semplice di spazi da adibire a mini interventi; ciò al fine di determinare standard di massima flessibilità, che possono essere più facilmente adeguate alle molteplici dinamiche del territorio al quale le favcoltà di Scienze motorie e di Scienze dell'educazione si interessano. Dovranno essere realizzate schede di aggregazione di interventi di base di strutture necessarie alla copertura del fabbisogno relativo alle richieste della comunità.3) Analisi e messa a punto di metodi di programmazione con esempi-tipo, relativi ad interventi secondo le diverse variabili delle attività motorie, sportive e del tempo libero, secondo le diverse esigenze territoriali, per definire gli ambiti territoriali di tipologie individuate negli altri campi di ricerca, per dare indicazioni di gestione amministrativa e degli interventi prioritari e valutazioni graduali e programmate a brevi e medie scadenze, di metodi per l'integrazione e il recupero di realtà già esistenti da adattare. La verifica sul territorio permetterà di effettuare operazioni di analisi, catalogazione e elaborazione dei dati relativi ai due tipi di interventi preventivando i livelli ottimali di uso e di distribuzione delle varie attività. Si esamineranno inoltre le risorse disponibili e gli interventi in prospettiva per il settore nonché gli operatori necessari alle necessità attuali e future, gli strumenti normativi, i collegamenti necessari con altre facoltà universitarie e con altri operatori qualificati (socio-sanitari, psicopedagogici, medicina del lavoro, ecc.). In particolare per ciò che riguarda l'analisi del fabbisogno qualitativo e quantitativo immediato e in prospettiva di operatori culturali per le attività motorie, sportive e del tempo libero, occorre analizzare il loro tipo di qualificazione e di impiego, che dovrà orientarsi verso il pieno tempo e il permanente.Appare quindi opportuno prevedere:

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- la revisione del piano di studi dell'ISEF e di Scienze dell'educazione, integrando lo sbocco tradizionale scolastico, con la formazione adatta alle diverse realtà scolastiche ed extrascolastiche;- dei corsi di riaggiornamento e di specializzazione post-universitaria (aperti anche a laureati in discipline affini) nel campo suddetto.È inoltre opportuno tener presente:- l'attuale disponibilità qualitativa e quantitativa degli operatori qualificati;- il rapporto tra domanda e offerta in prospettiva e dimensionata sui bisogni e le opportunità presenti, concretamente espresse;- la legittimazione della facoltà di Scienze motorie e di Scienze dell'educazione come uniche istituzioni a cui rivolgersi per il reclutamento e la preparazione degli operatori.Inoltre si rendono necessari:- l'analisi di tipi di attività secondo le fasce di età e le relative esigenze;- l'individuazione e l'analisi organizzativa funzionale e contenutistica dei vari tipi di intervento;- la promozione e la tutela delle attività motorie di base, di quelle sportive e il recupero e la qualificazione del tempo libero come tempo di promozione umana;- la definizione degli obiettivi educativi culturali per le attività motorie di base;- la definizione degli obiettivi relativi all'aggiornamento e alla riqualificazione professionale;- l'esposizione di criteri metodologici e didattici;- l'elaborazione di nuovi contenuti e tecniche;- l'indicazione delle modalità di progettazione delle sperimentazioni permanenti e episodiche;- la determinazione delle tipologie di corsi per operatori a pieno tempo permanenti e indicazione delle caratteristiche strumentali e di svolgimento.Riteniamo che si debba prevedere un solo tipo di animatore dell'animazione, laureato in Scienze motorie e Scienze dell'educazione, il quale, partendo da una preparazione e formazione unitaria di base, possa poi accedere ad uno o più anni di specializzazione suddivisi in diversi campi di intervento.A tutti gli attuali operatori che sono impiegati a tempi parziali, ai gruppi spontanei, a tutte le associazioni ecc., dovrebbe essere permesso di poter accedere alle facoltà di scienze motorie e Scienze dell'educazione e ad eventuali corsi di qualificazione. Ciò per ottenere in breve tempo una figura professionale tipicizzata su tutto il territorio nazionale alla quale Stato, CONI, Enti, Federazioni, Associazioni, ecc., debbano necessariamente fare riferimento.Pensiamo che questi operatori potrebbero avere la possibilità di intervento:- nei consultori familiari, ginnastica pre e post parto, diagnosi precoci dei neonati e interventi immediati;- sugli asili nido;- sugli ospedali psichiatrici;- nella scuola materna come consulenti psico-pedagogici di attività motorie interdisciplinari;- nella scuola elementare come esperti programmatori e verificatori delle attività psicomotorie interdisciplinari in collaborazione con il personale docente; operatori nel tempo libero per i ragazzi in età, presso case vacanza, campeggi, settimane bianche, ecc.;- nella scuola media come esperti operatori delle attività motorie interdisciplinari e presportive e delle attività di tempo libero;- nella formazione di animatori dell'animazione per case vacanza, campeggi, settimane bianche, campi robinson, ecc.;- nella fabbrica, come consulenti e operatori relativi alle condizioni di lavoro e ad attività di mantenimento, compenso e recupero;- nei centri polivalenti di cultura capillarizzati nel territorio come programmatori, verificatori, operatori di attività quali: - danze popolari, - giochi popolari tradizionali, - sport sociale, - teatro verbale e mimico gestuale, - attività motorie di base, sportive e del tempo libero interdisciplinari abbinate a cori, gruppi folkloristici di base, attività di ecologia, recupero del patrimonio artistico, attività grafo-coloriche, feste religiose e paesane, ecc.

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5.12. Quali scelte

In riferimento agli aspetti precedentemente annunciati, spetta all'animatore dell'animazione il compito di discernere la sostanziale coerenza delle linee metodologiche e didattiche interne al progetto di una educazione permanente, se cioè l'ispirazione educativa non è rinnegata, ma permane viva e autentica all'interno delle scelte programmatiche, attraverso:a) la scelta culturale: contro l'animazione come religione, evasione e disimpegno, ma con la necessità di integrare l'esperienza di animazionenella realtà culturale, sociale e politica del paese, ponendo al centro di essa i concetti di persona e di comunità;b) la scelta della persona: per fare dell'animazione un mezzo di promozione umana, combattendone la strumentalizzazione e la mercificazione che è purtroppo presente in tutti i suoi livelli;c) la scelta dei poveri: perché i metodi e gli strumenti dell'animazione tradizionale o alternativa, sono inadatti ad eliminare l'emarginazione culturale ed alla realizzazione di una animazione culturale di massa;d) la scelta associativa: perché la promozione umana e sociale della animazione passa attraverso l'esperienza associativa democratica e partecipata;e) la scelta sociale: perché il pluralismo associativo è la condizione per lo sviluppo di una animazione a carattere sociale;f) la scelta politica: perché una animazione per tutti esige una scelta di politica culturale prioritaria, una specifica organizzazione, programmi e strumenti di elevato livello.La scelta culturaleIl mondo della animazione si proclama neutrale e allo stesso tempo mitizza il valore culturale e sociale dell'animazione. Si tratta di due atteggiamenti apparentemente opposti che però convivono nell'attuale modello di animazione caratterizzandone la fisionomia culturale e gli indirizzi pedagogici. Dalla conclamata neutralità deriva la tendenza a separare l'animazione dalla vita e a isolare il soggetto della animazione sotto una campana di vetro fatta di falso perbenismo, lontano dalle correnti culturali attuali, disinformato e disimpegnato sui problemi del proprio ambiente e della società.Dall'enfatizzazione culturale deriva la tendenza ad assolutizzare se stessa, ponendosi come alternativa di vita anziché come educazione alla vita, da una parte contrapponendosi con presunzione e arroganza agli altri ambiti dell'esperienza giudicati sorpassati o inferiori e dall'altra coprendo con un velo di ipocrisia le sue scoperture e distorsioni, mascherando i suoi contenuti e intenti reali.La realtà infatti è ben diversa. Insieme ad un superficiale idealismo moralistico che più o meno è presente in tutte le espressioni di animazione, per il resto essa appare come una sottocultura che subisce passivamente le influenze del momento e si fa regolarmente veicolo e strumento docile delle culture dominanti e dei più svariati centri di potere. Basti pensare alle esasperate forme di esaltazione dell'aspetto tecnico-agonistico con la ricerca del risultato aderente al concetto di efficienza-profitto che spinge ad identificare il valore dell'uomo con il produrre più che con il creare, con l'avere più che con l'essere, con il consumare più che con il compiere autentiche esperienze di vita; od anche a proposte di massificazione socializzante aderenti al concetto di cambiamento alternativo, di rifiuto dei valori, mascheranti nuove ideologie di potere. A queste impostazioni opponiamo la proposta di modelli di animazione polivalenti, ma informati ad una chiara e precisa scelta culturale che pone al centro dell'esperienza di animazione il concetto di persona/comunità.Si rileva purtroppo un atteggiamento di indifferenza o di insufficienza verso tutto ciò che non sia animazione alternativa o all'altro estremo, un ingenuo fideismo sulle facoltà educative della animazione comunque praticata: ciò che conta è offrire la concreta possibilità di fare attività di animazione, lasciando poi che sia l'animazione stessa a sviluppare i suoi effetti comunque benefici ed educativi. Al contrario noi riteniamo che la scelta culturale sia insostituibile e condizionante per realizzare un vero e positivo processo educativo attraverso l'animazione e pertanto essa assume rilievo concreto, ponendosi come fondamento della proposta educativa. Collocare l'essere umano, nella sua dimensione personalista/comunitaria, al centro dell'esperienza di animazione, equivale ad operare un salto qualitativo rispetto al modello di animazione dominante. Vuol dire far scendere l'animazione dal suo piedistallo di presunzione, per incarnarla nella concretezza umana del praticante in tutta la sua gamma di connotazioni, possibilità e bisogni diversi; vuol dire demitizzare l'animazione come valore assoluto, oggettivo, esterno al praticante perché totalmente alternativo e non integrativo, dando invece preminenza all'impegno e quindi al risultato soggettivamente ottenuto sul piano del miglioramento psico-fisico e socio-culturale; vuol dire liberare

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l'animazione dalla oppressione del potere e delle ideologie per farle riacquistare il suo significato strumentale e funzionale. Infine vuol dire riportare l'animazione nella linea della storia della persona e della comunità, immettendola, ad integrazione, nel flusso della vita individuale e sociale con una sua autonomia e capacità dialettica di partecipare ai processi culturali e formativi, liberandola dalle astrazioni moralistiche, dalle impostazioni ideologiche e dalle strumentalizzazioni di ogni tipo (commerciali, di potere, di prestigio). Solo in tal modo si può inserire l'esperienza di animazione nella realtà culturale, sociale e politica del paese effettuando una concreta opera di promozione umana.Dobbiamo quindi interrogarci in quale misura l'atteggiamento culturale dominante nel mondo della animazione sia presente e determinante; e se e in quale misura l'animazione è occasione di evasione e di disimpegno; fino a che punto rifiutiamo espressamente di compiere una scelta culturale lasciando che anche la nostra attività sia impegnata dai luoghi comuni ipocriti e moralistici di tanta parte del mondo della animazione in particolare e dell'educazione in generale.La scelta antropologicaLa scelta culturale si concretizza nella scelta dell'uomo. L'animazione, come altre attività umane, ha la tendenza spiccata a prevaricare sulla persona attraverso due aspetti:- la tendenza a valutare l'animazione come prodotto a sé stante e a considerare il praticante come una macchina fornitrice delle stesso prodotto, riducendo l'una e l'altro a merce da usare strumentalmente per fini estranei alla persona ed alla stessa animazione;- la tendenza a proporre l'animazione come unico modo di fare educazione rifiutante gli aspetti formali e sostanziali dei ruoli e delle variabili individuali. Può sembrare esagerato parlare di mercificazione e di massificazione, una specie di forzatura critica che generalizza impropriamente certi aspetti commerciali o ideologici del fenomeno di animazione. Ma il nostro discorso è soprattutto di carattere educativo, tendente al superamento di qualunque mercificazione e ideologizzazione che offendono la dignità della persona e compromettono le possibilità formative della animazione. Non ci si può non preoccupare delle differenze di età, di sesso, di cultura, di ambiente, di storia, proponendo a tutti un identico tipo di animazione, in particolare ai più piccoli che non hanno ancora la capacità critica di controbattere le nostre proposte e di scegliere le proprie alternative situazionali. Non ci si può non preoccupare di tutte la diverse età poiché ciascuno necessita di una adeguata proposta.Fare dunque la scelta dell'uomo nella animazione, vuol dire effettivamente impegnarsi per questi tipo di animazione, costruendolo, adattandolo, reinventandolo con il diretto coinvolgimento di ciascuno. È questo il significato sostanziale del nostro progetto di animazione, cioè di quell'itinerario educativo che fino dalla sua denominazione sottolinea con chiarezza la fisionomia di una esperienza di animazione che deve articolarsi ed evolversi con il naturale processo evolutivo dei praticanti, avendo sé precisi e presenti i caratteri specifici della animazione, ma senza rinunciare alle fondamentali istanze formative della persona. Ciò non significa rigettare tutte quelle esperienze di animazione che hanno dimostrato notevole validità, ma vuol dire soprattutto prendere atto che quelle attività non sono adatte a tutti e non sono le uniche ad avere il diritto di fregiarsi del titolo di attività di animazione. Vuol dire che, rifiutandoci di accettare la validità di una attività di animazione che si identifica con la quantizzazione dei risultati raggiunti, vogliamo preparare operatori estremamente qualificati per estendere a tutti e a tutto il tempo umano, la possibilità di praticare animazione e di compiervi una esperienza positiva gratificante, a misura delle proprie caratteristiche e aspirazioni personali e sociali. In definitiva significa programmare la promozione della animazione su un piano orizzontale e verticale, facendo sè che sia l'animazione a sottomettersi alle diversità umane e non il contrario.La scelta dei «poveri»Stare dalla parte della persona significa chiaramente stare anche dalla parte dei poveri. Stare dalla parte dei poveri è una decisiva aggiunta, più coraggiosa e impegnativa rispetto alla sola scelta dell'uomo. Scegliere i poveri vuol dire scegliere i più e contemporaneamente il meno.I poveri sono gli emarginati dalla cultura perché non hanno i mezzi, per l'insufficienza delle strutture e delle occasioni, quelli che nessuno cerca perché non fanno gioco economico e partitico; sono gli emarginati psico-fisici, per età, sesso, cultura, ecc. Ma sono i poveri anche quelli che pur entrati nel meccanismo, vengono ben presto messi da parte perché non acquisiscono le tecniche specialistiche o non si prostituiscono alla ideologia. Fare la scelta dei poveri, insieme alla scelta dell'uomo, significa entrare nel vivo dei meccanismi che regolano abitualmente il modo di organizzare le attività di animazione, per cambiarli, scegliendo con coraggio il meno gratificante per noi stessi a favore dei più numerosi e

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bisognosi. Certamente non è facile scegliere di operare con numerosi ragazzi a livelli qualitativi di base e non tecnico-agonistici di vertice, cercando di non lasciare indietro nessuno, e tuttavia senza sacrificare i più dotati. Non è certamente facile dedicare il nostro impegno e la nostra competenza a quelli a cui gli altri non pensano con la volontà e il sincero sforzo di fare spazio alle categorie più emarginate (ragazzi e giovani di ambienti subculturali, svantaggiati, donne, adulti e anziani).Il nostro compito prioritario è quello di far partecipare ciascuno alla crescita di tutta l'umanità, senza più delegare a pochi la cultura, al scienza, la gestione del potere.La scelta associativaL'animazione è un fatto sociale: in tal senso il suo fine è prevalentemente di favorire il rapporto tra il singolo individuo e gli altri in un continuo interscambio di reciproci adattamenti e arricchimenti. È la scelta del fare le cose insieme, alternando continuamente gli apporti originali di ogni persona e la risonanza che il gruppo offre a questi rapporti, tra la progettazione comunitaria e la realizzazione personale e associativa che determina la crescita di ciascuno. L'animazione è una attività educante soprattutto perché è mezzo di interazione e pertanto offre una notevole possibilità di partecipazione dell'individuo alle scelte del gruppo. Ciascuno deve avere la possibilità di progettare, realizzare e verificare l'esperienza di animazione, poiché è da tale gestione comunitaria che l'esperienza di animazione trae forza educante in quanto offre alle persone uno stimolo continuo ad essere protagoniste della propria storia che si concretizza nell'impegno di promozione umana anche mediante l'animazione. Una attività di animazione che non costituisce una efficace occasione di confronto, dialogo, partecipazione, si rivelerebbe un ulteriore strumento di isolamento, di non comunicazione, di disumanizzazione.Aggregazione autentica non è soltanto insieme numerico di soggetti, quanto piuttosto capacità reale di rapportarsi, di esser con, di dare vita a forme di gestione comunitaria capaci di rispettare sia l'originalità del singolo che la crescita del gruppo.Non è quindi sufficiente creare le condizioni per l'attività di animazione, occorre favorire anche una aggregazione viva, che sia in grado di dibattere, determinare le finalità stesse dell'agire, che sia capace di essere, per ciascun componente, un luogo di maturazione.Oggi esiste indubbiamente un nuovo fermento nella realizzazione di servizi sociali per le attività di animazione, una nuova coscienza frutto di anni di sensibilizzazione da parte dei più svariati enti che hanno portato via via anche la scuola ad una politica tesa verso una pratica della animazione la più aperta possibile.Non sempre però accade che, accanto alla pure importante offerta di servizi, esista un adeguato stimolo a vivere tali esperienze in forme qualificate e qualificanti e in forme associative, favorendo una aggregazione di persone che, partendo dalle attività di animazione, costruisca, con l'apporto di tutti, il proprio modo di vivere e di essere.L'animazione socio-culturale non è solamente animazione per tutti, ma anche animazione di tutti e con tutti rispondendo così ai profondi bisogni delle persone e quindi ad una esigenza di umanizzazione. La nostra proposta di una animazione a misura della persona non può prescindere da un'intensa opera di sensibilizzazione nei confronti di tutto il contesto che aggreghi le persone in forme partecipate e autogestite. Soltanto una sempre maggiore partecipazione di tutti al problema della educazione in generale e di quelli particolari della animazione, finalizzati alla costruzione di nuovi modelli più qualificanti la persona, alla presa di coscienza delle motivazioni profonde che inducono l'animazione ad umanizzarsi, può veramente condurre ad una autentica promozione umana non come risultato alternativo, ma piuttosto quale costruzione comunitaria di tutte le alternative situazionali possibili.La scelta socialeOgni volta la società vuole rinnovarsi, rinascere, ed ogni volta i cambiamenti non sono indolori: il terrorismo, la droga, la disgregazione morale e sociale da una parte sembrano indicarci la sopraffazione degli aspetti più negativi dell'essere umano sui valori: dall'altra c'è una umanità che si rinnova e spinge ad un rinnovamento privilegiando gli aspetti positivi sempre più emergenti nell'umanità. C'è soprattutto per moltissimi come noi, una voglia di autenticità nuova e fino ad oggi sconosciuta.Una effettiva maturità di fondo, rende cosciente l'umanità dei veri problemi e dei veri valori, coinvolgendola in un'ansia di solidarietà che supera contrapposizioni fittizie e strumentali, mettendo a nudo le meschinità dei falsi profeti. Fare la scelta sociale assume il significato di stare con la gente, di saperne interpretare i bisogni, di avere la volontà e la capacità di dar voce alle sue istanze: è scelta contemporaneamente culturale e politica. Un atteggiamento pseudo-culturale di pura evasione, alienante e

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consumistico, momentaneo e coinvolgente solo sul piano immediatamente emotivo, nulla ha a che vedere con la gratuità dell'esperienza ludica della animazione che solo facendosi gioiosa cultura permette l'apprendimento e la crescita. Tuttavia l'atteggiamento culturale non è sufficiente se non vi è una corrispondente volontà politica perché la scelta sociale non rimanga al livello della buona intenzione.Pertanto la scelta sociale si concretizza in un chiaro progetto di società e di organizzazione delle attività di animazione al suo interno mediante:- la proposta di una società fondata su una democrazia sostanziale e sulla libertà partecipativa, sul decentramento politico e amministrativo, sul rispetto delle opzioni e delle scelte pluralistiche, sulla partecipazione democratica alle scelte politiche e programmatiche di interesse comune;- una organizzazione culturale universitaria che sul piano pubblico garantisca una qualificata gestione dei servizi collettivi e la libera gestione associativa delle attività, oltre a determinare scientificamente le fondamentali scelte politiche, tecniche e organizzative anche nel momento specifico dell'animazione.Animazione e società sono per noi legate in integrazione reciproca: non ha senso ed è estremamente pericoloso effettuare interventi non inseriti in un progetto totale di riforma della società come non è possibile costruire una società nuova trascurando la parte che vi gioca anche l'attività di animazione. Fare la scelta sociale delle attività di animazione, vuol dire creare in ogni luogo presidi di libertà, spazi di partecipazione, aggregazioni aperte, momenti di incontro e di confronto, effettuare interventi di promozione umana nei confronti di tutti, in particolare degli emarginati.La scelta politicaChiaramente si deve trattare di una scelta alternativa se per alternativa si intende un modo diverso di fare animazione con quel rilievo culturale e pedagogico di cui ci siamo sforzati di parlare, e sul quale sono lecite tutte le opinioni purché informate alla scienza, alla cultura, alla disponibilità. Quindi per animazione alternativa deve intendersi cosa diversa che sfugge ai sofismi e rifiuta le mistificazioni; essa è fatta di cose concrete e di interventi permanenti, è una animazione per tutti, di tutti e con tutti, contraria a gestioni verticistiche, paternalistiche e libertarie.A questo livello il problema dell'animazione si trasferisce sul piano politico, poiché riguarda l'assetto, l'organizzazione, la programmazione, la personalizzazione degli interventi. Una nuova proposta di animazione non si realizza contrapponendosi ad enti ed associazioni, al CONI, alla scuola, agli Enti Locali, ecc., ma mettendosi in qualità di operatori del settore, qualificati a livello universitario, al servizio di tutti.Perché un tale progetto di animazione diventi realtà, occorre prima di tutto preparare animatori dell'animazione competenti e qualificati che possano inserirsi in quelle organizzazioni, che assumano l'animazione come uno dei propri mezzi operativi preminenti, sollecitando interventi politici che riconoscano la validità di tali affermazioni, predisponendo quindi le strutture universitarie e quelle locali idonee e adeguate; mentre alla gestione pedagogica spetta analizzare i contenuti, i metodi, i fini, a quella politica spettano gli interventi legislativi sui ruoli, le strutture, i programmi, gli strumenti, gli operatori.La prima condizione fondamentale è allora una chiara volontà politica in tal senso perché sia vera riforma e non riformismo. Non abbiamo alcun preconcetto nei confronti di progetti di riforma nazionali o delle legislazioni regionali se sono improntati ad un serio progetto educativo e non a demagogizzare scelte in funzione elettorale. Occorre certamente superare la tradizione, ma è necessario anche rifiutare il nuovo a tutti i costi: il nostro tentativo è quello di riuscire a modificare il vecchio integrandolo e reinterpretandolo con tutto ciò che sta maturandosi attualmente.Un'altra condizione è quella strutturale e organizzativa. Non vogliamo certamente mettere in dubbio il valore e i diritti delle strutture delegate ai servizi sociali, ma la loro esperienza storica e la competenza specifica li ha portati a privilegiare una risposta quantitativa come ricerca del mantenimento o dell'allargamento del consenso. Tuttavia il nuovo assetto delle attività di animazione necessita che si dia la massima delega alla struttura universitaria che ha tali scopi e quindi la capacità di sviluppare spazi di intervento, esperienze e competenze.A fianco dell'approfondimento universitario, deve svilupparsi l'intervento pubblico a tutti i livelli evitando però di assumere in proprio, come da molte parti si cerca, la gestione di una attività socio-culturale che non gli compete.Così lo sviluppo sociale e culturale della animazione deve far leva sull'azione di supporto e di sviluppo degli Enti Pubblici da una parte e dall'altra sulla funzione educativa e propedeutica dell'ISEF e di Scienze dell'educazione. Così la distinzione dei ruoli è una condizione qualificante, è una necessità politica e

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organizzativa, un'esigenza di razionalità e di funzionalità pratica: chi cerca di sfuggire a questa logica invadendo per i propri interessi il terreno altrui, non fa un servizio effettivamente sociale.Cerchiamo inoltre di verificare se per primi noi stessi crediamo in un diverso modo di fare animazione, sforzandoci per la nostra parte di realizzarla, se è costante il nostro sforzo di attuare una animazione per tutti, se il rispetto degli altri può essere constatato concretamente nei nostri programmi e nelle nostre attività.

CAP. VI - ANIMAZIONE E DRAMMATIZZAZIONE

L'animazione è un mezzo che favorisce la partecipazione da parte di ciascuno alla creazione di cultura e di relazioni. L'educatore è quindi animatore dell'animazione culturale psicopedagogico e sociale. L'insegnamento è il mezzo che integra la partecipazione da parte di ciascuno alla fruizione di cultura. L'educatore è quindi insegnante di cultura formale. L'educatore attraverso l'animazione alla drammatizzazione aiuta ciascuno a prendere coscienza di sé in relazione ai componenti del gruppo e all'ambiente. La drammatizzazione è aggettivazione naturale dell'esistere (senza raggiungere i limiti della tragedia e della farsa), è sperimentazione interfunzionale di tutti i linguaggi e interdisciplinare di contenuti, è scelta e organizzazione situazionale di una comunicazione formale da attuarsi nel contesto della comunità. La comunicazione polilinguistica unifica tutti gli aspetti dell'animazione alla drammatizzazione che si attua in qualunque momento dell'apprendimento e si approfondisce con le diverse tecniche, dal giocodramma alla spettacolazione.

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6.1. La drammatizzazione76

La drammatizzazione nasce e si realizza come risposta ad esigenze di azione e di gioco, al desiderio di comunicare, esprimersi, rapportarsi agli altri, ma anche dal bisogno di affermare se stessi e di confronto con altri soggetti e situazioni. La drammatizzazione è una importante occasione di espressione della libertà, che coinvolge tutto l'essere, la mente razionale e la fantasia, il corpo e l'immaginazione in una azione scenica realizzata tramite uno spazio scenico, personaggi e costumi, gesti, parole e musica o suoni.Non deve esistere però un copione rigidamente prestabilito da imparare a memoria e da eseguire, ma solo una traccia, una idea, un tema da sviluppare assieme agli altri, capace di sollecitare l'immaginazione, improvvisando, identificandosi con personaggi inventati.Non è tanto importante il risultato, certamente imprevedibile, quanto il crescere dell'azione e la preparazione del lavoro. Drammatizzazione è giocare (jouer-to play: giocare, recitare, danzare, suonare) che ha per scopo di conoscere se stessi, di autoidentificarsi nel confronto con l'altro facendo scoprire le proprie possibilità di percepire e muoversi, di interpretare e rivivere, riproducendo creativamente episodi della vita reale.L'azione si realizza tramite i linguaggi verbali e non verbali quale strumenti espressivi fondamentali (gesto, atteggiamento, sguardo, voce, abbigliamento, trucchi, ecc.).Schematicamente la drammatizzazione deve consentire:. la scoperta, la consapevolezza e l'uso espressivo del proprio corpo;. un lavoro e una comunicazione basata sul rapporto con gli altri, coordinando gesti, suoni, parole, azioni;. il possesso dello spazio fisico e percettivo.Rostagno-Pellegrini affermano che «con drammatizzazione si intendono genericamente tutte le forme più o meno sfumate di uso di mezzi teatrali a fini educativi. I ragazzi che drammatizzano, ripetono e cambiano continuamente ruoli, parole e gesti ed è inutile tentare di vincolarli ad un testo: essi operano e trovano godimento unicamente nella mutevole ed imprevedibile spontaneità di tale operare» (Rostagno, Pellegrini, 1978).Essi puntualizzano inoltre alcune caratteristiche della drammatizzazione/- socialità;- emotività: la drammatizzazione colloca nel gioco teatrale comportamenti carichi di intensa emotività;- linguaggi: il corpo rappresenta la fonte ed il veicolo principale dell'azione scenica;- creatività;- interdisciplinarità; (Rostagno, Pellegrini, 1978).Drammatizzare significa far prendere a ciascuno la consapevolezza del proprio ruolo e permettergli di poterlo scambiare con quello degli altri in modo che a seconda del momento ciascuno possa interpretare la parte più appropriata.77

Lo schema del processo di drammatizzazione può essere riassunto in tre fasi: «1) Stimolo - giocodramma;

76 «Il termine 'drammatico' ci riporta al senso originario che ebbe nella Grecia antica: essenzialmente tutto ciò che rappresenta un movimento, uno sviluppo dato dal dialogo o dalla dialettica tra due o più personaggi, tra due o più elementi, di qualunque genere» (Santoni Rugiu-Fagni, 1976). Per Bongioanni « la parola 'dramma' non significa affatto cosa tragica o triste come il termine italiano potrebbe indurre a credere; significa soltanto 'fatto' o 'azione': tale di per sé è il significato della parola greca 'drama'...I francesi indicano l'espressione drammatica con il termine 'jeu dramatique', i tedeschi (ed i fiamminghi) con la parola composita 'Laienspiel' che significa 'azione drammatica' (Spiel) 'non erudita' o 'laica' (laien) essendo un tempo solo eruditi i 'chierici'» (Bongioanni M., 1972).

77 Secondo Rostagno-Pellegrini «la drammatizzazione si realizza come ricerca del gruppo che si accorda sui ruoli dei personaggi, sull'ambiente in cui situarli e sul dialogo da improvvisare, alla stregua degli scenari della commedia dell'arte che prevedevano soltanto una traccia di copione su cui creare di volta in volta, improvvisando. Il momento teatrale vero e proprio è solitamente di breve durata e non ha tanto valore come prodotto quanto per come si è andato realizzando. L'azione spettacolo non vuole far divertire un pubblico, è fruizione di chi la compie, vale per il percorso fatto per le energie che ha messo in moto». Sottolineano l'importanza assunta dal gioco dei ruoli nella drammatizzazione: «il ruolo è un modello organizzato di condotta: è legato alla situazione sociale in cui si è inseriti. Il ruolo diventa un elemento negativo quando si fissa in comportamento difensivo e immodificabile. Il gioco dei ruoli è definire se stessi come figure sociali» (Rostagno, Pellegrini, 1978).

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- fatto vissuto, visto, letto sentito; - situazione contraddittoria da chiarificare; - realtà esterna da sondare e trasformare; - storia fantastica. 2) Realizzazione - distribuzione delle sequenze ai gruppi; - ricerca mimica, gestuale, sonora; - distribuzione dei ruoli; - ambientazione; - dialoghi. 3) Approfondimento - ricerca di particolari; - estensione messaggio; - focalizzazione aspetti; - arricchimento espressivo. (Rostagno, Pellegrini, 1978).Bongioanni ci indica tre definizioni riassuntive di espressione drammatica:- è «gioco drammatico»;- è «teatro totale»;- è «pubblico partecipante» (Bongioanni M., 1972).Il progetto di realizzazione in riferimento ad un contenuto da affrontare, può realizzarsi attraverso:- L'improvvisazione individuale adopera la scoperta e l'organizzazione del proprio corpo, la realtà degli oggetti e la simbologia dei linguaggi.- L'improvvisazione comunitaria o creatività operativa adopera la scoperta e l'organizzazione tra le varie persone che costituiscono il gruppo, l'uso polivalente dell'oggetto reale, la simbologia formalizzata dei linguaggi.- La classificazione e quindi la scelta dei prodotti ottenuti sia attraverso la creatività spontanea che attraverso quella operativa.- L'esercizio, le prove e gli errori, le ripetizioni.- La ricerca della riproduzione realistica oggettiva.- L'organizzazione degli elementi (materiali, prodotti, contenuti) della ricerca e di quelli espressivi in funzione della comunicazione.- L'organizzazione degli elementi della ricerca e di quelli espressivi in funzione della comunicazione come spettacolazione, azione teatrale, mostra, dibattito, ecc.La scelta avviene su un contenuto nel quale devono essere compresenti le tematiche indicano la direzione dell'indagine ambientale, di ricerca, valoriale (direttamente con osservazioni, questionari, interviste, registrazioni sonore, fotografie, diapositive, filmati; indirettamente con la ricerca di documenti, libri, riviste, quotidiani, ecc.). La comunicazione deve ricercare l'elemento privilegiato situazionalmente da comunicare, quindi che possa comunicare, come, dove, perché, ecc. La discussione infine si rivolge alla riflessione e valutazione individuale e del gruppo sulle tematiche e prodotti di comunicazione, al dibattito a chiarificazione degli argomenti e problemi, ad una riprogettazione di tutto il lavoro in base ad una completa analisi critica anche attraverso i suggerimenti dei destinatari della comunicazione.- Situazione di spettacolazione/comunicazione: - presentazione dei contenuti e tecniche - spettacolazione - mostra dei prodotti (fotografie, costumi, scenari, ricerche, ecc.) - dibattito aperto - riprogettazione dell'argomento.

6.2. Natura e scopo della drammatizzazione

Quando parliamo di drammatizzazione rischiamo molto spesso di sollevare dei malintesi. Certamente un rapporto con il mondo teatrale è dichiarato dal termine e dalle tecniche della drammatizzazione. All'interno della metodologia scolastica si cerca di rendere responsabile l'animazionedella classe definendo così la drammatizzazione come quell'azione per cui una classe diventa cosciente di essere un gruppo e

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concordemente si esprime di fronte ad un problema o ad un argomento di comune interesse. Quindi sostenendo la drammatizzazione come momento fondamentale del processo di apprendimento, non si può accettare che tale attività sia solo relegata nell'ambito delle iniziative extra-scolastiche.Per precisare il significato della drammatizzazione è soprattutto importante riferirsi al problema generale della cultura come partecipazione e alle varie forme di animazione, riscoperte in funzione di una nuova metodologia educativa. Lo scopo della drammatizzazione è di verificare nella fase dell'apprendimento scolastico e nell'ambito di una classe, come un problema umano e di conseguente peso culturale, è sentito e percepito da un gruppo, è di portare nel momento stesso dell'apprendimento, a una espressione che sia simultaneamente: dichiarazione e verifica, conquista e controllo critico della propria sensibilità del problema. Una manifestazione personale e del gruppo in cui domina la elaborazione dei gesti e della parola, una forma di animazione simbolica che si basa sulla mimica e la gestualità come manifestazione più immediata dell'azione drammatica riletta successivamente con tutti gli altri linguaggi.

6.3. La drammatizzazione non è teatro

Con il termine «drammatizzazione» si vuole denominare quell'attività che inserita in una dinamicadi gruppo, ha il fine di dare al soggetto la sicurezza di essere se stesso nella pienezza della propria identità storica (il soggetto è la sua storia), corporea (il corpo come strumento di espressione e comunicazione), psicologica (la consapevolezza dell'Io), simbolica, come entità originale ma distinta dal resto del mondo. Innanzitutto è opportuno chiarire che non si tratta di rappresentazione teatrale, ma di rivivere e di esprimere e comunicare sentimenti e situazioni che si presentano quotidianamente.78

Blasich definisce la drammatizzazione come «quell'azione per cui una classe diventa cosciente di essere un gruppo e concordemente si esprime di fronte ad un problema o ad un argomento di comune interesse» (Rostagno R., Pellegrini B., 1978). Drammatizzare vuol dire rendere ciascuno consapevole del proprio ruolo e permettergli di poterlo scambiare con quello degli altri interpretando a seconda dei momenti, ciascuno, la parte che più gli si adatta. La prima caratteristica della drammatizzazione è quella di essere l'espressione di un gruppo, di risultare libera creazione attuata da un gruppo nella sua coralità. La drammatizzazione si propone quindi come espressione gestuale collettiva, come creatività del gruppo scolastico. La drammatizzazione appare come una manifestazione personale o di gruppo attraverso l'elaborazione dei linguaggi umani partendo dalla animazione fondata sulla mimica e la gestualità quale manifestazione più immediata dell'azione drammatica.La messa in pratica della drammatizzazione si ha tramite la utilizzazione dei seguenti determinati linguaggi:- linguaggio gestuale;- linguaggio mimico;- linguaggio grafico-colorico-plastico;- canto;- danza;- dizione;- musica;- ecc.A livello individuale, la drammatizzazione suscita l'immaginazione, stimola l'osservazione, la riflessione, lo spirito critico; favorisce le capacità deduttive e logiche, fa utilizzare il vocabolario, la sintassi, la buona pronuncia; aiuta nell'acquisizione della padronanza del gesto; combatte la timidezza, facendo nascere il desiderio di interpretare una parte; mette in evidenza la capacità creativa dei bambini nel campo immaginativo, gestuale e verbale; facilita l'espressione di se stessi sotto la maschera del personaggio interpretato.Essendo un mezzo per espandersi, porta, attraverso l'esercizio, alla fiducia in se stessi.

78 «L'idea della drammatizzazione non è senz'altro quella del teatro per ragazzi. Anche in questo campo l'educazione attiva si contrappone a quella autoritaria e paternalistica. Vi è un modo tipico di tradire il fanciullo nel bisogno che lo spinge a recitare e a giocare in tale attività: è quello d'imporgli una parte che non corrisponde alle sue esigenze psicologiche ed educative, ma ad un piano prestabilito, ad un fine spettacolare, per cui, rimanendo all'esterno del soggetto, egli reciterà meccanicamente. Al contrario il metodo critico della drammatizzazione è fondato sulla spontaneità dei fanciulli e perciò si è andato affermando e sviluppando col movimento dell'educazione nuova come uno dei suoi più tipici aspetti» (Ferrière, 1969).

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A livello sociale la drammatizzazione, rappresenta il primo stimolo assicurando la comunicazione tra i bambini; essa inoltre sviluppa lo spirito di gruppo, infatti in scena durante la rappresentazione in cui tutti si sentono solidali. L'educatore impara e perfeziona il proprio ruolo di animatore dell'animazione, al fine di ottenere la spontaneità totale dello spettacolo; ha fiducia nella ripetizione frequente di questo esercizio che dà ai bambini l'abitudine ad inventare la drammatizzazione sia con i gesti che con le parole; è cosciente di aiutare i bambini a diventare se stessi realizzandosi in una atmosfera fiduciosa, serena e cordiale.Il progetto di realizzazione in riferimento ad un contenuto da affrontare, può realizzarsi attraverso:- L'improvvisazione individuale (o creatività spontanea) che adopera la scoperta e l'organizzazione del proprio corpo, la realtà degli oggetti e la simbologia dei linguaggi.- L'improvvisazione comunitaria (o creatività operativa) che adopera la scoperta e l'organizzazione tra le varie persone che costituiscono il gruppo, l'uso polivalente dell'oggetto reale, la simbologia formalizzata dei linguaggi.- La classificazione e quindi la scelta dei prodotti ottenuti sia attraverso la creatività spontanea che attraverso quella operativa.- L'esercizio, la prove e gli errori, le ripetizioni.- La ricerca della riproduzione realistica oggettiva.- L'organizzazione degli elementi (materiali, prodotti, contenuti) della ricerca e di quelli espressivi in funzione della comunicazione.- L'organizzazione degli elementi della ricerca e di quelli espressivi in funzione della comunicazione come spettacolazione, azione teatrale, mostra, dibattito, ecc.I momenti della problematica operativa possono compendiarsi nella scelta, comunicazione e discussione.79

Le scelte tematiche indicano la direzione dell'indagine ambientale, di ricerca, valoriale (direttamente con osservazioni, questionari, interviste, registrazioni sonore, fotografie, diapositive, filmati; indirettamente con la ricerca di documenti, libri, riviste, quotidiani, ecc.). La comunicazione deve ricercare l'elemento privilegiato situazionalmente da comunicare, quindi che cosa comunicare, come, dove, perché, ecc. La discussione infine si rivolge alla riflessione e valutazione individuale e del gruppo sulle tematiche e prodotti di comunicazione, al dibattito e chiarificazione degli argomenti e problemi, ad una riprogettazione di tutto il lavoro in base ad una completa analisi critica anche attraverso i suggerimenti dei destinatari della comunicazione.Schematicamente la drammatizzazione deve consentire:1) la scoperta, la consapevolezza e l'uso espressivo del proprio corpo;2) un lavoro e una comunicazione basata sul rapporto con gli altri, coordinando gesti, suoni, parole, azioni;3) il possesso dello spazio fisico e percettivo, tramite il movimento e non solo la visione statica.Le fasi della programmazione di una drammatizzazione sono:a) Individuazione di un tema-stimolo.b) Stesura di una sceneggiatura o filo conduttore delle azioni, nel loro svolgersi sommario, cui i personaggi dovranno fare riferimento per le loro azioni e invenzioni.c) Realizzazione di una scena, adattando lo spazio dell'aula, dell'atrio, del giardino, delle scale, ecc., alle esigenze della storia, trasformandolo.d) Creazione dei personaggi- Situazione di spettacolazione/comunicazione: - presentazione dei contenuti e tecniche - spettacolazione - mostra dei prodotti (fotografie, costumi, scenari, ricerche, ecc.) - dibattito aperto - riprogettazione dell'argomento.

6.4. Espressione drammatica

«Nata da un soggetto (racconto, idea ...) l'espressione drammatica è diventata prima 'gioco spontaneo', poi 'gioco guidato', poi 'gioco scenico'» (Bongioanni M.,1977 ). Noi l'abbiamo svolta anche come gioco interdisciplinare. Elemento fondamentale nella espressione drammatica rimane comunque il gioco

79 La scelta avviene su un contenuto nel quale devono essere compresenti le diverse tematiche (Pinocchio: dalla spontaneità alla formalizzazione; amore/odio, ecc.).

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drammatico; esso infatti «nella libera espressione del corpo e dello spirito, è uno dei mezzi più sicuri per conservare nel fanciullo il fervido gusto creativo del gioco e per sviluppare nel contempo le sue qualità di immaginazione, di riflessione, di sensibilità, di senso sociale» (Small M., 1975).Secondo Small «è inutile, anzi dannoso, spingere il gioco drammatico fino alla recitazione perfetta. Nel momento in cui il fanciullo si libera e recita 'per se stesso', lo scopo è raggiunto. Tutti i giochi che noi gli proponiamo o che egli riesce a scoprire da solo non sono che mezzi per arrivare a questa liberazione» (Small M., 1975).Per Rostagno-Pellegrini : «il giocodramma è la forma di rappresentazione teatrale più antica» (1978)., «nel gioco teatrale confluiscono elementi di:- 'psicodramma': un gruppo ricerca ed esprime e realizza i propri bisogni psichici;- 'sociodramma': un gruppo ricerca ed esprime le relazioni esistenti tra coloro che lo compongono;- 'onirodramma': si rappresentano le componenti simboliche del sogno».«Il gioco libero è giocodramma quando il bambino sviluppa nella espressione il bisogno di muoversi, di comunicare, di inventare. Il giocodramma educa l'immaginazione, la spontaneità, le capacità espressive e creative» (Rostagno R., Pellegrini B., 1978).80

Per Small per fare dell'animazione drammatica servono anche di supporto alcuni elementi coreografici per arricchire la rappresentazione. «Occorre cercare tutti quegli accorgimenti che si impongono per la loro semplicità; vecchi pigiami dipinti a tempera, parrucche di rafia colorata ecc. ecc. Un ramo secco dipinto in rosso e piantato su uno sgabello, è un albero più verosimile di un pezzo di tela dipinto» (Small M., 1975).La pantomima «prima base espressiva del giocodramma, si arricchisce della parola-ritmo. Il bambino usa la parola per colorare un gesto, sottolineare un atteggiamento, evidenziare un particolare» (Rostagno R., Pellegrini B., 1978).Ogni bambino cerca di comunicare un contenuto a suo piacimento, gli altri devono indovinare, chi vi riesce, prende il suo posto. A coppie, si dà un tema, quello che dei due lo rappresenta meglio in termini anche di comunicazione, elimina l'altro. A squadre, si dà in tema, la squadra che esegue si organizza, per rappresentare un tema comunitario, l'altra squadra ha un tempo determinato per indovinare; quindi le squadre si scambiano.Tutto il gruppo classe sceglie un tema e si passa ad una rappresentazione comunitaria.

6.5. Drammatizzazione come educazione

Nell'ambito dell'animazione, il gioco drammatico si definisce come uno dei movimenti essenziali delle diverse programmazioni. Qualsiasi forma di espressione, avendo per base il corpo ed i suoi movimenti, si serve delle possibilità motorie acquisite dall'individuo durante la sua evoluzione, la sua esperienza, la sua educazione, organizzate dall'intelletto.81

Limbos ci fornisce a grandi linee una traccia di metodologia per l'educazione all'animazione:«Animazione e rappresentazioni sceniche:1) espressione gestuale, verbale, scritta;2) invenzioni di soggetti e sceneggiature;3) espressione in musica, atti, ritmi;

80 «Quando parliamo di attività drammatica, pensiamo ad un repertorio, ideale o già esistente, da adattarsi od 'arrangiarsi' oppure da seguire come tale, pensiamo insomma a spunti, canovacci, progetti e perfino copioni costruiti in misura maggiore o minore con l'educatore, da adattare necessariamente alle esigenze o alle intenzioni della classe o del gruppo che dovrà animarlo, preferiamo il termine 'drammatico' a 'teatrale' per due ragioni: la prima è che vorremmo cancellare dalla mente l'idea di una continuità fra il tipo di attività che suggeriamo a quella tradizionale della vita scolastica di un tempo: 'le recite' nell'animazione lo spettatore esterno non c'è; può anche esserci occasionalmente, ma l'importante è che l'animazione stessa non lo contempli come necessario. In altre parole che non sia destinata a lui; che non si lavori per lo spettatore, anzi lo si ignori: il che a teatro sarebbe impossibile, dal momento che questa forma di comunicazione esiste principalmente in funzione dello spettatore. La seconda ragione è che l'animazione drammatica può consistere in altre attività non ristrette al ricco campo teatrale anche attraverso un montaggio di fotografie o un collage di immagini e via dicendo» (Santoni Rugiu-Fagni, 1976). Rostagno-Pellegrini notano che «è curioso, che soltanto in italiano il verbo recitare non sia omologo di giocare. Non è così per le altre lingue. In inglese, ad esempio recitare si dice 'to play', che vuol dire giocare. In francese recitare si dice 'jouer', che pure significa giocare. In tedesco 'spielen' vuol dire giocare e recitare e così pure lo spagnolo 'jungar'« (Santoni Rugiu-Fagni, 1976).81 Nell'educazione 'teatrale' «bisogna costantemente ricordare che non si tratta di preparare dei futuri attori, registi, scenografi ecc. e che non bisogna nemmeno tendere a fornire il gusto professionale dello spettacolo, ma essenzialmente far leva su alcune motivazioni di fondo della personalità dell'allievo per sviluppare determinate capacità di linguaggio, di progettazione e di realizzazione».

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4) giochi d'ombre;5) marionette;6) rumori di fondo e sonorizzazione;7) storia del teatro;8) mimi e pantomime, maschere, farse, repertorio» (Limbos E., 1972).Santoni Rugiu - Fagni definendo le relazioni teatro-scuola-gioco affermano: «il punto di partenza per una realizzazione del teatro nella scuola a qualsiasi livello non può che essere il 'gioco'« (Santoni Rugiu, Fagni, 1976).Bongioanni analizza invece la funzione educativa della recitazione corale.82

«La recitazione corale consiste nella recitazione, od anche nella lettura, di un testo: 1) secondo canoni privi di sussidiarietà scenografica; 2) espressamente ritmato secondo una particolare scansione; 3) e realizzato da un ben affinato gruppo di più attori (o lettori)» (Bongioanni M., 1972).Secondo Bongioanni «vi sono alcune caratteristiche da prendere in considerazione, a proposito di una storia da raccontare e drammatizzare.a) Il racconto deve includere il meraviglioso.Infatti il meraviglioso è sia una componente della mentalità giovanile, sia un elemento della poesia.b) Il racconto deve essere ricco di immagini.c) Il racconto deve offrire dei personaggi curiosi.d) Il racconto va tenuto sulla continua azione.e) La 'morale' va impostata nel racconto (Don Bosco)» (Bongioanni M., 1972).Per Santoni Rugiu-Fagni «si possono percorrere almeno due vie per rappresentare quello che ha già avuto una prima stesura sommaria, tipo canovaccio. Si fa uno schema della trama dei personaggi, lasciando che gli attori inventino ed adeguino il dialogo all'una e agli altri, questo costringe i ragazzi non ad uno sforzo di memoria, bensì ad uno sforzo di attenzione e di concentrazione per inserirsi nel contesto del discorso con battute congruenti. L'altra via è quella di stendere il copione con la sequenza di battute che trascritte poi costituiscono le 'parti' da imparare».Attraverso la preparazione della scena, tutti i ragazzi hanno la possibilità di impegnarsi: «la parte 'scenografica' e degli 'effetti luce, sonori e dei costumi' ha una notevole importanza per la riuscita dell'animazione ed impegna ancora una volta tutti i ragazzi in attività interdisciplinari» (Santoni Rugiu, Fagni, 1976). Inoltre la finalità deve essere intrinseca ai ragazzi. Secondo Small «per nessuna ragione lo spettacolo deve assumere il carattere di una dimostrazione. Tutto deve essere preparato nello spirito del gioco. Non è il pubblico che ci interessa, sono i fanciulli. Lo spettacolo andrà curato fin nei minimi particolari, non certo per scatenare applausi, ma perché la perfetta organizzazione garantisce l'impegno del fanciullo». Tutte le variabili della drammatizzazione possono quindi applicarsi al lavoro scolastico. Per Santoni Rugiu-Fagni «quello che conta, all'interno della scuola, è utilizzare l'esperienza attraverso un'animazione teatrale del tipo creativo, il fare teatro significa creare ed allargare il campo sperimentale delle azioni del ragazzo e dei suoi pensieri, del suo essere vivo, così da costruire gli schemi logici per capire i segreti della realtà e del suo evolversi» (Small M., 1975).83

Secondo Garvey «le caratteristiche del mondo sociale e le aspettative, socialmente apprese e trasmesse, rispetto al mondo in cui gli oggetti, le azioni e le persone sono in relazione, rappresentano la risorsa principale della finzione e della simulazione. Questo tipo di gioco, quando interessa 'personaggi' e trame riconoscibili o parti di una storia, è stato definito gioco drammatico e tematico. È forse uno dei più complessi generi di gioco dell'infanzia, poiché, probabilmente, comprende la maggior parte, se non tutte, le risorse a disposizione del bambino e le integra in un insieme» (Garvey C., 1979).

82 «La pratica della recitazione corale è un eccellente mezzo di comunicazione. In nessun'altra attività quanto nella recitazione corale si sente meglio la vita di comunità. Sottomissione di ognuno al coriféo, ritmica comunicazione tra i coristi, controllo del pensiero e del corpo e loro guida, scopi che non sono personali ma comunitari. E poi emozione collettiva, sforzo unanime verso l'espressione viva di se stessi, del gruppo, e dietro al gruppo di tutta un'associazione di anima e di corpo» (da L. Chancerel, Le théatre et la jeunesse, 1968).83 Drammatizzare la paura, l'orgoglio, o, per analogia, altri stati d'animo, porta i ragazzi a capire gli atteggiamenti e le manifestazioni degli altri, a rendersi conto della personalità ed originalità dei modi di sentire e di esprimersi, ad imparare come si costruisce un personaggio che: «non nasce dall'esteriorità: «se io metto una penna di gallina sono un indiano, ma da una creazione interiore: sono un indiano e devo portare fra i capelli una penna di gallina» (Sciaccaluga G., Il Teatro, 1973), (Santoni Rugiu-Fagni, 1976)

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Generalmente difetti fisici, carenze intellettuali, motorie e sensoriali, disturbi del comportamento, ecc. insomma degli svantaggi che sono presenti fin dalla nascita o instaurate precocemente, rappresentano un ostacolo della normale evoluzione psicofisica. La drammatizzazione offre ai bambini svantaggiati, la possibilità di usare un nuovo tipo di linguaggio in quanto normalmente essi conoscono il linguaggio verbale e scritto, quello matematico, quello grafico-colorico, ma è importante che capiscono che per cominciare esiste anche un linguaggio del corpo e che esso non è meno incisivo ed efficace degli altri ed è per questo nuovo tipo di linguaggio che si può instaurare una rieducazione.84

È stato notato che la drammatizzazione è di grande beneficio per alcuni svantaggiati; per altri invece con enormi difficoltà di tipo psichico e conseguenti blocchi, l'espressione di sè attraverso il gesto è invece una conquista che richiede molto tempo di lavoro.All'interno della drammatizzazione possiamo trovare giochi mimici e gestuali che rieducano e favoriscono un tipo di soggetto come una errata pronuncia o emissione di fonemi; occorredapprima individuare la causa del difetto elocutorio e di disturbi ad esso collegati, quindi passare ad una adeguata preparazione fisiologica degli organi predisposti all'articolazione con correzione della respirazione e un rilassamento delle fasce facciali e della loro tonicità; infine potranno essere utili per una impostazione fonetica dei suoni assenti o difettosi, alcuni esercizi che riguardano i suoni onomatopeici. In seguito per la propriocettività si può far apprendere conoscenza di un gesto abbinato alla parola. È importante far apprendere il senso della parola «Io», poi quella degli altri pronomi tramite la drammatizzazione di una storia creata appositamente sui pronomi da apprendere questo esercizio può servire anche per fare imparare dei nuovi vocaboli e quindi un arricchimento del vocabolario del bambino.Per l'apprendimento temporo-spaziale si può realizzare una attività ludica di tipo corale basata prevalentemente sulla motricità con finalità di adattamento nello spazio-tempo a tal fine possono essere utilizzate delle canzoncine. La drammatizzazione può essere utile anche per rieducare il soggetto balbuziente; la balbuzie, infatti è un disturbo del linguaggio che si manifesta sotto forma di ritardi, arresti, ripetizioni di parole che il più delle volte hanno origine emotivo in quanto sono dovute ad ansie che mantengono il soggetto im uno stato di tensione. L'interpretazione di un personaggio della drammatizzazione può aiutare il soggetto a distogliere dal suo problema, rilassandosi e quindi ripetendo meno la parola.

6.6. Drammatizzazione e interdisciplinarità

L'attività di drammatizzazione nella scuola, diventa possibile se si tiene presente il carattere indicativo dei programmi scolastici e se si considera la cosiddetta cultura scolastica pluralistica, dinamica, aperta e flessibile. Tutto ciò comporta l'eliminazione di un piano di lavoro inteso come insieme di nozioni predisposte e vincolanti uguali per tutti e l'affermazione di un processo educativo che miri ad una assimilazione critica fondato sul criterio dell'interdisciplinarità che è una elaborazione, un approfondimento di ciascun tema o argomento da molteplici punti di vista mediante la metodologia specifica delle materie di studio. Se un problema qualunque chiama in causa varie competenze, sorge l'esigenza della interdisciplinarità che non è teoria, ma mentalità, modo di pensare e di porsi in maniera critica e non unilaterale o superficiale, rispetto a tutti gli aspetti della realtà umana.Così anche l'azione drammatica acquista una funzione interdisciplinare (una specie di teatro totale che adopera per realizzarsi tutti i linguaggi e tutte le tecniche possibili nella scuola) e la stessa problematica del teatro, inserita nel tema di sviluppo interdisciplinare delle manifestazioni culturali ed artistiche dell'essere umano attraverso i secoli, può essere oggetto di studio e di approfondimento interdisciplinare per un certo periodo e per l'intero anno scolastico secondo le esigenze e le possibilità della classe e degli alunni. Il discorso teatrale, svolto nella molteplicità delle sue possibilità espressive, tecniche e conoscitive, aiuterà a

84 Per delineare una rieducazione, occorre ricordarsi per prima cosa che ogni bambino è diverso dagli altri, per cui è solo stando insieme alle persone che possiamo apprendere le loro difficoltà osservando i loro gesti e le loro reazioni corporee quali il rossore, il pallore, il tremito. I bambini vivono la loro esperienza drammatica come qualcosa di liberatorio; man mano che il tempo passa i bambini più timidi e bloccati, quelli che raramente nella loro classe hanno il coraggio di far sentire la propria voce, di esprimere il loro parere, si sciolgono, trovano uno spazio gratificante all'interno del quale la propria personalità può risaltare. D'altro canto i bambini più aggressivi, quelli per i quali è sempre pressante l'esigenza dell'autoaffermazione, spesso sottolineata, spronata dai meccanismi competitivi che si creano nelle attività così tradizionali; qui vengono ridimensionati in quanto anche un bambino di età inferiore può a loro insegnare.

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tracciare e realizzare una esperienza totale, completa, capace di assicurare una crescita più soddisfacente superando molte mortificazioni che sia l'istituzione educativa tradizionale, sia la comunicazione di massa determi-nano con i loro codici totalmente prefissati, particolarmente nei confronti di adolescenti che hanno invece molto più bisogno di autogestione guidata e di spontaneità decisionale sollecitata.L'attività della drammatizzazione aiuta a recuperare educativamente le possibilità espressive di ciascuno utilizzando (come scelta situazionale) tutti i linguaggi umani.85

Una tale educazione, ha ricchezza e polivalenza espressiva, favorisce il bisogno di comunicare, libera la fantasia come creatività (non come fantasticheria), ricerca quanti più modelli positivi possibili senza indulgere in modelli assoluti o miti, porta il soggetto alla scoperta affettiva, sociale, economica, etica, storica e geografica della cultura reale in cui avviene l'esistenza, stimola il fare da sé aiutando ciascuno e il gruppo ad una maggiore autonomia e autogoverno, a costruire, a muoversi sempre più razionalmente.Una diffusa e articolata esperienza drammatica è in grado, per la varietà dei contenuti educativi trattati, di aiutare il riconoscimento e la presa di coscienza di sé dilatando le conoscenze e i bisogni di capire e comunicare.86

La drammatizzazione non è forma di teatro calato dall'alto dentro il mondo scolastico con contenuti e operazioni distaccate dalla realtà, ma vuole il soggetto protagonista, è una manifestazione personale e del gruppo in cui domina l'elaborazione dei linguaggi. Quando ad es. la pantomima è accompagnata dal dialogo, la drammatizzazione permetterà la rievocazione e l'approfondimento di motivi culturali sempre più complessi. Tutto ciò deve appoggiarsi sulla insostituibile iniziativa dell'educatore che deve dare agli sforzi conoscitivi e creativi dei soggetti, una struttura, un ordine, un giusto inquadramento.La drammatizzazione nella scuola è un mezzo fondamentale educativo e culturale perché oltre a rispondere alle esigenze dell'età evolutiva del ragazzo e dell'adolescente, è motivo di interessi sempre nuovi, diversi, ma ogni volta validi e importanti. Rivela le attitudini e le capacità personali, accomuna, conduce alla collaborazione e all'aiuto reciproco, promuove il senso sociale e armonizza tendenze diverse e opposte in una attività che ha bisogno del contributo di tutti, favorisce l'espressione e soprattutto la capacità di rispondere in modo creativo agli stimoli prodotti dall'ambiento socio-culturale in cui si vive.Per questo motivo può anche essere considerata un mezzo attraverso cui sono trasmessi processi culturali diversi da quelli tradizionali, ma che entrano a far parte dei processi di creazione e di elaborazione di una cultura formativa oltre che innovativa, mediante l'elaborazione della creatività, della critica e del giudizio, vivificata da ciascuna esperienza personale e trasformata nel processo conoscitivo nel quale la conoscenza non è più statica ma dinamica e l'attività di apprendimento no si fonda sull'ascoltare e sul contemplare, ma acquista un valore riproduttivo e trasformativo. Occorre quindi impostare la drammatizzazione come esperienza, prendendo cioè come motivazione l'esperienza di ciascuno dall'ambiente sociale e culturale, per condurre il singolo e il gruppo ad una nuova esperienza realizzata e vissuta sulla «scena», realizzando uno spettacolo-sintesi conclusivo di un intero anno di lavoro singolo e di gruppo, aiutati, consigliati e indirizzati dall'educatore. I soggetti che elaborano attraverso la drammatizzazione, sviluppano efficacemente il proprio senso creativo e l'educazione al gusto, alla sensibilità, all'espressione estetica ed all'acquisizione di capacità di percezione di forme artistiche, così che tutte le capacità e le tendenze trovano il loro spontaneo sviluppo e completamento armonico in questa attività. In particolare l'adolescente vi trova un naturale sviluppo della sua vita affettiva ed un affinamento della propria sensibilità estetica.

85 I molti canali espressivi da quelli grafici e figurativi (disegno, pittura, fumetti), plastici (modellaggio, costruzioni), musicali (uso di strumenti musicali, canto), ludici (giochi liberi e giochi organizzati), visivi (fotografie, film), sono tutti usufruibili per il linguaggio drammatico che aiuterà a trovare un momento di unificazione con una attività in grado di integrare, con una felice sintesi formale, l'insieme dei linguaggi citati. Un linguaggio totale per una comunicazione totale, una persona totale, un gruppo totale.86 Tutto ciò permetterebbe alla comunicazione di svolgere nella pluralità dei lessici (orale, scritto, mimico, visivo) determinando un linguaggio più ricco, articolato e vario di tonalità emotive precisate; alla fantasia di formarsi per essere in grado di trascrivere e rileggere l'esperienza individuale o di gruppo con la riformulazione di nuovi modi di essere e di esistere; all'esplorazione di entrare in maniera sempre più approfondita nel merito del sapere (scolastico e non) per ampliarlo attraverso più approfonditi codici logico-concettuali nei vari campi storico, letterario, matematico, scientifico, ecc.; al fare da sé che diventa stile di vita anche autogovernata, gestita in prima persona in relazione ai ritmi individuali ed ai contenuti degli apprendimenti; all'attività costruttiva di porsi come quotidiana didattica di appropriazione di ulteriori tecniche manipolatorie; al movimento per esprimersi nella sua inesauribile dinamica come movimento/gesto, come gioco, come avviamento ad una scelta motoria personalizzata perché ciascuno possa liberare la propria umanità realizzando i propri talenti.

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Così il valore didattico della drammatizzazione è notevole e potrebbe essere inserita organicamente in molte ore di lezione e con reali possibilità di lavoro interdisciplinare.Così la lezione non viene intesa solo come esposizione di concetti da una parte e assorbimento dall'altra, ma esperienza che da una parte sottolinea il merito personale e dall'altra diviene elaborazione attiva e critica di nuove esperienze e di nuovi contenuti. La drammatizzazione diventa costruzione creativa del messaggio, stimolo alla ricerca, avvio alla discussione e al dibattito ed alla realizzazione di una metodologia personale e di gruppo.87 Dai contenuti di una rappresentazione teatrale possono scaturire argomenti di studio interdisciplinare e le materie di apprendimento diven-tano motivazioni per lo sviluppo di un ampio processo conoscitivo, cooperanti all'apprendimento di argomenti e problemi comuni. I libri di testo diventano materiale di consultazione, le lezioni prendono l'avvio dalle richieste e dagli interessi reali e vitali dei ragazzi.88

L'attività teatrale non deve essere rilegata nel doposcuola o nelle attività pomeridiane di integrazione complementare. Essa è forma di educazione e di istruzione scolastica come le biblioteche, i centri di lettura, la musica, il gioco. Deve quindi entrare nella scuola come parte di una nuova forma di insegnamento e si inserisce validamente nelle ore di lezione, nei contenuti delle diverse discipline, nei piani di lavoro, nella programmazione dei consigli di classe per raggiungere il fine caratteristico della scuola che è quello di formare e di orientare. Il teatro per ragazzi diventa così anche teatro dei ragazzi, non è solo gioco drammatico, non perde il suo valore estetico, ma oltre al suo aspetto creativo, artistico, culturale e formativo, diventa nella scuola un importante strumento di attuazione e di sviluppo della didattica interdisciplinare. L'educazione, favorendo la formazione di capacità creative, soddisfa il bisogno espressivo ed artistico di ciascuno e particolarmente attraverso la pratica delle attività espressive, offre la possibilità di esprimersi in maniera personale e di trovare, attraverso la propria creatività, la fiducia in se stessi. Tutto ciò nella scuola trova appoggio nelle discipline artistiche ed operative e la creatività viene stimolata de accresciuta dalle varie forme di espressione. Dove c'è partecipazione attiva c'è stimolo alla creatività e dall'italiano, alla matematica, alle applicazioni tecniche, all'educazione motoria, si può manifestare il contributo creativo dell'adolescente.89

In particolare l'attività teatrale favorisce lo sviluppo delle possibilità creative, le arricchisce, le completa e le perfeziona attraverso il dialogo e la drammatizzazione. Col dialogo si comunica, si entra in rapporto diretto con gli altri in materia viva, personale, originale, facendosi sempre più nuovo e diverso, attraverso la capacità di drammatizzare, dà la possibilità di comunicare la propria espressione agli altri e di renderli partecipi del proprio complesso mondo interiore.La drammatizzazione si realizza e si completa nel dialogo teatrale rappresentando una valida ed efficace motivazione allo sviluppo dello spirito di osservazione, delle capacità intuitive, espressive e critiche, allo sviluppo della immaginazione, del gusto estetico, della socialità ed acquista un ruolo molto importante nella nuova didattica della lingua italiana. Ma occorre anche essere esercitati a capire il teatro nella sua complessità e comprendere il linguaggio poiché il legame del teatro con la letteratura, le arti figurative, il gesto, la musica e la danza è così evidente che una sua buona conoscenza è indispensabile alla formazione di un patrimonio culturale e di una libera ed armonica persona. Così inizia l'educazione al teatro e alla comprensione del linguaggio teatrale, sempre diverso, vivo e ricco di umanità, perché parla dell'esistenza ed è soggetto all'interpretazione dell'attore, sempre nuova, imprevedibile, originale.

87 Una semplice poesia, un avvenimento storico, un fatto di cronaca, un gioco, una favola, un racconto ed altro, possono essere motivo di drammatizzazione che acquista maggior valore nello studio della lingua, di avvio alla composizione del dialogo che richiede facilità di espressione linguistica, ricchezza di immaginazione e accortezza nell'uso della punteggiatura. Si potrà così raggiungere un notevole progresso nell'espressione orale e nella composizione scritta, con la dizione, il dialogo, la discussione, il dibattito, così che l'apprendimento linguistico non è solo conoscenza di regole grammaticali, ma corretto uso della lingua italiana. Il teatro inoltre esercita alla lettura ed alla comprensione di un testo drammatico come occasione di uno studio critico intorno ai modi e ai temi con cui si sviluppa la drammaturgia.88 L'asse sul quale verte l'autonomia scolastica, perciò non è tanto il lavoro, quanto il tempo libero degli alunni e il loro gioco. Durante il periodo scolastico, l'attività del giovane ha superato il carattere esclusivamente anomico che ha nell'infanzia. Non di rado codesti divertimenti, che investono ogni specie di dilettantismo si approfondiscono fino a diventare degli interessi puri ed appassionati che trovano la loro soddisfazione nella lettura, nello studio, nell'applicazione delle arti (musica, poesia, teatro) e della scienza. L'Hessen mette in evidenza l'aspetto ricreativo del teatro e fa notare il grave pericolo a cui esso può andare incontro, quello del dilettantismo, se non sia compreso e adeguato alle capacità dell'adolescente.89 L'educazione diventa creativa quando i ragazzi vi partecipano attivamente con volizione, si tratti di semplici abilità di comunicazione, di parlare, di giocare e del conseguimento di un risultato spontaneo e non convenzionale o di una prestazione fisica non comune, o di un successo intellettuale individuale.

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La conoscenza porta lo spettatore ad una valutazione e ad una considerazione critica delle situazioni e degli stati d'animo che i personaggi interpretano e rivivono nella scena, stabilendo un rapporto reciproco tra spettatori e palcoscenico che non si fonda (come purtroppo accade con la maggior parte dei gruppi teatrali di base che operano nel territorio) sul semplice interesse, o peggio sulla suggestione, ma stabilisce, contemporaneamente, un distacco ed una partecipazione ragionata dello spettatore dalla scena e dall'influenza condizionante della drammatizzazione e della scenografia, poiché l'educazione al teatro porta ad una conoscenza critica e ad una capacità di valutazione etica ed estetica. Il teatro può essere capito attraverso la conoscenza dei generi teatrali e del loro sviluppo attraverso la storia ed inoltre delle particolari tecniche usate nello spettacolo quali la drammatizzazione, la sceneggiatura, scenografia, coreografia, tecnica del suono, delle luci, ecc., tutti elementi indispensabili all'azione scenica. Gli adolescenti non devono vedere nel teatro degli adulti una esperienza di vita unica da imitare e seguire, ma una proposta di valori che devono essere considerati, discussi e approfonditi.Nell'utilizzazione del maggior numero di linguaggi possibile, la drammatizzazione favorisce l'interdisciplinarità, intesa non come tentativo di unire materie, bensì come riconoscimento della complementarità che esiste fra esse. Ci si deve fondare su un concetto di cultura che non significhi insieme di nozioni, ma «modo di essere della gente, quindi coscienza del modo di essere al mondo» (Rostagno R., Pellegrini B., 1978); pertanto non può esistere un sapere parcellizzato, ma una conoscenza unica, una visione globale del mondo.90 Non vi sono due linee di attività che si svolgono parallelamente (un po' di matematica e un po' di gioco) ma un'unica linea di sviluppo che è sempre contemporaneamente sia gioco, fantasia, invenzione, sia riflessione, analisi, sia produzione immaginativa, sia elaborazione culturale e di ricerca. Durante la scuola dell'obbligo, le attività espressive e le attività formali occupano lo spazio che deriva dalla progressiva maturazione dei ragazzi: dall'espressività alla razionalità.

6.7. Il bambino «attore naturale»

Con i ragazzi gli adulti non giocano più e quelli, mano a mano che crescono usano sempre meno il loro corpo per scoprire e conoscere direttamente la realtà circostante. Gli adulti si limitano ad un comando, ad un invito, ad una precisazione, tanto si trova tutto pronto, già spiegato, illustrato, confezionato, pre-strutturato, deciso...e loro sempre attenti, seduti, immobili. Ma non è certamente questa l'esperienza che il fanciullo l'adolescente, dovrebbero fare, il metodo da usare per conoscere l'ambiente, per leggere e dominare la realtà.Di ogni esperienza e di ogni conoscenza, il tramite è il corpo-persona del soggetto: occorre pertanto saper accogliere «bambini interi» e non solo teste di bambini nella scuola o soltanto «corpi di bambini» nelle società sportive. Il bambino, anche nella più semplice situazione, riceve continuamente stimoli che provengono dal sé, dal mondo degli oggetti e dal mondo degli altri; egli percepisce questi elementi dapprima staccati e poi sempre più in rapporto fra loro. La proposta educativa deve far comprendere queste innumerevoli relazioni fra i piani: percettivo, rappresentativo, simbolico, comunicativo; spetterà poi al bambino scegliere, nell'ambito di una determinata situazione, la soluzione che riterrà più utile. Si sviluppa in questo modo il «pensiero divergente» e l'intelligenza intesa come capacità di adattamento ad ogni nuova situazione.Ogni attività del bambino è indirizzata alla nuova conoscenza che egli verifica con tutti i linguaggi di cui è capace. In pratica il suo giocare coincide con il suo apprendere; il suo è un «metodo naturale di ricerca» caratterizzato da questi aspetti fondamentali:- corpo e testa, affettività e razionalità, emotività e intelletto e perciò movimento, osservazione, gestualità, verbalizzazione, sono sempre contemporaneamente presenti nel processo di gioco che è anche processo di apprendimento (conoscenza);90 «È chiaro che ogni materia comunica con l'altra rendendo alquanto arbitraria ogni suddivisione. Come si può spiegare la storia senza geografia, o la geografia senza l'economia politica, o l'economia politica senza la filosofia, o la filosofia senza la matematica o la geometria? Ma non è questo il nostro biasimo per le classi distinte (lezioni separate). Se lo scopo dell'educazione è l'integrazione, la preparazione del singolo al suo posto nella società e non soltanto professionalmente ma anche spiritualmente e mentalmente, allora non è di notizie che egli ha bisogno, ma di senno, ponderazione, comprensione di sé e spunto: qualità che egli può acquisire solo attraverso una educazione unitaria dei sensi per l'attività della vita». Nella scuola dell'obbligo l'interdisciplinarità è la ricerca di equilibrio fra due tendenze che sono alla base della crescita e dell'approfondimento: la tendenza all'espressività, gioco, invenzione, creazione attraverso gesti, parole, canti, e la tendenza alla formalizzazione, ossia li sforzo che il bambino compie per ordinare, classificare, trovare tra le sue manifestazioni le possibili relazioni, attraverso il disegno, la scrittura, la lettura, le numerazioni..

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- la ricerca nasce sempre da una esigenza, da un bisogno profondo a cui il bambino deve e vuol rispondere. È il metodo naturale che lo porta a scoprire, senza difficoltà, non solo le nozioni di cui ha bisogno per la sua crescita, ma che lo mette, senza artifici, in relazione con l'altro e con gli altri (Rostagno R., Pellegrini B., 1978).L'attività di drammatizzazione, intesa come mezzo che favorisce la partecipazione alla creazione di cultura, si prefigge di aiutare il bambino a sviluppare le sue potenzialità che sono in parte determinate da un lato immodificabile: il patrimonio genetico e in gran parte dagli stimoli che il bambino ha ricevuto dall'ambiente in cui ha vissuto (ambiente inteso sia nella sua dimensione fisica, sia in quella affettiva).91

Il bambino, pertanto, attraverso la drammatizzazione, deve, nel rispetto dell'individualità di ciascuno dei componenti il suo gruppo, analizzare e modificare la realtà che gli sta intorno attraverso tutti i linguaggi, utilizzandoli in modo creativo, cioè critico, per essere fruitore e gestore di una cultura che non è sapere parcellizzato, ma modo di essere, visione globale del mondo, cioè interdisciplinarità, complementarità tra i molteplici aspetti. La drammatizzazione è ricerca personale delle proprie capacità espressive, di una crescita del proprio modo di essere, sfociando in attività socializzanti (Rostagno R., Pellegrini B., 1978). Si ricercano i rapporti con gli altri, se ne considerano le variabili, le possibilità di trasformazioni, si ricerca la comunicazione: questa è indispensabile sia nel momento del lavoro di gruppo, nella scelte da operare riguardo ai contenuti, ai materiali, ai linguaggi, sia nel momento della spettacolazione, perché non esiste azione teatrale senza un messaggio da comunicare.92

Quindi la drammatizzazione nelle sue vaste modalità di intervento, ha tentato di rispondere ai bisogni fondamentali del fanciullo (socializzazione, autonomia, creatività), ricercando una cultura in cui «il ragazzo non sta più come consumatore di cultura e di valori ma come creatore e produttore» (Rodari G., 1973).Un lavoro di drammatizzazione presenta schematicamente tre momenti:- analisi creativa proposta e accettata dal gruppo,- realizzazione,- analisi critica di ciò che il gruppo ha realizzato.1)- È questa la parte di ricerca nella quale il gruppo, dopo aver scelto o preso in considerazione un tema specifico, ricerca e discute eventuali e possibili modalità d'espressione. Facendo questo terrà conto di quelle che sono le possibilità a sua disposizione (importanza rilevante acquista a questo punto l'azione dell'animatore dell'animazione e di ciò che avrà messo a disposizione del gruppo sia riguardo ai materiali che alle possibilità elaborative) e sceglierà quella o quelle che riterrà più idonee.2)- È il momento della realizzazione che segue quello della ricerca; risulta essere spontaneo pur seguendo le modalità previste dal gruppo. In questo momento il gruppo esprime il suo pensiero nei confronti di un determinato argomento.3)- È il momento in cui il gruppo giudica il lavoro. Non sarà un'analisi esclusivamente formale, ma soprattutto sul contenuto che sarà stato espresso e se ciò corrisponde a quanto il gruppo voleva esprimere (Blasich G., 1975). Da questo appare chiaro che la drammatizzazione non comprende solo l'atto della realizzazione (essendo questo solo un momento e a volte neppure tanto significativo); sarà assai più costruttivo quello della ricerca e quello della critica.

6.7.1. La drammatizzazione nell'età evolutiva

La drammatizzazione dovrà essere libera autoespressione di quello che è il limitato mondo domestico e le limitate esperienze di vita dei bambini. Ogni bambino porta tutto un suo mondo affettivo, cognitivo, linguistico e etico: sarà nel contempo straniero e uguale agli altri e vivrà la sua diversa uguaglianza. Come si fa a capire gli altri? Rappresentandosi. Dovrà essere aiutato a viversi davanti agli altri e davanti a sé.Il suo linguaggio nato dalla interazione profonda con la famiglia (altrettanto dicasi del suo gestire, muoversi, guardare...), verrà udito e guardato e amplierà la conoscenza degli altri dandogli modo di essere

91 «Il gioco drammatico, riscontrabile fino dalle prime attività del bambino, ha un ruolo fondamentale nel suo sviluppo affettivo, intellettuale e sociale e si rivela come principale meccanismo col quale il bambino organizza sentimenti e pensieri, apprende e incomincia il suo sviluppo (Rostagno R., Pellegrini B., 1978).92 «L'attività teatrale implica la puntualizzazione dei problemi, la necessaria distribuzione dei ruoli, l'accettazione della libertà e del punto di vista dell'altro, la discussione e il coordinamento delle azioni. Tutto ciò forma alla vita di gruppo e favorisce la socializzazione, dando spazio a ciascuno nelle diverse funzioni» (Rostagno R., Pellegrini B., 1978).

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apprezzato, contraddetto e corretto, cosicché ne risulterà ampliato il mondo stesso del fanciullo attore. Dalle identificazioni (nella rappresentazione ludica) si guidano i fanciulli verso una appropriazione concreta del particolare ruolo del bambino nel gioco così che tutta la complessità e autenticità del vivere umano viene fatta conquistata, respingendo per tempo la possibilità di una chiusura autistica, vale a dire una estraneazione radicale del mondo interumano.L'azione drammatica vissuta con una maggiore persuasione della sua finzione e perciò della sua rappresentazione, è sempre più possibile; una maggiore obiettività nella riproduzione dei ruoli e delle situazioni può già far nascere copioni o canovacci, rendendo possibile una prima conoscenza dell'arte scenica in sé. Può cominciare così il discorso di una educazione al teatro che consente al fanciullo non più soltanto di trarre profitto da una drammatizzazione vissuta in qualità di attore, ma anche di trarre profitto da una drammatizzazione vissuta in qualità di spettatore, vale a dire di critico. A questo punto occorre una più precisa sceneggiatura e cioè un apparato creativo capace di stabilire stretti legami tra le varie espressioni tecnico-figurative e quelle linguistiche.Così il teatro, come complessa struttura scenica, può venire costruito dai ragazzi in una solidale collaborazione dove le varie abilità o predisposizioni di ognuno vanno esprimendosi armoniosamente. Contemporaneamente allo svolgersi di una maturazione estetica è possibile un primo confronto tra le varie prospettive etiche, una prima attiva autopurificazione o conversione verso modelli di vita socialmente più apprezzati. A questo punto, sebbene l'età renda difficile ancora una completezza di profonda introspezione, è già possibile sanare disadattamenti sociali mediante una seria applicazione delle tecniche di Moreno di «role-playing».L'attività teatrale favorisce lo sviluppo delle facoltà creative, le arricchisce, le completa e le perfeziona attraverso il dialogo e la drammatizzazione. Con il dialogo si comunica, si entra in rapporto diretto con gli altri e questo è sempre vivo, personale, originale, non tecnicizzato e può essere considerato un fatto sociale, indice di un processo di socializzazione; questa particolare forma di linguaggio, che diviene sempre più diversa, attraverso la capacità di drammatizzare, dà la possibilità di comunicare la propria espressione a degli interlocutori e di renderli partecipi del complesso mondo interiore dell'uomo. In tal caso è importante notare che proprio nelle relazioni con gli altri, i ragazzi prendono coscienza di se stessi, realizzano la loro autenticità e raggiungono un arricchimento interiore oltre ad una maturazione della propria personalità.La drammatizzazione è una o particolare capacità espressiva del fanciullo e se viene favorita e sviluppata durante il processo educativo, costituisce un prezioso elemento per il raggiungimento delle mete educative, culturali e formative. Essa si realizza e si completa nel dialogo teatrale e rappresenta una modificazione valida ed efficace allo sviluppo dello spirito di osservazione, delle capacità intuitive, espressive e critiche del ragazzo. conduce inoltre allo sviluppo della immaginazione, del gusto estetico, della socialità ed acquista un ruolo molto importante nella dialettica della lingua. Essa può anche essere utilizzata per sviluppare positivamente l'esperienza di lingua 2 e per acquisire nuovi contenuti culturali.I ragazzi creano mediante la drammatizzazione e sviluppano efficacemente le proprie capacità e tendenze, perfezionano ulteriormente il proprio senso creativo e l'educazione al gusto, alla sensibilità, all'espressione estetica ed alla acquisizione di capacità di percezione di forme artistiche che trovano il loro armonico sviluppo in tale attività.93

Si pone un problema relativo al valore del teatro nel processo di apprendimento ed è un problema essenzialmente metodologico e pratico: come impostare e come realizzare la drammatizzazione o l'attività teatrale. Una semplice poesia, una favola possono essere oggetto di drammatizzazione e quest'ultima acquista maggior valore nello studio della lingua se i ragazzi vengono avviati alla composizione del dialogo che richiede facilità di espressione linguistica, ricchezza di immaginazione e particolare perizia nell'uso della punteggiatura. Attraverso questo esercizio si raggiunge un notevole progresso nella composizione scritta e nell'espressione orale, attraverso la dizione, il dialogo, la discussione, il dibattito e l'apprendimento linguistico non viene inteso come arida conoscenza di regole grammaticali, ma in

93 Il preadolescente trova inoltre in essa un naturale sviluppo della vita affettiva ed un affinamento della propria sensibilità (finalità a cui tendono in particolare le discipline dell'indirizzo artistico e operativo della scuola dell'obbligo: in tal caso la lezione non viene intesa come esposizione di concetti da una parte e assorbimento dall'altra, fatto che spinge a sottolineare il merito personale del singolo alunno e a considerare un sistema docimologico basato su una valutazione attiva e critica di nuove esperienze e di nuovi contenuti). Se si riesce ad impostare l'attività di drammatizzazione in questo modo, che non è più quello dell'accettazione passiva, ma della costruzione creativa del messaggio, questa attività può essere stimolo alla ricerca, può avviare alla discussione e al dibattito oltre che alla realizzazione di una metodologia di gruppo.

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funzione di un corretto uso della lingua italiana. Dal contenuto di una rappresentazione (italiana) teatrale possono scaturire argomenti di vario genere per dialoghi e in relazione ai contenuti di diverse discipline. La conversazione acquista allora una grande importanza didattica e le diverse discipline vengono meglio apprese sviluppando il processo conoscitivo. Le discipline vengono viste in una nuova prospettiva, che non è somma di contenuti, ma ricerca individuale, creazione, elaborazione personale che favorisce l'autoapprendimento e l'autovalutazione. L'insegnamento conquista così una nuova impostazione didattica, le materie di studio vengono considerate tutte cooperanti all'approfondimento di problemi e di argomenti comuni. I libri di testo non sono più i fili conduttori, ma materiali di consultazione; le lezioni non hanno carattere cattedratico, ma prendono l'avvio dalle richieste degli alunni e dai loro interessi reali a vitali.

6.7.2. Il bambino e la drammatizzazione94

«Quale che sia la sua natura, il fanciullo è un attore meraviglioso. È capace di ogni entusiasmo, di ogni generosità, di ogni sforzo per dare alla scena che rappresenta la sua forza ed il suo valore. E in questo dono naturale del fanciullo l'educatore deve servirsi per condurlo verso uno sviluppo drammatico» (Small M., 1975).95

Secondo Small «il bambino è un essere particolarmente sensibile. Svincolato dall'influenza del pubblico, liberato dall'impedimento di una recitazione frenata e dalle opinioni altrui, la sua natura affettiva prende il sopravvento e non vi è nulla che egli non possa esprimere sinceramente, niente che egli non possa sentire e comprendere» (Small M., 1975).Il bambino, quindi attraverso la mimica, la gestualità, lo psicodramma, il mimodramma, il sociodramma, l'espressione plastica, grafica, sonora, apprende a livello cosciente e razionale, i modi espressivi simbolici dei suoi desideri, sentimenti, pulsioni e conflitti e riesce a comunicarli sempre più precisamente.Per Rostagno-Pellegrini «lo strumento base che il bambino mette in funzione nel giocodramma è il corpo. Un corpo teso alla scoperta del mondo. Alla base del giocodramma vi è 'l'improvvisazione'. L'improvvisazione si realizza principalmente nella 'motricità'. Lo sviluppo del giocodramma è la 'drammatizzazione'. La drammatizzazione ha come fondamento la 'fabulazione' e si svolge come 'gioco dei ruoli'« (Rostagno R., Pellegrini B., 1978).Occorre ora analizzare le mete che si prefigge la drammatizzazione. «L'animazione pedagogica, l'azione drammaturgica, il gioco drammatico, hanno questo di mira: annullare i condizionamenti (non esclusi, dicono, quelli religiosi e morali), eludere i 'tabù' di qualsiasi genere, rendere il bambino, il ragazzo, arbitro

94 Il bambino si esprime in modo naturale: Già attraverso il pianto, nei primi mesi di vita, modula e differenzia espressivamente i propri bisogni. Già verso i due mesi mostra predilezione verso il viso umano, che in posizione frontale, costituisce il mezzo specifico del sorriso come comunicazione con la madre. Il bambino risponde col sorriso a quello dell'adulto e emette suoni in risposta alle voci che vengono emesse intorno a lui. Verso l'ottavo mese si nota la capacità di distinguere la mimica adulta: un volto sorridente e uno iroso provocano in lui azioni di risposta differenti. In presenza di estranei, il bambino si «imbroncia», si nasconde o si mette a piangere, manifestando una timidezza che non dimostra in presenza di persone conosciute. Quando la madre lo accudisce, gioca con lui, ne denomina i segmenti del corpo, i vestiti, racconta filastrocche, canta le ninne nanne, si serve della mimica facciale, la gestualità unitamente a ritmi vocali; il bambino assimila questi giochi di comunicazione corporea e vocale, risponde con la mimica: sorride, tende le braccia, indica l'oggetto, getta quello che non vuole, vocalizza imitando via via sempre di più. A partire da sei mesi dimostra grande interesse per giochi a due in cui di volta in volta, l'adulto e il bambino, eseguono le stesse azioni (motorie e verbali). Il bambino osserva l'adulto e ne riproduce i movimenti: a 18 mesi si diverte davanti allo specchio, lo incuriosisce la propria immagine; comincia i primi travestimenti, imita la madre che telefona, cerca di imitarla alzando la cornetta e l'avvicina al volto. Verso i tre anni gioca a «far finta». A quattro anni partecipa maggiormente alla vita sociale, fa le smorfie con i compagni, ha la passione del travestimento, dell'imitazione in maniera sempre più raffinata; imita figure famigliari, ma riproduce anche personaggi ed elementi indotti dai mass-media; fa compiere azioni reali o immaginarie ai pupazzi. È capace di interpretare la sua vita, rivelando spesso, nei giochi, il modo in cui considera la vita. Le caratteristiche del gioco-dramma sono quelle del «gioco puro», della integrale animazione e verbale, dell'interesse per il gioco avventuroso. È già capace di distinguere il vero dal falso (anche se continua ad usare i travestimenti, le rappresentazioni in cui può sostenere ruoli diversi dal suo vissuto quotidiano). Il ruolo del linguaggio mimico-gestuale è fondamentale perché anche quando parla, accompagna le sue parole con gesti e l'azione stessa è spesso accompagnata dal linguaggio che assume completo significato solo se è accompagnato dalla mimica del viso e dai gesti delle mani.95 «Mettete improvvisamente un fanciullo nel ristretto fascio di luce di un proiettore ed osservate le sue reazioni: se è timido 'fa la civetta' ed indietreggia; se è inquieto 'fa la farfalla' esi agita; se è riflessivo si fa una visiera col braccio e tenta di scrutare tra la luce. Il problema è quello di fargli capire la sua giusta posizione nella luce; egli deve arrivare a comprendere che non deve affatto sottomettersi alla luce come la civetta e la farfalla, ma che la luce deve sottomettersi a lui; meglio ancora, occorre che giunga ad intendere a poco a poco che la vera sorgente luminosa non è dell'umile proiettore, ma la luce scaturisce proprio da lui, dal suo corpo raggiante, dal suo corpo» (Small M., 1975).

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delle sue scoperte, delle sue valutazioni, delle sue scelte, in definitiva della sua crescita» (Bongioanni M., 1972).Nell'ambito dell'educazione alla drammatizzazione «prima di affrontare le varie fasi dello svilup-po artistico del fanciullo, l'educatore non deve mai perdere di vista questi due punti essenziali: 1) Non vi sono regole codificate che presiedono a questo sviluppo; ogni fanciullo è una individualità alla quale chiediamo di esprimersi.2) L'educatore non deve inculcare niente, ma far nascere tutto dal fanciullo. L'educazione attraverso i movimenti espressivi del corpo non è centripeta, ma centrifuga» (Small M., 1975). Partendo quindi da questi presupposti «qualunque siano l'età e il grado di evoluzione dei fanciulli è bene prevedere un trimestre particolarmente imperniato sulla messa a punto delle possibilità espressive del corpo, riservarne un secondo alla scoperta del gioco drammatico (interpretazione, movimento, composizione, canovacci e mimodrammi) ed infine un terzo interamente alla preparazione e al montaggio dello 'spettacolo'« (Small M., 1975).La rappresentazione scenica generalmente è la conclusione della drammatizzazione.96

Quindi si può affermare che la drammatizzazione, come forma educativa, è stata scoperta e riscoperta solo da pochi anni e quindi i suoi termini metodologico-applicativi sono ancora in gran parte da definire ed ampliare, per farla diventare una delle principali forme di educazione rivolta alla ricerca delle possibilità cognitive, comunicative ed espressive del bambino. Ogni materia ed ogni contenuto sono totalmente drammatici e drammatizzabili.Molti autori affermano che ai bambini il teatro piace: in effetti essi provano gioia ad abbandonarsi all'incanto di una interpretazione del reale, in modo da soddisfare bisogni emotivi e affettivi, rispondendo alle esigenze della loro immaginazione, affermando la propria personalità attraverso l'azione gioiosa. Nella drammatizzazione il bambino è contemporaneamente attore e spettatore: nel momento in cui recita, se l'azione scenica richiede la partecipazione di più personaggi, ogni bambino interpreta la sua parte (attore), ma deve anche saper aspettare il proprio momento, per intervenire con prontezza (spettatore).Nel teatro l'attore recita la realtà immaginata dall'autore, egli ha una parte, assicura al personaggio che rappresenta una apparenza e, in un certo qual modo, lo fa sembrare vero. L'attore fa il suo mestiere. Il bambino invece non è un attore, ma nel gioco drammatico si esprime, esteriorizza la sua persona, il suo profondo, con le sue pulsioni, i suoi desideri, le sue inibizioni: recita se stesso. Nel giocare ad essere se stesso, giocando ad essere un altro, egli non dipende dalla realtà, ma è la realtà che dipende da lui: arriva ad una realtà «sua propria», attraverso l'imitazione e il far finta.Il gioco spontaneo gli aveva già dato queste possibilità, la drammatizzazione le amplia poiché occorre immaginare e creare in funzione del gruppo, dopo aver seguito il filo della propria fantasia per testimoniarla e confrontarla con gli altri. È proprio questo che lo arricchisce perché lo porta a fissare per un tempo più lungo la sua azione. «Fare finta» con gli altro, presuppone che si sia stabilita la comunicazione, in quanto bisogna «far finta» tutti insieme e pertanto occorre aiutarsi reciprocamente nell'azione. Per «recitare» un ruolo il bambino deve mettere in ordine dentro di sé ed essere padrone di se stesso. Non basta che egli abbia visto, recepito, osservato, non può accontentarsi di aver sentito e compreso: deve essere «maestro» di se stesso per esteriorizzare i propri affetti, per organizzare le proprie percezioni, per immaginare e creare situazioni anche complesse. Questa sicurezza viene acquisita con l'esercizio che comporta una costante partecipazione della psiche e della mente al confronto tra se e l'elemento da imitare; già le parti che i bambini da tre a sei anni possono drammatizzare, richiedono ruoli attivi (bambini privi di turbe affettive, psichiche e motorie, accettano qualsiasi ruolo).Il linguaggio usato dal bambino nella drammatizzazione è «spontaneo», è creazione, elaborazione e costruzione del mondo nella rilettura del vissuto: non si tratta di un linguaggio passivo, ma creativo. Tale creazione è ricca di immagini, di modalità inaspettate che sembrano talvolta pittoresche ma che invece reinventano la realtà. Da semplici imitazioni i bambini passano poi ad azioni sempre più complesse e coordinate tra loro, in cui appare il linguaggio parlato nelle sue svariate forme e nei suoi diversi livelli di sviluppo (linguaggio implicito, lingua nazionale, dialetto, linguaggio egocentrico, uso dell'imperfetto...).

96 «Le rappresentazioni non sono la meta vera e propria dell'intenso lavoro collettivo che viene compiuto nei circoli dei ragazzi. Qui le rappresentazioni avvengono di passaggio, si potrebbe dire 'per sbaglio', quasi come uno scherzo dei piccoli, che in questo modo interrompono per una volta lo studio, per principio mai terminato» (Benjamin W., in Bongioanni M., 1972). Le origini della espressione drammatica in Italia, hanno avuto come primi cultori «gli scout, sull'esempio di quelli francesi: naturalmente nel dopoguerra. Né la loro prassi, però, né alcuni tentativi di proposta sul piano educativo e scolastico più generale vennero recepiti fino a questi ultimi anni» (Bongioanni M., 1972).

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La parola serve a integrare e chiarire l'azione stessa, ma deve nascere dallo stesso bambino che deve trovare in sé la forma verbale più conveniente; pertanto l'educatore non deve imporre modelli verbali, né mnemoniche ripetizioni.Nella drammatizzazione non vanno date impostazioni precise circa l'interpretazione delle azioni e la dinamica dei movimenti; ciò che conta di più è l'azione spontanea del bambino a partire da esperienze vissute a cui agli deve aggiungere una continua ricerca personale fino a trovare in sé un'Io organizzato nell'azione e nei linguaggi. Non deve più imitare o copiare il compagno, ma diventare a poco a poco padrone del gesto e delle parole, creando la propria interpretazione, quella che rivela il suo personale modo d'agire nella relazione con gli altri. La drammatizzazione è pertanto un'attività liberatoria di... (e non da...), delle facoltà più coessenziali della natura umana nella originalità individuale: non sono ammissibili movimenti stereotipati, legati a schemi fissi, preordinati dall'esterno, altrimenti l'azione non avrebbe alcun significato.

6.8. Dalla manipolazione alla costruzione

L'importanza della manipolazione e della costruzione sta nel preciso bisogno del bambino di conoscere la realtà, per rendersi conto della forma, del colore, della sostanza, della qualità e della funzione degli elementi con i quali entra in contatto.97

Il bambino scopre nozioni semplici che sono il risultato di una ricerca elementare, quali la temperatura, il peso, la forma, il colore, la resistenza, di un determinato oggetto. Egli gioca con l'equilibrio di un bastoncino di legno e con la sua caduta, col rapporto di grandezza di due oggetti; egli saggia le loro possibilità dinamiche; ci sono oggetti che rotolano e che si rovesciano, altri che scivolano da soli su di un piano inclinato e che invece occorre spingere su di un piano orizzontale; il fanciullo diventa esperto nel gioco dei piani più o meno inclinati e riesce a dar loro l'angolatura giusta a seconda della velocità di scivolamento desiderate (Santoni Rugiu , Fagni, 1976). Non si può usare un oggetto per esprimersi e comunicare, che diventi segno o simbolo, se prima non se ne conoscono a fondo le qualità e le capacità. Da una interpretazione soggettiva che interessa principalmente la sfera affettiva del bambino, occorre passare ad una verifica collettiva dell'oggetto, perché esso diventi patrimonio comune e quindi «tramite» e «significante». Legate alla manipolazione e alla costruzione, sono la pittura e il disegno, la possibilità cioè di trasportare un oggetto «spaziale» a tre dimensioni, alle sole due dimensioni permesse dal foglio di carta. Questo comporta un passo avanti verso l'astrazione e il simbolo, non potendo riprodurre per intero un dato oggetto il bambino è costretto a sperimentare tecniche grafiche diverse per arrivare a dare di esso un'immagine il più possibile somigliante che dia il senso oltre che della larghezza e della lunghezza dell'oggetto in questione, anche della sua profondità.98

Il disegno e la pittura sono strumenti che accrescono le capacità espressive e comunicative dei ragazzi. Ciò che però da significato educativo a questa attività è la motivazione che può esserci solo se la modalità espressiva, qualunque essa sia, è inserita in un contesto stimolante. Così se i ragazzi devono allestire una drammatizzazione, saranno stimolati a preparare la necessaria coreografia e quindi a studiare forme e contenuti oltre che scegliere le tecniche di realizzazione. Analisi dei contenuti, dunque, per una scelta delle forme più adatte e più significative, analisi basata sulla conoscenza dei materiali e delle loro possibilità di utilizzazione. La scena così non è una semplice cornice di sommaria ambientazione dell'azione che si 97 Il bambino ha bisogno di «...toccare, di rompere, di grattare, di maneggiare, di segnare, di macchiare, di stracciare, di allineare, di incastrare i corpi gli uni negli altri... di esplorare la superficie degli oggetti per scoprire le loro proprietà e le proprietà del materiale di cui sono formate» (Stern A., Duquet P., 1977). È il primo passo verso la conoscenza, verso la possibilità di impadronirsi di nozioni precise e utili che riguardano il mondo circostante e le possibilità che il bambino stesso ha di dominarlo e di interagire con esso: è questa un'ulteriore verifica della conoscenza e organizzazione di sé. Questo processo inizia dai primi mesi di vita e si arricchisce con le accresciute capacità del bambino e con le ampliate possibilità di relazioni e di nessi con le esperienze precedenti. «Le relazioni del bambino con gli oggetti e con i materiali, sono sempre soggettive. Per lui alcuni aspetti sono graziosi, altri spaventosi, altri insignificanti; possono essere costituiti da materiale robusto, che dà ad alcuni di essi un senso di sicurezza e ad altri no; possono essere colori vivaci, quindi per alcuni buoni per altri cattivi. Ora, parallelamente a questa selezione sentimentale, il bambino fa l'inventario degli oggetti secondo i loro caratteri fisici, queste esplorazioni arricchiscono, da una parte, le sue risorse artistiche, e dall'altra, lo conducono alla curiosità scientifica» (Stern A., Duquet P., 1977).98 «Il linguaggio figurato, sappiamo, viene prima di quello ideografico, l'immagine cioè nasce prima dell'idea espressa attraverso il simbolo scritto. Pertanto è abbastanza limitativo privilegiare, come è stato quasi sempre fatto, il linguaggio verbale lasciando pochissimo spazio ad altri linguaggi quali il disegno, la pittura ed altre similari tecniche espressive» (Santoni Rugiu -Fagni, 1976).

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svolge e l'espressione non avviene solo a livello gestuale o verbale, ma acquista una sua autonomia e un preciso significato in una sintesi polilinguistica e interdisciplinare.

6.9. Che cosa offre la drammatizzazione al soggetto

Dopo aver considerato il piacere che il bambino trae dalla drammatizzazione e come egli può essere creatore di «spettacolo», vediamo ora che cosa gli offre la drammatizzazione.Individualmente la drammatizzazione suscita l'immagine, stimola l'osservazione, la riflessione, lo spirito critico, favorisce le capacità deduttive e logiche, fa utilizzare il vocabolario, la sintassi, la buona pronuncia, aiuta nella buona padronanza del gesto, combatte la timidezza facendogli nascere il desiderio di interpretare una parte, mette in evidenza la loro capacità creativa nei campi immaginativo, gestuale e verbale, facilita l'espressione si sè sotto la »maschera» del personaggio. È un mezzo per espandersi, attraverso l'esercizio alla fiducia in se stessi. Socialmente rappresenta uno stimolo alla comunicazione tra bambini, sviluppa lo spirito di gruppo poiché nella rappresentazione vi è solidarietà. L'insegnante affina sempre più il proprio ruolo di animatore dell'animazione aiutando i bambini a diventare se stessi realizzandosi in un'atmosfera fiduciosa, serena e cordiale. Relativamente ai bambini svantaggiati, la drammatizzazione offre la possibilità di usare tutti i tipi di linguaggio così che ciascuno possa trovare quello più adatto alla normale evoluzione psico-fisica.

6.10. Dal gioco alla drammatizzazione

La maggior parte dei bambini manipola il proprio corpo, modificandolo con una mimica ed una gestualità semplice ed imitativa, manipola l'acqua, la creta, la carta, disegna, colora, senza preoccuparsi di avere o no del talento, elaborando una serie di gesti, immagini e strutture che esteriorizzano le sue sensazioni e i suoi sentimenti.Occorre partire da questo primo livello di semplice creatività, per giungere via via ad una creatività operativa e produttiva come organizzazione sempre più complessa e comunicativa.Spetta all'educatore sostenere la potenziale creatività che è presente in ogni bambino, predisponendogli gli stimoli migliori e più adeguati come ambiente affettivo e materiale: quando la creatività è il risultato di una ricerca e di una scoperta gioiosamente vissuta, il bambino rispetta il proprio e l'altrui prodotto sentendosene gratificato ed arricchito.Ma più che la manipolazione, la creatività è organizzazione del proprio agire che diventa stile di vita, un diverso modo di pensare a tutto ciò che lo circonda, di inventare ulteriori variabili socialmente valide, di aggiungere nuovi adattamenti economici, di rendere logiche le situazioni e le cose, di trovare insomma la risposta più giusta in situazione con qualunque linguaggio.99

Anche la drammatizzazione educa alla creatività: i bambini rivivono, problemizzandolo anche con altri linguaggi, un vissuto precedente, assumono la veste dei personaggi preferiti, scambiano i ruoli, c'è chi racconta e chi legge, chi dipinge e chi suona, chi danza e chi mima, chi costruisce i costumi e le maschere e chi struttura il copione: nessuno viene escluso e tutti hanno via via la possibilità di sperimentare in prima persona ciascuna variabile fino a trovare quella più propria.Già molti giochi tradizionali si prestano di per sé, o con opportuni adattamenti, a questi primi livelli di creatività; ma qualunque situazione od oggetto può essere un sufficiente stimolo:- trovare tutti i modi di usare un barattolo;- provare a fischiare in tutti i modi possibili;- provare tutte le variabili mimiche del volto;- provare tutte le variabili gestuali della mano;- provare tutte le variabili comunicative con le posture del corpo;- manipolare un foglio di carta;- rapportarsi globalmente o analiticamente con la palla;- esprimere la parola «mamma» con diverse intenzioni;

99 Per stimolare e sviluppare la creatività, si possono usare, in particolare, attività di organizzazione dell'ambiente per argomento da svolgere, scoprire ed organizzare mimicamente e gestualmente il proprio corpo globale e segmentario in situazione, scoprire e combinare ed usare i colori fondamentali, manipolare la creta, scolpire, incidere, strutturare le pietre, effettuare composizioni con materiali poveri (legni, foglie, conchiglie), trovare tutte le aggettivazioni di un oggetto o di un movimento, ecc.

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- provare tutte le variabili del ridere;- trovare tutte le combinazioni tra i numeri 1, 2, 3;- trovare le possibili relazioni tra i componenti di un gruppo;- scoprire i rumori, classificarli ed aggettivarli;- combinare strutture ritmiche;- ecc.Mediante la drammatizzazione si ricerca l'espressione autentica, soggettiva e sociale attraverso una realizzazione, grazie alla quale si comunica agli altri e con gli altri una data «composizione», che andrà poi verificata, criticata, perfezionata. L'importanza pedagogica del gioco scenico sta nel condurre il bambino a integrare il suo mondo egocentrico, dove lo sforzo consiste nel soddisfare le proprie tendenze e la propria immaginazione, con il mondo aperto agli altri, dove ciascuno non offre solo se stesso e le sue capacità , ma accetta anche responsabilizzanti richieste: si tratta in sostanza di socializzazione egocentrica o di egocentrismo socializzato. Ad ogni modo è importante assicurare a bambini e ragazzi la possibilità di estrinsecare liberamente, senza timori di sanzioni e senza attesa di ricompensa, i loro stati d'animo, le loro espressioni, le loro intuizioni, perché solo nella misura in cui un ragazzo riesce ad esprimersi spontaneamente e liberamente, un educatore può realmente conoscerlo e favorire così il suo sbocciare alla vita, riconoscendo all'espressione drammatica il valore di conoscenza. Con la drammatizzazione si stimola la creatività, aspetto essenziale dell'espressione originale: essa aggettiva l'esistenza, permettendo di viverla più pienamente. E quindi anche la scuola, l'educazione, ciascuna disciplina.

6.11. Il teatro nell'educazione

Il teatro è un aspetto della nostra civiltà, della nostra cultura, della nostra vita sociale e, come tale, deve essere studiato e realizzato nei diversi aspetti, per poter essere inserito positivamente nel processo educativo. Il teatro, se bene impostato, rappresenta una grande forza educativa e culturale, perché oltre a rispondere alle esigenze dell'età evolutiva del ragazzo, è motivo di interessi sempre nuovi, sempre diversi, ma pur sempre validi e importanti. Rivela attitudini e capacità potenziali dei ragazzi, li accomuna, li conduce alla collaborazione e all'aiuto reciproco, promuove il senso sociale e armonizza tendenze diverse e opposte, in una attività che ha bisogno del contributo di tutti. Inoltre l'attività teatrale favorisce al massimo la libera espressione del ragazzo e, soprattutto, la capacità di rispondere in modo creativo agli stimoli prodotti dall'ambiente socio-culturale in cui egli vive. Per questo motivo, può essere considerato un mezzo attraverso cui sono trasmessi processi culturali diversi da quelli tradizionali, ma che entrano solidamente a far parte dei processi di creazione e di elaborazione della vera cultura. Cultura che è formativa e non formativa, che non è accettazione passiva, ma elaborazione e creatività.Cultura, inoltre, che è vivificata dall'esperienza personale e trasformata nel processo conoscitivo, processo nel quale la conoscenza non è più statica ma dinamica, e l'attività d'apprendimento non si fonda esclusivamente sul contemplare, ma, come ritiene giustamente Piaget, acquista un valore riproduttivo e trasformativo. L'educazione è sottoposta ad una continua trasformazione, ad un continuo rinnovamento di contenuti e di metodi, e l'attività teatrale diviene positiva e formativa se è opportunamente inserita nella visuale ampia e dinamica delle nuove metodologie educative e rappresenta una motivazione allo sviluppo del processo di apprendimento.100

A questo punto si pone il problema di una educazione al teatro e alla comprensione del linguaggio teatrale, linguaggio che è un dialogo sempre diverso, sempre vivo e ricco d'umanità, perché è soggetto all'interpretazione dell'attore che è sempre nuovo, imprevedibile, originale. Non si può parlare di

100 Il fatto che lo spettacolo teatrale non sia destinato alla massa, il fatto che solo una minoranza frequenti le sale teatrali, induce molta gente a credere che il teatro non sia accessibile a tutti, che non si possa essere in grado di valutarlo e sia riservato ad «élite» sociale. Tutto ciò è frutto di pregiudizi, di scarsa conoscenza e competenza in questo campo. Che il linguaggio teatrale non sia così facile da comprendere, come molti suppongono, è conseguenza della rapida evoluzione che la produzione teatrale ha avuto in questi ultimi anni, in seguito all'introduzione di particolari teorie ed alla diffusione di nuove forme di drammi stranieri. Ciò non vuol dire che non si debba valorizzare l'aspetto educativo del teatro, nello stesso modo in cui è stato valorizzato l'assetto educativo del cinema e della televisione. Anzi è giusto che i ragazzi vengano abituati a capire il teatro nella sua complessità e vengano messi in grado di comprendere il linguaggio, poiché il legame del teatro con la letteratura, con le arti figurative e con la musica è talmente evidente, che una buona conoscenza di esso è indispensabile alla formazione di un patrimonio culturale e di una libera personalità.

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educazione al teatro, se non si pone in risalto l'aspetto critico e se non si prendono in considerazione e si studiano le relazioni psicologiche del pubblico giovanile di fronte alla rappresentazione teatrale.Per quanto riguarda invece l'educazione alla comprensione del linguaggio teatrale, occorre esaminare i problemi inerenti all'uso del dialogo, come strumento di creazione, di espressione e in ultima analisi, come mezzo didattico inserito nell'insegnamento e nell'educazione. Si pongono allora due problemi: quello dei ragazzi di fronte all'influenza positiva o negativa che questo può esercitare sulla loro personalità e, in secondo luogo, quello del teatro dei ragazzi, quale mezzo efficace di formazione. Lo studio approfondito dei due problemi è di notevole interesse nel campo educativo, psicologico e sociologico e non così marginale e superficiale, come in apparenza si potrebbe essere indotti a pensare.Il fatto stesso che sia stata superata l'iniziale diffidenza verso il teatro e che l'attività teatrale, in questi ultimi tempi, sia stata rivalutata e sia stata consigliata e richiesta dalle autorità educative la realizzazione di spettacoli teatrali, sono elementi positivi ed indicativi che conducono alla valorizzazione dell'azione teatrale nel campo educativo, culturale e didattico. Per quanto riguarda il primo problema, è opportuno tenere presente un fatto di notevole importanza e che costituisce un vero grande pericolo per il processo educativo: lo spettacolo teatrale non deve produrre un effetto determinante sulla personalità dell'individuo, quindi non deve «spersonalizzare», ma deve condurre ad una conoscenza, ad una valutazione e ad una considerazione critica delle situazioni e degli stati d'animo che i personaggi interpretano e rivivono nella scena. Ciò serve a stabilire un rapporto tra spettatori e palcoscenico, rapporto che non si fonda sul semplice interesse o sulla suggestione, ma che deve tendere a stabilire un distacco della spettatore dalla scena e dall'influenza condizionante della drammatizzazione e della scenografia, favorendo così il sorgere e lo sviluppo di una conoscenza critica e di una capacità di valutazione dal punto di vista etico ed estetico. In questo caso si prospetta maggiormente la necessità che i ragazzi debbano essere messi in grado di imparare a capire il teatro attraverso una coscienza dei generi teatrali e dello sviluppo di questi ultimi attraverso i secoli ed inoltre delle particolari tecniche usate nello spettacolo: drammatizzazione, sceneggiatura, scenografia, coreografia, tecnica del suono, delle luci, ecc.; elementi questi indispensabili all'azione scenica, e che esercitano una notevole influenza.Si prospetta inoltre la necessità che l'educando, non veda nel teatro degli adulti l'unica esperienza di vita da seguire o da imitare, ma che trovi in esso dei valori che meritano di essere presi in considerazione, discussi ed approfonditi. Meglio sarebbe ancora se si operasse in questo campo una scelta opportuna e si avvicinassero i ragazzi a spettacoli idonei ed adeguati alle loro possibilità, conoscitive e critiche. L'educatore non può ignorare che, nelle diverse tappe dell'età evolutiva, si distinguono parecchi tipi di caratterizzazione che debbono essere considerati nello studio della personalità dell'educando, e rappresentano il momento iniziale del processo educativo.Fattori sociali ed ambientali, dotazioni personali, istruzione e cultura, elementi questi che vanno studiati e valorizzati nelle loro manifestazioni esteriori e nel loro sviluppo, per poter condurre gli alunni ad un arricchimento interiore e ad una maturazione della propria personalità.Se il teatro viene presentato ai ragazzi, dopo aver preso in considerazione queste innumerevoli componenti, l'educazione al teatro sarà una educazione critica, come tale avrà un valore positivo eformativo e potrà essere valorizzata dalla scuola e nella scuola.Il secondo problema, invece, va al di là della conoscenza e della valutazione di un'opera teatrale ed investe un altro campo, quello del contenuto della rappresentazione e della sua realizzazione pratica. In questo caso il secondo problema non esclude il primo, già esaminato, tuttavia lo integra e insieme rappresentano gli aspetti inconfondibili di un'unica realtà, culturale ed educativa, che si fonda proprio sul rapporto educazione teatro e gioventù. Per quanto riguarda il contenuto da drammatizzare o da rappresentare, si pongono numerose questioni. È innanzitutto fondamentale impostare il teatro come esperienza, prendendo come motivazione l'esperienza offerta dal fanciullo e dal preadoloscente dall'ambiente sociale e culturale in cui egli vive, arricchita dal contributo delle relazioni personali, per condurlo ad una esperienza realizzata e vissuta da lui stesso sulla scena. È quindi chiaro che l'educatore, prima di intraprendere una attività del genere, debba partire delle richieste personali del soggetto e non da considerazioni astratte anche se ritenute giuste e positive.Le richieste dei ragazzi possono essere in questo campo valide ed interessanti, e possono costituire il punto di partenza per una nuova esperienza, che conduce gli alunni stessi alla responsabilità di uno spettacolo

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creato e preparato da loro.101 «La gioia di creare» si può manifestare sia nella drammatizzazione e nell'animazionedi un fatto storico o occasionale o sulla riduzione scenica di un romanzo di autore, sia nella rielaborazione personale di un qualunque genere di narrazione che abbia colpito l'interesse del ragazzo, e ne abbia stimolato la sua fantasia e la sua creatività.Tuttavia ciò contribuisce ad estrinsecare doti e capacità potenziali degli alunni ed a favorire uno sviluppo graduale ed integrale della loro personalità.L'attività teatrale purtroppo è entrata nella scuola, soprattutto nel corso elementare, come attività ricreativa e nella scuola media nel doposcuola e nella cosiddetta scuola «della piena educazione» come libera attività complementare. In questo modo il teatro viene ad essere considerato in modo unilaterale e non viene affatto affermato il suo valore didattico ed interdisciplinare nello sviluppo del processo d'apprendimento del fanciullo. Fattore questo molto importante nell'insegnamento e che è necessario valutare ed approfondire. L'attività teatrale potrà avere un ruolo importante nel campo educativo se non sarà considerata una semplice attività extrascolastica, di svago o acquisizione di una abilità tecnica e professionale, ma sarà inserita come motivazione e complemento dello sviluppo conoscitivo dell'alunno e della sua attività d'apprendimento.Va superato, quindi, il concetto di gioco teatrale che si fonda esclusivamente sul criterio dell'improvvisazione e della spontaneità infantile, principi questi profondamente validi e positivi, nell'attività ludica o «anonima» del periodo d'infanzia, ma insufficienti né costruttivi nel processo di apprendimento del preadolescente. Il teatro non deve essere considerato fine a se stesso, ma deve dar vita ad una attività, che risulti un efficace mezzo di collegamento interdisciplinare.In questo modo viene ad essere eliminato il grave pericolo del dilettantismo e l'attività teatrale entra nella scuola ad integrazione dell'insegnamento e si inserisce validamente nelle ore di lezione, nei contenuti delle diverse discipline, nei piani di lavoro, per il raggiungimento di un fine comune ed unitario: quello di formare e di orientare. Così inteso il teatro dei ragazzi per i ragazzi, acquista un nuovo valore ed una nuova prospettiva, apporta un notevole contributo all'insegnamento e si inserisce nelle più moderne metodologie educative. Non si limita all'attività extrascolastica, non è solo gioco drammatico, non perde il suo intrinseco valore estetico, ma oltre al suo aspetto creativo, artistico, culturale e formativo, acquista nella scuola un nuovo significato: diventa un importante strumento di attuazione e di sviluppo di didattica interdisciplinare.

6.12. L'animazione "teatrale" come educazione

L'animazione teatrale è prendere coscienza di sé da parte di un gruppo in relazione al suo ambiente, è maturare l'esigenza di esprimersi teatralmente, è sperimentare tutti i linguaggi, è scelta e organizzazione di una comunicazione da attuarsi collettivamente. L'animazione teatrale trova la sua matrice nel teatro: il teatro per Dario Fò è la prima forma di espressione popolare, cioè il modo più semplice, naturale e diretto per arrivare ad esprimere dei concetti e delle idee da parte del popolo. Con l'animazione teatrale spesso vengono confuse la recita e la drammatizzazione. La recita, tipica della fine dell'anno scolastico, si può definire come il teatro tradizionale rimpicciolito, dilettantesco, adattato all'infanzia e all'adolescenza; le idee che caratterizzano questa pratica sono l'educazione come indottrinamento verbale, la teatralità come linguaggio che cattura, l'importanza dell'esibirsi. Tolta l'eccezionalità, tolto il pubblico e l'esibizione, la drammatizzazione si evidenzia come una attività espressiva che permette al bambino di proseguire il suo naturale linguaggio teatrale, imparando così a socializzare, ad acquisire linguaggio verbale, ad aprirsi.102

101 Ferrière afferma: «Ho nello spirito non già il dramma classico o il lavoro moderno appreso e recitato dai collegiali, cosa eccellente, ciò nonostante, e da realizzare spesso, soprattutto se la lingua armonica e bella, abitua i giovani attori alla perfezione dell'elocuzione e della dizione. E neppure la commedia scritta spontaneamente dai fanciulli stessi, in collaborazione, o da questo o da quell'allievo più dotato di iniziativa degli altri; non si favorirà mai troppo ciò che associa nei bambini l'invenzione e l'interesse: la gioia di creare. Ma questi piccoli pezzi che hanno spesso solo un valore letterario limitato e la cui lingua è generalmente scorretta, non sarebbe bene che si passasse delle giornate ad impararli a memoria, e a ripetere delle produzioni purtroppo lontane dalla perfezione. Quello di cui vorrei parlare sono i lavori fatti in collaborazione fra gli educatori e gli allievi. Se ne discute in comune la trama, ognuno scrive secondo le sue aspirazioni, si sceglie collettivamente ciò che sembra meglio, lo si migliora ancora, se ne cuciono i frammenti, vegliando l'educatore a che l'opera terminata e pronta ad essere appresa, sia viva, lo stile corretto, i giochi di scena vari e animati». Il brano è abbastanza significativo per comprendere il valore culturale ed educativo del contenuto di un'opera teatrale e per valorizzare l'ipotesi del teatro inteso come esperienza creata, elaborata, e rivissuta dai ragazzi, in collaborazione con i propri educatori.

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Il gioco drammatico ha una funzione determinante anche nei riguardi dell'apprendimento, infatti la formula dell'animazione permette di acquisire una migliore tecnica dell'indagine, un affinamento dei processi mnemonici e una maggiore potenzialità intellettiva.Ci sono diverse concezioni sul giocodramma, riguardo alla sua valenza corporea o meno: Rostagno afferma che nel giocodramma il bambino opera prevalentemente con il corpo; Testa invece giudica questa affermazione troppo riduttiva, che relega in sottordine il valore cognitivo, per la pur sempre perdurante dicotomia testa-corpo.Il giocodramma nasce dall'improvvisazione, si sviluppa nella drammatizzazione e nella psicomotricità, si svolge nella fabulazione e come gioco dei ruoli: il complesso di queste attività può essere inserito nella scuola dell'obbligo in tempi diversi in relazione all'età dei bambini.La drammatizzazione, oltre che allo sviluppo della creatività, deve tendere alla libera espressione: infatti la creatività si sviluppa e si esercita a condizione di trovare un clima favorevole, non solo permissivo, ma anche ricco di stimoli. Si deve assicurare un ambiente di «sicurezza psicologica», accettando il bambino come è, e di «libertà psicologica», favorendo la responsabilizzazione e la libera espressione (Rostagno R., Pellegrini B., 1978). Alla luce di queste considerazioni «il teatro nella scuola si pone come fatto espressivo esistenziale e non come fatto d'arte» (Mazzoleni B., 1979).Il momento culminante del teatro è lo spettacolo; ma l'aspetto più importante dell'animazione teatrale a scuola non è lo spettacolo, ma il processo attraverso il quale si può giungere a far teatro. Infatti l'animazione teatrale, come ogni forma di animazione, deve dare importanza al processo e non al prodotto (la recita di fine d'anno).

6.13. Teatro e scuola

Quindi fare teatro in situazione educativa, deve servire per:- acquisire linguaggi come modi diversi per comunicare;- acquisire tecniche come modi diversi di operare;- acquisire contenuti come modi diversi di apprendere.Attraverso l'attuazione di questi tre momenti la creatività spontanea si afferma come il momento operativo e produttivo della evidenziazione del sé, la creatività operativa come momento dell'apprendimento convergente dei diversi modi di comunicare e di verifica delle variabili, la creatività produttiva come utilizzazione comunitaria della successiva divergenza individuale. Dal primo momento di partecipazione spontanea come scoperta, conoscenza, coscienza e organizzazione nel/del gruppo. Si tratta pertanto di una esperienza di educazione totale, anche mediante la drammatizzazione (più tardi potrà diventare il teatro totale) che permette il coinvolgimento di tutta la persona nelle sue caratteristiche peculiari e nelle sue variabili comunicative, e il coinvolgimento di tutti i componenti il gruppo in un processo di educazione e di apprendimento di tutti i linguaggi umani ciascuno dei quali permette una comunicazione situazionale. La drammatizzazione è quindi la stessa vita, dai suoi aspetti più spontanei a quelli più razionali, a quelli più astratti. Ci piace qui ricordare la nuvola di Amleto che cambia continuamente la sua forma suggerendo interpretazioni sempre rinnovantesi od ancora che «... è il mondo intero una ribalta...» (Shakespeare), oppure ciò che dice Brecht sull'attore più completo e comunicativo, l'attore della strada che, avendo assistito realmente, con tutto se stesso ad un incidente, quando gli altri giungono a frotte richiamati dal rumore e dalle grida, gli chiedono notizie e precisazioni, egli con la mimica, i gesti, le parole, gli atteggiamenti del corpo e le inflessioni della voce, rivive egli stesso e fa rivivere gli altri, attraverso una drammatizzazione totale, quanto poco prima è accaduto.- Psicodramma: azione con la quale l'individuo esprime e realizza i propri bisogni psicofisici.- Sociodramma: un gruppo ricerca ed esprime le relazioni esistenti tra coloro che lo compongono. si cambia i ruoli.- Onirodramma: si rappresentano le componenti simboliche del sogno.

102 La drammatizzazione nasce dal gioco; il gioco simbolico del bambino (io sono la mamma, io il cow-boy) è inconsapevolmente drammatico, ma consapevolmente di finzione. Il gioco simbolico del bambino non è naturalmente teatrale, ma lo diventa «culturalmente» attraverso l'intervento educativo che relaziona questa disposizione dell'intelligenza, questa disposizione a «rifare per capire» ad una forma culturale. La drammatizzazione si può definire come la trasformazione di un evento reale o immaginario in dramma» (Testa G., 1979).

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Si può affermare che la drammatizzazione è aggettivazione dell'esistenza. Come (tecnico-comunicativo) + perché (esistenziale) + metodo (interdisciplinarità) + obiettivo (persona).Il gioco libero è giocodramma quando il bambino sviluppa nella sua espressione il bisogno di muoversi, comunicare, inventare, immaginare, la spontaneità, la capacità espressiva e creativa.Il giocodramma è la forma di rappresentazione teatrale più antica; il teatro è la cronaca vivente dei popoli primitivi, ha le sue radici in fatti e situazioni precise di vissuto che gli uomini vogliono riprodurre nella rappresentazione per riviverli e quindi poter dominare serenamente gli eventi.Il processo di drammatizzazione avviene attraverso tre fasi didattiche: lo stimolo, la realizzazione e l'approfondimento. Lo stimolo si attua con il giocodramma, con il fatto soprattutto vissuto ma talvolta anche letto e sentito, oppure si tratta di una situazione contraddittoria da chiarificare o da affrontare per trasformare la realtà esterna, infine anche attraverso una storia fantastica (da una trasfigurazione del reale ad un nuovo realismo).La realizzazione si attua attraverso la distribuzione delle sequenze ai gruppi, quindi la ricerca attraverso tutti i linguaggi (mimica, gestualità, suono, ecc.), la distribuzione dei ruoli, la ambientazione e i dialoghi. Infine si ha l'approfondimento con la ricerca dei particolari, l'allargamento del messaggio, la focalizzazione di certi aspetti e la ricerca di un ulteriore arricchimento espressivo.In genere si opera a canovaccio (commedia dell'arte), arrivando successivamente a precisare situazioni e dialoghi. Ciò avviene anche nel caso di recupero di momenti della tradizione popolare. Il gioco dei ruoli che poi diventa scambio dei ruoli per cui ciascuno deve poter sperimentare il ruolo di ogni altro, è necessario sia per aiutare la scoperta del proprio ruolo critico per definire se stessi come individui e come figure sociali, sia per distinguere le diverse ottiche di lettura; ambedue i momenti servono per giungere ad uno stile di vita soggettivamente ed oggettivamente vissuto.Il ruolo, modello organizzato di condotta, legato alla situazione sociale è negativo quando si fissa in un comportamento difensivo e immodificabile.La drammatizzazione si esplica quindi in termini di socialità, emotività, linguaggi, creatività, interdisciplinarità, personalizzazione. Il gioco si configura come teatro, quando il bambino finge consapevolmente e come drammatizzazione quando reinterpreta il proprio vissuto. Attraverso il far finta assume volontariamente su di sé diverse maschere interpretative che assume di volta in volta. La finzione permette la creativa realizzazione di ruoli e modelli di comportamento che in genere non vengono accettati in realtà ed il mettersi al riparo dalla paura della disapprovazione, dall'ansia che prende il bambino nella situazione conflittuale con l'adulto. Attraverso la finzione il bambino può vivere in situazione come se fosse vera; senza rischiare molto nel suo rapporto con gli altri.Anche tutto ciò è drammatizzazione che però si evidenzia in maniera più precisa, quando supera la spontaneità per farsi razionalizzazione ulteriore di un vissuto già sperimentato.Giocodramma e drammatizzazione come realizzazioni, si muovono sulla spinta della animazione e della ricerca di ambiente, due attività strettamente collegate. Dall'animazione come ricerca, l'Io si allarga verso il mondo esterno inserendosi nella indagine dell'ambiente.La ricerca continua nell'ambiente attraverso la storia, la geografia(strade, vie, piazze, ambienti naturali, edifici, monumenti, ecc.), quindi viene integrata in ognuno di questi aspetti con quelli socio-culturali relativi alla presenza e all'intervento su di essi dell'individuo e della comunità.Gli strumenti tecnici necessari per l'indagine, l'elaborazione e la presentazione di una sintesi relativa alla ricerca di ambiente, comprendono strumenti visuali (macchina fotografica, cinepresa, videotape, lavagna luminosa, episcopio, moviola, proiettore), strumenti fonici (magnetofono, giradischi, radio), strumenti grafici (questionari per le interviste, giornali, libri, riviste, enciclopedie). Quindi nella sintesi drammatica si sommano e si integrano dati statistici (diagrammi e istogrammi), pitture, tabelloni, con rilevamenti ambientali, giochi liberamente ispirati alla ricerca, testi composti dai ragazzi, strutture ritmiche e musicali, documenti visivi, rappresentazioni con tutti i linguaggi. In questo «teatro» di ricerca, si ritrovano tutte le caratteristiche del teatro documento, del teatro inchiesta, del teatro verità.Abbiamo già detto che drammatizzare significa rivivere, problemizzando ulteriormente, una esperienza già vissuta:- Primo vissuto come perché

perché

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- Drammatizzazione come perchéperché..............

Attraverso la drammatizzazione si realizzano itinerari di animazione come unità di ricerca e di lavoro che si sviluppano attraverso tre momenti: progettazione, realizzazione e verifica che hanno come caratteristica comune l'organizzazione dei linguaggi espressivi, dei prodotti comunicanti, dei materiali elaborati al fine di una migliore comunicazione interdisciplinare e quindi di una più ampia comprensione da parte di chi riceve il messaggio. Come a livello teatrale si parla oggi di attore e di teatro totali, così mediante l'educazione si cerca di ottenere una drammatizzazione totale in una persona totale.Il teatro, come forma di animazione, viene dunque a configurarsi come mezzo di crescita personale del fanciullo. Ma il rapporto esistente tra teatro e bambino può presentarsi sotto un triplice aspetto. Si possono infatti presentare tre forme di teatro: teatro per ragazzi, teatro con ragazzi e teatro dei ragazzi. Santoni Rugiu-Fagni (1976) si chiedono: «quali delle tre forme è educativamente più valida? La prima, «il teatro per», si riferisce più che altro all'attività drammatica che gli adulti organizzano per i ragazzi. La seconda forma, «il teatro con», è in pratica la stessa forma di attività ma progettata e sempre svolta insieme ai ragazzi. La terza contempla una forma di attività gestita interamente o quasi dagli allievi stessi a partire dalla elaborazione della trama o del copione fino alla realizzazione definitiva. Fra le tre forme esposte proponiamo senz'altro di optare per quella intermedia, ossia il teatro con ragazzi».Anche Rostagno-Pellegrini (1978) definiscono diversi tipi di teatro: «Teatro per ragazzi: è quello offerto a platee di ragazzi da attori professionisti.Teatro con ragazzi: è l'attività che vuole i ragazzi non soltanto spettatori, ma li coinvolge, con lo stimolo di un testo, ad inventare il teatro come forma autonoma di espressione.Teatro dei ragazzi: è una forma espressiva della collettività. Si può definire teatro in quanto i ragazzi che lo fanno danno una elaborazione fantastica ed inventata ai gesti, alle parole, ai movimenti, alle azioni con i quali esprimono ciò che vogliono dire».Forse una risposta definitiva sulla migliore forma di teatro adattabile nell'educazione del ragazzo non è possibile darla. Secondo noi però tutte e tre le forme (per, con, dei) devono essere utilizzate complementariamente nell'ambito dell'animazione cercando, all'interno di un programma tendente all'autogestione del gruppo, di arrivare come momento di massima espressione alla forma del teatro «dei ragazzi» come scelta operativa al termine della scuola media.

CAP. VII - LA DRAMMATIZZAZIONE NELLA COMUNITÀ EDUCANTE

7.1. Drammatizzazione e linguaggi

La drammatizzazione acquista una funzione interdisciplinare (un'azione che adopera per realizzarsi tutti i linguaggi e tutte le tecniche possibili). La problematica del teatro, inserita nel tema di sviluppo interdisciplinare delle manifestazioni culturali ed artistiche dell'essere umano attraverso i secoli, può essere oggetto di studio e di approfondimento interdisciplinare secondo le esigenze e le possibilità dei soggetti.Il discorso della drammatizzazione, svolto nella molteplicità delle sue possibilità espressive, tecniche e conoscitive, aiuterà a tracciare e realizzare una esperienza totale, completa, capace di assicurare una crescita più soddisfacente superando molte mortificazioni che sia l'istituzione educativa tradizionale, sia la

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comunicazione di massa determinano con i loro codici prefissati. L'attività della drammatizzazione, in ogni sua forma, è quella di recuperare a livello educativo le possibilità espressive di ciascuno utilizzando come scelta situazionale tutti i linguaggi umani.I molti canali espressivi da quelli grafici e figurativi (disegni, pittura, fumetti), plastici (modellaggio, costruzioni), musicali (uso di strumenti musicali, canto), ludici (giochi liberi e giochi organizzati), visivi (fotografie, film), sono usufruibili per il linguaggio drammatico che aiuterà a trovare un momento di unificazione con una attività in grado di integrare, con una felice sintesi formale, l'insieme dei linguaggi citati.L'educazione, attraverso e alla drammatizzazione ha ricchezza e polivalenza espressiva e favorisce il bisogno di comunicare, libera la fantasia come creatività (non come fantasticheria), ricerca quanti più confronti possibili senza indulgere in modelli assoluti o miti, porta il soggetto alla scoperta effettiva, sociale, economica, etica, storica e geografica della cultura reale in cui avviene l'esistenza, stimola il fare da sé aiutando ciascuno e il gruppo ad una maggiore autonomia e autogoverno, a costruire, a muoversi sempre più razionalmente. Una diffusa e articolata esperienza drammatica è in grado, per la varietà dei contenuti educativi trattati, di aiutare il riconoscimento e la presa di coscienza di sé dilatando le conoscenze e i bisogni di capire e comunicare.Tutto ciò permetterebbe alla comunicazione di svolgersi nella pluralità dei linguaggi (orale, scritto, mimico, visivo) determinando un linguaggio più ricco, articolato e vario di tonalità emotive precisate; alla fantasia di formarsi per essere in grado di trascrivere e rileggere l'esperienza individuale o di gruppo con la riformulazione di nuovi modi di essere e di esistere; all'esplorazione di entrare in maniera sempre più approfondita nel merito del sapere scolastico per ampliarlo attraverso più approfonditi codici logico-concettuali nei vari campi storico, letterario, matematico, scientifico, ecc.; al fare da sé che diventa stile di vita anche autogovernata, gestita in prima persona da parte dei soggetti particolarmente in relazione ai ritmi individuali ed alla sostanza degli apprendimenti; all'attività costruttiva di porsi come quotidiana didattica di appropriazione di ulteriori tecniche manipolatorie; al movimento per esprimersi nella sua inesauribile dinamica come movimento/gesto, come gioco gioioso, come avviamento ad una scelta motoria sempre più personalizzata perché ciascuno possa continuamente liberare la propria umanità realizzando i propri talenti.La drammatizzazione non è una forma di teatro calato dall'alto dentro il mondo dell'animazione con contenuti e operazioni distaccate dalla realtà, ma vuole il soggetto protagonista, è una manifestazione personale e del gruppo in cui domina l'elaborazione dei gesti e delle parole, una forma di animazione che ad es. può partire dalla mimica e dalla gestualità che interpretano l'azione drammatica per successivamente rileggerla con tutti gli altri linguaggi. Ad un livello più maturo, quando la pantomima è accompagnata dal dialogo, la drammatizzazione permetterà la rievocazione e l'approfondimento di motivi culturali sempre più complessi.Tutto ciò deve appoggiarsi sulla insostituibile iniziativa dell'educatore che deve dare agli sforzi conoscitivi e creativi dei soggetti, una struttura, un ordine, un giusto inquadramento.La drammatizzazione è un mezzo fondamentale educativo e culturale perché oltre a rispondere alle esigenze dei singoli soggetti, è motivo di interessi sempre nuovi, diversi, ma ogni volta validi e importanti. Rivela le attitudini e le capacità personali, accomuna, conduce alla collaborazione e all'aiuto reciproco, promuove il senso sociale e armonizza tendenze diverse e opposte in una attività che ha bisogno del contributo di tutti. Favorisce inoltre l'espressione e soprattutto la capacità di rispondere in modo creativo agli stimoli prodotti dall'ambiente socio-culturale in cui vive.Per questi motivi può anche essere considerata un mezzo attraverso cui sono trasmessi processi culturali diversi da quelli tradizionali, ma che entrano a far parte dei processi di creazione e di elaborazione di una cultura formativa oltre che informativa, mediante non l'accettazione passiva, ma l'elaborazione della creatività, della critica e del giudizio, vivificata da ciascuna esperienza personale e trasformata nel processo conoscitivo nel quale la conoscenza non è più statica ma dinamica e l'attività di apprendimento non si fonda solo sull'ascolto e sul contemplare, ma acquista anche un valore riproduttivo e trasformativo.Occorre quindi impostare la drammatizzazione come esperienza, prendendo come motivazione l'esperienza di ciascuno dall'ambiente sociale e culturale, per condurre il singolo ed il gruppo ad una nuova esperienza realizzata e vissuta sulla scena, realizzando, ma non necessariamente, uno spettacolo-sintesi conclusivo di un intero anno di lavoro singolo e di gruppo, aiutati, consigliati e indirizzati dall'animatore dell'animazione. I soggetti che elaborano e apprendono attraverso la drammatizzazione, sviluppano

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efficacemente il proprio senso creativo e l'educazione al gusto, alla sensibilità, all'espressione estetica ed all'acquisizione di capacità di percezione di forme artistiche, così che tutte le capacità e le tendenze trovano il loro spontaneo sviluppo e complemento armonico in questa attività. Ciascuno trova un naturale sviluppo della sua vita affettiva ed un affinamento della propria sensibilità.Così il valore didattico della drammatizzazione è notevole e potrebbe essere inserita organicamente in tutte le ore di lezione e con reali possibilità di lavoro interdisciplinare.La lezione non viene intesa solo come esposizione di concetti o azioni da fare da una parte e assorbimento e ripetizione dall'altra, ma come esperienza che da una parte sottolinea l'agire personale e dall'altra diviene elaborazione attiva e critica di nuove esperienze e di nuovi contenuti. La drammatizzazione diventa costruzione creativa del messaggio, stimolo della ricerca, avvio alla discussione e al dibattito ed alla realizzazione di una metodologia personale e di gruppo.103

7.2. Drammatizzazione come espressione-comunicazione totale

Oggigiorno si parla tanto d'impoverimento delle facoltà immaginative infantili, di progressiva carenza comunicativa, tuttavia al tempo stesso si cerca sempre più, con ogni mezzo, di ridurre al minimo l'apporto personale dei fanciulli offrendo loro di preferenza quegli svaghi che non sollecitano o addirittura atrofizzano lo stimolo rielaborativo, favorendo la passività ed una supina accettazione di formule standardizzate. Attraverso le moderne forme di comunicazione di massa, ci vengono quotidianamente somministrate immagini preconfezionate che si sovrappongono alla spontaneità espressiva personale e assopiscono gli stimoli che sollecitano l'individuo ad una rielaborazione personale del mondo esterno.104

Il bambino sembra non avere più niente da scoprire, da verificare, le varie conoscenze sono qualcosa di ormai universalmente accettato per cui il bambino non deve fare altro che accoglierle in quanto tali. L'educatore deve saper combattere contro questo stato di cose, creando una valida alternativa a metodi ormai sorpassati e inutili, ponendosi di fronte alle cose in modo più razionale di quanto sia stato fatto finora. Il bambino deve avere il modo di esplicarsi, di riconoscere se stesso anche come persona condizionata. È importante che il bambino sappia ripercorrere le esperienze vissute e abbia la possibilità di apprendere partendo da sé. La drammatizzazione in questo senso si propone come esperienza didattica adatta a questi tipi di intervento, perché il bambino possa esprimere se stesso nelle forme e nei modi che sceglie, senza che nessuno gli proponga dall'alto la nozione «del come si fa».105

Attraverso la drammatizzazione si attuano forme di conoscenza della realtà delle relazioni che legano il fanciullo al suo ambiente, le quali superano la lucida razionalità schematizzata nel linguaggio verbale e scritto, per recuperare quelle capacità che appartengono all'uomo: il provare e comunicare emozioni, il manifestare anche con il gesto delle mani e l'espressione del volto la condotta del corpo, il suo modo di conoscere e di reagire alla realtà, il far proprio il mondo fuori di sé, rivivendolo sotto forma di azione, di movimento, di parola.106

103 Una semplice poesia, un avvenimento storico, un fatto di cronaca, una favola, un racconto ed altro, possono essere motivo di drammatizzazione che acquista maggior valore nello studio della lingua, di avvio alla composizione del dialogo che richiede facilità di espressione linguistica, ricchezza di immaginazione e accortezza nell'uso della punteggiatura. Si potrà così raggiungere un notevole progresso nell'espressione orale e nella composizione scritta, con la dizione, il dialogo, la discussione, il dibattito così che l'apprendimento linguistico non è solo conoscenza di regole grammaticali, ma corretto uso della lingua italiana.104 La lettura di un libro viene con maggior frequenza sostituita da quella di un fumetto, che non richiede nessuno sforzo di concentrazione, ma lascia inerte la fantasia e passive le facoltà del lettore. I giocattoli, che la nostra società offre al bambino, sono sempre più perfetti, sempre più meccanici e precisi, esatte contraffazioni di oggetti naturali, forme artificiose e bizzarre con le quali è difficile avere un dialogo chiarificante. L'invadenza sempre più massiccia dell'immagine filmica e televisiva ostacola il libero fruire delle facoltà creative del bambino, perché i personaggi offerti dallo schermo persuadono alla passiva accettazione del conformismo.105 «Tanto guidava Don Bosco la preoccupazione che ogni verità fosse non solo, ricevuta ma ricercata, scoperta, vissuta per impulso soggettivo» (Bongioanni M., 1977).106 «... ma ancora oggi in troppe scuole ai ragazzi si impedisce di compiere esperienze espressive e comunicative con linguaggi che siano altri dal linguaggio verbale. Si privilegia il linguaggio verbale perché più degli altri sopporta l'azione di 'controllo', infatti gli 'altri' linguaggi sfuggono alla possibilità di valutazione, il loro codice non è ferreo come quello riconosciuto al linguaggio verbale, la creatività è alla base del loro realizzarsi» (Passatore F., 1976).

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La drammatizzazione è uno dei momenti più completi perché implica l'uso di tutti i linguaggi espressivi che si possiedono. Alla base della drammatizzazione c'è sempre la necessità di riappropriarsi della propria corporeità (scoperta, conoscenza, presa di coscienza del proprio corpo). Essa, infatti, favorisce nel bambino, l'utilizzazione di tutte le sue potenzialità motorie, mimiche, gestuali, grafiche, pittoriche, che gli permettono un rapporto, con la realtà circostante, di conoscenza, di gestione e trasformazione critica.Naturalmente l'amplificarsi delle esperienze non verbali del bambino non lo depaupera del corredo linguistico lessicale, bensì, nella possibilità di una scelta, dà al linguaggio verbale quell'indispensabile appiglio con la realtà, facendo sì che la parola, da astratta, diventi parola-esperienza. La drammatizzazione è quindi una attività «espressivamente completa» e può trovare uno spazio privilegiato nell'ipotesi educativa che si propone, non di fornire alla società individui atti solo a produrre, bensì di formare la personalità e l'individualità culturale dell'individuo.Possiamo meglio delineare il concetto di libera espressione, affermando che:a) La libera espressione è un processo e non uno stato che si realizza nell'azione e negli atteggiamenti individuali e di gruppo.b) È un mezzo di comunicazione in quanto permette il trasferimento del vissuto da un individuo all'altro: il vissuto e il corporeo.c) Si attua in modo autentico, spontaneo (e non spontaneistico). Investe cioè la necessità di far svolgere le attività in una situazione realmente non autoritaria, che spinga all'espressione e alla socializzazione.d) Tende alla liberazione delle strutture superflue condizionanti: è questo il contenuto politico del nuovo metodo tendente a liberare l'individuo da tutti quei condizionamenti che l'istituzione tende a procurargli, allontanandolo sempre più dalla reale presa di coscienza del suo stato. Bisogna precisare che molto spesso in passato questo processo è stato identificato con l'improvvisazione, che non porta, però, alla presa di coscienza ed inoltre si è confuso identificando la liberazione, impossibile in un contesto reale, in cui certi valori non possono essere mai eliminati ma solo «criticati» a livello cosciente.e) È legata ai vissuti a prevalente contenuto emotivo-affettivo. Il bambino è un tutto legato alle sue emozioni e lo dimostra nella totalità del suo corpo: le emozioni hanno per origine la postura e per substrato il tono muscolare.f) Si attua nel rapporto con il gruppo; la libera espressione si attua soprattutto in una situazione socializzante, tenendo presente che questa non si presenta in modo casuale, ma deve essere facilitata dall'adulto.g) Si attua nel rapporto con l'animatore dell'animazione: con questo volendo intendere un preciso ruolo che deve assumere l'educatore, determinati contenuti che egli deve perseguire miranti a far sprigionare la creatività e la spontaneità del gruppo.h) Si realizza in una dimensione realmente creativa: questa è una dimensione dell'intelligenza nel suo aspetto operativo, in quanto facoltà di risolvere problemi e situazioni nuove.Se la drammatizzazione è «quell'azione per cui una classe diventa cosciente di essere un gruppo che concordemente si esprime di fronte a un problema o a un argomento di comune interesse», possiamo sostenere coerentemente con la definizione di drammatizzazione che il valore culturale del rapporto fra teatro e scuola, non si esaurisce e non si risolve favorendo la partecipazione di studenti a spettacoli costruiti per loro, stimolando la formazione di compagnie che studiano programmi e spettacoli capaci di immediata recettività nella scuola.Ci troviamo molto spesso di fronte a spettacoli-prodotto-di-consumo sullo stile di certe esperienze della televisione scolastica, che nel momento stesso in cui stimola a un linguaggio diverso, volto con tutte le possibilità del montaggio di immagini, stabilisce un diaframma fra teleschermo e ambiente scolastico. L'occasionale spettacolo teatrale può essere un prodotto qualunque, che si accosta al fatto educativo, un episodio imposto e subito, un tentativo di avvicinamento fatto con cautela, in modo tale da mantenere sempre certi limiti che non devono essere superati. l'ambiguità dei risultati è evidente: nelle prospettive aperte dall'educazione, si inserisce anche un'esperienza teatrale. Sostenendo dunque la drammatizzazione come momento naturale del processo di apprendimento, non possiamo accettare che tale attività sia relegata nell'ambito delle iniziative da favorire fra le tante esplicazioni extrascolastiche.107

107 Anche se il tema della drammatizzazione è stato compreso nell'elenco delle proposte da sviluppare nei tempi extrascolastici, anche se in tanti casi un insegnante con la sua classe potrà svolgere il discorso della drammatizzazione con maggior facilità nello spazio extra-scolastico che non nel corso del programma. Non vogliamo aggiungere un'altra disciplina

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Per precisare il significato della drammatizzazione scolastica è soprattutto importante riferirsi al problema generale della cultura come partecipazione e alle varie forme di animazione riscoperte in funzione di una nuova metodologia educativa. L'apprendimento non è un fatto individuale, anche se a determinati momenti il singolo sarà chiamato a rispondere delle sue personali capacità. Il contatto già avvenuto con temi precisi (in particolare attraverso i mass-media) e che rientrando nello svolgimento organizzati del corso scolastico deve essere avvertito e rispettato; deve essere giustamente rivalutato, criticamente riscoperto con i nuovi apporti della scuola.108 L'animazione si apre su un ampio ventaglio di possibilità: dal giornale scolastico, al giornale murale, dal ciclostilato alla ricerca condotta con precise regole, dall'uso della pittura alla manipolazione di materiali diversi, all'impiego di audiovisivi, ecc. In qualunque caso il gruppo è stimolato a orientarsi liberamente verso il settore che preferisce, al fine di manifestare meglio la propria creatività, proprio nell'uso di un linguaggio o di una forma espressiva che in quel momento sembra più adatta allo scopo che ci si prefigge.109

Lo scopo della drammatizzazione è di verificare, nella fase dell'apprendimento scolastico e nell'ambito di una classe, come un problema umano e di conseguente peso culturale, è sentito e percepito da un gruppo; è di portare, nel momento stesso dell'apprendimento a un'espressione che sia simultaneamente dichiarazione e verifica, conquista e controllo critico della propria sensibilità del problema.110

La prima caratteristica della drammatizzazione, è di essere l'espressione di un gruppo, di risultare un termine di libera creazione attuata da un gruppo. A questo proposito, nel nostro riferimento al teatro, tocchiamo il carattere corale dell'evento teatrale. Non fissiamo quindi in modo principale l'attenzione sul teatro come galleria di personaggi o vetrina di protagonisti, e neppure come occasione in cui si può godere della recitazione o della grande interpretazione di un attore.111

Il fatto corale, collettivo, è determinante nell'evento teatrale. La tensione di coloro che propongono è sintonizzata con quella di coloro che nella zona oscura della sala ascoltano, simpatizzano, ecc. La sintonia è l'elemento primo. L'accordo è creativo di fronte ad un itinerario unico che dal palco alla platea si sta svolgendo. Nella comunicazione e nella partecipazione vicendevole, una realtà nuova si è formata, di natura sociale. Nei momenti più felici sarà una realtà di carattere poetico. Sarà sempre un condensarsi di esperienze molteplici nell'unità di un messaggio, tema, immagine (possiamo chiamarlo con qualunque di questi termini), che si attua in questo preciso momento. Esistenzialmente, il gruppo tanto diverso di attori e pubblico, si trova accordato su una direzione comune. Lo stesso concetto può essere risposto attraverso la

alle tante già comprese nei programmi scolastici. Il singolo insegnante deve sentirsi vitalmente e veramente libero di sostenere il suo progetto didattico in diretto rapporto all'esigenza della sua classe, che potrà giustamente esprimersi coscientemente secondo le formule della drammatizzazione.108 Si impone una verifica nuova perché l'incidenza vera, umana, personale dei tempi deve diventare espressione creativa. Per superare il distacco e la frattura fra interessi vissuti fuori della scuola e stimolati dall'indagine nelle diverse materie e per ottenere un autentico e meno precario senso critico dinanzi a problemi di urgente valore. Il grado di percezione critica dei problemi deve manifestarsi, stimolando l'intera capacità creativa della classe-gruppo.109 Il valore decisivo dell'animazione, non predeterminata da una scadenza di orario o da altre imposizioni arbitrarie, è talmente importante che possiamo affermare che il senso dell'educazione si gioca sul significato che viene attribuito all'animazione nelle sue molteplici forme. Il principio sostenuto è che un gruppo deve avere la possibilità di esprimersi in prima persona, adesso e secondo quelle formule e occasioni espressive che meglio corrispondono alla forza della sua creatività.110 Non è possibile parlare di drammatizzazione conservando al segno artistico e letterario il puro, candido e cristallino valore di notizia, mantenendo all'informazione storica il suo preteso significato di garanzia di riferimenti indiscussi da accettare e inseguire nella loro lontana verità. La parola (la scoperta di un dato letterario storico) giustamente acquisita dalle varie discipline, deve tendere ad essere riespressa e riconquistata con un'azione collettiva, che impegni la totalità dell'espressione.111 Evidentemente non è trascurabile il ruolo dell'attore, e in particolare della persona che si fa personaggio. Il valore tuttavia della persona-personaggio è riscopribile e apprezzabile in quella autenticazione che avviene all'interno del gruppo. Un fatto teatrale si verifica quando una determinata proposta (un testo, un documento, un messaggio) è rivissuto da un gruppo di attori dinanzi a un pubblico. Potrà trattarsi di una semplice proposta diversiva, di labile godimento, di cui si compiace un pubblico che crede di aver bisogno di un momento di evasione, una denuncia tagliente di una situazione sociale insopportabile, ecc.; resta sempre vero che attorno a una immagine rivissuta da un gruppo di attori si concentra, o meglio, si coralizza, la tensione di molti degli spettatori.

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dimensione della libertà espressiva del singolo personaggio nel teatro.112 Quando molti accettano l'originale libertà del singolo. l'espressione comune vivifica nel suo comune manifestarsi, l'apporto della persona.Per quanto riguarda il tema, l'insegnante animatore dell'animazione che svolge con la sua classe un esperimento di drammatizzazione, deve inizialmente essere disposto ad accettare quello che viene proposto dal gruppo (o dai sottogruppi) e le modalità della sua realizzazione. Non può pretendere di orientare o costringere l'attività del gruppo in una direzione che non è corrispondente alle attese e alle giuste pretese del gruppo stesso.113 In altre parole l'esperimento di drammatizzazione si consuma totalmente all'interno del gruppo che lo produce; è qualcosa di gratuito che vale nel tempo, più o meno breve, richiesto dalla preparazione e dalla realizzazione. Così il gruppo che ha drammatizzato un certo episodio, non sarà spinto a ripeterlo (se non nel caso di ulteriori approfondimenti o precisazioni), né vorrà esibirlo davanti ad un gruppo di spettatori. La presenza di coloro altererebbe la natura dell'esperimento compiuto: trasformerebbe in spettacolo un fatto che era significativo soltanto perché era libera espressione della vita del gruppo, in quel momento.Il valore del linguaggio gestuale è evidente per chi appena considera il tipico linguaggio teatrale. La rappresentazione di una immagine (poetica, drammatica, evasiva, ecc.) si attua quando l'interprete ed il gruppo di attori espongono al rischio della comunicazione la loro totale possibilità espressiva. L'intera personalità dell'attore è messa in discussione e rinnovata. Infatti l'interprete sostiene la sua parte, fidandosi della forza comunicativa e del suo fisico, visibile, chiaro gestire.La parola più avvincente o il messaggio più modesto sono un fatto materializzato, che vive attraverso e nella felicità dell'espressione. Non sarà forse inutile ricordare che nel linguaggio teatrale che sfrutta tutta la possibilità espressiva fisica, gestuale, mimica dell'attore-interprete, si dichiara il principio dell'unità della persona, per cui il sensibile è parola dell'uomo, se tutti i fenomeni spirituali posseduti dall'uomo si incarnano in una realtà fisica e trovano la propria realizzazione. Il corpo dell'uomo, e quindi la sua capacità fisica percettibile, non è se non l'attuazione di una energia spirituale (dell'anima). In ogni espressione dell'uomo (di carattere fonico, mimico, gestuale, ecc.) si esprime ed è presente tutto l'uomo, anche se la forma espressiva sia posta da una parte soltanto del corpo. La forza, l'energia spirituale dell'uomo vive in un elemento o in una serie di elementi sensibili fisicizzati. In tal senso diciamo che il sensibile è parola dell'uomo. Appunto perché spirito e materia sono fratelli, i fenomeni spirituali non semplicemente gettano un'ombra sul mondo-fisico, ma nella realtà fisica si incarnano e si realizzano.Con questo si vuole anche dire che tutto è esprimibile attraverso il linguaggio mimico; ogni tema, ogni situazione umana, ogni immagine già configurata in una sua precisa struttura può essere riespressa attraverso il linguaggio mimico, individuale di un gruppo. L'affermazione può condurre a far supporre che con la drammatizzazione si intenda sostenere un addestramento al mimo, come tecnica espressiva.114

Il confronto con il mondo del teatro dovrà fare attenzione a quelle forme di ricerca espressiva gestuale che sono state perseguite negli ultimi anni da gruppi che recuperavano le suggestioni, Artaud, si ponevano con

112 Inizialmente il gruppo coro che accetta di misurarsi con un tema, crede di ritrovare e ritrova una sua vera zona di libertà. Il gruppo si crea un suo spazio di libertà nell'inventivo confronto con una immagine (un tema, un documento, un testo). I suggerimenti del testo che il gruppo ha in mano, sono indicazioni perché le immagini acquistino una nuova dilatata apertura espressiva, perché siano attualizzate in un nuovo rapporto. La scelta di un copione impone il rischio della libertà più viva. E la sensibilità personalissima del singolo attore sarà valorizzata nella misura in cui si conformerà all'itinerario comune. Il singolo non ripete stancamente un livellante ritmo uniformizzato, ma la sua personalità è individuata nella coesistenza espressiva del gruppo. Nell'abbandonarsi e cedere liberamente alla creatività del gruppo, l'individuo esalta la propria fantasia di libertà; nell'unione e nella partecipazione di molti, il singolo e la potenzialità del singolo non sono negate ma potenziate. 113 Nei casi in cui il gruppo scolastico si dimostrerà restio a svelare le proprie preferenze, l'insegnante dovrà poter intuire ciò che maggiormente si adegua alla sensibilità del gruppo, o sollecitare delle reazioni con una serie di provocazioni. E alla sorgente dell'esperimento il tema è espressione di quanto ora il gruppo preferisce, la realizzazione stessa si esplicherà con un evidente carattere esistenziale. Il gruppo, cioè, ha coscienza di muoversi in una ricerca ed in una forma di espressione collettiva, che in quel momento e per quel momento è oggetto del suo interesse.114 Non intendiamo questo, anche se un certo addestramento mimico sarà spesso richiesto, o supposto, da un lavoro di animazione condotto con la drammatizzazione: la disponibilità tipica dei bambini di accostarsi al reale, mimando cose e persone con estrema facilità, man mano si è persa, e viene esclusa da una impostazione scolastica che privilegia l'espressione verbale e scritta.Si arriva al paradosso di dimenticare anche un uso normale del corpo. Del resto il modo con cui spesso vengono impostati gli esercizi di ginnastica sono di scarsa utilità per una cosciente utilizzazione delle proprie capacità espressive fisiche. Anche per questo motivo (lo si accennava in precedenza), quando si parla di drammatizzazione, scatta facilmente un riferimento ad una recitazione accademica, alla costruzione di una serie di episodi sceneggiati, allestiti per una circostanza particolare. Difetta una comprensione delle possibilità espressive del proprio corpo, della propria gestualità accordata con gli altri e la loro gestualità.

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risultati più o meno convincenti sulla scia del Living Teatre, che tentavano comunque di saggiare con disinvoltura, oltre gli schemi accademici della recitazione tradizionale, nuove possibilità espressive. Si riconferma quanto già si diceva a proposito del problema dell'animazione in genere: la libera espressione creativa del gruppo scolastico deve essere stimolata nelle varie forme di animazione. L'uso di diverse tecniche è funzionale precisamente per agire in diversi piani nella scoperta di tante aperture espressive.Mentre con le altre forme di animazione si imposta un rapporto preciso nella manipolazione di materiali diversi (tecniche di comunicazione giornalistica, di espressione pittorica, di intervento plastico, di espressione audiovisiva), nella drammatizzazione lo strumento espressivo sono le possibilità fisico-gestuali, individuali e di gruppo. Al limite, il gruppo che drammatizza non ha bisogno di alcun materiale oltre all'impiego della propria gestualità. E nello stesso tempo sarà possibile orientare le capacità espressive acquisite con altre forme di animazione, per un risultato di gestualità collettiva. Una tensione e una preoccupazione simile sarà un significato nuovo alla ricerca condotta con altre formule di espressione.Prima di dichiarare il fattore costitutivo e qualificante della drammatizzazione, la tecnica dell'improvvisazione, è utile anticipare quelle che sembrano essere le costanti di un esperimento di drammatizzazione che rivela tre momenti specifici:- momento di analisi creativa del soggetto proposto e accettato dal gruppo;- momento di realizzazione;- momento di analisi critica di ciò che il gruppo ha realizzato.115

È avanzata l'ipotesi di riesprimere e rivivere il significato del soggetto, con tutte le possibilità gestuali ed espressive in genere che il gruppo intende usare. Si richiede una preliminare presa di contatto con il problema attraverso una ricerca più o meno lunga, mediante una documentazione che bisogna recuperare ex novo, o che frutta gli apporti di diverse discipline, conoscenze già acquisite, informazioni già assimilate, ecc.Scatta una discussione per stabilire quali sono, per il gruppo, i punti essenziali del soggetto proposto e secondo la documentazione che si è organizzata; bisogna precisare con esattezza il significato da comunicare, i principali perni del racconto che si intende svolgere, la conclusione che si prevede più logica. Sorge l'esigenza per un gruppo numeroso di suddividersi in sottogruppi, in corrispondenza delle fasi nelle quali è stato esaminato il tema che preme riesprimere in un raccolto, oppure secondo la diversa interpretazione data ai personaggi che vi intervengono, o i diversi punti di vista che sono emersi, ecc. Segue una pausa di lavoro nei singoli gruppi, durante la quale abitualmente i ragazzi pretendono di essere liberi per impostare come preferiscono la loro interpretazione; oppure chiedono suggerimenti, hanno bisogno di nuove provocazioni da parte dell'animatore dell'animazione, un gesto di stima per una soluzione indovinata.La realizzazione finale emerge spontanea nelle modalità previste del gruppo. Succede che i singoli nuclei realizzati e interpretati siano suscettibili di una nuova elaborazione, dopo qualche piccola prova e nuovi assaggi, anche in base alle critiche vicendevoli o a nuove sollecitazioni, o alla semplice coscienza di non essere riusciti a dire realmente con quel ritmo di gesti ciò che era importante. Il singolo momento espressivo (o l'intera fase espressiva) sopporta volentieri una serie di repliche-riprese, che chiariscono meglio il significato che si voleva esprimere, approfondiscono un elemento dimenticato o lasciato in sottordine. La ripresa di un singolo punto può dare adito a una costellazione di improvvisazioni; lo spunto originale che era stato individuato apre la possibilità di indagare altre direzioni e altre prospettive, secondo le regole del contrasto, della alternativa, delle tante forme interpretative che sono state indovinate. Una conclusione fortunata e felice del lavoro accade quando un gruppo contagia gli altri, trascinandoli in una unica forma interpretativa. L'apporto dei diversi elementi converge in un unitario blocco espressivo che potenzia il rilievo dato dalle singole settoriali (parziali) interpretazioni. Oltre a tanti rilievi che si possono fare e che abitualmente vengono fatti, sono da sottolineare due punti essenziali:- l'originalità della espressione gestuale;

115 Un gruppo scolastico è messo, anche repentinamente di fronte al soggetto preciso, o è spontaneamente teso ad accettare un determinato spunto che lo ha interessato: un brano dell'antologia, una scena dell'Iliade, un fatto di cronaca riferito dal giornale, un episodio di storia, il problema della guerra, della simpatia-antipatia fra gli uomini, una poesia che si presta a una scansione narrativa e suggestiona per alcune immagini, ecc.

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- sincerità dell'espressione.116

In molti casi le fasi più importanti e decisive per il senso del lavoro sono proprio quelle della ricerca, dell'affanno che sorge per accordarsi sul valore da dare a un documento; oppure sono i momenti in cui si assaggia una forma interpretativa o un'altra nella fase di discussione-preparazione dell'azione vera e propria, o ancora nella discussione finale, quando il gruppo motiva quanto ha realizzato, è pronto all'autocritica, ad accettare elementi nuovi che all'inizio non sembravano opportuni, ecc.Si comprende come in uno sviluppo simile acquisti importanza il lavoro di ricerca finalizzato a una espressione gestuale collettiva, e sia possibile inserire varie forme di espressione (grafica, pittorica, audiovisiva) in un lavoro che tende ad essere quindi elaborazione fisico-gestuale di un argomento di comune interesse. L'abilitazione dell'insegnante-animatore dell'animazione dovrà estendersi logicamente in diverse direzioni. Immediatamente vogliamo puntare l'attenzione sulla tecnica dell'improvvisazione.Il lavoro di drammatizzazione, al momento della preparazione, quando si tratta di scoprire la soluzione più esatta e giusta per quanto si intende comunicare, e nel momento stesso della realizzazione, si svolge secondo la formula aperta della tecnica dell'improvvisazione.«L'improvvisazione teatrale non è né un ripiego né una soluzione provvisoria; il suo obiettivo è quello di catturare dalla vita di ogni giorno la spontaneità delle azioni che seguono a una situazione inaspettata, utilizzandola successivamente in condizioni controllate allo scopo di capire l'essenza dei problemi in esame». Poniamo l'accento sul valore già rilevato della cultura e dell'apprendimento scolastico, che intanto è stimabile in quanto è partecipazione e sensibilità dettata da un gruppo che ora dichiara la propria disponibilità dinanzi a un problema, si espone in un atteggiamento collettivo impegnandosi nell'intera gamma delle possibilità espressive. L'improvvisazione si pone di conseguenza come un fatto esistenziale, come esigenza di penetrazione, comprensione e mediazione della realtà. Il riporto in campo scolastico è decisivo. Vi si sostiene la vitalità di un rapporto molteplice, che viene creato e sentito giusto nella sua creatività e nel momento stesso della sua creatività. Senza giocare con i termini, potremmo dire che la tecnica dell'improvvisazione è valida e proporzionata, in quanto si improvvisa. Il valore della tecnica è funzionale: non esiste una tecnica precostituita, un modello tecnico che garantisca automaticamente un risultato. Le indicazioni tecniche, che riceviamo da qualunque parte, devono essere in qualche modo scoperte del gruppo che intende esprimere un determinato tema.117

Non è facile, invece, applicando la tecnica dell'improvvisazione alla drammatizzazione nella scuola, mantenerle tutta la profondità di risultato e significato. Il rischio che sempre è possibile e che spesso si corre è quello di defraudare l'improvvisazione di molti contenuti, è quello di declassarla a semplice finzione meccanica e vuota. La difficoltà maggiore dell'improvvisazione si configura quindi nel pericolo di perdere il carattere esistenziale e vitale che racchiude in sé. Il discorso si amplia al substrato emotivo, affettivo, sentimentale. Ed è facile comprendere che in assenza di questi aspetti, o non valutando esattamente questi elementi, noi avremo soltanto delle «scenette» (il termine che spesso viene spontaneamente sulla bocca degli insegnanti e dei ragazzi), tecnicamente anche buone, magari

116 Il giudizio, cioè, che il gruppo si dà, il traguardo a cui è giunto, non corrisponde puntualmente a un canone di natura estetica: è bello, quindi è giusto quello che abbiamo fatto! Dichiara piuttosto che ha accettato (rifiutato, inventato ...) una certa forma espressiva perché e nella misura in cui si adeguava a una precisa intenzionalità comunicativa. La giustezza della proposta, il valore del risultato va misurato in rapporto alla sensibilità con cui il gruppo ha affrontato il soggetto e alle formule interpretazione che ha usato. Possono esistere e manifestarsi alcune formule espressive belle e inefficaci, fredde e rigide, come si scoprono modelli semplici e originali che dicono con maggiore coerenza e preciso significato. Dovrebbe apparire chiaro che l'esperimento di drammatizzazione non si esaurisce nel breve o brevissimo momento della realizzazione, ma comprende tutto il cammino percorso dal gruppo, dal primo approccio del tema alla discussione finale.117 Se un appiglio con gli espedienti teatrali è valido a questo punto, non ci appoggiamo alle caratteristiche di un linguaggio scenico come occasione univoca per indovinare meglio un testo garantito, bello, poetico, ecc., dove i personaggi e il loro ruolo sono ben definiti, e devono essere reinterpretati secondo moduli precisi, rispettosi di un certo clima, di cadenze drammatiche o altro. Mentre accettiamo spunti sulla tecnica teatrale, puntiamo decisamente sul significato funzionale della stessa tecnica. Non esiste infatti un modello precostituito che assicuri un risultato, per cui le indicazioni che possiamo attingere da qualsiasi parte, da questo o quel maestro del teatro, a un certo tipo di spettacolo, devono essere riviste dalla esigenza del gruppo, in modo che venga continuamente rinnovato l'equilibrio fra inventiva e coerenza espressiva, fra creatività libera, spontanea e ricerca esatta. È facile per chiunque (e anche per chi non possiede una diretta esperienza della tecnica scenica) saggiare l'improvvisazione su un breve racconto, su una poesia che presenti uno svolgimento narrativo e una ambientazione adeguata, su un personaggio o una situazione storica che si offre alla riproduzione visivo-mimica. Un minuscolo frammento letterario o poetico come un materiale vasto, originalmente e personalmente inventato (improvvisato) dalla classe, possono essere occasioni preziose, forse elementari ma altrettanto significative per impegnarsi nella rappresentazione sceneggiata e rivissuta in una gestualità di gruppo.

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esteticamente attraenti ma poco efficaci ed estremamente limitate o smorte, non solo per un ipotetico pubblico, ma anche per coloro che attivamente le interpretano.Una semplice essenziale qualità che in questo tipo di lavoro si richiede all'insegnante è di avere fiducia nelle capacità espressive del gruppo con cui si trova impegnato. Una fiducia che gli faccia superare le difficoltà di origine intellettualistica, in conseguenza delle quali potrebbe diffidare di lasciare libero corso all'improvvisazione dei ragazzi. Potrebbe temere che un giudizio critico puntuale su un fatto storico o culturale in genere sarà dimenticato nell'azione mimica. Basterà avvertire, di nuovo, che non si insiste nel sostenere la preminenza di un linguaggio sull'altro, del linguaggio mimico (evasivo, esteriore, sensoriale, condotto in modo spontaneistico) su una accurata, accanita ricerca espressiva verbale.118 Perché la capacità inventiva ed espressiva di un gruppo sia stimolata nel modo più vantaggioso, la proposta del tema o del motivo da sceneggiare, improvvisando, dovrà avere un carattere di estrema concretezza e precisione. Il nucleo o il punto di partenza deve essere ben definito e circostanziato, perché le reazioni dei ragazzi possano scattare nella maggiore autonomia possibile. D'altra parte possiamo osservare che, impostata una prima sigla espressiva, una prima formula, una serie di gesti, l'improvvisazione dovrebbe conservare il suo carattere fondamentalmente aperto e in continuo sviluppo.L'insegnante-animatore dell'animazione può favorire il crearsi di catene di improvvisazioni, pressoché inesauribili. Abbastanza presto l'animatore dell'animazione si accorgerà che l'improvvisazione impone ai ragazzi una disciplina più severa di quanto non potessero supporre, e richiede da lui una disponibilità continua per provocare continuamente e positivamente il gruppo. Stabilita cioè la validità dell'improvvisazione come occasione sempre aperta e dilatabile per catene di situazioni che possono essere scoperte dal gruppo scolastico, diventa importante per l'insegnante-animatore dell'animazione essere continuamente all'erta. Deve rapidamente individuare le caratteristiche sincere che emergono dal gruppo, superare gli impasses che eventualmente sorgono. Bisogna aver presenti alcuni stimoli, essere in grado di stimare con estrema possibilità il loro uso.119

C'è la necessità, per l'animatore dell'animazione, di saper giocare e improvvisare una serie (indefinita) di nuove ipotesi, riferite al tipo di gruppo con cui lavora; si richiama la necessità di saper risvegliare continuamente e spontaneamente la propria memoria emotiva. Anche perché ai primi tentativi di drammatizzazione si avverte subito un dato sconcertante.120

118 Non si pretende con l'improvvisazione di creare un sostituto alla severa rigorosa ricerca: si tende piuttosto a stimare concretamente il modo con cui i diversi tipi di linguaggio si fondono in una espressione unica totale: si vuole proporre un modo per controllare il grado di assimilazione di un problema attraverso una chiara integrazione dei diversi linguaggi. La fiducia nelle capacità espressive e spontanee dei ragazzi si affida alla connaturale loro capacità mimetica, che deve essere esplicitata, oltre la scorza di convenzionalità che tante volte l'ha soffocata o mimetizzata. Preferiamo dire stimoli, piuttosto che sussidi dell'improvvisazione, per conservare meglio all'attività il suo significato di esistenziale creazione in cui è compresa e compromessa la genialità, tutta l'attenzione personale dell'insegnante. Basti pensare che il ricorso a filmati, diapositive, brani musicali, interviste fatte direttamente dal gruppo (o da sottogruppi) in ambienti sociali diversissimi, possono e devono essere tenuti in debito conto. Il contatto diretto con un materiale eterogeneo, la documentazione che il gruppo si è costruita sono un supporto che attivizza favorevolmente la creatività a livello gestuale. Così la possibilità di usare un piccolo arsenale di «materiali poveri», spinge certamente ad un gusto diverso nelle creazioni di un movimento mimico drammatizzato.119 Se è vero che i ragazzi hanno bisogno di ricostruirsi personalmente e direttamente una carta geografica e di verificare la realtà dei dati enunciati dal manuale, perché non si può trovare una formula mimica per scoprire la consistenza dei confini fra uno stato e l'altro (eventualmente realizzata da una parte della classe) e l'inesistenza di tali confini per certe attività umane, pubblicizzate dalla stampa, dai discorsi più comuni, ecc.? Se i confini derivano da precedenti storici ben precisi, perché non integrare l'esposizione delle nozioni di geografia con una documentazione storica? Se è ammesso facilmente che i ragazzi assimilano prontamen-te il linguaggio delle immagini televisive, il gergo pubblicitario, ecc., perché non controllare insieme tale fenomeno a livello scolastico in forme espressive, gestuali? Se è vero che l'Europa e la sua cultura nel mondo contemporaneo si stanno sempre più emarginando, per la stessa valutazione dell'originale cultura europea non sarà possibile accostare ai brani poetici degli autori che già conosciamo, la sensibilità dei nuovi popoli e della nuova coscienza del Terzo Mondo, nelle diverse occasioni di lavoro di ricerca? Se è vero che i ragazzi, e soprattutto i ragazzi delle medie inferiori, sono disponibili per una forma comunicativa di gruppo, perché non orientare tale loro capacità in una direzione giusta che potrà facilmente essere regolata e controllata nel seguito dei corsi? Se riconosciamo che i problemi devono essere rispettati e valorizzati, perché non rendersi conto con una improvvisazione su qualunque tema della loro potenziale e più o meno vasta elasticità? Hanno bisogno ed esigono di esprimersi nel modo più efficace ed integrale, con tutti i mezzi che possono avere a disposizione! L'insieme delle ipotesi così elencate rimanda al problema del ruolo dell'animatore dell'animazione, alla funzione che egli deve avere in un lavoro di drammatizzazione compiuto con la tecnica dell'improvvisazione.120 Con prontezza i ragazzi reagiscono alla proposta di improvvisare gestualmente una situazione (un brano dell'antologia, una circostanza storica, un personaggio, un episodio della loro vita quotidiana, ecc.), e nello stesso tempo si accontentano di alcuni schemi fissi che bloccano la loro stessa possibilità inventiva. Pesantemente si constata la tensione fra fantasia e modelli prestabiliti, tra libertà di espressione e freno dell'espressione. Il fatto dipende principalmente dalla pigrizia con cui ci si accosta

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Si può dire che il problema dell'espressione e dell'espressività non si risolve avendo di fronte determinati modelli precostituiti e nel prenderne possesso ricalcando formule stereotipe e nell'affidarsi ad esse. Si tratta di ritrovare piuttosto la giusta tensione fra esperienza individuale, irripetibile e la provvidenziale partecipazione materializzata in un gesto di significato sociale.Poiché le situazioni in cui praticamente si opera sono molto diverse le une delle altre, l'animatore dell'animazione potrà trovare una risposta quando si sentirà compromesso con la sua classe, dinanzi a un tema, impegnato a viverlo assieme al gruppo. La funzione dell'animatore dell'animazione è di riconoscere prontamente quanto di originale sono in grado di scoprire i ragazzi, e insieme di proporre diverse alternative di natura espressiva, di diagnosi, di approfondimento, ecc., quando la classe sarebbe pronta ad accontentarsi di un risultato anche gradevole. Gli si richiede di mantenere costantemente vigile e vitale la forza della fantasia, sua e dei ragazzi, con un tipo di intervento discreto, intuitivo, fiducioso. Deve stimare immediatamente la novità imprevedibile che la classe è stata capace di creare e insieme indicare un altro traguardo. Deve saper accettare la fisionomia del gruppo e rilanciarne la creatività, perché suo compito è di essere e di vivere con il gruppo e di tendere oltre ogni situazione precostituita.121

7.3. Programmare la drammatizzazione

«Il teatro è il mezzo più idoneo ed efficace per educare i ragazzi alla collaborazione, alla solidarietà, alle iniziative collettive e alla libera creatività» (Gisondi F., 1976). Nel fare teatro si utilizzano sia i linguaggi verbali che non verbali estrema flessibilità il loro possibile uso.122

Allo stesso modo ci si serve di tutte quelle discipline che si insegnano in modo così distaccato dalla realtà in un tipo di scuola tradizionale.123

Abbiamo già affermato che nel momento in cui si organizza la percezione si sviluppa il bisogno di comunicare come motivazione prima da cui nasceranno tutti i mezzi d'espressione astratti. Il primo compito dell'educatore è di far nascere e lasciar nascere questo desiderio di esprimere per l'altro, poi di comprendere l'altro, poi entrare in relazione con l'altro, mediante un gesto che ha un valore simbolico e che ci condurrà verso l'espressione corporale (mimo, danza); mediante il grafismo simbolico utilizzante il tratto od il colore, che ci porta verso l'espressione plastica, verso l'astratto ed il grafismo razionale (matematico) che ci condurrà verso la topologia, la geometria o la relazione matematica; mediante il suono (espressione musicale); ed infine mediante il linguaggio verbale (studio del vocabolario, della espressione logica o grammaticale, dell'espressione scritta). Potremo passare indifferentemente dall'una all'altra: trasformare il grafismo in suono, vivere il vocabolario e la grammatica, matematizzare un ritmo sonoro, ecc. La medesima nozione si affronta col camminare, saltare, giocare, lanciare, colpire, toccare, vedere, ecc. come punto di partenza dello studio di una stessa nozione e di una stessa struttura ritmica e sfociare verso la musica, il linguaggio, la matematica, la padronanza corporea, l'adattamento sociale. Si può partire non importa dove per approdare dappertutto e ciò crea una rete di associazioni di pensiero favorevoli alla creatività.

a vivere una realtà. L'espressione fisica, mimica e gestuale, è intorpidita. Il contatto con un problema si ferma alla superficie; è razionalizzato, in modo asettico. Esistono tanto blocchi che contraggono il movimento espressivo; limiti a livello espressivo, corporeo, fisico, che distanziano da una giusta coscienza del problema in questione.121 In una parola gli compete il dover equilibrare dinamicamente il valore della libertà nell'assunzione di un modello (un mito, uno schema storico, letterario, ecc.), di validare le ipotesi nuove e attuali con il limite e il rispetto di una tradizione, di provocare l'inventiva e di controllarla criticamente. E a tutti i livelli, stimolando continuamente gli apporti e gli stimoli che possono venire da una serie di esercizi che non sono pura esercitazione ginnastica gratuita, ma sono scoperta e verifica della significatività di un gesto e di una variazione continua di gesti, che superano quanto si è ossidato nella espressività spontanea.122 «Fino a pochi decenni fa la comunicazione verbale suscitava l'interesse maggiore se non addirittura esclusivo dei ricercatori. Ma la comunicazione verbale è soltanto una delle tante forme di comunicazione e non sempre la più completa e la più corretta. È il comportamento non verbale, per esempio, che ci fornisce informazioni più precise quando non possiamo utilizzare le parole, sia nel caso in cui egli abbia bloccato o represso le informazioni che ci servono» (Ricci Bitti P.E., Cortesi F., 1977).123 «Il tempo pedagogico più significativo ed importante dell'attività di teatro nella scuola è quello della preparazione e, in special modo, quello dedicato alle prove. Infatti è durante le prove che gli aspetti educativi acquistano valore e si potenziano» (Gisondi F., 1976). «La recitazione è un fatto educativo altamente sociale. Ha il merito di rompere la monotonia della vita scolastica con una attività nuova ed interessante. Gli scolari inoltre imparano decine di vocaboli nuovi nel loro vero significato, perché inquadrato nel contesto di una frase completa. In più a tutto questo la recitazione riesce a rasserenare e permette di superare tristi traumi psichici dovuti ad una cattiva ambientazione scolastica o a rapporti difficili con gli adulti» (Gisondi F., 1976).

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Ciascuna acquisizione appare come la convergenza e l'associazione di un certo numero di nozioni acquisite nel corso di situazioni diverse, apparentemente senza rapporto tra di loro.L'ipotesi metodologica di una drammatizzazione comprende:- La progettazione come: 1)- determinazione degli obiettivi e formulazione delle ipotesi; 2)- rilevamento del metodo.Al primo punto avremo la percezione dell'Io come unità bio-psichica e i relativi bisogni; la socializzazione con la modificazione dei rapporti interpersonali; avvio ad un processo di conoscenza interdisciplinare; la trasformazione della realtà con partecipazione attiva e critica. Per quel che riguarda il metodo, un progetto di drammatizzazione può realizzarsi attraverso l'improvvisazione in gruppo e la scelta dei prodotti espressivi ottenuti con l'improvvisazione; l'esercizio; la ricerca del reale; l'organizzazione dei materiali della ricerca e dei prodotti espressivi in funzione della comunicazione; la comunicazione come spettacolo, azione teatrale, mostra. La realizzazione non può fondarsi su problemi astratti ma deve partire dalla realtà di ciascuno o del gruppo, dalle esperienze vissute, deve cioè elaborare un contenuto.124

7.4. Il progetto

I contenuti della proposta sono l'espressione diretta del rapporto costante tra fuori e dentro la scuola attraverso l'esplorazione e la ricerca che in una prima fase operativa sarà rivolta verso la scoperta di sé, del proprio corpo; del proprio modo di identificare la realtà in modo da arrivare attraverso questa autodefinizione più facilmente all'altro e più precisamente scoprire e organizzare le relazioni nell'ambiente con le cose, con gli altri; bambini e adulti.La ricerca diventa quindi una scoperta della realtà che verrà analizzata e rappresentata con tutti gli strumenti a disposizione, con tutti i linguaggi. «La progressione degli obiettivi passa dunque dall'Io al reale nelle sue molteplici estensioni. Elemento comune di tutti gli obiettivi è la trasformazione della realtà» (Rostagno R., Pellegrini B., 1978).A) L'ipotesi metodologicaL'ipotesi metodologica comprende la progettazione che ci permette la determinazione degli obiettivi e formulazione delle ipotesi e il rilevamento del metodo.a) Determinazione degli obiettivi e formulazione delle ipotesi;- percezione dell'Io come unità biopsichica e relativi bisogni;- conoscenza dell'Io attraverso l'altro, conoscenza dell'altro;- socializzazione, modificazione dei rapporti interpersonali;- trasformazione della realtà con partecipazione attiva e critica.b) Rilevamento del metodo;Il progetto può realizzarsi mediante:- l'improvvisazione di gruppo, individuazione e collettivo che comprende:. L'Io come corpo. Gli oggetti come realtà. I linguaggi come simboli- la scelta dei prodotti espressivi ottenuti con l'improvvisazione;- l'esercizio;- la ricerca del reale;- l'organizzazione dei materiali della ricerca e dei prodotti espressivi in funzione della comunicazione;- la comunicazione come spettacolo, azione teatrale, mostra.Fare teatro deve significare utilizzare i linguaggi come modi di comunicare, le tecniche come modi di operare, i contenuti come modi diversi di apprendere. I contenuti possono essere suggeriti da una esperienza personale o collettiva, da un problema, da un fatto vissuto, letto, sentito, da una situazione contraddittoria da chiarificare, da una realtà esterna da sondare e trasformare.

124 Alla fine della spettacolazione si effettua la valutazione: «La Valutazione non è un giudizio di merito ma una chiarificazione nel processo di ricerca, è un consuntivo, e contemporaneamente, una progettazione; si compie per due motivi: per rivedere criticamente ciò che è stato fatto e per progettare ciò che si farà» (Rostagno , Pellegrini,1978). Praticamente si verifica ciò che si è fatto in rapporto agli scopi prefissati, come si è realizzato il lavoro, quanti hanno partecipato e a quanti si è estesa la conoscenza acquisita. La verifica può essere fatta nella classe, nell'interclasse, insieme ai genitori, nel quartiere, nel territorio ed essere stimolo di nuovi problemi, di più approfondite ricerche, sviluppo di un sempre più completo spirito creativo.

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Lo scopo della rappresentazione di una spettacolazione o azione teatrale o mostra animata, ecc.: un riepilogo del lavoro passato ed uno stimolo di riprogettazione per il futuro. La realizzazione non può fondarsi su problemi astratti, ma deve partire dalla realtà di ciascuno, o del gruppo, dalle esperienze vissute deve, cioè, elaborare un contenuto. Per fare questo, deve utilizzare, accanto al gioco drammatico (soprattutto con i bambini più piccoli fino a sette-otto anni) tutti i possibili linguaggi con cui questa realtà può essere analizzata: il disegno, la pittura individuale e collettiva, il collage, la manipolazione, il canto, il ritmo, ecc. Nel materiale che il bambino e il gruppo producono, si scorge una interpretazione rappresentativa del reale che porta il segno dell'esperienza precedente. Attraverso tutte le possibili attività vengono analizzati e rappresentati aspetti differenti del reale. Per questo, l'educatore deve curare che tutti i bambini passino attraverso tutte le attività, impadronendosi di tutti i linguaggi. La drammatizzazione sarà il momento di collegamento sintetico; in essa la comunicazione realizza la sua più completa espressione in quanto rappresentazione intenzionale della realtà nella sua interezza, sviluppatasi nella singolarità di ogni linguaggio, riscoprendone la funzione comunicativa, è possibile, accanto al suo aspetto liberatorio di potenzialità espressive dimenticate, valutarne anche la portata di strumento conoscitivo.Riprendendo schematicamente la successione delle varie fasi di lavoro abbiamo tre punti essenziali:- un tema viene determinato e fissato dal gruppo, in rapporto alle esigenze del gruppo stesso e all'accordo fra i partecipanti al gruppo;- è raccolta una documentazione sul tema scelto, sfruttando le esperienze di ciascuno e le fonti di informazioni che è possibile raggiungere;- la documentazione raccolta è vagliata e controllata, si tratta di dati raccolti da testi, da saggi, da giornali, da una serie di interviste originali, da una documentazione foto-cinematografica desunta da giornali o libri, o personalmente o originalmente creata dal gruppo;- ricavati dalla documentazione raccolta, alcuni nuclei tematici prescelti vengono «sperimentati» attraverso alcuni modelli raffigurativi, secondo varie tematiche e possibilità espressive; uso del disegno, collage di immagini, costruzione di plastici, rassegna di maschere, costruzione di burattini, ecc.;- il gruppo abbozza alcuni modelli espressivi gestuali collettivi, in rapporto al tema e ai nuclei prefissati e prescelti, e alla loro espressione già verificata con altre tecniche;- il gruppo da una prima organizzazione ai nuclei espressivi mimico-gestuali, ordinandoli in un discorso unitario.2) Fase di approfondimento delle possibilità espressive gestuali.Attraverso una serie di improvvisazioni di gruppo, compiute attorno ai modelli gestuali prefigurati; si tratta di precisare meglio:- l'espressività della voce, scomposta nelle sue componenti;- la funzionalità del gesto, personale e di gruppo;- la coscienza e la creazione dello spazio come ambiente rinnovato dall'azione del gruppo;- significatività della maschera e del costume, come espressione personale e collettiva;- validità dell'uso dei pupazzi e burattini in certe circostanze e per un'azione collettiva.3) Fase della verifica del lavoro raggiunto dal gruppo, nella fase di ricerca e nella fase di espressione mimico-gestuale.La verifica è facilitata se durante il corso del lavoro nelle due precedenti fasi, si è avuta la possibilità di documentare fotograficamente, o con l'uso di una TVC, l'andamento del lavoro, le risultanze espressive raggiunte con le tecniche diverse, i risultati mimico-gestuali, ecc. Rivedendo il materiale documentato e avviando una discussione con il gruppo, si tratta di:- precisare i vari passaggi del lavoro svolto, nella loro logica, nella loro diversità espressiva, nella loro autenticità e giustezza espressiva, in rapporto ai temi ed ai nuclei tematici;- fissare meglio la tipicità dei singoli momenti espressivi e la loro funzionalità vicendevole o meno, la loro coordinazione o meno;- valutare la diversa efficacia comunicativa dei diversi modelli espressivi usati;- valutare la diversa funzionalità dei modelli espressivi usati, per un lavoro di gruppo;- valutare meglio la funzionalità tecnica per la comunicazione di un determinato tema da parte del gruppo;- precisare quale tipo di allenamento nuovo sia richiesto, nelle diverse fasi di lavoro, per una partecipazione creativa, spontanea, personale e di gruppo;- cogliere le difficoltà, più evidenti e pesanti che frenano la libera espressione personale e di gruppo, nell'impiego dei diversi mezzi tecnici.

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Ricapitolando un allenamento alla scoperta del polivalente impiego degli oggetti è indispensabile in un certo grado, per una coscienza dello spazio nel quale ci si trova a lavorare; e altrettanto importante per avere l'opportunità di usare degli oggetti più comuni per risistemare lo spazio secondo le esigenze del gruppo e per elaborare degli ambienti precisi con i medesimi oggetti. (21)

consuntivo- la valutazione ha scopo

progettuale

nell'interclasse- la verifica si realizza in classe

nel campo di ricerca

novitàpedagogici qualità

quantità- secondo criteri

chiarezzadi comunicabilità

efficienza

7.5. Forme di drammatizzazione

Non si tratta di un teatro calato dall'alto dentro il mondo dei ragazzi con operazioni paternalistiche ed avulse dalla realtà e dalla presenza di un ragazzo come protagonista, ma è un mezzo di contatto e di promozione umana. Esso quindi si propone come intervento pedagogico che si realizza partendo dal teatro-gioco per maturare via via verso il teatro inchiesta e quello didascalico. Ciò permette di aver con i ragazzi, nelle loro esperienze, un rapporto più organico, precisando il loro incontro con l'ambiente e con gli altri nella prospettiva di una qualificazione personale quale contributo al rapporto ed alla comunicazione comunitaria.La drammatizzazione appare quindi come una manifestazione personale e di gruppo attraverso l'elaborazione dei linguaggi umani partendo da una animazione fondata sulla mimica quale manifestazione più immediata dell'azione drammatica. Successivamente, quando la pantomima è accompagnata da un dialogo, la drammatizzazione permette la rievocazione e l'approfondimento di motivi culturali sempre più complessi e simbolici.All'educatore spetta dare agli sforzi creativi dei ragazzi, una struttura, un ordine, un giusto inquadramento.

7.5.1. Gioco e gioco drammatico

Il gioco drammatico è un gioco di gruppo, sottomesso a regole tra le quali, fondamentale, è quella di accettare la partecipazione degli altri e la cooperazione degli elementi che costituiscono il gruppo. Come nel gioco ognuno ha un motivo per agire, ma l'azione individuale serve il progetto comune. Soltanto quella che si include e si integra nel progetto può essere fatto.È stabilito che ognuno deve conservare la parte scelta sia durante una sequenza sia durante l'intera durata del gioco scenico. È anche stabilito che non tutte possono «jouer» nello stesso tempo e che occorre, in alcuni momenti, accettare di far parte degli spettatori non partecipanti: questi guarderanno sapendo che tra poco sarà il loro turno. I non partecipanti possono dare suggerimenti, intervenire ed integrarsi al gruppo dei partecipanti se si libera un posto, sia perché qualcuno non vuole più continuare, sia perché viene creata dal gruppo una parte nuova, con l'accordo dell'adulto.L'animatore dell'animazione è dentro il gioco: interviene quando ce n'è bisogno, fa rispettare le consegne, chiede una spiegazione perché l'azione si prolunghi con efficacia, fa anche da arbitro nei casi di conflitto, interviene quando, nel corso del gioco, devono entrare a far parte dell'azione nuovi elementi.Nel gioco drammatico il bambino non è dunque così libero come nel gioco, ma in compenso stabilisce con i suoi pari delle relazioni che scopre vivendole. È però sempre in situazione di gioco, poiché sa che la sua attività è fittizia, non si lascia ingannare.

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La recitazione è come ogni gioco un momento di piacere: si è contenti di agire, parlare, inventare, esteriorizzare. Si è contenti di interpretare una parte, si è contenti di avere un pubblico (i partecipanti) ed un adulto (l'animatore dell'animazione) sentita come elemento fondamentale poiché autorizza e favorisce il gioco, e soprattutto riconosce ognuno come inserito in una situazione nuova. I bambini giocano insieme, tengono conto della presenza degli altri, organizzano la loro azione individuale in funzione degli altri, («A tre anni i bambini sono in grado di contrattare socialmente le regole», Nuovi Orientamenti).Nel gioco drammatico non è ammesso il gioco parallelo, (o non integrato) quello che disturba; il gruppo non ammette che uno, due o tre bambini si mettano a giocare per conto loro, senza badare a quello che avviene intorno.Durante e dopo il gioco, alcuni bambini non mancano mai di fare osservare che alcuni non rispettano le regole. Inizialmente si è stabilito che occorreva cooperare: non si ammette che improvvisamente alcuni rifiutino il loro apporto. C'è da rilevare che quando si gioca su un tema (come il circo) i bambini partecipano tutti, ma si dividono in gruppi di sei o otto al massimo. Ognuno di questi gruppi organizza la propria azione come meglio intende, rimane autonomo, ma senza isolarsi mai dal gioco collettivo; gli scambi sono frequenti perché i bambini si sentono tutti coinvolti dal tema comune. La maggior parte di essi partecipa in effetti all'azione dei vari gruppi; cambiano allora ruolo cambiando gruppo e fanno domande che permetteranno di capire la situazione vissuta dagli altri e di trovarsi così un nuovo posto anche per un breve momento. Tali scambi sono proficui poiché invitano ad adattarsi ininterrottamente e ad integrarsi agli gruppi. Tutto questo è perfettamente accettabile quando in seno al gruppo precedente sta per terminare l'azione: attraverso alcune domande, da una rapida osservazione della situazione in corso, il nuovo arrivato riesce a farsi ammettere e a collocarsi.Il gioco di quel giorno non si ripete mai identico per varie ragioni: l'indomani, si scambiano i ruoli, chi non agisce osserva, ascolta, ma interviene e questi interventi non disturbano quelli che «recitano», i quali tengono conto dei commenti fatti e dei suggerimenti. C'è la partecipazione di tutti; quelli che guardano si sentono coinvolti dal tema sul quale sono interventi il giorno prima e dall'azione che permette ad ognuno di vedere l'altro nei personaggio da lui creato.Chi recita sa di essere osservato da chi non recita, la presenza dei compagni è accettata e sentita come una presenza stimolante. Il mondo relazionale che unisce questi due gruppi non ci sembra essere quello di una situazione di teatro tradizionale in cui gli attori recitano per gli spettatori: qui non ci sono né attori né spettatori, c'è chi recita e chi non recita, ma tutti sono uniti in una relazione di comunicazione reciproca. ci si capisce con un gesto, una parola. Il piacere è nel partecipare ognuno risponde al proprio desiderio di gioco cooperando e «autogestendosi». Si tiene conto degli interventi degli altri, includendo, per esempio, in qualsiasi momento, a seconda dei bisogni, nuovi personaggi in nuove funzioni.Tutti i soggetti sono prevalentemente attivi ed associati al gioco. Tutti osservano e seguitano il gioco dei loro compagni, ne traggono delle conclusioni per il gioco seguente sia in vista di una futura partecipazione, sia per l'efficacia e l'organizzazione delle azioni di gruppo. Dopo il gioco, il momento del dialogo libero, attiva tutti quelli che hanno guardato e che hanno voglia e bisogno di commentare. Intendiamo sottolineare con questo che la situazione di dialogo a proposito del gioco permette di dire, a quelli che sono rimasti seduti, tutto ciò che hanno visto e sentito.Osserviamo che i soggetti non giocano soltanto con gli altri, ma anche attraverso gli altri. Essendo tutti implicati nella situazione drammatica tutti si sostengono, si completano, si anticipano, ognuno cerca sempre la condotta più «significante». L'unico criterio è quello dell'approvazione del gruppo, approvazione legittimata dall'animatore dell'animazione che anche se non partecipa direttamente al gioco, anima le discussioni. Sottolineiamo che esso tuttavia fa parte del gruppo e a questo titolo i soggetti accettano implicitamente le domande che talvolta fa, sia per provocarli, sia per confrontarli, affinché l'interesse del gioco sia verificato. Siamo molto lontani dal tipo di educazione che si instaura nel teatro tradizionale. Spesso siamo portati a chiederci per quali ragioni gli adulti non riescono che difficilmente, ed il più delle volte senza gioia, a partecipare all'azione quando nei gruppi teatrali moderni o d'avanguardia vengono sollecitati. L'adulto vive spesso la situazione teatrale come inibente; il bambino sembra viverla con gioia reale e profonda, perché totalmente coinvolto e impegnato nell'azione.

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A teatro, l'attore recita una realtà immaginata dall'autore; ha una parte, assicura al personaggio che deve rappresentare una apparenza ed in certo modo lo fa sembrare vero. Nel corso della rappresentazione, egli, l'attore, fa il suo mestiere.Il bambino invece non è un attore. Nel gioco drammatico si esprime, cioè esteriorizza la sua persona, il suo essere profondo con le sue pulsioni, i suoi desideri, le sue inibizioni. Questa espressione del proprio essere non si fa senza destinatario. Totalmente impegnato nel vissuto, il bambino affida ed espone la sua persona all'altro con la speranza (o la certezza?) di essere «ricevuto». Per essere riconosciuto dall'altro occorre mettersi in lui, in situazione, venire preso come lui in un universo comune, in poche parole, recitare se stesso di fronte all'altro, con l'altro come «fine».In questa situazione, il bambino afferma se stesso, ma bisogna parlare di qualche cosa, anche se questo qualche cosa è senza grandi rapporti con ciò che ha fatto nascere la decisione di parlare. Si crea così la comunicazione nell'universo del gioco drammatico e mentre il mutismo o la presenza immobile non permetterebbero molto di più che lo stato di oggetto, l'intervento e l'espressione di se stesso impongono il bambino in quanto persona e creano nello stesso tempo l'altro in quanto soggetto.Attraverso il gioco drammatico, il bambino intreccia dunque una relazione dialettica con i suoi compagni, che implica la formazione della personalità degli uni e degli altri. Infatti viene a trovarsi in relazione reciproca con i suoi partners come lo è con quelli che lo guardano recitare. La presenza dei co-attori e del suo pubblico influisce molte volte sul suo gioco, cioè sul suo modo di essere nel momento preciso in cui recita; inversamente o piuttosto reciprocamente, i co-attori come gli spettatori risentono e sono modificati dal gioco dell'attore considerato.E in questo, ci sembra, che il gioco drammatico si differenzia radicalmente dal gioco in sé: nel gioco l'altro si pone come elemento del gioco, con uno stato di oggetto senza pertanto essere considerato come un altro se stesso. Nel gioco drammatico, mentre recita, il bambino si recita attraverso l'altro e per l'altro, cioè perché l'altro lo riconosca e lo accetti.Generalmente l'attore recita varie parti senza assumerle. Se le assume, si trova come il bambino in stato di creazione continua e si arricchisce. Il bambino quindi gioca ad essere, e entra nel gioco sapendo che è un gioco. Gioca avendo coscienza del gioco come tale. Questa «duplicità» del bambino caratterizza il gioco umano.Giocare non ad essere è sperimentarsi e provarsi nell'azione, con l'aiuto degli altri come partner, ma all'interno di situazioni immaginate. È ricreare, reinventare le scene della vita di tutti i giorni e viverle sapendo che le stiamo giocando. È entrare così in pieno nell'universo delle convenzioni e in quello dei segni. Il bambino «fa finta»: è capace di rendere con i gesti e con il linguaggio una rappresentazione delle cose e degli esseri. Si distacca dalla sua fusione originale con il mondo ambientale e con gli altri. Si incammina verso la conoscenza del mondo e verso la scoperta di se stesso, poiché il mondo si oggettivizza e l'Io si disegna. Nel giocare ad essere un altro, il bambino scopre un nuovo punto di vista, è meno dipendente dalla realtà. È la realtà che comincia a dipendere da lui attraverso la rappresentazione che egli ne ha e ne fa.Giocare permette dunque, anzi favorisce, una conoscenza del mondo, poiché essa è attitudine simbolica. Se il simbolo è espressione delle cose, la cosa che parla di se stessa, la cosa significante, l'attitudine simbolica del fare «come se» è anche l'attitudine che permette di percepire e di scoprire il senso. Infatti sembra proprio che la presa diretta sul mondo sia rifiutata all'uomo poiché «tra l'essere e l'uomo si inserisce sempre, come diceva Pascal, il senso ed il significato». Se il mondo si avvicina a noi è attraverso i segni e i simboli.Il bambino scopre per via dell'imitazione-confronto e attraverso il «far finta», una realtà che egli crea; è la sua propria realtà ch'egli si crea, cioè crea per se stesso. Il gioco gli aveva già dato questo potere. Il gioco drammatico lo amplifica poiché occorre immaginare e creare in funzione del gruppo. Non si può seguire sempre ed ovunque il filo della propria fantasia. E proprio per questo aspetto costringente del gioco drammatico è un elemento di arricchimento, poiché stimola il bambino a fissarsi per un dato tempo su un tema da cui non deve evadere. Fare finta con gli altri necessita che sia stabilita la comunicazione nel suo aspetto fondamentale, la comprensione.Bisogna fare finta insieme; per questo bisogna potersi capire per aiutarsi reciprocamente nell'azione. Bisogna completarsi, aiutarsi, condurre al punto giusto il gioco desiderato e deciso. In questo, il fare finta è ricco: gesti, mimiche e posture esprimono, traducono la situazione. Il fare finta permette di raggiungere l'universo simbolico. Nel gioco drammatico dove c'è un far finta collettivo, ogni situazione conosciuta dal

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gruppo, anteriore al gioco diventa presenza dopo essere stata costruita sulla sua stessa essenza: non si recita soltanto la realtà; si recita un abbozzo verbale della realtà e questo progetto è eminentemente dinamico poiché ne sono state fissate solo le grandi linee. Non si tratta soltanto, come nel gioco di imitare la realtà, qui bisogna, prima di tutto, inventare una realtà (il progetto) e poi darle vita recitandola con gli altri. In altri termini, si può parlare di gioco ad un secondo grado, esso diventa significante non soltanto per gli altri (poiché c'è comunicazione) ma per ognuno poiché permette di slanciarsi dall'ambiente immediato, di liberare il proprio significato penetrando nel mondo dei simboli; attraverso la realtà e attraverso il ruolo che' egli si è dato e nel quale si prova. L'affettività interviene potentemente: orienta le scelte, fa nascere nuovi significati soggettivi. Giocare ad essere è in effetti adottare una condotta gioiosa per entrare e situarsi nell'universo dei significati del mondo ed adottare così una attitudine simbolica che induce l'agente ad agire, allontanandosi e staccandosi dalle apparenze sensibili per accedere all'universo della rappresentazione. È prendere possesso del mondo, impadronirsene per meglio familiarizzare con esso e installarvisi. Ogni gioco drammatico riuscito, cioè portato gioiosamente a compimento da un gruppo, è amato dai partecipanti poiché essi hanno il sentimento di esservisi compiuti. Essi chiedono sempre di giocare di nuovo sullo stesso tema talmente è grande il loro piacere di non cambiare soggetto, piacere di perseguire le loro investigazioni, piacere di essere insieme, integrati ad un piccolo gruppo che non si scioglie oppure ad uno più grande nel quale ognuno ha un posto riconosciuto.Si potrebbe dire che essi hanno piacere, cioè risentono una certa gioia nel dedicarsi, nuovamente, a una attività conosciuta che amano ricreare e rivivere. Appena un gioco si organizza i bambini sono esuberanti, impazienti, come se il tempo mancasse; i più attivi agiscono in fretta, talvolta con precipitazione, tanto è grande il loro desiderio di esprimersi. Appena ognuno ha ritrovato il suo posto, c'è la partecipazione totale. Il bambino dà e riceve, si supera, riconosce nell'altro un compagno valido di cui tiene conto... e così l'azione va avanti, e più va avanti, più il bambino è attivo e dinamico. I bambini non recitano mai per far piacere alla maestra o agli altri; recitano per il solo desiderio di giocare e per il piacere attivo che danno a se stessi.Essere contenti di recitare con gli altri è anche essere in festa, quindi ritrovare una soddisfazione profonda. Essere in festa significa fare la festa partecipandovi. Parte attiva per il conduttore del gioco, parte più discreta per il timido che si lascia guidare ed orientare ma che alla festa partecipa ugualmente. Ognuno ritrova il proprio tornaconto, chi organizza e decide per gli altri è anche chi si lascia guidare. È l'avventura comune che dà a tutti il senso della festa. È il gruppo vissuto come unità in mezzo al quale ognuno ha (o trova) un posto, il suo posto, e lo tiene con gioia.Il gioco drammatico è l'occasione e il mezzo di fare qualcosa di importante insieme: favorisce l'incontro e i ritrovamenti, impegna tutti a vivere una vera festa in un clima di gioia e di sicurezza. Stabilisce anche una comunione a livello diverso da quello instaurato dall'ascolto delle poesie, del racconto o della musica; è festa poiché il gioco supera se stesso, facendo vivere ad ognuno e a tutti un momento creatore di gioia e di emozione insieme. È festa poiché il piacere di ognuno aumenta il piacere di tutti: si è contenti attraverso gli altri, per gli altri. Nel gioco il bambino si dà un ruolo, cambia di personaggio o di funzione secondo il corso della propria immaginazione. Nel e attraverso il gioco, il bambino fugge alle leggi della casualità, diventa demiurgo, il mondo lo inventa, lo crea senza provare altra resistenza se non quella che egli pone come essenza del mondo, e ciò senza incontrare ostacoli poiché tutto si fa e si disfà in un universo immaginato, quello del gioco da lui giocato. Il bambino abbandona generalmente «la propria parte», quella che lo pone, in quanto bambino, nell'universo organizzato e strutturato degli adulti. Recitare è diventare un altro, è volere essere un altro e valorizzare così questo altro che si diventa per un po' di tempo. Abbandonare provvisoriamente un ruolo è prendere coscienza di questo ruolo e cercare così di trascenderlo. Nel gioco simbolico il bambino si dà dei ruoli fittizi che recita in funzione della sua esperienza personale, delle sue tendenze, dei suoi desideri. I propri ruoli fittizi egli gli recita simbolicamente, cioè in un universo di segni e di convenzioni; gli recita per costruire il proprio Io, perché si affermi progressivamente la propria identità. E non si può, parlare allora di sdoppiamento del «bambino che gioca» e del bambino «giocato».Il soggetto si sdoppia in un personaggio recitante che sa che, la cosa, è assente nel momento stesso in cui essa è, e un personaggio recitato che è quello del ruolo sostenuto. Ci possiamo chiedere se questo sdoppiamento, frutto della identificazione, non è il fondamento stesso di ogni gioco.

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Per quanto ci riguarda diremo fondamento e/o finalità del gioco. Nel gioco drammatico il bambino, dopo la consultazione verbale, accetta un ruolo fittizio e lo terrà durante un tempo determinato su un tema definitivo. La situazione è dunque in partenza diversa dalle situazioni prima evocate. Il ruolo si definisce, dice D. Widlocher (1962) «Come l'insieme delle posizioni immaginarie assunte dal soggetto in relazione agli altri». Essendo il gioco drammatico un gioco di gruppo, il bambino vi stabilisce relazioni di socializzazione. È quindi fondamentale per il bambino assumere ruoli fittizi con gli altri come partner, di fronte agli altri, e in funzione degli altri.L'immagine che il bambino dà di se stesso, che è provvisoriamente un altro, lo fa riconoscere nel ruolo che assume, gli permette di trovare il suo posto (o di inventarlo) e di situarsi tra gli altri. Spesso i bambini, poco attivi nelle attività di tipo scolastico, si impegnano in pieno nell'espressione drammatica. Cambiano positivamente appena accettano un ruolo, appena diventano colui che hanno scelto di diventare durante il gioco. Tutto avviene come se il ruolo permettesse di liberarsi di se per osare di essere un altro e comportarsi non come se stesso, ma come quest'altro.125

Per recitare bene un ruolo, il bambino deve mettere ordine dentro di se ed essere padrone di se stesso. Non gli basta aver visto, ritenuto, osservato; non si può accontentare di aver compreso o sentito. Deve essere, cioè dominare, controllare, strutturare. Essere maestro di sé per esteriorizzare i suoi affetti, per organizzare le sue percezioni, per immaginare e ricreare una situazione spesso complessa. Recitare una parte è stabilire una distanza tra sé e il ruolo. Resta da chiarire quali parti prediligono recitare i bambini. Si potrebbe rispondere molto banalmente: tutti i ruoli che si presentano, a condizione che siano attivi; è la ragione per cui non ci sono mai comparse nei nostri giochi. Molte parti si adattano ai bambini: non insistiamo mai per imporre una parte che il bambino rifiuta. Verrà il giorno in cui questo ruolo sarà richiesto ed allora glielo affideremo. Abbiamo fiducia nel bambino, proponiamogli di provare a recitare delle situazioni nelle quali egli è felice. Questa condizione del tutto elementare è forse la più determinante perché il gioco riesca bene e soprattutto perché ogni bambino sia veramente partecipe alla festa. L'espressione di sé, attraverso il linguaggio drammatico, non può realizzarsi pienamente se non quando ognuno è soddisfatto e coinvolto. Solo allora si stabiliscono all'interno del gruppo relazioni di un tipo nuovo i cui effetti catartici spesso sono stati messi in evidenza dagli psicoterapeuti che praticano l'improvvisazione drammatica a fini curativi.Ci sembra fondamentale indurre l'educatore a riconoscere l'interesse di tali attività che, da una parte, migliorano le relazioni con i bambini più restii a rispondere alle loro sollecitazioni, dall'altra portano i più piccoli la relazione di aiuto che permette loro di strutturare meglio la loro personalità profonda. Se l'espressione drammatica è, per il bambino, occasione di fare, per gli educatori è un mezzo perché il bambino faccia. La pedagogia dell'espressione, che si propone di indurre il bambino a prendere possesso dei suoi mezzi, non può dimenticare di utilizzare tecniche che permetteranno al bambino di aprirsi.Le attività drammatiche favoriscono non solo la creatività, e cioè la disposizione a creare che esiste allo stato potenziale, ma soprattutto danno al bambino la possibilità di creare. Creare, vuol dire agire sapendo che fa seriamente una cosa difficile che impegna tutta la sua persona. È spesso un superarsi, un voler riuscire a trovare il proprio posto nel gioco ed è anche riuscire a mantenervisi. Permettere alla creatività di esercitarsi, è semplicemente accettare che il bambino si provi, è favorire tutti i suoi tentativi e le sue audacie. Permettere la creazione vuol dire andare molto oltre, dando vita ed esistenza all'oggetto della creazione. È anche portare a termine ciò che è stato intrapreso. Non ci si esercita solo nel fare: si fa. D'altronde non si fa mai da soli ma con il gruppo che tiene conto di ogni partecipante, che lo riconosce in quanto partecipante e che si afferma esso stesso attraverso la cooperazione attiva di tutti.Il bambino che partecipa a un gioco drammatico si appoggia sulla presenza dei suoi compagni ed anche sulla presenza e le relazioni di coloro che seguono il gioco. Si sente valorizzato perché riconosciuto in quanto persone nelle diverse parti che assume. L'educatore, che fa parte integrante del gruppo, valorizza l'azione, e di conseguenza coloro che la eseguono. Interviene solo per incoraggiare e stimolare, mai per proibire e rimproverare. Per provocare nei bambini la pratica del gioco drammatico dai quattro anni circa, suggeriamo agli insegnanti di incominciare, fin dalla prima sezione, cioè con dei bambini di tre anni, con

125 Il ruolo (etimologicamente la ruota, il rullo) è una condotta ed una funzione dinamica e plastica, può definirsi come «l'insieme delle disposizioni immaginate». Il ruolo è dinamico è soprattutto dinamizzante poiché prende corpo solo tramite colui che lo assume e lo fa diventare vitale.

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delle brevi scene di mimica. Mimare vuol dire esprimere o riprodurre attraverso i gesti, dei giochi di fisionomia senza l'ausilio della parola. Che cosa si può far mimare ad un bambino piccolo? Certo, non li si chiederà di mimare sentimenti (come la gioia e/o la tristezza), ma molto semplicemente azioni che egli stesso ha già realizzato; o che ha già visto realizzare nel suo ambiente familiare. Le parti sono distribuite dall'insegnante che tiene conto dei desideri dei bambini; bisogna designare molti personaggi, far recitare il maggior numero possibile, senza imporre una parte a un bambino; gliela si dà solo se l'accetta . Bisogna evitare di assegnare i ruoli-vedette ai «leader» perché priverebbero i compagni di una esperienza indispensabile. Bisogna invece evitare le comparse, non siamo a teatro; si dà ad ognuno, sempre con precisione, una parte definita nella quale avrà modo di agire e partecipare.Dopo aver distribuito le parti, è spesso consigliabile far ripetere a certi bambini qual'è il personaggio che incarnano e ciò che il gruppo ha deciso di fare; alcuni, infatti, dimenticano o cercano di cambiare la parte durante il gioco. Una delle regole di conservare il ruolo che si è accettato; si potrà cambiare solo il giorno dopo.I bambini sono ora pronti a recitare. Ricercano in libertà gli accessori indispensabili.Questa ricerca non deve durare a lungo, bisogna sapersi accontentare di accessori molto semplici diversamente si dimenticherà la trama, tutto il tempo passerà per mascherarsi e di conseguenza non ci sarà gioco collettivo.126 Il progetto primitivo non è che una trama destinata a guidare; lo si trasforma quando si vuole durante il gioco, se il gruppo lo desidera o se il bambino impone la sua idea (cosa che capita spesso). Dopo il gioco si commenta insieme con i non partecipanti. Si fanno progetti per il prossimo gioco. Si prevede la fabbricazione o una nuova ricerca per gli accessori mancanti. Se il primo gioco si è svolto alla mattina, capita che la classe intraprenda subito i lavori manuali così da poter disporre per il gioco del pomeriggio di tutto ciò di cui ha bisogno. Bisogna evitare di rompere l'interesse suscitato da questa attività in nome di un «orario».Un gioco drammatico si vive intensamente, senza interruzioni. Succede molto spesso che un gioco e le attività annesse occupino un gruppo una o due giornate. È indispensabile accettarlo. Il gioco è recitato varie volte, secondo i desideri dei bambini. Quando è a punto e quando molti bambini hanno partecipato, bisogna fermarlo. Tutto avviene come se i bambini stessi se ne stancassero. Notiamo tuttavia che certe classi chiedono di recitare.127

Ogni gioco drammatico riposa su una trama verbale precisa. Si tratta di un momento di dialogo durante il quale l'insegnante spinge i bambini a tracciare le linee principali del gioco. Quando una classe decide il gioco, prima si dice tutto quello che succederà. La maestra lo ricorda e lo ripeterà alla fine della seduta. I bambini sanno così dove si svolge l'azione e quello che si è deciso di fare. Le sequenze sono, evidentemente, tutte suggerite dai bambini; la maestra interviene per fissare le idee e anche perché gli avvenimenti essenziali siano previsti; le sue domande hanno molta impor-tanza in quanto aiutano i bambini ad essere più precisi e spesso a scegliere tra due soluzioni.128 Si potrebbe parlare di pantomima finché il bambino si limita a dare delle indicazioni leggibili di una situazione. Il mimo interviene quando il

126 L'insegnante guarda, partecipa attivamente parlando con questo e quel personaggio. Recita il gioco del gioco; una domanda che lo facesse sentire all'esterno della situazione vissuta, interromperebbe il ritmo che si è instaurato. È questo un comportamento fondamentale: è necessario che gli insegnanti ci riflettano. I loro interventi rilanciano il gioco, prolungano una azione o ne provocano un'altra; tramite i loro suggerimenti certe sedute sono molto ricche. D'altra parte, possono introdurre i bambini ad essere più precisi nei gesti o nelle battute. Alcune sedute non finiscono mai, bisogna saperle fermare con un artificio qualsiasi, evitando brusche interruzioni. Si fa cessare il gioco, quando il progetto è stato rispettato e quando l'azione comune o le azioni dei gruppi si ripetono senza cambiamenti e senza evoluzioni. Cosa dire allora? È notte! Bisogna rientrare! ... Qualche volta si usa il campanello come a teatro. È sottinteso che se i bambini si mettono d'accordo, dorante il gioco, per cambiare un particolare, ogni modifica verrà accettata; non si deve volere che tutto ciò che è stato previsto venga recitato.127 Nella scelta dei temi tutto quello che interessa i bambini può essere utile. dal vissuto familiare, fino agli avvenimenti che l'attualità fornisce attraverso l'intervento della televisione. Diamo, a titolo di esempio alcuni argomenti: il circo, lo zoo, le scene della vita familiare, il viaggio (macchina, treno, aereo), le vacanze, la passeggiata, il pranzo, l'attualità (soggetti ispirati allo sport. incontro di pugilato, partita di calcio, lotta), i cosmonauti, la strada, la vita dei negozi, il supermercato, la festa popolare, il mercato delle pulci, la scuola, la messa, la scuola dei grandi, ecc. I racconti all'occasione possono suggerire di diventare i personaggi di una storia conosciuta, inventata o aperta, in alcuni casi queste storie inventate durano a volte molto a lungo.128 Prima di cominciare a recitare, bisogna recarsi subito nella stanza dove si svolgerà l'azione. Il più delle volte è la palestra, ma in alcune scuole esiste una sala riservata alle attività collettive (teatro, marionette, cinema). Le maestre non devono pensare che sia necessario disporre di un apposito salone! Nelle classi-laboratorio delle «scuole-aperte» dove si lavora collettivamente, per questo tipo di attività viene liberata una stanza. Si decide, per preparare il gioco, di segnare in modo concreto o simbolico diversi luoghi in cui si svolgerà l'azione. Delimitati gli spazi, si preparano gli elementi utili.

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personaggio già introdotto dalla pantomima si anima al livello della mimica: il suo viso, e solo il suo viso, esprime diversi sentimenti. La mimica completa e arricchisce gli atteggiamenti e le posizioni. In questo esempio il mimo inizia con il sorriso, continua con il meravigliarsi e chiude con l'impassibilità.Infatti il mimare potrebbe essere considerato come una eteriorizzazione dell'interiore.129

Mentre a partire da un giocattolo il bambino non può far variare l'utilizzazione prevista, partendo da qualunque accessorio può immaginare tutto quello che desidera. È una possibilità da sfruttare. Mimare è anche imitare e inventare. È esprimere una situazione fortemente interiorizzata, è quindi ricrearla. Questo gioco del mimare piace; bisogna saperne approfittare per indurli a fare una, due, tre volte la stessa azione. È molto facile, quando la maestra commenta, valorizzando quello che vede. Precisiamo, sottolineandolo, che non esiste a nostro avviso una buona o una cattiva rappresentazione. Ognuna vale in quanto espressione di un bambino che tenta di rendere leggibile una azione umana. Non si dimentichi tuttavia che si deve indurre il bambino ad essere attento al proprio gesto. Deve pensarci, farlo con calma, con applicazione, cioè cercando di avvicinare una prima forma, sia pure rozza, di interiorizzazione. Questi brevi momenti che richiedono molta attenzione vanno vissuti intensamente. Non va fatta qualsiasi cosa in qualsiasi modo. Si cerca di fare, acquisendo un po' di padronanza. Permetteremo così ai bambini di scoprire gli elementi di una specie di grammatica gestuale che, a poco a poco, ognuno dovrà elaborare per conto suo. Dopo varie sedute, è interessante constatare come i bambini siano attenti ai loro gesti, ai loro atteggiamenti, alle loro posizioni. Il ritmo di esecuzione viene rallentato: si sente che il bambino cerca di tradurre, di esteriorizzare un'azione pensata. Nessun automatismo appare in questo momento; ogni gesto è destinato all'adulto che l'ha chiesto, a quelli che guardano e che, a loro volta, lavoreranno dopo.130

L'espressione drammatica rompe la monotonia del quotidiano, trasporta gli insegnanti verso un mondo differente da quello della scuola, tutto fatto di costrizioni, di regole e di tran tran.In molte classi, la vita degli alunni non si svolge forse veramente secondo una monotonia stancante, suscettibile di generare abitudini di passività?

7.5.2. Giocodramma

Prevede brevi composizioni, improvvisazioni creative liberamente inventate o riprese da esperienze vissuta in prima persona dai ragazzi con scambio dei ruoli, nel qual caso l'attività scenica diventa sociodramma mediante il quale si possono cogliere ed analizzare razionalmente, in particolare, i problemi socio-affettivi.Le peculiari caratteristiche del giocodramma sono quelle del gioco-puro, dellla integrale animazione e verbale all'interno delle variabili del gioco imitativo, gioco-simbolico, gioco-costruttivo, gioco-avventuroso, gioco-mimico, ecc.

129 Sappiamo bene che il bambino non riuscirà mai ad acquisire un saper-fare tecnico che gli permetta di rendere leggibili le sue azioni. Non sposiamo la causa della mimica nella scuola materna; ci serviamo delle forme elementari della mimica per indurre il bambino a prendere possesso del suo corpo. non dobbiamo preparare futuri artisti. Se chiediamo ai bambini di imitare delle situazioni nelle quali degli esseri prendono vita è perché diamo molta importanza alla rappresentazione che essi ce ne danno. Le azioni sulle azioni sono per noi un approccio fondamentale della simbolizzazione: si fa percepire intuitivamente al bambino che il gesto ha un potere diverso dal potere comunicativo o utilitario; serve a rappresentare simbolicamente. Dopo aver fatto eseguire ai bambini un certo numero di scene mimate sarà facile provocare un gioco drammatico. A partire da questo livello di espressione gestuale, la maestra ha interesse a far esprimere a ognuno dei bambini la situazione vissuta. Il ritorno all'espressione verbale può favorire una presa di coscienza, tanto a livello della verifica del progetto, quanto a livello della rappresentazione stessa. Ripetendo quello che ha fatto o quello che voleva fare, il bambino va avanti, secondo un suo ritmo, verso una delle prime forme del linguaggio concettuale. Le successioni di azioni (da due a tre, a più) possono essere presentate come un gioco nel corso del quale un gruppo indovina ciò che i compagni stanno mostrando. I piccoli decifrano facilmente. Quando l'interpretazione data non corrisponde a quello che è stato imitato, il gioco può essere arricchito cercando di mimare, tutti insieme, l'azione iniziale, e quella che i bambini hanno creduto di vedere. Quando i giochi si complicano perché si completano, succede spesso che nessuno indovini. Ciò non ha nessuna importanza data la polisemia del gesto; intendiamo riferirci alle diverse interpretazioni possibili che ognuno ha diritto di dare al gesto stesso. Tutte le azioni di cui abbiamo parlato sono realizzate senza accessori, almeno in un primo tempo: se il bambino non ha niente da manipolare, è tutto attento al suo gesto. In un secondo tempo, è bene procurargli degli accessori, ricorrendo a elementi semplici. A partire da questi elementi, il bambino è portato ad immaginare delle situazioni. 130 I commenti sono molto apprezzati perché spesso permettono di superarsi. Non è forse un modo per migliorare? Questi brevi momenti possono essere seguiti, dopo un certo tempo, da una successione di due o tre azioni che si ricollegano e che saranno state sia proposte dalla maestra, sia immaginate dagli stessi bambini. Temi come la spesa, la pesca, le pulizie di casa, la classe... danno luogo a ricerche interessanti.

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Nel giocodramma si ha il gusto di drammatizzare l'esperienza, ma con gli attributi della spontaneità, occasionalità, afinalità, gratuità, ma non certamente irrazionalità. Pertanto in genere rifiuta le regole dettate dall'adulto e strutture precostituite apposite.Il giocodramma si svolge e si consuma in tempi brevi, vive nella estemporanea, magica freschezza e fragranza delle sensazioni fuggevoli, dei sentimenti interiori, delle immaginazioni e fantasie trasfigurate nell'attimo stesso della loro percezione; fa leva quindi su di un linguaggi essenziale, asciutto, spoglio di elementi scenografici, di costumi e di musica. È il vero e proprio gioco tradizionale infantile, reso più pienamente educativo.Il corpo rappresenta l'elemento principale sulla «scena» poiché ricerca l'utilizzazione spontanea di tutte le sue potenzialità vocali, mimiche, motorie, ecc.Il giocodramma permette la piena espressione della sfera oggettiva (sul piano estetico-affettivo) della personalità, sublima comunitariamente i desideri, i sentimenti, le aspettative, le motivazioni. Ciascuno dimostra padronanza, sicurezza, disinvoltura con spontaneità e sincerità affettiva, mediante l'inventiva della sua espressione.Il giocodramma appare una forma preparatoria di un teatro da formalizzare attraverso repertori comunicativi sempre più complessi e strutturati. Pur usando prevalentemente il linguaggio mimico-gestuale, si sviluppa razionalmente superando lo spostamento soggettivo del farsi sempre più evidentemente cultura unitaria e comunicazione polilinguistica nelle sue successive trasformazioni in teatro didascalico e teatro inchiesta.Il giocodramma privilegia il linguaggio mimico-gestuale, la spontaneità e l'improvvisazione; è un'indicazione di avvicinamento al reale in opposizione all'opinione che vuole il gioco considerato solo come evasione. Infatti il gioco deve essere considerato per come interpreta costantemente il reale, riproponendolo nelle sue possibilità inattese e non codificate; per questo motivo i segni fondamentali del gioco-dramma sono quelli del gioco puro con la sua spontaneità ed avventurosità, inoltre esso si caratterizza come una forma drammatica essenzialmente occasionale in cui prevale l'immediatezza delle emozioni manifestate senza preoccupazione di fare spettacolo. Una forma che si può situare sul piano della drammatizzazione creativa, ma non è ancora teatro tout court, perché rimane ancorato al momento soggettivo e molto labili sono gli elementi socio-operativi.In esso si evidenziano quattro tendenze di sviluppo:- maturazione biologica, crescita delle abilità e competenze, rispetto ai vari aspetti dell'esperienza;- maggiore elaborazione e sviluppo in eventi più complessi;- i momenti sono sempre meno sotto l'influsso realistico dell'utilizzazione dei materiali a disposizione, per assoggettarli sempre più al controllo di idee e programmmi;- maggior ricchezza di particolari via via che aumentano le situazioni, le attività ed il bambino viene a contatto con un maggior numero di persone.L'ultimo punto permetterà di sviluppare nel gioco-drammatico le caratteristiche del mondo sociale. le azioni e le persone diventeranno i personaggi e le trame di storie riconoscibili.Il giocodramma è la forma di rappresentazione teatrale più antica; il teatro ha le sue radici infatti e situazioni precise di vissuto che gli uomini vogliono riprodurre nella rappresentazione per riviverli e per poter dominare gli eventi, per questo è la cronaca vivente dei popoli primitivi. Anche il bambino attraverso il gioco cerca di prendere possesso della realtà. Esso difficilmente si manifesta prima di tre anni.Infatti solo verso quest'età il bambino prende coscienza del fatto che la sua persona costituisce una individualità distinta dalle altre.Si sono ormai verificate trasformazioni della personalità che rendono indispensabile ed opportuno l'ingresso in una comunità diversa da quella della famiglia, permettendogli così esperienze nuove e consentendogli di istituire rapporti affettivi e sociali che favoriranno il potenziamento e la diversificazione delle sue capacità creative ed espressive.Fra i tre e i sei anni sul piano della percezione si va sviluppando la capacità di analisi, l'interesse per la forme, i colori, le dimensioni degli oggetti, il materiale di cui sono costituiti e le loro possibilità d'uso, sia consuete che inconsuete. Si fa evidenziando la sensibilità al ritmo e la capacità di coordinare al ritmo i movimenti. La sua capacità di rievocare situazioni o avvenimenti, o di anticiparli mentalmente, progredisce estendendosi nella direzione del passato ed in quella del futuro. Tale periodo è, inoltre, caratterizzato da un rilevante sviluppo del linguaggio e da una larga presenza di attività gioiosa.

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Con il giocodramma si delineano e si sviluppano tutte le principali capacità del bambino, quelle senso-motorie, quelle socio-affettive, quelle costruttive, quella espressive e quelle intellettuali, poiché implica la più vitale partecipazione di tutta la sua personalità. Esso risponde a delle importanti esigenze del bambino come il far da sè, appaga il suo bisogno di movimento, il bisogno di esplorare e di conoscere, di comunicare e di socializzare, il bisogno di affermare se stesso; inoltre testimonia la maturazione delle relazioni personali, del concetto di tempo, i suoi atteggiamenti ed emozioni verso eventi e combinazioni di vario tipo riguardanti le persone, gli ambienti e tempi diversi. Nel gioco-drammatico vedremo come il fanciullo non si comporti «ad libitum», ma egli stesso si imponga delle restrizioni e delle linee di comportamento che regolano la ripetizione di esperienze rassicuranti e conosciute, dimostrando così che comincia a possedere le categorie che consentono l'interpretazione e la raffigurazione del mondo circostante, conoscenza di qualità superiore a quella del primo periodo che si basava solo sull'empirico, mentre ora possiamo notare una conoscenza riflessa e rielaborata dal pensiero.Il fare liberamente e creativamente diventa nuovo momento do conoscenza e di maturazione, verificabile, all'interno dell'attività didattica, attraverso tutti i linguaggi (mimico, gestuale, grafico, manipolatorio, verbale).Recitare non significa solo ripetere un copione anche se con tecnica perfetta, recitare non significa indossare una maschera reale od astratta per interpretare una parte che non è nostra. Recitare infine non significa solo avere la possibilità di dire delle cose che per timore non riusciamo a dire in condizioni normali.Fare del teatro è forse interpretare ogni giorno ciascuno la propria parte senza inganni e con animo sgombro e sereno, significa avere il coraggio di affrontare in ugual maniera nella vita e nella scena situazioni identiche coinvolgendo se stessi con gli altri.Forse significa aprire all'apprendimento etico e culturale gli altri più timorosi per coinvolgerli fino in fondo in modo che anch'essi divengano attori razionali e coscienti nel palcoscenico della vita.Attualmente il bambino si trova a vivere in una società che si è sviluppata troppo rapidamente ed in questa sua corsa verso un ipotetico benessere ha lasciato indietro, di molto, i valori etici in rapporto alle conquiste tecniche realizzate. Questo sviluppo tecnico fa sì che il ragazzo abbia già tutto pre-confezionato, codificato e non vi sia per lui uno spazio in cui agire estrinsecando le sue capacità operative, espressive, immaginative, ecc..L'impossibilità di verificare le proprie energie nella libera attività di movimento influenza negativamente ogni aspetto della vita infantile. Il bambino subisce questo stato di fatto, non può reagire e si delinea così un tipo di bambino difficile, dal carattere ribelle ad ogni vincolo di disciplina, che vive sempre meno di cose del suo mondo infantile e sempre più di quelle che sono più grandi di lui, che gioca con la maschera adulta, senza poterne e saperne ancora vivere le istanze psicologiche. A questo punto la dialogica costruttiva del gioco-dramma offerta dalla scuola può giungere a proposito per risvegliare e orientare i tentativi drammatici espressivi infantili. Il gioco-dramma risponde a questa funzione e lo dimostra il fatto che esso è ricco d'interesse per quei ragazzi cosiddetti difficili.131

Il personaggio offre la possibilità di apparire qualcosa di diverso da quello che la società costringe ad essere. In questo senso l'azione imitativa drammatica dà la possibilità di provare, nel campo sicuro della finzione, del «come se», quelli che saranno i futuri sviluppi della personalità. La coscienza del «come se» si trasforma, nel ricordo in realtà intuita poiché essa è stata colta nel suo momento psicologico. Questo aspetto gravita intorno a quello fisico naturale, lo permea e ne è permeato. Su di esso deve inserirsi l'opera della scuola, la quale deve tener conto della natura fisica e psicologica del luogo in cui si svolge la vita degli alunni. Si profila sempre più necessaria l'applicazione di metodi didattici che sollecitino l'espressione; educare per mezzo dell'azione è scuola attiva, l'azione è espressione: ogni forma di espressione educa e lo stimolo all'azione espressiva deve essere educativo e morale.Il gioco-dramma si avvale del dialogo che aiuta l'estrinsecarsi degli interessi del bambino.Il senso del reale nei bambini è il presentimento della realtà più che la realtà medesima. Essa si svilupperà successivamente in conoscenza razionale uscendo da quella sfera intermedia tra il reale ed il fantastico che forma l'anticipazione del senso della realtà nel bambino. Così quando con il crescere dell'età, nel fanciullo

131 Non di rado il più turbolento, il meno sociale degli alunni, nel momento dell'interpretazione del personaggio, abbraccia con entusiasmo la propria parte, e si rivela pieno di umanità; nell'azione del gioco-dramma si incanalano sentimenti che altrimenti non avrebbero potuto manifestarsi e che investano di nuova dignità il ragazzo agli occhi dei compagni.

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si fa strada l'osservazione sempre più precisa del mondo esterno, il gioco-dramma acquista un più chiaro tessuto di oggettività.Il gioco-dramma nella scuola, tramite il gesto, che è l'avanguardia della parola ed espressione degli atteggiamenti, interessa sia il corpo (atteggiamenti) sia lo spirito (invenzioni). Spesse volte mimare una scena può togliere d'imbarazzo il bambino quando non riesce ad esprimersi a parole. Egli comprende molto presto che se vuole compiutamente esprimere il suo pensiero con la mimica, deve chiamare a raccolta tutte le sue capacità immaginative, di riflessione, di osservazione, di sensibilità. La libera espressione potrebbe quindi diventare uno strumento contro l'emarginazione attraverso il coinvolgimento di tutti, incrementando le possibilità espressive, critiche creative di ciascun bambino.Il non privilegiare il linguaggio parlato o scritto, ma il dare la possibilità di utilizzare le varie forme espressive secondo le proprie capacità, permette anche ai bambini affetti da menomazioni fisiche o sensoriali, di partecipare alla vita della classe comunicando con gli altri, senza doversi sentire inevitabilmente un «emarginato». Si arriva così al gioco-dramma. In esso si evidenziano quattro tendenze di sviluppo: - maturazione biologica, crescita delle abilità e competenze, rispetto ai vari aspetti dell'esperienza;- maggior elaborazione e sviluppo in eventi complessi;- momenti sempre meno sotto l'impulso realistico dell'utilizzazione dei materiali a disposizione, per assoggettarli sempre più al controllo di idee e programmi;- maggior ricchezza di particolari via via che aumentano le situazioni, le attività e il bambino viene a contatto con un maggior numero di persone.L'ultimo punto permetterà di sviluppare il gioco drammatico in quanto le caratteristiche del mondo sociale, le azioni e le persone diventano personaggi e le trame di storia riconoscibili.Esistono fondamentalmente due tipi di queste costruzioni sociali che servono ad integrare il gioco della finzione: un piano d'azione e il ruolo o identità di chi simula.Riflette il crescente adattamento del bambino al proprio mondo sociale e si trasforma in gioco con stimoli altamente realistici come la costruzione di drammi elaborati o immaginari, storie ambientate però in epoche o paesi reali.Le costruzioni sociali, che ritroviamo in qualsiasi età in questo tipo di elaborazione, costituiscono le risorse per la finzione e sono rappresentate dalla crescente conoscenza del bambino delle classi di individui e delle loro relazioni, delle categorie e dei tipi di scopi e delle possibili azioni che possono essere utilizzate per raggiungere questi obiettivi.Si deve aggiungere inoltre la maturazione degli aspetti di relazioni personali, di tempo, di riferimento, di cause e di effetto, la relazione corretta tra gli oggetti e le azioni, le emozioni e gli atteggiamenti degli individui verso eventi e combinazioni di vario tipo riguardanti le persone, gli ambienti e i tempi.Vygoytsky (1966) mise in evidenza l'esistenza di norme di coerenza interna nel gioco di finzione e suggerì che la simulazione spontanea spesso selezione e mette in luce quegli aspetti del mondo che in un certo periodo sono i più importanti per il bambino.Possiamo allora definire il gioco di finzione come la trasformazione volontaria del qui ed ora, del tu e me, di questo e di quello unitamente ad ogni potenziale di azione che questi componenti di una situazione possono avere.I bambini utilizzano durante questi giochi risorse tratte dalle seguenti categorie:- ruoli e identità, che sono assegnati non solo agli effettivi partecipanti, ma anche ad altri immaginati;- piani per azioni ed intrecci, che spesso vengono combinati per formare drammi piuttosto lunghi;- oggetti e scenari che sono cambiati o inventati secondo le necessità.Tramite questo gioco si instaura la comunicazione tra i ragazzi che ricorrono ad alcune tecniche che permettono di indicare il chi è, cosa sta facendo, dove è, quali oggetti vengono utilizzati. Diversi segnali mimico-gestuali vengono indirizzati al partner, in special modo segnali di orientamento, come sorrisi; la stessa parola viene utilizzata per dare indicazioni, istruzioni anche a carattere normativo. La stessa messa in scena ha una funzione importante in questo gioco, infatti qualsiasi interpretazione sarà appropriata sia nei gesti sia nella voce al personaggio che si vuol rappresentare, anche se il comportamento non deriverà dalla diretta imitazione del modello, ma si riferirà e sarà appropriato a quello del soggetto agente pur tenendo conto delle caratteristiche tipiche dei personaggi.

7.5.3. Lo psicodramma

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Lo psicodramma è una azione drammatica secondo il metodo di terapia e pedagogia attivo messo a punto da J. L. Moreno fra il 1908 ed il 1935 (1975, 1976).Potremmo definire questa maniera di vivere in gruppo le varie situazioni personali a mo di improvvisazioni e rappresentazione teatrale come «un momento privilegiato della evidenziazione del sé; azione con la quale ciascun soggetto esprime la sua psico-fisicità e corrisponderà al momento educativo».Gli «scopi» dello psicodramma che sono quelli di giungere ad una liberazione dei sentimenti repressi e di migliorare la percezione degli altri e dei rapporti con essi, sono raggiungibili per mezzo di scambi verbali su ciò che è passato, il presente, la fantasia di ciascuno, cercando di vivere le varie situazioni nei vari momenti temporali con una interpretazione spontanea. Gli elementi fondamentali dello psicodramma sono quindi le esperienze vissute e le prospettive future (materia ispiratrice), il modo di interpretarle (rappresentazione), i soggetti partecipanti all'azione (beneficiari dell'effetto catartico con conseguente progresso terapeutico).Possiamo citare notevoli passaggi dall'esempio di Moreno sulla messa in pratica dello psicodramma. Infatti Moreno suggerisce di abituare i bambini alla spontaneità espressiva e dialogica, qualità caratteristica dell'informazione nel periodo prescolare. Da questa idea nasce il teatro della spontaneità e dell'improvvisazione dove non esiste un testo da interpretare rigidamente e tutti sono attori quando ne sentono l'urgenza creativa, e le situazioni cambiano di momento in momento secondo la necessità dei partecipanti. Attraverso la drammatizzazione e la rappresentazione di situazioni comuni alla vita quotidiana, vengono messi in luce gli stati emozionali e mentali dei soggetti che hanno l'occasione di esprimersi e di mostrarsi spontaneamente.Attraverso lo psicodramma Moreno si prefiggeva di curare i suoi giovani pazienti, cercando di portarli ad essere attraverso la drammatizzazione spontanea, ciò che veramente erano al di là di quello che apparivano nella vita reale. Lo psicodramma superò ben presto l'originale settore specifico della cura dei ragazzi difficili (psicodramma terapeutico) per convergere nel gioco drammatico vero e proprio adatto a tutti i ragazzi, non solo per liberarsi dei complessi «non rimossi» o da situazioni socio-culturali alienanti; ma soprattutto per la possibilità fornita al soggetto di reagire di fronte a situazioni con l'esercizio della spontaneità. Tale drammatizzazione non è teatro per i ragazzi, ma un metodo di educazione attivo. Una seduta psicodrammatica si articola in tre fasi: il riscaldamento, l'azione, il dibattito.Il riscaldamento fa sintonizzare i membri del gruppo l'uno con le preoccupazioni dell'altro e li concentra su un protagonista, un problema o una serie di problemi. Un altro tipo di riscaldamento è quello in cui il regista può riscaldare il gruppo aprendo una discussione sulla scelta professionale ed i sentimenti che l'accompagnano. Quando la discussione si allarga, il regista individua la sfera di interesse del gruppo e il protagonista, cioè il soggetto nella cui personalità è più chiaramente evidente l'area del problema, ed ha inizio in questa maniera la fase dell'azione.a)- l'azione è il cuore della seduta e comporta la rappresentazione di varie scene risolutive e l'uso di varie tecniche al fine di rilevare il problema e muovere verso la sua soluzione.b)- il dibattito comporta un esame intensivo da parte del protagonista e del gruppo del significato della seduta.In questa fase il gruppo non deve essere diagnostico ed analitico ma deve convivere con il protagonista le azioni emotive pertinenti alla seduta. Dopo che i membri del gruppo hanno rilevato le loro personali reazioni a una seduta, il regista potrà incoraggiare il gruppo e solo allora, ad esprimere validi giudizi analitici sull'esibizione del protagonista.132

132 Come conduttore si ha il regista che secondo Moreno ha tre funzioni: produttore, terapeuta, analista. Come produttore deve essere attento a volgere in azione drammatica ogni indizio che il soggetto gli offre, a tenere in armonia la linea della produzione con la linea esistenziale del soggetto e a non far perdere mai alla produzione il rapporto con il gruppo. Come terapeuta gli è permesso a volte attaccare e scandalizzare il soggetto così come ridere e scherzare con lui, a volte potrà diventare indiretto e passivo e allora, per fini esclusivamente pratici, la seduta sembrerà diretta dal paziente. Come analista potrà completare la propria interpretazione servendosi delle risposte provenienti dagli informatori presenti fra il pubblico: marito, genitori, figli, ecc. Il regista è il principale coordinatore e catalizzatore di una seduta. La sua funzione è dettata dalle esigenze della situazione. Sarà passivo o aggressivo, gentile e confortante o caustico e duro. Il regista doppierà spesso il protagonista e gli ego-ausiliari, aggiungendo «insight» e commenti a questi ruoli. Il regista deve costantemente diagnosticare la situazione in seno al gruppo, azione compresa, e creare nuove situazioni per mezzo delle quali schemi frustranti abbiano la massima possibilità di essere risolti. È essenziale che il regista abbia la capacità di prendere rapide decisioni e cogliere le imbeccate di comunicazione verbale e non verbale nel protagonista e nel gruppo, mentre la sua finzione di dirigere la seduta deve essere sempre disposto a permettere la critica da parte del gruppo e prenderla sinceramente in considerazione quando si sviluppa.

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Il protagonista, in una produzione, tende a rappresentare il gruppo nella sua esibizione psicodrammatica. Egli è il primo attore della seduta e in essa sono presentati i suoi problemi. Alcune difese e blocchi che ha usato per anni diventano così ovviamente superficiali nello psicodramma che per la prima volta diventa possibile al protagonista portarsi spontaneamente a livelli più profondi del suo problema e raggiungere una maggiore cognizione di sé. Il protagonista, con il sussidio di ego-ausiliari (che lui stesso cercherà per una certa somiglianza con il carattere da interpretare) e metodi come l'inversione di ruoli ed il doppio, oggettiva il suo problema in una situazione. La percezione della situazione. La percezione della situazione, il suo costruirla «qui ed ora» è ciò che conta, poiché questo è il problema da risolvere. Ciò che accade «effettivamente» in una situazione passata non costituisce l'interesse immediato del gruppo o del regista nel momento dell'azione psico-drammatica. Al protagonista di una seduta è concessa la libertà di disegnare il ritratto della propria vita con limitata interferenza da parte del gruppo. In alcuni casi è la prima volta che la persona è padrona di sé e qualcuna presta attenzione alla sua percezione della vita.L'ego-ausiliario, scelto per una parte può essere qualcuno al quale gioverà l'esperienza di assumere quel ruolo particolare, sebbene talvolta si limiti a ricoprire il ruolo essenziale a vantaggio del protagonista. 133

L'ego-ausiliario interpreta la persona o l'elemento vitale che un protagonista richiede per inscenare il suo problema o conflitto in una situazione significativa.In conclusione lo psicodramma è principalmente un processo di gruppo, sebbene si sposti dal gruppo per concentrarsi sul problema di un singolo individuo in svariati momenti di una seduta. Il regista mira costantemente a mobilitare il gruppo perché operi insieme sui suoi problemi. Anche se un solo membro del gruppo, il protagonista, serve da fuoco della seduta e gli funge da punto focale per la comunicazione all'interno del gruppo. Perciò la messa in scena sulla ribalta dello psicodramma rappresenta una intensificazione ed una più controllata estensione di alcuni dei problemi di tutto il gruppo. Mentre si svolge l'azione, ciascuna persona del gruppo partecipa attraverso l'identificazione con i singoli individui estendendo queste esperienze nella propria fantasia e spesso entrando nell'azione come ego-ausiliari a fianco del protagonista. La risposta di un membro del gruppo in platea è talvolta più grande di quello della persona nel ruolo del protagonista.

7.5.4. Lo psicodramma pedagogico

Il termine psicodramma deriva dalle parole greche «psyche» (anima, psiche) e «drama» (azione); esso è una terapia di gruppo, che si basa sull'azione e l'interpretazione dei membri, i quali non si limitano solo a parlare dei loro problemi o conflitti, ma li rappresentano mediante particolari tecniche drammatiche, in parte specifiche, in parte derivate dal teatro.Il fine dello psicodramma è quello di modificare alcuni atteggiamenti attraverso la presa di coscienza e l'elaborazione di nuove modalità di espressione e interazione, ma affinché sia possibile applicarlo in una scuola, lo psicodramma deve essere considerato dal punto di vista pedagogico e non terapeutico quindi applicato all'apprendimento e ai rapporti che si instaurano all'interno della classe. A differenza di quello terapeutico che coinvolge tutti i ruoli dell'individuo (madre, padre, figlio, amico, fratello, ecc. ...), quello pedagogico, invece mette in gioco soltanto i ruoli insegnante-alunno.Come nello psicodramma terapeutico, gli elementi sono cinque, ma modificati per adeguarli nella scuola.1) Il protagonista è l'attore della drammatizzazione, colui che introduce l'argomento e il gioco; può essere una sola o più di una persona. Nello psicodramma pedagogico, il protagonista è sempre un alunno, che deve essere scelto sulla base del suo coinvolgimento nell'argomento da trattare, osservando il modo in cui interviene nella discussione, non solo verbalmente, ma anche con atteggiamenti corporei e posturali.Questo nuovo atteggiamento verso tutta la classe, fa sì che vengano tralasciati i ruoli gerarchici che un vecchio metodo aveva messo in atto (il primo della classe, il meno attento, l'indisciplinato) e vengano a costituirsi dei rapporti più dinamici e costruttivi, in quanto spesso i ragazzi scolasticamente più passivi e

133 Così l'introduzione di un ego-ausiliario in una seduta facilita la rappresentazione e intensifica la ricchezza di significato delle situazioni interpersonali. Le persone che diventano un ego-ausiliario devono essere abbastanza flessibili da soddisfare i bisogni del protagonista in una seduta. Questi assumono la parte di figure significative nella vita del soggetto e dei membri del gruppo e possono essere non soltanto una persona, ma anche un concetto o un simbolo, come Dio o il diavolo, un soggetto inanimato, come la casa di una persona, una creazione artistica o qualunque cosa sia necessario per aiutare il protagonista per presentare il suo problema (un artista parla con il suo «quadro» interpretato da un ego-ausiliario).

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indifferenti, trovano nella drammatizzazione un nuovo mezzo di espressione ed altri, abituati a studiare troppo mnemonicamente, scoprono che la conoscenza è fatta anche di colori, forme, movimenti.Occorre tenere presente che all'inizio, la proposta di far uscire dai ruoli fissi e passivi i soggetti, può provocare in loro una certa timidezza e paura, ma lentamente questi soggetti diverranno più partecipi e sicuri di se stessi. Importante è che i ragazzi imparino a rispettare le caratteristiche di ogni protagonista, le immagini interiori che egli propone, i suoi punti di vista, per intervenire poi successivamente, proponendo le proprie correzioni ed obbiezioni al tema trattato.2) L'uditorio costituisce la cassa di risonanza di ciò che accade sulla scena ed è formato dall'insieme degli alunni che assistono alla rappresentazione messa in atto dal protagonista; essi non sono passivi, ma partecipano a ciò che si sta svolgendo davanti a loro in modo diverso a secondo della personalità di ogni soggetto. Alla fine della rappresentazione, coloro che assistono alla possono fare i loro commenti, richieste di modifiche alla drammatizzazione, chiaramente sugli eventi e sui personaggi rappresentati.3) Il direttore è il regista della drammatizzazione; nello psicodramma pedagogico questa funzione sarà svolta dall'insegnante che provvederà a riscaldare il gruppo, a scegliere il protagonista, ad organizzare le sequenze dell'azione da rappresentare, a dare indicazioni sui ruoli da giocare, a coordinare i commenti finali, a puntualizzare quelli emersi nella discussione. L'insegnante, per poter svolgere bene questo compito, deve rimanere al di fuori della scena; inoltre nella fase finale potrà osservare se l'argomento trattato è stato compreso.4) L'io ausiliare (in genere un altro insegnante) aiuta il direttore giocando ruoli stabiliti, contribuendo con la sua partecipazione viva a mantenere un buon livello di spontaneità e creatività. Nello psicodramma pedagogico, l'Io ausiliare ha la stessa importanza del direttore con il quale collabora in una situazione di parità. Quando l'insegnante non può disporre di insegnanti Io ausiliari, questo ruolo viene assunto dagli alunni stessi.5) Lo scenario ha un'importanza ausiliare perché la drammatizzazione deve svolgersi in uno spazio ben definito in quanto tutto deve essere rappresentato «come se» accadesse realmente; per cui è bene delinerare dei confini chiari e precisi. Lo scenario dovrebbe essere rialzato dal suolo di alcuni centrimetri, delimitato dai posti a sedere situati intorno; se non si dispone di tale ambiente si svolge lo psicodramma in classe, sistemando le sedie in circolo e delineando lo spazio della scena con del gesso, ricordando di riprodurre ogni volta la stessa forma, per aiutare i ragazzi ad interiorizzare il luogo del «come se».Le fasi dello psicodramma sono costituite da tre momenti fondamentali: il riscaldamento, la drammatizzazione, i commenti finali.1) Il riscaldamento serve per creare una giusta atmosfera di partecipazione nel gruppo. Esso è composto da un insieme di procedimenti volti a rendere più facile e spontanea la comunicazione fra i partecipanti. Inizialmente il riscaldamento non è specifico in quanto l'insegnante stimola gli alunni ad esprimersi su qualche argomento trattato (problemi di classe, qualche contenuto non capito o appreso bene). Il riscaldamento specifico inizia nel momento in cui il protagonista, insieme al direttore, discutono un tipo di azione da rappresentare, specificandone il luogo, il tempo, i personaggi.2) La drammatizzazione è il momento centrale dello psicodramma, ed è caratterizzato dalla trasformazione di un contenuto verbale in azione. Durante la rappresentazione le fasi o le parole pronunciate assumono caratteristiche diverse, perché si legano ad un dato personaggio, ad un particolare momento storico ad uno specifico rapporto interpersonale. La drammatizzazione presenta vari livelli e sarà compito del direttore condurre gli alunni attraverso fasi successive, ad una conoscenza più interiorizzata degli elementi presentati, in modo da poter generalizzare la comprensione dei fatti essenziali ad altri contesti e situazioni.Al primo livello troviamo quello reale quindi l'azione esprime un sapere statico, «libresco», in quanto si rappresenta ciò che si è studiato o che si sa intuitivamente; tutto questo senza alcuna partecipazione affettiva. L'intervento del direttore può cambiare l'ordine delle scene, suggerire ruoli supplementari, introduce qualche tecnica particolare; si favoriscono nuove associazioni e un coinvolgimento più esteso e dinamico. A questo punto si può sospendere la drammatizzazione, per raccogliere i vari commenti proponendo in seguito di riprendere l'argomento o gli altri due livelli successivi.Il secondo livello è quello simbolico: Gli alunni esprimono con azioni e posture i fatti che precedentemente sono stati sviluppati, attraverso un lavoro di sintesi e di astrazione, in modo da separare l'essenziale da tutto quello che è secondario. Il soggetto o i soggetti, sceglieranno uno o più membri del gruppo per

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costruire l'azione modellandoli nelle posizioni del corpo, nella direzione dello sguardo, nell'espressione del volto, nei rapporti spaziali, nelle immagini interne suscitate dal soggetto in questione. Questo è un modo per sottolineare i punti fondamentali dell'argomento trattato, che viene chiarito in ogni suo piccolo particolare attraverso le varie rappresentazioni. Ciascun alunno è chiamato a reinventare ciò che gli altri hanno precedentemente messo in atto in modo da arrivare ad espressioni non vincolate alla ripetizione.3) I commenti finali rappresentano i momenti di integrazione del gruppo durante il quale i partecipanti elaborano quanto è stato rappresentato. Importante è che gli attori della rappresentazione, protagonisti e Io-ausiliari, esprimano ciò che hanno sentito interpretando i loro ruoli e che l'auditorio risponda agli stimoli ricevuti, con obiezioni, osservazioni, consensi, per verificare il grado di correlazione tra ciò che si è voluto trasmettere e ciò che si è rappresentato o appreso. Nello psicodramma pedagogico è importante e significativo mettere in evidenza le varie espressioni emotive ed affettive di ognuno e riuscire a trasformare espressioni quali «Hai sbagliato» in altre come «Io lo farei diversamente» rappresentando così un primo passo nella conquista del rispetto delle opinioni altrui.Le tecniche dello psicodramma pedagogico sono gli strumenti a disposizione sia degli attori che del direttore; i primi se ne servono per chiarire meglio il senso delle varie azioni o immaginazioni simboliche, il secondo le utilizza in varie circostanze, per indirizzare, modificare o approfondire la drammatizzazione a qualsiasi livelli. Nello psicodramma pedagogico, è il direttore che sempre sceglie la tecnica più adatta per lo svolgimento, sia che la usi in modo diretto, o sia che la indichi al protagonista o agli Io-ausiliari.Fra le numerose tecniche psicodrammatiche, quelle più usate nello psico-dramma pedagogico sono: l'inversione dei ruoli, il soliloquio, il doppiaggio, la rotazione dei ruoli.1) Inversione dei ruoli: consente di prendere il posto dell'altro, per poi tornare al proprio. Ciò aiuta ad approfondire la conoscenza dei concetti, permette di vedere da diversi punti di vista i personaggi o i fatti, sviluppa la capacità di cogliere la dinamica degli avvenimenti nel loro svolgersi.2) Soliloquio: esprimere ciò che si sta pensando o sostenendo ad alta voce. Esso viene utilizzato ogni volta che è necessario chiarire il significato di una immagine oppure nel caso si rappresentino situazioni di studio o di lavoro.3) Doppiaggio: è realizzato da un Io-ausiliare o da uno degli alunni su richiesta del direttore, quando esso ha l'impressione che il protagonista non manifesti apertamente i suoi sentimenti o pensieri. Il doppio viene situato dietro all'attore e cerca di assumere ogni atteggiamento corporeo ed ogni espressione del protagonista ed infine verbalizza ciò che l'altro non vuol dire.4) Rotazione dei ruoli: è una estensione dell'inversione, nel caso in cui tutto il gruppo sia protagonista; ogni partecipante cambia di ruolo successivamente, fino a quando torna nella posizione iniziale.Lo psicodramma pedagogico ha una durata che va da minimo un'ora a più ora; l'insegnante deve calcolare i tempi a disposizione, in modo da sviluppare i momenti descritti e non saltare nessuna tappa; ciò è importante per creare un clima di collaborazione e ad approfondire l'argomento ai vari livelli.Il tema di uno psicodramma non deve essere imposto ma nascere durante la fase di riscaldamento. Nell'insegnamento della storia e delle lingue straniere, si possono riscontrare prevalentemente i vantaggi dello psicodramma, infatti è più semplice immaginare una lezione di storia o di lingua straniera rielaborata con mezzi psicodrammatici, mentre è meno facile rappresentare un argomento di geografia, di aritmetica, di grammatica, ma ultimamente varie esperienze compiute con gli alunni delle classi elementari e medie, hanno dimostrato che è possibile drammatizzare queste materie, come le situazioni della vita della classe che provocano difficoltà ed ansia nei ragazzi e nell'insegnante.

7.5.5. Sociodramma134

Il sociodramma si ha nel momento in cui privilegia il rapporto con l'altro, azione attraverso la quale il gruppo ricerca ed esprime le relazioni esistenti fra coloro che lo compongono nel momento dell'apprendimento.Ogni soggetto inserito in un grande gruppo deve avere a disposizione tre tipi di mete: a) personali: concernono le sue attività e le sue soddisfazioni rivolte a sè stesso;b) sovrapersonali: si riferiscono alle prestazioni che il soggetto fornisce prevalentemente nell'ambito del piccolo gruppo;c) sociali: sono si riferiscono agli impegni che ogni soggetto ha nei confronti del grande gruppo.

134 Nel 1923 J. Moreno fondò il teatro della spontaneità in cui gli attori (che nella maggior parte dei casi erano malati mentali) attraverso l'atto creativo del drammatizzare ottenevano una specie di catarsi, cioè di liberazione delle varie turbe emotive.

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Perché un soggetto si senta integrato in una comunità, è necessario che egli abbia l'opportunità di impegni a tutti e tre i livelli. Se non esiste qualcosa che possa essere vissuta ai tre livelli in modo che egli si senta realizzato e collocato, capace di apporti personali sui tre piani, egli non fa parte dell'intera comunità, egli non partecipa perché la sua integrazione è monca. La proposta di un tema, di un argomento che funga da perno, da catalizzatore della socializzazione, deve essere sempre intesa come qualche cosa di flessibile, adattabile, esprimibile con più linguaggi possibili.L'importanza della proposta di un tema, è che abbia aderenza psicologica all'età dei fruitori e si proponga in una dimensione psicologica che favorisca il senso della scoperta, il gusto del creativo e del personalmente vissuto, che si traduca in situazioni realistiche sia pure mediate anche dal gioco, che favoriscono l'impegno personale, la ricerca, l'aumento della capacità di attenzione, concentrazione, creatività.

7.5.6. Il teatro didascalico

Riprende alcuni moduli tradizionale del teatro dei ragazzi (testo scritto da acquisire e da interpretare, elementi scenici, pubblico) anche se descrive un diverso modello didattico con finalità e struttura metodologica del tutto innovative.a) Sul piano delle finalità questa forma di teatro didascalico non prevede l'esecuzione di un testo confezionato dagli adulti (rivolto specificatamente ai ragazzi o adottato per essi col rischio della filodrammatica). Al contrario l'esigenza didascalica si appaga nella comunicazione teatrale di un messaggio culturale elaborato dagli stessi allievi, oppure confezionato da loro su documenti storicamente attendibili, con cui essi intendono presentare ai compagni nuove angolazioni e nuove sintesi del sapere.b) Sul piano metodologico inoltre, l'impianto è molto lontano dal vecchio teatro dei ragazzi. Anzitutto questa forma di drammatizzazione della cultura non si pone come un episodio, una soluzione didattica occasionale; non è relegata al ruolo di recita di fine anno o ad esibizione da esporre nei grandi eventi del calendario civile o liturgico. Le proposte a sfondo didascalico, al contrario, debbono rivestire l'intero processo di apprendimento offrendosi come fase didattica di scavo critico e di approfondimento problematico dei contenuti informativi acquisiti tramite i canali usuali dell'insegnamento.Inoltre non si tende allo spettacolo, alla separazione tra chi recita; si tende piuttosto ad una didattica biunivoca e circolare di informazione-comunicazione.Cade il rapporto emblematico e dualizzato tra l'emittente e il ricevente. La distinzione tra produttore e fruitore della sequenza drammatica, è puramente momentanea e mantiene i caratteri dell'interdipendenza nel senso che che è protagonista poi diventerà spettatore, invertendo i poli della comunicazione, dal momento che le singole convenzioni teatrali testimoniano il frutto dei vari gruppi di lavoro che a rotazione inviano e ricevono messaggi.Il discorso teatrale è svolto nella molteplicità delle sue corsie espressive, nella ricchezza delle sue risonanze evocative; traccia e realizza una esperienza totale, completa, capace di assicurare all'infanzia, una larga soddisfazione dei propri bisogni primari. Questo per la ricchezza e polivalenza espressiva di cui è alimentata l'educazione, mediante il teatro, se praticati nella prismaticità delle sue facce: gioco teatro - teatro didascalico - teatro inchiesta.Infatti una diffusa ed articolata esperienza teatrale è in grado, per la varietà dei tratti educativi, di soddisfare i bisogni principali dell'infanzia.Il che significa permettere:a) alla comunicazione di svolgersi nella pluralità delle corsie lessicali (orali, scritte, mimiche, visive) producendo un linguaggi più ricco di tonalità emotive;b) alla fantasia di costruirsi quale modo nuovo ed originale di trascrizione e riconversione dell'esperienza (individuale e/o collettiva) su nuove coordinate, su nuovi assi esistenziali;c) all'esplorazione di entrare sempre più nel merito di «saperi» istituzionali della scuola al fine di ampliarne, tramite nuovi registri logico-concettuali, i versanti letterali, storici, scientifici, politici, ecc.;d) al far da sé di tradursi in prassi di autogoverno e di diretta gestione, da parte degli scolari, dei ritmi e della sostanza dei processi di apprendimento;e) all'attività costruttiva di porsi come formula didattica quotidiana di inculturazione;f) al movimento di esprimersi nella sua abbondante gamma motoria, di testimoniare il prodigioso repertorio mimico-gestuali di cui è dotato il corpo umano.

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Così il teatro didascalico prevede l'emergenza della natura logico-concettuale dell'intelligenza e si esplica in momenti di produzione collettiva o di socializzazione dei materiali prodotti.Il discorso teatrale si interessa dei contenuti programmatici della scuola e dei suoi canali di trasmissione (lezione, libri di testo, ecc.), per non scadere a livello di divertimento o di evasione, in ambiti considerati di sottocultura rispetto all'istruzione ufficiale. Per questo è stato necessario un continuo, graduale passaggio dal giocodramma alle forme più evolute, approfondite e complesse del teatro didascalico, che in rapporto alla stessa crescita fisica oltre che culturale dell'alunno, contribuisce in maniera essenziale alla maturazione della sua coscienza individuale e collettiva.L'obiettivo iniziale, della spontaneità ed immediatezza, non è altro, infatti, che il conseguimento della «capacità di esprimere il maggior numero possibile di azioni essenziali con la massima partecipazione corporea ed anche estendere ad un espressione più completa e disciplinata la mimica quotidiana ordinariamente manifestata attraverso l'atteggiamento del viso, delle braccia...» (Santoni Rugiu, 1960).Ecco allora che è emersa l'urgenza del momento del teatro didascalico come assorbimento e «digestione critica, attraverso la teatralizzazione dell'istituzione scolastica, dei contenuti della cultura ufficiale (storico-sociale, scientifico-tecnologico, artistico-letterario)» (Fabbroni F., 1972). E come momento nettamente antitetico ai moduli tradizionali del vecchio teatro giovanile didascalico.In contrapposizione ad un teatro in cui c'è un testo scritto elaborato da adulti e subìto dai ragazzi, il teatro didascalico si è presentato con strutture metodologiche e finalità totalmente innovative, ponendosi come obiettivo l'impegno ad una analisi feconda fatta «ricostruire ai fanciulli e ai ragazzi con attività varie, concrete e simboliche» (D'Alessandro V., 1964). Sulla base del teatro didascalico opportunamente inteso, si cerca di far comprendere meglio ai ragazzi il senso dei fatti e avvenimenti, superando l'insegnamento cattedrale che dà nozioni sempre più schematiche e più o meno viziate da intellettualismo.Il bambino viene stimolato ad inventare, ad applicare i suoi strumenti in tutti i tratti della sua esperienza, poiché il ragazzo «non è una freccia puntata in una sola direzione, ma piuttosto un fascio di frecce aperte in tutte le direzioni. Guardarsi dall'unilateralità, quando si parla dei bisogni dei ragazzi, costituisce una nozione d'ordine con precedenza assoluta» (Rodari G., 1972). Si cerca, cioè, di fornire i ragazzi quella che Brecht riteneva indispensabile: il dubbio; solo così le loro storie, i loro spettacoli avranno un continuo atteggiamento critico in un progetto di teatro come viaggio verso le radici profonde di una cultura, «come itinerario verso le radici del nostro 'Io' e dell'ambiente entro cui ci muoviamo. Ricerca ed interrogazione anziché risultato e risposta. La parte interna della maschera anziché quella esteriore. Anche tenendo presente non solo il risultato ma anche la via per giungervi fa parte della verità. La ricerca della verità deve essere vera essa stessa, perché l'indagine vera è verità rivelata, e i suoi componenti si fondono nel risultato. Non tanto e non solo il prodotto, dunque, ma prima di tutto il procedimento, il viaggio» (Scabia G., 1974).

7.5.7. Il teatro inchiesta

È il momento di libera trascrizione drammatica di materiali e di elementi socio-culturali raccolti nell'attività di ricerca d'ambiente. I vari frammenti (registrazioni, appunti e diari, questionari di inchiesta e di interviste, spezzoni filmati, diapositive, fotografie, ecc.), possono dare vita a sequenze di teatro documento che presentano una notevole importanza per la problematica etico-culturale che propongono.La penetrazione e l'analisi critica delle strutture e dei problemi del territorio con il relativo accumulo di testimonianze verbali, scritte, visive permettono ai ragazzi un contatto diretto con i valori, i costumi, le tradizioni, le contraddizioni, la gente.La finalità del teatro documento permette di allargare i tradizionali confini della educazione per introdurvi immagini e simboli nuovi, di drammatizzare i diversi contesti ambientali del territorio, le vicende quotidiane e le contraddizioni del vissuto e delle classi, ma non come contestazione di parte, ma per chiamare ciascuno ad una responsabile partecipazione a tali problemi. La metodologia del teatro inchiesta permette di far parlare i documenti ed i reperti (metodo storiografico), recuperati dall'ambiente socio-culturale poiché si avvale delle fonti dirette dell'indagine comunitaria collegata ed integrata in maniera che sia lo stesso contesto ambientale a parlare mettendo a nudo se stesso.Il teatro inchiesta esce dalla scuola ed investe il terreno della socio-cultura, tentando l'analisi e la decodifica dei modelli proposti dall'educazione tradizionale.

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Una caratteristica fondamentale dell'esperienza preadolescenziale è la tendenza ad analizzare la realtà circostante per ricavarne verità formali. È essenziale che in questo momento della sua formazione, il ragazzo sia investito di un ruolo attivo e quindi goda della più ampia autonomia.Fino ad oggi la ricerca d'ambiente si è spesso basata esclusivamente sulla tecnica dell'intervista, con il suo apparato di audiovisivi che impacciava però il bambino nel ruolo stereotipato dell'intervistatore, ne falsava il rapporto umano con l'intervistato.Il teatro inchiesta, mettendo i protagonisti della ricerca a diretto contatto con valori, costumi, contraddizioni esistenziali, è la forma teatrale che permette di scoprire in modo personale la realtà e di analizzare la struttura sociale, politica, economica, promuovendo, così, una conoscenza di sé e della società.Il bambino che fa teatro inchiesta «legge» la realtà sociale, raccoglie dei materiali e drammatizzandoli li comunica. La libera trascrizione drammatica dei motivi o dei materiali raccolti può dar vita ad una autentica comunicazione con l'intera popolazione scolastica e poi con la collettività che circonda la scuola: è il momento, fondamentale, della socializzazione, della ricerca, che consente alla drammatizzazione di non chiudersi in un ambito esclusivamente pedagogico. Questo tipo di esperienza, per essere autentica, può scaturire solo da una azione attiva degli alunni, da una loro scoperta di nuovi strumenti di comunicazione, dal loro continuo intervento dialettico sulla realtà. D'altra parte, fare entrare nella scuola i diversi contenuti ambientali di un territorio, mettere i ragazzi a contatto con costumi, valori, contraddizioni quotidiane, chiamarli alla responsabilizzazione e partecipazione attiva, significa demolire un sistema scolastico «chiuso» per costruirne uno «aperto» costituito anche da luoghi di lavoro, dalle associazioni ricreative, dalle sedi politiche, ecc..«L'insieme dei materiale (raccolti) discussi, rielaborati organicamente e codificati in forme diverse dà origine alla comunicazione organizzata che per la animazione è lo spettacolo o azione teatrale. Nell'azione teatrale confluiscono: dati statistici in forma di diagrammi o istogrammi, pitture, tabelloni con rilevamenti ambientali, giochi liberamente ispirati alla ricerca, testi creati dai ragazzi, musiche, documenti visivi, drammatizzazioni. Libera espressione e razionalizzazione intervengono costantemente nel processo di ricerca perché il bambino gioca ed impara, apprende ed impara contemporaneamente» (Rostagno R., Pellegrini B.,1978).È questo modo di vedere l'ambiente, in termini che rispondono all'esigenza di globalità ed interdisciplinarità che la scuola dell'obbligo oggi si pone. Un'unica materia, quindi, da studiare: la realtà affrontata da tutti i punti di vista. Il lavoro svolto verrà tutto documentato (diari, fotografie, filmati, ecc.) in modo da poter successivamente avviare una discussione con il gruppo per:- precisare i vari passaggi del lavoro svolto;- fissare meglio la tipicità dei singoli momenti;- valutare la diversa efficacia comunicativa dei diversi modelli espressivi usati;- precisare gli interventi necessari per rendere la propria partecipazione più creativa e personale;- cogliere le difficoltà riscontrate nei vari passaggi.Attraverso questo attento lavoro si vuole privilegiare il lato estetico, il bello, ma anche il momento divertente e complesso dell'organizzazione di una spettacolazione che può essere occasione per stimolare le capacità creative, formative e comunicative del ragazzo.I ragazzi dovranno partire da un'idea, da un soggetto, da un canovaccio, da una storia trovata in un libro, inventata o ascoltata da qualcuno. È importante che però rappresentino le esigenze del gruppo e siano brevi, in modo da permettere una rapida esecuzione e non annullino l'attenzione e l'interesse del ragazzo richiedendo troppa prova per l'allestimento. Caratteristiche della storia potranno essere o il realismo espressivo (episodio realistico) o la rielaborazione di fantasia.

7.5.8. Sport e rappresentazione drammatica

Lo sforzo sportivo si ritrova nel gioco drammatico e il dramma è presente nella prova sportiva. Interpretare Amleto significa perdere un chilo e mezzo nella serata. La pulsazione degli attori come quella degli sportivi è lenta. Essere attori significa praticare uno «sport» che esige un equilibrio muscolare, respiratorio e nervoso. L'attore idealmente, e dunque un atleta perfetto.135

135 In genere spendiamo il 40% della nostra energia per il lavoro utile, il 10% per il gioco ed infine il 50% in sterile agitazione.

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La prova sportiva comporta da parte sua un dramma: c'è competizione o contrapposizione, c'è lotta sia con gli altri che con se stessi. L'atleta sportivo e l'attore dividono gli stessi affanni, (tra gli altri, la paura del pubblico). Ma questa parentela che esiste tra lo sportivo e l'attore non è che un punto di partenza. L'arte drammatica e lo sport hanno una sorgente comune: il gioco. Ora il gioco è una delle occupazioni della vita. Se in certi casi lo sport e l'arte drammatica sono trascurati è perché questi ambienti hanno perduto la nozione dell'importanza fondamentale del gioco.136 Il gioco è una vita immaginaria che ci educa, ci addestra, ci prepara a comportarci meglio nella vita reale. L'educazione per mezzo del gioco, (allenamento corporale e spirituale) ha lo scopo di far diminuire questa enorme percentuale di agitazione inutile a vantaggio dell'utile. Il gioco è dunque contemporaneamente un'attività primordiale dell'esistenza e utilità sociale.137

Sia che gli uomini si raggruppino in uno stadio o in una sala di teatro, il fenomeno è lo stesso: non sono più soli. D'altra parte essi ci abituano a restare noi stessi davanti agli altri. Lo sportivo si deve immedesimare in ciò che deve fare. È la grande lezione che può ricevere dal teatro, gli artisti drammatici devono per forza immedesimarsi, devono diventare un altro personaggio.138

Altra regola comune allo sport e al teatro è quella d'economia: ottenere il massimo rendimento con il minimo sforzo. Lo sport e l'arte drammatica obbediscono alla medesima mistica: il rispetto umano, il desiderio di combattere la pesantezza, il bisogno di superarsi, il dividere il dramma universale, che non sono altro che:. l'amore della vita. l'amore del divino. il senso primitivo della religiosità. la riconoscenza di essere vivi.

7.6. Schema di lavoro per una drammatizzazione totale

Argomento - Variabili particolari dell'argomento Situazione iniziale:- possibilità operative- materiali - ambiente di lavoro- proposte dei ragazzi e dell'educatore- ipotesi di lavoro e progettazioneSituazione operativa:- ricerca e applicazione delle tecniche linguistico-espressive- ricerca di ambiente

136 Il gioco riproduce i problemi della vita, senza la morte. Due squadre di calcio si affrontano: una è più forte dell'altra. Quest'ultima tuttavia non diventerà schiava dell'altra, i vincitori non si prenderanno le loro donne e i loro fanciulli, non ci saranno confische di beni, campi di concentramento ed esecuzioni: ci sarà semplicemente una stretta di mano. Però durante la partita hanno dovuto dimostrare lo stesso valore, lo stesso coraggio, la stessa presenza di spirito degli eroi. Eccoci sulla scena dove regna la morte, dove tutti i sentimenti che l'accompagnano esistono, dove le passioni imperversano. L'attore con la convivenza dello spettacolo vive, sopporta tutte le peggiori situazioni. La morte lo afferra egli soccombe, si dibatte, piange, rivede i suoi, scompare. Tutto è concluso, è la fine ed il sipario si rialza con gli applausi del pubblico.137 Anticamente lo sport e l'arte drammatica procedevano appaiati. Sofocle conduceva gli atleti allo stadio. La danza era il fattore comune di queste attività. Ancora oggi la scuola di samba in Brasile appartiene al programma di educazione. Vengono dati anche degli esami di samba carioca a Rio. Nelle foreste brasiliane esistono cerimonie magiche che hanno la forma primitiva della rappresentazione teatrale. Danze, canti, trances, drammi incostrutti, cori, queste cerimonie primitive (che sono gioco teatrale allo stato puro) sono in realtà manifestazioni fortificanti. Esse assomigliano non solamente allo sport ma anche alla medicina (per esempio nel Messico la danza del Pejolot). Nella maggior parte dei casi si tratta di assorbire la forza del nemico o la forza dell'antenato. Sullo stadio le corse dei carri, il giavellotto, il peso, la corsa a piedi avevano la loro evidente utilità; lo sport e l'arte drammatica sono derivati dalla necessità: imparare a difendersi. Appartengono ambedue all'arte di comportarsi. Queste due attività umane sono dunque di primaria importanza. Per praticare sia l'una che l'altra gli uomini si riuniscono: entrambe combattono la solitudine che genera essa stessa l'angoscia.138 L'arte del tiro con l'arco, arte cavalleresca, diviene l'arte dell'oblio di se stesso e consiste nel cogliere il bersaglio, nell'identificarsi interamente con l'arco e la freccia. Il giocatore di pallacanestro deve isolarsi con la palla e quel cerchio di ferro dove esso dovrà finire per cogliere il bersaglio.

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- integrazione equilibrata tra attività espressive e attività formaliSituazione di approfondimento:- organizzazione interdisciplinare dei linguaggi- organizzazione interfunzionale dei prodotti espressivi e dei materiali di ricercaSituazione di spettacolazione/comunicazione:- presentazione dei contenuti e tecniche - spettacolazione mostra dei prodotti (fotografie, costumi, scenari, ricerche, ecc.)- dibattito aperto- riprogettazione dell'argomento.Il progetto di realizzazione in riferimento ad un contenuto da affrontare può realizzarsi attraverso: - l'improvvisazione individuale o creatività spontanea che adopera la scoperta e l'organizzazione del proprio corpo, la realtà degli oggetti e la simbologia dei linguaggi:- l'improvvisazione comunitaria o creatività operativa che adopera la scoperta e l'organizzazione tra le varie persone che costituiscono il gruppo, l'uso polivalente dell'oggetto reale, la simbologia formalizzata dei linguaggi;- la classificazione e quindi la scelta dei prodotti ottenuti sia attraverso la creatività spontanea che attraverso quella operativa;- l'esercizio, le prove e gli errori, le ripetizioni;- la ricerca della riproduzione realistica oggettiva;- l'organizzazione degli elementi (materiali, prodotti, contenuti) della ricerca e di quelli espressivi in funzione della comunicazione;- l'organizzazione degli elementi della ricerca e di quelli espressivi in funzione della comunicazione come spettacolazione, azione teatrale, mostra, dibattito, ecc..I momenti della problematica operativa possono compendiarsi nella scelta, comunicazione e discussione. La scelta avviene su un contenuto nel quale devono essere compresenti le tematiche (dalla spontaneità alla formalizzazione; amore/odio, ecc.). Le scelte tematiche indicano la direzione dell'indagine ambientale, di ricerca, valoriale (direttamente con osservazione, questionari, filmati; indirettamente con la ricerca di documenti, libri, riviste, quotidiani, ecc.). La comunicazione deve ricercare l'elemento privilegiato situazionalmente da comunicare, quindi che cosa comunicare, come, dove, perché, ecc. La discussione infine si rivolge alla riflessione e valutazione individuale e del gruppo sulle tematiche e prodotti di comunicazione, al dibattito e chiarificazione degli argomenti e problemi, ad una riprogettazione di tutto il lavoro in base ad una completa analisi critica anche attraverso i suggerimenti dei destinatari della comunicazione.

7.7. Come svolgere la spettacolazione

Determinato il tema in base alle esigenze del gruppo, verrà raccolta la documentazione sfruttando le esperienze di ciascuno e le fonti (testi, saggi, giornali, interviste, ecc.) che è possibile raggiungere. Alcuni nuclei, ritenuti fondamentali per quello che si vuole rappresentare, verranno fissati e definiti nelle loro caratteristiche. Intorno a questi si lavorerà per precisare meglio:- l'espressione della voce nelle sue componenti;- la funzionalità del gesto, personale e di gruppo;- la coscienza e la creazione dello spazio utile per la nostra «pièce»;- la significatività della maschera e del costume, come espressione personale e sociale.Una volta organizzate unitariamente l'espressione mimica, gestuale e verbale, questi nuclei prescelti potranno essere verificati attraverso varie possibilità espressive: il disegno, il collage, i burattini, ecc., in modo da determinare quale tecnica sia più adatta per esprimere il lavoro prescelto (entro i limiti del verosimile).

ritmo musicasuono danza

Verifica:- corporea: mimico/gestuale

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rumore - logico-matematica gestopittura - linguistica manipolazionecollage - storico-ambientale costruzionedisegno - ritmico-musicale modellaggiofotografia - grafico-colorica maschere

- iconicafumetto trucco

film travestimento

Si deve adoperare l'immaginario per rappresentare simbolicamente la realtà.Il racconto deve procedere non su indicazioni o concetti astratti, ma su immagini realizzabili espressivamente in modo da ampliare l'orizzonte delle osservazioni con espansioni sempre più ampie. Nella stesura della storia è importante tenere presente che ogni scena deve contenere la motivazione per la successiva. Il finale non dovrà contenere per forza il cosiddetto «lieto fine» o un precetto di buona condotta, ma, essendo un racconto basato sul vero, la moralità sarà utile se desumibile dai fatti, positiva o negativa che sia.La scrittura del testo può avere inizio:1) da una breve introduzione che spieghi lo scopo e lo spirito;2) dall'elenco dei personaggi, delle loro caratteristiche, dei loro costumi;3) dalla descrizione dell'ambiente (scenografia) in cui avviene l'azione.Il testo vero e proprio si otterrà seguendo il metodo cinematografico e televisivo, dividendo la pagina in mezzo, dall'alto in basso, e scrivendo a destra il dialogo, a sinistra invece i vari effetti (cambi di scena, luci, rumori, movimenti, ecc.).Nella stesura dei vari effetti bisognerà prestare particolare attenzione ai seguenti particolari: - tenere conto degli attori che dovranno recitare quel testo, o fare quei movimenti, o dire quella battuta in concreto;- battutine brevi e concise, scelte tra le più espressive;- esattezza delle indicazioni non solo dialogiche, ma gestuali, mimiche, luministiche, rumoristiche, ecc.;- previsione dell'effetto psicologico di una battuta (nelle scene umoristiche, ad esempio, tutto dipende dal «tocco» della battuta finale).L'esecuzione deve essere avviata subito. La distribuzione delle parti va fatta rapidamente. È consigliabile partire dall'assegnazione delle parti minori per giungere a quelle più importanti e iniziare subito la prova. L'intervento dell'adulto dovrà essere sempre a livello di colui che consiglia o presenta tecniche non conosciute, mai si dovrà porre come colui che giudica.Quando si notano errori è consigliabile sospendere l'esecuzione e proporre un teatro-forum, dove si chiederà ai ragazzi la loro opinione sul lavoro.I ragazzi sono consapevoli dei propri difetti o successi ed anche di quelli dei compagni. Insieme si cerca la soluzione, la puntualizzazione utile per una migliore esecuzione e si provano subito per constatare se sono realizzabili o se sono le migliorie necessarie.Giunti alla spettacolazione finale, si preparano le scene. Una delle leggi più utile da ricordare è di tipo economico: eliminare quanto non è necessario.Secondo la legge del «teatro totale» dobbiamo ricordarci che:- Il sipario non occorre. Tutta la scena è sempre ben visibile anche quando si cambiano alcuni particolari. Se i ragazzi sapranno agire con disinvoltura, anche questo momento sarà spettacolo.- Il fondale come rappresentazione grafica di un elemento stilizzato o schematizzato (mobile, albero, ecc.).Se la rappresentazione avviene all'aperto si può scegliere come fondale un angolo, che ben si adatta alla storia che dobbiamo rappresentare. Importante, in entrambi i casi, è dare risalto alla figura umana. Altro elemento importante della scenografia è l'illuminazione: una scenografia neutra va integrarla con giochi di luce e di ombre, investendo un mimo, un gesto, un volto, un dettaglio con sciabolate o giochi di luce. All'aperto si può utilizzare la luce del sole in modo nuovo e suggestivo.Altre esigenze del testo potranno essere soddisfatte da una serie di accessori vari, del cui recupero o preparazione può essere incaricato un ragazzo che non ha alcuna parte o un'altra squadra («i trovarobe»).

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CAP. VIII - I METODI MIMICI

8.1. Animazione mimo-gestuale

Il compito principale dell'educazione mimogestuale è quello di realizzare una prima alfabetizzazione culturale, di operare cioè affinché il bambino giunga ad acquisire tutti i tipi di linguaggi (verbale, iconico, mimo-gestuale, logico-matematico...), nello specifico di ciascuno e nella reciproca integrazione. Ogni

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linguaggio quindi entra in continua relazione con gli altri codici, non in maniera alternativa, ma complementare.La specificità di ciascuna area e di ciascun tipo di linguaggio e la peculiarità di collegamenti che tra codici e linguaggi esistono, ancor prima che negli oggetti della comunicazione (film, sistemi audio-visivi, televisivi e non, ecc.) nella realtà dell'insieme della comunicazione tra gli uomini, così densa di riferimenti ad immagini, suoni musica e gesti (Laeng M., 1984).Il bambino deve essere reso attivo tramite sollecitazioni operative nel gioco, nella rappresentazione grafo colorica, nella progettazione ed esecuzione di una rappresentazione drammatica, nella ricostruzione di fatti sulla base di ricordi e avvenimenti, anche attraverso documenti. Tutto questo contribuirà a sviluppare la potenziale creatività del fanciullo e ad allargare il curricolo tradizionale, in modo che egli assuma conoscenze, abilità, strumenti anche per quei settori della conoscenza e dell'espressione-comunicazione umana emergenti: linguaggi grafici, pittorici, plastici; i linguaggi della comunicazione moderna; la mimogestualità; i linguaggi scientifici; quelli storico-sociali. Le attività di espressione e di animazione, se considerate alla luce dei processi psicologici che ne giustificano lo svolgimento, acquistano una autentica connotazione educativa favorendo anche la produzione e la fruizione dei valori estetici (Vertecchi B., 1982).Ogni grado di scuola deve favorire l'educazione plurilinguistica oltre a sviluppare le abilità necessarie per promuovere l'adattamento attivo e creativo all'ambiente, l'autonomia personale e la capacità di esprimersi e comunicare socialmente. In questo quadro si possono individuare due aspetti principali della motricità, collegati alla strutturazione della propria corporeità: uno relativo all'uso funzionale, prassico del corpo, l'altro di tipo gestuale, comunicativo, a valenza simbolica (Laeng M., 1984). Collegare la motricità all'acquisizione di abilità relative alla comunicazione mimogestuale, al rapporto tra danza e musica, ad ogni tipo di gioco educativo che implica l'apprendimento, la creazione e il rispetto di regole fondate sul movimento di tutto il corpo, è uno dei progetti educativi da realizzare. L'importanza data all'educazione mimogestuale si ritrova nella scuola materna, elementare e in quella media inferiore.139

La presa di coscienza del problema della corporeità si sta facendo strada, perché consente la nostra mediazione con l'ambiente e la nostra comunicazione con gli altri. Esprime la personalità perché rivela nel biotipo il suo aspetto morfologico (peso, porzione e massa), umorale (temperamento, intellettivo (intelligenza), affettivo (emotività). La pratica degli esercizi si va via via trasformando da azione igienico-culturistica in autentica educazione. Infatti solo la possibilità di essere impegnati nel mondo dà una giustificazione educativa alla pratica degli esercizi fisici, la trasforma in educazione motoria il cui compito va oltre la conservazione della salute, l'irrobustimento del corpo, l'addestramento motorio. Per questo dunque l'attività motoria ha il compito, mediante l'impiego educativo delle tecniche corporee, di conferire al corpo il suo pieno valore esistenziale preparandolo ad assumere la propria condizione e a rispondere agli stimoli individuali e sociali dell'esistenza.Le operazioni fondamentali di questo obiettivo sono:a)- La strutturazione e l'integrazione della personalità: attraverso il normale sviluppo del corpo e il suo equilibrio, il buon funzionamento e l'eventuale miglioramento. L'educazione fisica stabilisce nella simmetria della corporeità, un costante equilibrio il cui risultato è costituito dalla perfetta utilizzazione personale del corpo e la formazione di una personalità somatica da cui dipendono in gran parte gli stati emotivi del soggetto.b)- La coscienza di sé: come essere biologico che sente, accetta il proprio corpo e la propria identità, vivendoli consapevolmente. L'educazione fisica favorisce, attraverso l'acquisizione di una esperienza meglio organizzata dal proprio corpo e le relazioni con gli altri, l'elaborazione, la costituzione e l'accettazione della propria corporeità.Divenire consapevoli del proprio corpo è contemporaneamente divenire consapevoli del corpo dell'altro; ciò comporta l'assunzione di un insieme di valori originali nei quali si può riconoscere la propria e l'altrui identità.

139 «Il movimento è uno dei linguaggi attraverso il quale l'uomo esprime il suo mondo interiore ed entra in rapporto con gli altri. Tale linguaggio deve essere utilizzato nella scuola accanto ai linguaggi verbali, visuali e musicali, per consentire all'alunno l'esplorazione e la valorizzazione di tutti i mezzi di espressione e di interrelazione. In questo senso saranno perseguiti tutti i tentativi validi allo scopo di far rappresentare, attraverso la ricerca dei movimenti naturali, sensazioni, sentimenti idee sia a livello individuale, sia a livello di gruppo», (Dai programmi di E.F. per la scuola media inferiore).

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c)- L'espressione di sé: mediante gli atteggiamenti significativi del corpo (il movimento-gesto). L'educazione fisica stimola e disciplina ritmicamente la fase esecutiva dell'impulso motorio, accompagnandola con le disposizioni emotive e intellettive. L'attività motoria è di per sé un bisogno biologico: muoversi, compensare precedenti posizioni, esprimere la propria attività, ampliare le proprie possibilità motorie.L'educazione eleva il bisogno motorio a «attività significante» del proprio essere interiore.Il movimento come linguaggio implica due elementi: l'interiore che lo determina e l'esterno o segno che lo rivela.140

Il compito dell'educazione fisica non si risolve nell'addestrare il «segno» del movimento, o nel disciplinarlo o correggerlo, ma piuttosto nel chiarire il rapporto segno-stato di coscienza.Quest'ultimo, da bisogno, da impulso, deve trasformarsi in atto avvertito e voluto di cui il «segno» o «gesto» è la manifestazione esteriore, tanto più ordinato e preciso, quanto più è cosciente l'atto interiore. L'educazione fisica pertanto ordina e disciplina i movimenti spontanei, man mano che si sviluppano le forze biologiche dell'organismo di cui essi sono l'espressione; perfeziona e arricchisce i movimenti spontanei esercitati e coordinati globalmente nel gioco.d)- La comunicazione sociale: attraverso il corpo che è il veicolo essenziale dei diversi linguaggi, tra cui, anche quello mimogestuale.L'educazione fisica concorre a precisare ed approfondire la formazione della disponibilità sociale della persona. I giochi di gruppo e di squadra hanno la possibilità di creare situazioni che stimolano l'iniziativa individuale come elemento concorde e convergente con gli altri. Le attività comunitarie richiedono il rispetto di norme (leggi del gioco) elastiche, plastiche e di costume che abituano al vivere civile. L'attività di gruppo esige la convivenza, la compartecipazione alle responsabilità, una concomitanza organica di sforzi, una unità di intenti liberamente accettati che annota tante analogie con le situazioni sociali. Ma non solo le attività di gruppo, i giochi di squadra formano questa disponibilità sociale. Anche le attività interdisciplinari di drammatizzazione educano il movimento, purificando dalla eccentricità, dalla superficialità o evitando il meccanicismo: esse ne aumentano l'interiorizzazione, ne approfondiscono l'intensità, la trasposizione affettiva, la ricchezza interiore, gli danno spessore.

8.2. Metodi mimici

«Il mimo è l'arte di esprimersi senza parole ed in modo stilizzato; è una forma di teatro. Nel mimo, proprio come nella danza e negli sport è il corpo lo strumento principale». (Stolzenberg M., 1981). Presentiamo alcuni dei metodi mimici contemporanei più importanti.

8.2.1. Etienne Decroux

Il mimo contemporaneo, che nasce in Francia negli anni '20/'30, ad opera principalmente di Etienne Decroux, è caratterizzato in primo luogo, da una radicale rivendicazione dell'autonomia estetico-linguistica del gesto considerato come «linguaggio» capace di esprimere propri significati in modo originale ed autosufficiente, dando vita ad una nuova e specifica forma d'arte. Così esso si distaccò dalla tradizionale «Pantomima europea», ad opera di Decroux, mettendosi in contrapposizione. Le fonti dei «modelli» del mimo decrouiano sono principalmente delle ricerche sull'animazione» e sulla «maschera neutra» svolti a Parigi (1923-1924) nella scuola di Copeau; dove si insegnava: educazione fisica, ginnastica ritmica, la musica corporea, la danza classica, l'improvvisazione, la pantomima, le tecniche del clown. Questi corsi erano inseriti in un disegno pedagogico di evoluzione progressiva, che prevedeva, dopo una temporanea abolizione, il ritorno alla parola e ai gesti.Copeau, cercava di ricondurre l'attore «allo stadio di, bambino che non parla ancora, di costringerlo a sentire interiormente il bisogno di esprimersi con mezzi diversi dalla parola».

140 «I movimenti sono a loro volta parola, segni di un discorso. Se sono superflui è inutile farli. Se invece sono utili, necessari, bisogna farli con la stessa precisione con cui si articola, si modula, si orchestra il discorso parlato. La spontaneità corporea può essere frutto di ricerca e di studio senza perdere peraltro il suo carattere di spontaneità. Anzi affinandolo. Questa finezza di tatto è il primo requisito di un uomo equilibrato per cui il meditarsi sopra significa anche meditare sopra i propri equilibri e perfezionarli» (Bongioanni M., 1977). «Molti rapporti sarebbero salvati, migliorati, da un po' di gentilezza, tatto, silenzi espressivi, sorrisi donati nella vita quotidiana» (Cosi L., 1983).

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La conoscenza e l'esperienza del corpo umano non costituirono per Copeau un fine, bensì un mezzo per facilitare all'attore l'accesso «all'autenticità» dell'interpretazione. Tenendo a quella condizione ideale della sincerità che è il punto di arrivo della interpretazione in quanto sintesi di sensibilità e di razionalità di abbandono passivo alla parte e di lucido attivo controllo. Di particolare interesse è la rievocazione della scuola che ne fa Decroux, quando descrive il lavoro svolto sull'improvvisazione sulle maschere neutre: a differenza delle maschere cinesi, la nostra era inespressiva, il corpo era nudo quanto lo permetteva la decenza; misura indispensabile, perché annullato il volto, il corpo aveva bisogno di tutte le sue parti per sostituirlo.141 Il mimo decrouxiano nasce con caratteri di grande originalità, all'interno di un variegato movimento di riforma della scena moderna. Punto di maggiore forza sarà la «riscoperta» del corpo dell'autore con le sue enormi possibilità espressive, che una tradizione di tipo letterario e psicologico aveva del tutto trascurate e lasciate inesplorate per secoli, a favore del solo aspetto verbale.142

Ciò che accomuna teorie e pratiche teatrali, anche molto diverse e lontane tra loro, è la concezione dell'attore come una globalità di mezzi espressivi e fisici.In questo contesto di problematiche, ricerche, sperimentazioni e avendo alle spalle una tradizione pantomimica, Decroux negli anni '30 pone le basi di una nuova arte del corpo, il mimo corporeo appunto, formulandone regole fondamentali, il lessico, la grammatica.Il primato del tronco. Per prima cosa, il mimo di Decroux rovescia la gerarchia tradizionale degli organi corporei. Il volto e le mani, privilegiati sia nella pantomima che nel teatro tradizionale, vengono declassati all'ultimo posto, in quanto «strumenti della menzogna e seguaci della chiacchiera». Il nuovo organo principe sarà il tronco, poi vengono le braccia, le gambe, le mani e infine la testa, a condizione però che queste braccia e queste gambe non si muovano che su invito del tronco.Così per costringere il corpo senza volto Decroux fa uso della maschera neutra.143

La poetica corporea di Decroux privilegia l'antinaturalismo. Come ogni vera arte, il mimo non deve tentare di restituire illusionisticamente il reale, di imitarlo. Così Decroux arriva alla teorizzazione di un mimo astratto, cioè dare forma non figurativa a soggetti concreti.Per quanto riguarda le operazioni aventi luogo a livello espressivo, realizzare un mimo astratto secondo Decroux, significa elaborare una rappresentazione simbolico-ellittica-allusiva del soggetto in questione, la quale sia in grado di riscattare, con l'artificio non realistico «l'illogico» e «l'inopportuno» realismo della «persona carnale» dell'attore sulla scena.-Principi fondamentaliÈ in dieci anni di ricerche e di sperimentazioni fra il '30 e il '40 che Decroux elabora i principi fondamentali del mimo contemporaneo. 1- Regola del «raccourci». È la facoltà per il gesto mimato di contrarre e condensare il tempo e lo spazio di un'azione, di tradurre questa azione in una immagine muscolare.2- Regola del «contrapposto». È una compensazione muscolare che permette al corpo di ritrovare il suo equilibrio quando le membra si spostano.3- La gerarchia degli organi (privilegio del tronco).4- Indipendenza muscolare e articolare.5- La meccanica del corpo, o geometria mobile (alla ricerca del gesto astratto essenziale).

141 Si mimavano delle azioni modeste: un uomo infastidito da una mosca, voleva disfarsene, un mestiere, un concatenamento di movimenti della macchina; la recitazione tendeva alla lentezza del rallentatore del cinema, ma mentre questo è un rallentamento di frammenti del reale il nostro era la produzione lenta di un gesto nel quale erano sintetizzati molti altri.142 Molti sono i nomi di coloro che, a partire dalla seconda metà dell'800, si fecero promotori di un recupero di una globalità dell'attore, della sua totalità espressiva al di là delle divisioni istituzionalizzate della cultura occidentale, fra corpo e mente, materiale, spirituale, verbale e gestuale. I rimandi dovrebbero iniziare almeno da Francois Del Sarte e le sue ricerche sulle reazioni introverse ed estroverse, sulle tecniche di rilassamento e di concentrazione (che Grotowski utilizzerà negli anni '50), per proseguire con la ginnastica ritmica ideata da Jacques Dalcroze. Dovremo continuare menzionando le sperimentazioni bio-meccaniche di Mejercol'd, il lavoro sulle azioni fisiche da parte di Stanislavskij, le ricerche di Schlemmer al Bauhaus sulla figura umana concepita come oggetto meccanico, assimilata ad un «insieme di figure solide piane».143 Le ragioni che inducono Decroux ad eleggere il tronco ad organo principe del mimo si fondano su di una concezione autocostruttiva oltre che autolimitante dell'uso del corpo, concezione che esclude spontaneità ed improvvisazione, ed è quindi molto distante, almeno su questo decisivo punto, dalle teorie liberatorie e socializzanti del movimento umano, apparse in Europa fra la fine dell'800 ed il primo '900, e che sono fra l'altro all'origine della danza moderna.

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6- Le caratteristiche ritmiche del movimento come le «saccade» e le «fondu», brusco e a scatti il primo, lento e continuo il secondo, di cui il «rallenti» costituisce una variante ancora più lenta; segue il «ressort» (molla), un movimento elastico e leggero che nasce dalla serenità e dalla sicurezza, un va e vieni fluidi e continuo, senza spezzature ritmiche proprie dei movimenti del mimo.7- L'atteggiamento come punteggiatura del movimento. Egli preferisce l'atteggiamento al gesto, e perfino al movimento, che infatti propone di concepire cinematograficamente come una successione di atteggiamenti, secondo il principio dell'economia espressiva, per cui Decroux si dichiara contrario a compensare la mancanza della parola con un eccesso di gesti e di movimenti.

8.2.2. Jean Louis Barrault

Le regole del nuovo linguaggio corporeo inventate da Decroux, sono state, dagli anni '40 in poi, sistematicamente usate e manipolate da altri capiscuola contemporanei, ma con intenti molto lontani da quelli auspicati da lui.Barrault, allievo di Decroux, dopo un'intensa e proficua collaborazione con questi, abbandona il mimo per il teatro. Secondo Barrault, il mimo, nato con l'intento di fornire un mezzo di espressione artistica, ricco quasi come la parola, ma più libero, si è andato invece trasformando in linguaggio ancora più stereotipato di quello verbale. «Un linguaggio o un mezzo di espressione può essere utile solo se esiste allo stato impersonale, e se ciascuno può aggiungervi la propria maniera: la propria personalità diciamo».Liberare il mimo di questa impasse, per Barrault, vuol dire renderlo più accessibile, più comunicativo, più popolare, senza farlo scadere nelle volgarità pantomimiche della tradizione». «Non c'è nessuna differenza essenziale fra l'animazione e la parola cioè il verbo, a condizione che questo sia considerato come la più sapiente espressione fisica dell'essere umano. Credo che un matrimonio delle due forme di espressione sia possibile poiché queste provengono da una stessa origine. Sono la specializzazione e il caso, ad avere, con il tempo separato i generi, non il principio essenziale».Il mimo secondo Barrault, non solo non esclude, ma anzi reclama l'integrazione di altri linguaggi, avendo come obiettivo il recupero di una espressione artistica totale.

8.2.3. Marcel Marceau

Con Marceau il mimo conosce un successo mai avuto. Il prezzo pagato è stato, fatalmente, quello di una commercializzazione del genere. Affinché potesse trovare un pubblico era necessario che il mimo recuperasse alcuni ingredienti popolari della vecchia pantomima, indispensabile forse per ogni teatro popolare: una storia da raccontare, un eroe, un protagonista. L'identificazione è appunto il meccanismo base sul quale si impernia il procedimento di Marceau. Costruisce un mimo soggettivo, in cui i movimenti si inseriscono ai caratteri e alle passioni dell'essere umano e che, risultano parimenti, dall'identificazione di se stessi con tutti gli elementi. Ma identificazione vuol dire anche bisogno (del pubblico) di riconoscersi nell'eroe e quindi l'artista si muove di conseguenza. Marceau afferma che il gesto deve essere sostenuto liricamente e avere «potenza drammatica» affinché non si riduca «ad una geometria in un certo modo fredda e lineare».Occorre insomma, che il gesto sia avvolto da un alone poetico, che gli conferisca la sua vera dimensione, la sua risonanza. Il mimo, afferma Marceau, sceglie ed esprime un momento drammatico estremo dell'azione: la vita, la morte, l'amore, il sogno, le trasformazioni, le metamorfosi. «La parola non può dare l'equivalente, perché l'emozione fa a meno della parola». Così egli decide di comunicare, in modo immediato e realistico, sentimenti, pensieri, emozioni. Egli adopera il volto e le mani per ottenere quell'effetto illusionistico che è un'altra delle sue caratteristiche fondamentali. Si tratta di rendere visibile l'invisibile, suggerendo, mediante l'uso di tecniche appropriate, l'esistenza di elementi inesistenti (oggetti e spazi) dando l'illusione del vuoto, della profondità e dell'altezza.Identificandosi con l'oggetto il mimo «diventa oggetto», di cui assume non soltanto la forma ma anche il peso. Il suo mezzo attivo è quello di esprimersi tirando e spingendo. «Quando il mimo entra nell'acqua, il suo corpo spinge l'acqua. Noi vediamo l'acqua, il mimo diventa acqua». La tecnica principale di questi esercizi è quella elaborata da Decroux del contrappeso. Ispirandosi ai grandi comici del muto, Marceau, privilegia i movimenti «saccades» e meccanici rispetto a quelli «au fondu», del mimo tragico; per lui sono le rotture e le discontinuità che provocano il riso.

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8.2.4. Jacques Lecoq

Jaques Lecoq ha contribuito a diffondere il mimo come tecnica per la formazione dell'attore, (ma non solo e necessariamente dell'attore). Lecoq non pensa più al mimo come ad una forma artistica autonoma. Con lui acquista più una dimensione di tecnica di espressione fisica, che abbandona il palcoscenico per esistere solo all'interno della scuola (aperta nel '56), come fondamento di un training teatrale completo, non destinato specificatamente agli attori o aspiranti. Basato sullo studio del corpo umano, per Lecoq il mimo è un'arte di passaggio che si collegherebbe filogeneticamente, quale fonte mimetica, alle origini di ogni espressione artistica. Più che di mimo dovremmo parlare di «mimismo». «Non si tratta di imitare ma di sentire attraverso un sentimento interiore». Questa affermazione sembra ricalcare le tesi note e molto discusse, di Marcel Jousse, sull'uomo «come animale interagente imitatore».144

In Lecoq ci sarebbe un analogo primato dell'impressione corporea sull'animazione, in altri termini, del movimento sul pensiero, il quale «segue il movimento, l'iniziativa della materia, degli oggetti che circondano l'uomo e diventa il risultato delle impressioni del suo corpo». Secondo Lecoq è a questo mimo originale che bisogna ritornare, al «gesto di fondo» che lo sostanzia e nel quale convivevano senza contrasto «il gesto che darà la parola e il gesto che darà il gesto».Quindi il mimo come educazione all'uso del corpo, all'improvvisazione e alle espressioni fisiche che deve legittimamente avvalersi oltre che del corpo, di ogni altro «linguaggio scenico» (colori, oggetti, musiche, rumori e parole).Su tre aspetti del lavoro di Lecoq e della sua scuola vale la pena soffermarsi, e sono:A)- Le ricerche sul movimento corporeo;B)- Il riferimento alle forme teatrali complesse e in particolare ad alcuni grandi esempi del passato;C)- La tecnica delle maschere.Per quanto riguarda il primo momento, questo si basa a sua volta sulla osservazione, analisi e improvvisazione.1)- Osservazione. La regola principale è quella di partire dalla osservazione della vita quotidiana. Si comincia con gesti semplici, che l'allievo deve: mimare, associare diversi contesti, variare. Ciò consente di spiegarli e di conferirgli un senso.Si tratta di un esercizio che tende a sviluppare l'immagine e lo spirito di osservazione, aiutando così il processo di liberazione dagli stereotipi.2)- Analisi. Analizzare un movimento vuol dire, per Lecoq, scomporlo nei suoi componenti e quindi epurarlo, cioè indurlo all'essenziale, privandolo di tutti gli elementi non necessari, secondo criteri di stretta economia (Lecoq definisce lo «stile» come il «minimo sforzo con il massimo risultato»).Punto di arrivo dell'analisi deve essere il «gesto neutro», economico, semplice, diretto: un gesto fatto della sola reazione all'«oggetto stimolo».145 Per il carattere eccessivamente costruttivo che nella scuola di Lecoq assume l'analisi del gesto a partire dallo «stato di innocenza» dell'allievo, allo sradicamento dai suoi stereotipi e preconcetti, e dalla improvvisazione creativa. Siamo indotti quindi a dubitare dell'efficacia pedagogica di questo itinerario che può determinare un rafforzamento delle inibizioni e dei blocchi.3)- Improvvisazione. Questa tecnica fondamentale, serve a consentire (in apparente contrasto con gli altri due principi) la riappropriazione personale e creativa del gesto, con le sue componenti individuali, emotive, ecc. Ciò senza cadere, grazie alla tecniche già definite, nello stereotipo e nel realismo anedottico. Con le improvvisazioni la ricerca si dirige verso «tutto ciò che il gesto comune può evocare, suggerire, stimolare, implicare in maniera netta o vaga». A tale fine è necessario che l'allievo approfondisca la conoscenza di sè con l'aiuto di determinate tecniche di concentrazione.

144 Jousse, a proposito della sua teoria riflessologica dice che: «Sono le impressioni 'esteriori' che attivano il meccanismo del ritorno, producono la conoscenza (l'uomo conosce solo ciò che riceve in se stesso e che riesegue).145 Per esempio l'atto di camminare dovrà essere eseguito «con la sola presa di energia e di ritmo, nello spazio e nel tempo, che l'azione richiede». Per arrivare ad eseguire delle «azioni neutre», cioè a rispondere agli stimoli in modo puramente sensoriale, è necessario che l'allievo si ponga in uno stato di «azzeramento», cercando di liberarsi da preconcetti stereotipati e da pregiudizi. Solo così potrà acquisire la indispensabile disponibilità alla «riscoperta permanente» delle cose, degli elementi della realtà vivente e comincerà ad essere in grado di reinvestirli, identificandosi con essi.

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I modelli teatrali di riferimento sono la Commedia dell'Arte e la tragedia greca. Queste forme teatrali di riferimento, in quanto forme ipercodificate e ormai stereotipate, dovrebbero servire da stimolo per la riappropriazione dell'immagine e delle creatività individuali.La «tecnica delle maschere» è forse la più importante in Lecoq: quella che ha ricevuto spazio e approfondimento particolari. Le maschere permettono di cercare in una situazione teatrale, in un conflitto, un punto forte, l'essenziale, il gesto che riassumerà i gesti multipli della vita quotidiana, la parola di tutte le parole. La prima ad essere usata è la maschera «neutra». In un secondo momento, introduce le maschere «espressive»; che raffigurano un viso fisso «vero specchio che riflette le nostre emozioni e le nostre ossessioni. Il corpo segue, prolunga l'espressività della maschera.Con le «contro maschere» bisogna invece recitare in modo diverso od opposto a quello che richiamerebbe il suo personaggio.Le maschere «larvali», come quelle «grottesche» e quelle «rudimentali» sono di tipo sperimentale e la loro introduzione è recente. Sono maschere sprovviste di tratti umani e specifica caratterizzazione. Esse permettono di «attingere al fantastico».Il «naso rosso del clown» è la più piccola e la più difficile da portare. Si tratta non solo di studiare le tecniche del clown, ma di dedicarsi ad una ricerca del «derisorio dell'uomo». È la «ricerca del proprio clown», quello che è cresciuto in noi e che la società non ci permette più di esprimere. Per parecchio tempo questo lavoro risulta difficile e squilibrante, perché il clown deve esteriorizzare quel personaggio, benché tutti lo posseggano, che fa corpo in noi stessi, ma che viene sempre respinto, dissimulato con cura dentro la maschera.

8.2.5. Orazio Costa: il metodo mimico

Il metodo-Costa parte da una concezione della vita e del suo esprimersi in arte secondo una visione organica della realtà umana e si fonda sul recupero e sulla valorizzazione di un elementare e singolare fattore: l'originalità espressiva dell'uomo. Lo spirito mimico, prolungamento e vertice dell'imitazione della vita umana, considera originate e plasmate dallo spirito mimico tutte le reazioni proprie del manifestarsi espressivo e di conseguenza la parola dei diversi linguaggi in cui si concreta l'attività artistica.Nell'attività sembra possibile rilevare la presenza, persino prima di ogni capacità imitativa, di una tendenza a rispecchiarsi e quasi a godere con la realtà del proprio orizzonte vitale, sia esso il volto o il seno della nutrice, la presenza del mondo esterno, la natura, gli animali. Tale rispecchiamento istintivo si accompagna presto, di fronte all'uomo, con l'imitazione, che è resa possibile e facile dall'identità, che è ripetizione fedele di atti ed azioni, in preciso parallelismo di corrispondenze.Da tempo immemorabile l'imitazione è stata esaltata ed utilizzata, grazie alla sua evidenza, a detrimento dello sviluppo originale della fantasia, mentre l'attitudine mimica, tanto più aperta all'invenzione personale, viene relegata ai giochi e presto ostacolata nelle sua manifestazioni. Tuttavia essa permane e si può intravedere ad esempio nei gesti spontanei delle mani.L'originalità di questo metodo, che, nel 1964, Michel St. Denjs riconobbe come l'unico a sua conoscenza che potesse costituire un'efficace alternativa al metodo-Stanislavskij, sta essenzialmente nella sua organicità, nella sua concretezza, nella sua disponibilità, dimostrabili soprattutto nell'estensibilità a tutta una pedagogia artistica che potrebbe forse consentire il rinnovamento totale dei programmi di studio nelle accademie e nei conservatori di musica e di danza.L'accento posto sull'opportunità di sviluppare nell'educazione moderna l'attività mimica, espressione della creatività del fanciullo e dell'uomo, valorizza anche questo metodo per la formazione di animatori dell'animazione ed educatori che potrebbero introdurre l'attività mimica in gruppi teatrali come materia di insegnamento nella scuole. L'attività mimica può recare giovamento allo sviluppo del corpo, della mente, della fantasia, della creatività sia nei bambini sia negli adulti, che non si considerano estranei ad una vita fisica e spirituale non cristallizzata.Alla base dell'insegnamento deve trovarsi una formazione ed una apertura alla visione organica della vita umana immersa nel mondo naturale delle piante, degli animali, delle forze della natura. La coscienza della propria struttura organica, dei principali meccanismi della vita vegetativa e di quelli dell'attività nervosa e cerebrale, è indispensabile. Solo allora l'attività mimica apparirà come un momento naturale della vita fisica e spirituale degno di esservi sviluppato ed integrato.

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Ci dovrà anche essere un chinesiterapeuta e l'insegnante di educazione fisica, il quale assisterà alla lezione di mimica per agevolare gli allievi; dall'uso naturale delle arti, passeremo alla fantasia, ad un loro uso eccezionale, a forme più spericolate di espressione, quando le esigenze cinetiche pretenderanno l'assoluta disponibilità del corpo.146

In questi ultimi anni Costa si è soffermato sulla ricerca delle motivazioni del metodo per spiegare meglio le sue possibilità espressive. Particolarmente nella sua proposta scolastica Costa vede la possibilità di prolungare l'attività del «senso mimico» alla dimensione conscia dell'agire e del comunicare.Si afferma oggi in ogni genere di scuola, la proprietà della creatività, rifiutando l'imitazione. Così facendo si sollecita la creazione arbitraria e aleatoria e con una totale mancanza di guida si rischia di produrre delle personalità «spigolose e piatte» nel loro modo di pensare ed agire. Occorre perseguire la condotta equilibrata, per non uscire e subire l'irrazionalità gratuita, fatalmente depressiva.Costa ritiene che vada privilegiato un rapporto uomo-natura, in termini di mimazione, quel rapporto che, innescato nella prima infanzia e latente nell'adulto, continua a produrre ogni sorta di atti creativi. Questo anello di congiunzione fra creatività e cultura fra il mondo e l'Io deve essere condotto a piena consapevolezza, se si vuole evitare l'emergere dell'irrazionale espressivo gratuito.Il metodo si basa sull'osservazione dei processi dell'agire secondo le seguenti ipotesi:A)- Il metodico svolgersi dell'agire, in tutte le sue forme, dall'istintualità, alla forma più conscia, viene considerato come una progressione per momenti «susseguentesi» periodicamente, dalla prima concezione alla conclusione.B)- Questi momenti «susseguenti» danno delle cadenze che normalmente sono difficilmente osservabili per la loro rapidità e che allora vengono rallentate quasi in modo stroboscopico per essere invece seguite e verificate utilmente.I momenti dell'agire: 1) - Considerazione della realtà data, con la propria immagine o serie di immagini, talora prelevate dalla memoria.2) - La progettazione dell'azione, in una serie di immagini, che la danno per riuscita, spessoaccompagnate da ipotesi varie di soluzioni intermedie (secondo la funzione di simulazione).3) - L'azione, nell'esplicare le basi pratiche del suo farsi, con una creazione estemporanea di immagini, che sono proiezione immediata del contatto corporeo con la realtà.4) - Confronto dinamico, tra tutte queste immagini in un rapido alternarsi dei momenti e sempre nello stesso ordine.5) - Le immagini a confronto dei parziali raggiungimenti vengono unite. Alla fine il risultato può variare dal progetto, può corrispondervi, mancarlo in tutto o in parte, dando luogo, secondo i casi, alla delusione, alla correzione, al ricominciamento, all'abbandono.Il momento creativo per eccellenza è il momento tre, seguito dal quattro. La serie di immagini del momento uno e due sono ottenute dalla ricerca delle occasioni dell'agire, dove è meglio verificabile la presenza dell'attività mimica.147

Nell'osservazione e nel conseguente studio delle attività mimiche (come abbiamo già visto sin dai primi tempi del loro utilizzi ai fini dell'educazione dell'attore), si era ipotizzata l'esistenza di un «senso mimico» assolutamente proprio dell'uomo; manifestantesi proprio nella capacità di assumere forme ed aspetti, di realizzare gesti ed atti in analogia ed in corrispondenza con fenomeni ed oggetti osservati. Attraverso una

146 Questo metodo nasce quale naturale sviluppo delle esperienze delle scuole mimiche, a partire dal consigli del grande regista francese Jacues Copeau, di «ricominciare da capo» l'educazione dell'attore. Basato originariamente sul recupero e l'affinamento dell'attitudine mimica e delle sue estensioni all'educazione degli aspetti modulabili della voce, è stato lungamente perfezionato con la pratica dell'insegnamento (dal '45 al '76, per oltre trent'anni presso l'Accademia di Arte Drammatica, dal '67 al '72 presso il Conservatorio di S. Cecilia ed a più riprese presso l'istituto des Arts de Diffusion a Bruxelles dal '65 al '67, sino a giungere a Firenze presso il Centro di Avviamento all'Espressione dal '79. Il metodo di Costa è stato portato alla conoscenza di specialisti dell'insegnamento dell'arte scenica, negli incontri promossi dall'istituto Internazionale del Teatro tra il '56 e il'60 a Bruxelles, Bucarest, Essen, Venezia, Stoccolma e poi ad Avignone nel '75). Già in varie occasioni è stato esteso a Firenze, all'animazione scolastica, ad opera di Costa e dei suoi allievi.

147 Senza esaurire i possibili campi di osservazione, possiamo citarne alcuni ove rintracciare presenze riconoscibili del mimismo naturale: il gioco infantile, la memoria delle prime esperienze estetiche individuali che sono per lo più d'immedesimazione, l'agire rallentato per difficoltà, i processi spontanei di correzione, la storia del linguaggio, i momenti parossistici di espressione, la dinamica di eventi naturali (di un bosco, di un fiore, di un insetto).

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successione di momenti, uguali a quelli sopra ipotizzati per il procedere dell'agire, i primi precedenti il momento effettivamente creativo, sono di carattere critico.Abbiamo supposto che i primi momenti, quelli critici, sono di esito dei momenti tre e quattro, così possiamo vedere nello svolgersi del fenomeno una critica creazione che ci pare estremamente importante a qualunque livello dell'agire.Inoltre dobbiamo fare un'altra osservazione, che riguarda ambedue i momenti e le loro pulsazioni interne. Queste appartengono ad un unico osservatore che si vede, nel primo caso come osservatore rigorosamente obiettivo, e nel secondo si lascia andare ad una più libera e fantastica espressione, finché è possibile che i diversi processi artistici giungano alla coscienza in fasi percettive diverse o che in diversi processi artistici, il soggetto privilegi il momento critico a spese di quello creativo, o viceversa.Spesso le fasi elementari dell'agire sprofondavano nel subconscio e l'intero procedere mimico resta latente. Dopo la repressione espressiva che spesso l'educazione induce nel bambino appena raggiunta l'età scolare, avviene l'interruzione o «eclissi sensibile» delle attività mimiche. Il recupero delle abilità e lo sviluppo delle capacità mimiche è possibile, grazie all'osservazione e allo studio di quelle già citate «presenze riconoscibili» del mimismo naturale, ed alla riesumazione della insopprimibile attività mimica della mano. Poco potremmo invece sulla mimica troppo controllata del volto educata a farsi maschera. L'analogia mano-uomo (da sempre celebrata nel burattino) è tuttavia verificabile e dispone lo studente ad innervare consapevolmente le azioni corporee globali.Il programma informativo sul metodo vuole garantire, prima che le differenze specifiche dei diversi corsi si instaurino, alcuni passaggi obbligati indispensabili al raggiungimento del miglior sviluppo delle capacità mimiche dell'allievo o sia riguardo l'acquisizione del proprio strumento corporeo e della propria fantasia motoria, sia riguardo all'uso immediato del gesto ai fini della propria professione, arte o mestiere.Sono fondamentali dunque 10 elementi :1) - una preparazione dell'apparato respiratorio, con particolare attenzione a quanto avviene nell'emissione della voce;2) - l'immedesimazione nella realizzazione delle immagini mimiche;3) - l'evidenziazione del fattore mimico;4) - la variazione, caso per caso, della sensazione di pesantezza specifica al fenomeno proposto dalla realizzazione mimica;5) - l'ideale raggiungimento della disponibilità del movimento a peso zero nell'acqua;6) - l'analisi spontanea del fenomeno (nei suoi punti caratterizzanti) l'atto della mimazione come modello naturale del processo artistico;7) - gli aspetti della voce in rapporto stretto con la modulazione dell'attività plastica mimica;8) - l'educazione della fantasia analogica;9) - la celebrazione della «temperia» mimica (sensazione complessiva particolare d'una realizzazione mimica);10) - la somatizzazione dell'attività cerebrale.In particolare potrà essere perseguita la rappresentazione dello spazio e di dilatazione del tempo, sia sollecitando varie forme di trasferimento, sia varie forme di realtà circostante, sia fenomeni di ampiezza cangiante.

8.3. Metodologia e didattica della mimica

Il mimo contemporaneo si è mosso in direzioni diverse dall'ideale del mimo decrouxiano, di cui possiamo ritrovare alcuni elementi presso un certo tipo di teatro «tipico» degli anni sessanta. (Living Teatre e New Dance americana) soprattutto con Grotowski e Barba.Rispetto alle immagini che sono state delineate, il mimo odierno, si sfrangia in innumerevoli diversificazioni che cercano di muoversi fuori dalle strade maestre tracciate «dai loro padri». Ormai non esiste più il mimo come genere strettamente autonomo, che possa essere distinto dalla danza, dallo spettacolo del clown o dall'acrobata o anche dalla performance dell'attore. Il mimo oggi deve affrontare dei problemi di una «nuova personalità» legata alla riscoperta del «corporeo». Si avverte spesso la mancanza di una seria preparazione tecnica, di un training sistematico, di una ricerca espressiva approfondita e personale. Tutti limiti che 'l'esigenza produttiva' accentua, riducendo i ritmi ed i tempi di addestramento, di preparazione, di sperimentazione.

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La significazione lessicale definisce la mimica come «l'insieme di gesti e degli atteggiamenti che accompagnano le capacità espressive e comunicative del linguaggio e che talvolta le costituiscono»; oppure «l'arte di esprimersi mediante gesti» (Zingarelli, 1984).La mimica è alla base di tutte le espressioni dell'uomo, siano esse verbali e non verbali. Come dice Lecoq, il mimo «di fondo» è la più grande scuola di teatro basata sul movimento.La scuola mimica trova le sue basi nel gesto sotto il gesto e nel gesto sotto la parola; nel movimento dei materiali, dei suoni, dei colori e delle luci. «Io credo» dice Lecoq, «che sia la facoltà che l'uomo ha di mimare (e con questo intendo identificarsi con il mondo, rieseguendolo mediante tutto il proprio essere) a farci prendere coscienza di tutto ciò che si muove. Gli slanci dell'espressione si formulano nel corpo dell'uomo e partire da se stesso. Le impressioni del corpo danno vita alle parole, e quando le parole abbandonano il corpo per viaggiare nel confortevole astuccio delle definizioni, si sclerotizzano e muoiono perché non trasportano altro che il vuoto».Il nostro cammino inizia con il corpo. Sviluppando piano piano la presa di coscienza delle proprie possibilità, espressive, motorie e ferma restando la piena libertà di creazione, riconosciamo i valori fondamentali, con una polivalenza di approcci e tentativi di lavoro, mediante l'osservazione della vita, vissuta attraverso la riesecuzione mimica.Dobbiamo rendere gli allievi disponibili ad una riscoperta del gesto elementare, demistificato, pur rimanendo nella dimensione soggettiva della persona, così da tendere verso lo squilibrio minimo tra sociale e soggettivo.La demistificazione dei preconcetti, pone in una disponibilità fisica, percettiva e mentale a riconoscere la vita così come essa è, tramite l'osservazione del quotidiano.Reinterpretando la gente, gli animali, le piante, gli alberi, i colori, le luci, i materiali, i suoni, superando le loro immagini, acquisiamo anche la conoscenza dello spazio, del ritmo del loro respiro. Tutto questo a partire da improvvisazioni a soggetto.Analizzando gli sforzi fisici dell'uomo, il suo modo di camminare, i suoi slanci, le sue acrobazie, ciò che fa per spostarsi e per spostare, per tirare e per spingere, noi riusciremo a capire più facilmente ciò che siamo e ciò che potremo essere. Prendiamo coscienza che ogni parte del corpo in movimento esprime una significazione, uno stato d'animo parallelo; e che ad un atteggiamento del corpo corrisponde un atteggiamento interiore.L'analisi dei movimenti, delle azioni tipiche nella loro armonia e lo stato drammatico neutro, ci permettono di cogliere meglio le manifestazioni della vita, in uno stato di scoperta permanente, alla ricerca del proprio potenziale espressivo. Richiamiamo il passato ed i ricordi, proiettiamo i nostri sogni, la nostra immaginazione.L'impressione corporea ci fa sperimentare la «gioia» come moto dell'animo, che ci porta alla coscienza di essere giunti al massimo grado di sensibilità. È in questa animazione che si esteriorizza l'animazione (ma anche viceversa) che sta la natura dell'atto creativo dell'uomo normale. Scopo dell'educazione è anche quello di attivare dedizione ed impegno dell'individuo, nella ricerca del suo mondo. Fra l'Io ed il mondo, il mondo e l'Io, si svolge un processo dialettico ininterrotto. Il metodo mimico non può essere considerato come uno strumento di conoscenza o un semplice procedimento per ottenere un incremento delle abilità di rappresentazione, bensì come un progetto generale che coinvolge l'operatore psico-fisico, secondo un piano di sperimentazione, che tende a sviluppare il potenziale mimico-espressivo di cui ciascuno è portatore.La sperimentazione è «la capacità da parte dell'insegnante, di leggere con attenzione la maniera attraverso la quale vanno svolgendosi le finzioni psicologiche, sociali e culturali, che alimentano il potenziale educativo» per costituire «un progetto educativo che, mentre tende a rappresentarsi le necessità di ogni soggetto che si educa, sollecita a predisporre una fitta rete di occasioni che valorizzano lo sforzo attivo, e nello stesso tempo evitano atteggiamenti autoritari, che spesso mortificano la creatività espressiva».L'atteggiamento sperimentale nasce dalle concrete esigenze adattive. La sua cristallizzazione ne fa un metodo che rispetti l'itinerario di sviluppo del pensiero, sì da incoraggiare ciascuno a sperimentare. Possiamo avvalerci del processo ipotetico-deduttivo, in quanto questo ha una formidabile analogia con il modo di pensare. Così la sperimentazione scatta quando c'è un problema per il quale formuliamo ipotesi (problem solving), ne scegliamo una, la verifichiamo, in relazione ai risultati, ne ricaviamo la regola.I problemi, i temi e le domande, saranno fondamentali per l'apprendimento e l'interiore coscienza. L'insegnante diventa un facilitare, incoraggiare e riconosce l'esistenza del problema e stimola a ricavare posizioni. Dal momento in cui la competenza disciplinare dell'insegnante come fornitore di soluzioni

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prefissate viene messa in discussione, poiché esistono conoscenze valide in determinati momenti ed in altri no, nasce l'esigenza della sperimentazione anche in ambito espressivo. Sperimentare per capire conoscere, per trovare delle risposte che spesso sono diverse dalle nostre conoscenze, diviene fondamentale.

8.4. Il mimo e la mimica

L'arte non è solo quella della produzione di oggetti materiali. L'azione motoria e l'assunzione di certe espressioni e posizioni nella loro infinita possibilità di variare, nella ricchezza di significati che possono esprimere con raffinatezza talvolta virtuosa, sono sufficienti a costituire un linguaggio definibile artistico a pieno titolo.Due sono soprattutto le forme di tale linguaggio che meritano di essere viste più da vicino: il mimo e la danza, (essendo invece la mimica parte del comportamento quotidiano). Quando si cerca di far partecipi gli altri dei sentimenti e delle situazioni, affinché siano immediatamente compresi, senza l'aiuto del pensiero discorsivo, abbiamo l'arte del mimo. Perché il mimo sia comprensibile, devono essere eliminati i gesti superflui che oscurano ciò che si vuole esprimere.Poiché aveva imparato a 'parlare' l'uomo civilizzato ha lungamente sottovalutato il 'gesto', l'ha quasi dimenticato, ne ha atrofizzato le molteplici attitudini a comunicare emozioni ed azioni con il corpo attraverso la mimica. Tuttavia essi conserveranno sempre una forza espressiva di prim'ordine e di valore universale per molte situazioni (Ferrari, Rossi, Melesi, 1981). Una stretta di mano, un bacio, un abbraccio, una carezza, un pugno sul tavolo, sono alle volte più significative di qualunque parola.Il mimo, oltre ad essere mezzo di espressione-comunicazione, è arte. La mimica diventa nella rappresentazione la componente spettacolare e visiva, e, allo stesso tempo, elemento determinante per caratterizzare un personaggio. «Dalla mimica si passa facilmente al mimo, che è una forma di componimento teatrale fondata il più delle volte sulla rappresentazione della vita in chiave buffonesca» (Bongioanni M., 1977). L'arte del mimo consiste nel saper stilizzare il gesto conservandone il carattere espressivo e descrittivo.148 Il mimo come teatro è anteriore al teatro greco; con la danza costituiva la prima manifestazione teatrale. Nel teatro greco-romano il mimo è una breve composizione letteraria di forma buffonesca e di contenuto realistico; il termine «mimo» indicava anche l'attore. Nel teatro moderno il mimo è diventato una forma autonoma di spettacolo che affida al gesto il compito di esprimere sentimenti o di raccontare una storia anche drammatica. Il mimo può essere inteso anche come il proprio modo di vivere con spirito e corpo; la personale interpretazione della vita; il rapporto profondo che si ha della realtà e, successivamente, la sua liberazione, trasformazione e rinnovata presentazione con gesti espressivi e personali e con gesti convenzionali e sociali (Bongioanni M., 1977).Il mimo in certi casi dice più della parola, non la sostituisce, è più veritiero perché immediato, mentre la parola è spesso controllata e mendace.149 L'economia dei gesti è una caratteristica del linguaggio mimico: ogni movimento, anche il più piccolo, equivale ad una sensazione. È l'espressione semplice, essenziale ed universale dei sentimenti umani di gioia, tristezza, amore, odio e benessere.Aristotele chiama «mimesi» l'atto di rendersi simili a qualcosa che è esteriormente simile a noi e ci supera, sarebbe un controsenso impoverente concepire questa «mimesi» nel senso stretto positivistico e naturalistico dell'imitazione, Essa implica al contrario che l'uomo avverta l'esistenza

148 Questa antichissima arte ha avuto il massimo riconoscimento universale con l'avvento del cinema muto il quale ne ha permesso la diffusione in tutte le parti del mondo (basti pensare alla popolarità che hanno ottenuto attori come Chaplin, Keaton e più recentemente Tati, Marceau). Questi attori senza l'ausilio di parole o battute o particolari intonazioni vocali, ma esclusivamente tramite espressioni facciali e corporali, e cioè con le sole contrazioni muscolari, sono riusciti ad esprimere le più svariate sensazioni e stati d'animo particolari, e quel che più importa notare, sono stati capaci di trasmetterli al pubblico suscitando ilarità, ovvero commiserazione e comunque provocando sempre una sua (indiretta) partecipazione.149 «Mimica è parola greca, derivata dal verbo 'mimeamai', 'mimeisthai': imitare. Si tratta quindi di imitazione. E mimo era per i greci colui che con i gesti, atteggiamenti, figure e ballo misurato, imitava poeticamente cose, persone, azioni, rappresentandole dal vivo nei teatri mentre i cantori, comici e tragici le descrivevano. Sicché è mimica l'arte di imitare situazioni e movimenti della realtà tramite atteggiamenti figurati della persona (e soprattutto con l'espressione del volto, il gesto delle mani, l'atteggiamento del corpo che siano significativi di sentimenti e di idee, con o senza l'ausilio della parola). Questa parola fa appello a un particolare tipo di interprete, di una singolare capacità di animazione; e nella misura in cui tende a sostituire la parola con il gesto, sempre più tende a farsi una forma autonoma di drammaturgia» (Bongioanni M., 1977).

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al di fuori di lui e a lui superiore di ciò che desidera e verso cui tende. Proteso con tutte le forze aspira superando i propri limiti a esserle simile (Garaudy R., 1973). «Mimesi» è allora «metassi», partecipazione, come viene vissuta sotto la forma più alta, nell'inspirazone poetica o nella comunione sacramentale.Essa implica che attraverso l'atto di creazione artistica di amore , o di fede, noi trascendiamo i nostri limiti per essere «fuori di noi». Ogni esperienza vitale, continua Garaudy, ogni atto specificatamente umano che trascende la conoscenza o la pratica quotidiana esige, per esprimersi, che questo linguaggio sia trasceso: e quello che dicono la danza o la musica, la pittura o la poesia, con un'arte il cui compito, diceva Paul Klee, è di «rendere visibile l'invisibile». In ciò risiede la differenza tra la danza e il mimo.Il mimo realizza una trasmissione diretta ed immediata; esso utilizza la memoria, l'osservazione, l'immaginazione, ed abitua ad applicare concretamente i suoi gesti che sono generalmente ben definiti in una continuità armonica espansa nello spazio-tempo.Mimica collettivaIl mimo collettivo o di gruppo aggiunge esigenze di «sintonia» reciproca e di «sincronismo» di azione, e si presta a risolvere le difficoltà che incontrerebbe un mimo individuale nel realizzare «rappresentazioni» complesse, riprodurre un «treno», una «chiesa», un dipinto o un gruppo di statue. Una particolare forma di mimo collettivo è il mimo coreografico. Esso è rigorosamente eseguito su base ritmica. Come il coro parlato è una completa applicazione della dizione, così il mimo coreografico è una completa applicazione della mimica. Esige l'esecuzione contemporanea e concorde dei vari movimenti da parte di tutti gli attori, il calcolo misurato di tutta l'animazione: volto, gesto, atteggiamento.Mimica individualeIl mimo individuale, svolto cioè da un solo interprete, è un'occasione di libera creatività, in quanto non pone condizioni a chi l'intraprende, nemmeno quella di un interlocutore. «Il problema è solo quello di piegare il corpo all'espressività più comunicativa ed efficace» (M. Bongioanni, 1977). Nella tecnica del mimo, non si fa uso di un costume realistico, né essenziale, ma occorre solo un calzamaglia, perché essa rende il corpo più libero nei suoi movimenti. Non si fa uso di scenografia né di accompagnamento sonoro, anzi si esegue il mimo nel maggior silenzio possibile; il mimo è una imitazione, per cui è soprattutto dell'imitazione che si avvale la tecnica.La mimica è un'arte e un'espressione che interessa il corpo tutto intero. Il mimo si differenzia dalla ginnastica e dallo sport, in quanto questi ultimi utilizzano solo parzialmente le risorse umane, mentre il mimo interessa tutto il corpo; se, ad esempio, si vogliono mimare momenti di paura, non ci si deve limitare a fare qualche smorfia, qualche movimento della testa, ma occorrerà far partecipare le braccia e le mani, dovranno tremare le gambe e bisognerà che assieme ai muscoli, sia mobilitato anche l'apparato respiratorio.

8.7. La danza

Von Laban sottolinea la specificità della danza: tutto ciò che il mimo dice può essere tradotto in parole. Il mimo è la prosa del linguaggio del movimento. La danza ne è la poesia. L'uomo imita la realtà, l'altra penetra nel mondo del silenzio in cui l'uomo, al di là del gesto utilitaristico, anticipa il proprio avvenire. La danza è la massima espressione estetica, arte del corpo che parla. Essa è l'espressione dello sforzo di superamento della natura abituale: è l'invasione del soprannaturale nell'uomo. La danza non solo dimostra che ogni movimento psichico o, meglio ancora, che il fisico e lo spirituale non sono campi separati, ma due aspetti della stessa realtà: rivela ancora e soprattutto questa verità: l'arte è il cammino più corto fra un uomo e l'altro: « la danza come ogni arte è comunicazione dell'estasi, sentimento della presenza di Dio» (Garaudy R., 1973).150

150 «Mi ha colpito il fatto che artisti e intellettuali, pur di provenienza ideologica così diversa, parlando della danza e dell'arte in genere, abbiano espressione di simile spiritualità e che infine si riferiscano a Dio. Forse perché «l'arte è saper trasfondere in un dipinto, in una scultura, in un'architettura, in una musica, qualcosa di quel che nell'anima non muore. Un'opera d'arte è resa così eterna da questo «qualcosa» per cui pur passando gli anni, le mode e i metodi, resta, perché ha un'impronta universale, divina. Testimonia l'immortalità dell'anima, perché se l'oggetto plasmato non muore, colui che l'ha fatto non può morire e l'anima dell'artista, anche se incredulo o ateo, è sempre immortale. L'artista, allora è forse il più vicino al santo. Perché se il santo sa donare Dio al mondo, l'artista dona, in un certo modo, la creatura più bella della terra: l'anima umana» (Lubich C., Città Nuova, 1979).

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«La cosa più importante è che ogni movimento parta dall'intimo dell'anima e prenda come uso espressivo tutto il corpo, dalla punta delle dita all'inclinazione della testa, fino alla punta dei piedi. Solo se c'è quest'unità espressiva, c'è arte (Cosi L., 1983).151

Dunque: «La rinascita della danza come forma di cultura e di vita fa parte di una battaglia più generale per un nuovo modo di vita, per un nuovo regime economico e politico, per un nuovo uomo. La scelta esiste e noi ne siamo responsabili: civiltà dello scontro o della coralità» (R. Garaudy, 1973). Il mimo, come parola, si compone di momenti rappresentativi di una realtà già esistente o del suo concetto. Il gesto del mimo è descrittivo.Quello del danzatore invece è proiettivo: provoca un'esperienza non concettualizzabile in superficie, immediatamente non riconducibile alla parola. Se potessimo dirla non avremmo bisogno della letteratura; non è quel gioco da bambini che, con una pantomima fa indovinare la parola della sciarada. Essa è, come il mimo, un indicativo di trascendenza.Una pantomima naturalistica di un mimo di talento può renderci presente la realtà dell'albero: la potenza del suo radicarsi, lo slancio dei rami, diciamo: è un albero, ed ammiriamo, come virtuosismo, l'imitazione letterale dell'oggetto. Ma si può ideare una danza che riveli, attraverso il tema dell'albero, un modo di vivere il mondo. L'albero allora non è più una cosa, ma un atto, un mito che rivela il ciclo cosmico della vita e della morte.

8.8. Tipologie di gesti mimici

I gesti mimici sono esclusivamente umani: essi sono azioni che trasmettono segnali per imitazione (il soggetto cerca di imitare il più precisamente possibile un oggetto o un'azione).Vengono indicati quattro tipi di gesti mimici:1) - La mimica sociale: consiste nell'assumere la faccia adatta per l'occasione (espressione divertita a una festa noiosa, espressione triste di circostanza ad un funerale). Ma ciò non deve essere confuso con l'«impersonificazione nel ruolo». Indulgendo alla mimica sociale, inganniamo gli altri, mentre con l'impersonificazione inganniamo noi stessi.2) - La mimica teatrale: la usano gli attori studiando analiticamente la parte, o illudendosi di essere veramente colui che viene impersonificato cercando di trasformarsi anche interiormente. La mimica teatrale si esplica attraverso due tecniche distinte:a - imitare azioni specificatamente osservate;b - concentrandosi sul carattere del personaggio, tentando di diventare lui e facendo affidamento su questa impersonificazione per produrre il giusto tipo di azioni.Si può inoltre distinguere tra mimica analitica (riferita ad un aspetto della persona) e mimica globale (riferita a tutta la persona).3) - La mimica parziale: nella quale il soggetto tenta di imitare qualcosa che egli non è , che non potrà mai essere (come un uccello o la pioggia).4) - La mimica del vuoto: è così detta perché l'azione ha luogo in assenza dell'oggetto a cui si riferisce. In tal caso i gesti del mimo devono essere estremamente sensibili e leggeri, tali da dare realmente il senso del vuoto intorno a sé che il soggetto riempirà con la sua azione. La mimica parziale e quella del vuoto tendono al realismo e potenzialmente possono essere comprese da chiunque.

8.9. Mimica pura e mimica generica

151 Per Liliana Cosi questa definizione è diventata il programma della sua arte e così commenta la sua esperienza: «Per raggiungere certe perfezioni si deve considerare e possedere il corpo, muscolo per muscolo, con il cervello. Dalla conoscenza infatti si deve passare al possesso del riflesso, affinché il pensiero di quella perfezione gestuale corrisponda alla posizione raggiunta di quella mano, di quel piede, di quella arcatura della schiena, dello sguardo e il tutto deve partire dall'anima che coordina l'insieme. Questo richiede una pratica continua e un allenamento quotidiano. Non è facile. C'è da spezzare il proprio orgoglio ogni minuto quando s'incontra il proprio limite e la ribellione della natura. Ma dopo gli spettacoli ecco il frutto: un giovane: 'dal tuo cigno che muore ho capito la purezza'. Una signora dopo lo spettacolo di Coppelia: 'Ero felice, così deve essere un po' il paradiso. Dopo lo spettacolo del lago dei cigni di Ciaikowky a Mosca, la critica sul giornale russo Isveztia diceva: 'Un'interpretazione piena di spiritualità, parola mai apparsa fino ad allora su quel giornale...» (L. Cosi, 1983).

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La mimica pura «è una forma 'muta' di espressione. 'Muta' per modo di dire, ossia nel senso che manca della parola 'parlata'; ma non nel senso che manchi di parola 'figurata'; in questo senso, anzi, tutto il corpo diventa 'segno', fatto tutto intero 'parola'. Ma è parola senza voce» in quanto si vale del corpo tutto intero, e non solo di una gestualità parziale (volto, mani), è «mimica totale»: pantomima (da 'pan' e 'mimeomai': tutto: unito) (Ferrari , Rossi, Melesi, 1981)La mimica generica o «spuria» è quella accompagnata dalla parola parlata (o cantata) che resta il centro di interesse dell'azione espressiva. «La mimica in questo caso non è forma autonoma ma sussidio e sottolineatura parallela e portante. Tutto il teatro e tutto il gioco scenico suppone la gestualità. Il gesto dell'uomo accompagna sempre la parola, serve ad aiutarla, rafforzarla, talora attenuarla e sfumarla, a renderla cioè espressiva. In teatro perciò il gesto esige studio e misura per proporzionarsi a ciò che si vuole dire, alle emozioni che si vogliono creare» (Bongioanni M., 1977).

8.10. L'imitazione

I mimi riguardanti i sentimenti appartengono essenzialmente al volto; la parte più espressiva del nostro corpo è la testa, in particolare il volto, in forma eminente gli occhi. Il volto è veramente un segno evidente della nostra individualità, l'immagine precisa di ogni personalità, più ancora dell'impronta digitale. È proprio il volto il primo e più significativo mezzo espressivo dei nostri sentimenti, sul volto degli altri leggiamo il loro stato d'animo, con il nostro lo comunichiamo. Il volto e gli occhi partecipano sempre alla vita affettiva di ogni parte del nostro corpo: immediatamente vivono il dolore, di una ferita alla mano.Le espressioni si originano sia attraverso un processo di funzionalizzazione, sia tramite un apprendimento dovuto ai rapporti sociali; molto importante è la progressiva acquisizione delle espressioni facciali delle persone con le quali veniamo in contatto che equivalgono a certi sentimenti che anche noi abbiamo provato e che abbiamo denominato con termini precisi. In tal modo, apprendiamo a distinguere il tono della voce, il viso divertito, quello soddisfatto e quello allarmato.La mimica dell'espressione quindi viene da sé, però è conveniente educarla affinché possa svilupparsi al massimo grado.152

La gestualizzazione, come esecuzione di sequenze mimiche, tende alla comunicazione del proprio vissuto agli altri attraverso giochi di imitazione e soggetti/racconto relativi alla realtà che circonda il bambino.L'educatore deve sollecitare immagini e rappresentazioni realmente vissute in modo che il soggetto possa riprodurle esprimendosi in maniera sempre rinnovata.

152 Se noi ci mettiamo davanti allo specchio per insegnare la mimica facciale, ci rendiamo conto delle nostre possibilità, ossia vengono fuori delle divertenti smorfie. Le smorfie possono essere usate anche come aiuto per coloro che hanno difficoltà nel linguaggio.. Aumentando il controllo volontario del movimento fisico, il bambino sviluppa la capacità di ripetere un'azione che ha compiuto precedentemente; è più laborioso però ricreare un'azione compiuta da qualcun altro, e cioè imitare, che è una delle conquiste che emergono con gradualità e che si basano sullo sviluppo sia fisico che mentale con un progetto ideo-motorio per diversificazione, analogia, identità. Il bambino in un primo tempo dimostra la capacità di imitare certe azioni che vede compiere da altri, quindi è strettamente legato alla sensazione fisica presente nella realizzazione delle azioni e le coglie solo nel momento delle loro effettuazione. Successivamente riprodurrà azioni che può aver notato diverse ore e persino giorni prima. Questa capacità, definita «imitazione differita», rispecchia la capacità emergente di costruire rappresentazioni mentali di azioni e fatti, di ricordarli e di essere in grado di evocarli anche quando il modello è assente. Superata questa fase in cui organizza tramite l'attività mentale le azioni e le loro relazioni, quello che J. Bruner ha definito «modo iconico», si passa alla capacità di simbolizzare un oggetto od un fatto con una parola o con un altro mezzo espressivo, organizzati in modo tale che richiamiamo alla mente l'esperienza passata. Quindi, tramite l'imitazione, si offre al bambino la possibilità di realizzare modelli di vita umana da cui deriverà un primario apprendimento di movimenti-gesti, attuando una continua sperimentazione favorevole a sviluppare nuove abitudini comunicative. Lo scopo degli esercizi imitativi (mestieri, gesti, sentimenti, racconti, ecc.) non è quello di insegnare ai ragazzi i gesti a scopo utilitaristico, ma quello di proporre loro un lavoro gioioso ed efficace in senso educativo sia per l'acquisizione di nuove abitudini e di nuove coordinazioni, sia per le conoscenze esistenziali e per lo sviluppo dell'educazione totale della persona. Attraverso la gioia di una sequenza mimata, il bambino impara vivendo affettivamente e dinamicamente l'immagina suggerita, sviluppando la creatività. Il gesto, dopo essere stato interiorizzato dal bambino, diventa materia di elaborazione intellettiva determinando in lui l'esigenza di rendere il movimento forma espressivo/comunicativa, attraverso l'attribuzione dei diversi significati, per ritrasmettere la propria esperienza vissuta. L'insieme dei gesti dà come risultato un'azione mimica e i bambini eseguono volentieri scene della vita quotidiana. Il bambino che fa l'azione del taglialegna deve riuscire ad esprimere una più precisa azione mimico-gestuale, dando il senso della fatica il modo da rendere via via più espressivo/comunicativo il gesto e trasformando l'esercizio motorio, svolto sotto forma di giocodramma, in tecnica linguistica all'interno della metodologia interdisciplinare.

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L'imitazione esclude del tutto l'identificazione: qualunque sia il modello da riprodurre (con tutti i linguaggi umani), bisogna che il bambino passi rapidamente, dal consapevole «far finta di...», ad una classificazione delle identità, analogie e differenze con il momento proposto. Con i modelli vegetali ed animali occorre differenziarsi, prendendone le distanze, con i modelli umani occorre confrontarsi per socializzare ed è solo con se stessi che ci si può identificare: e questo è il fine più importante della educazione.

8.11. Mimica e drammatizzazione

Il linguaggio non è solo verbale e la comunicazione non si effettua soltanto per mezzo delle parole vissute soprattutto come esecuzione in forma creativa di sequenze a prevalente contenuto simbolico ed affettivo che tendono alla comunicazione del proprio vissuto in forma diretta (reazione, invenzione) o anche mediata (drammatizzazione). Il gesto è l'avanguardia della parola.È una espressione degli atteggiamenti, ciò che definiamo pantomima o mimodramma è questo gioco espressivo che interessa il corpo (atteggiamento) e lo spirito (immaginazione).Molto spesso mimare una scena può togliere dall'imbarazzo quel bambino che non riesce ad esprimere con le parole ciò che vorrebbe comunicare. Egli comprende molto presto che se vuole esprimere compiutamente il suo pensiero con la mimica, deve chiamare a raccolta tutte le sue capacità immaginative, di riflessione, di osservazione e di sensibilità.La mimica rinvigorisce il gesto che affina, in questo modo, la sua funzione potenziale di messaggero della parola, favorisce l'immaginazione e la incanala dentro le precise forme dell'espressione voluta. È più immediata della parola e può essere utilizzata come preliminare ed efficace esercizio chiarificatore, atto a facilitare l'espressione verbale.Il gesto, in senso lato è parte, integrante del nostro comportamento ed è solo nel momento in cui il gesto diventa «protagonista» che si può parlare di mimo. Infatti il mimo è colui che ha la meravigliosa capacità di rendere reali oggetti, situazioni e luoghi inesistenti, avvalendosi solo di movimenti del corpo, dell'espressione facciale e della gestualità.Il gesto viene articolato nella mimica che costituisce la «prima» forma di espressione teatrale, proprio perché scevra di scene, costumi, sovrastrutture e persino della parola. Il mimo, spesso unico personaggio sul palco con il supporto di ben pochi oggetti, esegue un lavoro esclusivamente corporeo.Lo spettatore contestualizza nella sua immaginazione l'azione dell'attore con propria esperienza di vita; si instaura così un legame di simpatia o risonanza empatica con l'attore, utile e necessario al successo dello spettacolo. Esso può essere provocato e facilitato, ad esempio, da luci, costumi, musiche. Ma specialmente nasce dalla identificazione/proiezione con le azioni dell'attore, fisicamente espresse.La mimica è fatta di espressioni che corrispondono a sentimenti, pensieri ed emozioni.Ma non basta trovare un solo gesto per sentimento; il mimo può essere povero di fantasia ed incapace di invenzione. Occorre dunque approfondire la ricerca attraverso l'osservazione, la meditazione; è necessario arricchire il prodotto espressivo con l'imitazione intelligente, selezionandola con un atteggiamento critico.Nella scuola, attraverso la mimica e la gestualità, lo psicodramma, il mimo-dramma, il sociodramma, l'espressione plastica, grafica, sonora, il fanciullo apprende in modo cosciente, ma anche inconsapevolmente i motivi espressivi che simbolizzano i suoi desideri, sentimenti, pulsioni e conflitti. Nelle dimensioni di ordine e di rispetto dell'altro che, conquistato quotidianamente, diventa fondamento del proprio vivere nella comunità.I bambini rivivono, immaginano o mimano situazioni concrete ed elaborano i concetti fisici psicologici di grande/piccolo, lontano/vicino, veloce/lento, forte/debole. Si passa quindi all'espressione spontanea di situazioni astratte. Nelle relazioni con se stessi le nozioni affettive sono: gaio/triste, calmo/agitato, felice/triste, gaio/arrabbiato, speranzoso/disperato; a livello di personalità: essere/avere, volere/non volere, sapere/potere. Nelle relazioni con gli altri: dare/ricevere, domandare/ottenere, domandare/ rispondere, spiegare/capire, domandare/ubbidire, accettare/rifiutare, a favore/contro, amare/odiare, con/senza, buono/cattivo. Nelle relazioni con il mondo e gli altri come società: vero/falso, giusto/errato, giusto/ingiusto, buono/cattivo, bene/male.Le nozioni oggettive e relazionali, come quelle razionali e soggettive, sono vissute all'inizio in maniera spontanea a livello subconscio, per il desiderio di entrare in comunicazione con l'altro, di esprimergli i sentimenti e di comprendere il senso che porta ad una certa analisi di queste nozioni ed al loro raggrupparsi intorno da espressioni con valore semantico.

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Il desiderio di comunicare determina una ricerca dell'espressione, è la motivazione fondamentale che crea la necessità di organizzare e di strutturare il pensiero. Ciò porta all'integrazione del sè nel sociale. È attraverso l'espressione/comunicazione che il bambino struttura e fa esperienza della propria coscienza. Il linguaggio verbale inizialmente non si presta per la descrizione di queste espressioni e deve essere preceduto da esperienze espressive gestuali, grafiche, sonore, plastiche.153

Gli elementi vengono messi in relazione l'uno con l'altro. Ad esempio il dare e ricevere: io ---› altro; io ---› altro; io ---› altro, viene rappresentato in situazioni concrete, essendo la relazione materializzata con gli oggetti. Occorre trovare tutte le possibilità situazionali e poi graficizzarle. Si arriva quindi alla nozione di accettazione/rifiuto di me dell'altro, di dare/ricevere; anche in questo caso si ricercano le possibili combinazioni, quindi si graficizzano e si verbalizzano. Queste situazioni sono trasferibili su un piano astratto nei concetti del dare amicizia, ricevere un consiglio, domandare aiuto, spiegare/ascoltare, domandare/rispondere, comandare/ubbidire o rifiutarsi.La concettualizzazione di queste modalità relazionali avviene mentre vengono rappresentate gestualmente, graficizzate e verbalizzate. Queste sono le situazioni tecniche perché i sentimenti sono immaginati, razionalizzati, non vissuti affettivamente e servono solo come riferimento alle situazioni reali, per analizzare il proprio e l'altrui comportamento, per facilitare successivamente le sue possibilità di espressione.La nozione di persona (io grammaticale) è molto legata alla identificazione dell'io corporeo. Fino ai due/tre anni il bambino adopera la terza persona, poi comincia ad usare la terza persona, poi comincia ad usare il pronome «io» nel momento in cui prende piena coscienza del suo «io corporeo». Il tu, caratteristico delle relazioni a due, appare più tardi.Il noi ed il voi implicano l'appartenenza o meno del gruppo; infatti «noi» significa «io con altri»; mentre «voi» significa «altri senza di me».

8.12. La pantomima

Il mimo designa, come la danza o la pittura, un'arte; se il balletto è l'applicazione della danza, la pantomima lo è del mimo. Una pantomima può essere collettiva o individuale, ma in quest'ultimo caso si inserirà in un insieme o in un montaggio.Nell'organizzazione di una pantomima bisogna innanzitutto essere certi dell'utilità della pantomima stessa, essere sicuri che sia il veicolo migliore di quell'idea o di quell'impressione in funzione del tempo di cui disponiamo e del fine che ci poniamo. A volte sarà meglio presentare una lettura o una proiezione, in altri casi invece la potenza del corpo sarà indispensabile in quel determinato punto. Ricordiamo che il mimo non è esclusivamente la rappresentazione di una scena, ma sovente può essere astratto. Il tema è l'idea centrale della pantomima attorno al quale si sviluppa l'azione; può essere tratto dal mondo quotidiano o dalla poesia, dal cosmo o dall'atomo, dall'attualità o da romanzi, novelle o lavoro teatrali. Il tema è caratterizzato dalla precisione e dalla sufficienza: - preciso: deve cioè trattare il soggetto senza perdersi in dettagli secondari; - sufficiente: cioè abbastanza ricco per nutrire l'azione che ne deriva.

153 Ad esempio: le espressioni contrastanti di gaio/triste vengono rappresentate con gesti caratterizzati da estensioni, rapidità, dinamismo o viceversa da lentezza e riflessione; graficamente con tratti ascendenti e divergenti oppure discendenti e convergenti, con colori vivi e scuri; sonoramente con ritmi vivi, chiari e acuti o ritmi lenti, gravi e soffocanti; verbalmente con identiche oggettivazioni ora più articolate di esperito personale. Ed ancora calmo/agitato: mediante l'espressione gestuale si rappresenta rispettivamente con moto lento, composto, silenzioso, rilassato o con moto disordinato, rapido, rumoroso: mediante l'espressione grafica con linee rette o intersecate e acute; nell'espressione pittorica i colori saranno pallidi, i colori blu o verdi oppure colori vivi, rossi; le sonorizzazioni riprodurranno rispettivamente ritmi lenti, toni costanti oppure ritmi rapidi, cambiamenti di ritmo, grandi differenze nell'intensità, nella tonalità del timbro; verbalmente con identiche oggettivazioni. Esistono diversità espressive per uno stesso oggetto rappresentativo in ragione della diversa tipologia di carattere d'appartenenza. Ad esempio gli estroversi esprimono la gioia come gaiezza, con un ritmo appena più lento nel gesto, nel grafismo e mediante ritmi lenti, movimenti ampi e colori chiari. La collera può essere esplosiva, vicino all'agitazione, con uso di colori vivi, linee divergenti, oppure può essere repressa con ipertonia massiva e colore nero. La speranza si esprime in estensione ipertonica tendente all'immobilità con colori pallidi chiari. La disperazione viene rappresentata gestualmente in flessione ipotetica, con colori grigio-neri, con forme di grafismo a curve convergenti e discendenti. Tutti i sentimenti si esprimono analogamente: ritmo, musica, gestualità, grafica, verbalizzazioni, tendono ad una intrinseca coerenza strutturale. I verbi motori, volere, potere, sapere e i loro contrari danno origine ad espressioni rivelatrici della personalità. Volere è il desiderio di possedere, di azione, di comando. Sapere quello di saper fare e conoscere; potere è la possibilità personale.

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Una volta terminato il tema, lo si illustra con una azione che comporta una esposizione durante la quale saranno presentati gli elementi essenziali, che entreranno in gioco, al fine di facilitare la comprensione, senza disperdere l'interesse.In una improvvisazione libera l'azione può derivare da una melodia, da un testo, da una foto, da un brano musicale, ecc. Mentre si ascolta un brano musicale, ad esempio, si chiede a ciascuno l'ambiente che gli viene evocato da questa audizione; dopo essersi accordati su un'ambientazione comune riascoltiamo il brano immaginando dei personaggi. Si fa una terza audizione precisando i luoghi ed i personaggi perché ne nasca una situazione.I temi concreti nascono dal contatto dell'uomo con degli oggetti o dei personaggi, da questo contatto prendono corpo delle situazioni che si scatenano fino allo sviluppo completo. Imitare la pantomima allo stretto campo del concreto sarebbe un grave errore; come la pittura o la letteratura, l'arte del mimo deve poter tradurre delle nozioni astratte.Accessori importanti nella pantomima sono la musica e le luci. La musica rafforza l'effetto della pantomima e ne arricchisce l'ambiente; cerchiamo di non utilizzare ritmi troppo marcati perché gli attori si lascerebbero tentare a seguire questo ritmo in una sorta di pseudo danza abbastanza sgradevole. Vista la sobrietà della scena, come dei costumi e degli accessori, l'illuminazione avrà un ruolo considerevole nella pantomima. Possiamo ottenere eccellenti illuminazioni anche con umili mezzi, sempre che le fonti siano equamente divise su tutta l'area scenica. Possiamo avere una varietà di soluzioni, valutiamo sempre la misura in cui servono all'attore; illuminazione di fronte o in controluce, in campo o in controcampo, fasci direzionali o luci diffuse. 8.13. Il mimo gioco

Per quanto riguarda l'introduzione di nuove tecniche, soprattutto quelle mimico-imitative e di gioco ritmico-drammatico, precisiamo che sono strettamente legate al «come» porsi da parte dell'insegnante e come «inserirle» nella realtà socio-culturale della scuola.Le tecniche di cui sopra devono essere tali da sviluppare l'inesauribile potenziale che ogni bambino ha di fantasia e di creatività, sono tese al raggiungimento di una piena e consapevole espressività motoria che presuppone il conoscere se stessi per farsi conoscere dagli altri imparando ad esprimere ed analizzare i propri sentimenti ed i propri modi di comportamento.Prima di tutto queste tecniche vanno inquadrate in un metodo che preveda la somatognosi o conoscenza di sé e padronanza del proprio corpo anche attraverso l'acquisizione delle condotte motorie di base e quello relazionale del movimento basato sull'organizzazione dello spazio e del tempo che sono presupposto per qualsiasi operazione logica sia astratta che concreta. Si tratterà, da parte dell'educatore, di far prendere coscienza della possibilità di creare con l'atto motorio sempre nuove situazioni, affidandolo a proposte operative messe sotto forma di gioco.154

I bambini, rispetto ai ragazzi delle scuole medie superiori, trovano una minore motivazione ad applicarsi in giochi che richiedono una particolare abilità nel rispetto di regole complesse, di cui non riescano a spiegarsi le ragioni. Ricorrono però al gioco con regole simboliche ed è facile osservare con quale frequenza siano inseriti i primi interessi sessuali, l'abbattimento di regole di comportamento difficili da rispettare, faticose ed incomprensibili. Questo avviene per molto tempo a partire dal periodo del movimento differito; (precedentemente era soltanto vietato in presenza del modello) ed è stato spiegato dagli psicanalisti come unico mezzo di difesa del proprio Io di fronte alle limitazioni che l'ambiente impone. Evidentemente, nel gioco simbolico il bambino scarica le sue frustrazioni e si prepara, se l'ambiente non lo frena, in queste sue apparenti fantasticherie, ad una primo effettivo assestamento del carattere che, come si sa, non è tanto ereditario, quanto soprattutto frutto delle situazioni socio-culturali e ambientali in cui il bambino trascorre i primi anni di vita. Il gioco motorio, a nostro avviso, tiene conto di questa particolarità evolutiva, in quanto è finalizzato alle esigenze che ogni bambino ha di studio di se stesso, di presa di coscienza sempre più palese delle proprie capacità e delle proprie reazioni per riversare poi queste acquisizioni in momento relazionale e quindi socializzante e non di «evasione» di per sè alienante. Teso ad un corrente rapporto coi compagni e coll'adulto: le tecniche utilizzate dunque offrono la possibilità ai bambini di servirsi dell'attività ludica e

154 Per una trattazione scientifica di come questi meccanismi nascano e si sviluppino, rimandiamo alle opere di Piaget (La costruzione del reale nel bambino, e dello stesso autore La formazione del simbolo del bambino) e di Wallon (Dall'atto al pensiero).

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ricreativa in funzione semiotica; cioè di riproduzione di configurazioni di simboli consci ed inconsci per scopi comunicativi.Premesso ciò, la funzione dell'adulto consisterà nell'utilizzazione del prodotto scaturito dal gioco e dal gioco stesso, non solo in senso liberatorio e socializzante, ma anche in un vero e proprio programma di presa di coscienza graduale della realtà socio-culturale che circonda il bambino, quale ci appare molto spesso nei simboli che introduce nel gioco e non nei canali mistificanti dell'educazione e dell'informazione di massa. Per l'esigenza di ricollegare in qualche modo l'attività fisica dei bambini con il loro vissuto, si propone di elaborare delle proposte da far gestualizzare le realtà motorie che li circondano, la natura, la scuola, la fabbrica, i campi, i films, in modo tale che ogni esperienza possa costituire per loro un momento di ripensamento sl fatto o sulla situazione limitata.Se da una parte c'è la necessità di rendere l'atto motorio spontaneo e creativo (gioco, mimo, drammatizzazione), vi è anche l'esigenza di fornirlo di tutti quelli strumenti senza i quali non è effettivamente in grado di seguire ed accompagnare, come dice Wallon, tutte le attività mentali. La prima grossa difficoltà sul piano pratico si incontra quando si tratta di adattare il concetto di spontaneità a quello di creatività. (Spontaneo = spontaneus, significa «libero»).Un'azione è spontanea quando il suo principio è in colui che agisce. Ed è così che le nostre azioni e la nostra volontà dipendono interamente da noi. La spontaneità non è che il concetto classico della libertà come «causa sui», principio intrinseco per determinarsi ed agire.La spontaneità è una forza vitale che tutti possono sprigionare purché tutti siano nelle condizioni di farlo; questo non significa lasciare completamente libero il bambino di fare quanto più gli piace, ma stimolarlo secondo quelli che sono i suoi interessi, le sue capacità e le sue attitudini; significa inoltre presentargli proposte sempre sotto forma di problemi senza mai dargli l'impressione di nutrire per lui sfiducia o disinteresse.L'atto spontaneo compiuto in una situazione di educazione attiva, è certamente anche creativo; quindi la soluzione al problema è proprio quella di offrire al bambino una proposta di gioco che porti alla ricerca della espressività e della interiorizzazione motoria, della conoscenza e del controllo di sé. La risposta data ai bambini alla lezione racconto, dove scarsa è la presa della coscienza corporeo-motoria, ma dove, viceversa, scaturiscono notevoli spunti creativi ed emotivi, ci ha spinti a studiare da vicino il mondo del teatro, avvicinando testi e gruppi che si ispirano alle correnti moderne da Jonesco a Grotowski in poi. Il teatro povero, il teatro della spontaneità.È evidente che riprodurre una situazione il più vicino possibile alla realtà in cui il bambino vive significa anche metterlo di fronte alle molteplici contraddizioni di questa realtà (agonismo, aggressività, emarginazione, alienazione, violenza) anche riproducendo situazioni che noi possiamo rifiutare come prodotto di una società di un certo tipo, con l'intento di non accettare il male in quanto necessario, ma in quanto momento importante di discussione e di presa di coscienza, trampolino di lancio per qualsiasi ulteriore scelta.155

In altre parole l'azione drammatica, per essere tale, deve avere in sé il dinamismo e la gratuità del gioco. «Il gioco ci conduce nel mondo, spesso dimenticato, dell'infanzia, in un clima cioè di avventurosa ricerca delle nostre possibilità sconosciute, senza interessi economici e politici, ma gratificati dalla gioia di giocare» (Ferrari, Rossi, Melesi, 1981).Il gioco ci obbliga a rimuovere momentaneamente preoccupazioni ed ansie quotidiane, introducendoci in un'attività che non ha altre finalità se non se stessa. «In questa liberazione non solo prendiamo le distanze che ridimensionano i problemi, ma ricreiamo in noi una forza fisica e morale reagente nei confronti del quotidiano» (Ferrari, Rossi, Melesi, 1981).Ci mettiamo in rapporto con un mondo di simboli che ci aiuterà a trovare nuovi rapporti e rinnovate sensazioni. La prima dote da recuperare con il gioco è la spontaneità oggi distrutta da continue violenze. Il clima di spontaneità si crea nel lavoro di esplorazione, conquista dello spazio corporale, e si sviluppa nell'azione che ha carattere di gioco. «Il gioco corporale restaura quindi una libertà originale del corpo che gli permette di mettersi in 'automovimento' e ridà senso al rapporto con il vicino e il lontano. Nel gioco il corpo si scopre centro

155 «Mimo», 'expression corporelle' e teatro non possono fare a meno del gioco. I francesi dicono: «abbiamo giocato una tragedia di Eschilo». E gli inglesi: «la compagnia X ha giocato (play) l'Amleto di Shakespeare».

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diffusivo e operativo nello spazio, stimolato ad inventare spazi nuovi e forme originali, passando quindi dal movimento meccanico a quello simbolico (significante)» (Ferrari, Rossi, Melesi, 1981).Il corpo, in questo mondo di simboli, entra attraverso un duplice movimento:- esplorandosi e impadronendosi delle forme simboliche e dinamiche del mondo esterno, addestrandosi ed identificandosi;- e nel proiettarsi in nuove forme dinamiche e simboliche espressioni del suo mondo interiore, trasformando così lo spazio esterno. Nessuno ha finora spiegato a che serve il corpo umano, né ha scoperto le sue vere possibilità». Questa affermazione del filosofo Spinoza la sentiamo vera ancora oggi, nonostante siano passati trecento anni da quando fu scritta e numerose siano le scoperte successive fatte dalla scienza.«Prendere coscienza del proprio corpo è il lavoro preliminare allo sport, all'interpretazione dei gesti altrui e anche all''expression corporelle' ed al mimo» (Ferrari, Rossi, Melesi, 1981).Dobbiamo quindi condurre il nostro corpo a sentirsi, a riconoscersi in uno spazio naturale, a ritrovare una malleabilità perduta. «Il corpo portato ad una 'risurrezione' anticipata, riattivato nel suo dinamismo e nella ricchezza dei suoi movimenti, si riconoscerà e potrà così scoprire i veri limiti suoi e le tentazioni o violenze quotidiane cui è sottoposto. Il modo migliore per prendere questa coscienza è 'vivere il nostro corpo', senza costringerlo ad imitare, senza allettarlo con segrete compensazioni, o addestrarlo in maniera spettacolare» (Ferrari, Rossi, Melesi).Il movimento è, quindi, una delle affermazioni più concrete e convincenti della nostra vita: mentre l'immobilità è argomento di morte. «I movimenti sono parole, segni di un discorso. Se sono superflui è inutile farli; se invece sono utili e necessari, bisogna farli con la stessa precisione con cui si articola, si modula, si orchestra il discorso parlato» (M. Bongioanni, 1977). Il movimento, inoltre, è e deve essere «spontaneità corporea» la quale consente di improvvisare un gesto in risposta da una situazione nuova ed inattesa: nel qual caso la spontaneità gestuale si rileva come una facoltà di connettere rapidissimamente la nuova situazione in cui ci troviamo, con le tante situazioni vissute in antecedenza, ognuna delle quali fornisce un 'elemento di risposta per risolvere la situazione nuova. L'animazione è dunque un esercizio sulla padronanza di sé» (Bongioanni M., 1977).Come educare il nostro corpo alla spontaneità ed alla espressione di sè? «Se l'animazione è impegno del corpo, prima di tutto bisogna disimpegnare questo corpo ripulirlo da tutto ciò che potrebbe impedirgli l'autenticità di manifestazione» (Bongioanni M., 1977). Ecco l'importanza della «decontrazione» o «Relax»! La decontrazione distende, libera e controlla la mente. Diminuendo la tensione e la stanchezza muscolare, diminuisce di conseguenza anche la stanchezza psichica.156 È possibile - dicono gli autori - giungere ad una autentica animazione e al mimo efficace solo dopo aver vissuto il «silenzio», che non è il vuoto di vita, ma ridimensionamento dell'Io in rapporto con tutta la creazione, dissolvenze di pause fantasma, sblocco psicologico e muscolare, coscienza delle proprie capacità, e scoperta di nuovi orizzonti espressivi per la creatività personale.157

La nostra decontrazione muscolare, il relax può dare alcuni effetti importanti:- lo scioglimento di stati d'angoscia, causati nell'adolescente, ad esempio, dallo sviluppo fisico e dalla fatica scolastica;- l'impressione di esercitare un pacifico potere su se stessi;- la rottura della maschera chiusa che i giovani assumono di solito per «darsi un contegno»; l'apertura verso gli altri si avverte in particolare quando si lavora tra adolescenti che non si conoscono tra di loro: fino alla prima seduta di «decontrazione», si verificano gli «incontri»;- la disponibilità intellettuale per il ristabilirsi delle facoltà di attenzione per cui (in periodo la decontrazione consente di passare facilmente da un lavoro ad un altro e da una materia all'altra, senza confusioni.158

156 «Oggi questo relax viene venduto dalla quotidiana pubblicità, come dono dell'omino permaflex. In realtà anche dopo ore di riposo sul materasso ideale, ci si può alzare stanchi, tesi, appesantiti, nervosi, arrabbiati, lunatici, rigidi: mentre ci si sente magari più rilassati uscendo da un sacco a pelo, dopo una notte passata sotto le stelle» (Ferrari, Rossi, Melesi).157 «Ogni stanchezza e tensione del nostro corpo ha il suo corrispondente in una stanchezza o tensione mentale. Dopo una corsa spossante è impossibile risolvere un problema difficile; e durante un film del terrore è impossibile trattenere tremiti e non aggrapparsi con le mani a qualcosa» (M. Bongioanni, 1977).158 Alcuni esercizi di rilassamento possono essere:- da in piedi: contrazione degli arti, testa, busto.Mentre inspirate contrarre Mentre espirateun braccio rilassatevi

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L'animazione può definirsi tramite i suoi aspetti di: necessità, partecipazione, globalità.a) Aspetto di necessità: Molte volte il mimo, che è animazione pura, attuata senza paura, viene giudicato un semplice virtuosismo; ed è forse a causa di questo pregiudizio che esso non trova molto spazio. Può essere un virtuosismo. Quando la parola è necessaria, bisogna riconoscere che è inutile (dannoso) privarcene per comunicare attraverso elaborazioni mimetiche complicate e difficili. Ma va subito aggiunto che dove un gesto è sufficiente per trasmettere un'idea, là è superfluo parlare. Bisogna scegliere in base ad un principio di economia: tutto ciò che è necessario (parola e gesto), ma solo ciò che è necessario (parola o gesto). E tale è molte volte il mimo, sia attuato per se stesso, sia attuato per sottolineare la parole e la frase. Il gioco di spontaneità corporea sviluppa, dunque, una capacità espressiva necessaria.b) Aspetto di partecipazione: C'è ad esempio da mimare un personaggio stanco, provato dalla vita. Le vie e le piazze sono pieni di questi relitti umani da guardare, osservare, imitare; ma se ci limitiamo a riprodurre esattamente le situazioni viste, il personaggio risulterà scucito, superficiale, inconvincente. Le cose cambieranno se tenteremo di compenetrarci in quella tragica stanchezza: e la lotta ingaggiata con la vita, e la continua sconfitta patita, e le speranze ultime, e le ultime cento lire bevute, e l'elemosina come tavola di salvezza. e poi il crollo finale. A questo punto non è più un profilo che si mima, non si interpreta più un personaggio, si esprime al vivo uno stato d'animo. La grande differenza tra il teatro e l'espressione sta lì: che l'uno è mestiere, l'altro è dono di sé.c) Aspetto di globalità: Nel gioco mimico, ciò che interessa è il corpo tutto intero. Mimare, ad esempio momenti di paura, limitandosi a fare qualche smorfia o movimento con la testa, è poco ed è abbastanza ridicolo. Difatti farà ridere. Bisognerà anche far partecipare le braccia, le mani. E non basterà: dovranno tremare le gambe e bisognerà assieme ai muscoli sia mobilitato l'apparato respiratorio. Questo tentativo di rendere il mimo più possibile completo, darà al ragazzo la coscienza dell'armonia di tutto il corpo, dal rapporto (tra l'altro) tra la tensione muscolare e l'inspirazione, tra il rilassamento muscolare e l'espirazione.159

ora l'altro rilassatevile due braccia rilassatevicontrarre le braccia fuori spezzatele al gomitorilassando l'avambraccioContrarre la testa rilassatevibraccia e testa rilassatevicontrarre una gamba in avanti piegatela al ginocchiol'altra piegatela al ginocchiocontrarre il busto rilassatevicontrarre testa e busto piegatevi alla cintura.Da questa posizione, lentamente, riconquistate la posizione eretta inspirando profondamente. - In piedi: inspirate alzando le braccia in alto. Cadete a terra, molto lentamente (controllando la vostra espirazione) con movimento a spirale (come se faceste attorcigliare il vostro corpo ad un'asse immaginaria). Le mani possono o no servire da appoggio. Le natiche toccheranno terra per prime.- Dalla posizione di supini: con ritmo lento, sedetevi piegando le gambe fino al petto; aiutandovi con il braccio destro o sinistro, rialzatevi con movimento rotatorio, raggiungendo la posizione eretta anche con il busto e la testa, ma in tempi successivi.- In piedi: braccia e mani tese in alto. Rilassate le mani spezzandole, lasciandole cadere sui polsi, poi gli avambracci spezzandoli fino ai gomiti, e quindi tutte le braccia, che cadono lungo il corpo. Rilassate i muscoli del collo, lasciate penzolare la testa, poi le spalle, l'intero busto fino al bacino, le gambe fino al ginocchio. Infine crollate a terra completamente rilassati. Cercate prima la decisione e poi la continuità del rilassamento.Anche Stanislavskij suggerisce dei buoni esercizi di decontrazione. «Voi non potete immaginare di che danno siano, nel processo creativo, la tensione fisica e la contrazione dei muscoli lo sforzo fisico. La tensione dei muscoli lega la vita psichica dell'uomo. mentre alzi il piano, moltiplica trentasette per nove, cerca di ricordare quanti negozi ci sono nelle nostre strade.» (Stanislavskij K.). «... steso per terra su una qualunque superficie liscia e dura per esempio il pavimento), devo individuare i gruppi di muscoli che si tendono senza necessità. Chiarite le mie impressioni, posso dichiarare a voce alta i punti contratti: contrazioni alle spalle, nel collo, alle scapole, alle reni. Individuati i punti di tensione, bisogna rilassarli, uno dietro l'altro, cercando contemporaneamente di individuare degli altri metti un bimbo, oppure un gatto sulla sabbia, aspetta che si calmi e si addormenti, e poi sollevalo cautamente: nella sabbia resterà impressa tutta la forma del suo corpo. Ripeti l'esperimento con un uomo, nella sabbia resta solo l'impronta di quelle parti del corpo rilassate». «Ho fatto assumere agli allievi le pose più svariate: seduti, chini, in piedi, in ginocchio, da soli, a gruppi, con sedie, col tavolo o altri mobili. In ognuna di queste pose dovevano rilevare quali muscoli si erano tesi più del necessario». «Lo sforzo superfluo dei muscoli ricorda i tasti rotti di un pianoforte che a toccarli si urtano uno dopo l'altro assieme al do suonano anche il si e il do diesis 'così' i movimenti dei muscoli sono inesatti e incerti come quelli di una macchina non lubrificata» (Stanislavskij K., 1968).159 Baden-Powell, pur senza conoscere le tecniche dell'animazione, diceva giustamente: «al ragazzo bisogna dare l'idea che possiede un corpo meraviglioso e che deve conservarlo e potenziarlo tutto come opera e tempio di Dio» (Bongioanni M., 1977).

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«La riscoperta delle risorse personali, di comunicazione, la riappropriazione del corpo, la presa di coscienza delle motivazioni che danno il senso all'esistere, sono obiettivi dell''expression corporelle' ed effetti immediati di una realistica e faticosa ricerca teatrale» (Ferrari, Rossi, Melesi). È importante ritrovare il valore dei mezzi naturali che tutti noi possediamo. Alle volte, purtroppo, ne scopriamo il prezzo nel momento in cui i nostri occhi non vedono più, le mani si atrofizzano, l'orecchio non ode né rumori né musica, i cibi restano insapori, e senza profumo le rose. «Hanno occhi e non vedono! Davide cantatore biblico lo diceva delle divinità cananee, fatte di legno o pietra, di oro o bronzo. Ma potrebbe dirlo anche di noi, ogni volta che abdicheremo al nostro 'uomo' per essere super» (Ferrari, Rossi, Melesi).Il teatro ci riporta alla semplicità e alla sincerità della natura, alla autenticità dei rapporti, a un modo originale di metterci in relazione con persone e cose.8.14. Il corpo racconta

Il nostro corpo, quindi, dopo tutte le possibilità naturali che ha, si può dire che possa avere la possibilità di raccontare una storia, di elaborare delle forme espressive corporee che abbiano esse stesse un senso, rappresentino una realtà, comunichino un messaggio. Il nostro corpo può «creare» immagini significative di un'esperienza umana profonda ed interiore.«Gli elementi fondamentali di questa maniera di raccontare sono lo spazio e il tempo, immersi in un'atmosfera fatta dalle circostanze, dal supporto musicale, dall'illuminazione. Per definire il tempo della animazione potremmo usare anche la terminologia musicale: andante, con moto, allegro, maestoso; con il ritmo del valzer, della samba, del tango, del flamenco, ecc.Nell'expression corporelle il tempo-ritmo è più importante che lo spazio-movimento; perché se lo spazio è il luogo dove i gesti vengono esposti, il tempo-ritmo è strettamente legato al nostro battito emotivo, al ritmo affettivo interiore, all'evoluzione del nostro sentimento. Gesti e ritmo non devono essere vuoti, insignificanti, senza anima; ma espressioni di una realtà di una vita spirituale, incarnazione di qualche vivo problema... il gesto deve caricarsi di affettività più che razionalità, e la situazione deve essere profondamente personalizzata» (Ferrari, Rossi, Melesi).

8.15. Il corpo, gli altri e le cose

Oltre che prendere coscienza di esistere, sentirsi vivo, ambientarsi, creare forme espressive, scoprire forme di relax, il costruire un rapporto per comunicare. Cerca compagnia...«L'incontro con un altro io, 'un tu', produce certamente una perturbazione nell'area del nostro agire, ci impone sicuramente una coesistenza e una condivisione del mio spazio con il tuo, esige dialogo e una azione completamente dipendente, ma nello stesso tempo il suo spazio diventa anche mio, moltiplicando le mie possibilità conoscitive, espressive e affettive» (Ferrari, Rossi, Melesi). A questo punto il gioco diventa complesso stimolo-reazione, domanda-risposta, per un corpo che ho di fronte, che non costituisce la mia immagine allo specchio, ma un altro corpo concreto, vivo, la cui sostanza non è la pietra o il bronzo. Non è neppure un avversario che vuole escludere il mio Io. Sebbene sia sconosciuto, desidera farsi conoscere, incontrare ed essere incontrato, sentirsi accettato e farsi accettare.Bisogna arrivare a far cadere le maschere della vita quotidiana, che ci nascondono e personalizzano, ma senza distruggere il pudore personale, il «mistero» di ognuno di noi.«Il vero pudore lotta in favore della persona, perché la comunicazione non si trasformi in strumentalizzazione, né in un esibizionismo che in realtà la vorrebbe distante dagli altri in una compiacenza narcisistica» (Ferrari, Rossi, Melesi).Il dialogo tra due partners che si muovono fianco a fianco sarà ricco di gesti e movimenti. «Un vicendevole atteggiamento di ascolto provocherà una risposta intonata e sagomerà un susseguirsi ininterrotto di figure complementari» (Ferrari, Rossi, Melesi).Importante in questo lavoro di incontro è creare le condizioni favorevoli all'empatia. Due principalmente:- il silenzio: partecipazione all'azione mimica degli altri;- una attenzione incondizionata all'altro, espressa con uno sguardo aperto e realizzata con un muoversi verso l'altro in maniera chiara e pulita.Si possono imitare persone o cose.- L'imitazione di persone.

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Essa è frutto di immagine attenta e penetrata, sommata ad una certa capacità interpretativa e poetica (il mimo è 'astratto') per cui il personaggio diventa frutto non solo di scelte ma di trasfigurazioni operate dal mimo. «Non si tratta di fotografare, ma di ricreare nel modo più convincente possibile e, in qualche caso, giungendo sino alla poesia scenica» (Bongioanni M., 1977). Si possono avere delle situazioni generiche, come l'imitazione «del vecchio» o «del bambino», «del ricco» o «del povero», «dell'operaio» o «dell'impiegato» che consentono al mimo di riprodurre un fatto qualunque in una certa chiave di età, temperamento, sesso, condizione sociale, educazione, ecc., per rendere così l'idea del personaggio. Le situazioni specifiche invece non consentono di riprodurre un fatto qualunque in una certa chiave; vogliono un fatto determinato in una determinata dimensione con rigorosa espressione degli elementi che caratterizzano «quel fatto» e «solo quello». Altrimenti l'osservatore si troverebbe in condizioni analoghe a quelle di un lettore di giornale che viene disturbato da una mosca» (Bongioanni M., 1977).- L'imitazione di cose: È ancor meno facile perché manca il parametro del comportamento umano e bisogna inventare lo stesso atteggiamento e gesto.- Inventare i personaggi: Per realizzare la storia che avete progettato dovete inventare particolari personaggi. Ma spesso l'invenzione stessa del personaggio suggerisce una storia.Un personaggio si differenzia dagli altri per la forma del suo corpo, per i suoi abiti, per la fisionomia del suo viso, soprattutto per l'espressione che ne caratterizza il volto. I personaggi della drammatizzazione dovranno quindi essere inventati anche nell'abbigliamento da realizzarsi però sempre in modo libero, fantasioso e soprattutto semplice, ad esempio usando i fogli di carta dipinta, pezzi di stoffa, vecchi abiti reinventati. Ma sarà soprattutto il viso a fornire le caratteristiche più forti del personaggio. Un viso che nella maschera dovrà risultare espressivo, più che «bello» o realistico: la maschera, cioè come oggetto che evidenzia i tratti distintivi di un volto e che consente di identificare il personaggio. I personaggi dovranno essere abbastanza numerosi e tutti, dal più al meno importante, dovranno essere abbastanza numerosi e tutti, dal più al meno importante, dovranno avere la loro funzione attiva durante il racconto.Nel momento in cui si va in scena è importante che ogni ragazzo sia «caratterizzato» in modo da polarizzare l'attenzione dei ragazzi spettatori.Caratterizzare un personaggio vuol dire attingere alle proprie disponibilità mentali, fisiche ed emozionali ossia inquadrarlo e definirlo non solo esteriormente (con un segno fisico, un difetto di lingua, ecc.), ma interiormente in una dimensione spirituale che si esprimerà poi nella mimica, nella gestualità, nel comportamento a cui arriveremo anche attraverso le tecniche della espressione corporale. Per riuscire in ciò bisognerà basare questa attività sull'osservazione di persone appartenenti alla realtà quotidiana. L'attenzione andrà posta non in molti gesti o parole, ma in pochi (anche solo in uno) purché precisi ed eloquenti.Ci possiamo aiutare in questa individuazione caratteristica con alcune domande:- cognome, nome, età, celibe, fidanzato, coniugato, separato, ecc.;- dimora abituale (nord o sud ?), religione, mestiere, ecc.;- tipo di ambiente sociale, conoscenze, amicizie, ecc.;- costituzione fisica;- che tipo incarna ? (ladro, ipocrita, santo, nervoso, ecc.);- cosa pensa ?;- come parla ? (in modo colto, banale, volgare, vivace, originale, ecc. e tono di voce usato);- come guarda ?;- come ride? (e specialmente di che cosa ride e di cosa non ride);- come gestisce ? (con prontezza, precisione, energia, ecc.);- come cammina ?;- come mangia ?;- come ascolta ? (attento, cortese, formale, indifferente, ecc.);- espressione dominante (emotiva, calma, tesa, eccitata, cordiale, preoccupata);La caratterizzazione può essere fornita da una sola risposta centrata bene. La risposta la possiamo trovare guardando dentro di noi o intorno. Il nostro quotidiano può essere trasferito, con molta facilità, nel racconto che stiamo costruendo; è anche più semplice poi rappresentarlo. I personaggi, ora che sono stati delineati, vanno coinvolti in avventure, in incidenti, in scontri ed incontri, insomma devono «agire» in modo espressivo, significativo e comunicativo di un messaggio agli altri.

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L'adulto può aiutare il ragazzo facendolo rispondere alle seguenti domande: chi è questo tuo personaggio? (domanda a cui ha risposto precedentemente); dove va il tuo personaggio? quando avviene tutto questo? come fa? perché avviene tutto questo? con che cosa e con chi?Si possono imitare oggetti facili e più difficili, in entrambi i casi però «non è facile piegare se stessi fino ad esprimere comprensibilmente il linguaggio delle cose» (Bongioanni M., 1977). Se si vogliono imitare cose, occorre prima osservarle attentamente; questo tipo di mimo non è facilmente rappresentato con il corpo, per cui molto spesso ci si sente suggerito dal pubblico che osserva il nome di un oggetto estraneo del tutto alla mimica che si stava facendo.Le cose da mimare possono essere tante, come una pentola che bolle, un portachiavi, il fuoco, una foglia spinta dal vento, un foglio di carta che vola, ecc. Con queste attività espressive si persegue lo scopo di riuscire a controllare il proprio corpo; si parte dall'immaginazione, poi piano piano si passa all'azione. Questi esercizi non devono essere appannaggio delle persone, ma tutti coloro che sentono, che si immaginano di essere quell'oggetto e quell'azione dovrebbero cimentarsi.

8.16. Percezione e immaginazione

I sensi offrono la possibilità di analisi e sintesi di informazioni fornendo al S.N.C. i dati necessari al riconoscimento di configurazioni note ed ignote e di configurazioni significative per analogia con l'esperito percettivo.. La Vista: Gli occhi vengono definiti «finestra dell'anima non solo perché il proprio Io, attraverso i propri occhi, guarda fuori, ama anche perché può vedere dentro l'altro. Tutta la realtà non ha solo una «faccia» ma anche un «cuore», e «vederla umanamente» significa penetrarla in profondità. Solo questa visione umana fa nascere una relazione, porta al possesso, alla comunione.160

. Il Tatto: «Un altro senso importante per l'uomo. e quindi per ogni attore. Pensiamo che nei cechi e nei sordi arriva a sostituire la vista e l'udito ed, in qualche modo, riesce a trasmettere forme colori e suoni. Il toccare cose, persone, noi stessi, ci dà la sensazione di una esistenza reale, concreta, più vera. Ci pare che l'uomo contemporaneo sia regredito assai in confronto a questo suo mezzo di comunicazione: per esempio la stretta di mano è diventata un gesto conformistico, il più delle volte» (Ferrari, Rossi, Melesi, 1981). Tutta la superficie del nostro corpo è capace di sentire, ma le parti più esercitate sono le mani e i piedi.161

. L'Udito: Riceve solo, a differenza della vista, che riceve e comunica messaggi. Ascoltare è un esercizio da recuperare, è un atteggiamento da imparare, è «vedere» una realtà spesso invisibile agli occhi. L'educazione dell'udito resta fondamentale per chi vuole rispondere «a tono», per chi desidera suscitare nel proprio spirito una nuova serie di sentimenti che amplificano la nostra sensibilità. La stessa parola, alle volte, è insignificante quando manca un ascolto limpido ed effettivo. Per esercitare l'udito dobbiamo non solo memorizzare i rumori che casualmente o no vengono di giorno e di notte, ma dobbiamo anche ascoltare più musica possibile. Specialmente la musica dei grandi maestri. «La musica ci può dipingere

160 In questa logica diventa comprensibile il fatto, strano a noi europei, che le donne in Oriente vadano in giro con il volto coperto e difficilmente si lascino fotografare: «Mi porti via con te!», ci siamo sentiti rispondere al nostro «perché?» (Ferrari, Rossi, Melesi, 1981). Proponiamo alcune esperienze per esercitare la vista: a) - Elencare e descrivere tutto quello che abbiamo visto nella giornata, cercando di ricordare anche i particolari più insignificanti. Ad un certo punto sarà conveniente restringere il campo di osservazione, ad esempio ricordare le persone che hanno viaggiato con noi in tram; uomini e donne incontrate per la strada. Importante sarà ricordare qualche dettaglio caratteristico: aspetto fisico, colore e moda dell'abito, capigliatura, qualche particolare del volto, la mimica facciale, la maniera di camminare, di gesticolare. Alla fine arriveremo ad esprimere anche qualche osservazione di natura psicologica. b) - Dopo aver teso una tela bianca-schermo e collocata dietro una candela accesa (o altra fonte luminosa), distante circa un paio di metri, far passare dietro lo schermo diverse persone. Si tratta di indovinare chi passa dalla sua silhouette proiettata sullo schermo. Il gioco diventa spettacolo se chi passa, improvvisa rapidamente un'ombra drammatica.c) - Dopo aver mostrato per alcuni minuti dei volti veri o in fotografia o più maschere disegnate in grande, tentare di ricostruire l'identikit più fedele possibile.In seguito esporre i singoli disegni, cercando insieme di perfezionarli e di arricchirli di particolari.161 Alcuni esercizi per il tatto: a) - A piedi nudi proviamo a camminare sulla terra umida, in un prato, sull'asfalto, sulla spiaggia, pensando con forza: «cammino sul pianeta terra che sta sotto i miei piedi. Mi sento sicuro. Ma questo non è solo il mio piedistallo, è di tutti, di oltre quattro miliardi di persone e la terra mi collega con tutti». È un esercizio che richiede una certa capacità di concentrazione, ma porta a rivivere un senso cosmico che ci ridimensiona. b) - Con gli occhi bendati, individuare, col solo tatto, i tanti oggetti esposti sul tavolo. Oppure riconoscere le persone che ci stanno attorno, gli animali, il luogo dove mi trovo, e ancora distinguere i tessuti, semi, frutta. c) - Fingere di toccare qualcosa di caldo, di freddo; un oggetto morbido, pungente, aspro, duro; di prendere in mano una patata bollente ...

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un'alba o un tramonto, farci sentire una marina, immergerci in una tempesta, aiutarci a gustare una pioggia nel parco, o sognare una cavalcata di cosacchi» (Ferrari, Rossi, Melesi, 1981).162

È chiaro che solo con un certo allenamento dell'udito, anche senza conoscere la lingua, si arriva a distinguere la nazionalità di chi parla. È questo possibile anche ascoltando i numerosi dialetti italiani registrati nel conversare della gente.Il Gusto e l'Olfatto «Sono un prolungamento del tatto, un sentire aspetti che l'esterno del nostro corpo è incapace di percepire. Saper gustare ed odorare significa acquistare nuove conoscenze equilibratrici della nostra personalità, stabilire rapporti più precisi, e quindi, successivamente, riuscire a comunicare con maggior varietà e completezza. Solo chi ha realmente gustato gli spaghetti napoletani, oppure chi ha odorato il profumo di un gelsomino è poi in grado di trasmettere al suo pubblico profumi o sapori ed anche senza la presenza di fiori e della 'pummarola'. Siamo convinti che persino chi ha raggiunto una certa età può ritrovare l'allegria e il sapore della vita attraverso i suoi sensi. Così anche l'autunno, per dirla con Camus, diventa una seconda primavera dove tutte le foglie sono dei fiori» (Ferrari, Rossi, Melesi, 1981).Gusto e olfatto sono sensi espressivi e comunicativi, quindi drammatici.Alcuni esercizi per il gusto e l'olfatto:a) - Con gli occhi bendati scoprire dal semplice odore o sapore, cos'è una certa farina, un liquido, un cibo...b) - Fingere di bere un liquido amaro, dolce, bollente, gelato e ancora fingere di aspirare odori differenti: piacevoli o sgradevoli, profumi di vivande, di ciprie, o di uova marce.Possiamo poi vedere l'importanza che hanno altri nostri strumenti naturali di espressione e di comunicazione.- Il Volto: La parte più espressiva del nostro corpo è la testa, in particolare il volto, in forma eminente gli occhi. Il volto è veramente segno distintivo ed evidente della nostra individualità, immagine precisa di ogni personalità, più ancora dell'impronta digitale. «La singolarità del nostro volto esclude qualsiasi ipotesi di una sua produzione in serie. Ed è proprio il volto il primo e più significativo mezzo espressivo dei nostri sentimenti. Sul volto degli altri leggiamo il loro stato d'animo; con il nostro lo comunichiamo. E nel volto gli occhi sono lo specchio più fedele dell'anima, rivelano il battito del cuore. Volto e occhi partecipano sempre alla vita affettiva di ogni parte del nostro corpo: immediatamente vivono il dolore di un callo, la ferita di una mano, un mal di pancia. Uno sguardo vuoto diventa un animo vuoto. E non c'è trucco che possa riempire di sentimento e rianimare il volto spento». Non ci dobbiamo molto preoccupare della mimica facciale, perché essa si configura da sè, mediando l'intuizione, l'emozione o rivivendo un personaggio. È bene però aiutarla per la massima resa; quindi la si deve educare, sviluppare. Per questo sarebbe assai utile conoscere la funzionalità della muscolatura del viso. Ciò si può fare mettendosi di fronte allo specchio.163 Dobbiamo vedere il nostro volto e quello degli altri. Spesso, nella vita, rischiamo di vivere accanto a persone senza mai vederle. Al punto tale, in caso di necessità, da non riuscire a descriverne il più rudimentale identikit.- Le Mani: «Le nostre mani…indicano o descrivono, accarezzano o schiaffeggiano, e purtroppo sanno anche uccidere...Sembrano gli esecutori più attivi e fedeli del 'capo'. Con il volto, sono i più efficaci strumenti naturali di espressione. Non solo sanno scrivere e dipingere, ma leggono anche, comunicano e fanno teatro» (Ferrari, Rossi, Melesi). Chi recita per la prima volta di solito non sa dove tenere le mani, le sente quasi inutili e ingombranti. E non è facile insegnare come usarle, dove metterle, come armonizzare i loro movimenti con l'espressività di tutto il corpo. Più difficile ancora è insegnare ed esprimere i propri sentimenti con le mani soltanto.«Per prima cosa è importante scoprirne la forza espressiva e la capacità di dialogare. Esse sono veramente la 'longa manus' del cuore e del cervello umano; esse ci diversificano sostanzialmente dalle bestie, mettendo in evidenza le caratteristiche della nostra personalità: temperamento, attitudini, debolezze e passioni. Da una stretta di mano possiamo capire, immediatamente, se la persona che incontriamo si stima

162 Alcuni esercizi per l'udito:a) - Ascoltare prima il suono degli strumenti che compongono l'orchestra: pianoforte, violino, viola, violoncello, cornetta, corno, fagotto, tamburi, grancassa... E imparare a distinguere il suono. Sapremo individuare i singoli strumenti e il loro valore nel successivo ascolto di una fantasia per orchestra?b) - Distinguere le diverse lingue ascoltate alla radio: inglese, spagnolo, tedesco, russo, portoghese.163 «Abbiamo provato ad insegnare la mimica del viso e ci siamo resi conto della sua impossibilità: ne venivano fuori solo smorfie. La ricerca, l'allenamento di questa parte del corpo è decisamente personale, anche quando viene fatta davanti al proprio partner, dal volto del quale riceveremo messaggi, al quale li trasmetteremo» (Ferrari, Rossi, Melesi, 1981).

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o ci vorrebbe morti. Osservando con occhio attento, curioso e meravigliato le nostre e altrui mani, noteremo tanti gesti insignificanti, movimenti disordinati, segni contradittori» (Ferrari, Rossi, Melesi).In riferimento ai soli gesti quotidiani, ne possiamo trovare molti codificati nel linguaggio internazionale o in quello regionale.164

8.17. Problemi

La disaffezione culturale occidentale all'impiego di un codice sociale non verbale, ha determinato diversi inconvenienti. Ne individuiamo alcuni osservati in situazioni didattiche:a) Perdita di una capacità di immedesimazione con le persone o le cose. La perdita cioè di quella qualità che appare meravigliosa nei bimbi, per cui essi sono capaci di imitare qualsiasi cosa si presenti loro davanti, con estrema disinvoltura. La capacità di «mimare» un atteggiamento, un animale, un fiore, che i bambini possiedono nei primi anni della loro esistenza (e che conservano ancora durante il periodo delle elementari in maggiore o minore misura) va gradualmente spegnendosi o atrofizzandosi gravemente. Certamente la forza di imitazione costituisce per il bambino un acquisto di conoscenza, una libera occasione di rapporto con le persone e gli oggetti.Quando per la presenza di un certo tipo di educazione (repressiva) nella famiglia e nella scuola, tale forza viene inibita, è logico che subentri una normale diffidenza per la forma di espressione che al contrario esige prontezza di penetrazione e di rapporto con la realtà, un senso di stupore e di meraviglia intatti, per cogliere la novità di quanto ci circonda e per entrare in rapporto immediato con il proprio gestire personale e collettivo.b) Formazione dello stereotipo personale di gruppo. Succede spessissimo quando si propone ad un gruppo scolastico di realizzare un episodio e di esprimerlo gestualmente, di avere come reazione un insieme di modelli stereotipati, banali, inespressivi. Il gruppo di classe potrà avere l'impressione di aver creato qualcosa di originale nel presentare un personaggio, nel creare un movimento, nello stabilire un ritmo. Realmente si è illuso, ricalcando un modello che è privo di significatività, proprio perché è desunto da un riferimento culturale che ha ammortizzato qualunque originalità, qualunque inventiva.Il riferimento e il bagaglio culturale al quale un gruppo facilmente fa credito è quello dei fumetti, dei romanzi, sceneggiati televisivi di enorme successo, della pubblicità, di caroselli, ecc.: tutto un contorno di cultura di massa e massificante che ha condizionato profondamente il giudizio critico e quindi la possibilità di una resa autonoma e precisa. In tali condizioni il gioco della gestualità naturalmente sarà inibito, dissociato e, in una parola, non comunicativo.c) Scoordinamento psicomotorio del singolo e del gruppo. Anche senza rilevare grandi deficienze di scoordinamento specifico e un intervento diretto dell'educazione psicomotoria, si avverte che il gruppo imbastisce un episodio sul modello di una gestualità mimica che non è in grado di rendere fluido, ordinato, coerente il seguito degli interventi. Si percepisce una frattura fra il linguaggio parlato ed espressione mimica; i diversi gruppi di figurazioni mimiche non si rapportano giustamente fra loro, la coordinazione «significativa» del movimento dei singoli non riesce a coagularsi.Questo fatto succede anche con gruppi di bambini o di ragazzi che possono essere abili in un determinato sport o disinvolti da un punto di vista di allenamento di ginnastica personale. Gli esercizi di ginnastica ai quali sono abituati non li conducono sempre a coordinare respirazione e movimento, a trovare spontaneamente momenti di rilassamento fisico, dopo uno sforzo, a concentrarsi rapidamente per inserirsi i un intervento collettivo.d) Inibizione della gestualità personale di gruppo. Da un altro punto di vista si presenta il fenomeno già indicato sotto la perdita di capacità di immedesimarsi attraverso il linguaggio mimico nelle persone e nella realtà in genere, e ritorna, sotto un diverso aspetto, la conseguenza della formazione dello stereotipo espressivo. Viene giudicato addirittura «scorretto» ad esempio l'uso della voce su volumi alti, su libri grotteschi, in corrispondenza di un tema che richiederebbe proprio tale situazione.

164 Alcuni esempi: - per arrenderci alziamo le mani; -per salutare, agitiamo il palmo, oppure, come si insegna ai bambini, l'apriamo e la chiudiamo più volte; gli orientali congiungono le mani e le avvicinano al volto; -per condannare a morte, pollice verso; -per incoraggiare, battiamo una mano sulla spalla; -per interrogare, riuniamo l'estremità delle dita; -per applaudire, battiamo le mani; -per imporre il silenzio, accostiamo l'indice alle labbra; -per chiedere, stendiamo la mano; -per imbonire, gratificare... accarezziamo.

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Si giunge anche a pensare di no «avere più la capacità» di compiere un movimento del resto normale, abbastanza semplice; non si riesce a concepire un'immagine gestuale che sia significativa in rapporto ad un oggetto che si vorrebbe trattare con il linguaggio gestuale.Il fatto lo si verifica non soltanto fra gli adulti ed i giovani, che potranno anche portare la scusante (del tutto aleatoria) che un lavoro di espressione gestuale non è razionalmente motivato e «serio», ma lo si verifica anche tra i ragazzi e talvolta in età precoce.e) L'ambiguità della espressione significativa. L'automatismo espressivo scatta appena perviene uno stimolo «leggero» o «superficiale», prende il posto della spontaneità espressiva.Il movimento gestuale deve essere liberamente e generalmente trovato dal gruppo; quindi il gruppo è legittimato nella sua esibizione gratuita di qualsiasi sua espressione. Il movimento spontaneo è veramente libero, è abitualmente il risultato di una ricerca, di un confronto anche pesante e faticoso, che il gruppo ha compiuto per saggiare la funzionalità espressiva di alcuni modelli, di soluzioni che non sono sbocciate al primissimo proporre un tema. La serietà della animazione in genere richiede anche una forma di allenamento ed una coerenza di lavoro di gruppo, che è più gravosa e più dura che non il normale lavoro di routine scolastica.Tenendo presenti tali difficoltà, riteniamo che un lavoro didattico per gruppi si svolga a ritrovare una espressione mimico-gestuale (come propria autonoma forma di comunicazione), debba perseguire metodicamente due prospettive di lavoro al fine di: A) realizzare una forma di tirocinio o di allenamento; B) realizzare immediatamente alcuni esperimenti di linguaggio gestuale. Gli obiettivi saranno: 1) la tensione socializzante del lavoro; 2) il valore significativo della espressione e del movimento gestuale.

8.18. Mezzi e tecniche

Il dilettantismo nell'insegnamento delle tecniche gestuali è un grosso problema che investe non solo le scuole di mimo, ma anche la formazione di educatori ed operatori del tempo libero, a cui spesso vengono propinati i seminari più disparati (e disperati) che seguono indirizzi e tendenze diverse, spesso contraddittorie. La grave disoccupazione giovanile pesa sia sulle spalle dei futuri attori sia sulle spalle dei bambini: vediamo come i giovani disoccupati che si improvvisano insegnanti di teatro lo possono fare indisturbati, essendo, il teatro, una disciplina che si può praticare senza possedere diplomi o attestati, il chè potrebbe essere anche giusto, data la situazione delle nostre scuole e accademie, soprattutto per gli attori, ma è inammissibile per gli insegnanti.Ad una giusta ed importante domanda di liberazione del proprio corpo, nel campo dello spettacolo, la risposta è troppo spesso affidata ad un concetto di mimo che fissa su pose statuarie il soggetto, in un'angosciosa ricerca di uno spazio mimico dove liberarsi, scatenando le proprie energie represse (talvolta le proprie frustrazioni e carenze caratteriali), con l'illusione di ritrovare in tal modo un paradiso perduto, lontano il più possibile da ogni aggressione e problematica sociale.Distinguiamo a questo punto tre modi di fare teatro: come lavoro (e quindi parliamo di professionismo), come hobby (e allora parliamo di dilettantismo), come educazione. Per quanto riguarda invece i modi di vivere il teatro, possiamo rilevare diverse finalità: il teatro dei dilettanti (gruppi di base) si preoccupa della creatività e dell'espressione ed il teatro dei professionisti si dovrebbe preoccupare della creazione e della comunicazione. «Certo per divertirsi a fare teatro non c'è bisogno di imparare nessuna tecnica. Per giocare sì, devi conoscere le regole del gioco. Entro queste regole giochi, fuori da esse rischi di barare. Il bisogno di divertimento, di gioia, è un bisogno legittimo che non va però confuso con la creazione teatrale».La tecnica quindi diviene un mezzo, e non un fine. Si può arrivare a superare la tecnica, ma solo dopo averla acquisita.La coscienza di ogni movimento nello spazio, tramite equilibrio, respirazione, tensione, è tecnica di base che permetterà una migliore espressione e comunicazione. Queste considerazioni sono rivolte a coloro che intendono fare dell'espressione e dell'animazione teatrale con la serietà e l'impegno personale e tecnico che un tale lavoro richiede. Vista la complessità e la molteplicità di aspetti che essi investono, poniamo l'improvvisazione al massimo traguardo di colui che ha già fatto la sua tecnica ed è quindi capace di «investirla» di creatività. L'improvvisazione non è il punto di partenza dello sprovveduto.Per incominciare uno studio sul gesto e sul corpo sarà utile dividere in due momenti diversi il lavoro: 1) studio per prendere coscienza del proprio corpo; 2) studio per esprimere attraverso il proprio corpo.

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1) - Dovremo per questo scopo diventare padroni dei nostri movimenti e della loro coordinazione: camminare, correre, girarsi, piegarsi, sdraiarsi. Si tratta di cominciare uno studio sulla tecnica dei movimenti, in modo che ogni movimento possa venire «analizzato», per essere «espresso» con il «minimo» sforzo e per un «massimo» risultato. Analizzando il saluto noi formalizziamo nella stretta di mano il desiderio di toccarci. Se immagino di salutare qualcuno potrò: a) usare nello stesso tempo parola e gesto; b) usare prima la parola e dopo il gesto; c) usare prima il gesto e dopo la parola; questo cambierà il significato di ogni saluto. Osservando poi il tipo di movimento potremo attribuirgli intenzionalità diverse secondo «l'ondulazione» del corpo: un movimento che sale avrà un significato più fisico, mentre un'ondulazione inversa, che incomincerà dalla testa, assumerà un significato psicologico.165

Secondo R. A. Hinde le metafore basate sul contatto fisico ci forniscono in modo soddisfacente il mezzo per esprimere le emozioni associate ai diversi contesti. Infatti noi diciamo: toccare il cuore, afferrare l'attenzione, urtare i sentimenti o tenere in pugno qualcuno. Aprire le braccia alla fine di un numero da parte dell'acrobata del circo è un movimento intenzionale che esprime il desiderio di abbracciare il pubblico. Così l'applauso non sarebbe altro che il «battere sulla schiena a distanza» come dimostrazione di affetto e di fiducia. Abbiamo visto quindi come il gesto sia un movimento significativo ed intenzionale. Il movimento è il mezzo per arrivare al gesto e parleremo quindi di frase gestuale quando i gesti sono uniti fra loro in modo logico e conseguente.2) - Si osserva per imparare, per cambiare, per modificare, per migliorare e non per riprodurre scolasticamente, meccanicamente. Il gesto deve poter divenire continuamente, deve avere dentro di sé il germe della modificazione, perché se fosse cristallizzazione di un pensiero (o riproduzione convenzionale) morirebbe di asfissia. Il rischio più grosso per una scuola di teatro è quello di creare freddi e diligenti esecutori di esercizi meccanici (a cui magari si finisce per rimproverare la scarsa creatività). Ogni spostamento corrisponde allo spostamento di una massa d'aria: se sollevo un braccio dovrò sollevare in me uno stato d'animo parallelo e sentire che attraverso il mio movimento lascio una traccia fuori di me nello spazio, e dentro di me nei miei sentimenti. Ogni gesto dovrà avere una giustificazione interiore: solo in questo modo non rischieremo di fare gesti gratuiti, formalistici, ginnici.

8.19. Lo spazio scenico

Altro elemento fondamentale della tecnica dell'espressione è la creazione dello spazio. Non dobbiamo certo addestrare i ragazzi ed i giovani a costruirsi le scene, secondo le loro connaturali capacità di allestire un divertimento. Se una serie di improvvisazioni possono essere accettate e stimolate all'interno di un gruppo scolastico, lo stesso gruppo deve acquisire ed esprimere una coscienza critico-creativa dello spazio in cui si trova e riuscire ad elaborare una progettazione dello spazio euclideo. Inoltre, nel momento stesso in cui si formula l'importanza di una certa sensibilità spaziale, i ragazzi devono essere consci di coinvolgere anche gli altri elementi, cioè l'espressività della voce e del gesto, il problema della maschera e del costume. Qualunque esperimento di drammatizzazione condensa un insieme di fattori, difficilmente sezionabili e separabili gli uni dagli altri.Abbiamo detto che lo spazio è tridimensionale e deve essere sentito e sfruttato secondo tale caratteristica. Gli allievi ne devono avere già una esatta conoscenza e coscienza e possono ora giungere ad una riproduzione del reale traendola da una foto, da uno schizzo, da un disegno; devono cioè iniziare a riprodurre una struttura bidimensionale, una rappresentazione, in modo preciso nella realtà tridimensionale dello spazio in cui si muovono, o viceversa, riuscire a riprodurre su carta un qualsiasi ambiente.Valorizzare lo spazio in una esperienza di drammatizzazione esige di apprezzare la pluralità insospettata di direzioni nelle quali un'azione collettiva si esplica.L'azione del gruppo, proprio perché si qualifica come intervento fisico materiale in uno spazio e per modellare uno spazio, suppone nei membri del gruppo una esatta consapevolezza delle dimensioni spaziali. Avvertiamo anche che la coscienza dello spazio suppone di aver colto l'esistenza di determinati rapporti

165 Francoise Del Sarte osserva che nelle persone particolarmente portate all'azione i movimenti cominciano dalle membra; nelle persone emotive dalle spalle; negli intellettuali dalla testa. A molte persone, se durante una discussione vengono fermate le mani, dicono: «ma perché non mi lasci parlare?». Allo stesso modo, camminando per strada, discutendo e gesticolando, riusciremo ad interrompere verbalmente il nostro interlocutore semplicemente fermandoci di scatto. L'arresto del movimento provoca -in questi casi- l'arresto della parola. Camminare insieme in accordo di idee, parlando, significa spesso camminare al passo. Se le persone sono in disaccordo, anche il loro modo di camminare subirà un «contrattempo» nel passo.

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con oggetti e persone che si trovano nel medesimo spazio per un motivo o un altro. Essere in una precisa situazione spaziale significa trovarsi in un insieme (semplice o complesso) di rapporto con le cose e in un insieme di rapporti interpersonali. Si tratterà di vedere come lo spazio stesso è suscettibile di una mutazione, in rapporto al variare di un fattore o in rapporto a tante cause. Cogliere la preesistenza e il significato di determinati rapporti oggettivi (con gli oggetti dello spazio) e personali porta anche a stimare, oltre che le dimensioni fisiche, una dimensione interiore: lo spazio si trasforma in ambiente in proporzione alla coscienza che il singolo e il gruppo hanno dello spazio che possiedono, e in proporzione alle capacità di elaborare e alterare le dimensioni preesistenti.Importante sarà anche una espressione diretta del rapporto costante fra fuori e dentro la scuola, attraverso l'esplorazione e la ricerca del proprio modo di identificare la realtà, in modo da arrivare attraverso questa autodefinizione più facilmente all'altro, per scoprire ed organizzare più precisamente le relazioni nell'ambiente con le cose, e con gli altri, ragazzi ed adulti. Questa conoscenza della realtà verrà analizzata e rappresentata con tutti gli strumenti a disposizione, con tutti i linguaggi.- Lo spazio dello spettacolo: Lo spettacolo fin dall'antichità ebbe grande importanza nella vita sociale degli uomini, ma lo spazio in cui veniva rappresentato è stato diverso a seconda dell'epoca e della civiltà.Gli antichi greci utilizzarono per i loro spettacoli edifici senza coperture, con una gradinata a semicerchio per gli spettatori, adagiata sul pendio di un colle e chiamata «cavea». Alla base della gradinata vi era una zona, il proscenio, dove gli attori recitavano, e un altro spazio, l'orchestra, in cui stava il coro che accompagnava ogni azione teatrale. Nello spettacolo greco vi era da parte degli spettatori un riconoscimento immediato dei personaggi e del loro ruolo, perché gli attori, tutti uomini, recitavano indossando delle maschere facciali. Queste maschere erano rosse per indicare personaggi maschili, bianche per quelli femminili, nere per rappresentare i demoni.Ogni spettacolo non sempre si realizza in un luogo appositamente costruito. Negli ultimi anni vi sono stati anche spettacoli allestiti per le strade, nelle piazze, nelle cantine: si utilizza quindi l'habitat dell'uomo quale scena naturale. Lo scopo è quello di spezzare la tradizionale divisione tra platea e palcoscenico, che creava una separazione tra spettacolo e pubblico. Per questo si tende ad utilizzare qualunque ambiente che permette una comunicazione più diretta e continua tra attori e spettatori.Il pubblico, secondo gli spettacoli, può essere disposto intorno alla scena, oppure da un lato, o al centro dello spazio stesso, in modo che l'azione teatrale si svolga accanto a lui. Lo spettatore non si trova così ad assistere passivamente, ma viene a sentirsi in qualche modo direttamente coinvolto e partecipe dell'azione che si svolge. In questi spettacoli lo spazio è dunque determinante per la trasmissione del messaggio, poiché il suo significato non viene trasmesso solo all'attore, ma si completa nella «'risposta» del pubblico.Oggi abbiamo esempi di teatro mobile come il teatro tenda, che è costituito da un grande tendone dove si svolgono diverse forme di rappresentazione. Questo promette ad un pubblico numeroso di assistere con un basso costo allo spettacolo e, a volte, di essere direttamente coinvolto nell'azione teatrale.Il circo è un'arena provvisoria, cioè un teatro che viene montato ogni volta che la compagnia si sposta da un luogo ad un altro. È riparato da un grande tendone e vi si danno spettacoli che vedono impegnati vari specialisti: comici, danzatrici, domatori di belve, acrobati, giocolieri, cavallerizzi, ecc. Caratteristica di questo spettacolo è la «dinamicità», cioè il movimento contino dovuto all'alternarsi serrato dei vari numeri di attrazione. Questa dinamicità è sottolineata anche dalla musica e dal variare delle luci colorate.Il circo ha ispirato numerosi pittori che hanno fissato sulle loro tele i caratteri, i contasti, i colori vivaci, le espressioni tipiche di questo spettacolo. Tra le forme di spettacolo che si svolgono nell'habitat dell'uomo possono rientrare alcuni aspetti del folklore.166

166 Il termine folklore è usato per indicare il patrimonio di espressioni popolari (poesie, ballate, feste, leggende, fiabe, cerimonie religiose, giuochi, ecc.) caratteristiche di una città o di una regione o di un popolo e tramandate di generazione in generazione. Vi sono alcuni spettacoli folkloristici che si svolgono una volta l'anno, ai quali partecipa molta gente. Alcuni sono di origine medioevale, altri anche più antichi e, andati in disuso per molto tempo, oggi sono stati ripresi, soprattutto come attrazione turistica. In Italia sono molto noti il Gioco del ponte a Pisa, il Gioco del Calcio in costume a Firenze, la Giostra del Saracino ad Arezzo, la Corsa dei Ceri a Gubbio, la Quintana a Foligno. Il Palio di Siena, che si svolge nella piazza principale della città, è tra le feste più conosciute e non ha avuto interruzione attraverso i secoli. È una festa che fa rivivere nella città di Siena, intatta nella sua fisionomia antica, l'atmosfera della vita passata. Consiste in una gara che si svolge in costume tra le diciassette contrade in cui è divisa la città; ogni contrada ha un nome e una bandiera.

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- Coscienza e Creazione dello Spazio: Se parliamo dello spazio, vogliamo anzitutto rilevare che non ci adattiamo a considerare nella loro specificità le caratteristiche dello spazio scenico, appassionatamente indagate dalla saggistica specializzata, e spesso irrisolte nelle rappresentazioni teatrali. Possiamo dire schiettamente che le osservazioni si vogliono adeguare a quel senso spaziale, tante volte ristretto e mortificante, costituito dall'aula scolastica e dal lavoro che vi si svolge. Per questo stesso motivo non vogliamo allargare l'indagine sulla tecnica scenografica, né ripetiamo il tono di chi riduce il problema della drammatizzazione dei termini ambigui: addestriamo i ragazzi e i giovani a costruirsi le loro scene, secondo le loro connaturali capacità di allestire un divertimento. Il problema è un altro e si categorizza in questa domanda: se una serie di improvvisazioni possono essere accettate e stimolate all'interno di un gruppo scolastico, come lo stesso gruppo deve acquisire ed esprimere una coscienza critico-creativa dello spazio in cui si trova? Soltanto tenendo conto di questo interrogativo, solo nella misura in cui questa domanda non viene elusa, possiamo svolgere alcune osservazioni.Premettiamo che non ci si concede alla possibilità di isolare il problema dello spazio a confronto degli altri problemi (problema della maschera e del costume, espressività del gesto e della voce).Nel momento stesso in cui si formula l'importanza di una certa sensibilità spaziale, siamo consci di coinvolgere gli altri elementi, le altre circostanze dell'improvvisazione. Qualunque esperimento di drammatizzazione condensa un insieme di fattori, difficilmente sezionabili e separabili gli uni dagli altri. Facciamo convergere l'attenzione progressivamente su un elemento o su un altro, di uguale rilevanza; gli stessi esempi esibiti per sostenere alcuni rilievi possono essere ripresi per altri punti. Evitando, inoltre, un ritorno su definizioni abitualmente date a livello ideologico-filosofico sullospazio, notiamo un fatto, del resto di evidenza lapalissiana: lo spazio è tridimensionale, e deve essere sentito e sfruttato secondo tale caratteristica. Ciò comporta una netta, consapevole distinzione fra l'immagine e l'azione esposta da un documento o da un filmato.Valorizzare lo spazio in una esperienza di drammatizzazione esige di apprezzare la pluralità insospettata di direzioni nelle quali un'azione collettiva si esplica. L'azione del gruppo, proprio perché si qualifica come intervento fisico, materiale in uno spazio e per modellare uno spazio, suppone nei membri del gruppo una esatta consapevolezza delle dimensioni spaziali. Avvertiamo anche che la coscienza dello spazio suppone di aver colto l'esistenza di determinati rapporti con oggetti e persone che si trovano nel medesimo spazio per un motivo o un altro. Essere in una precisa situazione spaziale significa trovarsi in un insieme (semplice o complesso) di rapporti con le cose e in un insieme di rapporti interpersonali. Si tratterà di vedere come lo spazio stesso è suscettibile di una mutazione, in rapporto al variare di un fattore o in rapporto a tante cause. Cogliere la preesistenza e il significato di determinati rapporti oggettivi (con gli oggetti dello spazio) e personali, porta anche a stimare, oltre che nelle dimensioni fisiche, una dimensione interiore: lo spazio si trasforma in ambiente in proporzione alla coscienza che il singolo e il gruppo hanno dello spazio che possiedono, e in proporzione alla capacità di rielaborare ed alterare le dimensioni preesistenti.Un primo rilievo da avere presente è una constatazione ovvia. Trovandoci in un determinato spazio (una stanza, una cucina, un'aula scolastica, ecc.) siamo di solito disposti ad accettare una prefissata conformazione corrispondente all'uso che di quello spazio abitualmente si fa. Subiamo un canone prestabilito e ci adeguiamo a identificare una disposizione spaziale in relazione ad un'unica possibilità di vivere in un ambiente.167

Oltre a quanto già detto in precedenza è necessario, per coloro che intendono dedicarsi al mimo, imparare a riscoprire anche i movimenti quotidiani in una chiave scenica corretta. Partiamo ad esempio dal camminare; possiamo notare come il comportamento di ognuno di noi non sia altro che il risultato delle nostre abitudini. Possiamo parlare di portamento corretto se i nostri muscoli si muovono armoniosamente e di portamento scorretto quando i nostri muscoli subiscono contrazioni non equilibrate. Non dobbiamo però 167 A vincere questo atteggiamento possono essere utili esercizi di esplorazione dello spazio. Quali oggetti lo configurano in una specifica maniera e secondo una funzione? Questi stessi oggetti sono legati ad una posizione inamovibile, oppure possono essere ugualmente usati e sfruttati in una diversa collocazione? Il movimento di aprire e di chiudere la porta, il gioco fissato dalle finestre, quali condizionamenti impone? E potremo continuare a lungo con queste domande: è importante, in assenza, tenere presente che ognuno di noi sa organizzare lo spazio della propria casa in rapporto a esigenze diverse, a circostanze impreviste o ricorrenti. Ad esempio, senza alcun imbarazzo, spostiamo sedie ed altre cose per le grandi pulizie o per rendere più comodo l'arrivo di altre persone per una festa. Possiamo anche, come esperimento-improvvisazione, preparatorio a un vero e proprio esercizio di drammatizzazione, rintracciare nella classe tutte le linee rette, le forme cubiche, le sfere, ecc., oppure possiamo prendere un oggetto qualsiasi e vedere quali corrispondenze vi troviamo con altri oggetti, con il disegno della stanza; osservare quali atteggiamenti e quali forme di gestualità suggerisce.

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considerare la posizione del corpo in piedi come una posizione statica, bensì come un'azione che si svolge in condizioni di equilibrio.168

L'immaginazione può essere sviluppata ed è la base dell'improvvisazione; in quest'ultima sarà importante fissare un inizio ed una fine e lavorare dentro due punti estremi. Altro momento fondamentale per una improvvisazione è la osservazione degli altri per trovare la giustificazione dei loro movimenti per poi sapere perché e come noi ci stiamo muovendo.

8.20. La respirazione

Ruolo fondamentale nella personalizzazione e nella significazione di un gesto è la respirazione. Troveremo la respirazione dei diversi esercizi, nell'acrobazia, nei salti, e vedremo anche quando la respirazione non sarà solo il sostegno di un movimento, ma sarà espressione autonoma. Nella respirazione vanno distinti, oltre ai tempi di espirazione e di inspirazione, anche una apnea alta (inspiratoria) ed una apnea bassa (espiratoria). In apnea alta compiremo ad esempio gli sforzi (lancio di un peso, dare uno schiaffo). Si tratterà sempre di movimenti veloci, di scatti, di cambiamenti di direzione. In apnea bassa, invece, ogni movimento sarà praticamente impossibile. Senza fiato crolliamo a terra e non sarà possibile rialzarci. Sarà importante durante la respirazione, non trattenere l'aria più a lungo di quanto il nostro fisico sopporti e controllare, contemporaneamente al respiro, che le braccia, le spalle, la schiena, le gambe non vengano coinvolte, non compiano movimenti incontrollati.169

«Se ci domandiamo: 'come respirare?' finiremo con l'elaborare un tipo preciso e perfetto di respirazione, forse quello addominale. Ma ecco che allora ci imbattiamo subito nella seconda domanda: Quale è il miglior tipo di respirazione addominale? E potremo tentare di individuare fra vari esempi un tipo di inspirazione, di espirazione, una particolare posizione della colonna vertebrale. Sarebbe un errore imperdonabile, poiché non esiste un tipo perfetto di respirazione valevole per ognuno e per ogni situazione fisica o psichica. La respirazione è una per ogni situazione fisica o psichica. La respirazione è una reazione fisiologica connessa a caratteristiche specifiche che variano a seconda degli individui ed è determinata da varie situazioni, tipi di sforzo, attività fisiche. I tipi di respirazione addominale sono comunque innumerevoli (Grotowski J., 1970).

8.21. Espressività della voce

Non vogliamo a questo proposito fare una accurata analisi, che potrebbe interessare il campo specifico dell'educazione musicale o altri settori tecnici. Come per i temi toccati in precedenza, ci possiamo limitare ad accostare il problema dell'espressione vocale come uno dei fattori attraverso cui si attua un esperimento di drammatizzazione. Dobbiamo anche qui riprendere alcuni rilievi costanti su cui abbiamo già insistito:

168 «Perdere l'equilibrio» significa, infatti, costringere i muscoli e i legamenti del corpo a sforzi che li danneggiano, facendoci assumere posizioni scomode e perfino dannose o artificiali. Dovremo fare attenzione a non attirare l'attenzione sui piedi, ma sul petto, che chiameremo «centro della personalità». Le braccia e le gambe non sono altro che il complemento di un'azione, il camminare, che parte dal busto. I movimenti delle braccia, a loro volta, dovranno partire dalla colonna vertebrale di cui bisognerà riuscire a sentire viva ogni vertebra. Passando alla corsa dovremo cercare di mantenere il peso del nostro corpo al centro. il petto fenderà l'aria come la prua di una nave e le gambe saranno il motore del movimento. Nel momento in cui il piede toccherà terra il peso del corpo verrà spostato sulla gamba che tocca terra; attraverso questo preciso spostamento di peso il corpo avrà alternativamente su di una gamba e sull'altra il suo equilibrio. Sarà importante anche cercare di sviluppare l'uso dei propri sensi per poter fare proprie tutte le sollecitazioni esterne ed imparare a riprodurle fedelmente. Vista: osservare gli altri, i movimenti della gente che corre e che cammina. Udito: ascoltare i rumori intorno a noi, cercare di riconoscerli e capire la direzione da cui provengono. Tatto: sentire ad occhi aperti e poi ad occhi chiusi per capire la differenza delle stoffe, delle superfici, riconoscere al tatto le persone. Olfatto: ricordare gli odori già sentiti, l'odore del caffè, l'odore di una stanza rimasta a lungo chiusa, ecc. Gusto: immaginare di bere una bevanda amara, sciropposa, e di mangiare un cibo piccante169 Vediamo in quale modo la respirazione può avere un suo significato drammatico autonomo, modificando il valore del movimento. Prendiamo un movimento semplice: quello di aprire una porta. L'apertura della porta senza una respirazione visibile sarà neutra; in espirazione comunicherà noia, fatica, delusione. Parliamo in questo caso di movimento negativo. L'apertura della porta in inspirazione comunicherà invece attesa, paura, desiderio, speranza. Parliamo in questo caso di movimento positivo. In apnea alta comunicherà rabbia, terrore o felicità estrema e sarà un movimento molto rapido. In apnea bassa avrà come seguito il crollo della persona che entra. Potremo usare la respirazione contemporaneamente al movimento od in sequenza (prima l'azione e poi la respirazione e viceversa) e vedremo come si modificherà nella sostanza il significato della nostra azione. Respirazione come controllo e come espressività. «Respirare un testo» per un attore significa scoprire il ritmo del personaggio e poterne interpretare le pause. Tutto ciò senza però mai dimenticare che ogni attore, come ogni ragazzo, è diverso dagli altri e che quindi ognuno avrà una propria respirazione.

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analisi di una potenzialità espressiva, antitesi fra creatività e stereotipo, espressività individuale e collettiva, ecc.170

Dichiarando le possibilità espressive della voce, non si intende trascurare l'espressività del rumore di suoni inarticolati che possono accompagnare un'azione.Non si ha bisogno di sottolineare il fatto che un semplice iterato trac-trac può essere di maggiore effetto espressivo di qualunque discorso in una precisa situazione drammatizzata; oppure un ritmo ottenuto con un tamburello, con il battito di un pezzetto di legno su un risuonatore, può creare una determinata cadenza che ordina esattamente lo svolgersi di un'azione, ne intensifica la significatività, ne stacca i diversi momenti, ecc. L'uso del rumore resta un campo aperto all'invenzione e alla provvidenziale sperimentazione scoperta dall'animatore dell'animazione e dal gruppo. Compete inoltre all'animatore dell'animazione avvertire come certe difficoltà di respirazione, avvertibili nella lettura, nell'impostazione di un dialogo, nel momento di concentrazione, nella posizione che il corpo assume per un esercizio di allenamento, immediatamente incidono sulle possibilità del singolo e del gruppo.Solitamente il dialogo a due è il luogo o il momento di naturale liberazione creativa della voce: in questa situazione l'intervento del singolo è più facilmente ripreso in una coesione di gruppo. Di solito il confronto fra un ragazzo abbastanza spontaneo e spigliato, e uno meno creativo, si rivolge a vantaggio di entrambi in una dimensione corale che rende omogenee le singole parti e i singoli apporti personali.Un'altra avvertenza da non trascurare è l'innesto reciproco di voce e di gesto, qualunque sia la situazione in cui si agisce, o qualunque sia la difficoltà che si incontra e che preme superare. La creatività mimico-gestuale è direttamente proporzionale ad un bagaglio gestuale ben assimilato e ad una attenta ricerca di nuove formule; così la creatività nell'uso della voce è direttamente proporzionale ad un uso adeguato (e creativo) del gesto, in un diretto rapporto con una acquisita funzionalità espressiva di voce e gesto coordinati. «L'errore più elementare è la supertensione della voce poiché ci si dimentica di parlare con il corpo». L'educatore sappia che un gesto ponderato è sempre più efficace di qualsiasi alzata di voce.

8.22. Espressività della maschera e del costume

A proposito di maschera e di costume riprendiamo la definizione offertaci dall'Enciclopedia dello Spettacolo:Maschera: il finto volto, umano, demoniaco o animalesco, forgiato, scolpito e dipinto su varie materie e atteggiato in tratti ed espressioni più o meno deformi per usi magico-rituali, bellici, ludici, decorativi e, soprattutto, spettacolari.La successione delle fasi di mascheramento avviene nel seguente modo: - mascheramento del proprio corpo dalla scoperta e organizzazione di sé, al controllo di esso mascherato attraverso la mimica, gestualità, voce;- modificazione della propria mimica attraverso l'autotrucco con colori, gessetti, nero-fumo, ecc.;- mascheramento attraverso l'uso di capi di vestiario costruiti con la carta, o per mezzo di vestiti scambiati con gli altri bambini o in disuso (anche da adulti);- mascheramento con la maschera significativa (tecniche di manipolazione della carta, cartapesta, das, pongo, creta, ecc.) che ogni bambino deve saper costruire per proprio conto; è sufficiente tuttavia anche una busta di carta ritagliata per gli occhi, naso, bocca e dipinta;170 Ci riferiamo rapidamente ad alcune definizioni comunemente accettate, utili nella fase preliminare di assaggio di un movimento espressivo e per un controllo più sicuro della portata significativa di alcuni risultati. Accettando una descrizione della voce, per cui questa è «l'insieme dei suoni che vengono prodotti a livello della laringe e alla cui produzione concorrono tre apparati: quello respiratorio, la laringe che rappresenta la sorgente dei suoni di cui regola l'ampiezza, le cavità naturali (faringe, cavo boccale, fosse nasali), che hanno la funzione di risuonatori, conferendo alla voce il «timbro». Analiticamente si riconoscono le diverse componenti della voce: - la durata del suono, che dipende dal protrarsi nel tempo delle vibrazioni emesse; - l'intensità o il volume del suono, per cui i suoni si distinguono in forti e deboli, e che dipende dall'ampiezza delle vibrazioni; - il timbro del suono, per cui si distinguono due suoni di uguale altezza e intensità, e si hanno quindi timbri chiari e metallici, gravi, pastosi, stridenti, nasali, gutturali, freddi, ecc.; - il ritmo (appoggiandosi per questo aspetto ad una definizione che non tocca soltanto la voce): il succedersi ordinato nel tempo di forme di movimento, e la frequenza con cui le varie forme di movimento si succedono; tale successione può essere percepita dall'orecchio (come alternanza di suoni e di pause, di suoni più intensi e meno intensi, ecc.) o dall'occhio (come alternanza di momenti di luce e di ombra, di azioni e di pause, di azioni simili tra loro e diverso tipo, ecc.), oppure concepita nella memoria o nel pensiero (avere o non avere il senso del ritmo: ritmo regolare, costante, continuo, intermittente; lento, veloce, sempre più veloce; ritmo concitato, frenetico, indiavolato, ecc.), oppure in relazione all'impressione psicologica che il ritmo produce (ritmo monotono, stanco, ossessionante, ecc.).

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- mascheramento con la maschera neutra, per cui la mimica facciale viene ad essere esclusa e quindi occorre comunicare con la gestualità ed altre parti del corpo, in atteggiamenti globali, posture e non con la voce;- mascheramento attraverso il burattino come trasposizione di un aspetto globale del comportamento, in un simbolo astratto, mediatore tra l'Io reale e il mondo esterno.Le maschere sono state largamente usate nell'antichità e, col passare del tempo, utilizzate in maniere diverse. «Una volta i generi teatrali erano molto divisi: le maschere venivano usate solo per le tragedie greche, la mezza maschera era appannaggio della 'Commedia dell'Arte', i mascheroni venivano impiegati per raffigurare mostri soprannaturali, mentre i pupazzi e i burattini erano relegati nel teatro per bambini. Ai nostri giorni si possono vedere spettacoli dove agiscono insieme attori, maschere e pupazzi di tutte le dimensioni» (Luzzati E., Conte T. 1977). Portare la maschera e recitare con quella non è così facile come sembra: «Perché gesti e movimenti devono essere completamente diversi da quelli naturali. Molti attori sotto la maschera continuano ad esprimersi naturalmente, senza capire che sono diventati un altro personaggio, e che quindi il gesto richiede un tempo ed un ritmo diversi da quelli abituali. Guai se il pubblico pensa che sotto la maschera c'è un uomo deve credere che la maschera è quell'uomo» (Luzzati E., Conte T., 1977).La maschera ha sempre assunto un significato simbolico: «Sin dai tempi antichissimi, le maschere furono un simbolo, in quanto attraverso esse si vogliono esprimere i fondamentali sentimenti umani i cui caratteri di perennità ed universalità vennero fissati e sottolineati dalla rigida schematicità delle linee, dal largo e sapiente impiego del colore, dall'esagerata accentuazione dei tratti fisinomici, espedienti che servivano ad accrescere la forza suggestiva della persona mascherata» (Gleiyeses V., 1972).La trasformazione magica attraverso la maschera costituisce parte integrante della scenografia: «La maschera, inserita nel teatro, rappresenta l'elemento magico popolare e permette una maggiore libertà nella scelta dell'argomento e nell'azione scenica: non è stata certo la tecnica teatrale a creare la vita delle maschere, dal momento che ne troviamo l'uso anzitutto nelle feste popolari. La loro vita si inserisce direttamente nel soggetto della rappresentazione e dà la propria impronta sia al movimento che alla sceneggiatura dell'azione drammatica» (Gliyeses V., 1972).Per quanto riguarda l'espressione: «Il volto può essere assunto come area di comunicazione specializzata» usata per comunicare atteggiamenti ed emozioni. Il volto libero e scoperto è il primo modo di mascherarsi. Ekman e Friesen (1969) definiscono «ostentatori di affetti» quei segnali non verbali che esprimono uno stato emotivo, e considerano il volto come sede primaria dell'espressione delle emozioni.I problemi di percezione ed interpretazione delle emozioni, legate al controllo dell'espressione facciale, sussistono per le persone le quali possono controllare ed alterare le emozioni stesse (per esempio sorridere in una situazione emotiva di rabbia o di offesa).Però spesso restano nascoste le espressioni reali per le restrizioni sociali cui è sottoposta l'espressione di atteggiamenti ed emozioni ritenute negative.Il controllo è molto difficile per alcuni aspetti, quali la traspirazione in stati ansiosi, la dilatazione delle pupille in situazioni di eccitazione, il micro movimento in relazione a sentimenti repressi. Ancora Ekman e Friesen affermano che esistono regole di esibizione delle espressioni del volto e che da questo dipende se un'espressione verrà manifestata apertamente, modificata, oppure interamente repressa. Ekman sostiene che l'emozione fondamentale può ugualmente venire intravista anche se viene repressa: Haggard e Isaacs (1966) sono riusciti ad individuare espressioni di brevissima durata proiettando al rallentatore riprese filmate (Ricci, Bitti, Cortesi, 1975, 1977)Quando il bambino improvvisa il suo gioco spontaneo di drammatizzazione, si misura con la realtà, o per adeguarvisi, o per studiarla, o per trasformarla, o per compiere insieme tutte queste attività. Il principale mezzo espressivo che utilizza è il suo corpo (gesto-parola) al quale può accompagnare un aspetto della realtà (sedia) come semplice supporto tecnico alla sua improvvisazione. Se al bambino offriamo un travestimento, egli se ne serve in senso espressivo, cioè per arricchire i caratteri del personaggio che interpreta, per dire di più, mai per nascondere se stessi. Il bambino non copre mai la sua faccia, perché non ha paura di mostrare il suo volto così come è (se non per difendersi da un cattivo educatore) (F. Passatore).Nei lavori teatrali dei bambini la maschera può essere utile se durante la sua preparazione è personalmente costruita dal bambino; in tal caso sviluppa maggiormente le sue capacità creative manipolatorie, grafiche e pittoriche e per quanto riguarda la recitazione vera e propria, intensifica i sentimenti, le espressioni, il ruolo del personaggio. Tuttavia le maschere e il burattino non sono indispensabili in una rappresentazione; infatti

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ogni tipo di lavoro può essere svolto senza alcuna scenografia, senza alcun costume, senza alcuna maschera e senza alcun accorgimento tecnico particolare: tutto è già nel corpo della persona. Maschera e burattino verranno usati quando il bambino ha ormai acquisito il controllo del proprio corpo (mimico-gestuale).Maschere Anonime: ogni bambino si infila una maschera neutra (un sacchetto di carta); si elimina così la parte più comunicativa del corpo, la faccia, per poter imparare a comunicare attraverso altri elementi corporei: gestualità, posture, atteggiamenti, toni di voce, ecc.

8.23. Il costume

Nello spettacolo, è ciò che l'attore indossa o porta in funzione dell'azione che è chiamato a svolgere o meglio è tutto ciò che caratterizza esteriormente: non solo l'abito, dunque, ma il trucco, la maschera, gli accessori e ornamenti, l'atteggiamento stesso dell'attore personaggio nella sua tipicità. Possiamo ricavare da queste due definizioni (del resto corrispondenti a una comune accezione attribuita ai due termini) alcuni rilievi:- le circostanze di impiego sono vastissime: per un gioco, per un rito, una cerimonia, per uno scherzo amichevole o goliardico, per uno spettacolo; verifichiamo cioè una polivalenza di usi in rapporto a determinate circostanze;- nel concetto di costume è compreso anche il contenuto significativo della maschera. Questa, se può essere e viene descritta in maniera indipendente, fa parte di quella possibilità che si impiega in una determinata circostanza;- a questa polivalenza funzionale (una maschera-costume è richiesta per una funzione, questa maschera e non un'altra, perché è stata così distinta e giudicata esatta da una cultura e da un ambiente sociale) corrisponde nello stesso tempo una duplice caratteristica: la maschera-costume ha una sua fissità; la maschera-costume ha una sua disponibilità di impiego;- il carattere di fissità della maschera lo accettiamo da una tradizione, da una precisa connotazione sociale; e possiamo quindi fare la storia delle maschere, del costume, attraverso i secoli e attraverso tante forme culturali;- il carattere di polivalente impiego di una maschera-costume dipende dal suo essere relativo e funzionale, riadattabile, riaggiornabile: la «parte», cioè, che viene colta da un atteggiamento maschera-costume sopporta di essere rivista in una direzione nuova e imprevista, possono forzarla per farle dire qualcosa di diverso e di significante, ora, nelle circostanze in cui mi trovo;- spontaneamente accettiamo un catalogo di maschere-costumi, sommersi come siamo (e lo sono maggiormente i ragazzi dell'era della televisione) da un bombardamento di immagini. Accettiamo e riconosciamo il valore funzionale della maschera-costume: a una determinata situazione personale o collettiva corrisponde una forma espressiva, una codificazione di comportamento. Il decadimento del Carnevale si coglie paradossalmente nel suo esplodere consumistico. La maschera ed il costume raffinato non rivelano la carica espressiva (oggi assente) che alcuni anni orsono caratterizzava questo speciale evento sociale.Il problema non sta quindi nell'inventariare attraverso dizionari ed antologie le vicende della maschera o la storia del costume; non si pone neppure nello sforzo di far capire che una situazione può essere riespressa in formule attinte da una tradizione culturale o dall'altra. Il problema vero ci pare più complesso. Bisogna rispondere alla domanda che ricorre costantemente in ogni esperimento di drammatizzazione: come la freschezza, la genialità (anche la bellezza) di una maschera-costume è traguardo raggiunto da un gruppo che vuole coscientemente esprimersi ? Molto spesso si fa un uso non corretto della maschera, in quanto ci si adatta a determinate caratteristiche che quel modello standard comporta (timbro di voce, modo di muoversi, ecc.). Ciò significa accettare passivamente la figura di una maschera così come si è venuta formando in un determinato ambiente sociale. Senza rifiutare i caratteri di fissità, cerchiamo di superarli in una interpretazione personale, creativa, per evitare il rischio ella rigidezza e della staticità. Per essere più chiari: pensiamo ai normali burattini, alle marionette e all'uso che se ne fa. Prendiamo alcuni personaggi classici, situati in alcuni loro ruoli. Di solito a questi personaggi vengono affidati ruoli standard, in un ambiente standard, così che il risultato è una storia standard. Se modifichiamo solo uno di questi elementi (ambiente, situazione, modo mimico di esprimersi, ecc.) dei personaggi, avremo tante soluzioni nuove e sempre diverse. La ricerca di

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soluzioni nuove sarà valida, se non sarà gusto della novità per la novità, ma frutto della coscienza espressiva di un gruppo. Soltanto così possiamo garantire l'originalità, la freschezza, la bellezza di un momento creativo.Dalle esperienze fatte ci risulta che tanto più una maschera o un costume è semplice, tanto più è suscettibile di sempre nuove interpretazioni e usi. Ad esempio un Pupo siciliano, così dettagliatamente caratterizzato nel suo costume, nella sua espressione e possibilità di movimento, suggerisce pochi altri impieghi oltre il suo cliché: sarà usato come Re o come signore, come soldato, e non si potrà superare l'univocità della sua posizione.«Il costume aiuta a creare il personaggio, dà un senso preciso allo spettacolo, e deve avere un rapporto sia con gli altri costumi che con la scena. Questo rapporto spesso può essere di colore, perché nel costume più che nella scena il colore è importante» (Luzzati E., Conte T., 1977). «Molti pensano invece che senza costumi, scenari, palchi, il teatro a scuola non sia possibile. Tutto questo non è vero. Per fare teatro basta la partecipazione entusiasta e l'impegno dei ragazzi che considerino il tutto una attività piacevole, divertente ed educativa» (Gisondi F., 1976).Se affermiamo che il teatro è forse vivere quotidianamente ciascuno la propria parte senza inganni e con animo sgombro e sereno, riteniamo anche che si possa svolgere tale realtà senza bisogno di particolari costumi.

8.24. Alcune esemplificazioni

Il percorso didattico prevede:- scoperta delle possibilità mimiche, gestuali, vocali e verbali del proprio corpo;- organizzazione della scoperta delle possibilità mimiche, gestuali, vocali, e verbali del proprio corpo;- mascheramento: dalla scoperta alla organizzazione e al controllo delle possibilità mimiche, gestuali ed espressive del corpo, per l'adattamento situazionale, la trasposizione semiotica, la finzione e il mascheramento;- solo corpo, mimica globale (verificare identiche situazioni con il corpo globale e segmentario);- solo corpo, mimica segmentaria (verificare identiche situazioni con il corpo globale e segmentario);- trucco con i colori;- uso dei vestiti;- maschere;- burattini.Riteniamo necessaria questa successione per passare da una drammatizzazione con il corpo reale, globale o segmentario, alla trasposizione sempre più evidente, fino al burattino (come uso comunicativo e non in termini di manipolazione come costruzione e tecnica d'uso che può essere effettuata anche precedentemente).Tra le possibili attività individuiamo:1) - Giochi di imitazione:- mondo vegetale, per identità, analogia, diversità;- mondo animale, per identità, analogia, diversità;- mondo umano, per identità, analogia, diversità.Ciò serve per comprendere che l'imitazione è valida in quanto umanizza, poiché si rileva come, mettendo l'umano in relazione con il mondo vegetale, quello animale e quello delle persone, si evidenziano diversità, analogie, identità man mano che si passa dal primo all'ultimo, così che l'imitazione del mondo umano presenta maggiori identità, un notevole numero di analogie e presenta maggiori identità, un notevole numero di analogie e minime diversità. L'imitazione, da spontanea, deve quindi farsi via via sempre più oggettiva e formale determinando la consapevolezza della propria umanità che non potrà mai identificarsi con un fiore che sboccia, avrà delle somiglianze con la rana che salta e potrà invece ritrovarsi notevolmente nell'altra persona o nella situazione umana, fino ad identificarsi solo con se stessi.2) - Giochi a specchio, come rapporto con l'altro, o con gli altri. Possono essere simmetricamente speculari, asimmetricamente speculari, ecc.3) - Esecuzione normale, velocizzata, rallentata, ritmata, variata dal rapporto con l'altro, gli oggetti, lo spazio e il tempo, ad esempio:- muoversi liberamente (ma anche disegnare, parlare, cantare, ecc.);

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- muoversi liberamente, fermarsi, comunicare con la mimica e la gestualità globale e segmentaria;- muoversi liberamente, fermarsi, salutare (od esprimere un contenuto od un sentimento precedentemente scelto);- muoversi liberamente, fermarsi, dialogare con i vari linguaggi; ecc.4) - Drammatizzare i contrasti, concetti spaziali, temporali, emozionali, relazionali, ecc., prima un contrasto per volta, poi i contrasti in relazione tra di loro, prima con il linguaggio del corpo. poi grafico, colorico, vocale e verbale e poi in maniera plurilinguistica. Passare poi ai contrasti assoluti, a quelli relativi ed alle sfumature tutte variabili tra il percepibile ed il fattibile.5) - Espressività sensoriale:- variazione di intensità dei sensi;- variazione di intensità del gesto.6) - Vocalizzazioni ( varie velocità, diversi toni):- con una voce per volta (sentimenti);- tutte le vocali successivamente;- tutte le vocali contemporaneamente in gruppo;- strutturazione di un coro.7) - Espressività polivalente di parole: es. «mamma».8) - Espressività polivalente di espressioni: es. «perché».10) - Mimo:- esecuzione e poi spiegazione;- spiegazione e poi esecuzione.11) - controllo del gesto, mimica, fiato, parola, sforzo.12) - leggere o cantare:- individualmente, a velocità normale;- uno dopo l'altro, a velocità normale;- tutti insieme con tonalità diverse;- tutti insieme con velocità diverse;- ecc.13) - sottofondo musicale:- scelta della musica diversa a seconda del tono, modo, velocità del linguaggio usato;- adattamento dei vari linguaggi al sottofondo musicale.14) - Cantare la voce, la parola, la frase.15) - Cantare, mimare e gestualizzare (la polenta). 16) - Leggere un brano:- normale;- lento;- veloce;- con tono alto;- con tono basso;- in maniera ironica;- in maniera tragica;- ecc. 17) - Leggere un brano, selezionarlo inserendo una serie di domande, rileggerlo mentre un altro pone via via le domande verbalmente oppure ponendosi mentalmente le stesse (anche in questo caso con varie velocità e vari toni).18) - Interpretazione dell'oggetto:- virtualità espressiva (palla);- palleggiare, rotolare, lanciare e mimare e gestualizzare;vocalizzare, parlare o leggere;- mimare, gestualizzare, vocalizzare, parlare e leggere adattando il palleggio, rotolamento, lancio;- trasposizione, differenziamento tra la dinamica dell'oggetto e quella del linguaggio usato.19) - Localizzazione delle vocalizzazioni e del parlare o leggere:- testa;- gola;

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- petto;- addome.20) - Annunciare la parola o frase con il gesto e la mimica.21) - Annunciare il gesto e la mimica con la parola e la frase.22) - Spostare ritmicamente, individualmente una serie di oggetti.23) - Spostare ritmicamente il gruppo, successivamente, un oggetto; lo stesso scandendo una parola o una frase, tipo suddivisione in sillabe (spelling);24) - Scoprire la postura migliore per comunicare con la mimica, il gesto e la parola.25) - Organizzare la respirazione migliore per comunicare con la mimica, il gesto e la parola,26) - Scoprire ed organizzare l'atto respiratorio come linguaggio.27) - Ginnastica specifica:- lingua;- occhi;- bocca;- fronte;- tutto il volto;- mani;- spalle;- ecc.28) - Scioglilingua.29) - Drammatizzazione dei verbi motori con tutti i linguaggi:- globali (toccare);- variabili dello stesso verbo globale (Toccare: carezzare, sfiorare, stringere, comprimere, spingere, ecc.).30) - Organizzazione individuale della contemporaneità tra la mimica, il gesto, la postura, l'atto respiratorio, la parola e la frase.31) - Organizzazione interfunzionale tra minigruppi, ciascuno dei quali adopera specificatamente un linguaggio (spettacolazione totale).32) - Vocalizzazioni:- risata;- pianto;- dialoghi;- sbadiglio;- combinazioni di vocali;- ecc.33) - Corsa con arresto a muro o su uno spazio prefissato (cerchio);34) - Corsa con arresto davanti all'altro.35) - Corsa scansando l'altro;36) - Imitazioni:- burattino;- robot;- ubriaco;- zoppo;- ferito,- moribondo;- morto;- serio;- faceto;- ecc.37) - Esemplificazione di un tema da trattare (ad esempio gioia/dolore).- Gruppi di lavoro:- gestuale e mimico;- verbi motori;- vocale e verbale;- grafico e colorico;

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- ritmico e musicale;- di invenzione di una storia sul contenuto.38) - Inventare una storia attraverso la cui interpretazione si possono ottenere due ottiche di comunicazione:- solo dolore;- solo gioia.39) - Drammatizzare una favola, interpretandola con gestualità, immagini-scenografie, ritmo;- musiche;- sperimentare per ogni settore espressivo;- integrare i prodotti di due sottosistemi;- integrare i prodotti dei tre settori espressivi;- spettacolazione e riproduzione audio visiva;- replica audio visiva e controllo delle modifiche da apportare;- revisione e nuova sperimentazione per settore espressivo;- ulteriore integrazione dei tre prodotti espressivi in unica spettacolazione.

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