312
Dottorato di ricerca in Diritto Corso di metodi e tecniche della formazione e della valutazione delle leggi Tesi di dottorato Procedimento e struttura della legge di bilancio: un approccio qualitativo. Paola Cappello

Dottorato di ricerca in Diritto - SLB · I Il bilancio statale nell’esperienza costituzionale prerepubblicana. 1.1.Premessa p. 6 1.2. I problemi dell’Italia Unita e la Legge Cambray

Embed Size (px)

Citation preview

Dottorato di ricerca in Diritto

Corso di metodi e tecniche della formazione e della valutazione delle leggi

Tesi di dottorato

Procedimento e struttura della legge di bilancio: un

approccio qualitativo.

Paola Cappello

2

Indice

Cap. I Il bilancio statale nell’esperienza costituzionale

prerepubblicana.

1.1.Premessa p. 6

1.2. I problemi dell’Italia Unita e la Legge Cambray –Digny p. 10

1.3. Dibattito scientifico e riforme amministrative nell’Età della Sinistra p. 17

1.4. Liberismo economico e nuovo centralismo amministrativo

dall’Età Luttazziana alla Riforma De Stefani p. 30

1.5. Bilancio e Istituzioni dell’amministrazione finanziaria durante

il ventennio fascista. p. 40

1.6. L’evoluzione della contabilità pubblica dall’Unità del Regno

alla Costituzione della Repubblica Italiana: elementi per una riflessione p. 48

Cap. II Principi costituzionali

2.1. Alle origini dei principi costituzionali. p. 53

2.2. I principi costituzionali in materia di finanza pubblica: la chiave

di lettura suggerita dall’analisi degli atti dell’Assemblea costituente. p. 58

2.3. La difficile definizione del rapporto tra Esecutivo e Legislativo. p. 69

2.3.a) In merito alla natura della legge di bilancio. p. 69

2.3.b) In merito all’ammissibilità di una procedura di approvazione

del bilancio statale tramite delegazione legislativa o decretazione

d’urgenza: conseguenze mediate del principio di riserva di assemblea. p. 84

2.4. L’articolo 81 della Costituzione e i caratteri della legge di bilancio. p. 91

2.5. I principi di progressività e riserva di legge: postulati

fondamentali nella disciplina delle entrate pubbliche. p.103

3

Cap. III Dal ’48 alla Legge del 23 agosto 1988, n. 362: l’iter di

approvazione parlamentare come garanzia di rispetto dei principi

costituzionali.

3.1.Premessa. p.110

3.2. Il sistema italiano di bilancio, dopo l’introduzione della

Carta Fondamentale: la continua applicazione del Regio

Decreto “sull’amministrazione del patrimonio e sulla

contabilità generale dello Stato”. p.116

3.3. I nuovi principi costituzionali: tra continuità e innovazione. p.122

3.4. Le riforme degli anni ‘60 e ’70. p.128

3.5. La legge 5 agosto 1978 n. 468, recante la “Riforma di

alcune norme di contabilità generale dello Stato in materia di

bilancio”, finalità e contenuti. p. 132

3.6. Aspetti procedurali p. 140

3.7. Il primo decennio di applicazione della riforma: esigenze

di cambiamento. p. 147

3.8. La legge 23 agosto 1988, n. 362 e i nuovi principi

per una finanziaria “quantitativa”. p. 151

3.9. Il riassetto temporale del procedimento e la

parallela revisione dei Regolamenti parlamentari. p. 156

Cap. IV La legge n. 208 del 1999 e la nuova disciplina della

sessione di bilancio.

4.1. I primi anni Novanta: un sistema ancora da migliorare. p. 164

4.2. La legge n. 208 del 1999: la riorganizzazione temporale

del procedimento. p. 168

4.3. Profili contenutistici. p. 173

4.4. La fase prepalamentare p. 178

4.4.a) Il bilancio di previsione p. 178

4

4.4.b) Il disegno di legge finanziaria p. 182

4.4.c) L’ordine delle votazioni p. 184

4.5. Il procedimento di approvazione parlamentare. p. 185

4.5. a) La fase preliminare. p. 191

4.5. b). L’esame in commissione di merito. p. 194

4.5. c) L’esame in commissione bilancio. p.200

4.5. d) L’esame in Assemblea. p. 202

4.6. Procedure finanziarie e forma di governo: tendenze evolutive. p. 209

4.7. Decretazione d’urgenza e delegazione legislativa: deviazioni

dal modello procedurale creato dalla Legge n. 208. p. 212

4.8. Maxi-emendamenti e questione di fiducia p. 217

Cap. V La struttura del bilancio statale: le tecniche di redazione

come risposta alle esigenze politico-economiche contingenti.

5.1 Premessa. p. 225

5.2. Il secondo dopoguerra e il superamento della concezione

patrimonialistica del bilancio pubblico. p. 227

5.3. La Legge Curti: una riforma strutturale per il bilancio statale. p. 236

5.4. I riflessi della Legge n. 468 del 1978 sulla struttura del

bilancio pubblico. p. 245

5.5. La riforma della pubblica amministrazione e le nuove esigenze del bilancio

statale. p. 251

5.6. La nuova concezione di attività amministrativa pubblica con la

legge 3 aprile 1997, n. 94. p. 255

5.7. Le unità previsionali di base p. 259

5.8. La contabilità analitica per centri di costo. p. 264

5.9. La nuova struttura del bilancio e le dinamiche parlamentari. p.271

Cap. VI Le forme e le procedure del bilancio pubblico in una prospettiva

qualitativa

5

6.1 Premessa. p. 275

6.2. Bilancio e qualità legislativa: verso la concertazione

procedimentale. p. 275

6.3. Drafting formale e bilancio statale. La nuova nozione di

qualità legislativa. p. 286

6.4. La nuova classificazione, per missioni e programmi,

inaugurata dal bilancio di previsione per il 2008. p. 290

6. 5. Drafting sostanziale, valutazione legislativa e bilancio statale. p. 298

6.6. Drafting e legge di bilancio: un cammino ancora lungo

verso la qualità legislativa. p. 309

6

CAPITOLO I Il bilancio statale nell’esperienza costituzionale

prerepubblicana.

SOMMARIO: 1.1.Premessa; 1.2. I problemi dell’Italia Unita e la Legge Cambray –Digny; 1.3. Dibattito scientifico e riforme amministrative nell’Età della Sinistra. 1.4. Liberismo economico e nuovo centralismo amministrativo dall’Età Luttazziana alla Riforma De Stefani. 1.5. Bilancio e Istituzioni dell’amministrazione finanziaria durante il ventennio fascista. 1.6. L’evoluzione della contabilità pubblica dall’Unità del Regno alla Costituzione della Repubblica Italiana: elementi per una riflessione.

1.1. Premessa

L’analisi della legislazione contabile e della struttura del bilancio statale

non implica soltanto l’approfondimento di uno schema amministrativo-

patrimoniale, ma richiede, primariamente, lo studio e la comprensione dello

strumento fondamentale per la realizzazione della manovra economica annuale di

determinare entità collettive e territoriali.

Tale campo di indagine diventa un indice fondamentale per la valutazione

di un’organizzazione politica e di un intero sistema giuridico.

La struttura del bilancio statale è il frutto di una scelta politico-

programmatica e riflette gli obiettivi, i valori e gli scopi perseguiti da

un’organizzazione sociale, evidenziandone i problemi, le difficoltà e le strategie

prescelte per superare gli ostacoli.

Ecco perché l’analisi di questo documento deve essere operata in una

prospettiva diacronica e deve essere letta alla luce del contesto storico politico di

riferimento.

Un esame più approfondito delle modalità contabili prescelte dall’Italia

post unitaria anche se affrontato termini necessariamente semplificativi e senza

alcuna pretesa di completezza potrebbe, quindi, risultare utile per percepire quegli

innegabili nessi fra bilancio statale, impostazione culturale esigenze politico-

sociali della realtà storica di riferimento.

Storicamente, l’esigenza di elaborare degli strumenti economici e

finanziari per rilevare le risorse prodotte e consumate in determinate entità

7

organizzate è avvertita sin dalle epoche più antiche, ma la contabilità statale viene

concepita indipendentemente ed autonomamente dal patrimonio della Corona

soltanto nel XVII secolo in Inghilterra e nel finire del XVIII nell’Europa

continentale, quando il sovrano, acquisendo un ruolo rappresentativo delle

esigenze di carattere collettivo e provvedendo al prelievo coattivo di ricchezza

privata per il soddisfacimento di interessi pubblici, matura la consapevolezza della

necessità di una legittimazione stabile e costante per l’esercizio di questa potestà

di governo.1

Nascono così le Assemblee parlamentari, i collegi rappresentativi in grado

di legittimare con il loro consenso le manovre economiche del Sovrano.

Il graduale processo di trasformazione politica e sociale favorisce la

progressiva affermazione degli istituti del rendiconto e del controllo

dell’opposizione parlamentare che possono a tutti gli effetti considerarsi come il

primo embrione di un bilancio statale inteso in senso moderno .

Il processo decisionale comprende, infatti, sia la fase di previsione volta ad

autorizzare la riscossione delle entrate e l’erogazione delle spese, sia il momento

della rendicontazione.

Concentrando l’analisi alla nostra realtà nazionale, invece, la prima

disciplina organica in materia di bilancio e contabilità pubblica deve farsi risalire,

nel nostro Paese, alla costituzionale pre-unitaria del 1848.

Le disposizioni dello Statuto Albertino, seguendo le linee evolutive

percorse dall’Europa continentale, riflettono fedelmente i problemi e

l’impostazione ideologica tipica degli Stati liberali del XIX secolo2. I principi

1 Questo fenomeno, quindi, segna il progressivo passaggio dagli sistemi di tipo

medioevali alla formazione dello Stato moderno. In una prima fase le nuove realtà statuali prendono le mosse dalla struttura e dall’organizzazione tipiche delle monarchie assolute. In quella fase, gli interessi di carattere pubblico, estesi al più ampio corpo sociale, venivano messi da parte, avendo l’ordinamento, come fine principale, tutte le esigenze e le vicende familiari e politico-militari legate alla Corona e la figura del sovrano assorbe in modo pressoché esclusivo tutti i reperimenti delle risorse finanziarie. Finalità strategiche ricercate esclusivamente nella prospettiva di un consolidamento del potere e della posizione del sovrano stesso, mancando in modo pressochè totale il normale automatismo di scambio tra corrispettivi di natura impositiva da un lato e erogazione di servizi dall’altro. Solo successivamente ad a seguito di un graduale processo evolutivo il sovrano stesso acquisisce il ruolo di entità sempre più rappresentativa anche delle esigenze di carattere collettivo. Si delinea, così, concetto di Stato, in corrispondenza delle prime tipologie di servizi e di infrastrutture destinate a soddisfare bisogni di natura collettiva. 2 Per una panoramica storico-istituzionale della genesi e dello sviluppo degli Stati liberali italiani e dell’Europa continentale prima nel XIX secolo Cfr., N. ANTONETTI, La forma di governo in Italia. Dibattiti politici e giuridici tra Otto e Novecento, Bologna 2002.A. AQUARONE / M. D'ADDIO, / G. NEGRI, (a cura di), Le costituzioni italiane, Milano 1958; M.A. BENEDETTO, Aspetti del movimento per le costituzioni in Piemonte durante il Risorgimento, Torino 1951; F.

8

cardine della materia tributaria e di bilancio ruotano attorno al divieto di qualsiasi

imposizione fiscale senza il preventivo assenso delle Assemblee popolari e alla

garanzia della riserva di legge.

Sin da questa prima organica disciplina della contabilità pubblica emerge

chiaramente come le regole dettate in materia di manovra economica risentano in

modo immediato e diretto dell’ideologia politico-istituzionale propria del sistema

di riferimento e come queste regole diventino il primo strumento per fronteggiare,

non solo questioni economiche e monetarie, ma anche problemi di natura politica

e sociale.

Ecco allora che il ruolo fondamentale dell’Assemblea legislativa, la

preminenza della classe economicamente più forte, il dogma dell’economia di

mercato e della libertà di iniziativa economica si traducono nelle regole volte alla

limitazione del potere del Sovrano e dell’Esecutivo e nel divieto di imposizioni

tributarie senza il preventivo assenso delle Camere.

Nel disegno originario dello Statuto le norme costituzionali in materia di

bilancio sono indirizzate a svolgere funzioni di garanzia nei confronti del Sovrano

per poi finire con l’attribuire al Parlamento un ruolo di crescente importanza nel

campo dell’iniziativa legislativa e della funzione di indirizzo politico in ambito

economico e tributario.

L’impianto originario viene così sovvertito in favore di un’Assemblea

legislativa che da organismo di garanzia e di ratifica di atti del Sovrano si

trasforma progressivamente in soggetto titolare di funzioni primarie.

CAMMARANO, Storia politica dell'Italia liberale. L'età del liberalismo classico, 1861-1901, Roma-Bari 1999; Z. CIUFFOLETTI, / S. MORAVIA, (a cura di), La massoneria. La storia, gli uomini, le idee, Milano 2004; P. COLOMBO, Storia costituzionale della monarchia italiana, Roma-Bari 2001; C, GHISALBERTI, Dall'antico regime al 1848. Le origini costituzionali dell'Italia moderna, Roma-Bari 1987 ; C. GHISALBERTI, Storia costituzionale d'Italia 1848-1994, Roma-Bari 2004; C. GHISALBERTI, Istituzioni e società civile nell'età del Risorgimento, Roma-Bari 2005; A. G. MANCA, / L. LACCHÉ, (a cura di), Parlamento e costituzione nei sistemi costituzionali europei ottocenteschi, Bologna 2003; R. MARTUCCI, Storia costituzionale italiana. Dallo Statuto Albertino alla Repubblica (1848-2001), Roma 2002; F. MAZZANTI PEPE, Profilo istituzionale dello Stato italiano. Modelli stranieri e specificita nazionali nell'eta liberale, 1849-1922, Roma 2004; F. MAZZANTI PEPE, (a cura di), Culture costituzionali a confront., Genova 2005; M. MERIGGI, Gli stati italiani prima dell'Unità. Una storia istituzionale, Bologna 2002; G. REBUFFA, Lo statuto albertino, Bologna 2003. A. MOLA, Storia della monarchia in Italia, Milano 2002. E. ROTELLI, (a cura di), Storia dello Stato italiano dall'unità ad oggi, Roma 1995. I. SOFFIETTI, I tempi dello Statuto albertino. Studi e fonti, Torino 2004.

9

Con la formazione dello Stato unitario i grandi problemi conseguenti

all’Unità si riflettono in maniera incisiva negli aspetti finanziari e di contabilità

pubblica3

In questo contesto il Bastogi, nuovo ministro, delle Finanze promuove

l’emanazione di un provvedimento, volto a realizzare primariamente l’unità del

bilancio del nuovo Stato.

I reali obiettivi di questa legislazione4 che, dal r.d. del 3 novembre 1861 n°

302 al progetto del 21 novembre 1861 fino al disegno di legge Minghetti del ’63

conduce al progetto Sella del 1865, devono essere letti da un lato, alla luce dei

postulati fondamentali della teoria economica classica e dei principi del “laissez

fair, laissez passer”, dall’altro dei seri problemi di cassa che il nuovo Stato doveva

affrontare, all’esito delle guerre d’indipendenza e delle difficoltà economiche

strutturali di alcuni stati preunitari, specie nel meridione.5

3 Sui problemi legati alla storia amministrativa post-universitaria cfr. A. CARACCIOLO, Stato e Società civile. Problemi dell’unificazione italiana, Torino, 1968. E. RAGIONIERI, Politica e amministrazione nella storia dell’Italia unita, Bari, 1967. N. TRANFAGLIA, Dallo Stato liberale al regime fascista. Problemi e ricerche, Milano, 1973, in particolare Parte I; ZANNI ROSIELLO, Studi recenti di storia dell’amministrazione nell’Italia postunitaria, Quaderni storici, 1971, pp.663-698. 4 La legislazione sulla contabilità trae origine, com’è noto, dalla legge 23 marzo 1853, n° 1483; più nota come legge Cavour, sull’ordinamento dell’Amministrazione centrale e sulla contabilità generale dello Stato, le cui disposizioni risultano trasfuse, con poche varianti, nel decreto legislativo del 13 novembre 1859 n° 347, emanato dal Re, su proposta del Ministro Oytana , in virtù dei pieni poteri conferitigli con legge 25 aprile 1859, n° 3345, seguito dal regolamento emanato dal Ministro Vegerzi del 7 novembre 1860, n° 4441. Avvenuta l’unificazione politica ed accresciute le esigenze dell’organizzazione amministrativo-contabile del nuovo regno, sia uomini di governo sia studiosi della materia postularono l’esigenza di un riordinamento dei diversi sistemi finanziari e contabili, al fine di creare un corpo normativo valido per tutta la Nazione. Nella prima fase, dal 1861 al 1869, si susseguirono una serie di provvedimenti con cui furono apportate parziali modifiche alla allora vigente legislazione, e sono da ricordare, in modo particolare, i regi decreti 3 novembre 1861, n° 302 e n° 303 emanati dal Ministro Bastoni; il regolamento Minghetti del 13 dicembre 1863, n° 1628; la legge Sella del 25 maggio 1865, n° 2312, ed il regio decreto 25 novembre 1866, n° 3381. Fu solo con la legge Cambray-Digny del 22 aprile 1869, n° 5026, cui fece seguito il regolamento del 4 settembre 1870, n° 5852, che si ebbe una riforma radicale e completa della materia la quale, nonostante le numerose modificazioni ed aggiunte verificatesi nel tempo, può considerarsi, ancora oggi, la base dei principi che regolano l’amministrazione del patrimonio e la contabilità generale dello Stato. In applicazione dei sopraindicati decreti si ebbe la presentazione nel 1862, da parte dello stesso Ministro, del primo bilancio unificato nel Regno d’Italia. 5 G. ASTUTI, L’unificazione amministrativa del Regno d’Italia, Napoli 1966 I documenti sull’unificaziione finanziaria del 1859 – 1860 sono riprodotti in L. IZZO, La finanza pubblica nel primo decennio dell’Unità d’Italia, Milano, m1962, parte II. In tal senso V. anche Legge Cavour del 23 marzo 1853, n. 1483 e il progetto del 4 febbraio 1868 del Ministro Cambray-Digny, approvato definitivamente con la legge n. 5026 del 22 aprile 1969. Anche le proposte volte ad instaurare un regime contabile basato sul criterio di cassa, non possono che essere interpretate come la ricerca di una via più semplice e meno controllata per rispettare il dogma del “pareggio del bilancio”. Solo l’intervento Magliani, nel 1883, riesce a razionalizzare l’acceso dibattito dottrinale e le insistenti proposte di riforma del primo impianto contabile, la riforma di questo ministro costituisce un una tappa fondamentale nella storia della contabilità italiana ed occorre attendere il

10

1.2. I problemi dell’Italia Unita e la Legge Cambray -Digny.

Dopo il primo tentativo di risolvere il problema dell’armonizzazione

contabile dello Stato esperito con la Legge Cavour del 23 marzo 1853 n. 1483, la

completa unificazione del Regno, fa emergere la nuova realtà socio-politica in

tutta la sua drammaticità.

Il primo bilancio del Regno d’Italia segna un debito del 40% rispetto al

PIL e il deficit raggiunge 446 milioni di Lire, mentre nel 1866 la guerra austro-

prussiana produce un incremento delle spese pubbliche in termini reali del 43%,

determinando un deficit di 720 milioni di lire.6

Il primo obiettivo del nuovo Governo, il pareggio di bilancio pubblico,

viene perseguito da un vasto piano di privatizzazione del demanio, allo scopo di

razionalizzare le finanze pubbliche e di creare un ambiente di stabilità e certezza

per la futura ripresa economica.

A seguito degli effetti negativi della crisi finanziaria internazionale sul

bilancio dello Stato, nonché degli oneri derivanti dalla Terza Guerra

d’Indipendenza viene proclamato il “corso forzoso”, cioè l’inconvertibilità in oro

della moneta circolante, ricorrendo, inoltre all’emissione di carta moneta e di un

prestito redimibile forzoso all’interno del Paese.7

In un simile contesto viene approvata la Legge Cambray-Digny, la prima

legge organica in materia di contabilità pubblica.

Nella primissima fase successiva all’unificazione del Regno, infatti,

l’estensione a tutto il territorio nazionale della Legge Cavuor permette di offrire

una soluzione di emergenza al problema della rendicontazione delle spese e delle

entrate pubbliche, ma soltanto la Legge Cambray-Digny del 18698, costituisce un

primo intervento strutturato e completo in materia.9

1978, perché il problema dell’alternativa tra sistema di cassa e di competenza, risolto a favore di quest’ultima dal c.d. sistema Magliani, riaffiori nel dibattito scientifico. 6 Tre furono i motici pricipali motivi che gonfiarono il debito pubblico: i deficit strutturali di bilancio, le spese militari straordinarie e l’assunzione di debiti da parte delle regioni annesse. 7 N. TRANFAGLIA, Dallo Stato liberale al regime fascista. Problemi e ricerche, Milano, 1973, in particolare Parte I; ZANNI ROSIELLO, Studi recenti di storia dell’amministrazione nell’Italia postunitaria, Quaderni storici, 1971, pp.663-698 8 E’ la Legge 22 aprile 1869, n. 5026, voluta dal sella sin dal 1865, pubblicata da L. IZZO. La finanza pubblica nel primo decennio dell’Unità italiana, Milano, 1962, p. 442 ss; E’ stato rilevato ( A. DE CUPIS, Legge sull’amministrazione del patrimonio dello Stato e sulla contabilità generale, Torino, 1910, p. 15) che la legge voluta dal Ministro per le finanze Cambray – Digny, “quantunque segni un progresso notevolissimo nella nostra legislazione di

11

Questo impianto normativo costituisce senza dubbio un passo

fondamentale nell’evoluzione del bilancio statale, mirando alla costruzione un

sistema unitario basato sull’attività di controllo e di coordinamento della

Ragioneria Generale dello Stato, organismo creato allo scopo di assicurare

un’ordinata, corretta ed uniforme esposizione del dato finanziario, posto alle

immediate dipendenze del Ministero delle Finanze.

La relazione ministeriale di accompagnamento al progetto, permette di

coglierne la naturale ispirazione cavouriana e gli ambiziosi obiettivi che la riforma

si propone, dal semplice, ma tutt’altro che acquisito, principio di universalità,

allora inteso come la necessità che ogni manifestazione finanziaria risultante dallo

svolgimento di una determinata attività amministrativa trovasse riscontro

immediato una voce del bilancio pubblico, all’introduzione del sistema di

registrazione delle operazioni con il metodo contabile della partita doppia in grado

predisporre un criterio semplice, ma funzionale per evidenziare tutti i movimenti e

le partite fino, all’individuazione di una rete di controlli, per permettere che le

rilevazioni contabili di ciascuna amministrazione periferica risultassero coordinate

a livello centrale, in modo da realizzare sotto il profilo strutturale e funzionale i

principi di unità e di organicità nel momento della rilevazione e del controllo.10

amministrazione finanziaria, in quanto servì per lo meno a portare un sistema uniforme nella nostra contabilità di Stato, non poteva certo attribuirsi il merito di avere portato una definitiva soluzione in veruna delle più gravi questioni che trovano luogo in una legge di contabilità generale dello Stato. Il decorso dell’anno finanziario in materia dell’esercizio finanziario, la stessa forma generale del bilancio, furono in essa determinare piuttosto per espediente che con la coscienza di apportare con le sue disposizioni una incancellabile riforma nei relativi ordinamenti . Di migliore conio uscì la parte relativa all’amministrazione patrimoniale, ma neppure essa di perfetto getto, da non lasciare travedere qua e là la possibilità di successivi ritocchi per migliorare estimazione di convenienza amministrativa”. Il relativo regolamento entrò in vigore il 1° gennaio 1871. La breve proroga fu approvata con legge Sella del 23 dicembre 1869, n° 5395. Per una disamina storica, sotto il profilo legislativo della materia, cfr. G. PORPORA, Le fonti della contabilità di Stato, La funzione amministrativa, 1966, pp. 765 ss. ; C. Vecchio, Lo studio della contabilità di Stato nello storico suo svolgimento, in Riv. it. Rag. 1957, n. 9 -10, pp. 238 ss; 9 La legge del novembre 1859, infatti, non pubblicata in diverse parti del Regno, e parecchi regolamenti e decreti successivamente emanati, non ispirati al concetto di larga e razionale riforma, avevano creato un complicato congegno di uffici, scritturazioni, registrazioni, pregiudicando la chiarezza, la precisione e la veridicità dei conti. La situazione del Tesoro era incerta, bilanci e consuntivi venivano compilati in modo approssimativo, mentre i preventivi non garantivano aprezzamenti certi a causa dell’impossibilità di perseguire con sicurezza le condizioni finanziarie del Paese, rendendo così il controllo parlamentare sempre più illusorio ed inefficace. Sul punto si vedano A. PLEBANO, Storia della finanza pubblica italiana, dalla Cosituziona del nuovo Regno alla fine del XIX secolo, Torino, Vol. I, P. 277 ss. e P. MESTRI, l’Italia economica nel 1868, Firenze, p. 344. Sul punto vedi anche R. FAUCCI, Finanza, Amministrazione e pensiero economico, Il caso della contabilità di Stato da Cavour al fascismo, Torino, pp. 51-59. 10 R.P.COPPINI, L.G.De Cambray-Digny tra affarismo e politica (1865-1869), Rassegna storica del Risorgimento, 1970, pp. 191-225.

12

Il modello di bilancio configurato dal Ministro Cambray-Digny

rappresenta la prima applicazione contabile di questi principi, anche grazie

all’operato della Ragioneria Generale, l’ente destinato alla riassunzione, sulla base

del metodo della partita doppia, dei risultati dei conti, delle riscossioni e dei

versamenti relativi a ciascuna amministrazione dello Stato, nonché alla redazione

del progetto di bilancio da presentare all’approvazione del Parlamento11.

Il bilancio viene così suddiviso in tre colonne, indicanti, rispettivamente, le

somme iscritte nel bilancio di prima previsione e di quelle aggiunte con il bilancio

definitivo, da un lato; le somme diminuite o annullate, dall’altro e, parimenti, le

somme accertate da un lato mentre le somme stornate dall’altro.

Gli importi gestiti dalle Tesorerie, invece, comprendono la parte corrente,

quindi, le somme versate per le entrate e per le spese da un lato, dall’altro quelle

per le quali è già emesso un ordine di pagamento.

Tale ricostruzione ha il pregio di evidenziare la differenza tra le somme

accertate e quelle previste. Pur non prendendo una chiara presa di posizione per il

sistema di bilancio per cassa o per competenza, tale metodo di iscrizione delle

poste contabili, permette, infatti, di inviare questa differenza, sotto forma di

residui attivi o passivi, al bilancio dell’esercizio successivo.

E’ proprio questa ambiguità, tuttavia, che alimenta accese critiche

sull’operato del Ministro delle Finanze12.

L’articolo 25 del progetto stabilisce che “sono materia dell’esercizio

finanziario le entrate e le uscite che hanno effettivamente luogo entro l’anno

stesso”. Questa formulazione alquanto generica ed imprecisa ha indotto il Sella a

ritenere che debba intendersi come uscita, ogni somma per la quale sia stato

spedito l’ordine di pagamento e debba qualificarsi entrata, ogni somma che sia

giunta ad essere accertata e riconosciuta in un dato conto d’entrata. Ma è proprio

questa interpretazione a suscitare da un lato l’opposizione dei fautori del bilancio

di competenza dall’altro l’insoddisfazione dei promotori del modello di

contabilità inglese.

11 MINISTERO DEL TESORO – RAGIONERIA GENERALE DELLO STATO, La RagioneriaGenerale dello Stato. Origine e sviluppi, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1959; 12 Sul tema confronta, F. BESTA, La contabilità di Stato, Litografie, Venezia, 1897-1898, nonché R. FAUCCI, Finanza, amministrazione e pensiero economico, Torino, Fondazione Luigi Einaudi, 1975.

13

Così, secondo il Sella, “il fatto che il creditore vada o no a riscuotere

materialmente denaro alla cassa […] è una circostanza di nessuna importanza”.

Per una più consapevole interpretazione di tale disposizione normativa,

tuttavia, occorre leggere il progetto in relazione alle previsioni circa la durata

dell’anno finanziario.

L’esercizio annuale viene, infatti, fissato in coincidenza con l’anno solare;

nel febbraio viene presentato il bilancio di previsione, che in dicembre è

affiancato da quello definitivo.

Tale decorrenza annuale, tuttavia, desta alcune perplessità proprio alla luce

dell’inclusione nel documento contabile annuale delle sole “entrate da riscuotere e

delle sole spese da pagare entro l’anno”13.

La presentazione del bilancio di previsione dieci mesi prima dell’inizio

dell’anno avrebbe, inoltre, richiesto l’approvazione di un rilevante numero di

leggi di aumento di spesa14.

In tale contesto si inserisce il dibattito sulla c.d. “proroga dell’esercizio

finanziario”, risolvendosi in un naturale corollario del sistema di bilancio per

cassa con decorrenza annuale.

Tanto la Legge Bastogi che la Legge Oytana prevedevano, infatti il

prolungamento dell’esercizio, per permettere le operazioni di riscossioni delle

entrate e di liquidazione e pagamento delle spese riferitesi all’anno finanziario in

corso.

Il Cambray-Digny, tuttavia, prende in proposito una netta posizione

negativa, concludendo per l’abolizione della proroga ed ingenerando così,

giustificati dubbi sul metodo di registrazione dei residui.

L’iterpretazione più accreditata e ragionevole del problema viene delineata

dalla Commissione che ammette una registrazione dei residui anche dopo il

primo marzo per essere imputati ai corrispondenti capitali, nei limiti della somma

risultata disponibile alla fine di febbraio.

Ma è proprio questa precisazione che impone di leggere l’intero sistema

come una soluzione di compromesso tra l’adozione del tipo di bilancio per cassa

e quello per competenza.

Nonostante questa meditata ricerca di equilibrio fra le esigenze di

speditezza e quelle di completezza, le critiche al nuovo metodo contabile non

13 Art.18 Progetto di Legge cit. 14 R. FAUCCI., Finanza, amministrazione e pensiero economico, Torino, 1975 pp. 38 ss

14

vengono placate e tanto questa circostanza, quanto il fatto che proprio uno dei più

fieri oppositori del progetto, il ministro Sella, viene chiamato a diventare il

responsabile dell’esecuzione della Legge, inducono il Cambray-Digny a chiarire

le finalità e l’ambito di operatività del complesso normativo da lui creato.

Il ministro chiarisce così, in una nota rivista scientifica dell’epoca la sua

contrarietà al metodo di scrittura per cassa, in cui, non tenendo conto degli

accertamenti delle entrate e degli impegni per le spese risulta impossibile

desumere l’ammontare dei resti, ossia, come già osservato, le entrate accertate e

non riscosse e le spese accertate e non pagate.

Il Cambray-Digny, precisa, altresì che il bilancio non è un conto di cassa,

ma una “nota delle autorizzazioni”, e che, conseguentemente, la competenza è

l’unico criterio che può ispirare un preventivo, mentre per lo stato della cassa

risulta sufficiente l’analisi del Tesoro. La dizione entrate e spese, evocata dal

progetto, conclude il suo diretto responsabile, non richiama affatto il concetto di

“riscossioni e pagamenti”.15

Queste dichiarazioni permettono di comprendere come la lettura

tradizionale che vedeva nella Legge Cambray-Digny un tipico esempio di bilancio

per cassa, coniato sul modello inglese, si risolva in una lettura forse

eccessivamente semplificativa della complessa disciplina ivi contenuta.

Seguendo l’impostazione dell’ideatore, invece, la previsione per cui sono

materia del conto dell’anno finanziario le riscossioni e i pagamenti che hanno

effettivamente luogo entro l’anno, non esclude che possano esserne oggetto anche

gli increditamenti e gli addebitamenti “Nulla provando codesto articolo in favore

della scrittura per cassa”16.

Tale ambiguità letterale non facilita la piena ed efficace attuazione della

normativa, ma, al contrario, favorisce non solo, un’approssimativa riduzione del

metodo contabile in un’imperfetta imitazione del metodo di bilancio per cassa

inglese, ma contribuisce ad acuire alcuni inconvenienti in parte superabili da

un’accurata politica di esecuzione ed integrazione dei principi legislativi fissati

dalla Legge del ’69.

15 R.P.COPPINI, L.G.De Cambray-Digny tra affarismo e politica (1865-1869), Rassegna storica del Risorgimento, 1970, pp. 191-225. 16 G. CAMBRAY – DIGNY, Della contabilità dello Stato e dei bilanci, Nuova antologia, aprile 1872 pp. 875 – 889 e pp. 126 – 138.

15

Posto che l’impostazione di fondo del metodo Cambray-Digny è costituito

dalla trasposizione delle categorie contabili della partita doppia aziendalistica alla

gestione del patrimonio statale, non risulta difficile cogliere i limiti di questa

ricostruzione.

Anche agli albori dell’ Unità del Regno, infatti, un sistema di contabilità

che si limita a registrare gli aumenti e le diminuzioni del patrimonio lascia

trasparire tutta la sua inadeguatezza.

Come in precedenza accennato, i conti che concludono l’esercizio

finanziario non risultano idonei a distinguere i fatti che riguardano i residui di

anni precedenti da quelli riferiti alle competenze dell’anno in corso. Tale

inconveniente sarebbe stato facilmente rimediabile con l’inserimento di un conto

di “residui attivi” e uno di “residui passivi”, a cui riferirsi in occasione

dell’apertura dei conti.

Un altro aspetto non trascurabile è la c.d. indeterminatezza dei conti di

bilancio17. La riforma Cambray-Digny non opera una classificazione macro-

economica o per categorie del patrimonio statale né si preoccupa di suddividere in

conti separati i diversi cespiti pubblici. Questa scelta metodologica è forse quella

più difficilmente superabile mediante politiche attuative o interpretative e si presta

a giustificate critiche soprattutto in considerazione del fatto che la riconduzione

unitaria di diverse categorie di beni, intesi in senso lato, all’interno di un'unica

categoria, elimina ogni chiarezza delle scritture e lo stesso controllo parlamentare

sull’operato dell’Esecutivo perde gran parte del suo significato. Tale metodo, oltre a suscitare le istintive perplessità di ogni critico

contemporaneo, alimenta gli attacchi dottrinali dell’epoca e favorisce lo sviluppo

di un dibattito scientifico volto alla distinzione del patrimonio dello Stato in

relazione alla natura del bene, alla sua commerciabilità, mentre per quanto

riguarda la spesa, viene già avvertita come fondamentale l’esigenza di distinguere

la parte relativa ai consumi effettivi da quella costituita da scorte e rimanenze.

I limiti di questo primo intervento legislativo in materia di contabilità

pubblica sperimentato dal nuovo Regno non possono essere nascosti: dall’estrema

genericità di alcune disposizioni legislative meramente tecniche, necessitanti

quindi di una formulazione rigorosa e chiara, all’estrema semplificazione delle

scritture contabili e del sistema dei conti utilizzato, che lasciano trasparire tutta

17 Cfr. sul tema l’opera del F. BESTA La contabilità di Stato, Litografie, Venezia, 1897-1898.

16

l’ingenuità della convinzione per cui la mera trasposizione dei principi

aziendalistici propri della contabilità aziendale, possa risultare idoneo a registrare

e a controllare l’intero impianto patrimoniale statale.

Questo complesso di scelte, tuttavia, deve essere letto alla luce delle

priorità e delle esigenze avvertite dall’amministrazione pubblica negli

immediatamente successivi all’Unità. Sono già stati evidenziati gli immensi

problemi economici e socio-politici propri di questo memento storico, per cui è

facile comprendere come la preoccupazione principale degli statisti dell’epoca si

focalizzi sull’esigenza di ricondurre ad unità e coordinare la contabilià delle

amministrazioni dello Stato, al fine di assicurare un’ordinata, corretta ed uniforme

esposizione del dato finanziario.

I due obiettivi fondamentali diventano, così l’armonizzazione e la

semplificazione.

Sotto questo duplice profilo devono essere letti i principali interventi

promossi dal Cambray-Digny: l’introduzione della Ragioneria Generale, allo

scopo di dotare il Paese di un sistema contabile razionale in grado di garantire un

efficace controllo contabile e l’introduzione del metodo della “Partita doppia”.

Il riscontro contabile viene così affidato alle Ragionerie Centrali, (o

ministeriali), mentre alla Ragioneria Generale è attribuito il compito di riassumere

e tenere le scritture contabili con il metodo della partita doppia al fine di

evidenziare i fatti economici e finanziari riguardanti la gestione dello Stato, di

vigilare sull’attività degli uffici di Ragioneria delle Amministrazioni centrali con

particolare riferimento alle scritturazioni contabili e di predisporre il progetto di

bilancio di previsione, compilando i conti consuntivi.18

18 All’interno di questo sistema contabile la Ragioneria Generale dello Stato è incaricata di provvedere alla descrizione ed alla tenuta, sia pur in modo riassuntivo, dei fatti economico-finanziari che interessano l’azienda dello Stato. Al Ragioniere Generale dello Stato, alle cui dipendenze è posto tutto il personale della Ragioneria Generale medesima è attribuita la responsabilità personale circa l’esattezza e la prontezza delle registrazioni contabili. Il modello proposto è stato oggetto di numerose critiche, specie in sede di discussione parlamentare, sia per l’aggravio di spese riconducibili all’istituzione della Ragioneria Generale dello Stato, che per le modalità connesse alla tenuta della contabilità di Stato: su questo ultimo punto il dibattito ha avuto ad oggetto l’adozione o meno del metodo contabile della partita doppia. Alle Ragionerie Centrali è stato affidato il compito, sotto la personale responsabilità del Ragioniere Capo, di riscontrare tutti gli elementi amministrativi, contabili e costituzionali del mandato, garantendo in questo modo l’effettiva legittimità del titolo di pagamento. Con questa articolazione il sistema contabile è stato incentrato su più ordini di rilevazione: scritture ordinatrici, che descrivono e registrano le operazioni che "impegnano" e "spendono" il bilancio; sindacatrici, che si collegano al riscontro preventivo dei titoli di spesa; esecutrici, che imprimono carattere esecutivo ai titoli. Esse sono tenute rispettivamente presso i singoli ministeri, la Corte dei Conti e la Direzione generale del Tesoro. L’istituzione della Ragioneria Generale non

17

La portata razionalizzatrice di questo intervento è infatti, determinante,

considerando il disordine normativo preesistente e derivante dalla stratificazione

plurisecolare dei principi in materia di amministrazione finanziaria mututati

Regno di Sardegna.

Di fronte a questa frammentazione organizzativa, la riforma del ’96, offre

una soluzione in grado di ricondurre ad una struttura unitaria il complesso

procedimento della finanza pubblica del Regno ed è proprio in quest’ottica che

deve essere interpretato il relativo disinteresse del ministro Cambray-Digny verso

la completezza del sistema di registrazione e verso una puntuale ricognizione della

tipologia e della natura delle entrate e delle spese.

2.3. Dibattito scientifico e riforme amministrative nell’età della

Sinistra.

Gli anni successivi all’entrata in vigore della legge n. 5026 del 1869 sono

caratterizzati da un intenso dibattito parlamentare ed da una febbrile attività di

regolamentazione aventi ad oggetto sia le attribuzioni del Ragioniere Generale

dello Stato19 per gli affinamenti necessari da apportare alla legge Cambray-Digny.

I limiti dell’ impianto normativo creato dallo statista toscano, sono, infatti,

difficilmente trascurabili.

Tra le diverse critiche mosse20, innegabili rimangono gli inconvenienti

legati al metodo di riscontro delle spese che veniva di fatto ricondotto ad un

semplice adempimento formale, mentre nella prassi la formazione di eccedenze

d’impegni rispetto agli stanziamenti accordati continuava ad essere diffusa,

configurando una situazione di marcata instabilità nella gestione finanziaria dello

Stato.

ha inteso determinare il sorgere di un quarto ordine di contabilità, essendo ad essa affidata una contabilità sintetica, riassuntiva dei conti delle entrate e delle spese e delle variazioni della consistenza del patrimonio statale e la scelta di far dipendere le Ragionerie Centrali dai Ministeri ha inteso rispondere alla volontà di favorire una più agevole rilevazione dei fatti amministrativi ed un più ricco flusso informativo, a discapito, tuttavia, dell’efficacia del controllo amministrativo della gestione finanziaria statale da parte della Ragioneria Centrale alla quale è stata affidata una generica attività di "riscontro" (oggi diremo coordinamento) sulla gestione: la responsabilità del Ragioniere Generale dello Stato è stata qualificata come responsabilità morale e, in quanto contemplata da una legge formale, sottoposta al giudizio della Corte dei Conti. 19 MINISTERO DEL TESORO – RAGIONERIA GENERALE DELLO STATO, La RagioneriaGenerale dello Stato. Origine e sviluppi, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1959; 20 F. BESTA La contabilità di Stato, Litografie, Venezia, 1897-1898.

18

Senza ripercorrere la complessa attività parlamentare21, occorre ricordare il

1877, quando, per garantire una più equa e logica distribuzione del lavoro

dell’amministrazione finanziaria dello Stato e per risolvere in modo organico i

complessi problemi emersi dai dibattiti del tempo, il Depretis istituisce con Regio

Decreto n. 4219 del 26 dicembre 1877 il Ministero del Tesoro al quale viene

attribuito il compito di dare "esecuzione alla nuova legge di contabilità, di

sorvegliare sull’esercizio del bilancio ed i servizi di cassa" ed alle dipendenze del

quale vengono posti la Ragioneria Generale, le Direzioni generali del Debito

pubblico, del Tesoro e del Demanio, l’Economato generale e l’Avvocatura

erariale.

L’azione normativa del Depretis è finalizzata ad implementare l’attività di

ammodernamento dell’amministrazione finanziaria, rilanciando il Consiglio dei

Ragionieri, ritoccandone la struttura ma lasciandone pressoché invariate le

attribuzioni ed assegnando una nuova regolamentazione al sistema dei riscontri.

La riscrittura del sistema di contabilità di Stato è, tuttavia, legata al nome

del ministro delle finanze Agostino Magliani.22

Nonostante la storiografia nei sui confronti non risulti particolarmente

generosa, l’ex funzionario borbonico realizza, nel decennio di permanenza al

dicastero, una serie di misure di straordinaria importanza, dalla soppressione del

21 Rilevati gli inconvenienti del su-indicato atto legislativo, si ripresero gli studi, si nominarono commissioni, si fecero raffronti con le norme contabili dei maggiori Stati e specialmente con l’Inghilterra, si redassero progetti e ciò fino a quando non si pervenne, ad opera dell’on. Depretis, Presidente del Consiglio e Ministro delle finanze, a presentare nel 1877 un’ampia e dettagliata relazione che servì di base ai quattro progetti di legge che modificavano:

1. la legge 22 aprile 1869, n° 5026 2. la legge 14 agosto 1862 n° 800, sulla istituzione della Corte dei Conti 3. la legge 20 marzo 1865 n° 2248 allegato D infine un ultimo provvedimento concerneva l’istituzione del Ministero del Tesoro che divenne legge il 26 dicembre 1877, n° 4219, mentre i restanti decaddero a seguito della chiusura della legislatura per morte del primo RE d’Italia.

Successivamente, nel 1878, un’altra commissione di studio fu istituita, ed in base ai lavori compiuti dalla stessa, il Ministro Agostino Magliani, nella seduta del 23 gennaio 1882, presentò alla Camera un nuovo progetto di legge che, a differenza di quelli Depretis disciplinava soltanto la materia e la forma del bilancio. Sebbene votato dopo soltanto sei giorni dalla presentazione della relativa relazione di Giunta, il disegno medesimo, passato subito al Senato con favorevoli auspici, non poté essere approvato per l’avvenuto scioglimento della Camera. Però le norme contenute in quel progetto , con l’introduzione di talune modifiche suggerite dalla Commissione di finanza, al Senato, furono riprodotte in un successivo disegno, presentato dallo stesso Ministro Magliani il 21 dicembre 1882. 22 La fama di Agostino Magliani è rimasta legata alla finanza insincera, o addirittura “allegra”, di cui i contemporanei lo accusano, cfr. L.EINAUDI Di una controversia tra Scajola e Magliani intorno ai bilanci napoletano e sardo, Riv. di storia econ. , 1939, pp. 78.88, R. FAUCCI, Finanza, Amministrazione e pensiero economico, Il caso della contabilità di Stato da Cavour al fascismo, Torino, 1975, p. 86.

19

corso forzoso, all’abolizione dell’odiatissima tassa sul macinato, fino all’avvio del

sistema del Catasto Generale.

L’azione legislativa in materia di bilancio riflette la sua formazione

politica e rappresenta, in parte il coronamento degli studi condotti dalla Destra

negli immediatamente precedenti e della Commissione Duchoqué del 1874.

L’ideologia sposata da Magliani, comincia in questi anni a farsi strada

anche fra i più convinti sostenitori dello Stato Liberale e si fa promotrice dell’idea

della necessaria espansione del ruolo e delle funzioni dello Stato, non più soltatno

spettatore delle vicende economico-finanziarie vissute dal Paese, ma diretto

protagonista della guida di determinati settori di pubblico interesse.

Secondo il ministro, “la molteplicità e l’estensione dello Stato moderno,

non solo accrescono la necessità di spese straordinarie, ma ne rendono incessante

la riproduzione […] in guisa che esse ricorrano, massime negli stati di più recente

formazione, con la stessa continuità delle spese permanenti.”23

Ecco che Magliani diventa il precursore delle teorie Keynesiane del

necessario intervento pubblico in economia, del ruolo fondamentale rivestito dalla

spesa pubblica, concepita non come sintomo di amministrazioni poco

responsabili, ma come elemento necessario per sostenere il mercato e per il buon

funzionamento della vita sociale.

Per la prima volta l’ostinata ricerca del dogma del pareggio del bilancio

subisce un parziale rallentamento e la spesa pubblica viene qualificata come

elemento connaturale di ogni attività politica e non come uno spettro da

demonizzare.24

La formazione politico-ideologica del Magliani influisce notevolmente sul

progetto di riforma del sistema contabile italiano e il ministro che Giolitti

definisce “il rappresentante tipico di una finanza insinceratamente ottimista e di

una quasi prestidigitazione finanziaria”25, modella una struttura contabile di fine

esercizio improntata su criteri fortemente innovativi e comunque molto distanti

rispetto ai principi fissati dalla Legge Cambray-Digny.

23 G. GIOLITTI, Memorie della mia vita, Milano, 1944, p. 41 24 Sull’ “ossessiva politica del pareggio” della Destra storica V. G. MARONGIU, Il pareggio di bilancio come condizione di libertà: la politica fiscale della destra storica, Diritto e pratica tributaria 1995, pp. 369 ss. Ma anche gli stessi discorsi pronunciati nelle aule parlamentari dal Minghetti, secondo cui “ Saremo felici ripensando che noi vi lasciamo il Paese tranquillo all’interno, in buone relazioni e rispettato all’estero; vi lasciamo le finanze assestate e preghiamo Iddio che possiate questi benefici conservare alla patria.” M. MINGHETTI, Discorsi parlamentari, Roma, 1888 p. 356. 25 G. GIOLITTI, Memorie cit. , p.39

20

Il punto più caratteristico del progetto presentato il 21 dicembre 1882 è lo

spostamento dell’anno finanziario da gennaio a luglio.

La Legge del ’69, invece, rovesciava la situazione, gli stati di prima

previsione venivano presentati nel settembre precedente, mentre il definitivo il

marzo successivo e a luglio il rendiconto consultivo.

L’inconveniente di questo sistema, tuttavia, risulta immediatamente

percepibile, comportando a carico delle Camere, a distanza di sei mesi, la

discussione di due bilanci di competenza sulle medesime materie.

Il bilancio di definitiva previsione, infatti, invece di limitarsi ai soli

capitoli variati, riportava tutti quelli già inseriti nel preventivo.

La riforma Magliani, invece, riduce a tre documenti finanziari e, attraverso

l’assorbimento della situazione del Tesoro e del bilancio di definitiva previsione

nel nuovo “bilancio di assestamento”, getta le basi di una manovra finanziaria più

rapida ed efficace, ma anche di più immediata percezione, garantendo così un

controllo parlamentare più consapevole e naturalmente più rapido e spedito26.

L’assestamento diventa, così il mezzo più opportuno per rettificare il

bilancio dell’esercizio in corso e completarlo con i residui dell’anno precedente.

Altro nodo fondamentale del progetto di legge è la decisiva ed univoca

precisazione della materia oggetto del bilancio.

Le espressioni “riscossioni e pagamenti” vengono definitivamente espunte

dal tessuto legislativo e i due lemmi che tanto avevano fatto discutere politici ed

interpreti vengono sostituiti con i termini “ entrate e spese”.

L’intento è chiaro: in tal modo il legislatore di fronte al bivio tra la tecnica

contabile del bilancio di competenza e quella per competenza, intraprende la

strada della redazione in termini di pura competenza, tecnica che resterà

incontrastata ed indiscussa per quasi un secolo 27.

L’entrata viene, così, intesa “maturata” al momento dell’accertamento

mentre la spesa può considerarsi perfezionata al momento della contrazione del

debito, indipendentemente dalla riscossione della prima e dal pagamento della

seconda.

L’ulteriore incertezza sul momento a partire dal quale un impegno di spesa

possa intendersi “legalmente preso” è desumibile dalla rigorosa definizione

26 R. FAUCCI , Finanza, amministrazione e pensiero economico, Torino, 1975 pp. 47 ss; 27 La tecnica di redazione di bilancio basata sul sistema di contabilizzazione per cassa verrà reintrodotto enl nostro sistema soltanto con la riforma del 1978.

21

delineata dalla Commissione bilancio, per i c.d. residui passivi, qualificabili come

le somme dipendenti dalle competenze stanziate con il bilancio di previsione,

legittimamente impiegate e non pagate.

Dal punto di vista strettamente contabile il consuntivo risulta, così,

composto dal conto del bilancio, formato dalle entrate accertate e scadute dal

primo luglio al giugno successivo, dalle spese ordinate e liquidate nello stesso

arco di tempo e dalle riscossioni degli agenti, dai versamenti nelle casse del

Tesoro e dai pagamenti effettuati nel periodo di tempo considerato e dal conto

generale del patrimonio dello Stato, in cui vengono inserite le variazioni che

apporta in esso l’esercizio del bilancio e tutte quelle che si manifestano nelle

consistenze patrimoniali.

Relativamente ai conti dello Stato, infine, è stabilito che questi abbiano a

corredo la dimostrazione dei vari punti di concordanza tra la contabilità del

bilancio e quella di ordinaria gestione patrimoniale dovendo, inoltre, dar conto

anche di tutte le variazioni registrate nei conti speciali, adibiti alla visualizzazione

e all’esplicazione dei risultati dei singoli servizi.

Come in precedenza accennato, tale rivoluzione nella tecnica contabile non

può essere avulsa dalla realtà storica di riferimento e soprattutto dall’ideologia

politica che in quegli anni si stava facendo strada, aldilà dei postulati economici

classi e aldilà dei rigorosi principi di liberismo economico.

Negli anni in cui maturava l’avvento della sinistra al potere, in Italia si

inizia a discorrere di “Germanismo economico”,28 per propugnare la necessità di

rivedere il tradizionale indirizzo liberistico, ormai radicato nella politica

economica del paese.29

28 Per una lettura critica di questo periodo della storia economica italiana Cfr. F. FERRARA , Il germanesimo economico in Italia, Nuova Antologia, Opere complete vol. X, pp. 555- 591 di F. Caffè, Roma, 1972. 29 Il metodo storico si accompagna al riformismo sociale ed economico e le adesioni alla nuova corrente riescono a prescindere dalle divisioni partitiche. Vengono così promossi congressi, da autorevoli esponenti del dibattito scientifico quali Scialoja, Lampertico, Cossa e Luzzati allo scopo di accertarele nuove funzioni da attribuire allo Sato moderno, affinchè “La libertà non venga sfruttata dal fatalismo, ma diventi ognor più certa e feconda”( Il testo della circolare viene pubblicato dalla Società liberista di Adamo Smith, L’economista, Firenze, 24 febbraio 1874 ) Questo nuovo approccio raccoglie l’adesione delle personalità più disparate: dagli esponenti dell’estrema Destra, come Bonghi, accanto a Quintino Sella ai più moderati come il GIorgini e il Tabarrini, fino ai sostenitori di un diffuso statalismo, come Leone Carpi, accanto a giuristi e funzionaricome Costantino Bear, Luigi Palma, Alberto Errea. Questi intellettuali esprimevano la critica per il modo in cui si era realizzata l’Unità d’Italia soprattutto per il modo in cui il principio del lasissez faire aveva permeato l’intera logica dell’amministrazione post-unitaria.

22

La premessa, non così lontana dall’azione politica dei diversi governi

succedutisi storicamente in Italia e nello stesso Piemonte cavouriano, secondo cui

lo Stato debba rivestire un ruolo di acceleratore nello sviluppo economico del

Paese comincia, così, a diffondersi in maniera consistente tra gli economisti ed in

particolare tra il gruppo di teorici legati al nome di Luigi Luttazzi.

I primi accenni di questo nuovo corso economico cominciano a delinearsi

attorno al 1878, quando la pressione degli industriali tessili e meccanici del Nord

riesce a strappare al governo una prima tariffa doganale protettiva.

Da allora il tono della vita economica del Paese diventa più sostenuto e il

mercato dei capitali più animato. A ciò contribuisce anche l’inserimento e il

progressivo sviluppo in Italia di nuove forme di credito con finalità specifiche di

finanziamento degli investimenti, promosse inizialmente dai nuovi organismi

bancari del Credito mobiliare e della Banca generale

Iniziano così i primi investimenti speculativi, ma la maggior fiducia nel

mercato favorisce anche gli impegni di denaro a medio lungo termine e dal 1881

al 1887 gli indici della produzione delle varie branche industriali mostrano una

netta e costante tendenza di ascesa.

Ma la vera novità di questo “nuovo corso economico” è proprio il peso

determinante rivestito dallo Stato in questo processo di accelerazione: la società di

Terni, che nel 1884 inizia la costruzione della prima grande acciaieria italiana

usufruisce fin dal suo esordio di un significativo appoggio statale. Anche

l’industria cantieristica, guidata dall’ingegner Luigi Orlando, è fortemente

sovvenzionata dalla mano statale mediate uno stanziamento di 53 milioni

concesso nel 1885, mentre le maggiori compagnie di navigazione, attraverso una

fusione strategica, danno vita al colosso italiano della Navigazione Generale.

Un’ulteriore conferma di questo trend deve essere letto nella nuova tariffa

doganale del 1887, volta non più ad esclusiva tutela della nascente industria

italiana, ma concepita come criterio di protezione da estendere anche ai diversi

settori dell’agricoltura. Ne beneficiano, infatti, le colture dello zucchero della

Secondo quest’impostazione ideologica l’approccio corretto al problema, deve partire da un’indagine concreta e da un puntuale esame della situazione al fine di valutare adeguatamente l’opzione regolatoria e di addivenire ad una scelta consapevole in merito all’opportunità o meno di un intervento legislativo in materia. La fiducia nello strumento legislativo richiama l’impostazione illuministica, ma è indubbio che lo spirito pragmatico della nuova scuola contribuisce in maniera significativa all’avvio dello sviluppo e del processo di modernizzazione delle strutture economiche e civili conclusosi con il primo quindicennio del secolo.

23

canapa, quella del grano e, più in generale, le coltivazioni intensive del nord

d’Italia.

Il freno alle massicce importazioni di grano americano compensa in parte

le perdite subite dai proprietari agricoli durante la grande crisi agraria, iniziata

proprio in corrispondenza del primo boom industriale.

Il capitalismo italiano si sviluppa, così, in un tessuto sociale dove il

vecchio e il nuovo si sovrappongono continuamente e si intrecciano in un

liberismo connotato da qualche tratto di imperialismo leniniano e di dirigismo

economico30, nella consapevolezza per cui la fiducia nell’automatico realizzarsi

delle armonie economiche viene costantemente smentita dall’aggravarsi della

concorrenza internazionale che accentua le rivalità commerciali e fomenta i

conflitti militari.

Questi tratti singolari della nuova impostazione economica italiana,

riescono ad emergere anche da una più attenta analisi della riforma contabile e

delle scelte operate dal ministro Magliani.

L’inversione di rotta rispetto all’impostazione della Destra si percepisce

sin dalla scelta dei tempi della manovra economica sia dalla generale

impostazione di più vasto respiro che il Governo di sinistra promuove per la

politica economica.

Questa tendenza viene favorita dal dibattito scientifico e dalla cultura

posivistica delle scienza sociali sul c.d. carattere “organico” dello Stato, in

contrapposizione con la concezione meccanicistica della tradizione politica

settecentesca.

I termini “organicità” ed “organico” ricorrono così nella letteratura e nella

scienze delle finanze, richiamando il carattere necessariamente complessivo ed

unitario dell’amministrazione statale, quasi a voler evocare una “completezza” ed

“universalità”dei fini dell’Ente.

Viene così, ideata la teoria della “progressione dei bilanci statali”31 ,

secondo la quale la crescita di questo strumento contabile rappresenta il risultato

della sempre maggiore complessità delle funzioni statali.

30 G. PROCACCI, Storia degli italiani, Bari, 1968. 31 A. SALANDRO, Politica e legislazione, saggi raccolti da G. Fortunato, Bari, 1915; “La legge dell’incremento progressivo del fabbisogno sia dello Stato, sia per regola dei corpi locali..”, A. WAGNER, Scienza delle finanze, 1877, traduzione in Biblioteca dell’economista III serie, Torino – Unione tipografico-editrice, 1981, p 63. A. GRAZIANI, Intorno all’aumento progressivo delle spese

24

Il bilancio statale diventa, infatti, il documento ricognitivo di tutti gli

impegni assunti, rilevandosi il principale strumento di politica economica e

sociale in grado di riflettere le scelte perseguite dall’amministrazione centrale.

Ecco, allora, che le opzioni semplificatorie prescelte dal Cambray-Digny

appaiono al tempo stesso inadeguate ed anacronistiche.

Inevitabile risulta la scelta a favore del bilancio di competenza. Il metodo

di registrazione per cassa, pur risultando più semplice e spedito nella sua

redazione, si dimostra del tutto insufficiente a fotografare in maniera trasparente

la situazione degli impegni assunti e delle previsioni effettuate, rendendo difficile

una obiettiva analisi della situazione patrimoniale.

Il quadro di cassa, limitandosi alla sola registrazione dei movimenti reali,

ignora tutte quelle operazioni che, pur essendo effettuate e pur risultando

ascrivibili temporalmente all’esercizio in corso, non sono giunte a perfetto

compimento nella parte relativa alla riscossione o al pagamento degli importi

corrispondenti. E’ chiaro però, che una corretta pianificazione economica non può

prescindere da questi dati ed è chiaro, altresì, che al fine di una corretta

valutazione del risultato di gestione occorre riferirsi al complesso delle spese

sostenute e delle entrate accertate nell’arco temporale di riferimento perché anche

solo un flusso di cassa riferibile ad un diverso esercizio, è in grado di alterare la

corretta configurazione della produttività di determinate attività e degli oneri da

queste derivanti.

Il metodo di registrazione di pura cassa, oltre al già evidenziato vantaggio

della maggiore semplicità redazionale può risultare utile per una più consapevole

gestione della politica monetaria, ma come già accennato, il modello predisposto

dal Cambray-Digny, non si proponeva tali obiettivi e mirava piuttosto ad una

chiarificazione del risultato economico dell’esercizio, tramite un sistema ibrido

che pur evidenziando le risorse e le spese di competenza dell’anno finanziario si

proponeva tecniche redazionali il più possibile semplificate cercando di evitare il

conto dei residui.

Un approccio simile non può risultare percorribile per i tecnici ed i ministri

responsabili del “nuovo corso economico”: l’aumento esponenziale delle attività

poste in essere dall’amministrazione centrale e quindi dei relativi costi di gestione,

sempre più eterogenei e complessi, l’inserimento della spesa pubblica e la

pubbliche. Memoria premiata nel concorso 1885-1886 dalla Regia Accademia di Scienze, lettere ed arti di Modena, Modena, Soc. Tipografica, 1887, spec. pp 41-77

25

necessità di diversificare le entrate rendono inevitabile la predisposizione di un

sistema contabile in grado di costituire non più un modello di attestazione di un

ammontare innominato di entrate e spese, ma un vero e proprio strumento di

pianificazione politica e di programmazione economica.

In questo senso deve essere letta la progressiva diversificazione dei conti

pubblici, della loro graduale classificazione in relazione alla natura, proprio per

permettere di valutare i relativi costi di gestione anche secondo la capacità

produttiva e all’arco temporale di durata dell’investimento.

In questi anni viene maturata la consapevolezza dell’impossibilità di una

trasposizione meccanica dei principi contabili aziendalistici al bilancio statale: è

l’eterogeneità dei fini che rende questa organizzazione peculiare e difficilmente

comparabile con le strutture privatistiche, ed è proprio questa la ragione che

impedisce, o quanto meno rende particolarmente difficile al metodo scientifico

ideato dal Cerboni di far presa tra gli intellettuali dell’epoca e tra la stessa

opinione pubblica.

Un’analisi seppur estremamente semplificata ed approssimativa del

metodo logismografico, oltre ad essere indispensabile per la ricostruzione del

dibattito scientifico, potrebbe risultare utile per un più completo inquadramento

delle scelte contabili degli anni ’70- ‘90

Sono questi gli anni in cui si riapre il dibattito sul metodo contabile da

adottare per la tenuta dei conti dello Stato.

Ed è in tale contesto che si inserisce l’opera scientifica di Giuseppe

Cerboni. L’attività dello stesso nella veste di Ragioniere Generale dello Stato sono

dedicate interamente all’elaborazione ed all’affermazione del metodo

logismografico.

La differenza fondamentale fra il metodo Cerboniano e quello dei

partiduplisti può essere riassunta nei principi generali che ispirano i due approcci:

mentre nella partita doppia si addebita il conto che riceve e si accredita quello che

da, la logismografia tiene la bilancia del dare e dell’avere tra il proprietario, solo,

da una parte, e gli agenti e i corrispondenti che vengono iscritti insieme

dall’altra32.

32 Per una disamina del metodo Cerboniano cnf. G . CERBONI, Sull’ordinamento della contabilità di Stato, Tipografia e cartoleria militare di Tito Giuliani, Firenze, 1866; G CERBONI., La Ragioneria scientifica e le sue relazioni con le discipline amministrative e sociali, Vol. I – I Prolegomeni, Roma, E. Loescher e C.,1886; G. CERBONI, La Ragioneria scientifica e le sue relazioni con le discipline amministrative e sociali, Vol. II – Il metodo, Roma, Società Editrice

26

La partita doppia richiede, inoltre, due diversi sistemi di scritture per la

contabilità finanziaria e quella economico-patrimoniale mentre la logismografia

consente di tenere un unico corpo scritturale, il quale evidenzi la contabilità

morale e la contabilità giuridica. In partita doppia si può configurare un conto

sottinteso dell’amministratore, inutile nel metodo logismografico, in cui non è

l’amministratore il fulcro della bilancia del Dare e dell’Avere, bensì la sostanza

patrimoniale. Nella partita doppia manca, infine, un sistema che consenta di

distinguere tra fatti permutativi e fatti modificativi.33

Il principio di fondo attorno al quale si svolge il metodo logismografico

risiede nell’assioma per cui il proprietario è creditore della sostanza investita in

azienda e debitore delle sue passività, in contrapposizione alla posizione degli

agenti e corrispondenti, mentre l’amministratore è colui che "tiene la bilancia del

dare e dell’avere tra il proprietario da una parte e gli agenti e corrispondenti

dall’altra". Da ciò deriva la tenuta di due serie di conti, specifici e giuridici,

riferibili al proprietario e all’ente agenziale.

I conti accesi alla persona del proprietario gli vengono riferiti in quanto

egli è "creditore giuridico di tutte le attività, e debitore parimenti giuridico di tutte

le passività dell’azienda". I conti accesi alle persone che compongono l’ente

agenziale, specularmente, trovano la loro giustificazione nel fatto che

rappresentano, in contropartita alla posizione giuridica del proprietario, i debitori

delle attività ed i creditori delle passività dell’azienda.

Tabella 1 I principi della Logismografia

���������������������������������������������������� �� �� �� �� � ��� �� ��� �� ���� �� �� �� � ��� �� ��� �� ���� �� �� �� � ��� �� ��� �� ���� �� �� �� � ��� �� ��� �� ������

���

� �� ���� � �� �������� � � ��� � ��� �� ��� � � �� � �! ����� � � � "�� � �� �� ������ � � ��# � �� � � �� ��� ����� �� �� � � ��� �� �$� "�� ��� ��� ����� � � �� ����� $� ��� � � �� �� � � ���� �� �� � ��� �� �$� �

� ��� ��� �� ���� � �� ������� �

��

�� % �� ��� �� � �� ��� ����� �� � $$&���� � � � �� �� � ��� $� ��� � �'�� � � �� �� � ����� � �� � � �� ���� � �'�� � ���� ����� �������� �

�� ��� �()��$� ��� �� �$� �� � $$&���� � � �"��� �� � � �* ��$� �� ��� ����� ���� ��� "����( ��� � �� �� � ��� �� �� � ��� �� �� ��

$� �"��# � ��+ + �� �

Dante Alighieri, 1894; Per uno sguardo di insieme al sistema della partita doppia V. per tutti G. FOSSATI- S. MOGOROVICH, Contabilità generale, Roma, 2006; 33 G. CERBONI , Quadro di contabilità per le scritture in partita doppia (con metodo logismografico) per la Ragioneria generale dello Stato, Roma, Stamperia Reale, 1877;

27

��

�� ��� ����� ����� �� �$�� � �� ��)��$� �� ��� ����� �� � ��� �� �$� �� �� ����� �� ��� ������ �$� ��� �� � ������ � $$&���� � � �)�

+ ��

$��� �* ��� � � �� �$� � �� ��� �(�� �$� ��� �� � ������ � $$&���� � � �"��$��� �$&� � � �� ������$�)�

��

�� ��$� �� ��� ����� ��� � �� ����� �$&���� � � ��� � ��� ���� ��� "���'� ��� �$��� � �� �� ����� �� �, � �$��(�� �� �� ��� ����� �� �� ��

�� � �� ����� �� �� )�

���

$��� �* ��� � �� ������� �$&� ��� � � �"��$��� ��� ��� � ��� �$� ��� ���� �� �� ��$� ��� ���� � � � � �� � �� ��� ���$� � � �� )�

��

�� �$&�� � �� ������� �� ��$$&�� ������ �� � $$��� ��� ��� � � �� � �$���--����� � $$&���� � � � �� �� ��� ��� � ������ � � ������ � ����� � � ��

, � � $$� �� ���� ��� � ��� � �� ��� ��� $� � � �� �$� ��� ���� �� "�'� ����� + + � �� � � �, � �$��("�, � � $$��� ���� � �� ����� �� �� �� �

, � � $$� �� ����� � �� ��� � �� �� ������ )�

� ��

�� � ������� � �� � �� � + ��� �� ��� � �� ��� � �� � � ��� � �� � � �� ���� ��� �� � ���� � ��� �� �� �'��� '� ��� )�

��

� �� ���� � � � �� � ��'�� �� �� � �, � �$��'� �$���� � ����� � � �� � $$&���� � � ��� � '� �� ��� �� ��� ����������� �� ��� �� � ��'� �� )�

� ��

�$� �� ��� ����� "��� � �� ������� �� � �$&���� � � �"�* �� ��-���� ��$���� � ��� �� �� � $$� ��� ���� �� �� ��$�� � + ��� �� �� � $$� � ����'��( �� ��

$� ���� '� ��� ��$����� � ���� ����� ���� � � � � � ��)�

��

�$���� � ��� �� � $� �� ��� ����� ��� ���� � � � � ��$�� � + ��� �� � �$����� � ���� �� � ���� ���� � � � � � ��"�� �'��� '� �����$���� � ��� �� ��

�� ��� �� ��� ���� � � � � ��$�� � + ��� �� � $� �� ��� ����� )�

� &� � � �� ����� �� �� ���� � � �$��+ �$�� ����� � $�� ��� �� �� � $$&�'� �� ���� ��$� �� ��� ����� �� � �� � � � ���� �� ��$����� � ���� �

�� ���� � � � � � ���� �$$&�$��� )�

� &�� � �� ������� �� �� � � � � % �� ��� �� �� � + ��� �� �� ���� � ��� �� �� � $$� ����� � � � ��� �� � � ��� � � ���� � �� ��� � �� �� ������ �� �

�� ���� � � � � � �� �� ����� � � ��� �� ��� )�

-��

�$�� ��� �� �$&�'� �� �� � $� �� ��� ����� �� � � �'���� ��# � � � $�-���� �� �� � �� ��� �� ����� �� ��� �"�� ''� �� � � ������� ���� � � ���

� �� �� �� � ��� � ���$$�� ��� � �� � �� ��# � �$� ���� ��� � �� ��� ����� ����� �� % ��$$&���� � � �)�

��

� � � � �� � ����� � ��� � �$��� ��� ������ �� �� � ��� ����$��� ���$� �� � $$&���� � � � �� � ��$� �������� ���� ��� � � ����"�� � � �� � � �-���� � �� . �$� ��� � � ���� � � �� �� � � � ��� �� � $�

�� ��� ����� "�� . �, � � $$�"��� $$� ���'�� � � �� ��� �� ��"�� � �$����� � ���� �� � ���� ���� � � � � � ��)�

Il metodo logismografico, applicato alla contabilità di Stato implica

necessariamente una ricostruzione dell’attività statale in termini di funzioni.

28

34Cerboni ritiene che tutte le operazioni di contabilità possano essere ricondotte a

tre tipi di azioni, ciascuna delle quali poteva essere personificata in un ente che se

ne assume la responsabilità, come rappresentato dalla tabella sottostante.

Tabella 2 La teoretica della funzione amministrativa alla base dell’impianto logismografico

� �� � � �� � � �� � � �� � � � ��� ��/ �� �0 1� ��� ��/ �� �0 1� ��� ��/ �� �0 1� ��� ��/ �� �0 1 &&&&� �0 � ��0 &�0 � ��0 &�0 � ��0 &�0 � ��0 &�

� �� ���� ��� $� �� �� �� �� � ��'� �

��� ��� � � ��$$&� �� ������ �� � $�+ �$�� ��� �� �� $�� � '�� � � �� � ����� � � ��$� )�������� $'� �� � $��� � � �� � � �� �� � ���� � ���$� ���$� ��'� ��� �� �� ���� �� ������� $�

���$� � � � �� )�

�� � � � �� + �$��( �� � ��$� � � �� �� � �� ��� ��� ����� ��� �� � � � ���

� � �� �������'� �

�� �� ���� � � ��$$� ��� ���� � � � � �� � � � � �� �� � $$� � � + + $��� �

-�� � � �� )�������� $'� �� � $$���� � � �� �� � $$� �������� �� ��� �$����# � ����-�� ��� � $�

�� � � �� � � �� �� � ���� � ����� � �� �������'� )�

�� � � � ��+ �$��( �� ���� $�� � �� �� ���'�$� �

�� � ���� � � �� ����� ��'�� ��� ����� ��� �� � � � ���

0 � �� �� ���'� �� ��� � �$� ��'� �

--�� � �� �� ���� � �� + �$��� � $$&� � � �� ����� ��� � � "���, � �$��� �� � � �

�� � � ��������� '� �� "��� ��� � ��� �� �� �����+ � ��� ��� �� � � � ����-� �� �$��� � � ��� �� �+ � � ��� � $$� ���� �� "�� �$��

� �� �� ��� � �$��� � � �� ����� �� ���� ��� ��� �$� ���� ���� ���� � � ��� � � � ���� �� � $$��

�� ��� �� � ���� � ��)�

�� � � � �� + �$��( �� ��� ��� $� �� ���� � ����$� �

�� � ����� � �� �� ������

Schemi tratti da G. CERBONI, Sull’ordinamento della contabilità di Stato, Tipografia e cartoleria militare di Tito Giuliani, Firenze, 1866.

34 Per una panoramica generale sull’apporto scientifico del Cerboni cnf. le opere: G . CERBONI., Sull’ordinamento della contabilità di Stato, Tipografia e cartoleria militare di Tito Giuliani, Firenze, 1866; G CERBONI., La Ragioneria scientifica e le sue relazioni con le discipline amministrative e sociali, Vol. I – I Prolegomeni, Roma, E. Loescher e C.,1886; G. CERBONI., La Ragioneria scientifica e le sue relazioni con le discipline amministrative e sociali, Vol. II – Il metodo, Roma, Società Editrice Dante Alighieri, 1894; G. CERBONI, Sulla importanza degli articoli 18° e 20° della legge di contabilità di Stato, Roma, Tipografia Elzeviriana, 1901.

29

Il metodo logismografico è un metodo grafico-tabellare, il cui documento

principale è costituito dal "Giornale". Esso accoglie le registrazioni relative

"all’esercizio finanziario" e "all’esercizio patrimoniale o economico".

Il primo osserva la contabilità dei rapporti fra lo Stato ed il potere

esecutivo, relativamente all’esercizio del Bilancio di previsione, individuando così

le responsabilità cosidette "personali" che gravano su ciascuno dei soggetti

implicati. Il secondo rappresenta, invece, l’insieme dei fatti amministrativi nei

quali si traducono le previsioni e le autorizzazioni di Bilancio, indicando, in tal

modo, le posizioni di debito e di credito che ciascun agente o corrispondente ha in

rapporto al complesso della consistenza patrimoniale attiva e passiva.

L’esercizio finanziario è composto da due "bilance": la "bilancia dello

Stato e degli ordinatori dell’entrata" e la "bilancia dello Stato e degli ordinatori

dell’uscita".

Nonostante il lungo periodo in cui il Cerboni ricopre la carica di

Ragioniere Generale dello Stato, il suo metodo non riesce a lasciare un segno

profondo nelle metodologie di rilevazione dell’impianto contabile, né tanto meno

a permeare l’organizzazione e l’articolazione operative delle Ragionerie Centrali.

Non può essere negato che la prima difficoltà riscontrata deve farsi risalire

all’intrinseca complessità del metodo logismografico,35 .

Basti pensare che il quadro contabile da lui ideato è composto da 468 fogli

di cui 42 non richiesti da implicazioni amministrative, ma necessari per garantire

il funzionamento complessivo del metodo tabellare.

Deve essere tuttavia considerata, altresì la progressiva maturazione a

livello di dibattico scientifico, ma anche tecnico-politico della consapevolezza

dell’inutilità di una rigida applicazione della contabilità ordinaria

all’amministrazione di bilancio e, ancor più alla contabilità pubblica36.

35 C. CANTONE, Il tramonto della logismografia, in Rivista Italiana di Ragioneria, 1934. 36 Il fallimento di questa iniziativa, tuttavia non impedisce al metodo scientifico del Cerboni di a far presa nella cultura dell’epoca. Il pubblico funzionario riesce, infatti, ad imprimere alla Ragioneria un prestigio ed un’autonomia del tutto inedita nel regime parlamentare postunitario. “La voce burocrazia accenna a un governo con poteri conferiti dai rappresentanti della nazione, da esercitarsi col mezzo di uffici propri, legislativamente prestabiliti in contrapposizione a quelli del governo assoluto” La fiducia del Cerboni nel sistema burocratico e nella necessità che questo non si scontri con gli istituti del sistema rappresentativo trova conferma nella nota considerazione per cui “ Mentre burocrazia, nella sua origine, è contrapposto di autocrazia, […] da noi è invalso l’uso di adoperare quella parola soltanto a denotare poca benevolenza… la schiera de’ funzionari governativi, cui erroneamente si attribuisce la complicanza e il soverchio dispendio de’ pubblici servizi”, Cnf. G. CERBONI, Dei mezzi per conseguire la riforma della burocrazia e della contabilità e per attuare il decentramento dicasteriale nell’amministrazione dello Stato, Roma, 1987, p. 9.

30

Il fallimento di questo metodo deve essere, infatti, addebitato alla naturale

evoluzione vissuta in quegli anni dai conti pubblici.

La c.d. “progressione dei bilanci statali”, l’estrema frammentazione delle

voci di entrata e di spesa, il nuovo ruolo dello Stato nell’economia richiedevano

da un lato, una tecnica di e scritturazione più semplice ed immediata per far fronte

alla complessità delle operazioni pubbliche e dall’altro, un sistema contabile non

più improntato sulle tecniche aziendali, ma in grado di cogliere le peculiarità di

una finanza gestita da Enti ed Istituzioni pubbliche.

1.4. Liberismo economico e nuovo centralismo amministrativo

dall’Età Luttazziana alla Riforma De Stefani.

La storia politica italiana dell’ultimo scorcio di secolo segna una svolta

nell’impostazione politica e, riassumendosi nel nome di Francesco Crispi e

proseguendo con il rigido conservatorismo di Rudinì e con il tentativo reazionario

di Pelloux, si caratterizza per il prepotere del Governo di fronte ad un Parlamento

che tende a diventarne una “cassa di risonanza”37.

La figura di Luigi Luttazzi38 permette, in questo contesto, di tendere una

linea di continuità nell’amministrazione finanziaria di fine secolo con quella

giolittiana, ecco allora che accanto all’età del Sella e del Magliani, la storiografia

più consolidata configura una vera e propria età Luttazziana soprattutto

nell’intervallo temporale tra il 1890 e il 1910.

“Quantunque traesse le sue origini dall’antica Destra, il suo ingegno agile

e pieghevole aveva seguito il movimento dei tempi”39.

Tale visione, tanto ottimistica da apparire ingenua, sembra, se consentito, negare una realtà costellata da aperti conflitti e di colpevoli collusioni fra politica e amministrazione. Luttazzi e gli uomini di governo del ventennio a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento sono, invece, i protagonisti di una ricerca ostinata volta alla minimizzazione di questi conflitti, in nome della superiore moralità dell’azione statale. 37 R. FAUCCI, Finanza amministrazione e pensiero economico, Torino, 1975. 38 LUIGI LUZZATTI ricopre un ruolo molto importante nell’ambito dello studio della contabilità di Stato, fu professore di Diritto costituzionale all’Università di Padova e poi di diritto commerciale e costituzionale a Roma, nel 1921 divenne senatore. Ricoprì la carica di Ministro delle Finanze per due volte (1892, 1903-1904,), quella di Ministro del Tesoro per ben quattro volte (1891-1892, 1896-1898, 1903-1905, 1920) e fu presidente del Consiglio nel 1910-1911. Incise notevolmente nella vita politica dello Stato, molti sono i provvedimenti che portano il suo nome; la riforma De Stefani rappresenta il coronamento delle sue iniziativa nell’ambito della contabilità pubblica (ne rivendicò la paternità in Parlamento). 39 G.GIOLITTI, Memorie cit. p. 279

31

Questo noto ritratto del Giolitti sembra voler evocare la sua naturale

inclinazione, a dispetto delle più tradizionali correnti dottrinali dellla Destra

storica, verso il paternalismo aziendale e il dirigismo economico40.

Il Ministro diventa, infatti, promotore della legislazione di sostegno alle

attività economiche private, di leggi sulla cooperazione, sul credito popolare, ma

anche sulla protezione dell’industria nazionale.

Ma è nel campo dell’amministrazione finanziaria che Luzzatti fa emergere

l’ideologia politica da lui perseguita, realizzando un accentramento nel Ministero

del Tesoro del potere di controllo e di revisione sulla gestione dei bilanci degli

altri dicasteri.41

L’impostazione Luttazziana favorisce il graduale passaggio storico dagli

anni appena successivi all’Unione al periodo giolittiano e se la consapevolezza

della necessità di un sostegno alla fragile economia italiana riduce la senescenza

dell’impianto contabile del 1889, questi deboli segnali di conferma non

nascondono l’inadeguatezza del sistema Magliani.

Si intensificano, così proprio in quegli anni gli studi volti a migliorare il

sistema di contabilità di Stato. Sono presentati ed approvati nuovi progetti: la

legge Giolitti radicalmente modificata dalla legge Grimaldi, mirante a risolvere

l’annoso problema delle eccedenze degli impegni rispetto agli stanziamenti

approvati col bilancio annuale.

40 “Quando il ministro Zanardelli visitò gli opifici del sen. Rossi a Schio, esclamò commosso: - Qui è la soluzione migliore del problema sociale, dall’asilo il giovanetto passa alla scuola, dalla scuola alla fabbrica, dalla fabbrica alla casetta propria e pulita, acquistata col metodo delle rate tenui e graduali di ammortamento. Suppongasi che tutti i fabbricanti d’Italia imitino questo esempio e l’Internazionale ha perduto molte probabilità di successo fra operai contenti e piegati al nobile egoismo nella proprietà privata.” L. LUZZATTI, L’Internazionale in Italia, L’opinione, 28 settembre 1876, ora in Opere complete di L.Luzzatti, Vol. IV, Bologna, 1952 41 Fra i provvedimenti più importanti dell’era luzzattiana:

a. regio decreto Luzzatti del 4 gennaio 1897, n° 2, che istituì le commissioni di vigilanza sugli impegni di spesa;

b. legge 11 luglio 1897, n° 256, che disciplinò il riscontro effettivo dei magazzini e dei depositi di materie e merci di proprietà dello Stato;

c. legge 12 maggio 1904, n° 178, che regolò la materia degli appalti alle cooperative per costruzioni e per forniture;

d. regio decreto 8 luglio 1904, n° 346, emanato su proposta dello stesso Luzzatti, che dettò nuove norme per la vigilanza degli impegni di spesa;

e. legge 19 aprile 1906, n° 126, che concesse maggiori agevolazioni in materia di appalti con le cooperative;

f. legge 15 luglio 1906, n° 326, che dettò le norme per le visite periodiche alle Ragionerie centrali dei vari ministeri , a cura di speciali ispettori; legge 17 luglio 1910, n° 511, che innvò completamente le disposizioni relative alla contabilità dei corpi, istituti e stabilimenti militari.

32

Sono legati al nome di Luzzatti anche la discussione e la modifica di

aspetti essenziali della contabilità statale: la decorrenza dell’esercizio finanziario e

la disciplina dei riscontri.42

La problematica della durata dell’anno finanziario risulta strettamente

legata, inoltre, all’opportunità di fissare nuove regole in merito alla questione

dell’assestamento del bilancio43.

L’infuocato dibattito su questi temi, tuttavia, non conduce ai risultati

sperati, i lavori della Commissione non portano a nessun esito operativo e

l’assestamento viene abolito solo nel 1913 con la Legge del 26 giugno n. 740. Ma

è soprattutto in materia di riscontri che emerge l’impostazione politica del

Luzzatti, la sua volontà di accentramento e la tendenza a considerare la Corte dei

Conti come un organo ausiliario del Governo, più che un ente adibito al sindacato

su di esso.

La verifica della consistenza dei magazzini e dei depositi dello Stato

veniva, infatti, affidata alla Corte dei Conti, ma con una puntuale precisazione, in

grado di spostare i termini del reale sindacato di quest’organo sulle potestà

dell’esecutivo.

Il Luttazzi presenta alla Camera, il 9 giugno 1897, un progetto che

attribuisce alla Corte i pieni poteri di vigilanza e di ispezione in materia di

verifiche di magazzino, pur senza conferire agli agenti di questa una vera e

propria potestà di accesso diretta, chiarendo che tali compiti avrebbero dovuto

rimanere in capo agli organi di amministrazione attiva.

Parallelamente anche i progetti in materia di impegni di spesa permettono

di cogliere la linea accentratrice perseguita dal Ministro.

42 La questione della modifica della decorrenza dell’anno finanziario viene inizialmente sollevata da una mozione presentata alla Camera il 10 luglio1897 da un gruppo di deputati, tra cui Fortunato e Pantano, che proponevano lo spostamento dal primo luglio al primo di aprile, in assonanza alle antiche proposte di Sella, Scialoja, Depretis e Seismit-Doda. Il 20 novembre 1878 Luzzatti nomina una commissione presieduta da Vacchelli e composta da parlamentari e da altri funzionari. 43 La questione del bilancio di assestamento risulta così infuocata da dividere diametralmente la commissione in due opposti schieramenti. Il primo guidato dall’onorevole Pietro Carmine, favorevole all’abolizione della tecnica dell’assestamento in ragione dell’intrinseca funzione dell’istituto che dovrebbe mirare ad assicurare il pareggio delle entrate e delle spese. Tale obiettivo, risultando irrealizzabile nella pratica, riduce l’assestamento ad un mero documento amministrativo che si limita ad apportare le variazioni dipendenti dalle leggi e dai prelevamenti eseguiti dai fondi di riserva, rimandando i disavanzi ai rendiconti finali. Tale ricostruzione verrebbe riconfermata, secondo questa impostazione dal fatto che una volta approvato l’assestamento non è rara l’ulteriore approvazione di leggi di storni in grado di modificare ulteriormente il quadro. La posizione opposta è sostenuta dal Rappresentante della Ragioneria di Stato, Emilio Melani, fiero sostenitore dell’imprescindibilità dell’assestamento anche in relazione alla funzione di conferma dell’esposizione finanziaria ministeriale.

33

Il problema delle eccedenze di impegni diventa sempre più urgente e

determina l’approvazione di svariatissime leggi per maggiori spese che, approvate

dopo il voto del preventivo o, spesso, anche dopo l’assestamento ne alterano

completamente il significato.

Vengono proposti così, diversi interventi in grado di arginare il problema e

di istituire commissioni di vigilanza, al fine di controllare non soltanto la

regolarità e la congruità degli impegni assunti, ma anche di quelli “in

formazione”.

Secondo il Ministro l’evoluzione della fisionomia e delle funzioni

ricoperte dalla Ragioneria generale rendono inevitabile l’esigenza di una riforma:

quando il bilancio veniva redatto in termini di cassa, secondo lo schema della

Legge Cambray-Digny, essa si limitava a riassumere i risultati dei conti delle

riscossioni e dei versamenti delle pubbliche entrate e delle spese ordinarie

realizzate, mentre la riforma del 1883, sancendo il sistema della competenza,

attribuisce alla Ragioneria Generale la contabilizzazione dell’accertamento delle

entrate e dell’impegno delle spese44.

L’unico modo per evitare il problema delle eccedenza, diventa, quindi,

quello di sottoporre a rigorosa vigilanza non solo gli impegni che

l’amministrazione contrae mediante atti rivestiti delle formalità indispensabili per

rendere esecutoria la spesa, ma anche tutti i provvedimenti che pur precedendo

l’emanazione degli atti stessi, generano obblighi onerosi per il bilancio.

L’obiettivo di razionalizzare il sistema dei controlli non riesce, tuttavia, a

concretizzarsi in un testo di legge anche perché l’attribuzione di poteri di controllo

effettivo da parte di organi estranei all’esecutivo alimenta le critiche di quanti

vedono gravemente menomata l’indipendenza dell’organo impedendo così, d’altro

lato, la risoluzione del problema delle maggiori spese oltre gli stanziamenti del

bilancio, che continua a rappresentare un difetto allarmante dell’intero sistema

giuscontabile.

44 P. L. BALLINI e P. PECORARI ( a cura di )Luigi Luttazzi e il suo tempo, atti del Convegno Internazionale di Studio (Venezia, 7-9 novembre 1991),Venezia, Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti, pp. 347-62; L. LUZZATTI, Sull’amministrazione dello Stato, in Opere complete, a cura di A. De Stefani, F. De Carli, E. De Carli, vol. V, Problemi della finanza, Milano, 1965;

34

Questo periodo risulta così caratterizzato dalla tensione verso due estremi:

da un lato la tendenza accentratrice e contestualmente ispirata ad un nuovo

modello di Stato partecipe delle grande scelte politico-sociali del paese e

cogestore dell’economia nazionale, dall’altro le correnti conservatrici, tendenti a

proteggere il ruolo delle Istituzioni, sia per quanto riguarda la negazione di ogni

forma di controllo da parte di organi tecnici e comunque estranei al circuito

politico, sia per l’indirizzo programmatico generale, mirante al raggiugimento di

un sempre più accentuato liberalismo economico.

Tale duplice tendenza trova conferma anche nell’annoso dibattito circa il

metodo di registrazione dei conti dello Stato ed in particolare circa l’opportunità o

meno di utilizzare la partita doppia nell’amministrazione contabile del patrimonio

pubblico.

Questo aspro contrasto è l’indice del continuo alternarsi di opposte ed

inconciliabili impostazioni teoriche: emerge da un lato, la voce di chi, seguendo la

scuola tradizionale, riteneva questo sistema l’unico in grado di realizzare certezza

e completezza contabile, dall’altro la posizione di chi sosteneva l’assoluta

incompatibilità di questa tecnica con la complessità dei conti statali.

L’acuto dibattito deriva in gran parte dalla natura stessa del patrimonio

statale: dall’estrema eterogeneità dei beni che ne costituiscono l’oggetto e al

conseguente dubbio circa la possibilità di applicare la partita doppia ad un sistema

parziale di scritture patrimoniali45, tralasciando i dettagli di questa diatriba

dottrinale, occorre rilevare che oltre alle difficoltà tecniche di applicazione del

metodo all’amministrazione dello Stato, i sistemi contabili devono essere valutati

in relazione alla realtà di riferimento. Nella specie, aldilà degli indubbi vantaggi

del suddetto metodo contabile, non possono nascondersi le svariate difficoltà

applicative che ne costituiscono il naturale corollario: l’esigenza di un’adeguata

45 Un sistema di scritture si dice completo, secondo la classificazione più diffusa all’epoca, quando prende in considerazione i fatti che riguardano l’intero patrimonio dell’Ente o della struttura di riferimento, i sistemi parziali, al contrario, focalizzano la registrazone ad alcuni aspetti del patrimonio risultando di varia natura ed estensione, secondo la parte del patrimonio che ne forma l’oggetto. L’eteroegeità della natura e della tipologia dei beni statali determina una costante incertezza circa la scelta del tipo di sistema parziale da adottare. Basti pensare alla differenza intrinseca sussistente tra i beni appartenenti alla categoria del demanio, appartenenti necessariamente allo Stato, o al patrimonio, disponibile o indisponibile, si presenta così l’interrogativo circa la scelta del sistema parziale più opportuno e, necessariamente la scelta del tipo di beni che devono costituire oggetto di valutazione.

35

formazione dei dipendenti pubblici, la fisiologica lentezza nella trasmissione dei

dati e i problemi di valutazione di alcuni beni dello Stato46.

Il dibattito di questi anni si caratterizza, inoltre, per l’esigenza di riforma

del ruolo della Ragioneria Generale dello Stato, le sue attribuzioni e il ruolo del

Ministero del Tesoro.

Il problema di risolvere il contrasto e la promiscuità dei ruoli tra la

ragioneria Generale e le ragionerie Centrali sulle modalità di realizzazione del

controllo del Ministero del Tesoro e della Corte dei Conti non si risolve fino al

intervento organico realizzato con la Riforma del Stefani e con l’inattesa

unificazione del Ministero del Tesoro e di quello delle finanze.

Il primo provvedimento che inaugura la complessa riforma è il R.D. del 28

gennaio 1923 n. 126, con il quale, optando per la cessazione del rapporto di

subordinazione delle Ragionerie Centrali alle singole amministrazioni, viene

finalmente realizzata l’unificazione del sistema dei controlli in capo al Ministero

delle Finanze47.

Tale atto normativo dispone, altresì, il necessario invio di tutti i

provvedimenti recanti variazioni delle entrate e delle spese al Ministero delle

Finanze per il tramite delle Ragionerie Centrali, allo scopo di completare la

realizzazione di un miglior coordinamento dell’intera attività economica e il

raggiungimento di un programma politico-finanziario unitario attraverso una

comune e ragionata ripartizione dei mezzi finanziari disponibili.

Questo linea globale nella programmazione e nel controllo della politica

finanziaria del paese rappresenta una concreta novità nel modello di gestione della

contabilità pubblica nazionale e permette di iniziare il lungo cammino verso una

politica economica comune, in grado di valutare concretamente le esigenze del

Paese e le possibilità di sostenimento di determinate scelte comuni.

E’ il R.D. n. 599 del 1923 che configura le Ragionerie Centrali come uffici

del Ministero delle Finanze alle dipendenze della Ragioneria Generale,

completando il processo di confluenza iniziato con il precedente intervento.

46 Il Regio Decreto del 18 novembre 1923, l’atto che inaugura il complesso normativo comunemente indicato come “Riforma De Stefani”, risolve il quesito semplicemente evitando di menzionare tra i suoi enunciati prescrittivi l’obbligo di contabilizzazione con il metodo della partita doppia, laciando così all’interprete libertà di scelta nell’utilizzo del metodo più opportuno. 47 Per uno sguardo d’insieme alla Riforma della pubblica amministrazione cfr. G. MELIS, Storia della pubblica amministrazione, Bologna 1996; Con specifico riferimento alle implicazioni della riforma De Stefani, G. MELIS, Due modelli di amministrazione tra liberalismo e fascismo, Roma 1988 pp. 71ss.

36

I compiti di controllo vengono specificati: alle ragionerie centrali viene

attribuito il potere di vigilanza delle singole amministrazioni sulla corretta

osservanza delle leggi e di tutte le disposizioni impartire dal Ministero delle

Finanze e sulla corretta conservazione del patrimonio dello Stato, completando la

configurazione di un sistema unitario posto alle dirette dipendenze dei vertici

ministeriali48.

Il nucleo della riforma de Stefani è, tuttavia, costituito dal T.U approvato

con R.D. 18 novembre 1923 n. 2440, recante “Nuove disposizioni

sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità dello Stato”49 .

La struttura di bilancio che emerge da questo testo normativo riflette

l’impostazione secondo cui la Ragioneria Generale dello Stato e la Direzione

Generale del Tesoro sono ormai poste alle dirette dipendenze del Ministero delle

Finanze. La direzione del tesoro sovrintende al servizio di Tesoreria dello Stato,

mentre la Ragioneria riassume i conti delle entrate accertate, riscosse e versate,

48 G. MELIS, Due modelli di amministrazione tra liberalismo e fascismo, Roma 1988 pp. 71ss; U. MONETTI, Le amministrazioni centrali dello Stato e l’ordinamento dei controlli, Torino, 1926; 49 In merito alla natura di tale atto normativo si è a lungo dibattuto, in ragione della promiscuità,con cui in epoca statutaria, veniva utilizzato il nomen iuris di “Regio Decreto” e, in particolare ci si domanda la natura o meno di atto legislativo di questo documento. L’ormai consolidata opinione dottrinale, tuttavia, concorda per la sua natura legislativa e per la natura regolamentare del successivo atto che ne costituisce l’attuazione (il R.D. n. 827 del 1924 ). In conformità a questa ricostruzione si veda, inoltre, per tutte la sentenza della Consulta del 1981, n. 71, secondo cui l’art. 88 del R.D. 2440 del 23 costituisce il fondamento del successivo regolamento di contabilità che ne costituisce la semplice esecuzione e dove si legge: “Quest'ultimo atto legislativo -( riferendosi al 2440 del 1923 )- è, a sua volta, un decreto emesso in virtù della delega concessa al governo con legge 3 dicembre 1922, n. 1601 ("Delegazione di pieni poteri al Governo del re per il riordinamento del sistema tributario e della pubblica amministrazione"). L'atto in cui è contenuta la norma censurata ( nella specie l’art. 270 del c.d. regolamento di attuazione ) soddisfa, fuor di dubbio, i requisiti prescritti per la formazione dei regolamenti dalla legge che governava la materia: precisamente, il decreto emana, come doveva, dal re, in forza della menzionata delega, che esso espressamente richiama, e su proposta del Ministro delle finanze, sentiti il Consiglio dei ministri, la Corte dei conti e il Consiglio di Stato. La compresenza nella specie di questi elementi formali consente quindi di stabilire - in via di esclusione, e alla stregua dei criteri predeterminati dalle norme vigenti - che l'atto in esame non poteva avere base diversa dalla potestà regolamentare, qui appositamente attribuita al governo. Tale risultato s'impone, del resto, anche in considerazione di precedenti pronunzie rese in analoghi casi dalla Corte, e specialmente di quel che si è affermato con sentenza n. l8 del 1968: "In presenza di una qualificazione data dalla legge, nel senso che il governo era legittimato ad emanare un regolamento, è necessario che concorrano elementi obiettivi, certi ed inequivoci per dimostrare che, al contrario, si trattava di una vera e propria delega legislativa: il che è da affermarsi specialmente in riferimento ad un ordinamento nel quale, a differenza di quello attuale, la diversa forza degli atti normativi non dava luogo ad una semplice ripartizione fra organi diversi della competenza a sindacarne i vizi sostanziali, ma era rilevante al fine della configurabilità stessa di un controllo giurisdizionale, notoriamente escluso per gli atti legislativi". Si deve aggiungere che la qualificazione dell'atto come regolamento, privo del valore della legge, è nella specie pienamente suffragata anche dal preciso tenore della norma (il citato art. 88 del R.D. n. 2440 del 1923) dalla quale esso trae fondamento. Nel caso in esame, infatti, il regolamento è subordinato allo stesso atto legislativo abilitante, che appresta, dal canto suo, un'organica disciplina della contabilità generale dello Stato.

37

nonché delle spese impegnate e pagate, registra, inoltre, le modifiche che si

verificano nella consistenza del patrimonio mobile ed immobile dello stato

attraverso la sintesi delle scritture effettuate dalle singole ragionerie e dalle

amministrazioni centrali.

La Ragioneria riveste, inoltre, l’ulteriore funzione di predisporre e

presentare al Parlamento il progetto di bilancio, nonché il rendiconto generale

consuntivo. Per quanto riguarda il dibattuto interrogativo circa la durata dell’anno

finanziario, questo torna a coincidere con l’anno solare, tuttavia per gli incassi e i

versamenti delle entrate accertate e i pagamenti delle spese impegnate entro il 31

dicembre, viene prevista un’espressa deroga tale da rendere possibile la chiusura

del conto fino al 31 gennaio successivo.

La riassunzione dei risultati di gestione continua ad essere contenuta nel

“conto del bilancio” e nel “conto generale del patrimonio”, ma modifiche salienti

riguardano l’iter di approvazione e le modalità concrete di stesura del documento

contabile di fine esercizio.

Nel mese di luglio il ministro per il bilancio e la programmazione

economica presenta al Parlamento il rendiconto generale dell’esercizio finanziario

scaduto il 31 dicembre precedente, nel mese di settembre, invece, lo steso Organo

provvede alla presentazione del bilancio di previsione per l’anno finanziario

successivo: esso si compone dello stato di previsione dell’entrata e della spesa,

distinta per ministeri, del quadro generale riassuntivo che include la sezione

dedicata alle variazioni analitiche rispetto alle previsioni dell’anno precedente, in

un unico progetto di legge.

Per quanto riguarda la struttura contabile, per la prima volta la legislazione

in materia prevede un’organica e funzionale suddivisione dei conti dello stato in

relazione alla natura e alla tipologia dei beni, ripartendo inoltre, il complesso

amministrativo così predisposto in titoli, categorie, rubriche e capitoli, mentre le

spese in titoli, sezioni, rubriche, categorie e capitoli50, inaugurando, in parte, la

classica configurazione dei bilanci pubblici contemporanei.

50 Alle suddette classificazioni seguivano anche ripartizioni con le quali si intendeva rispondere a criteri meramente burocratici. Una delle critiche che si possono muovere contro la normativa degli anni ’20 è la presenza di un insieme di disposizioni tra loro molto eterogenee aventi ad oggetto il patrimonio che finiscono per la lasciare la disciplina del Bilancio dello Stato sullo sfondo con un ruolo quasi residuale: ciò trova giustificazione nella presenza di impostazioni dottrinali di tipo giuridico - contrattualistico e nella presenza di una visione dello Stato come "azienda domestico - patrimoniale" nella gestione della quale l’attenzione era totalmente posta sulle variazioni del

38

La nuova classificazione rispecchia le esigenze aziendali, in particolare le

entrate e le spese si suddividono da un lato in “effettive” e per “movimento di

capitali” e dall’altro in “ordinarie” e “straordinarie”.

La prima classificazione, infatti, consente di cogliere le conseguenze che la

gestione del bilancio realizza sulla consistenza patrimoniale dell’azienda Stato: le

entrate e spese effettive, infatti, in contrapposizione a quelle “per movimenti di

capitale”, comportano un’effettiva modificazione della realtà economico-

patrimoniale, mentre le quelle “permutative”, evidenziano soltanto le

trasformazioni contabili come ad esempio la conversione di beni patrimoniali in

risorse monetarie o viceversa.

La suddivisione delle entrate in ordinarie e straordinarie, invece, risulta

particolarmente significativa proprio perchè permette di realizzare un primo

controllo sull’equilibrio finanziario in relazione alla diversa tipologia di entrate e

di spese. Tale sistema anticipa, gli attuali controlli della solidità strutturale e

patrimoniale dei bilanci pubblici in relazione alla cadenza temporale dei

movimenti dei singoli conti.

L’equilibrio nella gestione della spesa deve, infatti, realizzarsi innanzitutto

nella parte ordinaria e quindi nella parte relativa alle entrate e uscite che si

verificano presumibilmente ogni esercizio finanziario.

Questo differenziale ideale dovrebbe essere impiegato a copertura di spese

straordinarie, ma tali importi potrebbero anche essere saldati con il conseguimento

di entrate aventi anch’esse carattere di eccezionalità.

Ecco allora, che il bilancio statale diventa, attraverso la riforma De Stefani

uno strumento in grado di evidenziare il risultato economico dell’esercizio in

perfetta analogia a quanto previsto per le aziende statali, viene favorita una

configurazione degli elementi patrimoniali e contabili in grado di evidenziare la

correlazione tra le fonti di finanziamento e gli impieghi delle risorse, correlazione

che rappresenta la base per il raggiungimento dell’equilibrio economico.

patrimonio. La visione dell’azienda dello Stato sopra descritta trova riscontro nel ruolo che lo Stato in quegli anni ricopriva: la sua attività era limitata ai soli servizi essenziali e la gestione della spesa era lasciata a strumenti aventi una prevalente natura contrattuale: il bilancio di previsione era realizzato sulla base di una contabilità squisitamente finanziaria.Una nuova impostazione del sistema contabile e di bilancio dello Stato arriva negli anni sessanta con i contributi determinanti della legge n. 62 del 1964, cosiddetta legge Curti.

39

Per quanto riguarda la tipologia dei diversi documenti che interessano la

manovra economica un particolare sguardo va rivolto al rendiconto generale.

Quest’ultimo si compone, come già accennato, del conto consuntivi e del conto

generale del patrimonio dello Stato. I prospetti contenuti nel primo mirano ad

evidenziare, secondo diversi profili la gestione di competenza, di cassa, dei residui

delle entrate e delle uscite di bilancio, non trascurando, infine la descrizione, in

schemi distinti e separati, delle attività poste in essere dai singoli ministeri, dagli

enti e dalle aziende gestite dallo Stato.

Il profilo patrimoniale, invece, teso a sottolineare le variazioni delle

attività e delle passività dello Stato e il momento di coordinamento tra questo e il

conto del bilancio, viene affidato al Conto generale del patrimonio.

Tale coordinamento avviene mediante la presentazione di prospetti

collegati fra loro e volti ad evidenziare la situazione patrimoniale dello stato e le

variazioni dei singoli cespiti sulla base di successivi approfondimenti e l’utilizzo

di metodologie differenti.

La predisposizione di un sistema unitario di rilevazioni amministrative e

gestorie, l’accentramento dei sistemi di controllo e le tecniche di contabilizzazione

in grado di favorire un raccordo tra i diversi modelli di rilevazione degli impegni,

permettono di razionalizzare l’intero sistema contabile e favoriscono la

progressiva configurazione del bilancio statale come uno strumento di controllo

giuridico-formale del Parlamento sull’attività finanziaria del Governo.

Il Parlamento assume, così, una vera e propria funzione autorizzatoria nei

confronti del Governo nel suo complesso ed a favore dei singoli Ministri51, anche

se il naturale corollario di queste previsioni risulta l’esclusiva responsabilità

dell’organo politico nel momento della redazione dello stato di previsione,

tralasciando così, ogni controllo da parte dei dirigenti ed escludendo, ogni

sindacato in termini di efficienza e di valutazione dei risultati ottenuti.

La riforma è infine, completata dal R.D. n. 1036 del 29 giugno 1924 con il

quale vengono precisate le modifiche introdotte dai provvedimenti precedenti,

attribuendo alle ragionerie Centrali, coordinate dalla Ragioneria Generale dello

Stato, il compito del riscontro economico sugli atti inerenti la materia di bilancio.

Per la prima volta l’Italia viene dotata di un impianto unitario in grado di

evidenziare il quadro economico complessivo dell’azienda Stato, riconducendo

51 “I Ministi impegnano ed ordinano le spese”, prescriveva l’art. 50 della Legge di contabilità.

40

ogni amministrazione centrale o periferica in un unico sistema dotato di un vasto

piano di controlli e sottoposto ad un unico riscontro di congruità, economicità e

unità delle spese.

1. 5. Bilancio e Istituzioni dell’amministrazione finanziaria durante il

ventennio fascista.

Nel dicembre del 1922, quando la guida del Ministero del Tesoro e delle

Finanze è assunta da Alberto De’ Stefani, il bilancio pubblico si presenta ancora

in deficit e la situazione del Tesoro appesantita da rilevanti debiti a breve

scadenza.

Il Ministro, che mantiene il controllo dell’amministrazione finanziaria sino

al luglio del 1925 nota data che segna la perdita da parte del Governo Mussolini di

qualsiasi legittimazione parlamentare, inaugura una politica fiscale di chiaro

stampo liberale mirante a ridurre il gravio fiscale tramite la decurtazione delle

imposte e l’abbattimento delle relative aliquote52.

Lo stesso De Stefani, nell’illustrazione dell’opera finanziaria governativa,

resa alla Scala di Milano il 13 maggio 1923 è fiero di prevedere per l’esercizio

1923-1924 un disavanzo di 1.187 milioni, con un miglioramento reale di 2.813

milioni rispetto al disavanzo calcolato per l’anno precedente53.

Tra il 1922 e il 1925 la politica economica e le scelte in campo di

amministrazione finanziaria permettono di riportare in avanzo il bilancio

nell’esercizio 24-25.

Questo periodo viene pressoché unanimamente definito dalla storiografia

contemporanea come il “fascismo liberale” proprio alla luce delle scelte operate a

livello centrale in materia di economia pubblica: le spese per i consumi vengono

sensibilmente ridotte54, l’intervento dello Stato nel mercato fortemente

ridimensionato e le entrate dapprima mantenute stabili vengono in secondo tempo

lievemente incrementate.

52 I provvedimenti fiscali che suscitarono maggiori discussioni furono l’abolizione della nominatività dei titoli, l’abolizione dell’imposta di successione all’interno del nucleo familiare e l’istituzione dell’imposta complementare personale progressiva. 53 A. DE STEFANI, La restaurazione finanziaria (1922-1924 ), Bologna, 1926, p. 39. 54 P. FRASCANI, Restaurazione finanziaria e politica monetaria e creditizia in Italia nella prima metà degli anni ’20, P. FRASCANI, Finanza economia ed internvento pubblico dall’Unificazione agli anni Trenta, Napoli, 1988, pp. 144-145 e 158.

41

Il risanamento del bilancio pubblico diventa uno degli argomenti più

battuti dalla propaganda del primo governo fascista anche se una lettura più

smaliziata dei fatti consente di notare come questo preteso miglioramento,

definito da Matteotti “una favola per ignoranti”55, deve in gran parte farsi risalire

all’esaurirsi delle spese di guerra, nonché alla politica finanziaria dei Governi

precedenti 56.

Ma, indipendentemente dalle ragioni determinative del nuovo assetto del

bilancio pubblico, occorre dar atto dell’interesse perseguito, o per lo meno

palesato, dal governo fascista di questi anni in ordine ad un risanamento delle

finanze statali, quasi a voler evocare i principi, tipicamente liberali del pareggio

tra entrate e spese pubbliche 57.

Questa ideologia trova conferma nella struttura del documento pubblico di

contabilità configurato dalla Legge De Stefani e dall’impostazione tipicamente

aziendalistica che le è propria.

Si comprendono, così, le ragioni di una così radicale riforma del sistema di

contabilità statale dovute, non solo all’influenza delle dottrine giuridico-

contrattualistiche e alla concezione dello Stato come azienda “domestico-

patrimoniale”, ma soprattutto al ruolo che questo viene a ricoprire nel mercato

nazionale dell’epoca. La sua attività è limitata ai soli servizi essenziali e la

gestione della spesa è lasciata a strumenti di natura prevalentemente contrattuale.

55 G. MATTEOTTI, Relique, Milano, 1924, p. 142 56 Mortara scrisse, nel 1924 il deficit sarebbe sparito Cfr. G. MORTARA, Prospettive economiche 1922, Città di Castello, 1922, p. XX, Mentre in una lettera di Luigi Einanudi a Pasquale D’Aroma del 23 dicembre, si legge che “il bilancio era in pareggio dal 1922-1923 sebbene quelle bestie sterline di Facta e C. non se ne fossero accorti e non abbiano neppure ora barlume dell’arma morale enorme che tal fatto dava loro in mano […]. Insomma io dico il bilancio, come fu ereditato dalla guerra e post guerra è in pareggio da due esercizi ( il passato e il corrente); e che lo spareggio se ci sarà, è un fatto nuovo, dovuto a cause nuove dei precedenti e degli attuali governanti” .Cfr. A. D’AROMA e S. MARTINOTTI DORIGO ( a cura di ), Lettere di Luigi Einanudi a Pasquale D’Aroma (1914- 1927). Annali della Fondazione Luigi Einaudi Torino, vol. IX, 1975, pp. 401-402. “E’ da notare – hanno scritto Salvemini e Zamagni – che nel 1922, e quindi già prima dell’avvento del fascismo, il fabbisogno è sceso a un valore pari all’8% dl R.N.N. e trova copertura quasi completamente sul mercato, per oltre la metà con titoli a medio e lungo termini” , Cfr. G. SALVEMINI e V. ZAMAGNI, Finanza pubblica e indebitamento tra le due guerre mondiali: il finanziamento del settore statale, cit, pp. 145-146. 57 Sull’ “ossessiva politica del pareggio” tipica dei governi liberali appena successivi all’Unità d’Italia V. G. MARONGIU, Il pareggio di bilancio come condizione di libertà: la politica fiscale della destra storica, Diritto e pratica tributaria 1995, pp. 369 ss. Ma anche gli stessi discorsi pronunciati nelle aule parlamentari dal Minghetti, secondo cui “ Saremo felici ripensando che noi vi lasciamo il Paese tranquillo all’interno, in buone relazioni e rispettato all’estero; vi lasciamo le finanze assestate e preghiamo Iddio che possiate questi benefici conservare alla patria.” M. MINGHETTI, Discorsi parlamentari, Roma, 1888 p. 356.

42

Si comprende, in questo modo, anche la ragione essenziale per cui il bilancio di

previsione viene redatto sulla base di una contabilità squisitamente finanziaria.

Aldilà della tecnica di redazione del bilancio così come concepita nella

Legge di contabilità, l’ostinata ricerca del pareggio del bilancio viene carpita

dalla lettura dei preventivi di quegli anni anche con riferimento a metodi di

contabilizzazione in parte discutibili e da una serie di espedienti di registrazione

delle operazioni svolte, con storni di spese dal presente al passato o dal presente

all’avvenire.

E’ sufficiente ricordare in proposito la sostituzione con titoli del debito

pubblico ammortizzabili in 25 anni dei pagamenti in contanti per il risarcimento

dei danni da guerra, questo tipo di registrazione rappresenta sicuramente un

classico esempio di contabilità non veritiera e di storno improprio, risolvendosi in

una sostituzione assolutamente non comparabile risultando ascrivibile a due

riferimenti temporali rigidamente distinti.

Ecco allora che si spiega la drastica riduzione degli stanziamenti previsti

per la copertura dei danni di guerra, avvenuta con il primo bilancio De Stefani:

mentre nel 1922-23 veniva indicata a tale scopo la somma 1100 milioni, con

l’intervento di questo ministro la cifra è contenuta in 76 milioni 58.

La sostanziale discrasia tra i valori solennemente proclamati e le concrete

linee di azione perseguite dal Governo59 diventa sempre più evidente quando

l’amministrazione centrale comincia ad accentuare il suo carattere autoritario e gli

58 G. MATTEOTTI, Reliquie, cit, p. 172. La critica agli espedienti utilizzati da De Stefani trova conferma anche in F. FLORA, La politica economica e finanziaria del fascismo (ottobre 1922-giugno 1923 ), Milano, 1923, pp. 150-155. Per 59 Con specifico riferimento alla discrasia tra gli obiettivi palesati all’opinione pubblica e i risultati raggiunti è sufficiente ricordare i frequenti ed anche significativi insuccessi che il ministro De Stefani riscontrò durante gli anni di permanenza al dicastero. Negli anni dell’immediato dopoguerra, il debito pubblico aumentò a tassi elevati e, tra il 1919 e il 1922 i buoni ordinari del tesoro fortemente contribuirono all’aumento, tanto che, a metà del 1922, questi titoli rappresentavano circa il 27% del debito pubblico interno. Negli anni successivi, pertanto, fu perseguita una politica volta al consolidamento del debito fluttuante, e, a tal fine, nel febbraio del 1924, fu emesso un prestito redimibile al 75% ammortizzabile in 25 anni. La prima emissione fu stabilita in 5 miliardi di lire ma si riuscì a raccogliere solo un miliardo e mezzo di capitale nominale. I soli buoni del tesoro convertiti furono quelli in possesso della Cassa Depositi e Prestiti e degli Istituti di emissione. L’insuccesso dell’operazione ebbe ripercussione sulla situazione della Tesoreria, perché nonostante un aumento dei tassi sui buoni ordinari del Tesoro, prima al 5% e poi al 6%, ci fu una forte spinta a chiederne il rimborso. De Stefani, per porre riparo all’insuccesso, con R.D. 26 dicembre 1924, n. 2106 ( convertito nella Legge 21 marzo 1926 n. 597 ), istituì i buoni postali fruttiferi.

43

strumenti utilizzati per il formale adempimento di obiettivi “liberali” cominciano

a stridere con i valori propri di questa filosofia politica 60.

Il luglio del 1925 con il passaggio del Ministero delle Finanze dal De

Stefani al Volpi si segna la fine del c.d. “fascismo liberale” e si apre una nuova

fase della politica economica ed amministrativa del regime.

Le vicende monetarie del 1925 prendono l’avvio dalla crisi di borsa del

luglio dello stesso anno e conducono al lungo capitolo della rivalutazione e

stabilizzazione monetaria che finisce con l’incidere in modo molto significativo

sull’intera politica economica italiana.

Il nuovo ministro prosegue, per certi aspetti, la politica di sgravi tributari

intrapresa da De Stefani e indirizza il Tesoro verso il consolidamento del debito

fluttuante e la sistemazione dei prestiti esteri di guerra, come premessa per la

ripresa degli investimenti stranieri in Italia 61.

Si apre, così, una nuova fase della politica economica e amministrativa del

regime: l’amministrazione riesce a slegarsi completamente dalle tradizioni liberali

e dal 1927, in contrasto con ogni principio proprio del laissez faire, si assiste ad

una moltiplicazione di aziende autonome, direzioni generali, nuovi servizi.

60 “ Siamo stati e rimaniamo oppositori di certe tendenze e metodi di politica interna e di qualche pericolosa riforma costituzionale che si dice voluta dall’attuale governo; ma l’opposizione nostra in quel campo è dettata dalle medesime ragioni di principio che ci spingono a lodare l’opera del governo nel campo della finanza. Noi non possiamo contraddirci; ché nella vita tutto è connesso: politica e finanza... e illiberali in politica, approvando propositi di riforme istituzionali che sostituirebbero il dominio di uno solo ( o di una casta ) al regime di discussione e di controllo voluto dallo Statuto vigente” così Luigi Einaudi circa l’operato del De Stefani: Cfr. L. EINAUDI, Il risanamento economico e finanziario dell’Italia, Cronache economiche e politiche di un trentennio, Torino, 1960, pp. 233-238. P. F. ASSO, L’italia e i prestiti internazionale, 1919-1931. L’azione della Banca d’Italia fra la battaglia della Lira e la politica di potenza, A.A.V.V, Finanza internazionale, vincolo esterno e cambi, 1919-1939, collana storica della Banca d’Italia- contributi, ricerche per la storia della Banca d’Italia, vol. III, Roma, Bari, 1993, pp. 205-256. 61 La regolazione del debito con gli Stati Uniti avvenne con l’accordo concluso a Washington 14 novembre del 1925. L’accordo si concluse con l’emissione,attraverso la Banca Morgan di un prestito di 100 milioni di dollari, con un tasso nominale del 7% ed effettivo del 7,48 %. Con l’accordo di Londra del 27 gennaio 1926 venne regolato anche il debito con il Regno Unito. La questione dei debiti esteri finì per risolversi in una partita di giro: l’Italia rinunciò di fatto alle riparazioni tedesche in favore dei creditori di guerra. Sul problema della regolazione dei debiti esteri, Cfr. E.FOSSATI , Le conseguenze finanziarie della guerra. Il problema della riparazione dei debiti alleati, Padova, 1931, pp. 287 ss. Nel corso del 1926 l’economia italiana si trovò in difficoltà, specie a causa delle importazioni di materie prime, di grano e di combustibili, che la continua svalutazione della moneta rendeva sempre più onerose. Col discorso di Pesaro del 18 agosto 1926, Mussolini annunziò l’intenzione di difendere il valore della moneta. Già in precedenza erano stati annunziati provvedimenti per ridurre le importazioni e in particolare per sviluppare la produzione interna di grano. Con la rivalutazione iniziò un periodo in cui l’industria fu spinta a sottoporsi ad un processo di razionalizzazione, per diminuire i costi di produzione, favorita anche da misure di natura fiscale. Nel periodo della gestione Volpi, solo l’esercizio finanziario 1925-26 fece registrare un avanzo effettivo, il solo del periodo fascista.

44

L’inizio di una nuova organizzazione economica rende a tratti obsoleto

l’impianto creato dalla Legge di contabilità che, come osservato in precedenza,

presupponeva l’accentramento finanziario e la possibilità di realizzare un effettivo

controllo della gestione economica per mezzo di un unico organo: la Ragioneria

Generale.

Gli sforzi accentratori perseguiti durante i primi anni del regime vengono

in parte vanificati da una rinnovata tendenza alla “fuga dall’amministrazione

centrale” attraverso la creazione di enti pubblici separati e distinti dall’appartato

statale, soggetti a controlli diversi rispetto a quelli previsti dalla legislazione di

contabilità generale, con personale reclutato in maniera autonoma ed adibito a

funzioni particolari con un conseguente discreto margine di autonomia

organizzativa.

Il progressivo abbandono dell’indirizzo liberistico e la frammentazione

dell’unitarietà della struttura amministrativa statale rendono necessaria una serie

di adeguamenti da approntare alla legge di contabilità al fine di adeguarla alla

nuova struttura organizzativa del Paese.

Le iniziative in tal senso promosse dal neo-ministro delle finanze Antonio

Mosconi si rilevano, tuttavia, del tutto insufficienti allo scopo.

Muovendosi in coerenza alla tradizione luzzattiana il nuovo vertice del

dicastero delle finanze promuove modifiche marginali e completamente

inadeguate a contenere la tendenza questa tendenza centrifuga.

Viene proposto innanzitutto la riforma del servizio del portafoglio presso

la direzione generale del Tesoro: l’art. 1 del progetto istituisce un ufficio di

riscontro della Corte presso il “contabile del portafoglio”, si pone anche una serie

di limiti all’acquisto di divise e titoli da parte del contabile del portafoglio, e alle

operazioni della Cassa Depositi e prestiti, in chiaro segno di limite alla crescita

dell’indebitamento degli enti pubblici verso il Tesoro.

Accanto al decentramento del riscontro della Corte sul portafoglio si

istituisce l’obbligo del direttore generale del Tesoro e del contabile del portafoglio

di informare il ragioniere generale di tutte le operazioni di tesoreria e di

portafoglio delle quali derivino effetti sul bilancio.

Ma sono i punti finali del progetto che consentono di cogliere a pieno la

reale vocazione del progetto e il tentativo di restaurare il sistema ancora

precedente alla Cambry-Digny.

45

Lo scopo palesato è quello di una decisiva riduzione del carico dei residui:

viene così previsto, all’articolo 6 del progetto di legge Mosconi, che “per gli

incassi e i versamenti delle spese impegnate entro il 30 giugno, la chiusura dei

conti è protratta al 30 luglio successivo”, reintroducendo l’istituto della proroga

dell’esercizio, abolita, com’ è noto, dalla Legge Cambray-Digny.

Secondo l’impostazione del Mosconi la proroga permetterebbe di

avvicinare i risultati della gestione di competenza a quelli di cassa, ma evitando

contestualmente, l’inconveniente di mantenere aperte per troppo tempo due

contabilità parallele.

Viene, infine, istituito un preventivo di cassa, da compilarsi entro il mese

di giugno e avente per oggetto, oltre al presunto fondo di cassa iniziale, anche gli

incassi e i pagamenti di cui è prevista la realizzazione. Anche questa norma

ricorda l’annosa questione tanto dibattuta all’inizio del secolo fino all’abolizione

intervenuta nel 1913, della redazione di un preventivo di cassa in allegato alla

legge di assestamento.

L’allontanamento del regime dalle tradizioni dell’età liberale diventa

sempre più palese, con il progressivo consolidamento dell’attitudine dittatoriale

del sistema e soprattutto gli anni Trenta segnano la conclusione della politica di

“non fascistizzazione” degli organi dell’amministrazione finanziaria.

Il primo passo verso una profonda “ristrutturazione” del sistema dei

controlli sui documenti di bilancio è compiuto dal progetto di revisione delle

competenze della Corte dei Conti.

L’art. 2 del progetto di riforma della Corte, presentato alla Camera il 15

febbraio 1933 stabilisce che la deliberazione e la relazione di quest’organo sul

consuntivo debbano essere presentate da una delegazione della Corte al Capo del

Governo, Primo Ministro di Stato e debbano essere trasmesse al Gran Consiglio

del Fascismo.

La portata dell’innovazione, immediatamente percepibile, deve essere

inquadrata alla luce del contesto storico di riferimento e soprattutto in relazione

all’approccio sposato dai responsabili della riforma in merito al mutato ruolo di

quest’organo ed in generale dei rapporti tra i poteri dello Stato.

La consapevolezza del nuovo ruolo del Capo del governo nella dinamica

dei rapporti costituzionali induce a rivedere la funzione del controllo operato dalla

Corte dei Conti: il potere esecutivo, non più identificabile come “una giunta

46

esecutiva del Parlamento”, perde il connotato di organo collegiale, ma raggiunge e

riassume la sua unità nella figura del Primo Ministro, di nomina regia 62.

Si comprende solo in quest’ottica tutto il significato che una riforma del

genere viene ad assumere: il riscontro preventivo e consuntivo della Corte

rappresenta, così, non solo una difesa della legalità, ma un essenziale punto di

riferimento attraverso il quale il Capo del Governo può verificare il grado di

applicazione delle leggi da parte delle singole amministrazioni. Tanto il Consiglio

di Stato che la Corte dei Conti assumono un vero e proprio ruolo di collaborazione

diretta nei confronti del Capo del governo63.

In questi anni il fascismo abbozza, inoltre, un tentativo di economia

programmatica attraverso l’istituzione di numerosi enti di sostegno e controllo

dell’iniziativa privata, ma di fronte all’esplosione di enti pubblici dalle funzioni

più disparate gli organi dell’amministrazione finanziaria che avrebbero dovuto

guidare la pianificazione dell’attività economica statale, come il comitato

interministeriale per l’autarchia e il comitato corporativo centrale, rilevano la loro

più completa inadeguatezza e segnano il fallimento della “economia

programmatica” del regime64.

Anche la mobilitazione economica della guerra palesa l’inidoneità

dell’organizzazione fascista a far fronte alle esigenze di una finanza di emergenza,

anche se dal punto di vista monetario gli organi tradizionali facenti capo al Tesoro

riescono a contenere l’inflazione attraverso una politica di contenimento della

liquidità65.

62 L. GRECO, Introduzione storica a Celebrazioe del primo centenario della Corte dei Conti nell’Unità d’Italia, Milano, 1963 e altresì R. FAUCCI, Finanza amministrazione e pensiero economico, Torino, pp. 180 ss. 63 In questo senso deve anche essere interpretato l’obbligo per la Corte di trasmettere la relazione al Gran Consiglio. E’ interessante notare come fra i fautori della riforma non si sia nemmeno prospettato il dubbio dell’inefficacia di un simile controllo, al contrario viene ne viene evidenziato un ulteriore vantaggio: la minore probabilità di registrazioni di decreti con riserva: “ In regime fascista non può ritenersi che il Governo abbia motivo a persistere nel dare esecuzione ad un provvedimento, quando la suprema magistratura di controllo dopo l’ampia discussione a cui certo il diniego di registrazione avrà dato luogo prima di divenire definitivo, lo riconosca illegale.”, Cfr. Raccolta dei vari atti riguardanti l’amministrazione e la contabilità generale dello Stato, Vol. IX, Roma, p. 88. 64 Questa espressione costituisce il titolo di una pubblicazione che raccoglie scritti di L.BROCARD, G.DOBBERT, J. A. HOBSONO, D. LANDAUER, L. LORWIN, U.SPIRITO, Firenze, 1933. 65 La politica definita da Thaon del “circuito di capitali” consisteva nel contenimento della liquidità attraverso un finanziamento delle spese belliche mediante tassazione o sottoscrizione di prestiti forzosi. In questo modo veniva evitato che la ricchezza o la liquidità eccedente passasse per il circuito dei redditi generando inflazione.

47

Il merito di questa acuta politica economico-monetaria deve essere

attribuito a Paolo Thaon di Revel66, ministro delle finanze dal 1935 al ’43, di cui

sono noti i provvedimenti tributari che favoriscono i costi dell’accumulazione

pubblica, resistendo alle pressioni del capitale privato. Ma l’intervento cardine di

tutta la sua attività al dicastero è il disegno di Riforma della Ragioneria Generale

dello Stato.

Quest’organo viene organizzato come un vero e proprio ministero con tre

direzioni generali - bilancio, ordinamento del personale, affari economici - e un

ispettorato generale, comprese, naturalmente le vecchie ragionerie centrali e

quelle coloniali.

L’ispettorato generale cura la vigilanza sull’attuazione delle spese e la

relativa conformità alle leggi vigenti, di fatto un simile compito viene a rivestire

l’organo di poteri di merito di notevole rilevanza.

La direzione generale del bilancio espleta, invece, tutte le funzioni

strettamente istituzionali che vanno dalla preparazione del bilancio di previsione e

del conto consuntivo, alla predisposizione degli atti di variazione nel corso della

gestione, ma aldilà di questi compiti, spetta alla direzione generale che la

revisione analitica delle assegnazioni di bilancio ai fini delle iniziative di

limitazione delle spese.

Una simile situazione è in grado di generare un nuovo potere attivo, di

esame delle voci di spesa, che facilita un progressivo e sempre più concreto

margine di influenza delle scelte governative, attraverso la predeterminazione

delle risorse disponibili.

Ma il segno più significativo della stretta interconnessione che lega la

normativa di amministrazione finanziaria ed i suoi organi o soggetti principali è la

Direzione Generale per gli affari economici.

66 Per uno sguardo circa la politica fiscale intraprese dal ministro cfr. P. GRIFONE, La politica finanziaria nel primo anno dell’Impero, Rivista bancaria, 1937, pp. 409 ss, Esposizione e dichiarazioni del finanziarie dell’on. Ministro delle finanze, ivi, 1938, pp. 365 ss.; Esposizione finanziaria del Ministro delle finanze, ivi, pp. 349 ss. Nell’aprile del ’40 Thaon appornta un piano quadriennale della finanza di guerra che prevedeva: a. la sospensione delle spese pubbliche non belliche; b. il blocco dei fitti, delle costruzioni edilizie, degli impianti industriali, degli stipendi e salari; c. la sospensione delgi aumenti di capitale sociale nell’emissione dei titoli; d. la vigilanza sugli istituti di credito; e. la cambializzazione dei fidi bancari; f. l’introduzione di un sistema di obbligatorietà del risparmio. Per il settore tributario, i capisaldi del piano erano1. evitare ogni movimento speculativo al rialzo colpendo i plusvalori di capitali della proprietà fondiaria, dei titoli a reddito variabile, dei trasferimenti di aziende, 2. colpire gli utili di congiuntura dei non combattenti con una serie di imposte straordinarie, 3. nuove entrate allo scopo di costituire un freno ai consumi volutturari.

48

Tale istituzione permette, infatti, di completare l’evoluzione del regime e

di raccordare la struttura amministrativa statale alle problematiche poste dal

nuovo ordinamento corporativo.

Queste semplici osservazioni risultano immediate anche da una prima

lettura all’articolo 6 del progetto Thaon, secondo cui la direzione deve provvedere

all’esame e alla relativa trattazione per i riflessi sulla finanza statale, degli

argomenti da discutersi presso gli organi corporativi, delle proposte relative alla

previdenza ed assistenza sociale e, in genere, alla legislazione di lavoro, dei

documenti contabili degli enti amministrativi, delle proposte aventi connessione

con l’attività economica del Paese67.

Da queste stesse osservazioni emerge, altresì, come la legislazione del

ventennio fascista si sia progressivamente orientata verso il superamento tanto

della concezione liberista dell’economia pubblica, quanto di quella fatta propria

dal c.d. collettivismo.

L’ultima fase del regime abbraccia, così, l’idea di un corporativismo in

grado di costituire una valida alternativa ai due approcci ed un punto di incontro

tra libertà di iniziativa economica e difesa dell’economia nazionale.

1.6. L’evoluzione della contabilità pubblica dall’Unità del Regno alla

Costituzione della Repubblica Italiana: elementi per una riflessione.

La nostra tradizione giuridica contribuisce alla diffusione di una

concezione del bilancio quale strumento di controllo del Parlamento nei confronti

dell’operato della Pubblica Amministrazione68.

Lo sviluppo e la diffusione della teoria della natura formale69 della Legge

di Bilancio, di origine ottocentesca e fondata sulla differenza di stampo

67 Questo progetto viene approvato dalla Camera e viene così alla luce la nota legge 26 luglio 939, n. 1037, ancora in parte vigente, considerando la marginalità degli interventi modaficativi e soprattutto di quelli apportati con il Decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1955, n. 1544, sul decentramento dei servizi del Tesoro. MINISTERO del TESORO, RAGIONERIA GENERALE DELLO STATO., Legge e Regolamento per l’amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato, Roma, 1961, pp. 499 ss. 68 G. RICCA-SALERNO, La legge di bilancio, Annuario delle scienze giuridiche sociali e politiche, Milano, 1880; P. ARCOLEO, Il bilancio dello Stato al sindacato Parlamentare, Napoli 1880. 69 Capostipite dell’interpretazione tradizionale del bilancio pubblico come una mera ricognizione fotografica di decisioni da prendere in altre sedi, obbligatoriamente dettagliate fin nei minimi particolari è, com’è noto, in epoca repubblicana, CASTELLI AVOLIO, L'esame in Parlamento del bilancio dello Stato, 1955, Atti parl. cam. II, n. 1603-A e 1603-bis-A

49

pandettistico tra esercizio formale ed esercizio sostanziale di un potere, deve,

infatti, farsi risalire proprio da queste premesse: il Bilancio, pur risolvendosi in un

atto sostanzialmente riferibile al Potere Esecutivo ed esercitato in nome del

Sovrano, deve necessariamente acquisire il consenso del Parlamento, con una

legge “formale” di approvazione 70.

Tale impostazione teorica deve essere ricondotta alla diffusione dei valori

democratici e all’essenzialità di un consenso popolare per ogni decisione in

materia di spesa pubblica.

In proposito e a diretta garanzia del singolo nei confronti dell’Esecutivo, lo

Statuto promulgato da Carlo Alberto il 4 marzo 1848, introduce garanzie

giuridiche, codificando il principio di riserva di legge sia per l’imposizione che

per la riscossione dei tributi e naturalmente per l’approvazione del bilancio.

Tali disposizioni devono essere lette alla luce della natura stessa e degli

effetti prodotti dalla manovra economica annuale, questa, infatti, semplificando al

massimo i termini del discorso, si riduce in una scelta delle modalità di impiego

delle risorse prelevate alla collettività, per cui l’esigenza del rispetto della legalità

dell’impiego è la garanzia indispensabile per giustificare il sacrificio imposto.

Ecco allora che si comprende l’importanza della scelta della tecnica di

redazione del bilancio in termini di cassa o di competenza: soltanto quest’ultima

permette di determinare qualitativamente le prestazioni pecuniarie dei contribuenti

in funzione delle spese pubbliche e, per questa via, si comprende altresì, la

necessità di un sindacato preventivo all’attuazione e la conseguente

rendicontazione della gestione, con cadenza periodica, onde verificare il

permanere dell’equilibrio tra entrate e spese71.

70 Per l'abbandono di tale distinzione, ad esempio, e da alcuni decenni, E. CHELI, Potere regolamentare e struttura costituzionale, Milano, 1967, p. 269. Più di recente, si è osservato che secondo «la tesi consolidata in dottrina ed in giurisprudenza» la funzione attribuita alle Camere dall'art. 70, cost. «si risolve nel potere di fare le leggi, senza altro limite di contenuto che non discenda, direttamente o indirettamente, dalle norme costituzionali», v. F. SORRENTINO e G. CAPORALI, Legge (atti con forza di legge), D. disc. pubbl., IX, Torino, 1994, p. 102. Con varia ed interessante argomentazione, specificamente riguardo alla legge di bilancio, DELLA CANANEA, Indirizzo e controllo della finanza pubblica, Bologna, 1996, p 155. Per una rassegna particolarmente ampia delle svariate posizioni emerse fin dal secolo XIX nel dibattito sulla legge di bilancio, v. DI RENZO LETIZIA, Il bilancio dello Stato, Milano, 1979, pp. 112 ss. Per un’indagine empirica sulla definizione dei limiti più o meno ampi posti alla legge di bilancio si veda il Buscema, il quale evidenzia soluizoni differenziate per ogni differente contesto statale, BUSCEMA Il Bilancio, Milano, 1971, 135 (pure accedendo all'alternativa formale-sostanziale, che su tale base assume appunto, peraltro, carattere puramente classificatorio, come esito conseguenziale - per chi ne avverta il bisogno - dell'autonoma e prioritaria indagine normativa). 71 “ Gli atti più importanti di Governo sono quelli che si riferiscono al pubblico tesoro, e devono, quindi, dare ai contribuienti che sacrificano parte dei loro averi a prò di uno Stato, l’assuranza che

50

La stessa riforma De Stefani, pur essendo inserita nel quadro dei

provvedimenti che permettono al fascismo di realizzare cautamente la sua più

matura vocazione totalitaria, all’art. 269 del Regolamento di contabilità generale

dello Stato stabilisce che “sono spese dello Stato quelle alle quali si deve

provvedere a carico dell’erario a norma di legge decreti od altri atti, di qualsiasi

specie e quelle, in genere, necessarie per il funzionamento dei servizi pubblici che

dipendono dalle amministrazioni dello Stato”, quasi a voler sottolineare la

necessità di un atto in grado di evidenziare la corrispondenza tra servizi pubblici e

le relative esigenze dell’interesse sociale e le pubbliche entrate, la spesa pubblica

viene, così considerata un mero strumento rispetto alla concreta realizzazione dei

servizi adibiti agli uffici della pubblica amministrazione.

Anche la struttura del documento contabile di fine esercizio deve, allora,

essere interpretato in quest’ottica: ogni capitolo riveste un ruolo essenziale come

criterio di specificazione di base dell’oggetto della spesa e quindi, della

destinazione immediata dell’erogazione.

Il principio della specializzazione permette, così, non soltanto di realizzare

e di rendere effettivo il controllo parlamentare su ciascuna spesa prevista, ma

anche di tradurre il bilancio in un testo precettivo in grado di vincolare la stessa

amministrazione alle scelte e alle erogazioni ivi specificate72.

In questo senso deve essere interpretata l’autorizzazione parlamentare, non

quindi, come un semplice “nulla osta”, ma come un atto dal contenuto composito

e implicante da un lato, il momento autorizzatorio e dall’altro quello precettivo,

ponendo un vero e proprio vincolo di azione nell’ambito delle risorse e degli

obiettivi con questo determinati.

La concreta misura di queste due componenti varia a seconda della tecnica

di redazione del bilancio e del grado di specificazione delle unità elementari: la

maggiore analiticità di queste comporta necessariamente un vincolo sempre più

penetrante.

quei danari si riscuotono legalmente e ricevono la loro destinazione...” , CAMILLO BENSO, CONTE DI CAVOUR, ( MINISTERO DEL TESORO ); Ragioneria genmerale dello Stato, Raccolta degli atti riguardanti l’Amministraizone e la Contabilità dello Stato dal 1852 al 1887, v. I, 1852-1858, Roma 1883, p. 4; In tal senso V. anche A. GRAZIANI, Il bilancio e le spese pubbliche, Trattato completo di diritto amministrativo italiano, a cura di V. E. Orlando, IX, Milano, 1915. 72 In proposito viene formulata la teoria della c.d. “precettività” del bilancio pubblico, nel senso le disposizioni ivi contenute non potrebbero essere legittimamente derogate dall’Amministrazione stessa, né per la stessa ragione potrebbero ritenersi ammissibili spostamenti di stanziamenti da un capitolo ad un altro. V. per Tutti, M. S. GIANNINI, Diritto Amministrativo, Milano, 1993, p. 395; C. ANELLI, F. IZZI, C. TALICE, Contabilità pubblica, Milano, 1996, pp. 430 ss.

51

Ecco allora che l’intera storia liberale può essere riassunta in una continua

ricerca di un “procedimento” in grado di realizzare e rendere effettivo il controllo

parlamentare sull’azione amministrativa.

Il momento procedurale diventa sostanziale quando il discorso del “limite”

si sposta alla c.d. ampiezza o al grado del vincolo stesso.

Il riferimento al capitolo diventa quindi l’indice rilevatore dell’esigenza

sempre più sentita della salvaguardia della spesa e si esprime, in questi anni, nel

pressoché totale annullamento dei margini di discrezionalità da parte

dell’Amministrazione.

Emblematica in tale direzione è la procedura di esecuzione del bilancio e

del controllo amministrativo-contabile sulla spesa.

La Ragioneria generale dello Stato, istituita con la Cambray-Digny come

ufficio centrale della contabilità pubblica alle dipendenze del Ministero delle

Finanze ha progressivamente accresciuto il suo ruolo fino a diventare il principale

protagonista dell’intera attività finanziaria pubblica 73.

E’ doveroso osservare, tuttavia, come questa forma di controllo

procedurale conformemente all’impostazione politica che ne costituisce il

fondamento, non possa qualificarsi come uno strumento realmente efficace in

termini di garanzia di legalità e democraticità.

L’azione accentratrice della Ragioneria si sostanzia, infatti, in un riesame

da parte di un organo che, seppur esterno, risulta comunque un’articolazione

dell’amministrazione centrale. Il controllo veniva, quindi, sostanzialmente

concepito come una tutela dell’ordine e della correttezza giuridica.

L’attitudine del bilancio ad assolvere questo ruolo di controllo nei

confronti dell’apparato amministrativo e di garanzia verso il legittimo operato di

questo non deve tuttavia essere estremizzata, per non correre il rischio di ignorare

la funzione sostanziale che questo strumento riveste in ambito di politica

economica e di programmazione della spesa pubblica.

73 Come già osservato, i provvedimenti attuativi del R.D. n. 2440 gli Uffici di ragioneria delle amministrazioni centrali sono trasferite alle dipendenze della Ragioneria Generale dello Stato. Tale subordinazione deve essere interpretata come una vera e propria istituzionalizzazione della separazione tra l’Amministrazione del controllo e l’Amministrazione attiva, in tal senso V. M V. LUPO’ AVAGLIANO, Temi di contabilità pubblica, I La riforma del Bilancio dello Stato, Padova, 2004. L’art. 27 c. I della Legge generale di contabilità prevede che le ragionerie centrali “osservano e vigilano perché siano preservate le Leggi…” , si dispone, inoltre ( art. 64, c. I ), che il visto possa essere rifiutato per qualsiasi motivo di irregolarità.

52

Un’analisi così orientata è confermata dalla nuova impostazione

inaugurata dalla Carta costituzionale e che, pur confermando la tradizionale

impostazione del documento contabile di fine esercizio come strumento di

controllo nei confronti dell’Esecutivo e in generale dell’Amministrazione, ne

favorisce una lettura in senso sostanziale, ma per un più completo

approfondimento di questa progressiva evoluzione nella metodologia della

ricostruzione teorica della natura del bilancio statale si rinvia al seguito della

trattazione, nella parte specificamente dedicata alla lettura dei principi

costituzionali sul tema.

53

CAPITOLO II Principi costituzionali

SOMMARIO: 2.1. Alle origini dei principi costituzionali. 2.2. I principi costituzionali in materia di finanza pubblica: la chiave di lettura suggerita dall’analisi degli atti dell’Assemblea costituente. 2.3. La difficile definizione del rapporto tra Esecutivo e Legislativo. 2.3.a) In merito alla natura della legge di bilancio. 2.3.b) In merito all’ammissibilità di una procedura di approvazione del bilancio statale tramite delegazione legislativa o decretazione d’urgenza: conseguenze mediate del principio di riserva di assemblea. 2.4. L’articolo 81 della Costituzione e i caratteri della legge di bilancio. 2.5. I principi di progressività e riserva di legge: postulati fondamentali nella disciplina delle entrate pubbliche.

2.1. Alle origini dei principi costituzionali.

I principi costituzionali in materia di bilancio statale, trovano la loro più

completa esplicazione nella norma cardine contenuta all’articolo 81 della nostra

Carta Fondamentale. Qualsiasi tentativo di esegetico in merito non può tuttavia,

prescindere da un’attenta indagine storica in grado di chiarire le ragioni di fondo e

la ratio ispiratrice di questa norma.

Potrebbe essere utile, in proposito soffermarsi sulla genesi della

disposizione e sul dibattito generato in seno alla Seconda Commissione

dell’Assemblea Costituente.

La seduta antimeridiana del 21 dicembre 1946 conduce alla spedita

approvazione dei primi tre commi dell’attuale articolo 81, con un dibattito

inaspettatamente limitato e circoscritto alla durata dell’esercizio provvisorio, per

cui su richiesta del Bozzi e seguendo l’osservazione di Vanoni, il limite temporale

all’esercizio provvisorio viene portato da tre a quattro mesi, proprio per evitare

scadenze troppo ravvicinate74.

Aldilà della relativa semplicità di approvazione di questi primi commi75,

tuttavia, il dato rilevante su cui si vuole in questa sede porre l’attenzione è la

74 Cfr. Atti dell’Assemblea Costituente, 21 dicembre 1946, La costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea costituente, Roma, 1970, Vol VII, p. 1626, reperibile altresì al sito http://legislature.camera.it 75 L’articolo 37 del progetto, discusso il 21 dicembre 1946, risultata così formulato: Le Camere approvano ogni anno il bilancio presentato dal Governo.

54

scelta sistematica intrapresa dai costituenti e il contesto in cui viene affrontato il

problema dei principi costituzionali in materia di bilancio.

La definizione dei tratti salienti della disciplina costituzionale in materia di

contabilità pubblica viene, infatti, in rilievo in occasione della discussione

sull’iniziativa legislativa e sui rapporti istituzionali che devono intercorrere tra

Parlamento e Governo.

E’interessante notare come questa scelta non sia propria esclusivamente

dei lavori della Costituente, ma risalga all’impostazione seguita nell’ambito della

Commissione economica nominata dal Ministero della Costituente, al fine di

fornire un quadro completo del materiale, in grado di orientare il lavoro della

Costituente.

Il nodo principale e più difficilmente risolvibile è, già in quella sede,

rappresentato dall’opportunità o meno di riservare l’iniziativa legislativa in

materia finanziaria al solo organo esecutivo, estenderla alle Camere o

eventualmente affidarla ad una sola di queste.

Questo spinoso interrogativo emerge anche dal questionario redatto per

raccogliere una serie di pareri di tecnici ed esperti in materia, ai quali viene rivolto

l’esplicito quesito circa l’opportunità di limitare il potere di proporre spese al solo

Governo, o di estenderlo anche al Parlamento e, in tale seconda ipotesi,

l’opportunità di stabilirne limitazioni 76.

Ecco che emerge anche in questa occasione il dato relativo alla sedes

materiae: le grandi scelte in materia di bilancio di statale, vengono adottate non in

un’eventuale sede appositamente dedicata alla discussione di questo strumento

legislativo-contabile, ma contestualmente al dibattito sorto in tema di iniziativa

legislativa.

Con legge di approvazione non si potranno stabilire nuovi tributi e nuove spese. L’esercizio provvisorio non può essere concesso se non una sola volta, per legge approvata dal Parlamento, e per un periodo non eccedente i quattro mesi. Le Camere approvano ogni anno con legge il rendiconto generale 76 Cfr, Intervista al Dr Balucci, MISTERO PER LA COSTITUENTE, Rapporto della Commissione economica presentato all’Assemblea Costituente. Sez. V, Finanza, Parte II, Appendice, p. 180 Roma, 1946. Un rapido sguardo agli esiti di queste “interviste” consente di concludere per una generale propensione ad escludere la possibilità dello stesso Parlamento di avanzare autonome proposte di spesa, in ragione di un timore nei confronti di atteggiamenti pericolosamente demagogici e, congiuntamente la circostanza per cui compito dell’Esecutivo è la garanzia del rispetto del pareggio del bilancio, per cui soltanto ad un Organo tecnicamente e politicamente responsabile deve essere affidata la facoltà di proporre nuove e maggiori spese. Anche i più favorevoli all’iniziativa parlamentare, infatti, sostengono che questa debba in ogni caso incontrare limitazioni onde permettere un controllo della spesa pubblica

55

Questo fattore metodologico costituisce un essenziale elemento per

comprendere l’approccio adottato dai Costituenti al momento della stesura dei

principi attualmente contenuti nell’articolo 81.

Il problema fondamentale nell’ottica del costituente è, infatti,

rappresentato dal rischio che una politica di spesa eccessivamente irresponsabile o

comunque incauta possa danneggiare l’assetto finanziario del bilancio pubblico e,

più in generale, dell’intero andamento dell’economia nazionale.

L’eventuale limitazione del potere di iniziativa legislativa viene, così,

interpretato come uno strumento idoneo a fronteggiare questo rischio. La

legislazione in materia di spesa, diventa, inoltre, l’anello di congiunzione tra

discussione generale e di principio in materia di iniziativa legislativa e i singoli

interrogativi via via scaturiti nel corso del dibattito.

Così i dubbi circa la configurabilità di un diritto di priorità di esame a

favore di una delle Camere vengono esaminati proprio in relazione all’opportunità

di una preliminare approvazione da parte della Camera dei Deputati dei progetti di

legge di ordine finanziario.

Da un lato, infatti, se analizzato da un punto di vista generale, il problema

si prestava ad una soluzione di tipo negativo e quindi nel senso di negare un

qualsiasi “diritto di precedenza”77 nell’esame di progetti di legge all’una o all’altra

Camera, proprio a fronte della parità di ruoli e funzioni delle due assemblee

elettive, dall’altro però, lo stesso principio secondo cui “La nazione tassa se

stessa” richiede che il potere di vigilare alla correttezza delle imposizioni

tributarie stabilite dal Sovrano o dall’Esecutivo spetti alla Camera elettiva in

quanto diretta espressione della sovranità popolare.

Proprio questo assunto induce una parte della dottrina dell’epoca a ritenere

corretta la conferma in sede di testo costituzionale del principio statuito all’art. 10

dello Statuto Albertino che differenziava le due Camere ed assegnava una priorità

d’esame al collegio composto dai rappresentanti del popolo in contrapposizione

alla c.d. Camera Alta.

77 Cfr L’intervento dello Stolfi durante la seduta del 15 maggio 1946, tenutasi nei locali del Ministero per la Costituente, G. D’ALESSIO, Alle origini della Costituzione Italiana, I lavori preparatori della Commissione per studi attinenti alla riorganizzazione dello Stato, (1945-1946), Imola, 1979, p. 573.

56

La proposta, tuttavia, trova l’opposizione di chi, sulla base del sommario

consenso registrato in merito al carattere elettivo e a suffragio universale della

seconda Camera, ritiene insensato una qualsiasi differenziazione di funzioni78.

L’osservazione è incontestabile nella sua logicità, ma la reale portata e lo

spessore scientifico dell’intervento proposto79 può essere colto solo se posto in

relazione alle origini della teoria del potere parlamentare di deliberazione del

bilancio pubblico.

E’ nota la ricostruzione secondo cui “la competenza finanziaria dei

Parlamenti si confonde con la storia stessa delle istituzioni parlamentari”80.

Sin dalle origini, infatti, le assemblee legislative costituiscono la fonte di

legittimazione del potere impostivo statale, secondo l’antico principio britannico:

“taxation... requires legislation”81, inizialmente, tuttavia, questa regola non è

accompagnata dalla necessità di un’analoga autorizzazione in merito alla scelta di

utilizzazione dei tributi pervenuti. Soltanto in seguito la tutela si completa e il

consenso viene richiesto non solo per il prelievo, ma anche per la scelta

nell’utilizzo delle pubbliche risorse, in modo che queste vengano utilizzate

esclusivamente per gli scopi indicati dal Parlamento.

La stessa teoria costituzionale e lo stesso concetto di sovranità popolare

contribuiscono all’affermarsi della convinzione per cui compito della Camera

rappresentativa sia il contenimento dell’imposizione tributaria a tutela del diritto

dei contribuenti contro imposte eccessivamente gravose, contrastando, così, la

tendenza dell’esecutivo ad ampliare il gettito fiscale.

78 Cfr L’intervento del Presidente Piccardi durante la seduta del 15 maggio 1946, tenutasi nei locali del Ministero per la Costituente, G. D’ALESSIO, Alle origini della Costituzione Italiana, cit. p. 574. 79 Secondo Orrei la questione non può esssere decisa prima che sia riconosciuta in maniera certa e definitiva la formazione e la struttura della seconda Camera, anche in considerazione della nomra statutaria sopra richiamata e le cui origini risalgono al sistema inglese, si basa sul carattere rappresentativo della Camera dei Deputati in considerazione del noto principio secondo cui “taxation... requires legislation”, per cui soltanto la camera elettiva può legittimamente acconsentire all’imposizione tributario-fiscale decisa altrove, Cfr. l’intervento di Orrei, durante la seduta del 15 maggio 1946, tenutasi nei locali del Ministero per la Costituente, G. D’ALESSIO, Alle origini della Costituzione Italiana, cit. p. 573. 80 Cfr. la nota massima secondo cui “Le droit constitutionnel est en quelque sorte issu du droit financier”, UNION INTERPARLAMENTAIRE, Parlements, Une ètude comparative sur la structure et le fonctionnement des institutions représentatives dans quarante et un pays, Paris, 1961, p. 209 81 Mentre in generale la potestà legislativa parlamentare si sostanziava in “petitions”, ovvero semplici richieste al Sovrano o mere indicazioni affinchè provvedesse in una determinata direzione, il consenso manifestato dall’Assemblea popolare all’imposizione tributaria rappresentava, invece, un vero e proprio potere decisorio, Cfr. UNION INTERPARLAMENTAIRE, Parlements, cit, p. 209.

57

Una simile impostazione trova, inoltre conferma negli ideali propri

dell’economia classica e delle teorie liberistiche. In un contesto di teoria

economica liberale, dove il ruolo dello Stato deve limitarsi all’adempimento degli

indispensabili compiti di gestione di una collettività organizzata, come la difesa,

l’ordine pubblico e l’amministrazione della giustizia, le esigenze di prelievo

fiscale vengono nettamente ridimensionate, proprio perchè non dirette a

soddisfare quelli svariati servizi pubblici largamente richiesti in forme di stato

differenti ed improntati al modello del Welfare State.

In assenza di simili istanze sociali le assemblee vengono a costituire la

naturale difesa contro l’arbitrio e l’eccesso di spesa degli Esecutivi, favorendo il

raggiungimento di un equilibrio tra i due poteri, l’uno responsabile del

funzionamento e dell’amministrazione statale e il secondo chiamato a vigilare

sulla corretta gestione delle risorse pubbliche.

In quest’ottica si chiarisce la portata dell’intervento dell’Orrei in sede di

Commissione Forti e le ragioni del suo dubbio: soltanto la Camera realmente

rappresentativa può ricoprire il compito di garanzia insito nel procedimento di

iniziativa legislativa in materia finanziaria, costituendo l’unico potere in grado di

esprimere un baluardo contro eventuali scelte governative irresponsabili.

Questo interrogativo, emerso il maggio del ’46, si ripresenta durante la

seduta dell’Assemblea costituente tenuta il 24 ottobre dello stesso anno. E’

doveroso evidenziare, tuttavia, come la discussione venga in questa sede

decisamente ridimensionata e come il confronto risulti in gran parte meno aspro.

Il tema dell’iniziativa legislativa viene, infatti, immediatamente presentato

dal relatore Mortati in relazione a due specifici aspetti implicanti altrettante

questioni problematiche da sciogliere: la definizione dei soggetti istituzionali ad

essa abilitati e l’opportunità di individuarne eventuali limiti.

In merito al primo quesito e a seguito della proposta di riservare

l’iniziativa in materia finanziaria alla sola prima Camera, viene prontamente

obiettato che a fronte della già approvata eguaglianza di poteri e composizione

delle due assemblee legislative, qualsiasi differenziazione di ruoli risulterebbe

ingiustificata82. Lo stesso Einaudi richiama l’origine storica della riserva di

82 Cfr. Intervento dell’ on. Fabbri, Atti dell’Assemblea Costituente, 24 ottobre 1946, La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea costituente, Roma, 1970, Vol VII, reperibile altresì al sito http://legislature.camera.it .

58

iniziativa in materia di legislazione finanziaria alla sola prima Camera e ritiene

completamente anacronistica l’idea di ripristinare una differenziazione tra i due

collegi entrambi elettivi, ma particolare attenzione merita il seguito del suo

discorso, in quanto mette permette di cogliere tutta l’evoluzione della disciplina in

materia finanziaria e le nuove esigenze di tutela che da questa scaturiscono.

“Il dubbio potrebbe nascere”, secondo Einaudi, su un altro aspetto del

problema e, cioè, sull’opportunità di limitare al Governo l’iniziativa in materia di

bilancio, negandola ai membri delle Camere"83.

Questa riflessione, apparentemente svincolata dai discorsi precedenti,

costituisce un fattore essenziale per comprendere il percorso seguito dai

costituenti nell’elaborazione dell’attuale articolo 81 e contestualmente permette di

comprendere la progressiva evoluzione del rapporto tra esecutivo e legislativo in

materia di finanza pubblica.

2.2. I principi costituzionali in materia di finanza pubblica: la chiave

di lettura suggerita dall’analisi degli atti dell’Assemblea costituente.

Come è già stato osservato e come ricordato da Luigi Einaudi durante la

seduta del 24 ottobre ’46, sin dalle origini le Assemblee rappresentative

rivendicano come funzione fondamentale a diretta tutela della collettività dei

contribuenti, innanzitutto il potere di consentire l’imposizione tributaria e ed in

seguito quello di autorizzare e controllare la gestione di questo gettito monetario.

Progressivamente, questa vocazione garantistica delle Assemblee

parlamentari viene a scemare gradatamente soprattutto in considerazione della

mutata realtà politico-costituzionale di riferimento.

Il quadro che così dipinge i rapporti tra esecutivo e legislativo in materia

finanziaria, infatti, appare oggi tutt’altro che rispondente alla ricostruzione

tradizionale. Basti pensare al meccanismo elettorale e allo smisurato ritorno in

termini di voti che un parlamentare può ottenere a fronte della promessa di una

politica di spesa generosa.

In proposito è nota la tagliente ricostruzione del Palma, il quale già nel

1877 descriveva il fenomeno in termini alquanto contrastati e a tratti paradossali:

83 Cfr. Intervento dell’ on. Einaudi, Atti dell’Assemblea Costituente, 24 ottobre 1946, La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea costituente, Roma, 1970, Vol VII, reperibile altresì al sito http://legislature.camera.it .

59

“Le presenti Camere dei Deputati si mostrano molto meno adatte di quello

che si creda a compiere l’ufficio che storicamente le ha fatte nascere e

grandeggiare, a che teoricamente tanto le raccomanda, la tutela degli averi dei

cittadini rispetto ai Governi… Mentre astrattamente parrebbe che la nazione,

inviando dei rappresentanti, i carichi debbano riuscire meno gravi e

l’amministrazione più economica, il fatto ci mostra invece che mai i bilanci degli

Stati creerebbero tanto come sotto i Governi rappresentativi… L’esperienza

contemporanea dimostra che le nazioni moderne sono esposte al pericolo opposto

dei nostri maggiori, la soverchia prodigalità dei Parlamenti. Tutti vogliono

economie a parole o in generale, a fatti nessuno le vuole per sé, e i singoli deputati

sono troppo attratti dalla popolarità per poter contrastare alle spese 84”.

Questa tendenza delle assemblee rappresentative alla progressiva perdita

del ruolo di custodi della finanza pubblica può ritenersi propria già della prima

metà del XX secolo, quando la vita economica comincia ad assumere nuove

dimensioni. L’aumento della produttività e delle transazioni commerciali

producono necessariamente ad un accrescimento della spesa pubblica: la

macchina pubblica è così, costretta ad intervenire in nuovi settori, a rispondere a

nuove esigenze e, con l’avvento dello Stato sociale e delle teorie economiche

interventiste, a divenire protagonista della vita del Paese.

Anche l’introduzione del suffragio universale riveste una capitale

importanza in questo processo, permettendo alle classi sociali più deboli di

acquisire una maggiore consapevolezza di sé e dell’essenzialità del loro ruolo

nell’economia nazionale. Ma il suffragio universale risulta essenziale nella

progressiva evoluzione delle assemblee rappresentative per un ulteriore ed

essenziale circostanza: l’allargamento del diritto di voto a tutte le classi sociali

rende i politici consapevoli dell’importanza di acquisire il loro consenso e li rende

più sensibili alle loro esigenze.

Il Parlamento diventa così l’espressione di categorie e gruppi sempre più

vasti in grado di esprimere esigenze e bisogni svariati ed inclini a chiedere

all’organizzazione pubblica nuovi interventi e benefici.

Il problema della limitazione della spesa pubblica diventa, così,

subordinata rispetto all’esigenza di soddisfazione delle masse popolari e delle

istanze degli elettori.

84 L. PALMA, Corso di diritto costituzionale, vol. II, Firenze, 1877, pp. 331 ss

60

Questi dati sono ben noti ai costituenti e in particolare a Luigi Einaudi che,

con il suo intervento durante la seduta pomeridiana del 24 ottobre dimostra di

avere ben chiara la realtà socio-politica italiana, caratterizzata da uno da

un’eterogeneità di condizioni economiche, sociali e culturali tali da contribuire ad

un accentuato particolarismo politico che conduce inevitabilmente ad una spinta

verso una spesa sempre crescente85, ed è questo il contesto che favorisce un vero e

proprio capovolgimento nella concezione dei rapporti tra Esecutivo e Legislativo.

Il Governo, infatti, nel suo ruolo di responsabile dell’indirizzo politico e

dell’andamento della pubblica amministrazione assume la figura di organo di

contenimento e di controllo delle iniziative di spesa spesso di carattere

esclusivamente demogogico avanzate dal Legislativo.

Anche l’introduzione del sistema di governo parlamentare non costituisce

un ostacolo a questo nuovo quadro di rapporti, poiché, anche senza escludere

l’eventualità di istanze di spesa di provenienza dell’esecutivo, occorre porre

l’accento sull’ormai consolidata tendenza da parte di questo a dimostrare una

decisa resistenza verso le innumerevoli proposte provenienti dal Legislativo,

anche in funzione del ruolo ricoperto di diretto responsabile dell’equilibrio

finanziario complessivo.

Ecco allora che si comprende la portata delle osservazioni dell’onorevole

Einaudi che da un lato, evidenzia l’irragionevolezza di una differenziazione delle

due Camere in merito all’iniziativa in materia finanziaria, ma dall’altro, proprio in

considerazione del mutato ruolo delle assemblee rappresentative e del rischio che i

parlamentari possano costituire una fonte per una politica di spesa irresponsabile,

prospetta la possibilità di una legislazione di bilancio di provenienza

rigorosamente governativa.

E’interessante, inoltre, notare come la discussione su questi temi presenti

qualche tratto di promiscuità tra il tema della presentazione del disegno di legge di

bilancio e il distinto problema legato all’iniziativa in materia di legislazione di

spesa.

85 Il più autorevole richiamo di questa interpretazione è quello di F.S.NITTI, La scienza delle finanze : 1903-1936, Bari, 1972, in tal senso, più di recente V. anche G. SALVEMINI, Iguardinani del bilancio, UNa norma importante , ma di difficile applicazione: l’articolo 81 della Costituzione, Venezia, 2003, p. 58.

61

L’intervento di Einaudi, infatti, partendo dalla premessa sopra-esaminata e

dall’interrogativo circa una possibili limitazione dell’iniziativa in materia di

bilancio al solo Esecutivo, conclude prospettando due soluzioni:

“O negare ai deputati delle due Camere il diritto di fare proposte di spesa,

ovvero obbligarli ad accompagnare con la proposta correlativa di entrata a

copertura della spesa così che la proposta abbia un impronta di serietà”86.

Nonostante le isolate posizioni favorevoli alla differenziazione dei ruoli tra

le due Camere, la via dell’obbligo di copertura delle leggi di spesa sembra trovare

maggiori consensi fra i costituenti e così Vanoni ricorda come un’ analoga

prescrizione si ritrovi nella Legge di contabilità, quasi a voler privare di

fondamento ogni tesi volta a sostenerne l’estrema difficoltà di attuazione87,

ritenendo, pertanto, che alle due Camere debbano concedersi eguali poteri

d’iniziativa anche in materia finanziaria, ma che la facoltà di proporre nuove

spese, tanto per il Governo che per il Parlamento, debba venir rigidamente

condizionata alla proposta relativa ai mezzi per fronteggiarla.

Dopo l’intervento del monarchico Fabbri, il quale propone l’opportunità di

introdurre un rigido divieto alle “proposte di spesa avanzate durante la discussione

dei bilanci”, seguendo l’impostazione fatta propria dalla Quarta Repubblica

francese88, è la proposta del repubblicano Conti a raccogliere maggiori consensi

ed a trovare anche l’adesione di Einaudi secondo cui: “Le leggi le quali importino

maggiori oneri finanziari devono provvedere ai mezzi finanziari per

fronteggiarli”.

Anche questa formulazione, tuttavia, suscita le critiche di quanti ritengono

troppo rigido un simile vincolo in relazione alla natura del rappresentante del

86 Intervento dell’ on. Einaudi, Atti dell’Assemblea Costituente, 24 ottobre 1946, La Costituzione della Repubblica cit. reperibile altresì al sito http://legislature.camera.it . 87 Intervento dell’ on. Vanoni, Atti dell’Assemblea Costituente, 24 ottobre 1946, La Costituzione della Repubblica cit. reperibile altresì al sito http://legislature.camera.it che in tema di obbligo di copertura delle leggi di spesa ricorda come “Analoga norma fosse già contenuta nella nostra legge di contabiolità di Stato” e aggiunge che la Commissione di tecnici che presso la Costituente ha studiato il problema, ha sottolineato l’opportunità che nella Costituzione si sancisca l’obbligo in parola, sia per il Governo che per il Parlamento, come garanzia “della tendenza al pareggio del bilancio”. L’onorevole ribadisce, inoltre, l’insussistenza di difficoltà pratiche sull’attuazione del principio risultando, al contrario, indispensabile che il principio “sia presente sempre alla mente di coloro che propongono nuove spese: il Governo deve avere la preoccupazione che il bilancio sia in pareggio e la stessa esigenza non può essere trascurata da una qualsiasi forza che si agita nel Paese e che avanza proposte che comportino maggiori oneri finanziari”. 88 Il riferimento deve intendersi rivolto all’art. 17, II c. della Costituzione francese del 1946, secondo cui nell’Assemblea nazionale “nessuna proposta tendente ad aumentare le spese previste o a crearne nuove potrà essere presentata in sede di discussione del bilancio e delle note di variazioni”.

62

popolo, che viene qualificato non come un “amministratore”, ma come portavoce

delle istanze dei rappresentati, all’impossibilità di un’applicazione concreta di tale

meccanismo di fronte a casi urgenti e a calamità improvvise ed infine

all’eccessiva gravità di conseguenze invalidanti che una simile previsione avrebbe

prodotto in regime di costituzione rigida89.

A seguito della rinuncia del Mortati e del Vanoni alla proposta così

aspramente criticata si giunge al definitivo accordo sulla formulazione meno

drastica avanzata dal Bozzi, secondo cui “Nelle proposte di nuove e maggiori

spese e nelle leggi che le approvano devono essere indicati i mezzi per far fronte

alle spese stesse”90.

E’ questo il testo approvato dalla Seconda Commissione e sottoposto alle

successive modifiche in sede di coordinamento - a fronte dell’inserimento della

disposizione al quarto comma dell’articolo 77, del progetto di costituzione – ed

oggetto di discussione in assemblea plenaria il 17 ottobre 1947.

In sede di Assemblea plenaria le modifiche approntate sono decisamente

circoscritte e la più significativa è rappresentata dalla proposta avanzata dal

democristiano Bertone secondo cui all’interno della disposizione relativa

all’esercizio provvisorio doveva essere espunto l’inciso “per una sola volta”, per

essere sostituito con l’espressione forse più incisiva e volta ad evitare

”l’incoraggiamento a chiedere autorizzazioni per esercizi provvisori per un tempo

più lungo del necessario”91 “per periodi non superiori complessivamente a quattro

mesi”

Degno di nota è infine l’intervento del Ruini che qualifica come errore di

stampa la dizione secondo cui le Camere approvano ogni anno il “bilancio”,

predilegendo l’utilizzo del sostantivo plurale, in questo modo, secondo il

89 Ci si riferisce alle preoccupazioni di Patricolo e di Laconi, secondo cui “ogni proposta si trasformerebbe, così in un completsso piano finanziario” che potrebbe contrastare con la funzione del rappresetnante del popoloa che “non deve essere un amminsitratore. Egli porta nall’Assemblea la voce dei suoi rappresentanti e ne prospetta le necessità, ma spetta all’amministrazione statale risolvere i problemi finanziari.” PATRICOLO, Atti dell’Assemblea Costituente, 17 ottobre 1946, La Costituzione della Repubblica cit. reperibile altresì al sito http://legislature.camera.it. Seconda questa impostazione il rpincipio stesso della divisione dei poteri implicherebbe una una facoltà dei rappresentanti all’esposizione delle esigenze di spesa, mentre il reperimento dei mezzi necessari a fronteggiarle rimarrebbe di esclusiva competenza dell’Esecutiva. 90 In relazione all’utilizzo del verbo “indicare” sono state avanzate numerose critiche proprio in relazione alla scarsa incisività del termine e all’immediato richiamo al carattere esterno dei mezzi rispetto al contenuto intrinseco della deliberazione di spesa, G. CAIANELLO, Potenzialità della legge di bilancio, in A. Barettoni Arleri ( diretto da ), Dizionario di contabilità pubblica, Milano, 1989, 597 ss. 91 Atti dell’Assemblea Costituente, 17 ottobre 1946, La Costituzione della Repubblica cit. reperibile altresì al sito http://legislature.camera.it

63

Presidente della Commissione dei ’75, viene eliminato ogni dubbio circa la

possibilità di una redazione di bilancio non distinta per ministeri.

Ma, tralasciando il dibattito su questa disputa terminologica che verrà

ripresa in sede di analisi del principio di unità del bilancio pubblico, occorre

soffermarsi sulla già accennata metodologia di analisi prescelta dal Costituente

per la disciplina dei principi in materia di gestione finanziaria dello Stato.

L’approccio seguito dalla Costituente appare sin da una prima analisi dei

lavori preparatori improntato ad un criterio di sostanziale unicità ed

omnicomprensività nella trattazione dei singoli aspetti inerenti la materia.

Il tema dell’iniziativa legislativa in materia di bilancio, il problema

dell’obbligo di copertura delle leggi di spesa il divieto nei confronti della legge di

bilancio di contenere la previsione di nuovi tributi o nuove spese devono essere

congiuntamente letti nell’ottica del obiettivo, perseguito dalla Commissione dei

’75, di fornire un quadro di regole a livello costituzionale in grado di limitare la

discrezionalità del legislatore in materia di spesa pubblica e di favorire una

gestione oculata delle risorse collettive.

In tale prospettiva deve essere letta anche la questione dell’emendabilità

della legge di bilancio e della previsione di cui al terzo comma dell’attuale

articolo 81.

L’obbligo di copertura delle leggi di spesa rischierebbe di perdere gran

parte del suo significato se non corredato al divieto di istituzione di nuovi tributi e

di nuove spese ad opera della stessa legge di bilancio. Ecco perché alla critica

avanzata dal socialista Buffoni volta ad ottenere la soppressione del terzo comma

in questione, lo stesso presidente Ruini replica che “si potrà modificare il bilancio

nei limiti delle leggi tributarie e di autorizzazione delle spese”, dal momento che

anche queste ultime “si possono modificare, ma con altre legge”, mentre il

“bilancio deve essere un bilancio e non diventare un’altra cosa, prestandosi a

sorprese ed abusi”92.

92 Atti dell’Assemblea Costituente, 17 ottobre 1946, La Costituzione della Repubblica cit. reperibile altresì al sito http://legislature.camera.it, Cfr. anche l’intervento di Bertone, il quale ribadì che, in forza del terzo comma, “non è che non sia ammesso, nella legge che vota il bilancio, aumentare il capitolo o diminuirlo; è vietato introdurre nuovi tributi e nuove spese che non siano state predisposte e preparate prima, secondo la procedura normale”. Sul punto V. anche G. BERTOLINI, Emendamento, deliberazione, parlamentare e iniziativa, Associazione per gli studi e le ricerche parlamentari, Seminario 1994, Torino, 1995, p. 213, il quale ritiene che i lavori preparatori confermino “che nessun proposito ha avuto l’Assemblea Costituente di sottrarre alle Camere quel potere di emendamento già radicato sin dal periodo statutario, non solo riguardo alla

64

E’ già stato esaminato l’iter seguito dalla Seconda Sottocommissione in

merito alla discussione dell’eventuale limitazione dell’iniziativa legislativa in

capo ad una sola delle Camere o al solo organo esecutivo e, altresì in merito

all’opportunità di porre dei limiti alla legislazione di spesa mediante

l’introduzione di un obbligo di copertura delle medesime, ma non è ancora stato

posto l’accento su alcuni dati essenziali forniti a sostegno dei diversi interventi,

che possono risultare determinanti ai fini della comprensione dell’intero lavoro

svolto in Assemblea Costituente.

Il 24 ottobre 1946, i personaggi chiave che intervengono al dibattito sopra-

descritto, in merito alla concreta stesura dell’articolo 77 del progetto di

Costituzione, sono Luigi Einaudi ed Ezio Vanoni, entrambi, seppur divisi

ideologicamente, figli della cultura economica italiana di inizio secolo e dei

recenti studi in materia di scienze delle finanze.

Anche in Italia, nel secondo dopoguerra, cominciano a diffondersi le idee

Keynesiane circa l’opportunità da parte delle autorità centrali di intervenire a

sostegno della domanda globale.

Secondo l’economista statunitense all’aumento del reddito, i consumi

possono aumentare in misura meno che proporzionale a favore del risparmio che,

al contrario, tende ad aumentare in proporzione crescente.

Questa premessa induce il Keynes a propugnare un intervento statale a

fini anticongiunturali, proprio perché è possibile che la spesa privata si rilevi

insufficiente ed inadeguata per mantenere il reddito di piena occupazione.

Ecco allora che le teorie macro-economiche vengono applicate alla

contabilità pubblica ed il saldo di bilancio viene trasformato in uno strumento di

politica economica discrezionale.

Nella visione keynesiana, il bilancio pubblico dovrebbe assumere un

deficit in fase di congiuntura calante per stimolare l’occupazione e l’attività

economica, e un saldo attivo nelle fasi di espansione accelerata, onde evitare

fenomeni inflattivi.

Il pareggio su base annua tipico della concezione della Destra Storica93

viene, così, superato dalla teoria keynesiana per giungere ad una nozione di

materia del bilancio dello Stato, ( materia riservata all’esclusiva competenza dela iniziativa del Governo ) ma, a fortiori, in generale per ogni materia sottoposta a pronuncia delle Camere.” 93 Sull’ “ossessiva politica del pareggio” della Destra storica V. G. MARONGIU, Il pareggio di bilancio come condizione di libertà: la politica fiscale della destra storica, Diritto e pratica tributaria 1995, pp. 369 ss. Ma anche gli stessi discorsi pronunciati nelle aule parlamentari dal

65

“pareggio su base ciclica”, con passivi in fase di recessione e attivi in fase di

espansione.

Alla luce di queste premesse, anche un primo sguardo all’articolo 81 Cost.

disorienterebbe qualsiasi lettore.

L’ultimo comma, come già osservato, costituisce una chiara esortazione ed

un rigoroso baluardo allo scopo di impedire una politica di spesa, irresponsabile,

quasi evocando i classici canoni del principio di pareggio del bilancio.

Un’interpretazione in questa direzione è confortata dal lavori

parlamentari94 e dall’appoggio di Ezio Vanoni, secondo cui “ Il Governo deve

avere la preoccupazione che il bilancio sia in pareggio e la stessa esigenza non

può essere trascurata da qualsiasi forza che si agiti nel Paese e che avanzi proposte

che comportino maggiori oneri finanziari”.

Dopo una decina di anni dall’elaborazione della teoria keynesiana il

principio del pareggio del bilancio viene formalmente consacrato come un

essenziale presupposto del nostro Stato democratico e viene inteso come indice di

trasparenza e correttezza nella gestione della cosa pubblica.

Ma questa chiara scelta di indirizzo deve essere interpretata come un

rifiuto delle più recenti teorie macro-economiche o come una presa di posizione in

merito alla nota contrapposizione tra natura formale e natura sostanziale della

legge di bilancio?

Sicuramente simili conclusioni si rileverebbero eccessivamente affrettate

alla luce di queste semplici premesse, ma appare incontestabile che i principi

contenuti nel testo costituzionale costituiscano indici fondamentali in merito alla

Minghetti, secondo cui “ Saremo felici ripensando che noi vi lasciamo il Paese tranquillo all’interno, in buone relazioni e rispettato all’estero; vi lasciamo le finanze assestate e preghiamo Iddio che possiate questi benefici conservare alla patria.” M. MINGHETTI, Discorsi parlamentari, Roma, 1888 p. 356.

94 Cfr. l’intervento dell’ on. Vanoni, Atti dell’Assemblea Costituente, 24 ottobre 1946, La Costituzione della Repubblica cit. reperibile altresì al sito http://legislature.camera.it che in tema di obbligo di copertura delle leggi di spesa ricorda come “Analoga norma fosse già contenuta nella nostra legge di contabiolità di Stato” e aggiunge che la Commissione di tecnici che presso la Costituente ha studiato il problema, ha sottolineato l’opportunità che nella Costituzione si sancisca l’obbligo in parola, si aper il Governo che per il Parlamento, come garanzia “della tendenza al pareggio del bilancio”. L’onorevole ribadisce, inoltre, l’insussistenza di difficoltà pratiche sull’attuazione del principio risultando, al contrario, indispensabile che il principio “sia presente sempre alla mente di coloro che propongono nuove spese: il Governo deve avere la preoccupazione che il bilancio sia in pareggio e la stessa esigenza non può essere trascurata da una qualsiasi forza che si agita nel Paese e che avanza proposte che comportino maggiori oneri finanziari”.

66

dibattuta questione circa la qualificazione dei rapporti tra Esecutivo e Legislativo

nella materia finanziaria.

Per interpretare correttamente la scelta dei costituenti che, pur vivendo in

epoca post-keinesiana dimostrano un deciso favore per l’ortodossia costituzionale

pre-keinesiana, occorre innanzitutto procedere ad una lettura sistematica delle

norme costituzionali.

Come noto, la Carta del ’47 compie un’inversione di rotta rispetto ai

principi dello Stato liberale promuovendo la c.d. “finanza funzionale” e

l’intervento della mano pubblica in economia, ma occorre precisare in questa sede

che il principale fautore di questo principio in tema di bilancio statale è proprio

Ezio Vanoni, democratico ideologicamente e sostenitore della c.d.

“programmazione economica”.

Questi due elementi permettono di individuare la corretta linea

interpretativa da adottare per comprendere meglio la portata dei principi

costituzionali in tema di bilancio statale.

Poste le mutate esigenze politico-sociali e il nuovo ruolo dello Stato

nell’economia la programmazione economica diviene per il costituente

un’esigenza indefettibile.

Ecco, allora, come i principi dettati dalla nostra Carta Fondamentale

diventano il mezzo per coniugare le due, apparentemente inconciliabili esigenze

dell’economia guidata, nelle sue scelte essenziali, dalla mano pubblica e del

principio di pareggio del bilancio.

Il costituente ha voluto evidenziare che, pur in un contesto di

programmazione e di intervento pubblico in economia, l’Esecutivo non può

ritenersi giustificato ad intraprendere politiche pubbliche irresponsabili.

La programmazione diventa impercorribile ove non si tenga presente il

vincolo delle risorse.

E’ proprio questa la chiave di lettura dell’art. 81 Cost e dei principi

costituzionali in materia95.

95 I costituenti dimostrano così la loro consapevolezza dei rischi di un’acritica adesione alle teorie Keynesiane, anticipando, in un certo senso, gli studi e le ricerche volte ad apportare correttivi alla teoria della finanza funzionale e alla crescita incontrollata dei debiti pubblici. Per un approfondimento circoscritto, ma molto significativo della necessità di predisporre dei limiti all’intervento statale di a sostegno della domanda globale, V. J. BUCHANAN, premio Nobel in economia “per i suoi studi pioneristici sulle strutture politiche in cui si compiono le scelte sociali e sul comportamento dei soggetti nel sistema istituzionale”, L’economia del disavanzo, Rassegna economica, 1987, pp. 545 ss.

67

Le diverse ideologie politiche espressione del potere costituente si

dimostrano, al momento della redazione dell’art. 81 unanimamente concordi nel

ritenere che l’assenza di regole costituzionali in materia di materia di decisione di

bilancio avrebbe condotto ad una crescita illimitata ed irrazionale delle spese,

proprio alla luce della fisiologia istituzionale e della naturale competizione

partitica che nella vorticosa corsa agli incentivi politici e alle promesse elettorali

avrebbe favorito una crescita illimitata ed irrazionale delle spese.

L’analisi così ferma e lucida della realtà elettorale in un sistema

multipartitico operata dai costituenti è favorita dalla profonda conoscenza dei

contributi in materia di finanza pubblica e di scelte collettive, tipici della

tradizione del nostro paese.

Secondo queste teorie economiche il comportamento irrazionale dei

singoli, ognuno dei quali persegue l’ interesse personale, può in assenza di regole

dar vita ad un risultato finale che danneggi tutti, pur non essendo un risultato

voluto da alcuno.

Il nucleo centrale di questa impostazione è costituito dall’analisi paretiana

delle scelte individuali e collettive e il discrimine teorico tra costo sociale, esterno,

futuro e diffuso e beneficio interno circoscritto ed immediato96.

La spesa pubblica è un costo esterno per il singolo agente pubblico e, date

le dimensioni del bilancio pubblico, la singola spesa incide in maniera irrisoria

sull’assetto complessivo di questo.

Proprio per questo la teoria delle scelte individuali ragionevolmente

suppone un comportamento generalmente favorevole all’introduzione di nuove

spese: un’eventuale astensione non produrrebbe alcuna significativa variazione

sull’ammontare complessivo degli oneri pubblici, ma porrebbe, al contrario, il

singolo partito politico in condizione di svantaggio rispetto alle forze concorrenti

promotrici di politiche meno rigide.

Occorre aggiungere un ulteriore ed essenziale corollario della teoria

paretiana: sono favorite quelle decisioni di spesa che conferiscono benefici

96 L’esempio tipico per chiarire questi concetti è fornito dal costo sociale dell’ambiente danneggiato ed inquinato. Per l’impresa inquinante il costo sociale dello scarico di prodotti tossici nelle acque del fiume è un costo esterno e, soprattutto la scelta individuale se proseguire l’attività inquinante o meno dipende dalla considerazione per cui anche in assenza della sua attività industriale il tasso di inquinameno del fiume non subirà una variazione decisiva in considerazione dell’analoga attività esperita dai vicini complessi industriali. Una simile scelta pertanto produrrebbe il solo esito di danneggiare il singolo imprenditore scrupoloso e di renderlo minor competitivo rispetto agli altri. Ecco allora che verrà privilegiato il costo diffuso a un ambiente insalubre piuttosto che costo interno di una perdita di competitività commerciale.

68

concentrati ad un ristretto numero di persone comportando un costo diffuso che

grava sull’intera collettività. Tali decisioni sono, infatti, supportate da un gruppo

ristretto, ma tenacissimo di persone che ottengono dalla proposta un rilevante

vantaggio, mentre l’opposizione della generalità dei sostenitori del relativo costo,

non percependone in maniera immediata il peso, è talmente meno incisiva da

divenire sostanzialmente impercettibile.

Questi semplici postulati sono sufficienti a far comprendere alla Seconda

Sottocommissione dell’Assemblea costituente, ed in particolare ad Ezio Vanoni e

a Luigi Einaudi come queste asimmetrie nella percezione dei costi e dei benefici

della spesa pubblica possano costituire una seria minaccia alla solidità dell’intera

finanza pubblica nazionale97: vengono in tal modo favorite le spese rivolte ad

agevolare un ristretto numero di persone a scapito degli investimenti nei servizi

sociali e nei beni pubblici in senso stretto, la sanità, la difesa, l’ordine pubblico, la

giustizia e, parallelamente, si incentivano le decisioni che conferiscono benefici

immediati anche modesti, a fronte di costi futuri rilevantissimi.

Einaudi e Vanoni, nella stesura dell’articolo 81 e, in particolare

nell’inserire l’ultimo comma evocando la necessità di un pareggio del bilancio

pubblico, si dimostrano fautori di una nozione rigida ma a tratti anche

inesorabilmente realistica di deficit di bilancio, come imposta diffusa che grava su

un numero ingentissimo di persone, comprese le generazioni future, in quanto gli

97 I Costituenti accolgono, così, il suggerimento espresso dalla Commissione economica, che aveva affermato l’opportunità di fronteggiare “le nuove o maggiori spese [...] con determinati ciespiti di entrata, in modo che l’attività parlamentare trovi un qualche freno all’allargamneto delle spese”, MINISTERO PER LA COSTITUENTE, Rapporto della commissione economica presentato all’assemblea costituente. Sezione V. Finanza. I. Relazione, Roma, 1946 p. 28 ss. Come chiarì Einaudi, facendosi però espressione di un sentire diffuso, la limitazione posta all’iniziativa parlamentare aveva un “contenuto morale” dal momento che il Governo stesso aveva iniziativa legislativa e altro non era che il Governo”emanazione del Parlamento”, Cfr. l’intervento dell’ on. Einaudi, Atti dell’Assemblea Costituente, 24 ottobre 1946, La Costituzione della Repubblica cit. reperibile altresì al sito http://legislature.camera.it. Ecco che la limitazione dell’iniziativa di spesa permetteva di richiamare ogni membro del Parlamento a scelte finanziarie responsabili e sottoposte a una norma di controllo e giudizio. Viene così a delinearsi un principio democratico la cui necessità emerge dall’esperienza stessa della demmocrazia parlamentare dell’Italia pre-fascista, con vantaggi palesemente rivolti ad una parte soltanto della popolazione che finivano per danneggiare la generalità dei consociati. Ai primi del Novecento , infatti, l’esplosione delle spese pubbliche era stata interpretata come un sintomo di degenerazione del sistema della democrazia parlamentare, in cui le maggioranze promuovevano legislazioni di spesa a sostegno di interessi particolari. Proprio perchè consapevoli di questa realtà e della successiva dissoluzione del Parlamento operata da parte del fascismo, inseriscono nella carta costituzionale limitazioni all’attività dell’esecutivo, ma anche operanti nei confronti delle assemblee legislative.

69

oneri finanziari delle politiche di spesa vengono pressoché interamente sostenute

dai governi successivi98.

L’intero complesso delle disposizioni costituzionali in materia di finanza

pubblica deve essere letto, pertanto, alla luce di queste premesse di fondo: da un

lato la consapevolezza della necessità di un’evoluzione in senso democratico e

pluralistico dello stato liberale ottocentesco, ma dall’altro la convinzione per cui

ogni politica di intervento in campo sociale debba operare nel rispetto di un

quadro di limiti rigidamente fissati a livello costituzionale.

L’opportunità di una significativa presenza dello Stato nell’economia deve

essere vista esclusivamente nell’ottica di un miglior perseguimento degli obiettivi

dello stato sociale, ma questa nuova elasticità della manovra di bilancio non può

comportare la completa rimozione dei vincoli costituzionali.

Una simile scelta condurrebbe inevitabilmente all’assenza di regole nella

competizione partitica, dando vita crescita illimitata ed irrazionale della spesa

pubblica.

2.3. La difficile definizione del rapporto tra Esecutivo e Legislativo.

2.3. a) In merito alla natura della legge di bilancio

L’analisi dei lavoro della Costituente, della Commissione di studio per la

predisposizione del testo costituzionale e la comprensione dell’approccio seguito

98 A. MARTINO, Finanza pubblica e costituzione, Il Diritto dell’economia, 1996 pp 579. Secondo questa ricostruzione in assenza di regole, il politico predilige scelte che comportano oneri futuri a fronte di benefici immediati: tale modalità di azione è raggiungibile proprio mediante il ricorso al deficit di bilancio. Ciò comporta il reperimento di risorse tramite aumento di debito pubblico che pur generando un immediato consenso da parte delle categorie interessate dall’erogazione dei fondi derivanti dalla spesa, deve essere necessariamente coperta anche nella parte relativa al costo del finanziamento. Tale costo, rappresentato dal capitale e gli interessi viene coperto gli anni successivi, presumibilmente da parte di un diverso governo. Ecco perché viene richiamata la figura dell’imposta diffusa, proprio perché l’iniziativa di spesa e il relativo costo di finanziamento viene coperto negli anni da tutti i contribuenti mediante successivi ed inevitabili manovre di aumento del volume delle entrate. Viene, altresì, utilizzato l’attributo invisibile per qualificare ulteriormente i caratteri di questo onere ripartito tra la collettività. Il cittadino comune non è, infatti, consapevole di dover contribuire con le proprie risorse al pagamento del costo dell’indebitamento sociale. Ma se questo contributo collettivo potrebbe ritenersi ragionevole se impiegato per migliorare servizi sociali o comunque destinati ad un uso diffuso da parte della generalità dei consociati, questa pratica diventa particolarmente odiosa se realizzata al solo scopo di favorire circoscritti gruppi di interesse a scopo essenzialmente propagandistico. Si comprende a questo punto l’essenzialità di ferme regole costituzionali volte a contenere entro ragionevoli limiti la possibilità di ricorso al debito pubblico.

70

durante la sua redazione, risultano essenziali per l’interpretazione della concreta

portata dei precetti costituzionali e dell’assetto dei rapporti che si vengono a

creare tra l’Esecutivo e il Legislativo.

La rigorosa applicazione dei principi costituzionali condurrebbe, infatti, ad

una nuova nozione di legge di bilancio poco aderente alle caratteristiche proprie di

uno strumento normativo e più vicine a quelle dell’ atto amministrativo.

Pensiamo, infatti, ai naturali corollari discendenti dalla precisazione per

cui con la legge di bilancio non possono essere stabiliti nuovi tributi e nuove

spese: se ogni spesa dovesse trovare, non solo titolo per la sua erogazione, ma

anche la precisa determinazione del suo ammontare in una legge preesistente,

quest’ultimo dovrebbe necessariamente limitarsi alla registrazione, da un lato,

delle quote di entrate che si prevede possano derivare dai diversi cespiti e

dall’altro, degli stanziamenti previsti dalle leggi preesistenti, ma nella misura

strettamente determinata da queste.

Ogni conclusione diviene evidente e superflua: il bilancio diverrebbe un

attestato amministrativo contenente le risultanti contabili della legislazione

finanziaria preesistente, la sua formazione una mera operazione tecnico-contabile,

volta a stabilire quali entrate e quali spese risultino dall’esecuzione delle leggi

esistenti e il momento approvativo si risolverebbe in un mero controllo di legalità,

diretto ad accertare la veridicità dei resoconti stessi.

Sono proprio queste semplici osservazioni che hanno alimentato lo

sviluppo del complesso dibattito circa la natura formale o sostanziale della legge

di bilancio, analizzando i concreti rapporti che si instaurano tra governo e

parlamento in occasione dell’approvazione di questo strumento annuale di politica

economico-finanaziaria.

La tradizionale contrapposizione tra l’approccio formale e quello

sostanziale si radica sulle due opposte ricostruzioni fornite dalla Scuola tedesca e

di quella francese99.

99 Per l'abbandono di tale distinzione, ad esempio, e da alcuni decenni, E. CHELI, Potere regolamentare e struttura costituzionale, Milano, 1967, p. 269. Più di recente, si è osservato che secondo «la tesi consolidata in dottrina ed in giurisprudenza» la funzione attribuita alle Camere dall'art. 70, cost. «si risolve nel potere di fare le leggi, senza altro limite di contenuto che non discenda, direttamente o indirettamente, dalle norme costituzionali», v. F. SORRENTINO e G. CAPORALI, Legge (atti con forza di legge), D. disc. pubbl., IX, Torino, 1994, p. 102.Con varia ed interessante argomentazione, specificamente riguardo alla legge di bilancio, DELLA CANANEA, Indirizzo e controllo della finanza pubblica, Bologna, 1996, p 155

71

Secondo la dottrina germanica guidata dallo Gneist100 il bilancio

costituisce un esempio tipico di legge formale, sostanziandosi in un atto

meramente amministrativo concernente un piano contabile e finanziario

determinato altrove e che trova i suoi limiti nella legislazione finanziaria in vigore

al momento della sua formulazione e approvazione.

In una simile prospettiva le deroghe alla rigida interpretazione del

principio della separazione dei poteri, inteso come appartenenza in via esclusiva

di ciascun potere all’organo che ne è titolare, si giustificherebbero attraverso una

dissociazione tra un esercizio formale e sostanziale di questo101. Seguendo questi

postulati tipici della dottrina tedesca e in seguito ampiamente ripresi da diversi

giuspubblicisti italiani, il bilancio viene considerato come una “legge formale”,

come un “atto amministrativo”che diventa “legge effettiva” solo al momento

dell’approvazione delle due Camere.

Si è, al contrario, sostenuto che una simile ricostruzione rischierebbe di

“privare l’atto della stessa sua ragion d’essere”102. Secondo questa impostazione è

l’accresciuta importanza della finanza pubblica nel meccanismo di propulsione e

di sostegno dell’economia che fa emergere, aldilà del momento autorizzatorio

della legge in questione, una vera e propria funzione di indirizzo politico.

Il Parlamento, secondo questa lettura resta e deve restare il centro

dell’attività di determinazione dell’indirizzo della politica economico-finanziaria e

ciò avviene proprio in sede di deliberazione di bilancio.

Questo documento normativo viene ad assumere, così, la natura di “atto a

contenuto tipico e a competenza limitata”103, manifestazione, non tanto del potere

di compiere determinate attività di contenuto meramente amministrativo, ma

soprattutto quello di destinare ai diversi scopi indicati, i mezzi finanziari dello

Stato. Questi tentativi di ricostruire la teoria del bilancio in termini meno rigidi

riflettono l’esigenza di recuperare qualche margine di potenzialità innovativa e di

potere deliberativo sostanziale in capo all’organo rappresentativo.

100 R. GNEIST, Budget und Gesetz, Berlino, 1879, dove, prendendo in esame il diritto costituzionale angolosassone e, in questo senso V. anche, R. GNEIST, Il bilancio e la legge secondo il diritto costituzionale inglese, traduz. Bonghi, Firenze, 1889, ne trae regole generali per i bilanci di tutti i paesi europei. 101 Cfr. E. CHELI, Potere regolamentare e struttura costituzionale, Milano, 1967, pp. 257 ss. 102 S. BARTOLE, Commentario alla Costituzione, art. 81, a cura di G. BRANCA, Bologna, 1979, p. 243. 103 Così V. ONIDA che chiarisce “il contenuto della legge di bilancio può essere solo quello discendente dalla sua funzione e conseguentemente non può esorbitare i limiti che da questa funzione discendono” Leggi di spesa nella Costituzione, Milano, 1969, p. 597.

72

La lettera dell’articolo 81, come già osservato, non permette di chiarire

definitivamente la natura giuridica del documento.

Il primo comma qualifica “legge di approvazione”104, il documento di

bilancio, mentre il terzo, come già osservato, inserisce un categorico divieto di

introduzione di nuovi tributi e nuove spese tramite questo strumento legislativo.

Questi due elementi potrebbero risultare inconciliabili, soprattutto ai

sostenitori di un’interpretazione strettamente letterale del dettato costituzionale: la

nozione di approvazione richiama ad un potere deliberativo dell’Assemblea

parlamentare necessariamente connesso ad una reale potestà normativa, mentre il

divieto di introduzione di nuovi tributi e nuove spese confligge necessariamente

con una simile premessa.

Non mancano, tuttavia, le ricostruzioni dottrinali volte giustificare

un’interpretazione meno rigida del divieto costituzionale sulla base di una lettura

sistematica dell’articolo 80 e dell’articolo 81.

Secondo la prima disposizione costituzionale, infatti, le Camere

“autorizzano” la ratifica dei trattati internazionali […], in contrapposizione all’atto

di approvazione testualmente previsto dall’art. 81.

In realtà un’interpretazione letterale potrebbe risultare, anche in

considerazione dell’importanza e dell’estrema complessità del tema, parziale ed al

tempo stesso fuorviante.

104 In proposito una autorevole corrente dottrinale ha ritenuto che, proprio sulla base della stessa indicazione fornita a livello costituzionale il Parlamento, nell’approvare il bilancio, non potrebbe introdurvi modificazioni e gli eventuali emendamenti dovrebbero intendersi come proposte di modificazioni fatte al Governo, all’accoglimento delle quali il Parlamento condiziona l’approvazione ed accolte dal Governo medesimo, V. in tal senso SANTI ROMANO, Saggio di una teoria sulle leggi di approvazione, Milano, 1898. che accenna all’ ”uso parlamentare che vieta ai membri delle Camere.. di iscrivere nel bilancio nuove spese” , Saggio cit. p. 51 e afferma che “gli eventuali emendamenti dovrebbero considerarsi non come modificazioni di un progetto di legge, ma come proposte di emendamenti che il Parlamento fa al Governo e che, se non vengono da questo accettate, hanno per conseguenza il rifiuto dell’approvazione. Le modificazioni in sostanza sono fatte dal Governo; il Parlamento il Parlamento non fa che proporre, mettendo una condizione all’approvazione del bilancio”. Interessante è, invece, ricordare, ancora una volta come le radici di questa scelta terminologica risalgano alla dizione dell’articolo 10 dello Statuto Albertino, secondo cui “La proposizione delle Leggi apparterrà al Re ed a ciascuna delle due Camere. Però ogni legge d’imposizione di tributi, o di approvazione dei bilanci e dei conti dello Stato sarà presentata prima alla Camera dei Deputati”. In proposito non è possibile trascurare l’opinione di Francesco Racioppi, che, nello storico commento allo Statuto Albertino si limita ad affermare che l’articolo 10 dello Statuto intese affermare il principio della riserva all’esecutivo dell’iniziativa in materia, auspicando su un piano meramente idealistico l’attuazione di questo principio, ma riconoscendo contestualmente che “la nostra pratica indubbia è che la Camera esercita anche in materia finanziaria l’iniziativa che l’articolo 10 intende negarle, assieme al diritto d’emendamento di cui all’articolo 55 combinato con l’articolo 10 le consente senza limiti in tutte le materie”, V. F. RACIOPPI-I. BRUNELLI, Commento allo Statuto del Regno, Torino 1909.

73

In primo luogo occorre osservare come il termine “approvazione”, riferito

alla funzione esercitata dai due rami del Parlamento in ordine alle leggi, è

utilizzato dal costituente indistintamente per tutte le legge siano esse formali o

sostanziali105.

Per questo il problema della natura giuridica del documento di bilancio

deve essere risolto oltre ed aldilà dei puri riscontri formali, facendo riferimento al

reale contenuto che tale atto normativo può comprendere.

In dottrina è stata sostenuta una fondamentale duplicità di caratteri della

legge di bilancio, con riferimento, da un lato a quello autorizzativo e dall’altro a

quello approvativo.

Seguendo questa impostazione il documento autorizza da un primo punto

di vista, la riscossione delle entrate e l’erogazione delle spese mentre, da un

secondo punto di vista contiene una valutazione politica intesa a stabilire la

sufficienza o meno degli stanziamenti di spesa e delle previsioni delle entrate106.

Altri hanno argomentato la natura approvativa della legge in quanto diretta

espressione di indirizzo politico e programmatico, mentre un’autorevole, seppur

relativamente isolata, dottrina ha argomentato l’approvazione del bilancio come

“atto di governo”, posto in essere secondo il disposto costituzionale, in forma di

legge e avente, pertanto valore di legge107.

Un’articolata ricostruzione del problema, infine, fondandosi sulla ferma

premessa dell’inesistenza nel nostro sistema di una categoria di leggi meramente

formali, conclude per la natura approvativa del documento de quo, in quanto

“produttivo di precisi effetti in ordine all’adempimento delle obbligazioni dello

Stato e alla misura dell’esigibilità dei crediti verso questo”108.

La giurisprudenza costituzionale, chiamata a giudicare della conformità

alle disposizioni di cui all’art. 81 Cost. delle leggi di bilancio e di spesa delle

regioni a statuto speciale, ha esplicitamente accolto, con diretto riferimento alla

legge di bilancio statale, la natura formale del documento de quo: “la legge di

bilancio che si tratti dello Stato o della Regione, è una legge formale che non può

portare nessun innovamento nell’ordine legislativo, sì che da essa non possono

105 L’articolo 72 Cost. impiega il termine approvazione tanto per indicare la votazione articolo per articolo, per l’attribuzione di funzioni deliberanti alle Commissioni legislative permanenti , ma anche con riferimento al voto finale delle Camere. 106 VIRGA, Diritto costituzionale, 1967, p. 229. 107 SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1966, p. 544 108 M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, I, Milano, 1970, p. 403.

74

derivare né impegni né diritti della Regione, diversi da quelli preesistenti alla

legge stessa109” tuttavia, nonostante questa presa di posizione da parte del giudice

delle leggi, sostanzialmente condivisa dalla Corte dei Conti110, la qualificazione

della legge di bilancio come meramente formale, appare, nel recente quadro

costituzionale, tutt’altro che scontata.

Lo stesso diritto positivo, infatti, evidenzia che, né in epoca statutaria, né

in epoca repubblicana la legge di bilancio ha dimostrato un contenuto meramente

formale. Da un lato, infatti, fino al 1978, questo strumento contabile ha dimostrato

una capacità dispositiva notevole e dall’altro, sono stati numerosi i capitoli di

spesa “non sorretti da autonome norme sostanziali”111.

Alla luce di questi dati, la dottrina giuspubblicistica inizia a propendere per

una qualificazione della legge di bilancio in termini sostanziali, seppur

caratterizzata da alcune peculiarità direttamente conseguenti alle previsioni del

terzo comma dell’art. 81.

La giurisprudenza costituzionale dal canto suo, abbandona le definizioni

perentorie evitando di qualificare espressamente la legge in termini meramente

formali e in alcune pronunce è addirittura possibile cogliere l’indirizzo contrario

della Consulta, laddove ammette la possibilità di introdurre modifiche anche

significative, specie dal punto di vista quantitativo, alla legislazione di entrata e di

spesa.

Per una corretta ricostruzione della problematica della natura della legge di

bilancio, tuttavia, non si può prescindere da un esame congiunto del primo e del

terzo comma dell’articolo 81, in relazione al tanto discusso tema

dell’emendabilità di questo strumento normativo-contabile.

Tralasciando, infatti, i dettagli in merito al funzionamento tecnico delle

tecniche di emendamento che saranno esaminati nella sede opportuna dedicata al

procedimento legislativo, si vuole porre ora l’accento sulla configurabilità di un

109 Cfr. C. Cost. n. 7 del 1959, reperibile sul sito http://www.giurcost.org 110 Secondo questa autorità contabile, infatti, “la nuova costituzione ha restituito alla legge di approvazione del bilancio il carattere di legge semplicemente formale”, CORTE DEI CONTI, Relazione sul controllo di legittimità sugli atti del Governo e sulla gestione finanziaria dello Stato nel triennio, 1947-1950, p. 131. 111 S. BUSCEMA, Sugli stanziamenti di spesa non sorretti da norme sostanziali, Giur. Cost. 1961, pp. 663 ss.

75

concreto potere in capo all’Assemblea legislativa di modificare la proposta di

bilancio avanzata dal Governo112.

La Costituzione prevede espressamente l’adozione del procedimento

legislativo, escludendone anche l’approvazione in sede di commissione

deliberante, per “l’approvazione del bilancio”, ma proprio la nozione stessa di

procedimento legislativo implica necessariamente l’attribuzione alle Camere di

ogni funzione propria di questa procedura approvativa, tra cui, l’indispensabile

112 In relazione a questi aspetti problematici ed in particolare a proposito di iniziativa legislativa, lo Statuto albertino non poneva una disciplina particolare riservata alla materia finanziaria e di bilancio, si limitava all’articolo 10 a prevedere, quasi per inciso, l’emanazione di una “legge di approvazione” dei bilanci e a sancire a proposito la priorità della Camera dei Deputati. Lo Statuto non riservava neppure espressamente l’iniziativa legislativa all’esecutivo, ma, nonostante queste parziali lacune di disciplina non venne mai posto in dubbio che la presentazione dei bilanci e dei relativi disegni di legge di approvazione spettassero al Governo, Cfr. F. RACIOPPI e I. BRUNELLI, Commento cit, I, p. 497. La riserva governativa era del resto contenuta nella legislazione di contabilità che evidenziava anche il principio dell’annualità di questo strumento contabile. Nonostante questa apparente chiarezza ed unanimità di vedute, anche la legislazione statutaria favoriva dubbi interpretativi per quanto riguarda la difficile configurazione del rapporto Esecutivo-Legislativo al momento dell’esame del bilancio e circa l’ammissibilità di un eventuale potere di emendamento nei confronti della Camera rappresentativa. Veniva così elaborato il principio di correttezza, secondo cui, sul modello inglese, le Camere non avrebbero dovuto accrescere, in sede di esame della proposta governativa, accrescere le spese in questa predeterminate da parte dell’organo esecutivo. Nonostante l’indubbia meritevolezza di questo tentativo razionalizzatore, il dato normativo non confortava un simile assunto: da un lato, le norme costituzionali e i regolamenti parlamentari non giustificavano in alcun modo un simile divieto, dall’altro, la pratica parlamentare rileva come la Camera dei deputati abbia fatto, del potere di modificare in aumento gli stanziamenti dei bilanci un uso frequente: smentendo il principio di correttezza in linea di fatto. E’ interessante, inoltre, notare come nemmeno la teoria, diffusa all’epoca della natura meramente amministrativa del bilancio statale contribuì definitivamente alla negazione di un qualsiasi potere di intervento parlamentare di tipo emendativo. Anche la considerazione lapalissiana secondo cui la legge di bilancio, risolvendosi nella semplice approvazione di un atto amministrativo già perfettamente determinato a livello governativo non potrebbe che escludere ogni intervento modificativo da parte di qualsiasi autorità esterna, veniva, infatti, costantemente smentita dalla prassi. La Camera procedeva all’esame dei bilanci nello stesso modo che nei riguardi di qualsiasi altra legge, votando successivamente ogni capitolo e quindi, necessariamente, anche i relativi emendamenti. Al Governo rimaneva, così, la facoltà di manifestare la propria opposizione, analogamente a quanto accadeva per l’esame di ogni altro progetto di legge. Anche la tendenza parlamentare propria del periodo fascista di lasciare completamente inalterata la proposta legislativa non fa che confermare la sostanziale applicabilità della disciplina generale sull’iniziativa legislativa alla materia finanziaria e l’inevitabile influenza che su questa viene esercitata dal concreto assetto dei rapporti tra gli organi costituzionali L’ordinamento e la prassi statutaria sono, quindi caratterizzati da una generalizzata assenza di efficaci restrizioni o limitazioni all’iniziativa parlamentare, anche se questo tema non viene ignorato né dalla dottrina né dalle discussioni parlamentari. Ecco perché il problema dei rapproti tra l’iniziativa parlamentare e quella dell’esecutivo sia stato un problema molto sentito durante i lavori preparatori del testo costituzionale. In merito alla riserva di iniziativa governativa Cfr. S. BUSCEMA, Bilancio dello Stato, Enciclopedia del diritto, V, Milano, 1959, par. 14; P. GIOCOLI NACCI, Limiti e forme della partecipazione del Governo e del Parlamento nella fomrazione ed approvazione del bilancio, Studi Esposito, I Padova, 1972, pp. 465 ss; LIPPOLIS, Le procedure parlamentari di esame dei documenti di bilancio, in MATRINES, SILVESTRI, DE CARO, LIPPOLIS, MORETTI, Diritto parlamentare, Milano, 2005, p. 362. 112 In questo senso V. ONIDA, Le leggi di spesa nella costituzione, Milano, 1969, p. 349.

76

facoltà di apportare modificazioni ai disegni di legge proposti e quindi di un

potere di emendamento in senso proprio.

Da un lato, infatti, non può in alcun modo desumersi dalla previsione

costituzionale di iniziativa governativa riservata, un parallelo divieto nei confronti

delle Camere in merito alla facoltà di emendare il testo di legge presentato,

dall’altro anche il terzo comma secondo cui “con la legge di approvazione del

bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese”, non deve

assolutamente essere interpretato nel senso di una limitazione del potere di

emendamento nelle camere, ma soltanto di un limite contenutistico a carico del

testo approvato nella sua interezza.

Così, se non possono ritenersi ammissibili emendamenti che prevedono

spese estranee alle risultanze della legislazione positiva in materia, non si può

escludere la legittimità di una variazione degli stanziamenti di spesa effettuata in

armonia rispetto alla legislazione vigente.

Tale impostazione è confermata da un’accorta analisi dei regolamenti

parlamentari che, pur disciplinando in maniera dettagliata la procedura di

emendamento, non prevedono alcuna eccezione in proposito di legge di bilancio.

La stessa circostanza per cui l’approvazione di questo strumento annuale

debba avvenire con il consueto procedimento legislativo comporta

necessariamente l’ammissione di un potere di emendamento in capo alle Camere,

ma anche le considerazioni svolte in precedenza circa il dibattito intervenuto in

sede di Commissione Forti e successivamente ad opera della stessa Costituente,

consentono di concludere in questa direzione.

Non è da trascurare il fatto che l’Assemblea riunita per la stesura del testo

costituzionale laddove ha voluto limitare in qualche modo le facoltà spettanti alle

Camere o all’Esecutivo vi ha provveduto in maniera espressa, così in merito

all’obbligo di copertura delle leggi di spesa, o in relazione al divieto di

introduzione di nuovi tributi o nuove spese mediante la legislazione di bilancio113.

Non è dato trovare, invece, alcuna indicazione espressa in merito alla

restrizione del potere di emendamento delle Camere, seppur tutta l’Assemblea

113 Di questo avviso si dimostra V. ONIDA, Le leggi di spesa nella costituzione, Milano, 1969, p. 349 e, più di recente, in merito al rapporto Governo Parlamento e in rapproto all’emendabilità del progetto di bilancio presentato dal Governo, Cfr. L. CAVALLINI CADEDDU – C.E. GALLO- M. GIUSTI - G. LADU – M. V. LUPO’ AVAGLIANO – Contabilità di Stato e degli Enti pubblici, Torino, 2004, p. 19. In termini problematici, G. CAIANELLO, Potenzialità della legge di bilancio, A. BARETTONI ARLERI, Dizionario di contabilità pubblica, Milano, 1989, p. 597 ss.

77

fosse pienamente consapevole della prassi di emendabilità in vigore durante il

periodo statutario.

E’ immediato il nesso tra questa problematica e la natura della legge di

bilancio.

La stessa nozione di “legge formale” implica, infatti, l’approvazione da

parte dell’assemblea legislativa di un testo interamente determinato e definito in

altra sede, escludendo in radice ogni potere in capo alle Camere di esprimere

concretamente ed autonomamente il proprio potere normativo.

Da questa premessa appare evidente l’impossibilità di configurare come

“formale” un provvedimento legislativo in grado di modificare il disegno di legge

presentato dal Governo, tramite una procedura di emendamento.

Questa conclusione non deve, infatti, ritenersi invalidata dall’esistenza di

casi specifici e strettamente determinati di inemendabilità della legge di bilancio.

Premettendo che la diretta applicazione del terzo comma dell’articolo 81

non costituisce un limite all’emendabilità, ma, come già osservato, una

preclusione generale circa il contenuto della legge e, come tale, gravante non

soltanto sul margine di incidenza parlamentare, ma soprattutto sul potere di

iniziativa governativa nella determinazione dell’intero contenuto del disegno di

legge114, occorre osservare che la gran parte delle limitazioni alle facoltà di

modifica da parte delle assemblee rappresentative derivano da specifiche

previsioni scaturenti dalla legislazione di contabilità.

Ma anche queste limitazioni - di cui si fornisce soltanto una elencazione

sommaria rinviando la trattazione completa alla sede opportuna - tra cui quella del

necessario carattere compensativo degli emendamenti presentati, onde evitare che

essi determinino un peggioramento dei saldi fissati dal DPEF115 e quella

dell’inemendabilità degli stanziamenti di bilancio relativi alle spese obbligatorie,

devono ritenersi espressione di specifiche restrizioni, quasi a voler indirettamente

confermare la regola generale dell’emendabilità del bilancio annuale ed

esclusivamente volte a garantire l’ulteriore e diverso principio, già più volte

sottolineato, della necessità di una politica di spesa responsabile e coerente.

114 Cfr. V. ONIDA, Le leggi di spesa, cit, pp. 351 ss. in senso contrario, N. LUPO, Costituzione e bilancio, L’articolo 81 della Costituzione tra interpretazione attuazione e aggiramento, Roma, 2007, p. 62. 115 SERVIZIO DELLA COMMISSIONE della CAMERA dei DEPUTATI, Fascicolo Emendabilità dei documenti di bialncio, XIV legislatura novembre 2003, pp. 10 ss

78

Anche il diverso ordine di limiti necessariamente derivanti

dall’applicazione delle regole parlamentari del procedimento legislativo, non

possono costituire un elemento per concludere nel senso di una generica

impossibilità da parte del parlamento di apportare modifiche al disegno di legge

de quo.

In tali casi si può parlare soltanto di “preclusioni” procedurali all’esame di

determinate capitoli o poste contabili ed indirettamente volti ad assicurare ad

esempio una preliminare votazione dello stato di previsione dell’entrata, in modo

da limitare gli incrementi della spesa e quindi di contenerli entro i margini fissati

dai diversi saldi.

Anche in questo caso emerge, fin da un primo accenno a questa prassi o

analogamente alla previsione in tal senso dei regolamenti parlamentari, come

queste regoli non siano volte ad una generale limitazione del potere deliberativo e

modificativo dell’assemblea, ma siano esclusivamente dirette a contenere la

tendenza all’espansione incontrollata della spesa pubblica.

Proprio in quest’ottica e alla luce dell’analisi svolta sul dibattito innescato

in proposito dai membri dell’Assemblea Costituente, devono essere letti i principi

dettati dalla Costituzione in tema di rapporti tra esecutivo e legislativo.

Occorre, infatti, riferirsi, ancora una volta, alla seduta del 24 ottobre 1946

e agli interventi proposti da Luigi Einaudi ed Ezio Vanoni116.

Come già osservato, infatti, la preoccupazione essenziale dei costituenti

nella predisposizione dei principi regolatori del bilancio statale si concretizza e, in

un certo senso, si limita a predisporre una serie di strumenti in grado di arginare

iniziative di spesa eccessive e non parametrate al vincolo delle risorse.

In questa prospettiva deve essere letto anche il problema dell’emendabilità

della legge di bilancio e proprio in questa stessa ottica devono essere interpretati i

diversi limiti introdotti dalla legislazione di contabilità, dalla prassi parlamentare e

dai regolamenti delle Camere.

Come già visto, questa prospettiva viene adottata all’epoca della redazione

della nostra Carta Fondamentale anche in altri paesi europei, proprio allo scopo di

ovviare ai rischi dell’iniziativa parlamentare di spesa e sulla base di queste

116 Intervento degli onorevoli Einudi e Vanoni, Atti dell’Assemblea Costituente, 24 ottobre 1946, La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea costituente, Roma, 1970, Vol VII, reperibile altresì al sito http://legislature.camera.it .

79

esperienze anche il costituente italiano introduce l’obbligo di copertura come

alternativa rispetto al divieto di iniziativa parlamentare di spesa, in modo che

questa venga responsabilizzata, evitando le gravi conseguenze che un’espansione

incontrollata della spesa pubblica potrebbe produrre sull’equilibrio finanziario

complessivo.

Ma, una volta chiarite queste premesse, occorre considerare, altresì, al fine

di una corretta interpretazione del testo costituzionale, l’ulteriore contesto in cui il

dibattito della costituente si realizza.

E’ già stato in precedenza osservato, come i primi anni del Novecento

siano caratterizzati dalla diffusione delle teorie economiche Keynesiane basate

sulla finanza funzionale e su una nuova nozione di pareggio di bilancio, che deve

realizzarsi, secondo l’economista statunitense, non più su base annua, ma su base

ciclica117. Questi risultati raggiunti dalla teoria macro-economica devono essere,

tuttavia, contestualizzati nel nuovo clima politico-istituzionale diffuso a livello

europeo e, seppure con caratteristiche e modalità differenti anche su scale

mondiale.

117 All’inizio degli Anni Trenta, in corrispondenza della crisi economica del ’29, definita dagli storici una crisi “occupazionale”, in quanto caratterizzata dall’insostenibilità della produzione da parte della domanda aggregata e caratterizzata, quindi da un livello di disoccupazione senza precedenti, si inizia a percepire lo stretto legame intercorrente tra la politica e l’economia. Negli Stati Uniti il presidente Hoover deve cedere di fronte all’interventista Franklin Delano Roosvelt, mentre in Germania crolla l’intero sistema istituzionale che dalla Repubblica di Weimer favorisce l’ascesa di Hitler. Per la prima volta una crisi economica influisce con tanta gravità sulla politica, per cui, anche in assenza di precise cognizioni economiche i Governi ritengono di dover aumetare l’occupazione attraverso una strada ormai obblicgata: l’aumento della spesa pubblica. Il New Deal di Roosvelt, la “politica delle opere pubbliche”nei Paesi Europei, sono dettati dall’intento di arginare la crisi più che da un obiettivo consapevole di risanamento dell’economia. Appare, così, evidente che un aumento della spesa pubblica avrebbe fatto aumentare l’occupazione, fin quando lo Stato avesse continuato a spendere. In questo contesto si inserisce la teoria Keynesiana secondo cui lo Stato, attraverso lo strumento del bilancio pubblico e quindi attraverso una riduzione del sistema impositivo o un aumento della spesa publbica, sarebbe in grado di superare la crisi. Secondo Keynes quando l’occupazione aumenta aumenta il reddito reale complessivo e la psicologia della società è tale per cui quando aumenta il reddito reale complessivo aumenta il consumo complessivo, ma non tanto quanto il reddito. Quindi gli imprenditori sosterrebbero una perdita se destinassero per intero la maggiore occupazione a soddisfare la maggiore domanda per il consumo immediato. Per mantenere un dato volume di occupazione, occorre quindi, che sia realizzato un dato volume di investimento corrente, sufficiente ad assorbire l’eccedenza della produzione totale sull’importo che la collettività decide di consumare quando l’occupazione è a livello dato, J. M. KEYNES, The General Theory of Employment, Interest and Money, New York, 1964, p. 26. Secondo Keynes, dunque, poiché all’ aumento del reddito i consumi tendono ad aumentare in misura meno che proporzionale e quindi, il risparmio tende ad aumentare in proporzione crescente, nel sistema economico tende a prevalere la tendenza verso un eccesso di produzione, a meno che gli investimenti non aumentino nella stessa misura del risparmio.

80

Le prime costituzioni del secondo dopoguerra, portano, infatti, a

compimento l’evoluzione dello Stato di diritto con la proclamazione del c.d.

Welfare State. La consapevolezza secondo cui lo Stato non può restare inerte di

fronte alle innumerevoli istanze provenienti dalla società e volta alla realizzazione

di un’effettiva uguaglianza di tutti i cittadini conduce all’individuazione

nell’ambito del diritto pubblico di una disciplina volta all’approfondimento del

c.d. diritto dell’economia pubblica, avente per oggetto gli interventi diretti dalle

pubbliche amministrazioni in campo economico, al fine di sopperire alle

asimmetrie che il libero incontro della domanda e dell’offerta inevitabilmente

avrebbe generato118.

Vengono così giustificai, non solo una significativa attività statale rivolta

al controllo e all’indirizzo degli operatori privati, ma anche un vasto piano di

nazionalizzazioni di aziende operanti in settori particolarmente delicati dove la

preminenza di un interesse pubblico richiede che la relativa gestione venga

sottratta al libero mercato.

La nostra Carta Costituzionale aderisce pienamente a questa nuova

impostazione, promuovendo un’uguaglianza sostanziale in grado di tutelare le

classe sociali economicamente e socialmente più deboli, istituendo forme

generalizzate di previdenza ed assistenza, ma soprattutto diffondendo una nozione

di finanza pubblica di tipo “sostanziale” in contrapposizione alla approccio

neutrale tipico dello Stato liberale.

Questa decisa inversione di rotta è la necessaria conseguenza del ruolo

attivo in campo economico-finanziario che la Costituzione riconosce in capo alla

Repubblica. I diversi enunciati costituzionali, enucleando un’iniziativa economica

pubblica accanto alla privata, introducendo il principio della funzionalizzazione

della proprietà privata e della necessaria utilità sociale che questa deve ricoprire,

contribuiscono all’introduzione di una nuova nozione di bilancio statale, inteso

non più come mero controllore dell’attività di spesa del Governo, ma anche come

“mezzo” per l’attuazione della azione amministrativa e per la realizzazione dello

stesso programma politico governativo.

Questa nuova funzione dello Stato richiede necessariamente un sistema

altamente strutturato ed organizzato di programmazione economica e di gestione

degli interventi pubblici, per evitare manovre economiche azzardate dal punto di

118 G. DE GIULI, voce Contabilità generale dello Stato, Digesto Italiano, vol. VIII, p. II, Torino, 1865-1898, p. 610.

81

vista dei costi per la collettività e comunque non utili al miglior funzionamento

del mercato.

La programmazione economica diventa un momento essenziale nella

definizione del programma di governo e lo studio delle scelte economiche

collettive ne costituisce un fondamentale presupposto 119.

Partendo da queste premesse, risulta immediatamente percepibile il nuovo

ruolo che il bilancio statale dovrebbe assumere, come atto di indirizzo politico e

119 Il costituente stesso evidenzia, nel momento in cui promuove una strategia economica basata sulla finanza funzionale, il ruolo essenziale che questo atto ricopre nella realizzazione degli obiettivi programmatici e redistributivi del Governo. Tale fondamentale funzione deriva in gran parte dalla svolta impressa dagli stessi principi costituzionali in tema di funzionalizzazione della proprietà privata e della nuova concezione di libertà di iniziativa economica. Il ruolo attivo che la Costituzione riconosce all’autorità centrale, sia nel campo della programmazione economica che in un ottica redistribitiva conduce alla costruzione di un disegno economico globale di cui la spesa pubblica costituisce un fattore essenziale. La gestione di questo fattore diventa un momento fondamentale per fissare gli obiettivi politici economici dello stato e il bilancio preventivo assume così un ruolo indefettibile nella definizione della programmazione finanziaria. La nuova impostazione del costituente costituisce, così, la base per un’ulteriore elaborazione dottrinale circa la configurazione dell’intrinseca natura del bilancio statale e conduce alla proclamazione di questo documento come un atto dalle funzioni strettamente economiche e strategiche, inducendo gran parte degli studiosi della scienza delle finanze a ritenere di poter considerare la contabilità di Stato come parte integrante della loro materia, proprio perché, a loro dire, l’aspetto economico risulta il nodo principale dell’attività legislativa compiuta in sede di elaborazione del bilancio statale, il più autorevole esponente in tal senso è il Finali che definisce l’intera contabilità pubblica come una scienza che ricerca la natura e la necessità dei pubblici servizi da una parte e la potenza contributiva e le forme e l’equa contribuzione delle pubbliche gravezze dall’altra. Questa ardita sintesi potrebbe forse chiamarsi Scienza dell’economia dello Stato”., G. FINALI, Propulsione al corso di contabilità di Stato nella R. Università di Roma, Archivio di Statistica, Roma, 1882 p. 57. Su questo filone si inseriscono, altresì, il Tangorra, il quale mette in evidenza l’aspetto economico, afferma: “La contabilità di Sato, come scienza dell’amministrazione e quella della finanza, mira a dare le norme onde mediante la spesa pubblica ed i sacrifici dei contribuenti sia raggiunto il massimo collettivo”, V. TANGORRA, Trattato di scienza della finanza, Milano, 1915, p. 53, il ROSTAGNO, il quale, pur considerandola come disciplina attinente allo studio della legge e della contabilità generale dello Stato, le assegna il compito di “dettare le norme con le quali deve farsi fruttare il patrimonio aziendale e regolarne le modificazioni e disporre delle entrate secondo i bisogni e le spese, e stabilire le modalità delle esazioni dei pagamenti e preordinare le forme dei rendiconti da presentarsi dagli agenti maneggiatori del pubblico denaro e determinare, finalmente, sia le loro responsabilità sia quelle dei funzionari ordinatori e controllori delle varie operazioni amministrative dello Stato”, F. ROSTAGNO, Contabilità di Stato, terza edizione, Milano, 1972, p.1. Lo Zonchi, che identifica la disciplina come quella che mira “alla conservazione ed alla amministrazione del patrimonio dello Stato, regolandone ogni eventuale modificazione che dispone delle entrate e delle spese, regolando le modalità di riscossione delle une e delle formalità di pagamento delle altre, tendendo ad ottenere il pareggio, servendosi dell’esperienza del passato e delle esperienze dell’avvenire, che stabilisce le forme del rendiconto da presentarsi dai maneggiatori del pubblico denaro, determinando la loro responsabilità e quella dei funzionari amministratori o contrllori delle varie operaizoni amministrative e contabili dello Stato e che prescive infine le forme e le garanzie nei confronti dei cittadini.”, ZONCHI, Manuale di contabilità di Stato, Roma, 1915, p. 8.

82

come mezzo di configurazione unitaria degli obiettivi economici-finanziari del

Paese120.

Soltanto in questa prospettiva è possibile cogliere i termini del dibattito

sorto all’epoca della redazione del testo costituzionale e gli interrogativi circa

l’adesione ad un approccio in termini sostanziali o meramente formali.

I dubbi circa l’interpretazione del comma terzo dell’articolo 81 come

un’esplicita indicazione ad opera dello stesso costituente circa la natura formale

della legge di bilancio trascurano completamente questo contesto ignorando

altresì, la chiara posizione di Luigi Einuadi come fiero sostenitore della

programmazione economica della finanza pubblica.

Simili assunti richiedono necessariamente una legge di bilancio in grado di

incidere in maniera effettiva sugli stanziamenti di spesa e sulle previsioni in

Anche questa ricostruzione, tuttavia, non deve essere portata alle estreme conseguenze: non si possono trascurare le implicazioni storico-economiche della nuova impostazione costituzionale e dell’approccio finanziario c.d. “funzionale”: la partecipazione dello Stato al processo di sviluppo economico conduce necessariamente ad una dilatazione della presenza pubblica nell’economica nazionale e ad un moltiplicarsi delle richieste di intervento finanziario da parte della collettività. Da un lato, quindi, le tecniche e gli strumenti per realizzare tale manovra incidono in maniera sempre più incisiva sul governo dell’economia, dall’altro, però, un intervento così significativo in termini sia qualitativi che quantitativi produce l’ inevitabile accrescimento del deficit pubblico. Ecco allora che il contenuto tecnico-procedurale proprio della legislazione di bilancio e tipico della concezione tradizionale di questo strumento acquisisce una rinnovata centralità nella dogmatica del bilancio statale e, più in generale, della contabilità pubblica Il momento della garanzia procedurale e del controllo si impone, quindi, nuovamente ed in maniera ancora più sentita, per rispondere all’esigenza di una crescita controllata dell’attività finanziaria dello Stato ed al contemperamento del c.d. deficit spending con l’essenziale contenimento della spesa nei limiti di compatibilità con l’ammontare delle risorse pubbliche, la letteratura giuridica sul tema è sterminata per un primo approccio al problema cnf. N. LUPO, Emendamenti, maxi-emendamenti e questione di fiducia, Resoconto del convegno Le regole del diritto parlamentare nella dialettica tra maggioranza e opposizione, Roma, 17 marzo 2006, reperibile sul sito: http://www.amministrazioneincammino.luiss.it La legislazione di bilancio deve essere analizzata sotto questa fondamentale duplicità di aspetti inscindibilmente correlati fra loro: da un lato l’aspetto economico-finanziario, riferito alle innegabili implicazioni che la manovra economica annuale provoca sull’economica nazionale, dall’atro quello garantistico-procedurale, che deriva sia dall’intrinseca natura della decisione di bilancio e dell’esigenza di tutela a questa connessa, sia dalle premesse sostanziali che ne costituiscono il presupposto. Posto il ruolo determinante che la manovra economica annuale gioca sull’andamento finanziario del Paese, uno stretto controllo da parte degli organi rappresentativi diventa sempre più essenziale ed imprescindibile affinché tale potestà venga esercitata nel rispetto dei principi democratici. Dal punto di vista meramente teorico è, pertanto, impossibile negare la necessità di un duplice approccio conoscitivo alla materia del bilancio statale. Un primo, dedicato all’aspetto sostanziale della manovra e all’analisi delle conseguenze che le scelte, ivi operate, producono sull’economia nazionale, mentre il secondo approccio deve necessariamente focalizzarsi sullo studio dei modelli procedurali previsti dal costituente e dai regolamenti parlamentari che, sostanziandosi in un iter approvativo sostanzialmente “duale”, in tal senso V. A. MANZELLA, Il Parlamento, Bologna, 2003, p. 340, si dimostra in grado a riconoscere uno spazio adeguato a due centri di autonomia normativa: da un lato quella del Parlamento che approva e dall’altro quella governativa che produce il nucleo normativo originario sul quale le Camere successivamente intervengono. 120 A. BARETTONI ARLERI, Contabilità di Stato e degli Enti pubblici, Roma, 1997, pp. 31 ss.

83

materia di entrate pubbliche in modo da garantire una condizione generale di

“governabilità” delle pubbliche finanze121 .

Il ruolo dello Stato nell’economia, in altre parole, porta con sé nuove

istanze di elasticità e flessibilità nel governo della spesa pubblica.

Il bilancio stesso diventa e deve diventare atto di indirizzo politico e al

tempo stesso momento di ponderazione, ordinamento e riordino di tutta la

legislazione di entrata e di spesa.

Queste nuove ed imprescindibili esigenze sono perfettamente note ai

costituenti nel momento in cui gettano le fondamenta del nuovo Stato sociale, così

proseguendo la strada percorsa verso l’edificazione dello Stato sociale i costituenti

non possono che disciplinare la materia del bilancio in modo coerente con

l’indirizzo generale perseguito nella redazione della carta fondamentale, ma è

proprio questa innegabile coerenza che fa emergere la necessità di porre un

vincolo al rischio di un’espansione incontrollata della spesa pubblica proprio in

nome delle nuove esigenze portate dallo Stato sociale.

Ecco allora che si comprende la chiave di lettura dei principi contenuti

nell’articolo 81: obiettivo dei costituenti, come già ripetutamente osservato, era

soltanto fornire una disciplina costituzionale in grado di porre un freno a politiche

di spesa che, celate dietro la giustificazione delle esigenze dello Stato sociale,

avrebbero potuto danneggiare irreparabilmente l’equilibrio finanziario

dell’economia pubblica, ma una simile premessa non implica necessariamente la

riduzione dello strumento legislativo in un semplice adempimento formale.

Al contrario l’adesione a questa impostazione evidenzierebbe

un’incoerenza di fondo tra la disciplina costituzionale del bilancio pubblico e i

diversi principi che denotano il nuovo indirizzo politico-programmatico

improntato al modello della finanza funzionale e dello Stato sociale.

Non può che concludersi, quindi, per la necessità di pervenire ad una

nozione sostanziale che concepisce la legge di bilancio come un vero e proprio

strumento di indirizzo in grado di guidare la finanza pubblica verso gli obiettivi

fissati a livello governativo122, seppur entro i limiti e le condizioni stabilite al

terzo e al quarto comma dello stesso articolo 81.

121 M. V. LUPO’ AVAGLIANO, Temi di contabilità pubblica, la riforma del bilancio dello Stato, Padova, 2004, p. 10. 122 Per una rassegna particolarmente ampia delle svariate posizioni emerse fin dal secolo XIX nel dibattito sulla legge di bilancio, v. DI RENZO LETIZIA, Il bilancio dello Stato, Milano, 1979, pp. 112 ss. Per un’indagine empirica sulla definizione dei limiti più o meno ampi posti alla legge di

84

2.3. b) In merito all’ammissibilità di una procedura di approvazione del bilancio statale tramite delegazione legislativa o decretazione d’urgenza: conseguenze mediate del principio di riserva di assemblea.

La complessa questione circa le definizione del controverso rapporto tra

esecutivo e legislativo nella procedura di formazione della legge di bilancio

comprende la corretta interpretazione del termine “legge” utilizzato dal legislatore

al comma secondo e terzo dell’articolo 81.

Il dibattito dottrinale sul tema si incentra essenzialmente sull’interrogativo

circa il dubbio tra un’interpretazione in termini rigorosi dell’espressione

costituzionale, riferendolo, quindi, alla sola legge formale ordinaria e una

ricostruzione in senso sostanziale aperta ad eventuali interventi governativi seppur

dotati di forza di legge123.

Gli articoli 76 e 77 Cost., d’altra parte non forniscono alcuna indicazione

in proposito, tralasciando di includere nelle predette disposizioni un espresso

divieto di approvazione della legge tramite decreto legislativo, né prevedendo

alcun limite specifico per la decretazione d’urgenza.

Una simile omissione potrebbe indurre l’interprete a concludere per la

sussistenza di una riserva di legge in senso esclusivamente sostanziale e quindi

per l’ammissibilità di un intervento governativo in casi di particolare necessità e

urgenza o sulla base di una legge di delega di provenienza parlamentare.

Devono, tuttavia, essere evidenziate ragioni di ordine di ordine logico-

concettuale che rendono pressoché insostenibile una simile tesi.

La stessa struttura della legislazione di bilancio implica un procedimento

che risulta ontologicamente incompatibile con lo schema della delegazione

legislativa: tendendo conto del particolare contenuto della legislazione di bilancio,

bilancio si veda il Buscema, il quale evidenzia soluzioni differenziate per ogni differente contesto statale, BUSCEMA Il Bilancio, Milano, 1971, 135 (pure accedendo all'alternativa formale-sostanziale, che su tale base assume appunto, peraltro, carattere puramente classificatorio, come esito conseguenziale - per chi ne avverta il bisogno - dell'autonoma e prioritaria indagine normativa) 123 Il problema dell’ammissibilità del decreto legislativo in tema di bilancio è stato affrontato molto marginalmente dalla dottrina, dopo l’entrata in vigore dalla Costituzione, mentre in merito alla configurabilità di una decretazione d’urgenza in tale settore è stato trattato da Esposito il quale, scartata la possibilità di ricorrere al decreto legge per adottare l’intero bilancio o provvedere con l’esercizio provvisorio, ritiene possibile ricorrere a questo strumento non già per approvare, ma per disporre l’attuazione del bilancio non approvato dalle Camere oppure per provvedere ad urgenti necessità fuori bilancio e svincolandosi dal bilancio, C. ESPOSITO, Encicopedia del diritto, Voce “decreto legge” XI, 1962, Milano, p. 812.

85

la cui predisposizione, quale esplicazione del potere di indirizzo politico-

finanziario governativo, compete al potere esecutivo, risulterebbe necessariamente

inconfigurabile un atto legislativo di delega in grado di circoscrivere i contenuti di

tale autonomia attraverso la predisposizione dei principi e criteri direttivi, di cui

all’art. 76 Cost.

Si oppone, inoltre, alla possibilità di delegazione legislativa lo stesso

contenuto letterale dell’art. 81 Cost., che prescrive la necessità della

“presentazione” del bilancio da parte del Governo e dell’”approvazione” da parte

del Parlamento, prescrizione che verrebbe irrimediabilmente posta nel nulla in

caso di delegazione legislativa.

Analogamente deve ritenersi per l’ipotesi di decretazione d’urgenza.

Volendo ammettere la natura meramente formale della legge di bilancio

risulta difficile ignorare la situazione patologica che si verrebbe a creare nel caso

di predisposizione dell’intero documento di bilancio mediante decretazione

d’urgenza. Si produrrebbe infatti, per tale via la pericolosa coincidenza tra

l’organo controllato e il controllore, vanificandosi la duplicità di esame in sede

governativa e parlamentare 124.

E’ stato sostenuto diversamente, in dottrina, nel caso di adesione alla

nozione sostanziale di legge di bilancio. In questa ipotesi, infatti, si ritiene in linea

di principio ammissibile, in caso di necessità ed urgenza e per il solo caso di

impossibilità di funzionamento dell’organo parlamentare, il ricorso alla

decretazione d’urgenza.

Il ricorso all’atto legislativo disciplinato dall’art. 77 Cost deve essere però

limitato alle sole ipotesi in cui il Governo non abbia potuto ottenere la

concessione dell’esercizio provvisorio.

In questo caso, il ricorso al decreto legge potrebbe legittimare quello stato

di necessità ed urgenza di cui all’art. 77 Cost. e una deroga al principio sancito

dall’articolo 81 Cost.125

124 A differenza del problema della configuarabilità teorica del decreto legislativo in materia di bilancio, che risulta scarsamente affrontata in dottrina, il tema della decretazione d’urgenza è stato incidentalmente trattato dall’Esposito il quale, scartata la possibilità di ricorrere al decreto legge per adottare l’intero bilancio o provvedere all’esercizio provvisorio, ritiene possibile ricorrere allo strumento del decreto legge non già per approvare, ma per disporre l’attuazione del bilancio, C. ESPOSITO, Enciclopedia del diritto, voce “decreto legge”, Milano, 1962, p. 812, nota n. 39, in senso contrario, cfr. G. FAZIO-M. FAZIO, Il nuovo bilancio statale nel sistema finanziario italiano, 2001, pp. 100 ss. 125 Basti pensare al caso in cui il Parlamento respinga il bilancio predisposto dal Governo ed il Presidente della Repubblica, nonostante le dimissioni presentate dallo stesso Governo, lo inviti a

86

E’ da riconoscere tuttavia, che un simile approccio rischia di confondere il

piano dell’opportunità con quello della teoria costituzionale.

La ratio dell’art.. 81 Cost. comma II deve essere, infatti, individuata

proprio nella predisposizione di uno strumento specificamente diretto a far fronte

con tempestività alla non puntuale approvazione del bilancio idoneo ad

autorizzare provvisoriamente il Governo alla gestione delle spese.

Una simile soluzione trova, infine, conforto nel divieto di cui all’art. 15 co.

2 lett. b) della Legge n. 400 del 1988 che esclude la possibilità di provvedere

tramite decretazione d’urgenza nelle materie indicate all’articolo 72, quarto

comma della Costituzione126.

In merito al “valore ordinamentale” di questa disposizione e, più in

generale dell’intera legge de qua, è impossibile trascurare il noto intervento di

rinvio del Presidente della Repubblica che, in occasione di promulgazione della

legge di conversione del d.l. n. 4 del 25 gennaio 2002, recante disposizioni urgenti

per fronteggiare il fenomeno dell'encefalopatia spongiforme bovina (il cd. morbo

della "mucca pazza") e recante interventi nel settore zootecnico, agricolo e della

pesca, evidenziava come parametro del vizio di disomogeneità della normativa

predisposta in sede di decretazione d’urgenza l'art. 15 della legge 400/88, che, al

comma 3, recita:

"I decreti devono contenere misure di immediata applicazione e il loro

contenuto deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo".

rimanere in carica sciogliendo contestualmente le Camere, in quanto nel conflitto tra Governo e Parlamento ritenga di dover dar torto a quest’ultimo. Il Governo in tal caso, senza bilancio dovendo rimanere in carica si troverebbe nell’impossibilità di governare poiché, mentre è consentita la riscossione delle entrate indipendentemente dalle previsioni di bilancio, non possono effettuarsi spese se non iscritte. Il ricorso al decreto legge, secondo questa impostazione permetterebbe in tali particolari situazioni di evitare la paralisi amministrativa. Cfr. G. FAZIO-M. FAZIO, Il nuovo bilancio statale nel sistema finanziario italiano, 2001, pp. 102. 126 Al mero scopo di rendere più immediata la comprensione si riporta qui di seguito il testo dell’articolo che interessa in questa sede: 1. I provvedimenti provvisori con forza di legge ordinaria adottati ai sensi dell'art. 77 della Costituzione sono presentati per l'emanazione al Presidente della Repubblica con la denominazione di "decreto-legge" e con l'indicazione, nel preambolo, delle circostanze straordinarie di necessità e di urgenza che ne giustificano l'adozione, nonché dell'avvenuta deliberazione del Consiglio dei Ministri. 2. Il Governo non può, mediante decreto-legge: a) conferire deleghe legislative ai sensi dell'art. 76 della Costituzione; b) provvedere nelle materie indicate nell'art. 72, quarto comma, della Costituzione; c) rinnovare le disposizioni di decreti-legge dei quali sia stata negata la conversione in legge con il voto di una delle due Camere; d) regolare i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti; e) ripristinare l'efficacia di disposizioni dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale per vizi non attinenti al procedimento.

87

Questo intervento è stato unanimamente letto come adesione alla tesi

dottrinale che configura la legge 23 agosto 1988, n. 400 come normativa in

materia costituzionale (con "valore ordinamentale", secondo il messaggio

presidenziale) e dunque insuscettibile di essere elusa dalla legge ordinaria.

Tutti questi fattori inducono la ormai prevalente dottrina127 ad escludere la

possibilità di una decretazione d’urgenza nel particolare settore della finanza

pubblica, anche alla luce dell’esplicita previsione di un strumento ad hoc,

designato dal costituente proprio per sopperire a situazioni straordinarie o

comunque tali da richiedere interventi tempestivi ed in grado di evitare la paralisi

amministrativa dell’economia nazionale128.

Ma, partendo dalle stesse indicazioni fornite dal legislatore dell’88,

occorre altresì considerare gli innegabili nessi che legano l’articolo 81 con la

previsione di cui all’articolo 72, comma II e V Cost, in tema di riserva di

assemblea.

L’espressione “riserva di assemblea”129 allude com’ è noto, all’obbligo

sancito dall’ultimo comma dell’articolo 72 della Costituzione di seguire un

127 L. CAVALLINI, CADEDDU-C.E.GALLO- M. GIUSTI-G. LADU-M.V.LUPO’ AVAGLIANO, Contabilità di Stato e degli Enti pubblici, IV ed.; Torino, 2004, p. 25, S. M. CICCONETTI, Le fonti del diritto italiano, Torino, 2001, pp. 311 ss; Per quest’ultimo nel caso in cui si sia in prossimità della scadenza del trenta aprile per la concessione dell’esercizio provvisorio “è da ritenere legittimo il potere del Presidente del ramo del Parlamento che sta discutendo per ultimo il relativo disegno di legge di indire l’immediata votazione su quest’ultimo”. Cfr. anche Cfr. A. BARETTONI ALRLERI, Lezioni di contabilità di Stato, cit. p. 110; In senso contrario occorre registrare la posizione di F. CARBONE, Le guarentigie dell’esecutivo, Studi sulla costituzione, III, Milano, 1958, pp. 269 ss. spec. p. 275, L. PALADIN, Le fonti del diritto italiano, Bologna, 1996, p. 246, A. CELOTTO, L’abuso del decreto-legge, I. Profili teorici, evoluzione storica e analisi morfologica cit. p. 372. V. DI CIOLO, Questioni in tema di decreto legge, I, Milano, 1970, pp. 158 ss., nel senso dell’ammissibilità dell’autorizzazione all’esercizio provvisorio con decreto legge solo nell’ipotese in cui le Camere si siano rifiutate di approvare l’apposito disegno di legge presentato dal Governo; Confronta, infine V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale, II, 1.Le fonti normative. V ed., Padova, 1984, p. 88. il quale prospetta problematicamente la questione, rilevando che in questo caso la costituzione “esige proprio e specificamente l’intervento del Parlamento, come tale, in rapporto di alterità con il Governo”, ma che si tratta probabilmente di una “regola generale suscettibile di essere derogata quanto concretamente ricorra la necessità di evitare la concreta paralisi dello Stato”. 128 Un cenno merita altresì, la posizione di R. GUASTINI che sostiene un implicito divieto in tal senso proprio per una normazione implicita desumibile dalla totalità dei principi dettati in meteria dalla stessa Costituzione, R. GUASTINI, Teoria e dogmatica delle fonti, Milano, 1998, pp. 565 ss. e altresì F. SORRENTINO, Le fonti del diritto amministrativo, Padova, 2004, p. 164. Per una prospettiva maggiormente cauta interessante è il contributo di RUGGERI, Fonti e norme nell’ordinamento e nell’esperienza costituzionale. I. L’ordinazione in sistema, Torino, 1993, pp. 338 ss. 129 V. CRISAFULLI, Gerarchia e competenza nel sistema costituzionale delle fonti, Rivista trimestrale di diritto pubblico X, 1960, p. 792; L. ELIA, Le commissioni parlamentari italiane nel procedimento legislativo, Archivio giuridico, 1961, pp. 73 ss.; C. MORTATI, Costituzione, Enciclopedia del diritto 1962, p 178. S. TOSI; Lezioni di diritto parlamentare, Firenze 1966, pp. 161 ss.

88

particolare procedimento per l’approvazione dei disegni di legge nelle materie ivi

indicate.

La concreta portata di questo vincolo si comprende soltanto alla luce della

previsione contenuta al terzo comma dello stesso articolo 72, che prevede

l’approvazione dei disegni di legge da parte di “commissioni, anche permanenti,

composte in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari”.

Soltanto la generale ammissibilità di un procedimento incentrato

sull’attività approvativa della commissione deliberante può, infatti, rendere

necessaria la previsione costituzionale specifica volta ad escluderlo in determinate

materie dotate di particolare rilevanza istituzionale.

Lo stesso quarto comma indica, come inciso, al fine di una più completa

qualificazione della dizione alquanto generica “procedura normale”, “la necessità

di esame e approvazione diretta da parte dell’assemblea”.

Più controverso è stato, invece, in dottrina la questione del rapporto

intercorrente fra il primo e il quarto comma dell’articolo in esame ed, in

particolare, la concreta operatività dell’autonomia parlamentare in tema di

procedimento legislativo.

Si è cercato, infatti, di definire la portata dell’inciso “secondo le norme del

suo regolamento” di cui al primo comma dell’articolo 72 in modo tale da

pervenire ad un sistema procedimentale coerente anche alla luce del noto principio

degli interna corporis130.

La riserva stabilita dalla Carta costituzionale a favore della fonte

regolamentare della Camera, infatti, pur risolvendosi indirettamente in

un’incontestabile affermazione di autonomia parlamentare, deve essere circondata

da una serie di costanti procedurali: l’esame preliminare da parte di una

Commissione, l’esame della Camera, con l’approvazione dei singoli articoli e la

votazione finale dell’Assemblea. E’ stato così ritenuto che anche il principio degli

interna corporis debba ritenersi subordinato al rispetto dei vincoli costituzionali

proposti in tema di procedimento legislativo.

130 L’affermazione secondo cui ogni disegno di legge deve essere approvato secondo le norme del suo regolamento deve essere interpretato alla luce dell’affermazione più generale contenuta all’articolo 66 Cost, secondo cui “ Ciascuna Camera adotta il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei suoi componenti”, per cui se da un lato ne viene affermata l’obbligatorietà, dall’altro fissa il settore principale alle disciplina del quale la normazione della Camere deve provvedere e, nel momento in cui si determina l’ambito di competenza per la fonte regolamentare, si crea una vera e propria riserva in favore di questa normativa.

89

La previsione costituzionale in tema di riserva di assemblea dovrebbe,

pertanto, intendersi come un vero e proprio limite alla discrezionalità

dell’autonomia regolamentare delle Camere, nel quadro di competenze rispettive

dell’Assemblea e delle commissioni.

In tal senso si è costantemente espressa anche la Corte costituzionale che

ha provveduto a dare concretezza a questo disposto normativo mediante

l’affermazione di un fermo sindacato di costituzionalità affermando la sua piena

competenza nella valutazione dei vizi inerenti il procedimento formativo delle

leggi131.

Viene così delimitato da un lato, il campo del potere di assegnazione132 e

dall’altro quello di esame, attraverso l’imposizione di un vincolo concreto dotato

di un meccanismo di garanzia che ne consente l’effettivo rispetto.

Ma aldilà del significato teorico e di questo istituto rileva in questa sede

soprattutto l’aspetto inerente la sua concerta portata applicativa e la corretta

definizione del rapporto tra la “riserva di legge di assemblea” e la “riserva di

legge” in senso proprio.

E’ innegabile, infatti, che i due concetti devono essere da un punto di vista

teorico-dommatico nettamente distinti, implicando l’uno la necessità che

determinate materie vengano regolate esclusivamente con legge, l’altro che le

materie indicate dal quarto comma dell’articolo 72 debbano seguire il

procedimento di esame e di approvazione diretta da parte della stessa Assemblea.

Ma dal punto di visto pragmatico risulta concretamente configurabile una

materia coperta da riserva di assemblea e svincolata dal principio di riserva di

legge?

Quale significato avrebbe la drastica esclusione del procedimento

decentrato in commissione consentendo parallelamente la possibilità del Governo

di disciplinare autonomamente le materie riservate mediante decretazione

d’urgenza o delegazione legislativa?

131 In questo senso già le risalenti sentenze del 26 gennaio 1957, n. 3; 17 aprile 1957 n. 57 e 9 marzo 1959 n. 9, reperibili al sito http://www.giurcost.org , dalle quali risulta che la competenza di giudicare sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi attribuita alla Corte costituzionale dall’articolo 134 Cost. comprende quella di controllare l’osservanza delle norme della Costituzione sul procedimento di formazione delle leggi. In particolare nella citata sentenza n. 9 del 1959, La Corte afferma che nel caso di applicazione della procedura c.d. decentrata per un disegno di legge rientrante tra quelli di cui all’ultimo comma dell’articolo 72 Cost. si produce un vizio procedurale risolvendosi in una diretta violazione delle norme costituzionali in materia di procedimento legislativo. 132 G. FERRARA, Il Presidente di Assemblea parlamentare, Milano, 1965, pp. 146-147.

90

Una risposta concreta a questi interrogativi può essere fornita soltanto

dopo un approfondimento circa la reale ratio di questa previsione costituzionale.

L’esigenza di un esame più pacato e approfondito dei progetti di legge

nelle materie di cui al comma IV dell’art. 72 Cost, non può, infatti, ritenersi la

reale ragione dell’introduzione del principio di riserva di assemblea, basti

considerare il semplice assunto secondo cui una simile previsione produrrebbe il

paradossale effetto di escludere la possibilità di esami d’urgenza in materie di

notevole rilevanza istituzionale e comunque tali da richiedere, in concreto, anche

interventi solleciti.

Analogamente non può realisticamente assumersi che una simile

previsione sia diretta a preservare i diritti delle minoranze. Si ritiene ormai,

pressoché unanimamente che la commissione, rispecchiando fedelmente la

proporzione delle forze politiche rappresentate nel “plenum”, costituisca idonea

garanzia a tal fine.

A ben vedere la ratio della norma contenuta nell’art. 72 IV c. deve invece

ravvisarsi nella garanzia di pubblicità delle sedute e di presenza integrale degli

schieramenti politici133.

Questa ricostruzione trova conferma anche in relazione allo specifico tema

che interessa in questa sede: l’art. 72 V c., come noto, prescrive la “procedura

normale” per l’approvazione di “bilanci e consuntivi”, escludendo che si possano

assegnare disegni di legge in materia di bilancio e consuntivo a commissioni in

sede deliberante o in sede redigente.

Con il documento di bilancio si decide la destinazione delle risorse

prelevate coattivamente ai contribuenti e la sua approvazione con legge permette

di rendere effettivo il principio di trasparenza e di pubblicità che costituisce un

carattere essenziale del bilancio pubblico: la riserva di assemblea consente,

quindi, la pubblicità del procedimento di approvazione, oltre a porre in evidenza

l’importanza che il procedimento di approvazione di questo documento riveste per

il costituente ai fini del rapporto tra Governo e Parlamento nella definizione

dell’indirizzo politico generale134.

133 A. A. CERVATI, La delega legislativa, Milano, 1968, pp. 82 ss. 134 BRUNELLI, Corte Costituzionale, referendum abrogativo e sistema elettorale, Giur Cost. 1991, p. 345.

91

Anche queste considerazioni devono, quindi, guidare l’interprete

nell’elaborazione di ogni teoria esegetica in merito agli artt. 76, 77 e 81 della

Costituzione.

Non potrebbe, infatti, ritenersi ammissibile un procedimento di esame da

parte di un organo esecutivo quando la stessa Costituzione prescrive, proprio a

tutela dei principi di pubblicità e trasparenza, la procedura di approvazione diretta

da parte dell’Assemblea.

Un’interpretazione sistematica dell’art. 72 IV c. Cost. con le disposizioni

in esame impedisce, quindi, la configurabilità di una normazione in materia di

bilancio pubblico non assistita dalle garanzie procedurali ivi previste e quindi

adottata in una sede diversa rispetto all’Assemblea legislativa 135.

2.4. L’articolo 81 della Costituzione e i caratteri della legge di bilancio.

Il primo comma dell’articolo 81 della Costituzione, nell’affermare che “le

Camere approvano ogni anno i bilanci e il rendiconto consuntivo presentati dal

Governo”, prevede un obbligo espresso a carico del Governo in merito alla

presentazione del d.d.l. di bilancio, ma contestualmente pone un divieto

costituzionale nei confronti di altri soggetti in ordine alla presentazione di

proposte di legge aventi questi oggetti.

Questa ripartizione di competenze tra i due principali attori istituzionali

trova conferma oltre che nell’indiscusso dato letterale, anche in un argomento di

ordine logico e basato essenzialmente sulla considerazione del carattere

estremamente tecnico del disegno di legge di bilancio e della doverosa riferibilità

di questo all’Esecutivo, unico soggetto responsabile dell’azione amministrativa e

135 MANACORDA, Contabilità pubblica, Torino, 2005, p. 71 ss. Favorevoli appaiono invece CARBONE, Le guarentigie dell’esecutivo, Studi sulla Costituzione, III, Milano, 1958, pp. 275 ss. PALADIN, Le fonti del diritto italiano, Bologna, 1996, pp. 246 ss. A. CELOTTO, “L’abuso” del decreto legge, I, Profili teorici, evoluzione storica e analisi morfologica, Padova, 1997, pp. 372 ss. e AMATUCCI, L’ordinamento giuridico della finanza pubblica, Napoli, 2004, pp. 146 ss. DI CIOLO Questioni in tema di decreti legge, I, Milano, 1970, 158 ss, ritiene ammissibile l’autorizzazione all’esercizio provvisorio con d.l. solo nell’ipotesi in cui le Camere si siano rifiutate di approvare l’apposito d.d.l. presentato dal Governo. Un’indiretta, ma chiara conferma in tale ricostruzione può essere individuata in A. CERVATI, La delega legislativa, Milano, 1968, p. 82, il quale ritiene che non può essere ammessa la delega legislativa al Governo in tutti quei casi per i quali la stessa Costituzione prevede una riserva di legislazione assembleare. la tesi sostenuta nel testo, poi sarebbe a fortiori valida ove si seguisse l’opinione autorevolmente sostenuta dall’Esposito secondo cui in Costituzione rigida e nel silenzio di essa non sarebbero ammissibili deleghe legislative in materia di riserva di legge, C. ESPOSITO, La validità delle leggi, Padova, 1934 e Milano, 1964, p. 71; in senso contrario V. R. LUCIFREDI; Atti della Camera dei deputati, III legislatura, seduta pomeridiana 9 luglio 1959, p. 9208.

92

dell’indirizzo politico perseguito con lo strumento finanziario-contabile

annuale136.

Parallelamente il primo comma dell’articolo in esame prescrive la

necessità per il Parlamento di provvedere all’approvazione del disegno di legge

presentato.

Tale obbligo si traduce nel dovere di approvazione di un provvedimento

avente contenuto positivo, anche se da questa premessa non deriva

necessariamente il divieto di modifica del testo proposto dal Governo, ma implica

soprattutto la necessità di circoscrivere la formazione del testo legislativo nel

rispetto dell’ineludibile termine annuale evidenziato dallo stesso art. 81 c. I 137.

Il costituente pone, così, l’accento da un lato sul riscontro temporale,

fissando il limite massimo entro cui il Parlamento deve provvedere all’adozione

136 In merito alla riserva di iniziativa governativa Cfr. S. BUSCEMA, Bilancio dello Stato, Enciclopedia del diritto, V, Milano, 1959, par. 14; P. GIOCOLI NACCI, Limiti e forme della partecipazione del Governo e del Parlamento nella fomrazione ed approvazione del bilancio, Studi Esposito, I Padova, 1972, pp. 465 ss; LIPPOLIS, Le procedure parlamentari di esame dei documenti di bilancio, in MATRINES, SILVESTRI, DE CARO, LIPPOLIS, MORETTI, Diritto parlamentare, Milano, 2005, p. 362. 137 In merito al diritto-dovere dell’Esecutivo di provvedere alla presentazione del d.d.l. di bilancio, è sostenuto in dottrina che un Governo dimissionario non risulterebbe abilitato alla predetta presentazione, né tanto meno a sostenerne una discussione in sede parlamentare. Una simile impostazione deriva proprio dall’estrema rilevanza del documento nel quadro dei rapporti governo-parlamento e dalla centralità che ogni discussione in materia di risorse e spese riveste nel rapporto politico-istituzionale che lega i due soggetti, l’importanza dell’approvazione parlamentare e la centralità che questa riveste nel quadro dei rapporti governo-parlamento è spesso evidenziata dalla dottrina richiamando le origini storiche di tale procedura, Cfr, fra gli altri il prezioso contributo di ROTELLI, Forme di governo nelle democrazie nascenti (1689-1799), Bologna, 2005, pp. 29 ss. La prassi, tuttavia, si orienta in senso totalmente difforme ed ammette tendenzialmente una simile ipotesi, seppur in casi piuttosto sporadici e marginali e senza trascurare le giustificate considerazioni di opportunità che dovrebbero invece, indurre l’esecutivo dimissionario a lasciare al successivo, l’onere della presentazione del d.d.l, ovvero la diversa soluzione di una rinnovata fiducia da parte delle Camere limitata e subordinata alla sola presentazione del disegno di legge de quo. Permanendo nell’ambito dei rapporti tra esecutivo e legislativo che necessariamente scaturiscono dall’approvazione della manovra finanziaria annuale, può risultare interessante ricordare, seppur in modo necessariamente sintetico e senza pretesa di completezza il dibattito sorto in merito agli effetti che un’eventuale reiezione del bilancio sul rapporto fiduciario. Da un lato, infatti, appare coerente con la logica sopra-citata circa la strumentalità della politica di bilancio all’intero indirizzo politico governativo concludere per la sussistenza di un implicito obbligo a carico del Governo alle dimissioni, ma in senso contrario si oppongono ragioni di ordine sistematico, per cui c’è chi sostiene in ogni caso l’imprescindibilità e l’ineludibilità del procedimento di cui all’articolo 94 Cost, l’impostazione più rigorosa può ravvisarsi nel S. BUSCEMA, Bilancio dello Stato, cit, par. 8, in una prospettiva più elastica che propende per l’inevitabilità della procedura di cui all’art. 94 Cost, Cfr. COEN, CHIMENTI, Il Parlamento e la spesa pubblica, Democrazia e diritto, I, 1963, pp. 500 ss. Concretamente, tuttavia, il problema non è mai stato posto e nell’ordinamento repubblicano non ha mai registrato ipotesi di così totale ed insanabile disaccordo tra i due soggetti istituzionali, deve, infatti, tenersi rigorosamente distinto da questa ipotesi il caso di reiezione di singoli stati di previsione.

93

dello strumento contabile annuale e determinando, contestualmente, uno dei

caratteri fondamentali del bilancio pubblico, l’annualità; dall’altro, evidenzia la

tematica fortemente dibattuta circa la riferibilità a questo strumento dell’attributo

dell’unità.

Quest’ultimo carattere della legge di bilancio, infatti, è stato a lungo

controverso in dottrina, a causa della dizione letterale contenuta al primo comma

dell’articolo in esame, secondo cui “le Camere approvano ogni anno i bilanci e il

rendiconto consuntivo presentati dal governo”.

La pressoché unanime ricostruzione dottrinale138, infatti, si accinge

all’interpretazione di questo lemma sottolineandone l’improprietà, anche in

ragione di una lettura sistematica del primo comma e dei successivi, ove il

riferimento al bilancio appare sempre al singolare.

In realtà più che di un’improprietà di linguaggio o di una “svista” del

costituente, occorre in questa ipotesi parlare di una vera e propria scelta.

Analizzando i lavori preparatori alla Costituzione, infatti, emerge che la

prima stesura dell’articolo risultasse impostata al singolare, mentre la versione

definitiva del primo comma dell’articolo deve ritenersi attribuibile ad un

successivo intervento mirato a correggere tale “errore”, in sede di coordinamento,

al fine di evitare “l’approvazione di una manovra economica non distinta per

Ministeri”.

Questo riscontro testuale, proprio degli stessi lavori preparatori alla

Costituzione non deve, tuttavia, disorientare eccessivamente l’interprete, anche

perchè la prassi di un’approvazione tramite leggi distinte dello stato di previsione

dell’entrata e degli stati di previsione della spesa relativi ai singoli ministeri

costituisce la regola fino al 1964: soltanto la legge n. 62 del 1964, stabilisce che

anche i diversi stati di previsione della spesa debbano essere ricompresi in un

unico disegno di legge.

Questa circostanza, tuttavia, non consente di escludere la sostanziale

unicità del bilancio di previsione.

138 Cfr, in tal senso, A. BARETTONI ARLERI, Lezioni di contabilità di Stato, Roma, 1986, che ritiene al massimo possibile individuare in questo contesto “un principio generale di specificazione interna della struttura del bilancio”, ma non un dato significativo che consenta negare il carattere unitario del documento contabile annuale. In senso conforme Cfr. G. C. Perone, l’iter legislativo, L’esame dei bilanci, Il regolamento della Camera dei deputati. Storia istituti, procedure, Roma, 1968, p. 509, secondo cui “il requisito costituzionale è integrato non necessariamente da una pluralità, bensì da un’articolazione per stati di previsione dei singoli ministeri di un unico disegno di legge di bilancio”.

94

Il concetto di unità non deve, infatti, essere inteso in senso meramente

formale e quindi con riferimento al metodo di approvazione seguito, ma deve

essere riferito alla natura sostanziale del documento.

Il bilancio statale rappresenta un quadro complessivo ed inscindibile della

situazione economico-patrimoniale dell’intera macchina pubblica e come tale, non

può essere analizzato in modo frazionato e discontinuo.

La dottrina giuscontabile, da un lato, descrive il principio di unità con

riferimento alla necessità costante di comparazione della parte attiva con quella

passiva del documento di previsione, necessità imprescindibile per ogni

operazione di valutazione e monitoraggio dei risultati perseguiti dalla manovra

economica, dall’altro rileva che “la volontà di non contravvenire, ma anzi di

riaffermare, l’unità del bilancio, emerge chiaramente dal secondo e dal terzo

comma dell’articolo 81, ove il riferimento al bilancio appare sempre al

singolare”139.

In ogni caso, la questione risulta in gran parte superata dall’intervento

chiarificatore del legislatore del 1978 che, all’art. 2, comma 4 ter della legge n.

468, che espressamente dichiara che il bilancio annuale di previsione “è oggetto di

un unico disegno di legge” ed è costituito dallo stato previsione dell’entrata dagli

stati di previsione della spesa distinti per ministeri, con le allegate appendici dei

bilanci delle aziende ed amministrazioni autonome, e dal quadro generale

riassuntivo”.

L’unicità del bilancio diventa così, sul piano del diritto positivo, ormai

indiscutibile.

Viene, infatti definitivamente chiarita l’impossibilità di procedere in corso

di esercizio all’approvazione di un nuovo bilancio, risultando possibile soltanto

apporre variazioni (mediante appositi disegni di legge) o operare, rispetto ad esso

un assestamento, attraverso atti che impongono al legislatore di rapportarsi al

bilancio già approvato, senza poterlo interamente sostituire con un altro

provvedimento.

Per quanto attiene, invece, il requisito temporale fissato dal primo comma

dell’articolo 81 Cost., occorre ricordare che il principio di annualità, che può

139 Cfr. A. BARETTONI ARLERI, Lezioni di contabilità cit. , p. 95 e, analogamente V. SICA, Bilancio dello Stato e programmazione economica (profili giuridici), Napoli, 1964, p. 32. La circostanza che il bilancio origini da più leggi, come accadeva prima del 1964, non è in grado di alterare la sostanziale unicità del bilancio è sostenuta da A. BRANCASI, Legge finanziaria e legge di bilancio, Milano, 1985, p. 571 ss.

95

apparire scontato al lettore contemporaneo, acquista un’importanza notevole se

letto alla luce di una più accorta analisi storica, ma soprattutto evidenzia “lo

sfavore del Costituente verso una fiducia troppo prolungata nei confronti del

Governo” e “nella logica del tempo che individuava nella decisione di bilancio

l’occasione più incisiva e periodica del controllo parlamentare”140.

Questa indicazione costituzionale, che deriva anche dalla necessità di

configurare in dodici mesi il ciclo ordinario della gestione economico-finanziaria

dell’Azienda Stato in conformità alla durata degli esercizi delle imprese private,

corrisponde all’esigenza di circoscrivere temporalmente la complessa attività

economica di qualsiasi attività produttiva e gestionale, in modo da valutarla e

parametrarla a intervalli temporali ben delimitati.

Il carattere continuativo del ciclo di vita di un Ente necessita una

procedura di frazionamento dell’intero complesso di operazioni realizzate al fine

di pervenire a quello che in gergo aziendalistico viene denominato il “risultato di

gestione”.

Le esigenze della azienda Stato non si discostano da questo schema,

risolvendosi per molti aspetti in un’attività di erogazione e gestione di beni e

servizi pubblici, anche se le peculiarità del sistema pubblico richiedono

un’attenzione maggiore e soprattutto favoriscono l’insorgere di numerosi

interrogativi141 circa la compatibilità del principio dell’annualità con il carattere

programmatico della finanza pubblica. Questi dubbi, sorti in relazione

all’esigenza di superare l’orizzonte annuale per procedere ad un più efficace

utilizzo delle risorse pubbliche e sulla scorta delle prime esperienze di

programmazione economica in termini programmatici, tuttavia, sono stati in gran

parte superati dall’introduzione, ad opera della legge n. 468 del 1978, del bilancio

pluriennale destinato a coprire un periodo di tempo di circa tre-cinque anni.

Aldilà delle previsioni della legge del ’78, inoltre, il riferimento

costituzionale all’esercizio annuale trova conferma nell’uniforme indirizzo

140 A. BARETTONI ARLERI, Lezioni di contabilità cit. , p. 81. 141 Le esigenze della programmazione economica nazionale, avrebbe suggerito di abbandonare il bilancio annuale per una previsione di massima, di maggiore durata della quale ogni anno realizzare una parte strettamente collegata con le altre almeno per quanto concerne le spese destinate all’investimento. Per una lettura in questo senso del principio dell’annualità Cfr. E. GERELLI, G. POLA, (a cura di)La programmazione poliennale della spesa pubblica. Esperienze europee a confronto, Bologna, 1978 e, in particolare Cfr. l’introduzione di F. REVIGLIO, Necessità di un’impostazione programmatica pluriennale della spesa pubblica, pp. 15 ss.

96

adottato in sede internazionale e comparata, risolvendosi in un dato pressoché

universalmente accettato in tutti i sistemi contabili.

Questo frazionamento temporale in esercizi annuali permette di

considerare un quadro di riferimento da un lato, sufficientemente ampio da

consentire la corretta impostazione della manovra economica e dall’altro, di

“destagionalizzare dati e risultati”142 e di valutare un periodo abbastanza breve per

disporre di un momento di verifica non eccessivamente lontano nel tempo che

rischierebbe di rendere tardivo ogni intervento correttivo.

Il principio dell’annualità del bilancio non comporta necessariamente la

sua coincidenza con l’anno solare143, anche se, riferendosi ancora una volta al

panorama comparato, occorre registrare che una divergenza tra questi due

riferimenti temporali risulta molto rara e sporadica144.

In Italia, tuttavia, soltanto la legge del 1964 fissa la decorrenza

dell’esercizio a partire dal primo di gennaio.

All’unico ed esclusivo scopo di agevolare l’approvazione del bilancio,

infatti, la legislazione di contabilità previgente individuava quale termine di

decorrenza dell’esercizio finanziario il primo luglio di ogni anno.

Di fronte all’evidente difficoltà di comparazione dei dati della contabilità

pubblica rispetto agli indici generali dell’economia nazionale, monitorati con

riferimento all’anno solare, la Legge Curti e la riforma del 1978 prescrivono,

tuttavia, la decorrenza dell’anno finanziario dal primo di gennaio al 31 di

dicembre.

142 D. DA EMPOLI, P. DE IOANNA, G. VEGAS, Il bilancio dello Stato, la finanza pubblica tra Governo e Parlamento, Milano, 2005 p. 9. 143 Per la definizione di anno finanziario come “periodo di tempo che intercorre tra l’inizio e la fine della gestione del bilancio” Cfr. S. BUSCEMA, Contabilità dello Stato e degli Enti pubblici, IV ed.; Milano 2005, p. 35, o come “arco di tempo per il quale si formulano previsioni o si riscontrano i risultati conseguiti”, Cfr. C. MANACORDA, Contabilità pubblica, IV ed. Torino, 2005, p. 32. Se si ammette questa ricostruzione occorre porre attenzione sul diverso ed ulteriore significato di “esercizio finanziario”, che consiste nell’insieme dei fatti finanziari che si verificano durante l’anno finanziario” Cfr. S. BUSCEMA, A. BUSCEMA, Contabilità dello Stato e degli Enti pubblici, cit. p. 35 e conformemente G. FAZIO-M. FAZIO, Il nuovo bilancio dello Stato nel sistema finanziario italiano, Milano, 2001, p, 34, ove si osserva che, nel sistema del bilancio di competenza, è difficile che tali fatti finanziari “avvengano entro gli stessi dodici mesi cui sono giuridicamente e contabilmente imputati”. 144 CAMERA DEI DEPUTATI-OSSERVATORIO SULLA LEGISLAZIONE, Le procedure di bilancio nei principali paesi della UE, Roma, 2005, p. 3, ai sensi del quale nei paesi considerati “fatta eccezione per il Governo inglese, si riscontra una generale coincidenza dell’anno finanziario con quello solare.” Negli Stati Uniti, invece, l’esercizio finanziario va dal primo di ottobre al 30 settembre.

97

Il principio dell’annualità del bilancio è strettamente collegato con la

previsione di cui al secondo comma dell’articolo 81.

Il caso della mancata approvazione della legge di bilancio nei termini

annuali previsti dal primo comma è disciplinato dalla stessa Costituzione,

prevedendo la necessità di una legge che autorizzi l’esercizio provvisorio145 allo

scopo di evitare la paralisi dell’amministrazione statale e consentire comunque la

gestione della spesa pubblica.

Ecco che il problema della concreta definizione dell’equilibrio tra i poteri

dell’Esecutivo e del Legislativo in materia finanziaria emerge ancora una volta,

evidenziando tutta la complessità del rapporto che lega questi due soggetti

istituzionali146.

Come già osservato, infatti, nel caso in cui il Parlamento non riesca a

provvedere all’approvazione della legge di bilancio nei termini prescritti, non è

ammesso il ricorso alla decretazione d’urgenza 147, proprio perché contrastante

con i principi di equilibrio istituzionale che la Costituzione disegna in materia

finanziaria, venendosi a configurare la già osservata coincidenza tra soggetto

autorizzante e soggetto autorizzato, ma soltanto l’adozione dello strumento

specificamente delineato dall’articolo 81, comma secondo, della Costituzione.

Una simile conclusione risulta obbligata anche considerando il dato

letterale dell’articolo 81, II c. secondo cui “l’esercizio provvisorio non può essere

145 Tale istituto è stato definito in dottrina come “l’insieme dei fatti di gestione che il Governo pone in essere per un periodo di tempo limitato dell’anno finanziario, in forza di un provvedimento legittimario che ha carattere di autorizzazione non definitiva, ZACCARIA, Corso di contabilità di Stato e degli Enti pubblici, Roma, 1974, p 278 e dello stesso Autore, Il bilancio e la sua gestione dopo la riforma del 1978, Roma, 1979, p. 32. 146 L’importanza dell’approvazione parlamentare e la centralità che questa riveste nel quadro dei rapporti governo-parlamento è spesso evidenziata dalla dottrina richiamando le origini storiche di tale procedura, Cfr, fra gli altri il prezioso contributo di ROTELLI, Forme di governo nelle democrazie nascenti (1689-1799), Bologna, 2005, pp. 29 ss. 147 Cfr. A. BARETTONI ALRLERI, Lezioni di contabilità di Stato, cit. p. 110; G. LADU, I principi costituzionali e la finanza pubblica in L. CAVALLINI, CADEDDU-C.E.GALLO- M. GIUSTI-G. LADU-M.V.LUPO’ AVAGLIANO, Contabilità di Stato e degli Enti pubblici, IV ed.; Torino, 2004, p. 25, S. M. CICCONETTI, Le fonti del diritto italiano, Torino, 2001, pp. 311 ss; Per quest’ultimo nel caso in cui si sia in prossimità della scadenza del trenta aprile per la concessione dell’esercizio provvisorio “è da ritenere legittimo il potere del Presidente del ramo del Parlamento che sta discutendo per ultimo il relativo disegno di legge di indire l’immediata votazione su quest’ultimo”. In senso contrario occorre registrare la posizione di F. CARBONE, Le guarentigie dell’esecutivo, Studi sulla costituzione, III, Milano, 1958, pp. 269 ss. spec. p. 275, L. PALADIN, Le fonti del diritto italiano, Bologna, 1996, p. 246, A. CELOTTO, L’abuso del decreto-legge, I. Profili teorici, evoluzione storica e analisi morfologica cit. p. 372. V. DI CIOLO, Questioni in tema di decreto legge, I, Milano, 1970, pp. 158 ss., nel senso dell’ammissibilità dell’autorizzazione all’esercizio provvisorio con decreto legge solo nell’ipotese in cui le Camere si siano rifiutate di approvare l’apposito disegno di legge presentato dal Governo; V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale, II, 1.Le fonti normative. V ed., Padova, 1984, p. 88.

98

concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro

mesi”, che configura una riserva di legge in senso formale, individuando uno

strumento determinato e specifico, adibito all’unico scopo di autorizzare

provvisoriamente il governo alla gestione dell’amministrazione statale, soprattutto

sul versante delle spese, pur in assenza di una legge di bilancio regolarmente

approvata dalle Camere legislative.

Questa disciplina costituisce, quindi, un indice della fondamentale

importanza che la Costituzione attribuisce alla decisione parlamentare sul

bilancio: in assenza di questa il Governo non è autorizzato a dare inizio

all’esercizio finanziario, né a provvedere all’ordinaria gestione

dell’amministrazione, ma necessita di una vera e propria autorizzazione da parte

dello stesso legislativo tramite un’apposita legge, che sembra avere carattere

obbligatorio, tanto nella sua presentazione, quanto nella sua approvazione148 , con

efficacia temporale limitata in considerazione dell’espresso limite costituzionale

di quattro mesi e del meccanismo di automatica decadenza nel caso di

approvazione della legge di bilancio149.

La disposizione costituzionale in esame si può riassumere, quindi, come la

fusione e la sintesi di due precetti distinti, l’uno volto a fissare una riserva assoluta

di legge in senso formale, in modo che soltanto la legge approvata dal Parlamento

ed espressione del potere di indirizzo e controllo politico, possa autorizzare

l’esercizio provvisorio e l’altro, l’imposizione del vincolo temporale dei quattro

mesi per la gestione provvisoria.

Il progetto costituzionale redatto dalla Seconda Commissione la

Costituente, tuttavia, prevedeva nella versione provvisoria dell’articolo 77,

(l’attuale articolo 81), un ulteriore limite alla possibilità di autorizzazione

all’esercizio provvisorio: questa poteva essere concessa una sola volta e per un

periodo non superiore ai quattro mesi.

148 Cfr., sul punto, S. BARTOLE, Commento all’articolo 81, in Commentario alla costituzione, a cura di G. BRANCA, Bologna-Roma, 1979, pp. 197 ss., che afferma: “che un obbligo di provvedere vi sia è difficilmente contestabile, ma – come come del resto per la finale approvazione del bilancio preventivo – è opportuno stare bene attenti nell’utilizzare sifatta conclusione, evitando di riferire quest’obbligo ad un determinato documento eventualmente in discussione davanti alle Assemblee legislative”. Sulla richiesta di esercizio provvisorio come esempio di iniziativa legislativa riservata al Governo Cfr, P.G. LUCIFREDI, L’iniziativa legislativa parlamentare, Milano, 1968, pp. 237ss e 262 ss. 149 G. VEGAS, I documenti di bilancio, D. DA EMPOLI- P. DE IOANNA-G.VEGAS, Il bilancio dello Stato, La finanza publbica tra Governo e Parlamento, Milano, 2005, p. 11. A. MONORCHIO-L.G- MOTTURA, Compendio di contabilità di Stato, Bari, 2004. p. 125.

99

In ossequio alla proposta dell’on. Bertone, tuttavia, l’Assemblea

Costituente ritenne preferibile sopprimere la limitazione relativa al numero di

autorizzazioni possibili.

Una simile previsione, infatti, secondo Bertone avrebbe indotto il Governo

a chiedere ed il Parlamento ad accordare, l’esercizio provvisorio per l’intero

periodo di quattro mesi previsto come massimo, circostanza evitabile nel caso in

cui, stabilito l’esercizio provvisorio per il periodo di tempo ritenuto

indispensabile, vi fosse la possibilità di una nuova autorizzazione, nel rispetto del

termine massimo150.

Una volta risolti questi circoscritti dubbi, l’ Assemblea approva la nota

formula secondo cui “il bilancio provvisorio non può essere adottato se non per

legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi”, ma

nonostante l’indiscutibile chiarezza espositiva la disciplina costituzionale tralascia

alcuni importanti dettagli.

Incertezze interpretative si sono poste nel periodo immediatamente

successivo all’entrata in vigore del testo costituzionale, in merito ai presupposti di

necessità, tali da giustificare l’adozione del bilancio provvisorio, ma anche in

ordine alle facoltà spettanti al Governo nel periodo durante il quale viene questo

viene concretamente esercitato.

Per rispondere a questi dubbi la prassi si è affidata ad una lettura congiunta

dei commi primo, secondo e terzo comma dell’articolo 81.

Ecco allora che il terzo comma deve essere riferito tanto alla legge di

approvazione del bilancio quanto all’autorizzazione all’esercizio provvisorio,

ponendo a quest’ultima un limite contenutistico che si somma a quello temporale.

A conferma della stretta interdipendenza tra i diversi commi dell’articolo

81 è la ormai unanime interpretazione del primo sulla scorta delle indicazioni

fornite dal secondo, per cui, se l’esercizio provvisorio deve essere concesso solo

con legge, a fortiori il bilancio non può essere approvato con strumento diverso

dall’atto legislativo inteso in senso formale.

Diretta conseguenza di una simile impostazione e della stretta connessione

tra l’autorizzazione all’esercizio provvisorio e il bilancio stesso è l’assoluta

150 La stessa Assemblea costituente respinse anche la proposta della decorrenza dell’anno finanziario al primo gennaio di ogni anno e di fissare l’esercizio provvisorio al primo quadrimestre in base al bilancio dell’anno precedente, preferendo invece, uniformarsi alla prassi che prevedeva il riferimento al progetto di bilancio in corso di esame in Parlamento.

100

impossibilità di una gestione provvisoria laddove un documento di bilancio non

sia stato quanto meno presentato e discusso dalle Assemblee legislative.

Per il corretto esercizio del potere autorizzativo, occorre, quindi, che

almeno le competenti commissioni dei due rami del Parlamento abbiano iniziato

un esame del documento nelle sue linee essenziali.

Come già osservato, infatti, questo strumento permette di consentire il

proseguimento e la conclusione di un iter legislativo non concluso per circostanze

esterne e sopravvenute e comunque indipendenti dal contenuto essenziale

dell’atto, per cui risulterebbe “costituzionalmente scorretta l’autorizzazione data a

scatola chiusa per gestire, sia pure temporaneamente un bilancio il cui disegno

economico e la cui dimensione fossero del tutto sconosciuti alle Camere”151.

Ma questa innegabile connessione tra autorizzazione all’esercizio

provvisorio e bilancio ha guidato gli interpreti anche nel momento della

determinazione delle concrete modalità da seguire per gestire operativamente

l’amministrazione provvisoria.

Per quanto concerne i modi e i tempi di utilizzo delle dotazioni di bilancio,

la mancata disciplina pone il problema di stabilire la misura dell’utilizzo dei

singoli stanziamenti di spesa durante il periodo di decorrenza dell’esercizio

provvisorio.

Proprio la circostanza per cui anche il bilancio provvisorio debba rispettare

i limiti di cui al comma terzo dello stesso articolo 81, ha indotto la prassi a

mantenere costante il riferimento alla legge in corso di approvazione al

Parlamento. Si decide, così, di limitare in linea generale, gli impegni di spesa a

tanti dodicesimi dello stanziamento di bilancio per quanti sono i mesi

dell’esercizio provvisorio152.

Il concetto di proporzionalità della quota utilizzabile in relazione al

periodo di gestione provvisoria discende, inoltre, dallo stesso dettato

costituzionale che, limitando a quattro mesi la durata massima dell’esercizio

provvisorio, sembra voler suggerire il riferimento al mese come unità di tempo e

quindi all’utilizzo dello stanziamento di bilancio sulla base di tanti dodicesimi

151 M.L. SEGUITI, Legge finanziaria ed esercizio provvisorio del bilancio, Il Consiglio di Stato, 1980 pp. 329 ss. 152 Questa prassi trae origine dalle disposizioni contenute nelle stesse leggi di autorizzazione all’esercizio provvisorio, le quali consentivano, per esempio, che per i prelevamenti dai fondi di riserva si potesse eccedere la quota proporzionale al periodo di tempo stabilito per l’esercizio provvisorio, e che il pagamento delle spese indilazionabili potessero superare le rispettive quote proporzionali.

101

quanti sono i mesi per i quali interviene l’autorizzazione all’esercizio

provvisorio153.

In realtà ogni discorso sul problema della gestione provvisoria del bilancio

e sull’analisi delle disposizioni costituzionali in materia non può prescindere da

un’indagine circa le ragioni che hanno spinto i costituenti alla redazione della

norma e sul significato che una simile previsione deve rivestire tuttora nel mutato

quadro socio-istituzionale della Repubblica.

I costituenti, infatti, più che mossi dall’obiettivo di predisporre una norma

in grado di assicurare un’adeguata politica di spesa, si dimostrano consapevoli

della difficoltà per il Parlamento di provvedere, nel termine annuale prescritto,

all’approvazione della manovra economica proposta dal Governo.

Una simile considerazione diviene ancora più allarmante se letta in

relazione al ruolo fondamentale che il Parlamento assume nella fase

dell’approvazione delle determinazioni assunte dall’Esecutivo: l’inefficienza

dell’azione parlamentare in questa sede si riflette in una preoccupante carenza

nella procedura di controllo sul bilancio pubblico.

L’Assemblea costituente si dimostra perfettamente attenta al momento

della disciplina dell’eventualità di un ritardo parlamentare, dimostrando di temere

ogni fattore in grado di denotare un affievolimento della capacità di incidenza del

controllo assembleare sul documento contabile annuale154.

D’altra parte la prassi antecedente all’entrata in vigore del testo

costituzionale non risultava confortante: l’esercizio provvisorio del bilancio

risultava così frequente da indurre i costituenti ad evitare un atteggiamento di

chiusura e procedere alla relativa disciplina.

Durante lo Statuto Albertino, infatti, la discussione in materia di bilancio,

coinvolgendo aspetti tecnici molto complessi, monopolizzava spesso gran parte

delle sedute parlamentari, impedendo di pervenire ad una decisione nel rispetto

153 Un riferimento, infine, all’accennata proporzionalità può desumersi, inoltre, dalla normativa in materia di contabilità pubblica. Il r.d. n. 2440 del 1923, all’articolo, 51, comma II obbliga i direttori capi delle ragionerie centrali dei singoli Ministeri di vigilare affinché per tutte le spese che riguardino necessità continuative o periodiche o che, comunque, siano o possano essere effettuate ripartitamente, a mese o ad intervalli di tempo, le erogazioni seguano per importi non superiori alla quota di fondo iscritto in bilnacio corrispondente al periodo di tempo cui la spesa si riferisce. 154 M.L. SEGUITI, Legge finanziaria ed esercizio provvisorio del bilancio, Il Consiglio di Stato, 1980 pp. 329 ss.

102

dei termini previsti155. La corretta gestione dei tempi di discussione diventava

impossibile soprattutto a causa dell’estrema complessità della struttura del

bilancio che richiedeva tempi lunghissimi soltanto per una comprensione molto

approssimativa e determinava inesorabilmente il superamento dei limiti di tempo

previsti per l’approvazione.

Al contrario, durante la parentesi del regime totalitario, le ragioni della

puntualità di approvazione non devono essere individuate in una maggiore

efficienza dei lavori parlamentari, ma al contrario nella pressochè totale assenza di

controlli esterni all’apparato esecutivo.

Ecco che anche questi semplici dati consentono di cogliere il nesso

fondamentale l’approvazione del bilancio nei termini e l’effettività del controllo

parlamentare.

E’ stato, infatti, osservato che la non puntuale approvazione nei termini del

bilancio annuale costituisce l’indice dell’inadeguatezza del controllo parlamentare

sul progetto avanzato dall’esecutivo156.

Alla radice del problema dell’esercizio provvisorio sta, infatti, la difficoltà

da parte del Parlamento di esprimere in modo completo e tempestivo il proprio

controllo sulle scelte operate dall’Esecutivo157. Tale difficoltà, oltre che derivante

da mere ragioni tecniche e di organizzazione dei lavori può essere il sintomo

dell’adozione da parte del Governo, di una tecnica di redazione del disegno di

legge scorretta, oscura e poco trasparente.

La complessità della manovra economica è infatti, una delle ragioni tali da

rendere inefficace il controllo parlamentare proprio perché diventa difficile

valutare il rapporto tra le entità delle erogazioni proposte dal Governo ed i

benefici economico-sociali che da tali erogazioni possono trarsi, rendendo

impercettibile il concreto riflesso delle scelte contabili effettuate dall’Esecutivo

sull’andamento reale dell’economia nazionale158.

155 Per uno sguardo a questa prassi del sistema statutario Cfr. C.A.JEMOLO-M.S.GIANNINI, Lo Statuto Albertino, Firenze, 1946, nonché la ricostruzione di M. T. SALVEMINI – G. PARISI, L’esercizio provvisorio del bilancio, La spesa pubblica, 1970, pp. 318 ss.

156 M. T. SALVEMINI – G. PARISI, L’esercizio provvisorio del bilancio, La spesa pubblica, 1970, pp. 318 ss. 157 L. CAVALLINI, CADEDDU-C.E.GALLO- M. GIUSTI-G. LADU-M.V.LUPO’ AVAGLIANO, Contabilità di Stato e degli Enti pubblici, IV ed.; Torino, 2004, p. 25. 158 Il punto importante per la discussione in Parlamento è quindi non tanto la quantità delle disposizioni approvate, ma la qualità delle proposte presentate. Posto che il Parlamento non può, come nel passato, seguire nel dettaglio un bilancio dello Stato cisì ampio e complesso, occorre che

103

Per queste ragioni non deve essere sopravvalutata la circostanza per cui

l’ultimo esercizio provvisorio risale al 1988.

A partire da questa data, infatti, la legge n. 362 del 1988 e le conseguenti

modifiche dei regolamenti parlamentari, hanno tipizzato il contenuto della

finanziaria e rivisto la disciplina dei tempi di bilancio, applicandovi il

contingentamento dei tempi di discussione159 e conseguentemente, minimizzando

le possibilità di ritardo nell’approvazione, ma una simile circostanza è davvero

indice di un miglioramento del rapporto Esecutivo Legisltivo e quindi di un più

efficace esercizio del controllo parlamentare?

Per una risposta affermativa a tale quesito è, infatti, necessario non solo un

miglioramento dell’organizzazione dei lavori parlamentari, ma una maggiore

qualità, dal punto di vista della chiarezza, dell’intellegibilità e della

comprensibilità dell’intera manovra, così come predisposta dal Governo.

2.5. I principi di progressività e riserva di legge: postulati

fondamentali nella disciplina delle entrate pubbliche.

Proseguendo l’analisi dei principi costituzionale in materia di bilancio

statale e al fine di comprendere in maniera più completa le implicazioni e la

natura di questo fondamentale strumento di politica finanziaria, occorre porre

l’attenzione sugli artt. 23 e 53 Cost, entrambi inscindibilmente legati alla primaria

enunciazione contenuta nell’art. 2 circa i diritti e doveri inderogabili dell’uomo in

quanto, pur essendo maggiormente legati alla specifica problematica delle entrate

statali, risultano essenziali per comprendere la particolare attenzione che il

Costituente dedica alla materia della finanza pubblica.

Il dovere di solidarietà economica testualmente previsto dall’articolo 2

della Costituzione e inteso, non solo come dovere di svolgere un’attività

lavorativa nei limiti delle proprie possibilità, secondo quanto espresso

dall’articolo 4, ma anche come dovere di concorrere alle spese pubbliche ex art.

53 Cost, deve ritenersi giustificato solo nel caso in cui le prestazioni imposte

le procedure di esame siano tali da consentire, quanto meno, la percezione dell’indirizzo di politica economica che nel bilancio si esprime, affinché su questo il Parlamento possa deliberare. 159 N. LUPO, Costituzione e bilancio, Roma, 2007, p. 30.

104

vengano previste mediante atto legislativo e stabilite in proporzione alla capacità

contributiva di ognuno160.

La categoria dei doveri inderogabili enunciata dal costituente tra i principi

fondamentali del nostro ordinamento democratico è, infatti, stata correntemente

interpretata in senso restrittivo, contrariamente alla tradizionale lettura estensiva

adottata in tema di diritti inderogabili.

Il principio costituzionale di solidarietà è stato comunemente inteso come

un’espressione riassuntiva di quanto indicato in seguito dalla stessa Carta

cosituzionale e i corrispondenti doveri di solidarietà come una “serie chiusa” e

comunque sottintesa all’espressa previsione costituzionale.

E’ questo il caso della solidarietà economica in materia di contributo alla

spesa pubblica. Dovere da ritenersi inderogabile, ma soggetto alle condizioni e ai

limiti direttamente posti dalla Costituzione a tutela del contribuente.

L’articolo 23 stabilisce, così, il divieto di qualsiasi prestazione personale o

patrimoniale aldilà delle garanzie fornite da un testo legislativo in senso proprio.

Non possono quindi essere previste in bilancio entrate nascenti da

prestazioni patrimoniali disposte a favore dello Stato a mezzo di atti giuridici

diversi da quello legislativo161.

Questa norma implicitamente sancisce il principio diz legalità che deve

assistere il documento di bilancio e si lega collega direttamente con l’art. 53 nel

quale si afferma il generale dovere di concorrere alle spese pubbliche in ragione

della capacità contributiva di ognuno.

Storicamente il principio di legalità si ricollega precipuamente ad

un’esigenza di “autotassazione” che si riassume nella necessità, già in precedenza

esaminata, del consenso dei soggetti passivi del tributo, espresso, per mezzo dei

160 Cfr. G. BRANCA, ( a cura di ) Commentario alla Costituzione, Bologna, 1975 e anni successivi, artt. 23 e 53 e P. CALAMANDREI-A. LEVI, Commentario sistematico alla Costituzione italiana, I-II, Firenze, 1950; P. PERLINGIERI, Commento alla Costituzione italiana, Napoli, 1997 e R. BIFULCO-A. CELOTTO, Commentario alla Costituzione, Torino, 2006. 161 L’interpretazione dell’art. 23 Cost. è l’oggetto di una sterminata letteratura. Senza alcuna pretesa di completezza, per approfondimenti si vedano sull’argomento, E. ALLORO, La portata dell’art. 23 della Costituzione e l’incostituzionalità della legge sui tributi turistici, Diritto e pratica Tributaria, 1957 II, p. 86 ss. S. BARTHOLINI, Il principio di legalità dei tributiin tema di imposte, Padova, 1957; A. BARLIERI, Appunti sul fondamento e il contenuto dell’articolo 23 della Costituzione, Studi per A.D. GIANNINI, Milano, 1961, pp. 139 ss; S. FOIS, La riserva di legge. Lineamenti storici e problemi attuali, Milano, 1963, pp. 295 ss; A. FEDELE, Commento all’articolo 23 Cost, Commento alla costituzione, a cura di G.BRANCA, Bologna, Roma, 1978; G. MARONGIU, I fondamenti costituzionali dell’imposizione tributaria, Torino, 1991, pp. 29 ss; P. RUSSO, Manuale di diritto tributario, Milano, 1994, pp. 37 ss; F. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, Vol. I, Torino, 1994, pp. 15 ss.; R. LUPI, Diritto tributario, Parte Generale, Milano, 1994, pp. 41 ss.

105

loro rappresentanti, all’imposizione e riscossione delle entrate tributarie pretese

dal monarca162.

Il principio sancito dall’art. 23 Cost. si pone al termine dell’evoluzione

storica sopra richiamata, assumendo, tuttavia, connatazioni assai più variegate

rispetto a quelle originarie.

Il principio di legalità viene inizialmente concepito come il primo ed

essenziale strumento di limitazione del potere sovrano.

In epoca democratica, invece, la separazione dei poteri è realizzata da altri

strumenti istituiti e disciplinati direttamente dalla Costituzione.

Nel nostro sistema, pertanto, il principio di legalità mira a tutelare la

libertà e la proprietà dei cittadini dal sistema delle c.d. “prestazioni personali e

patrimoniali” imposte, sia soprattutto a soddisfare l’esigenza che tale imposizione

sia demandata al Parlamento, ossia all’organo rappresentativo delle minoranze163.

L’intervento parlamentare garantisce altresì che ogni atto normativo che

impone prestazioni venga sottoposto al controllo di conformità ai principi

costituzionali164.

162 L’affermazione del principio di autotassazione sta alla base del sorgere dei primi Parlamenti, creati allo scopo di assicurare il consenso delle Camere ( nella forma della legge ) all’istituzione dei tributi. Tra i documenti storici più noti in cui si afferma questo principio figura la “Magna Charta” del 1215. Ma già prima del 1091, nel Regno di Castiglia, le Cortes avevano rivendicato nei confronti del re il diritto di esercitare il controllo sull’istituzione dei tributi. Anche nell’Italia meridionale nel XI e XII secolo esistevano parlamenti locali che avevano affermato il diritto di “autotassazione”. Tra gli altri documenti più noti basti qui ricordare la Petition of Rights, la dichiarazione di Filadelfia, la Dichiarazione di diritti dell’Uomo e del Cittadino. Nella dichiarazione da ultimo citata, all’art. 14, si leggeva che tutti i cittadini hanno il diritto di constatare essi stessi, o mediante i loro rappresentanti, la necessità della contribuzione pubblica per consentirla liberamente, di controllarne l’impiego, di determinarne l’ammontare, la ripartizione, la riscossione e la durata. Detta dichiarazione ha esercitato un’influenza notevole sulle costituzioni degli stati pre-unitari, dalla costituzione di Bologna del 1776 fino allo Statuto Albertino, ove all’art. 30 si statuiva: nessun tributo può essere imposto o riscosso se non è stato consentito dalle Camere e sanzionato dal Re. 163 Sulla non trascurabile importanza ed incisività della partecipazione dell’opposizione parlamentare, ossia della minoranza alla formazione delle leggi tributarie in Italia, V. VISCO, Alcune osservazioni sulla formazione delle decisioni legislative in materia di politica fiscale, Riv. Dir. Fin. 1991, I, pp. 261 ss. e spec. p. 175. 164 L’assunto secondo cui la riserva di legge prevista dall’art. 23 Cost. mira a garantire la libertà individuale e la proprietà dei privati è affermato in dottrina da: P. VIRGA, Origine, contenuto e valore delle dichiarazioni costituzionali, Rass. Dir. pubbl; 1948, pp. 271 ss; V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionali, II, L’ordinamento costituzionale italiano, Padova, 1971, p. 54 ss.; G.A. MICHELI, Corso di diritto tributario, Torino, 1976, p. 45 e in Giurisprudenza da Corte Cost, 26 gennaio 1957, n. 4, Giur. Cost, 1957, p. 22; Corte Cost, 18 marzo 1957, n. 47, Giur. Cost. 1957, p. 598; Corte Cost, 8 luglio 1957, n. 122, Giur. Cost, 1957, p. 1101; Corte Cost, 27 dicembre 1973, n. 183, Giur. Cost, 1973, p. 2401 ss. La seconda finalità cui si fa cenno nel testo viene riconsciuta come prevalente da: F. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, Vol. I, cit, p. 16; M. NIGRO, Studi sulla funzione amministrativa della pubblica amministrazione, Milano, 1966, p. 160; A. FANTOZZI, Diritto tributatrio, Torino, 1991, p. 81;

106

In una prospettiva storica occorre, inoltre, ricordare che il principio ora

proclamato dall’articolo 23, non solo assume finalità più ampie di quelle

originarie, ma estende, altresì, il suo ambito di applicazione. E’ sufficiente

ricordare, in proposito che all’espressione “tributo”, adottato dall’articolo 30 dello

Statuto Albertino, la Costituzione sostituisce quella più generale di “prestazione

personale e patrimoniale imposta”165.

Ma aldilà del significato dell’espressione di “prestazione patrimoniale

imposta” la dottrina costituzionale ha concentrato l’attenzione sull’accezione che

il termine “legge” assume nel contesto dell’art. 23 Cost e sulla portata della

riserva ivi contenuta.

Si è chiarito con riferimento al primo aspetto che le prestazioni personali o

patrimoniali possono essere stabilite oltre che in base a leggi in senso formale,

anche tramite leggi costituzionali, atti con forza di legge, leggi regionali e

regolamenti comunitari 166.

Per quanto concerne il contenuto della riserva prevista dalla norma in

commento la Consulta ha evidenziato che, sotto il profilo lessicale, il costituente

non esige che l’istituzione della prestazione patrimoniale imposta avvenga per

legge, cioè che tutti gli elementi della prestazione ritrovino nella legge la loro

165 Preme circoscrivere, in questa sede, il significato e la portata del concetto di “prestazione patrimoniale imposta”, rinviando ad altre trattazioni per un0’analisi ed approfondimento della nozione di “prestazione personale imposta”. In particolare, per un’accurata disamina del concetto di prestazione personale imposta si veda, A. FEDELE, Commento dell’art. 23 Cost, cit, p. 37. La giurisprudenza costituzionale definisce come “imposta” la prestazione stabilita in via obbligatoria da un atto di autorità a carrico di un privato, senza che la sua volontà vi abbia concorso. In tal senso, Corte Cost, 26 gennaio 1957, n. 4, Giur. Cost, 1957, p. 22. I principi accolti in tale pronuncia sono stati poi ribaditi dalla giurisprudenza successiva. Alla stregua di tale criterio definitorio è chiaro che si è in presenza di una prestazione imposta laddove la fonte e la disciplina dell’obbligazione del privato siano costituiti dalla legge o da un provvedimento amministrativo. Nessun dubbio, quindi, può sorgere circa l’applicabilità della riserva di legge sancita dall’art. 23 Cost ai tributi. Ma il concetto di prestazione imposta non coincide con quello di tributo essendo assai più esteso di quest’ultimo trattasi di cerchi concentrici di ineguale dimensione: in particolare, quello che identifica il tributo di dimensioni più limitate risulta inscritto in quello più ampio che rappresenta la prestazione imposta. Quest’ultima, infatti, è integrata anche da prestazioni non tributarie comunque riconducibili alla legge o a provvedimenti amministrativi e quindi, caratterizzate dal requisito della coattività. In tale ottica si qualificano come prestazioni patrimoniali imposte i prestiti forzosi, le sanzioni amministrative pecuniarie, i prelievi comunitari in materia agricola, la rivalsa per spese di spedalità degli indigenti. Per quanto concerne l’inclusione dei prestiti forzosi nel concetto di prestazioni patrimoniali imposte, Cfr: Corte Cost. 30 luglio 1980 n. 141, Giur. Cost. 1980, pp. 1164 ss; riconducono le sanzioni amministrative patrimoniali alle prestazioni imposte: G. MICHELI, Profili critici in tema di potestà di impostazione, Riv. Dir. Fin, 1964, I, pp. 3 ss; 166 Per quanto riguardo l’inclusione nel sistema delle Legge regionali (e provinciali, limitatamente a quelle di Trento e Bolzano) Corte Cost. 12 luglio 1965, n. 64, Giur. Cost. 1965, p. 788 ss.

107

determinazione, bensì che essa trovi esclusivamente la sua“base” in un testo di

legge 167.

Sul piano sistematico è stato, infine, rilevato che il precetto dell’art. 23

Cost. debba essere coordinato con quello sancito dall’art. 5 Cost. che riconosce e

promuove le autonomie locali, per cui soltanto una riserva di legge relativa

potrebbe consentire un ambito di operatività alle autonomie locali168.

Per quanto riguarda il principio, proclamato dall’articolo 53 e strettamente

connesso alle garanzie predisposte a tutela della legalità dell’azione impositiva, è

sufficiente ricordare in questa sede come, a partire dagli anni ’60, la specifica

disamina approntata da tributaristi e costituzionalisti ha permesso di giungere alla

pressochè unanime conclusione dell’essenzialità di questa previsione

costituzionale per l’intero sistema tributario statale 169.

Con la locuzione “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in

ragione della capacità contributiva”, l’articolo 53 coniuga la legittimità

costituzionale dell’imposizione tributaria, condizionata al rispetto dei canoni

sanciti dalla questa Carta fondamentale, con la doverosità della contribuzione che

costituisce il fondamento del principio di “universalità” del tributo.

Questo dovere universale può essere ritenuto costituzionale solo se ed in

quanto l’Ente impositore rispetti i principi di legalità, riserva di legge e

progressività dell’imposta.

Ecco allora che si comprende la posizione della Corte costituzionale che

considera l’articolo 53 come una sorta di proiezione nel campo della scienza delle

finanze dei principi codificati dall’art. 2 della Costituzione a proposito di

adempimento dei “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”

e dall’art. 3 in tema di uguaglianza sostanziale.

L’art. 53 svolge nel nostro ordinamento una duplice funzione: da un lato

richiama il principio di solidarietà, ponendo a carico di tutti i consociati l’obbligo

di concorrere alle spese pubbliche e al progresso sociale in base alla forza

167 Sul punto si vedano le prime pronunce della Corte Costituzionale del 26 gennaio 1957, n. 4 Giur. Cost. 1957 p. 22.; 18 marzo 1957, n. 47, Giur. Cost. 1957, p. 598; 27 giugno 1959, n. 36, Giur cost. 1959, p. 670; 11 luglio 1961, n. 48, Giur. Cost. 1961 p. 1010. 168 G. MARONGIU, I fondamenti costituzionali dell’imposizione tributaria, Torino, 1992, p. 41 169 Tra l’immensa letteratura sul tema ci si limita in questa sede a ricordare gli studi di I. MANZONI, Il principio di capacità contributiva nell’ordinamento costituzionale italiano, Torino, 1965; F. MAFFEZZONI, Il principio della capacità contributiva nel diritto italiano, Torino, 1970; F. MOSCHETTI, IL principio della capacità contributiva, Padova, 1973; F. GAFFURI, L’attitudine alla contribuzione, Milano, 1961; G. MARONGIU, I fondamenti costituzionali dell’imposizione tributaria, Torino 1991; F. MOSCHETTI, (a cura di ), La capacità contributiva, Trattato di dir. Trib., a cura dei A. Amatucci, vol. I, tomo 1; Padova, 1994;

108

economica di ciascuno,. Ma dall’altro ricopre anche una funzione garantista,

laddove pone dei limiti alla potestà tributaria chiamando al concorso solo coloro

che hanno un’effettiva capacità di contribuzione, nella misura e nei limiti della

stessa.

Questa funzione viene accentuata, oltre che dalla valenza intrinseca del

concetto di capacità contributiva, anche dal principio secondo cui il “il sistema

tributario è informato a criteri di progressività”.

Tale concetto sta ad indicare la maggiore incidenza percentuale del

prelievo all’aumento della ricchezza sulla cui base il prelievo è commisurato.

E’, così agevole cogliere il nesso che lega l’articolo 53 al secondo comma

del terzo articolo della Costituzione: laddove si impone ai soggetti più abbienti un

sacrificio maggiore rispetto a quelli meno dotati economicamente il sistema

fiscale viene dotato di un sistema redistributivo della ricchezza tra i cittadini170.

Le garanzie costituzionali predisposte dall’articolo 23 e 53 costituiscono

un postulato fondamentale per tutta la disciplina del bilancio e della contabilità

pubblica. Elemento essenziale della manovra economica annuale è, infatti, la

predeterminazione degli oneri tributari a carico della generalità dei consociati, tale

mezzo di finanziamento costituisce una componente essenziale dell’intero

ammontare delle entrate pubbliche e viene ripartito tra i cittadini proprio a fronte

dei principi costituzionali contenuti di legalità e di progressività delle imposizione

tributaria.

Queste norme devono pertanto essere interpretate come la giustificazione

giuridico-costituzionale del rapporto tra l’Ente impositore e il contribuente.

Com’è stato autorevolmente sostenuto in dottrina, il combinato disposto

degli artt. 23 e 53 Cost. permette di comprendere la reale natura del rapporto che

si instaura tra la generalità dei consociati e la pubblica autorità dotata di potere

impositivo e proprio questi principi costituzionali permettono di cogliere il

connubio tra il diritto tributario e la contabilità pubblica 171.

170 F. MOSCHETTI, Il principio della capacità contributiva , Padova, 1973 pp. 4 ss; I. MANZONI, Il principio della capacità contributiva nell’ordinamento costituzionale italiano, Torino, 1965, pp. 20 ss.; E. GIARDINA, Basi teoriche del principio della capacità contributiva, Milano, 1961, pp. 431 ss. 171 Secondo S. BUSCEMA, Il rapporto che si viene ad istaurare tra la generalità dei contribuenti e l’ente impositore non ha analoga natura al rapporto giuridico di imposta, quantunque utilizzi al rovescio i soggetti di questo. Ecco perchè essenziale risulta il momento giustificativo di questo potere. Non è concepibile, secondo l’autore, dal punto di vista giuridico-costituzionale, in uno Stato di diritto che “l’imposizione tributaria funzioni a senso unico, senza un contemporaneo e conseguenziale rapporto inverso”. Le conquiste politiche repubblicane perderebbero infatti gran

109

parte del loro significato e “si verrebbe addirittura a creare una situazione di arbitrio peggiore di quella esistente nello Stato assoluto, con la sola differenza che nello stato assoluto l’arbitrio era esercitato da una persona sola o in suo nome, mentre oggi verrebbe esercitata da un gruppo di persone irresponsabili”. L’esistenza di questo rapporto si fonda direttamente, secondo il Buscema, sul dettato costituzionale: i contribuenti sono anzitutto garantiti dalla riserva di legge (art. 23 Cost) ma tale potere non può essere esercitato illimitatamente, ma deve essere utilizzato esclusivamente come strumento per l’erogazione delle spese pubbliche. E’ proprio questa strumentalità, secondo l’autore a costituire la “giustificazione teleologica di tutto questo meccanismo modale. Cfr. S. BUSCEMA, Trattato di contabilità pubblica, Milano, 1979, p. 29. In tal senso V. anche A. MAJORANA, Teoria costituzionale delle entrate e delle spese dello Stato, Roma, 1886, p. 9

110

CAPITOLO III

Dal ’48 alla Legge del 23 agosto 1988, n. 362: l’iter di

approvazione parlamentare come garanzia di rispetto dei

principi costituzionali.

SOMMARIO: 3.1.Premessa. 3.2. Il sistema italiano di bilancio, dopo l’introduzione della Carta Fondamentale: la continua applicazione del Regio Decreto “sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato”. 3.3. I nuovi principi costituzionali: tra continuità e innovazione. 3.4. Le riforme degli anni ‘60 e ’70. 3.5. La legge 5 agosto 1978 n. 468, recante la “Riforma di alcune norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio”, finalità e contenuti. 3.6. Aspetti procedurali 3.7. Il primo decennio di applicazione della riforma: esigenze di cambiamento. 3.8. La legge 23 agosto 1988, n. 362 e i nuovi principi per una finanziaria “quantitativa”. 3.9. Il riassetto temporale del procedimento e la parallela revisione dei Regolamenti parlamentari.

3.1. Premessa

L’articolo 81 della Costituzione e, più in generale, il complesso di principi

forniti dalla nostra Carta costituzionale permettono di tracciare un quadro di

regole entro le quali deve necessariamente muoversi l’intera disciplina del

bilancio statale e di tutti i documenti a questo collegati, ma non consente di trarre

conclusioni certe in merito alla concreta e puntuale definizione del rapporto che

deve intercorrere tra i principali attori che si rendono protagonisti della manovra.

Come già osservato, infatti, uno problemi più dibattuti in dottrina risulta

proprio la difficile determinazione della dinamica dei rapporti istituzionali

intercorrenti tra l’Esecutivo e il Legislativo e la corretta interpretazione della

generica dizione costituzionale secondo cui “ Le Camere approvano ogni anno i

bilanci e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo”172.

Le indicazioni costituzionali in merito all’effettiva incidenza partecipativa

dei due organi nella reale determinazione del contenuto dei documenti di bilancio

annuali sono alquanto lacunose, tuttavia, nonostante le indubbie difficoltà

172 P. GAMBALE- D. PEROTTA, I profili problematici delle procedure di bilancio nella recente evoluzione in Italia. Il crescente rafforzamento dell’Esecutivo e la possibile definizione di “controlimiti” parlamentari, Rassegna Parlamentare, 2005, pp. 477 ss.

111

interpretative che una simile scelta del costituente necessariamente comporta,

occorre evidenziare come lo schema delineato dalla nostra Carta Fondamentale

permetta di conferire agli strumenti della contabilità pubblica una duttilità tale da

consentirne un adeguamento costante alla prassi delle dinamiche istituzionali e

politiche del nostro sistema173.

La definizione del reale margine di incidenza che il Parlamento conserva

nell’ambito delle strategie politico-economiche fissate a livello governativo

coinvolge, così, aspetti ulteriori rispetto agli interrogativi già proposti, in merito

alla natura formale o sostanziale della legge di bilancio, in relazione alla

configurabilità o meno di una legislazione realizzata mediante decreto legislativo

o decretazione d’urgenza e alla definizione delle forme e del contenuto del

bilancio provvisorio, conducendo necessariamente ad un’analisi più sostanziale ed

empirica che finisce per costituire un indice essenziale per la stessa definizione

della forma di governo di un organizzazione politica174.

Un simile approfondimento richiama, quindi, da un lato la focalizzazione

dei dettagli procedurali dell’intera “sessione di bilancio” in modo da consentire un

esame in proposito alla c.d. “partecipazione” dell’Assemblea legislativa175, alla

173 In tal senso V. l’autorevole ricostruzione di V.E. ORLANDO Principi di diritto costituzionale, Firenze, 1925, quarta ed., p. 164. e T. MARTINES, Diritto costituzionale, Messina, 1976, p. 305 e 306. D’altra parte un’autorevole dottrina francese, già nel 1978, affermava che l’intera materia finanziaria e gli aspetti procedurali a questa collegati, concernenti i momenti della redazione e dell’approvazione, certamente coinvolgono dinamiche e definizioni costituzionalistiche e profili ricostruttivi che attengono agli sviluppi delle concezioni economiche e finanziarie sul ruolo dello stato nel processo economico, ma dipendono soprattutto da fattori politici, che rappresentano il momento fondamentale nello sviluppo delle procedure giuridiche di formazione e di approvazione del piano annuale delle entrate e delle spese, M. DUVERGER, Finances publiques, Paris, 283 ss. E nello stesso senso, Barettoni Arleri, afferma che è “l’elemento politico” ad esprimere il modo attraverso il quale il Parlamento “ha voluto, o meglio potuto, nei vari momenti storici, esercitare il suo potere di autorizzazione”, A. BARETTONI ARLERI, L’ordinamento ed il controllo della spesa pubblica in Francia, Milano, 1967, pp. 4 ss. Sotto il profilo più strettamente storico-politico, M. DUVERGER, Giano; le due facce dell’Occidente, Milano, 1973, in particolare il capitolo preliminare, La formazione del sistema, pp. 21-53. 174 Cfr. sul punto M. OLIVETTI, Le sessioni di bilancio, Rassegna parlamentare, 1999, p. 29, In merito alla sussistenza di un sistema di vincoli reciproci che costituiscono l’esplicazione dell’assetto dei rapporti tra Esecutivo e Legislativo V. la ricostruzione di G. AMATO, Forme di Stato e forme di Governo, in G. AMATO - A. BARBERA, (a cura di), Manuale di diritto pubblico, V. ed, Bologna, 1997, vol. I, p. 26. Sulle esperienze di codeterminazione dell’indirizzo politico tra Governo e Parlamento V. G. RIVOSECCHI, Forma di governo e “funzione finanziaria” del Parlamento: da Walter Bagheot alle moderne procedure di bilancio, Walter Bagehot e la Costituzione inglese, a cura di G. Gaspare, Atti del seminario di studio, Roma 14 dicembre 1998, Milano, 2001, pp. 144 ss. 175 La c.d. “compartecipazione” del Parlamento alla definizione delle scelte macro-economiche assunte a livello governativo è, com’è noto, molto controversa, tuttavia, si riconosce pressoché unanimemente l’auspicabilità di un simile modello procedurale, V. ad esempio A. MANZELLA, che valorizza le potenzialità del Parlamento, in qunto punto di maggiore interconnessione nell’incrocio tra poteri locali, regionali e sopranazionali, Il Parlamento, Bologna, 2003, p. 117., per la prospettiva contraria, che ritiene il Parlamento ormai protagonista di una terza fase, che lo

112

definizione dell’indirizzo politico-economico espresso in sede governativa, ma

dall’altro non può trascurare un’indagine più sostanziale dell’attività del

Parlamento.

Il c.d. procedimento legislativo costituisce, infatti, un’innegabile garanzia

di partecipazione istituzionalizzata ed ineludibile, ma questa tutela in sede di

discussione dei lavori deve necessariamente essere confermata dal punto di vista

concreto garantendo che l’esame parlamentare, da un lato non favorisca

l’inserimento nel progetto governativo di ulteriori fattori di spesa non previsti e

comunque, non adeguatamente coperti, ma dall’altro assicuri la possibilità di un

intervento reale, possibilità inevitabilmente compromessa nel caso di progetti

governativi oscuri o comunque non trasparenti nel loro contenuto176 e nella

portata degli effetti che sono in grado di produrre sul sistema socio-economico

nazionale. Se è vero, infatti, che le procedure parlamentari forniscono garanzie sia

dal punto di vista temporale che contenutistico, in merito all’indiscutibile

disincentivo all’esplosione del debito pubblico, non bisogna confondere il piano

delle garanzie formali con le esigenze sostanziali e il principio costituzionale

secondo cui il bilancio “è approvato dal Parlamento”.

Non si può, inoltre, trascurare la circostanza per cui anche un inattaccabile

rigorosismo procedurale può rilevarsi inutile o per lo meno insufficiente a

garantire una politica di spesa responsabile.

Lo stesso fattore “emendamento”, spesso demonizzato ed interpretato

come una fonte diretta di aggravamento del deficit deve essere considerato

complessivamente anche alla luce della base e del presupposto su cui esso si

fonda. Spesso, infatti, l’emendamento si inserisce in una proposta del Governo il

quale, d’altro lato, si dimostra spesso fermissimo nel cedere alle pressioni

parlamentari. Il rafforzamento procedurale, d’altra parte produce il fisiologico

effetto di deresponsabilizzare gli attori istituzionali che, costretti al rispetto di una

forma, si sentono implicitamente facoltizzati alla realizzazione di qualsiasi

risultato sostanziale, compatibile con la formalità procedurale richiesta177.

caratterizza essenzialmente quale organo di ratifica di decisioni prese altrove, ma comunque assolutamente concorde nel criticare una tale prassi, V. per tutti, S. CASSESE, Intervento, il Parlamento, 1993-2003, Atti del seminario organizzato in collaborazione con il Centro Studi sul Parlamento della Facoltà di Scienze politiche dell’Università Luiss, 20 ottobre 2003, Roma. 176 RECCHIA, R. DICKMANN (a cura di), Istruttoria parlamentare e qualità della normazione, Padova, 2002. 177 D. DA EMPOLI, P. DA IOANNA, G. VEGAS, Il bilancio dello Stato, La finanza pubblica tra Governo e Parlamento, Milano, 2005, p. 172

113

Il ricorso pressoché totale a garanzie ancorate all’iter procedimentale ,

determina, inoltre, il serio rischio di un intasamento del sistema di approvazione

dei documenti contabili a causa del complesso intreccio di fonti, organi ed

istituzioni adibite al controllo della fase di formazione e perfezionamento della

legge di bilancio e dei documenti a questa necessariamente collegati.

La stessa circostanza per cui, accanto alla legge di bilancio, si è

progressivamente formato un complesso di provvedimenti che ne completano la

portata precettiva e programmatica rende inevitabile il parallelo aumento delle

fonti che devono dimostrarsi pronte a disciplinare ogni singolo segmento della

procedura178. Ma questo moltiplicarsi delle fonti e delle discipline determina,

inevitabilmente, la frammentazione del procedimento e l’aumento dei soggetti

adibiti alla gestione e al controllo di ogni singolo anello della catena.

Ecco che quello che per i sistemi parlamentari costituisce il presupposto

della divisione dei poteri e la base del principio dei c.d. “pesi e contrappesi”

rischia di tradursi in una struttura complicata che favorisce i veti incrociati e, in

ultima analisi, l’immobilismo.

Un ricorso esclusivo e poco mirato alle garanzie procedurali finisce col

favorire risultati diametralmente opposti agli obiettivi prefissati: la stratificazione

delle fonti nella disciplina del procedimento legislativo è una dei principali fattori

dell’espansione dei tempi dell’esame dei documenti di bilancio.

A decorrere dal 30 giugno di ogni anno, passando per il 30 settembre,

termine massimo di presentazione della finanziaria, fino al 31 dicembre, il

Parlamento il Parlamento si occupa della manovra finanziaria per un minimo di

sei mesi, fino a un massimo di dieci mesi, in caso di esercizio provvisorio per la

sua durata massima, monopolizzando gran parte dell’attività parlamentare e

distogliendolo da ogni diversa questione esultante la trattazione di problemi di

programmazione e gestione economica179.

Ma una simile pacatezza procedurale, garantisce davvero al Parlamento un

effettivo margine di intervento, ma soprattutto di comprensione e di accessibilità

rispetto ai contenuti dei progetti avanzati dal Governo?180

178 M. OLIVETTI, Le sessioni di bilancio, Rassegna parlamentare, 1999, p. 11 ss.; G. CARBONI, Il potere di bilancio tra processi decisionali interni e comunitari, Quaderni Costituzionali, 2006, pp. 25 ss. 179R. PEREZ, La riforma del processo di bilancio, Giornale di diritto amministrativo, 1999, p. 921 180 Fra l'altro, con la nuova riforma di cui alla l. 25 giugno 1999 n. 208, anche lo strumento della legge finanziaria contribuisce ad un ulteriore complicazione dell’iter procedurale proprio della

114

In realtà questa complessità nella definizione delle regole di formazione

dei documenti contabili annuali, oltre a sottrarre tempo e risorse alla trattazione di

temi diversi ed ulteriori rispetto all’impronta macro-economica del Paese,

comporta inevitabilmente una modifica in itinere degli obiettivi e degli strumenti

predisposti in via originaria, determinando in definitiva, una minore incisività

della manovra.

Questi inconvenienti potrebbero in gran parte essere superati nel momento

in cui alla cultura del “proibizionismo procedurale” , venga progressivamente

sostituito un approccio sostanziale basato sul concetto di “qualità legislativa”, in

senso lato e che garantisca la produzione di una legislazione di bilancio frutto di

una partecipazione procedimentale diffusa ed effettiva, ma anche accessibile e

trasparente da un punto di vista contenutistico.

E’ proprio il raggiungimento della c.d. “qualità legislativa” l’unica

soluzione concretamente percorribile, in grado di coniugare da un lato, garanzie

procedurali con la celerità dei tempi della decisione e dall’altro la speditezza

dell’esame parlamentare con un’effettiva partecipazione dell’assemblea legislativa

al contenuto della manovra economica annuale.

Come osservato in precedenza, infatti, anche un procedimento legislativo

estremamente frazionato, dettagliato e garantistico dal punto di vista dei tempi

della decisione, della ripartizione dei ruoli e delle funzioni tra i diversi attori

istituzionali, dimostrerebbe tutta la sua inutilità di fronte a progetti di legge

decisamente oscuri, poco comprensibili e comunque non chiaramente intelligibili

in merito alla portata degli effetti che sono in grado di produrre sull’assetto socio-

economico del Paese181.

Per queste ragioni il primo passo da compiere per assicurare una manovra

economica efficace ed incisiva deve essere il perseguimento dell’obiettivo della

“qualità legislativa”, intesa in senso lato e comprendente la predisposizione di un

complesso di regole in grado di condurre ad un’approvazione semplice, ma anche

sessione di bilancio, estendendosi, anche oltre le previsioni dell'originaria l. 5 agosto 1978, n. 468, a quei contenuti disparati che dal 1988 erano stati riversati nel «collegato di sessione» (senza peraltro che l'uno o l'altro sistema muti gran che la sostanza delle cose): v. R. PEREZ, La riforma, cit.; , ID La finanza pubblica, Trattato di diritto amministrativo a cura di S. CASSESE, Diritto amministrativo generale, I, Milano 2000, pp. 533 ss, scritto quest'ultimo in cui si rileva (V. spec. p. 575) come all'antico divieto di nuove o maggiori spese si sia sostituita «una normativa estremamente permissiva». V, altresì, PESOLE, Ma la riforma della Finanziaria è già fallita, Il Sole 24 Ore, 1° agosto 2000. 181 M. T. SALVEMINI – G. PARISI, L’esercizio provvisorio del bilancio, La spesa pubblica, 1970, pp. 318 ss,

115

largamente condivisa del documento di bilancio e che contestualmente assicuri

l’utilizzo di tecniche di redazione tali da rendere il testo facilmente comprensibile

soprattutto nei tratti e nelle conseguenze essenziali della manovra economica

realizzata182.

Si vuole, pertanto, in questa sede proporre un approccio al problema in

termini strettamente qualitativi, sperimentando e verificando la possibilità di

applicazione delle ormai diffuse regole di drafting legislativo a questo particolare

settore.

Il seguito della trattazione concentrerà, pertanto, l’attenzione da un lato

sulla procedura legislativa, nell’intento di ricercare le cd. “buone regole” in grado

di costruire un modello di iter legislativo effettivamente garantistico183 secondo i

principi della trasparenza e della partecipazione, dall’altro sul dato contenutistico,

volgendo lo sguardo alle fonti legislative che delineano la struttura del documento

contabile annuale e ne favoriscono la comprensibilità, per concludere con un

tentativo empirico di enucleazione di una serie di “regole di drafting”, che

dovrebbero essere rispettate dal nostro legislatore al fine di facilitare, non solo lo

sviluppo di un corretto rapporto tra gli organi istituzionali favorendo un’effettiva

partecipazione al procedimento, ma anche la comprensibilità di questo tanto

complesso, quanto essenziale strumento di politica economica da parte della

generalità dei cittadini.

182 A. ALESINA , M. MARÈ E R. PEROTTI, Le procedure di bilancio in Italia. Analisi e proposte, in La costituzione fiscale, a cura di F. GIAVAZZI, A. PENATI E G. TABELLINI, Bologna, 1998.; M. T. SALVEMINI – G. PARISI, L’esercizio provvisorio del bilancio, La spesa pubblica, 1970, pp. 318 ss, spec. p. 323. 183 Per un rapido esame dell’approccio in termini qualitativi del procedimento legislativo Cfr. G. RECCHIA, R. DICKMANN (a cura di), Istruttoria parlamentare e qualità della normazione, Padova, 2002.

116

3.2. Il sistema italiano di bilancio, dopo l’introduzione della Carta

Fondamentale: la continua applicazione del Regio Decreto

“sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello

Stato”.

L’entrata in vigore della Costituzione porta con sé le incertezze e i dubbi

interpretativi in parte già analizzati, introducendo una disposizione in grado di

condizionare fortemente l’intero sistema di contabilità pubblica della nascente

Repubblica, ma parallelamente, non perfettamente intelligibile nella sua concreta

portata applicativa e soprattutto in ogni sua mediata conseguenza.

Da un lato viene proclamata la necessità dell’”approvazione

parlamentare”184 del disegno di legge di provenienza legislativa e dall’altro viene

congiuntamente previsto il divieto di introduzione di nuovi tributi e nuove spese,

184 La nozione di “approvazione” richiama, infatti, ad un potere deliberativo dell’Assemblea parlamentare necessariamente connesso ad una reale potestà normativa, mentre il divieto di introduzione di nuovi tributi e nuove spese confligge necessariamente con una simile premessa. Le ricostruzioni dottrinali volte a chiarire questa apparente contraddizione sono, com’è noto, molteplici. E’ stato, così ritenuto da un lato che, proprio sulla base della stessa indicazione fornita a livello costituzionale il Parlamento, nell’approvare il bilancio, non potrebbe introdurvi modificazioni e gli eventuali emendamenti dovrebbero intendersi come proposte di modificazioni fatte al Governo, all’accoglimento delle quali il Parlamento condiziona l’approvazione ed accolte dal Governo medesimo, V. in tal senso SANTI ROMANO, Saggio di una teoria sulle leggi di approvazione, Milano, 1898. che accenna all’ ”uso parlamentare che vieta ai membri delle Camere.. di iscrivere nel bilancio nuove spese” , Saggio cit. p. 51 e afferma che “gli eventuali emendamenti dovrebbero considerarsi non come modificazioni di un progetto di legge, ma come proposte di emendamenti che il Parlamento fa al Governo e che, se non vengono da questo accettate, hanno per conseguenza il rifiuto dell’approvazione. Le modificazioni in sostanza sono fatte dal Governo; il Parlamento il Parlamento non fa che proporre, mettendo una condizione all’approvazione del bilancio”. Interessante è, invece, ricordare, ancora una volta come le radici di questa scelta terminologica risalgano alla dizione dell’articolo 10 dello Statuto Albertino, secondo cui “La proposizione delle Leggi apparterrà al Re ed a ciascuna delle due Camere. Però ogni legge d’imposizione di tributi, o di approvazione dei bilanci e dei conti dello Stato sarà presentata prima alla Camera dei Deputati”. In proposito non è possibile trascurare l’opinione di Francesco Racioppi, che, nello storico commento allo Statuto Albertino si limita ad affermare che l’articolo 10 dello Statuto intese affermare il principio della riserva all’esecutivo dell’iniziativa in materia, auspicando su un piano meramente idealistico l’attuazione di questo principio, ma riconoscendo contestualmente che “la nostra pratica indubbia è che la Camera esercita anche in materia finanziaria l’iniziativa che l’articolo 10 intende negarle, assieme al diritto d’emendamento di cui all’articolo 55 combinato con l’articolo 10 le consente senza limiti in tutte le materie”, V. F. RACIOPPI-I. BRUNELLI, Commento allo Statuto del Regno, Torino 1909. Occorre, tuttavia, rilevare, se consentito, come una lettura in senso così formale e legata unicamente al dato testuale mostri inevitabilmente, tutta la sua inadeguatezza. E’ doveroso notare come il termine “approvazione”, riferito alla funzione esercitata dai due rami del Parlamento in ordine alle leggi, sia utilizzato dal costituente indistintamente per tutte le legge siano esse formali o sostanziali ed in ogni caso, tralasciando la compiuta ricostruzione delle dottrine e dell’insopito dibattito alimentato sull’argomento, la risoluzione dell’interrogativo circa il concreto margine di intervento del Parlamento nella determinazione del contenuto della manovra economica deve essere oltre ed aldilà del riferimento ad un’espressione linguistica disancorata dal suo contesto di riferimento.

117

mediante la legislazione di bilancio e l’obbligo di copertura di ogni legge

comportante nuove o maggiori spese.

Si pone, così, immediatamente, l’interrogativo di come conciliare le

previsioni costituzionali con l’esigenza di dotare il sistema di uno strumento

efficace di programmazione economica e di gestione delle risorse pubbliche.

I nuovi principi contenuti nel testo costituzionale consentono di tracciare,

agli albori del sistema repubblicano, un quadro di valori ispirati alla centralità del

ruolo dell’autorità pubblica nel momento gestione e della conduzione dell’intero

sistema socio-economico del Paese185.

E’ già stato ricordato come il concetto di “programmazione economica”

assuma, per i costituenti un principio cardine nella nuova definizione e

amministrazione dell’economia pubblica186, ma se l’azione dei poteri pubblici e

privati deve essere ancorata ad un disegno economico globale, atto a fissare gli

obiettivi comuni di sviluppo, la spesa pubblica viene ad assumere un ruolo

centrale nella politica economica e sociale del Paese.

Si pongono, così, i primi problemi interpretativi del testo costituzionale, in

parte nel senso già visto di una più puntuale definizione del rapporto parlamento-

governo nella definizione degli obiettivi macro-economici del Paese e quindi la

qualificazione in termini formale-sostanziale dello strumento di bilancio annuale,

ma dall’altro anche il complesso quesito circa il rapporto intercorrente tra la

legislazione di contabilità e il nuovo testo costituzionale.

Questo problema rappresenta una questione centrale proprio per

determinare in primo luogo la forza attiva e passiva della legislazione vigente in

tema di bilancio pubblico e congiuntamente porre in luce la questione circa la

185 Il nuovo ordinamento costituzionale viene progressivamente delineato in modo coerente con l’impostazione fornita dai costituenti e la finanza pubblica non viene più concepita in senso “neutrale”, mirando ad una limitazione dei propri interventi in campo economico, mirando ad un bilancio sostanzialmente in pareggio, senza alcuna finalità redistributiva della ricchezza, bensì ad una finanza di tipo “funzionale”, volta cioè a determinare le condizioni per una redistribuzione del reddito e di controllo dell’economia nazionale, premessa indispensabile per l’effettivo conseguimento dell’eguaglianza dei cittadini. In questa prospettiva viene riconosciuto un ruolo attivo all’amministrazione centrale in campo economico-finanziario, disponendo che all’iniziativa economica privata si affianchi quella pubblica; e che “venga indirizzata e coordinata” attraverso “i programmi ed i controlli opportuni”. (art. 41, c. III). 186 V. infra cap. II, p. 73 ss. e, più in generale, A. BARETTONI ARLERI, Contabilità dello Stato e degli Enti pubblici, Roma, 1997, pp. 31 ss., per una lettura particolare dell’apparente contrasto tra i principi di finanza pubblica e il dettato dell’articolo 81 Cost.. V. A. MARTINO, Finanza pubblica e costituzione, Il Diritto dell’economia, 1996 pp. 579.

118

possibilità o meno del Parlamento di modificare questo quadro di regole già

consolidato ed in parte riaffermato dallo stesso testo costituzionale.

Leggendo l’articolo 81 del nostro testo costituzionale si trova, infatti, una

diretta conferma dei principi propri del sistema di contabilità pubblica dettati dalla

Legge del 1923 e dal c.d. “sistema De Stefani”.

Così la necessità di configurazione di una bilancio statale di tipo

preventivo e prescrittivo presentato dal Governo, da approvare annualmente da

parte dell’Organo legislativo, la necessità di deliberazione di un conto consuntivo,

al termine dell’esercizio, avente lo scopo di consentire la verifica di conformità

dell’attività svolta al quadro dei vincoli predeterminati con il preventivo, sono

tutti principi mutuati dall’ordinamento previgente.

Anche l’assetto tradizionale dei controlli esterni, preventivi di legittimità

sulla spesa è confermato dall’articolo 100 e 125 della Costituzione che lo

affidano alla Corte dei Conti ( art. 100 ), estendendolo altresì alle istituende

Regioni a statuto ordinario ( art. 125 )187.

Per questo ordine di ragioni l’approccio che i primi commentatori seguono

nell’interpretazione del concreto assetto di regole determinato dal nuovo quadro

istituzionale si rileva molto fedele al sistema fissato dalla normativa previgente,

sulla base dell’inattaccabile premessa teorica secondo cui il testo costituzionale

mai avrebbe potuto abrogare l’intero assetto normativo previgente, potendo, al

più, determinare la sopravvenuta illegittimità costituzionale di partizioni

legislative contrastanti con i nuovi principi supremi dell’ordinamento.

Dal punto di vista strettamente procedurale, pertanto, un’analisi dell’iter di

approvazione della legge di bilancio e dei documenti contabili a questa

strettamente collegati, non può prescindere dalle scarne disposizioni fornite sul

tema dal R.D. n. 2440 del 1923.

Questa essenzialità è degna di nota e costituisce l’indice dell’estrema

pacatezza e tranquillità con cui il legislatore del primo fascismo liberale si accinge

alla disciplina di uno degli aspetti oggi più discussi ed infuocati dell’intera vita

politico-istituzionale.

187 G. FAZIO – M. FAZIO, Il nuovo bilancio statale nel sistema finanziario italiano, Milano, 2000, pp. 99 ss. M. V. LUPO’ AVAGLIANO, Temi di contabilità pubblica, La riforma del bilancio dello Stato, Padova, 2004, pp. 11 ss.

119

Il nodo essenziale su cui ruota la disciplina del R.D. del ’23 è la

determinazione di una serie di preclusioni temporali che definiscono le scansioni

procedimentali dell’approvazione dei documenti contabili annuali.

Rilevano, in proposito, gli artt. 34 e 35 della normativa de qua188, che

individuano nel rendiconto generale e nel bilancio di previsione i documenti

essenziali dell’intero sistema pubblico di bilancio, sostanziandosi il primo nella

formale attestazione delle operazioni amministrativo-contabili effettuate

nell’esercizio scaduto e il secondo nella previsione dell’ammontare delle entrate

accertate e delle spese previste per l’anno finanziario successivo.

Tali disposizioni tracciano, altresì, il quadro dei soggetti istituzionalmente

preposti alla predisposizione e all’esame dei documenti contabili, attribuendo al

ministro competente il compito di presentare al Parlamento il rendiconto generale

dell’esercizio scaduto il 30 giugno precedente, mentre nel mese di gennaio il

bilancio di previsione per l’esercizio venturo.

Per delineare in modo unitario il quadro procedurale che conduceva, agli

albori del testo costituzionale al perfezionamento dei documenti contabili, si vuole

ricordare, in questa sede, come il bilancio generale si componesse di uno stato di

previsione dell’entrata, comune per tutti i ministeri e di tanti stati di previsione

della spesa quanti i singoli ministeri e che questi ultimi costituivano l’oggetto di

altrettanti disegni di legge, mentre quello inerente il Ministero del Tesoro,

comprendeva anche lo stato di previsione dell’entrata e il Riepilogo Generale del

Bilancio189.

188 Per agevolare la lettura si propone, qui di seguito, il testo degli artt. 34 e 35 del RD 18 novembre, 1923, n. 2440: Art. 34 Nel mese di dicembre il Ministro delle finanze presenta al Parlamento il rendiconto generale dell’esercizio scaduto, il 30 giugno precedente. Presenta poi nel mese di gennaio il bilancio di previsione per l’esercizio venturo, costituito dallo stato di previsione dell’entrata e da quelli della spesa distinti per ministeri. Se nei termini indicati il Parlamento non è riunito, il rendiconto ed il bilancio sono distribuiti ai membri di esso. Se la Camera dei deputati è disciolta, i detti documenti sono pubblicati per riassunto nella Gazzetta Ufficiale del Regno e presentati alla nuova Camera tosto che sia costituita. Art. 35 Lo stato di previsione dell’entrata ed i singoli stati di previsione della spesa formano oggetto di astrettanti disegni di legge. Con la legge relativa allo stato di previsione dell’entrata viene approvato il riepilogo generale del bilancio preventivo. 189 Novella apportata alla legislazione di contabilità dal R.D. 10 maggio 1925, n. 596

120

Come già accennato, il riscontro procedurale proprio di questa fase storica

non può e non deve essere paragonato a quanto si indica oggi con il termine

“sessione di bilancio”190, in quanto il complesso delle garanzie tecniche

predisposte nel nostro sistema a tutela della correttezza formale, della

partecipazione parlamentare e della copertura finanziaria della manovra

economica annuale, risulta pressoché assente nelle prime pagine dell’esperienza

repubblicana, proprio perché la tendenza ad una perdurante ed acritica

applicazione del quadro normativo pre-vigente non consente ancora di configurare

il bilancio annuale, come uno strumento di gestione della politica economica.

L’approvazione dei documenti contabili annuali non comprendeva,

pertanto, la predisposizione di una serie di strumenti strettamente connessi e volti

alla programmazione dell’economia nazionale per finalità di pubblico interesse,

per scopi redistributivi o per fini sociali, ma continuava a limitarsi alla

registrazione delle operazioni contabili avvenute nel corso dell’esercizio

precedente e della previsione del fabbisogno finanziario e dell’ammontare

dell’entrate dei diversi settori dell’amministrazione pubblica programmate per

l’anno successivo.

Ecco allora che un’analisi procedurale non può che coinvolgere i diversi

passaggi che conducevano all’elaborazione dei singoli testi del bilancio di

previsione e del rendiconto generale, fino all’approvazione da parte dell’Organo

Legislativo.

Entro il mese di agosto la Ragioneria Generale provvedeva ad inviare alle

Ragionerie Centrali, una bozza di stampa contenente, per ciascuna

amministrazione lo stato di previsione che precede quello da compilare.

190 la pressoché unanime dottrina ricollega il termine alla modifica dei Regolamenti Parlamentari del 1983, quando per assicurare uno spessore unitario alle decisioni in materia di spesa pubblica le Camere introducono l’obbligo di riservare un’apposita sezione di lavoro, all’approvazione e all’esame dei documenti inerenti la manovra economica annuale. V in proposito, M. OLIVETTI, Le sessioni di bilancio, Rassegna parlamentare, 1999 pp. 11 ss. Parte della dottrina in realtà parla di “sessione di bilancio” anche in riferimento alla disciplina contenuta nei regolamenti parlamentari del ’71, V. ad esempio S. RISTUCCIA, Il parlamento nel processo di bilancio dopo la legge n. 468 del 1978 cit. p. 879 ss. e A. MANZELLA, La programmazione dei lavori in parlamento nella VII legislatura, cit. p. 62, il quale osserva che la legge n. 468 del 1978 “ha posto tutte le premesse di una rivoluzione parlamentare” prefigurando “una calendarizzazione dell’attività parlamentare assai precisa”. In questa sede, tuttavia, ci si è voluti riferire alla prima formalizzazione di tale termine ad opera del Regolamento della Camera (art. 119, c. I, come modificato il 29 settembre 1983 ) che fa espresso riferimento ad una “apposita sessione parlamentare di bilancio”.

121

Le Ragionerie Centrali, da parte loro, riassumevano in unico testo le

proposte formulate dalle varie Direzioni Generali, del proprio Dicastero. Lo

schema concordato tra i singoli uffici amministrativi e la Ragioneria Centrale

veniva presentato al Ministro competente per la definitiva approvazione.

Il mese di ottobre segnava il termine entro il quale le proposte dovevano

essere presentate al Ministero del Tesoro, dove, a cura della Ragioneria Generale,

si procedeva ad un secondo esame di merito di tutte le cifre.

Il progetto di bilancio veniva predisposto in via di fatto dal Ragioniere

Generale, il principale collaboratore del ministro del tesoro durante la redazione di

esso191.

Interessante, in proposito, è la portata delle attribuzioni del Ministro del

Tesoro in sede di coordinamento dei testi predisposti, in quanto dotato di un

particolare potere di armonizzazione e di determinazione anche in contrasto con

quanto proposto dai colleghi, in vista del primario obiettivo del pareggio di

bilancio, principio ritenuto ancora essenziale, nonostante la progressiva diffusione

anche in Italia della dottrina economica Keynesiana.

Dopo questi passaggi legati soprattutto alla predisposizione delle singole

previsioni contabili, il bilancio veniva sottoposto all’approvazione del Consiglio

dei Ministri, allo scopo di dare uniformità di indirizzo alla politica finanziaria

dello Stato, di meglio assicurare una visione organica ed integrale del fabbisogno

dello Stato nei diversi campi della sua azione e rendere possibile una distribuzione

dei mezzi in modo rispondente alla realtà e alla gradualità dei bisogni.

Soltanto dopo questo iter preliminare il Ministro competente ex art. 34

R.D. 2440/1923, presentava, entro e non oltre il mese di gennaio, il bilancio alle

Camere unitamente al conto consuntivo dell’esercizio precedente.

Qualora nel mese di gennazio i lavori parlamentari fossero sospesi e le

Camere non riunite i documenti di bilancio venivano distribuiti ai singoli membri

del Parlamento, nel caso, invece di scioglimento delle Camere il bilancio e il

rendiconto venivano pubblicati per riassunto sulla Gazzetta Ufficiale e presentati,

appena possibile, alla nuova Assemblea.

191 U. MONETTI, Corso di contabilita di Stato, Roma, 1937, pp. 166 ss; U. MONETTI, Compendio di amministrazione e contabilita di Stato, breve commento alla Legge sulla amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato, Roma, 1956.

122

In occasione dell’esame del bilancio della spesa del Ministrero del Tesoro

e di quello dell’entrata, lo stesso Ministro provvedeva all’esposizione finanziaria

in Parlamento.

Tale adempimento fissato all’articolo 80 del R.D n. 2440, si sostanziava

nella presentazione in un quadro ordinato degli elementi complessi della gestione

statale, esplicando i punti principali della politica economica e evidenziando le

garanzie a sostegno di un sistema finanziario pubblico.

Il procedimento di approvazione e di pubblicazione seguiva il sistema

generale in vigore per i testi legislativi, mentre a tutela della regolarità

dell’esecuzione e della gestione di quanto in esso stabilito venivano preposte le

Ragionerie Centrali presso i singoli ministeri, le amministrazioni centrali e la

Corte dei Conti.

3.3. I nuovi principi costituzionali: tra continuità e innovazione.

La linea di continuità gettata dal Costituente, tuttavia, contribuisce ad

alimentare un duplice ordine di dubbi incentrati tanto sulla costituzionalizzazione

implicita di altri principi propri della Legge di contabilità, pur non direttamente

desumibili dal dettato costituzionale, quanto sulla possibilità di una continua ed

analoga applicazione di alcune regole proprie dell’ordinamento previgente,

derivanti dal R.D. 2440 del 23 e dal suo regolamento di attuazione, pur in

presenza di principi costituzionali indirettamente contrastanti con queste192.

In merito a quest’ordine di problemi, il quesito deve essere letto come il

risultato della discussione sviluppatasi già all’indomani dell’entrata in vigore del

testo costituzionale, in tema di rapporto tra questa fonte e la legislazione

previgente.

Soprattutto in tema di bilancio e contabilità pubblica, infatti, il problema

diventa particolarmente pregnante.

Mentre la gran parte dei principi costituzionali si dimostrava coerente con

la tradizione giuscontabile consolidatasi attorno al sistema De Stefani, un pugno

di regole e proprie dell’impianto precedente si dimostrano in netto contrasto con i

dettami della Costituzione.

192 V. S. BARTOLE, Commento all’articolo 81, BRANCA ( a cura di )Commentario alla Costituzione, Roma, Bologna, 1979, pp. 203 ss

123

I nuovi postulati della finanza funzionale e dell’intervento pubblico in

economia nell’ottica della programmazione economica, necessitavano, infatti,

uno strumento contabile in grado di gestire la spesa pubblica in modo dinamico e

flessibile, esigenze pressoché incompatibili con la configurazione del bilancio

preventivo assunto in epoca pre-repubblicana.

Il bilancio inserito nella rinnovata dialettica tra Parlamento e Governo

propria della repubblica parlamentare, non poteva più presentarsi come mero

limitatore e controllore dell’azione di spesa del Governo, ma doveva diventare un

imprescindibile mezzo di azione politico-amministrativa.

L’estrema rilevanza di questo latente contrasto tra la disposizione di cui al

terzo comma dell’articolo 81 e i diversi principi della stessa Carta Fondamentale

in materia di finanza funzionale e programmazione dell’economica pubblica

emerge sia a livello di giurisprudenza costituzionale, sia a livello scientifico, con

riferimento alla possibilità di introdurre, tramite interventi di legislazione

ordinaria, un sistema di contabilità più flessibile e coerente con i nuovi obiettivi

redistributivi e sociali proclamati dalla Costituzione.

Questi due diversi approcci al problema, tuttavia, risultano in parte, l’uno

conseguenza dell’altro, data l’impostazione, perlomeno iniziale, che i giudici della

Consulta abbracciano nell’interpretazione del dettato costituzionale.

Tanto i primi commentatori del nuovo testo costituzionale, quanto

l’impostazione del giudice delle leggi si dimostrano, agli albori della repubblica,

convinti della natura fortemente limitativa dei vincoli imposti dall’articolo 81,

rendendosi testimoni e fautori di una lettura rigoristica del precetto costituzionale.

Mai come in questo periodo storico, la lettura in termini meramente

formali della legge di bilancio risulta così fortemente ed autorevolmente

sostenuta193 ed, in tal modo, tanto al Parlamento che al governo viene negato ogni

effettivo potere decisionale in materia di regolazione dei flussi finanziari.

Con riferimento a questa ricostruzione dell’articolo 81, oggi si parla di

“esasperazione dei limiti posti ragionevolmente al bilancio”, e di “accampata

rigidità del documento annuale”194, anche per indicare il frequentissimo utilizzo di

193 «Capostipite» di questa concezione in epoca repubblicana, come noto, Castelli Avolio, L'esame in Parlamento del bilancio dello Stato, 1955, Atti parl. cam. II, n. 1603-A e 1603-bis-A. 194 G. CAIANELLO, Bilancio, legge finanziaria, “coperture” e mitologie costituzionali ( per una sola legge di bilancio e costituzione invariata ), Foro Amminsitrativo, 2000, pp. 3461 ss.

124

questi postulati teorici come pretesto per garantire il vasto margine operativo

assicurato al governo prima delle riforme degli anni Sessanta e Settanta195.

Nonostante le voci dottrinali che sottolineavano le svariate incoerenze del

sistema e la scarsa flessibilità dello strumento di bilancio ai fini di un’adeguata

politica di programmazione economica, la Consulta già nel ‘59 chiariva in modo

lapidario i termini della questione definendo la legge di bilancio “una legge

formale che non può portare nessuna innovamento nell’ordine legislativo, sì che

da essa non possono derivare né impegni, né diritti […] diversi da quelli

preesistenti alla legge stessa”196.

Ecco allora che si comprende il contesto di sviluppo del dibattito

scientifico orientato ad un’organica riforma legislativa, in grado di dotare il

sistema di un utile strumento di programmazione e di indirizzo della politica

economica italiana, ma al tempo stesso compatibile con il quadro dei limiti fissati

a livello costituzionale197.

Prospettata l’idea della riforma cominciavano, tuttavia, a consolidarsi i

dubbi già paventati circa il rapporto tra Costituzione e l’ordinamento previgente,

in particolare con riferimento all’eventuale costituzionalizzazione di alcuni

principi propri della legislazione sabauda e del sistema de Stefani.

195 Sul permanere nei fatti, peraltro, di una notevole discrezionalità governativa nella gestione, a partire da quella di tesoreria, Della Cananea, Indirizzo e controllo della finanza pubblica, Bologna, 1996, p. 200 ss. Per la «cultura dell'emendamento», Monorchio, A. Monorchio e L. Tivelli, Dove va l'Italia, Roma-Milano, 1999, pp. 165ss. Sull'argomento, vedi, anche, De Ioanna, Parlamento e spesa pubblica, Bologna, 1993, nel quadro di una suggestiva, acuta ed esaustiva disamina dei grandi temi di fondo degli assetti democratici, compresi i sistemi elettorali, nonché Della Cananea, Indirizzo e controllo, cit., pp. 226 ss.). 196 Così Corte Cost. n. 7, 1959, ( in Giur. Cost. 1959 p. 225 ss. ). E’ stato d’altra parte, autorevolmente sostenuto che tale affermazione non risultasse del tutto giustificata dalla “necessità del giudizio”, V. S. BARTOLE, Commento all’articolo 81, BRANCA ( a cura di )Commentario alla Costituzione, Roma, Bologna, 1979, pp. 203 ss, il quale peraltro riconosce come questa affermazione “costituisca il presupposto di logico di ulteriori decisioni”. Così la Corte Cost. n. 66 del 1959 ( in Giur. Cost. 1959, pp. 1168 ss. ) che, richiamandosi alla già citata n. 7 del 1959, conclude chiarendo che “la legge del bilancio deve istituzonalmente operare nell’ambito e in conformità dell’ordinamento costituito dalla legislazione sostanziale; e non può prevedere spese od entrate che non traggano titolo dalla legislazione sostanziale”. In tal senso V. anche Corte Cost. n. 31 del 1961, ( in Giur. Cost. 1961, p. 581 ss. ) secondo cui le iscrizioni di nuove o maggiori spese in bilancio “non producono, e non possono produrre, alcun effetto di per sé, ove non trovino corrispondenza in una legge sostanziale che preveda la spesa, nonché i mezzi per farvi fronte”. Analogamente, del resto, Corte Cost. n. 36 del 1961 ( in Giur. Cost., 1961, p. 651 ss. ), secondo cui la “previsione in bilancio di fondi destinati ad una spesa, ove sia contemplata da una legge meramente formale, com’è quella del bilancio, non assolve di per sé sola all’obbligo costituzionale dell’indicazione della sua copertura”. 197 Per una ricostruzione delle esigenze di riforma del sistema di bilancio, Cfr. PEDONE, I problemi istituzionali del bilancio e della spesa pubblica, Spesa pubblica, 1972, pp. 253 e ss.

125

E’ doveroso analizzare, in proposito la nota affermazione secondo cui “la

nuova Costituzione […] ha in sostanza recepito l’istituto del bilancio quale la

precedente legislazione, la prassi e la dottrina l’avevano delineato”198.

Tale quesito prodomico veniva prospettato con specifico riferimento alle

due più pressanti esigenze imposte dalla nuova economia pubblica: la parziale

revisione del principio di annnualità e quello di redazione del bilancio in termini

esclusivamente di competenza.

In relazione a quest’ultimo aspetto si è discusso in dottrina se la nuova

normativa costituzionale esigesse la conservazione del sistema di bilancio di

competenza ovvero lasciasse aperta la via della transizione ad un sistema per

cassa199.

Sin dai primi commentatori, tuttavia, la tesi del parziale recepimento da

parte del costituente, del sistema contabile delineato dalla De Stefani, appariva

eccessivamente drastica200, favorendo la conclusione secondo cui: “la scelta del

bilancio di cassa o di quello di competenza non costituisce, di per sé, un problema

di fondo per il nostro sistema di contabilità pubblica e per i rapporti tra Governo e

Parlamento”201.

D’altro lato, tuttavia, si collocavano le tesi di quanti ritenevano che il

bilancio di cassa si sarebbe reso responsabile di un controllo istituzionale

inefficace, in quanto mascherato da movimenti esclusivamente monetari, di per sé

irrilevanti dal punto di vista della reale copertura delle spese necessarie, proprio a

fronte della sfasatura temporale tra il momento di accertamento e quello della

riscossione delle entrate202.

198 V. ONIDA, Le leggi di spesa nella costituzione, Milano, 1969, p. 620. 199 Sul punto interessante è la ricostruzione operata dal COMITATO PER L’INDAGINE CONOSCITIVA SUI PROBLEMI DELLA SPESA E DELLA CONTABILITÀ PROMOSSA dalla COMMISSIONE BILANCIO E PARTECIPAZIONI STATALI DELLA CAMERA DEI DEPUTATI nel 1972, ove, al capo IV del documento conclusivo si affronta proprio questo specifico tema della possibilità di adozione di un sistema di bilancio per cassa, in considerazione dei principi impliciti dettati dalla Costituzione. Spesa pubblica, 1972, pp. 404 ss. e spec. 424 ss. Sul piano normativo vanno inoltre, necessariamente considerate le indicazioni fornite dalla legge per la contabilità regionale del 19 maggio 1976, n. 335 e, naturalmente l’articolo 2 della Legge 468 del 1978. 200 V. S. BARTOLE, Commento all’articolo 81, BRANCA ( a cura di )Commentario alla Costituzione, Roma, Bologna, 1979, pp. 203 ss 201 S. BUSCEMA, Rassegna Parlamentare 1967, pp. 580 ss. 202 Così il Monetti, secondo cui “col bilancio di cassa il controllo costituzionale potrebbe divenire inefficace perché il Governo potrebbe assumere impegni, per esercizi successivi, che non figurerebbero nel bilancio di cassa dell’anno in corso, approvato con piena fiducia dal Parlamento, e potrebbero in tal modo preparare oneri gravosi per l’avvenire senza che se ne avesse nemmeno il dubbio”, U. MONETTI, Corso di Contabilità di Stato, Roma, 1937 p. 260 ss.

126

I termini del dibattito scientifico ruotavano, così, attorno a due poli opposti

ed incompatibili: da un lato la quasi istintiva consapevolezza per cui i principi

costituzionali non costituissero uno schema preclusivo di ulteriori interventi

legislativi in grado di adeguare il sistema contabile alle mutevoli esigenze dei

tempi, dall’altro il timore che la previsione di un bilancio di cassa, in grado di

affiancare ed accompagnare il documento di previsione annuale redatto in termini

di competenza, potesse favorire la corsa incontrollata all’assunzione di impegni

irresponsabili con effetti devastanti sugli esercizi futuri.

L’unica soluzione concretamente percorribile, nell’ottica del tecnico

contemporaneo, veniva perseguita attraverso un duplice discorso logico-

interpretativo: da un lato scongiurando i più distruttivi effetti del rischio di una

politica di spesa irresponsabile, mediante un forte ancoraggio all’obbligo

costituzionale di copertura anche per le previsioni di cassa203, dall’altro ponendo

l’accento sui paradossali effetti a cui avrebbe condotto una rigida applicazione

della tesi della costituzionalizzazione dei principi propri dell’ordinamento

previgente.

Correttamente è stato osservato che la completa disciplina dei principi

tecnico-contabili in materia di bilancio e contabilità pubblica non può desumersi

in maniera diretta ed immediata dalle laconiche previsioni costituzionali, ma, al

contrario, la sua puntuale determinazione deve spettare al legislatore, portatore e

testimone delle mutevoli esigenze politiche e socio-economiche della realtà di

riferimento, nel composito ed incostante e quadro dei rapporti istituzionali

intercorrenti tra Legislativo ed esecutivo.

203 Così, V. S. BARTOLE, Commento all’articolo 81, BRANCA ( a cura di )Commentario alla Costituzione, Roma, Bologna, 1979, pp. 213 ss, che chiarisce anche come l’idea per cui il sistema di bilancio di cassa favorisca un troppo permissivo ricorso a provvedimenti di impegno non trovi alcun serio fondamento, in considerazione del fatto per cui, “se è vero che il bilancio di cassa concentra l’attenzione e il controllo sul momento del pagamento, sul punto V. BUSCEMA, Rassegna parlamentare 1967, p. 560 ss., non per questo l’impegno può ritenersi del tutto esente da vincoli, e, quindi, rimesso alla piena discrezionalità dell’amministrazione. Il nostro sistema costituzionale impone che la previsione di ogni spesa nuova rispetto al precedente ordinamento legislativo sia sorretta da adeguata copertura, ciò implica necessariamente che anche l’assunzione di impegni non possa risolversi in politiche irresponsabili con effetti devastanti sugli esercizi futuri. Secondo il Bartole, inoltre, se si dovesse ritenere ammissibile un rinvio al bilancio per l’indicazione della copertura, si dovrebbe pur sempre rammentare che anche con il bilancio di cassa si può procedere a pagamenti solo nei limiti del bilancio. Non si può trascurare, in proposito, l’osservazione di Onida, secondo cui anche il sistema della competenza consente l’assunzione a carico di esercizi futuri di oneri ingenti, “dei quali a tanta distanza di tempo non è facile apprezzare economicamente l’impegno per quanto riguarda la sopportabilità delle spese e i riflessi delle stesse sulla gestione finanziaria dello Stato”, V. ONIDA, Rassegna Parlamentare, 1967, pp. 590 e 591

127

Analogamente è stato risolto anche il problema della presunta

incompatibilità del principio di annualità, stabilito dall’articolo 81 primo comma

della Costituzione, con l’adozione di un bilancio pluriennale, reso indispensabile

dalle esigenze della programmazione204. Del resto la stessa Corte Costituzionale,

pur non esprimendosi mai direttamente su questi punti dimostrava una lucida

consapevolezza della complessità della politica economico-finanziaria e, d’altro

lato incoraggiava, con la sua linea interpretativa particolarmente rigorosa del

contenuto e dei limiti posti dal già citato articolo 81, una riforma legislativa in

grado di restituire vitalità al sistema, pur nel rispetto del dettato costituzionale205.

Quest’orientamento del Giudice delle Leggi tendeva ad impedire che le

previsioni di piano, anche se approvate con legge, potessero essere direttamente

canalizzate “in stanziamenti di bilancio senza l’ulteriore intervento di norme

sostanziali che traducessero le indicazioni del programma in autorizzazione di

spesa, provvedendo all’indicazione dell’idonea copertura”206.

Ma risultava impossibile ignorare, da parte della dottrina contabilistica,

l’esigenza di poter contare, soprattutto ai fini di una politica di programmazione

economica, su strumenti giuridici che consentissero di adeguare ogni anno le

autorizzazioni di spesa ai bisogni reali del singolo esercizio senza violare il terzo

comma dell’articolo 81 della Costituzione207.

Alla luce di questo complesso quadro istituzionale devono essere letti i

diversi interventi riformatori della finanza pubblica, a cominciare dalla Legge

Curti, la quale, se pur maggiormente incidente sull’aspetto strutturale del bilancio

204 Il dibattito scientifico emerso durante gli anni ‘60-’70 fa emergere con chiarezza l’esigenza di di superare l’orizzonte annuale per procedere ad un’efficace utilizzo delle risorse pubbliche, si Veda, sul punto, anche per facilitare la comparazione con i sistemi adottati a livello europeo il volume sul La programmazione poliennale della spesa pubblica, Esperienze europee a confronto, a cura di E. GERELLI E G. POLA, Bologna, 1979, che si apre con l’introduzione di F. REVIGLIO, Necessità di un’impostazione programmatica pluriennale della spesa pubblica, ivi, p. 15. 205 Il giudice delle leggi ha in più occasioni ribadito il suo insegnamento, difficilmente contestabile dal punto di vista teorico e sistematico, secondo cui il terzo e il quarto comma dell’articolo 81 Cost si completano e si integrano reciprocamente, per cui la formula “ogni altra legge” non può essere ricondotta, secondo quanto più riduttivamente prevedeva l’art. 43 della Legge di contabilità del ’23, ad ogni legge successiva al bilancio in corso e modificatrice in peius del suo equilibrio contabile , “ma viceversa attiene ad ogni altra legge che non sia la legge di bilancio senza alcuna connessione cronologica con questa”, Vedi la pronuncia del 10 gennaio 1966, n. I, Giur. cost., 1966, I e ss. L’obbligo di indicazione dei mezzi di copertura, di conseguenza, doveva essere assolto, secondo la Corte, nella stessa legge che dispone la spesa e deve in ogni caso eddere oggetto di autonoma valutazione, da tenere assolutamente distinta dagli ambiti decisori riconducibili alla legge di approvazione del bilancio. 206 S. BUSCEMA, Sui sistemi di redazione del bilancio dello Stato, Rassegna Parlamentare, 1967, p. 579. 207 S. BUSCEMA, Sui sistemi di redazione, cit, p. 580

128

statale si rende la prima protagonista della progressiva evoluzione del sistema

pubblico di contabilità e dell’istituzionalizzazione di un nuovo ruolo dello Stato in

economia, fino all’organica riforma tecnico-procedurale perfezionata con la

storica Legge del 1978, n. 468.

3.4. Le riforme degli anni ‘60 e ’70.

Il primo organico intervento legislativo volto a rivedere alcuni principi

cardine introdotti con la legislazione di contabilità del 1923, risale alla nota Legge

Curti del primo marzo 1964, n. 62.

Per il profilo che maggiormente interessa in questa sede, tuttavia, le

modifiche apportate risultano relativamente marginali incentrandosi

prevalentemente su aspetti strutturali e contenutistici e mostrando meno interesse

alla parte c.d. “procedurale”.

Impossibile trascurare, tuttavia, la nuova decorrenza dell’anno finanziario,

che torna a coincidere con l’anno solare e il termine del 31 luglio per la

presentazione, da parte del Ministro del Tesoro, di concerto con quello del

bilancio, del rendiconto generale dell’esercizio finanziario, scaduto il 31 dicembre

precedente e del bilancio di previsione per l’anno finanziario che inizia il primo

gennaio successivo.

In soli sette articoli, la legge, destinata a diventare pienamente operativa

solo a partire dall’esercizio finanziario del 1965, avvia la profonda innovazione

del sistema di contabilità pubblica, in una triplice direzione:

a. attraverso la, già vista, introduzione dell’anno solare ai fini della

decorrenza dell’esercizio finanziario del bilancio e del

rendiconto statale208;

208 Art. 1, Legge 1 marzo 1964, n. 62, Gli articoli 10, 34, 35, 36, 37 ed 80 del Regio Decreto 18 novembre 1923, n. 1440 sull’amministrazione del patrimonio e la contabilità generale dello Stato sono sostituiti dai seguenti: Art. 30- L’anno finanziario comincia il primo gennaio e termina il 31 dicembre dello stesso anno. Per gli incassi ed i versamenti delle entrate accertate e per i pagamenti delle spese impegnate entro il 31 dicembre, la chiusura dei conti è protratta al 31 gennaio successivo. Art. 34 – “Nel mese di luglio il Ministero per il tesoro, di concerto con quello del bilancio, presenta al Parlamento:

a. il rendiconto generale dell’esercizio finanziario scaduto il 31 dicembre precedente; b. il bilancio di previsione per l’anno finanziario che inizia il primo gennaio successivo,

costituito dallo Stato di previsione dell’entrata da quelli della spesa distinti per Ministeri e dal quadro generale riassuntivo.

Per la modifica operata dallo stesso articolo 1. all’art. 35 del R.D. del 1929 V. nota successiva.

129

b. l’unificazione della legge di bilancio209;

c. l’introduzione di nuovi criteri di classificazione per entrate e

spese.

Per quanto attiene alla nuova classificazione delle categorie interne del

bilancio di previsione, che costituisce sicuramente l’innovazione più significativa

del testo di riforma, occorre rinviare al capitolo specificamente dedicato alla

struttura del documento annuale, mentre i primi due interventi ineriscono in modo

più diretto all’aspetto procedurale, esaminato in questa sede.

In merito al primo punto occorre, ricordare come sin dalla Legge n. 1455

del 1883, l’esercizio finanziario oggetto del bilancio di previsione e del connesso

rendiconto aveva decorrenza dal primo luglio di ogni anno al trenta giugno

dell’anno successivo.

Il periodo di riferimento di questi documenti, scelto esclusivamente

nell’ottica di evitare il ricorso all’esercizio provvisorio, ha costituito, tuttavia, la

causa diretta di una confusione di fondo circa il metodo di comparazione dei

valori, sia con riferimento ai parametri in uso per l’economia nazionale e quindi

nei confronti delle economie territoriali all’interno delle quali lo Stato si trova ad

operare, sia in relazione agli altri Paesi della Comunità Europea.

Dimostrandosi sensibile alle istanze unanimemente poste, il legislatore del

’64 realizza quell’omogeneizzazione da tempo auspicata, in modo far coincidere

l’esercizio finanziario con l’anno solare e risolvendo così i problemi di

comparabilità temporale dei valori contabili.

In un’analoga ottica di semplificazione e di maggiore incisività della

procedura, la legge Curti procede all’unificazione dei documenti del bilancio di

previsione annuale di cui al punto sub b) e relativa nota esplicativa.

In questa prospettiva, infatti, occorre ricordare come, fino al 1964, lo stato

di previsione dell’entrata e tutti gli stati di previsione della spesa venivano

approvati con distinti disegni di legge, determinando così, inevitabilmente, una

209 Art. 35 [ modifica operata dall’art. 1 della Legge n. 62 del 1964 all’articolo 35 della Legge di contabilità generale ] – Lo stato di previsione dell’entrata e gli stati di previsione della spesa, con gli allegati di bilancio delle Amministrazioni autonome e con il quadro generale riassuntivo, formano oggetto di un unico disegno di legge Ciascuno stato di previsione dell’entrata, del totale generale riassuntivo, formano oggetto di un unico disegno di legge. L’approvazione dello stato di previsione dell’entrata, del totale generale della spesa, di ciascun stato di previsione della spesa e del quadro generale riassuntivo è disposta, nell’ordine, con distinti articoli del disegno di legge.

130

visione unitaria di fondo proprio in una materia che non può assolutamente

risultare frammentaria.

La riforma Curti rappresenta, come già accennato il primo intervento

organico volto ad adeguare i principi della legislazione contabile alle mutate

esigenze del nuovo approccio economico-funzionale.

La legge del primo marzo del 1964, nell’innovare la precedente struttura di

bilancio, correla la classificazione delle entrate e delle uscite al tessuto

programmatorio, nell’intento di disporre di un bilancio organico e soprattutto allo

scopo di consentire una valutazione globale ed analitica delle fenomenologie di

spesa.

Questa modifica sistematica, seppur incentrata prevalentemente sugli

aspetti contenutistici, costituisce un solido fondamento per le radicali riforme

procedurali degli anni ’70, proprio perché espressione di una nuova nozione della

finanza pubblica, del bilancio statale e di conseguenza di tutta la macchina

amministrativa, non più letta attraverso la lente dell’economia aziendale e dei

principi contabili in uso per le aziende private, ma dotata di un’autonomia

concettuale e di regole di funzionamento particolari, proprio per rispondere ad

esigenze diverse e più complesse legate al nuovo ruolo pubblico nell’economia

del Paese.

Il dibattito scientifico circa l’inadeguatezza del sistema pubblico di

bilancio, a seguito del varo della riforma Curti, continua, infatti, ad accendersi,

riguardando in modo più specifico i temi, in parte già visti, della scarsa elasticità

del bilancio di previsione, così come delineato dall’articolo 81 della Costituzione.

Una volta superati, tanto la teoria della c.d.“costituzione ostacolo”210, che

sosteneva la concezione del bilancio come semplice conto contabile,

precludendone qualsiasi lettura in chiave economica, quanto il timore della

costituzionalizzazione di alcuni principi propri dell’ordinamento prerepubblicano,

la strada delle riforme di sistema non poteva più essere interrotta.

Parallelamente, alla già descritta esigenza di un recupero del controllo

delle principali variabili economiche attraverso la procedura di bilancio, si

aggiungeva la spinta inflazionistica e la minaccia di una pesante recessione che,

sul finire degli anni ’70, rendeva ormai indilazionabile un vasto piano di

210 Castelli Avolio, L'esame in Parlamento del bilancio dello Stato, 1955, Atti parl. cam. II, n. 1603-A e 1603-bis-A.

131

programmazione economica in grado di condurre il Paese verso una maggiore

stabilità211.

Gli interventi disarticolati e sporadici diventavano ormai dannosi oltre che

inutili e si rendeva necessaria una legge che, tracciando un disegno unitario della

finanza pubblica, si dimostrasse in grado di recuperarne il controllo, attraverso la

governabilità delle grandezze finanziarie e monetarie.

Ecco che soltanto in questi anni si inserisce nel dibattito scientifico-

parlamentare il concetto di “manovra economica annuale”, proprio a voler

indicare un complesso di scelte complesse ed inscindibilmente legate fra loro,

volte ad incidere, attraverso la politica di bilancio, sulla realtà economica

nazionale.

E’ in questi anni e parallelamente all’introduzione del concetto di

“manovra economica” che l’iter di approvazione dei documenti annuali di

contabilità assume ruolo cardine nella politica di spesa statale, proprio perché

concepito come mezzo di garanzia, ma soprattutto di raccordo tra i diversi atti e

strumenti preposti alla realizzazione degli obiettivi di politica economica

governativa.

Queste esigenze vengono così tradotte negli interventi legislativi degli anni

’70, sperimentati nell’intento di offrire una concreta attuazione al disegno più

volte auspicato a livello scientifico-dottrinale, a partire dalle legge del 10 maggio

del ’76, con la quale veniva sancito l’obbligo per il Ministro del Tesoro di

presentare entro il 31 gennaio di ogni anno al Parlamento una relazione sulla

stima della previsione di cassa, nonché della gestione di Tesoreria relativa

all’anno in corso, alla legge del 20 luglio del ’77, che spostava al mese di

settembre il termine di presentazione del bilancio di previsione per il successivo

anno finanziario, unificava la presentazione nel mese di settembre della relazione

previsionale e programmatica predisposta dal Ministero del tesoro al Parlamento,

stabiliva la presentazione entro il 31 gennaio di ogni anno ad opera del Ministero

del Tesoro al Parlamento, di una relazione sulla stima delle previsioni di cassa,

211 La finanza pubblica veniva sottoposta a continue e pressanti sollecitazioni, a seguito degli shock petroliferi che avevano colpito l’occidente negli anni immediatamente precedenti. Le entrate correnti, d’altra parte, non riuscivano a coprire le spese, provocando una serie di disavanzi che, a causa del crescente onere degli interessi sul debito pubblico e della modesta crescita del reddito nazionale cominciava ad autoalimentarsi. Così il 1977 il debito pubblica risultava il 58% del PIL, mentre il bilancio dello Stato, andava progressivamente perdendo il proprio peso rispetto al totale dell’intera spesa pubblica e finendo col tradursi un uno mero centro di smistamento delle risorse finanziarie verso le altre componenti del settore pubblico.

132

nonché della gestione della tesoreria; fino alla legge del 22 dicembre del 1977, n.

951, che prefigurava la futura legge finanziaria212.

3.5. La legge 5 agosto 1978 n. 468, recante la “Riforma di alcune

norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio”, finalità e

contenuti.

La Riforma introdotta con la legge 468/78 rappresenta il coronamento

degli studi e delle proposte avanzate durante tutto il ventennio precedente,

dimostrandosi in grado di trasformare il bilancio da un mero documento contabile

a un concreto strumento di programmazione economica e di gestione della politica

monetaria nazionale.

I segnali lanciati dagli sporadici interventi legislativi degli anni ’70

vengono colti e completati delineando pienamente un quadro unitario di atti,

azioni e programmi. La gestione della cosa pubblica subisce, così, una drastica

inversione di rotta, favorendo il passaggio da un metodo di governo e di

amministrazione informato alla frammentarietà degli interventi ad un sistema di

analisi organica e complessiva.

L’intervento del ‘78 segna la presa di coscienza da parte del legislatore dei

limiti del bilancio, così come configurato dalla prassi parlamentare, per

un’efficace manovra di finanza pubblica che si dimostri in grado di contrastare la

perdurante crisi economica del Paese e l’esplosione del debito pubblico. La

riforma rappresenta, inoltre, la prima risposta agli interrogativi dottrinali proposti

in merito al supermento del principio di redazione del bilancio in termini

212 Per una più completa ricognizione del contesto delle riforme istituzionali in materia di bialncio e contaiblità pubblica non possono trascurarsi i contributi e le ricerche provenienti dagli Stati Uniti e da Organismi internazionali. Tra le ricerche più significative devono annoverarsi i Rapporti sul budgeting and accounting, pubblicati negli Stati Uniti dalla COMMISSION ON ORGANIZATION FOR THE EXECUTIVE BRANCH OF GOVERNMENT, sotto la guida dell’ex Presidente Herbart Hoovar. Questi rapporti introducevano, sin dai primi anni ’50, il concetto di bilancio funzionale (performance budgeting )ed illustravano la necessità che lo strumento contabile primario fosse rielaborato sulla base di funzioni , attività e progetti. In tale prospettiva gli stanziamenti avrebbero dovuto essere formulati in termini di costo dei beni e dei servizi da impiegare per lo svolgimento di ciascuna funzione dell’Amministrazione. Anche le Nazioni Unite si rendono protagoniste di una fruttuosa ricerca nello studio di nuove classificazioni di entrate e spese in un’ottica funzionale, che costituirà un’importante base di riflessione per tutti i paesi del mondo occidentale. (COMITATO DI ESPERTI PER LO STUDIO DEI POSSIBILI STRUMENTI DI CLASSIFICAZIONE DELLE ENTRATE E DELLE SPESE, Manuale di classificazione economica e funzionale delle operazioni dello Stato, 1957 ).

133

esclusivamente di competenza e, analogamente, alla possibile introduzione di un

bilancio pluriennale da affiancare al tradizionale strumento annuale.

L’intervento del ’64, pur risultando un passo essenziale nella storia della

riforma della contabilità pubblica, non rispondeva, infatti, compiutamente alle

esigenze di un’armonica e coordinata gestione della spesa pubblica.

La necessità di poter contare, a tal fine, su strumenti giuridici in grado di

adeguare “ogni anno le autorizzazioni di spesa alle concrete esigenze

dell’esercizio […], nel rispetto del terzo comma dell’art. 81 della costituzione213,

conduceva all’ idea di predisporre una legge annuale di coordinamento dinamico

della finanza pubblica, che, oltre a garantire il pieno rispetto del terzo comma

dell’articolo 81, avrebbe dovuto dare attuazione al principio del coordinamento

finanziario ad opera del Parlamento, sancito dall’art. 119 Costituzione214.

Collocandosi “nella stessa posizione di qualsiasi altra ordinaria legge di

spesa” questa legge di coordinamento dinamico garantirebbe la copertura delle

nuovi o maggiori spese recate dalla legge stessa da parte dello strumento

normativo sostanziale 215.

La legge 468, interviene in questo contesto, ridisciplinando gli strumenti

attraverso cui si rappresenta, si organizza e si decide l’attività finanziaria dello

stato (bilancio pluriennale, legge finanziaria, bilancio annuale di competenza e di

cassa) preordinandoli in un disegno procedimentale le cui scansioni temporali

vengono fissate secondo una logica volta a sottolineare la valenza intrinseca dei

nuovi strumenti contabili, delimitandone funzionalmente i rispettivi ambiti

normativi di operatività.

213 S. BUSCEMA, Sui sistemi di redazione del bilancio dello Stato, Rassegna Parlamentare, 1967, p. 580. 214 In questo senso deve essere letto il c.d. progetto ’80, la proprosta di modifica del quadro istituzionale che precedeva la riforma del 5 agosto, inteso ad adeguare il bilancio alle esigenze della programmazione, avanzando l’idea di una legge di finanza da affiancare al bilancio di previsione. Secondo il progetto ’80 la verifica dello stato di attuazione dei progetti previsti dal pinao e definiti dalle leggi di programma, la determinazione del livello di spesa pubblica compatibile con la domanda globale desiderata, il confronto tra il livello e la composizione della spesa pubblica prevista dal bilancio annuale e il quadro di riferimento del bilancio pluriennale, sono considerati “esigenze che nel nostro regime costituzionale potrebbero essere soddisfatte de il parlamento adottasse una prassi in virtù della quale ogni anno la legge di bilancio fosse affiancata da una legge di finanza. In tale legge potrebbero essere adottate nuove decisioni di spesa e di entrata. La legge di bilancio recepirebbe il nuovo quadro della spesa determinato dalla legge di finanza […]. Anche il sistema tributario, almeno entro certi limiti, deve essere flessibile, per potersi adeguare alle esigenze della politica economica. Ciò consiglia l’uso della legge annuale di finanza anche per evetuale modificazioni al sistema tributario, specie con riguardo a quelle aliquote per le quali la legge ordinaria potrebbe stabilire minimi e massimi”. V. MINISTERO DEL BILANCIO E DELLA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA, Progetto ’80, Rapporto preliminare al programma economico 1971-1975, Roma, 1969, pp. 78 ss. 215 S. BUSCEMA, Sui sistemi di redazione del bilancio cit, , p. 579.

134

L’idea portante dell’intera ricostruzione legislativa sembra essere proprio

quella di ridisegnare i tempi e le sedi attraverso cui si esplica la funzione di

organizzazione degli strumenti normativo-contabile rilevanti per la manovra,

isolandoli e preordinandoli in una fase temporale e in un nuovo contesto

normativo: quello della legge finanziaria.

Ecco allora che il nuovo sistema, delineato dalla legge del ’78, può essere

schematicamente suddiviso in tre fasi216 : una momento programmatorio, uno

attuattivo e uno di adeguamento, legati da un nesso procedimentale in grado di

individuare un raccordo decisionale tra fase programmatoria e fase attuattiva nella

sinergia tra legge finanziaria e legge di bilancio tipizzata dall’articolo 11 c. II,

dall’art. 10 c. I e dall’art. 18 c. I della riforma del 5 agosto217.

Questa riscrittura del procedimento di approvazione della legge di bilancio

e dei documenti contabili a questo collegati si rende protagonista di una profonda

modifica metodologica, entro la quale si dovrebbe pervenire, anno per anno, alla

definizione degli ambiti normativi di integrazione programmatica già allocati

secondo il precedente sistema, nella legge di bilancio.

Si inserisce, a pieno titolo, nella fase programmatoria l’introduzione del

bilancio pluriennale ( art. 4 della Legge ), deputato registrare previsioni di entrate

e spese di un dato triennio, aggiornate in modo “scorrevole”218.

Dopo il lungo dibattito circa la possibilità di superare l’indicazione

costituzionale in merito al principio di annualità del bilancio219, l’articolo 4 della

Legge del ’78, compie la coraggiosa scelta di affiancare al bilancio annuale un

bilancio pluriennale, destinato a coprire, secondo quanto inizialmente stabilito, un

periodo non inferiore al triennio e non superiore al quinquennio 220, anche se,

216 M. TURCHI, Origine ed evoluzione della Legge finanziaria, Rivista amministrativa, 1996, pp. 49 ss. 217 Ci si riferisce rispettivamente al ricorso al mercato finanziario, ai fondi speciali, e alle quote annuali delle leggi di spesa pluriennali. 218 Cfr. ad esempio, G. VEGAS, I documenti di bilancio, D. DA EMPOLI-P. DE IOANNA-G. VEGAS, Il bilancio dello Stato. La finanza pubblica tra Governo e Parlamento, cit, pp. 31 ss. 219 Si Veda, sul punto, anche per facilitare la comparazione con i sistemi adottati a livello europeo il volume sul La programmazione poliennale della spesa pubblica, Esperienze europee a confronto, a cura di E. GERELLI E G. POLA, Bologna, 1979, che si apre con l’introduzione di F. REVIGLIO, Necessità di un’impostazione programmatica pluriennale della spesa pubblica, ivi, p. 15. 220 Cfr. in proposito anche S. BUSCEMA, voce “bilanci pubblici”, Enciclopedia del diritto, aggiornamento, III; Milano, 1999, p. 315 ss., il quale ricorda che il bilancio pluriennale era già stato prescritto per le regioni dall’articolo 1 della legge n. 335 del 1976 e fu poi esteso agli enti locali dall’art. 1 del d.P.R. , n. 421 del 1979.

135

come accennato in precedenza, l’unico modello di bilancio pluriennale

effettivamente adottato è quello triennale221.

Come precisato dall’articolo 4, comma secondo, della Legge n. 468 del

1978 il bilancio pluriennale “non comporta autorizzazione a riscuotere le entrate e

ad eseguire le spese ivi contemplate”, risolvendosi, quindi, in un documento

conoscitivo, rilevante sul piano politico, ma privo di qualsiasi valore normativo222.

La svolta verso un sistema di programmazione economica a base

pluriennale si articola nel meccanismo per cui le previsioni ivi contenute

permettono di fissare, nel periodo di tempo considerato, sia “il limite massimo

dell’eventuale saldo netto da finanziare”, ossia il risultato differenziale delle

operazioni finali, rappresentato da tutte le entrate e le spese escluse del operazioni

di accensione e di rimborso dei prestiti, sia “il massimo del ricorso al mercato

finanziario”, ovvero il risultato differenziale tra il totale delle entrate finali ed il

totale delle spese.

Queste innovazioni sono tali da alterare lo stesso ruolo svolto in

precedenza dal bilancio annuale. Come già visto, infatti, con le modificazioni e i

correttivi introdotti con la legge n. 468, il bilancio diventa un processo di

decisione e di modificazione continua dando luogo ad un sistema i cui orizzonti

temporali diventano flessibili nella sostanza, pur se apparentemente delimitati da

scadenze fisse.

E’ proprio questo il significato della vigenza del bilancio pluriennale per

“scorrimento”: la legge prevede che questo venga aggiornato annualmente, in

occasione della presentazione del bilancio annuale e che gli stanziamenti previsti

per il primo anno, corrispondano a quelli inseriti nel bilancio di previsione

annuale.

221 Significativo, in proposito, è l’assenza di ogni riferimento ad opera della Legge 362 del 1988, al periodo quinquennale, limitandosi, all’articolo 4 della legge 468, novellata dalla 362 dell’88, a stabilire che esso “copre un periodo non inferiore a tre anni”. Degno di nota è anche la parziale discrasia che si realizza tra questa disposizione e il DPEF, ai sensi dell’art. 3, comma 1, della medesima legge, chiamato a definire “la manovra di finanza pubblica per un periodo compreso nel bilancio pluriennale”, in realtà, tuttavia, i DPEF presentati più di recente, a partire da quello relativo al 2000-2003, hanno un orizzonte quadriennale, mentre i bilanci pluriennali continuano ad essere redatti con riferimento triennale. Il primo DPEF della XV legislatura ha addirittura assunto un orizzonte quinquennale, tanto da meritare la definizione coniata dallo stesso governo di “ DPEF di legislatura”. Sul tema Cfr, criticamente, T. BOERI-P. GARIBALDI, Un DPEF balneare, articolo repebile al sito http://www.lavoce.info, 29 agosto 2006. 222 G. FAZIO, Il bilancio dello Stato, II ed. Milano, 1980 pp. 40 ss., il quale, dopo aver rilevato che in tal modo si evita di “infrangere il rigore dell’articolo 81 Cost. “ si domanda “quale sia il ruolo e la effettiva portata di tale bilancio”posto che “non si può dire che strutturalmente e contabilmente possa considerarsi un vero e proprio bilancio nel senso tradizionale”.

136

Il bilancio pluriennale viene, così, concepito in modo da costituire il punto

di riferimento per l’elaborazione del bilancio annuale, indicando gli strumenti di

quelle politiche e di quei programmi di settore i cui orizzonti temporali non si

esauriscono nell’ambito di un singolo esercizio223.

Il momento attuattivo, invece, si realizza compiutamente nella produzione

legislativa ordinaria, che viene regolata in modo da assicurare la conformità agli

obiettivi del bilancio pluriennale.

La previsione di nuovi o maggiori spese in conto capitale non può pertanto

determinare un peggioramento del saldo netto da finanziare, determinato in sede

di programmazione, analogamente, le spese correnti non devono determinare

peggioramenti del saldo del risparmio pubblico – il risultato differenziale, cioè tra

entrate tributarie ed extra-tributarie e il totale delle spese correnti – rendendosi

necessarie, in caso contrario, contestuali maggiorazioni di entrata o corrispondenti

riduzioni della spesa di pari natura corrente.

La fase del c.d. “adeguamento” della legislazione vigente ai piani e a i

programmi di politica economica stabiliti a livello governativo, viene affidata al

nuovo istituto della legge finanziaria, la grande legge annuale di coordinamento

della finanza pubblica (art. 11 della Legge )224, realizzando se pur in maniera

223 La reale difficoltà applicativa della nuova configurazione programmatoria dell’economia, tuttavia, non deve essere tanto ravvisata nella mancanza di un disegno politico-economico pluriennale, quanto nell’assenza di una concreta politica di programma cui agganciare il bilancio pluriennale. Anche laddove il bilancio assuma una connotazione programmatica, si mantiene la necessità di approfondire le modalità tecniche con cui si realizza l’obbligo di copertura per le spese pluriennali, In tal senso Vedi, Bollini, APS, VII, V Commissione Bilancio, sede referente, 12 aprile 1978. 224 M.R. TURCHI, Origine ed evoluzione della legge finanziaria, Rivista amministrativa, 1996, pp.50 ss. Così l’articolo 11 della legge de qua stabiliva che: Al fine di adeguare le entrate e le uscite del bilancio dello Stato, delle aziende autonome e degli enti pubblici che si ricollegano ala finanza statale, agli obiettivi di politica economica cui si ispirano il bilancio pluriennale e il bilancio annuale, il Ministero del Tesoro, di concerto con il Ministro delle finanze, presenta al Parlamento, contemporaneamente al disegno di legge di approvazione del bilancio di previsione dello Stato, un disegno di legge “finanziaria” con la quale possono operarsi le modifiche ed integrazioni a disposizioni legislative aventi riflessi sul bilancio dello Stato, su quelli delle aziende autonome e su quelli degli enti che si ricollegano alla finanza statale. La legge finanziaria indica il livello massimo del ricorso al mercato finanziario. Tale ammontare concorre, con le entrate, a determinare le disponibilità per la copertura di tutte le spese da iscrivere nel bilancio annuale. La legge finanziaria provvede a tradurre in atto la manovra di bilancio per le entrate e le spese che si intende perseguire, in coerenza con quanto previsto dal precedente articolo 4. La dottrina ha individuato proprio in relazione alla dizione letterale di cui all’articolo 11 della Legge 468 e ai connessi articoli 10 e 18, un contenuto necessario della legge finanziaria e un contenuto eventuale, entrambi diretti al fine di tradurre in atto la manovra di bilancio per le entrate e le spese che si intende perseguire, in coerenza con il bilancio pluriennale.

137

parziale e non ottimale, il tanto auspicato raccordo tra programmazione,

legislazione finanziaria sostanziale e legge di bilancio.

Come già accennato, il ruolo di coordinamento ricoperto da questo nuovo

istituto si compie attraverso l’adempimento di un triplice ordine di funzioni:

a. fissare il livello massimo di ricorso al mercato che concorre “con

le entrate, a determinare le disponibilità per la copertura di tutte

le spese da iscrivere nel bilancio annuale”225;

b. indicare i fondi speciali da iscrivere nello stato di previsione del

Ministero del Tesoro, destinati a “far fronte alle spese derivanti

da progetti di legge che si prevede possano essere apporvati nel

corso dell’esercizio”226;

c. indicare le quote delle leggi di spesa a carattere pluriennale

“destinate a gravare su ciascuno degli anni considerati dal

bilancio pluriennale”227.

Ecco che viene finalmente delineato il tanto auspicato strumento in grado

di introdurre, in coerenza con il bilancio pluriennale, quella porzione della

manovra economica, organizzabile nella stessa legge di approvazione del bilancio.

Viene palesato, così, lo scopo principale del legislatore del ’78:

l’intenzione di compiere quella tanto attesa razionalizzazione del processo di

bilancio, in modo da ricondurre la determinazione del volume dell’indebitamento

alla responsabile valutazione del Parlamento228.

V. in proposito G. SALERNO, Prime esperienze della “legge finanziaria”, Diritto e società, 1980, pp. 115 ss. e D. MARRA, La legge finanziaria e il bilancio in Parlamento, Quaderni costituzionali, 1983, p. 157. 225 V. Art. 11, II comma, Legge 5 agosto 1978, n. 468. 226 V. Art. 10, I comma, Legge 5 agosto 1978, n. 468. 227 V. Art. 18, I comma, Legge 5 agosto 1978, n. 468. 228 In relazione a queste innovazioni legislative si prospettavano, tuttavia, già in sede di discussione parlamentare due distinte ipotesi ricostruttive. Secondo l’impostazione del senatore Bollini, relatore al senato del ddl 1095, l’indicazione in sede di legge finanziaria del limite massimo di ricorso al mercato e del volume dei fondi speciale si sarebbe risolta in una funzione meramente programmatica, senza alcun reale margine innovativo, potendo soltanto esplicare qualche conseguenza effettiva alla sola “condizione che vengano recepite nella legge di bilancio, nei relativi capitoli”, SENATO DELLA REPUBBLICA, COMMISSIONE BILANCIO E PROGRAMMAZIONE ECONOMICA, VII legislatura undicesimo resoconto stenografico, Roma, 1978, p. 4. Secondo tale impostazione la legge 468 non recherebbe alcuna innovazione sostanziale in ordine all’assetto contabile del progetto di bilancio da presentare alle Camere, né, per quanto attiene le modalità tecniche attraverso cui vengono iscritte in bilancio le partire relative ai tre elementi direttamente determinati nella legge di bilancio: si tratterebbe, in sintesi, secondo il

138

E’ già stata evidenziata la pluralità di funzioni adempiute dalla legge di

bilancio, dall’organizzazione dei flussi finanziari, alla determinazione

dell’indirizzo politico, al ruolo autorizzatorio nei confronti delle pubbliche

amministrazioni nella gestione del piano delle entrate e delle spese.

Tali funzioni configurano una completa autonomia sistematica per il

bilancio statale, fondata sul ruolo di garanzia costituzionale, ricoperto dal

bilancio, in connessione con l’evoluzione del rapporto di reciproca limitazione di

poteri tra Governo e Parlamento.

Il disegno costituzionale descritto dall’articolo 81, tuttavia, attribuisce a

questa autonomia sistematica un’ulteriore qualificazione, ruotando attorno ad una

netta separazione tra il piano delle innovazioni che si intendono introdurre nella

morfologia dell’ordinamento di entrata e di spesa e il piano annuale di

determinazione delle modalità attraverso le quali si fissa un determinato equilibrio

nei conti statali229.

La legge finanziaria, inserendosi nel sistema dei commi terzo e quarto

dell’articolo 81 Cost., tenta di accostare i due piani normativi, prefigurando uno

strumento di contatto e di congiunzione tra la legislazione di spesa e il documento

di bilancio annuale, allo scopo di armonizzare di anno in anno, il sistema di conti

senatore Bollini, di proposte con valore impegnativo, ma non vincolante, in quanto il vincolo giuridico potrebbe nascere solo in caso di accoglimento in sede di legge di bilancio. La seconda ricostruzione, al contrario, sottolineava che lo spostamento nella legge finanziaria delle determinazioni in ordine alla fissazione del tetto massimo di ricorso al mercato deve essere necessariamente interpretato come un elemento quantitativo nell’architettura della nuova cornice contabile. “Se si accoglie l’emendamento da me proposto la legge finanziaria stabilirà che il governo, nei modi che ritiene più opportuni, può essere autorizzato a ricorrere al mercato finanziario per un certo importo. Tutto il resto, cioè i modi di contabilizzazione, non cambieranno rispetto ad oggi: si stabilisce però un’autorizzazione a ricorrere al mercato che creea un presupposto giuridico, da un lato, per la copertura insieme alle entrate di tutte le spese, vincolando dall’altro, l’attività del governo e del Parlamento”, SENATO DELLA REPUBBLICA, VII LEGISLATURA, COMMISSIONE PROGRAMMAZIONE E BILANCIO, Senatore Lombardini undicesimo resoconto stenografico, Roma, 1978, p. 15. L’articolo 11 della legge de qua, è stato, infatti, costruito secondo l’impostazione di un emendamento proposto dal sen. Lombardini con il quale veniva avanzata l’idea di affidare alla legge finanziaria la determinazione del livello massimo di ricorso al mercato finanziario. La redazione definitiva, tuttavia, promossa dalla Commissione recepiva con l’accordo dello stesso Lombardini una formulazione proposta dal presidente Colajanni, in grado di mediare tra le diverse posizioni emerse. V. in proposito l’undicesimo resoconto stenografico, cit. pp. 15 ss. 229 Questa separazione tra i due piani normativi scaturiva, all’epoca della stesura della disposizione costituzionale, come supporto alla specifica soluzione al problema della copertura degli oneri derivanti da leggi che vincolano gli equilibri del bilancio (a approvare o in corso di approvazione), anche aldilà del primo esercizio di riferimento. La distinzione dei piani è funzionale proprio alla stessa possibilità tecnica di costruire un rapporto tra un equilibrio dato ( la legislazione vigente ) e gli effetti finanziari connessi alle innovazioni: è su questo rapporto che è possibile radicare la questione della quantificazione degli oneri e della correlativa indicazione di mezzi di copertura che, nel sistema dell’articolo 81 Cost, costituisce un elemento di deterrenza, soprattutto verso le iniziative di spesa di origine parlamentare.

139

pubblici a legislazione vigente con gli obiettivi di politica economica programmati

a livello governativo.

Ecco allora che si comprende il necessario ed imprescindibile nesso che

deve sussistere tra legislazione di bilancio e finanziaria: il coordinamento

realizzato da questo istituto perderebbe, infatti, il suo significato se non concepito

in stretta correlazione procedimentale e contenutistica con il bilancio annuale di

previsione.

La portata e l’ambito di questo necessario collegamento diventa inoltre,

ancora più percepibile se si analizza il già ricordato articolo 11 comma II della

Legge del 5 agosto.

L’indicazione del livello massimo di ricorso al mercato, infatti, concorre a

determinare l’aggregato di risorse che costituiscono la copertura di tutte le spese

da iscrivere in bilancio, compresi i fondi speciali230 e le quote annuali delle leggi

pluriennali.

Anche nell’ipotesi in cui la legge finanziaria non disponesse alcuna

modifica od integrazione alle disposizioni legislative vigenti, occorrerebbe, infatti,

una determinazione del contenuto minimo della manovra, in quanto destinato ad

incidere sul quantum annuale dell’indebitamento ammissibile231.

Anche il legislatore, consapevole di questo ineliminabile collegamento,

traduce le esigenze politiche della riforma, legate alla ricerca di una riacquisizione

del controllo della decisione sul deficit, in una modifica della forma tecnico-

contabile attraverso cui si realizza la manovra sul quantum del finanziamento in

deficit del bilancio.

Proprio in quest’ottica, fondamentale elemento di unione e di raccordo, tra

decisione di bilancio legge finanziaria, diventa il momento procedurale, inteso

come disciplina dell’iter di approvazione dei due distinti strumenti legislativi.

230 I fondi speciali individuano lo spazio finanziario assegnabile alle nuove iniziative di spesa e rappresentano il momento di maggior discrezionalità della manovra. 231 Per capire il reale significato di questa decisione occorre tener presente che la determinazione del livello massimo del ricorso al mercato esprime un valore in termini di competenza giuridica, tale valore va collocato in un triplice sistema di saldi, in termini di competenza e di cassa, indicati, ai sensi dall’art. 6 della 468, nel quadro generale riassuntivo che accompagna il bilancio: il risparmio pubblico, il saldo netto da finanziare e l’indebitamento netto. Questo sistema di saldi mira a misurare rispettivamente, la differenza tra incassi tributari ed extra tributari e pagamenti correnti, il raffronto tra le operazioni finali del bilancio, vale a dire tra i primi due titoli dell’entrata ed i primi due della spesa e la differenza tra gli incassi finali, al netto della riscossione di crediti, e di pagamenti finali, depurati delle operazioni finanziarie per partecipazioni e crediti. In questo contesto un ulteriore saldo è, infine, rappresentato dal ricorso al mercato, pari alla differenza tra incassi finali e pagamenti complessivi.

140

3.6. Aspetti procedurali.

Alla luce di queste considerazioni una prima lettura dell’articolo 11 della

legge de qua disorienterebbe qualsiasi lettore.

Il testo del disposto normativo nel stabilire le modalità di presentazione

della finanziaria, nulla prescrive in ordine alle fasi di approvazione dei due disegni

di legge, limitandosi alla generica dizione secondo cui:

“ Il Ministro del tesoro […] presenta al Parlamento, contemporaneamente

al disegno di legge di approvazione del bilancio di previsione dello Stato, un

disegno di legge finanziaria”.

Questa laconica disposizione ha immediatamente generato dubbi

interpretativi circa la possibilità di un’approvazione contestuale dei due disegni di

legge, ovvero ad una procedura distinta ed in questo caso, circa l’eventuale

priorità di uno o dell’altro strumento legislativo 232.

Ma prima di entrare nel merito della questione occorre tentare di

interpretare la scelta di regolatoria del legislatore.

In realtà, infatti, il suo mancato intervento sul punto risulta, secondo un

attenta lettura degli atti parlamentari, una scelta lucida e deliberata dell’assemblea.

Nella discussione sul disegno di legge n, 1095, divenuto poi la legge n.

468, infatti, veniva concordemente soppressa la norma, proposta nel testo

originale del governo, che disciplinava l’ordine temporale di approvazione delle

legge finanziaria e del documento di bilancio.

Una simile indirizzo non può che essere interpretato come un atto di

rivendica, da parte delle Camere, del potere di autonoma determinazione dei modi

e dei tempi di approvazione dei due strumenti chiave della manovra economica

annuale, confermando in ultima analisi la centralità del momento procedurale nel

quadro della disciplina dei nuovi strumenti di bilancio 233.

In questo modo viene, infatti, mantenuta la massima libertà di azione da

parte dell’assemblea popolare in merito la scelta di un’eventuale assimilazione

232 M. TURCHI, Origine ed evoluzione della legge finanziaria, Rivista amministrativa, 1996, pp. 49 ss. 233 Vedi in tal senso anche il contributo di A. MALASCHINI, Legge finanziaria e procedura parlamentare, Diritto e Società, 1973, pp. 3 ss.

141

della legge finanziaria alla legge di bilancio, oppure all’opposta opzione di una

valutazione distinta dei due strumenti normativi.

L’entrata in vigore del testo legislativo generava, così, immediati dubbi

interpretativi, prospettandosi, in proposito, l’alternativa di un’approvazione

contestuale dei due documenti oppure procedere in modo che l’approvazione del

disegno di legge finanziaria risultasse antecedente rispetto alla decisione sul

bilancio annuale e al disegno di legge pluriennale234.

Il dubbio, tuttavia, non poteva che essere risolto muovendo da una lettura

coordinata della normativa introdotta con la legge di riforma.

La legge finanziaria, sostanziandosi in un supporto normativo espressione

della fase di adeguamento della manovra economica, non poteva che venir

approvata prima della legge di bilancio. L’ipotesi di un’eventuale approvazione

contestuale dei due progetti avrebbe, inoltre, comportato un’inevitabile dilatazione

dei tempi, con gli evidenti pericoli di un conseguente, indiscriminato ricorso

all’esercizio provvisorio.

Si perveniva, così, alla conclusione che ciascun ramo del Parlamento non

avrebbe potuto votare il bilancio senza una precedente e preliminare deliberazione

in merito alla legge finanziaria e parallelamente si perfezionava la prassi della

redazione da parte dei presidenti delle Camere, di un calendario dei lavori tali da

assicurare due approvazioni distinte, ma ragionevolmente ravvicinate e

tempestive.

L’esperienza dei primi anni di applicazione della riforma registrava,

tuttavia, una discussione parlamentare affetta da preoccupanti patologie.

I comportamenti discutibili della stessa maggioranza, spesso frammentata

dal pericoloso lavoro dei “franchi tiratori”, conduceva ad un ostruzionismo

rischioso in quanto prodotto dalla stessa coalizione governativa, per cui anche

proposte avanzate dall’Esecutivo finivano col venire “impallinate”, mentre, al

contrario, emendamenti, del tutto avulsi dal contesto della manovra, potevano

venir approvati da vaste ed eterogenee maggioranze.

In questo contesto si perviene alla riforma dei regolamenti parlamentari

dell’83 ( Regolamento Camera ) ed dell’85 ( Regolamento Senato ).

Questa tappa deve ritenersi fondamentale.

234 CAMERA DEI DEPUTATI ( SERVIZIO STUDI) , L’esperienza di applicazione della legge n. 468 del 1978. Problemi e prospettive, Roma 1982

142

Da un punto di vista teorico dommatico, essa segna la maturazione di una

consapevolezza, da parte dell’intera classe politica, dell’insufficienza di una

modifica legislativa per assicurare un adeguata attuazione a livello di prassi

parlamentare dello spirito e delle finalità della riforma.

Il contenuto fortemente innovativo della riforma del ’78, dalla definizione

convenzionale dell’aggregato “settore pubblico avanzato” alla migliore

conoscenza e controllo dei flussi di cassa, fino alla costruzione pluriennale delle

previsioni finanziare, strideva, in maniera fin troppo evidente, con gli effettivi

risultati ottenuti durante i primi anni di applicazione della nuova disciplina.

Dopo aver escluso la completa ascrivibilità del parziale naufragio della

riforma ad alcune ambiguità letterali e semantiche235, o a lentezze tecnico-

amministrative durante il momento dell’implementazione di alcuni profili

particolarmente innovativi236, appariva chiaro che la vischiosità delle procedure

parlamentari finiva col rendere sempre più sensibile la manovra economica

annuale all’instabile rapporto Esecutivo-Legislativo.

Il corretto funzionamento della macchina legislativo-contabile progettata

dall’intervento legisaltivo del 1978, risultava, infatti, strettamente legato alla

concreta evoluzione dei rapporti di potere tra Governo e Parlamento, maggioranza

e opposizione, rendendo così evidente la necessità di un intervento regolamentare

che, muovendosi sul piano strettamente procedurale risultasse in grado di scandire

le tappe della discussione parlamentare e al tempo stesso di garantire un

equilibrato rapporto tra forze politiche di maggioranza e di opposizione, tra

commissioni ed assemblea e soprattutto tra Governo e Parlamento.

Allo scopo di razionalizzare la discussione parlamentare ed evitare le

patologie proprie del momento approvativo dei documenti introdotti nel ’78,

veniva introdotto alla Camera nel 1983 e al Senato nell’85 la c.d. “Sessione di

bilancio”237.

235 È il caso delle norme sulla copertura delle leggi di spesa e della stessa legge finanziaria: art. 8, comma 8, art. 10, 11 e 18. 236 Ci si riferisce ad esempio alla costruzione di un bilancio annuale e pluriennale riaggregato per programmi omogenei, nella doppia versione a legislazione vigente e programmatica e dei possibili sviluppi del nuovo limite di cassa. 237 Parte della dottrina in realtà parla di “sessione di bilancio” anche in riferimento alla disciplina contenuta nei regolamenti parlamentari del ’71, V. ad esempio S. RISTUCCIA, Il parlamento nel processo di bilancio dopo la legge n. 468 del 1978 cit. p. 879 ss. e A. MANZELLA, La programmazione dei lavori in parlamento nella VII legislatura, cit. p. 62, il quale osserva che la legge n. 468 del 1978 “ha posto tutte le premesse di una rivoluzione parlamentare” prefigurando “una calendarizzazione dell’attività parlamentare assai precisa”. In questa sede, tuttavia, ci si è voluti riferire alla prima formalizzazione di tale termine ad opera del Regolamento della Camera

143

Aldilà delle qualificazioni formali, il nuovo istituto mirava a isolare

all’interno del quotidiano lavoro parlamentare, un periodo di tempo riservato

esclusivamente all’esame dei documenti di bilancio, previa adozione di un rigido

sistema di termini per l’esame dei provvedimenti in commissione ed in Assemblea

e con divieto di trattazione di disegni di legge di spesa per tutta la durata della

sessione238.

I vantaggi erano così di un duplice ordine: da un lato veniva minimizzato il

rischio di ricorso all’esercizio provvisorio concentrando le attività parlamentari in

un’unica direzione, ma dall’altro veniva perseguito l’obiettivo di depurare la

manovra da tutti quegli elementi estranei che finivano con l’alterare la portata e

l’efficacia dell’intervento stesso.

L’articolazione temporale veniva suddivisa riservando, nel caso di inizio

dell’iter alla Camera, 5 giorni dopo la presentazione dei disegni di leggi di

bilancio e della legge finanziaria, per la stampa dei documenti, mentre 50 gg

all’esame da parte della Camera, di cui 10 gg riservati alle commissioni di merito

e 14 alla commissione bilancio, prevedendo un periodo non superiore a 5 giorni

per la trasmissione e la stampa del progetto al Senato, per concludere con un

esame da parte della Camera alta non superiore a 35 giorni.

Per chiarire l’assetto temporale della sessione con un approccio

differenziato in relazione alla Camera adibita all’esame preliminare del progetto si

rinvia agli schemi di seguito riportati.

(art. 119, c. I, come modificato il 29 settembre 1983 ) che fa espresso riferimento ad una “apposita sessione parlamentare di bilancio”. 238 Veniva comunque mantenuta la facoltà di esaminare alcuni decreti legge e disegni di legge, previa autorizzazione espressa delle Presidenze delle Camere.

144

Nel caso di modifiche apportate dal Senato si procedeva, naturalmente, ad

un nuovo esame della Camera, mentre in caso di terza lettura ed eventuali letture

successive i termini venivano fissati dalle Conferenze dei capigruppo parlamentari

e i relativi tempi dipendevano dalle contingenze politiche.

PRESENTAZIONE dei disegni di legge di bilancio e

finanziaria

Stampa dei documenti

Sezione Camera di cui 10 gg per l'esame nella commissione di merito

14 gg per l'esame in commissione bilancio

Stampa e trasmissione al Senato

Sessione di bilancio in Senato

entro 5gg

entro 45 gg

entro 5 gg

entro 35 gg

145

PRESENTAZIONE dei disegni di legge di bilancio e

finanziaria

Stampa dei documenti

Esame della commissione di

merito

Esame da parte della commissione bilancio

Discussione in Assemblea

entro 5gg

entro 10 gg

entro 15 gg (o più se nella comm. di merito terminano prima. Tot. 25 gg)

entro 10 - 15 gg

Esame in seconda lettura alla

Camera

entro 35 gg

146

I termini devono naturalmente intendersi depurati dalle interruzioni dei

lavori parlamentari, ad esempio durante le crisi di governo i termini vengono

sospesi e il periodo totale dedicato alla sessione di bilancio viene

conseguentemente allungato.

La modifica regolamentare segna indubbiamente un determinante passo

avanti verso la razionalizzazione della procedura di approvazione dei documenti

di bilancio, riconducendo ad una fase unitaria l’approvazione di una serie di

documenti strettamente connessi dal punto di vista programmatico, ma anche

logico-normativo.

Tuttavia è proprio questa unitarietà che contribuiva a sollevare,

all’indomani dell’entrata in vigore della nuova costruzione procedimentale,

numerosi dubbi scientifico-dottrinali in merito all’opportunità di un così indistinto

iter approvativo tra i due documenti essenziali della manovra: il bilancio di

previsione e la “finanziaria”.

L’assimilazione della finanziaria alla legge di approvazione del bilancio

finiva col negare l’ipotesi ricostruttiva proposta da parte della dottrina di

qualificare il nuovo istituto come una sorta di tertium genus tra legge di

approvazione del bilancio e le ordinarie leggi a contenuto finanziario239,

sottintendendone un’interpretazione unitaria rispetto al documento di bilancio,

quasi a volendo richiamare l’idea di una sezione della procedura ordinaria, nella

quale verrebbero aggregate le nuove decisioni che il governo propone al

parlamento in attuazione della manovra.

Una simile impostazione richiamava, tuttavia, il limite del comma terzo

dell’articolo 81 Cost, che concerne tutte le decisioni assunte all’interno del

procedimento finalizzato all’approvazione del bilancio dello Stato.

La scelta procedurale intrapresa a livello di prassi parlamentare, quindi, se

da un lato si dimostrava coerente con la logica dello strumento, risultando

insensato procedere ad un approvazione successiva a quella di bilancio, dall’altro,

riconducendo l’ambito contenutistico della manovra attuabile con la legge

finanziaria al parametro di valutazione fissato dall’articolo 81, c. III della

239 M. S. SEGUITI, La legge finanziaria nel trittico dei documenti previsionali, cit, p. 225; Per una panoramica completa e generale sul procedimento di approvazione come disciplinato dalla Legge 5 agosto, 1978, n. 468 V. A. BRANCASI, Legge finanziaria e legge di bilancio, Milano, 1985 e M.MESCHINO, La nuova procedura delle decisioni di finanza pubblica, Quaderni costituzionali,1986

147

Costituzione, finiva col riprodurre la situazione in essere prima dell’entrata in

vigore della Legge 468.

Una simile opzione interpretativa avrebbe finito col ridurre la riforma ad

mero incentivo nella direzione di una più elastica interpretazione dei vincoli

predisposti a livello costituzionale, valorizzando l’importanza degli ambiti

normativi riconducibili alla decisione di bilancio240.

Queste critiche divenivano sempre più insistenti e miravano ad

un’ulteriore modifica del procedimento approvativo della finanziaria, in modo da

differenziarne l’iter, rispetto al modello previsto per il bilancio di previsione, pur

nel rispetto della garanzia di una base documentale comune per l’intera manovra,

atta a fornire gli elementi per una valutazione unitaria del programma economico

governativo.

3.7. Il primo decennio di applicazione della riforma: esigenze di

cambiamento.

I primi dieci anni di applicazione della normativa del 1978 vedevano lo

sviluppo di un intenso dibattito scientifico volto all’individuazione delle

specifiche cause dello snaturamento subito dalla legge finanziaria rispetto al

disegno originario.

La stessa prassi di approvazione parlamentare, come rilevato dalla dottrina

maggioritaria fin dai primi anni di vita del nuovo istituto, costituiva un indice

evidente di impropria applicazione dei principi fissati a livello legislativo e

costituzionale.

Seguendo l’impostazione prevalente e coerente con l’unitaria

approvazione parlamentare del bilancio di previsione e della finanziaria,

quest’ultima non poteva che ritenersi parte integrante dello stesso concetto di

bilancio annuale e, come tale, necessariamente subordinato ai limiti e alle

prescrizioni di cui all’articolo 81 commi secondo e terzo della Costituzione.

240 P. DE IOANNA, Legge finanziaria e approvazione del bilancio, Quaderni costituzionali, 1979, pp. 31 ss.

148

Ecco allora che il primo nodo da risolvere dal punto di vista teorico

dottrinale diventava proprio quello della compatibilità del nuovo strumento con i

principi costituzionali.

I dubbi più immediati sorgevanoin relazione al terzo comma dell’articolo

81, proprio in considerazione del fatto che la finanziaria, specie in relazione al suo

contenuto eventuale241, consentiva di associare all’approvazione del bilancio

l’imposizione di nuovi tributi e nuove spese, favorendo una notevole promiscuità

concettuale rispetto alla nozione di bilancio.

Simili dubbi venivano, infatti, subito confermati dalla prassi del primo

decennio di vita della riforma del ’78, quando, prevalendo l’interpretazione

estensiva242 del contenuto eventuale della legge finanziaria, la compatibilità con il

disegno costituzionale diventava sempre più difficilmente sostenibile e, d’altro

lato, il perseguimento di politiche economiche di risanamento diveniva

progressivamente più arduo anche in considerazione dell’impossibilità di porre

seri argini all’emendabilità parlamentare.

L’introduzione della “sessione parlamentare”, attraverso le novelle

regolamentari dell’83, non si dimostrava, infatti, sufficiente a razionalizzare il

quadro dei rapporti tra Esecutivo e Legislativo e a porre le basi per una

discussione parlamentare ordinata e coerente.

E’ stato affermato che lo stretto legame configurato dall’articolo 11,

secondo comma, della Legge n. 468, tra la legge finanziaria e la legge di bilancio,

241 Il testo originario della legge 468, com’è noto, era caratterizzata da un contenuto necessario, costituito dall’indicazione del livello massimo di ricorso al mercato finanziario, il cui ammontare concorre con le entrate a determinare le disponibilità per la copertura di tutte le spese da iscrivere in bilancio, dalla fissazione dell’importo delgi accantonamenti da iscrivere nei fondi speciali, con i quali far fronte alle spese derivanti da progetti di legge che si prevede possano essere approvati nel corso dell’esercizio e infine dalla determinazione delle quote destinate a gravare su ciascuno degli anni considerati dal bilancio pluriennale e da un contenuto eventuale individuato con una formula piuttosto ampia ai sensi della quale la legge finanziaria poteva operare “modifiche ed integrazioni a disposizioni legislative aventi riflessi sul bilancio dello stato, su quelli delle aziende autonome e su quelli degli enti che si ricollegano alla finanza statale, al fine di “adeguare le entrate e le uscite” di tali bilanci “agli obiettivi di politica economica cui si ispirano il bilancio annuale e il bilancio pluriennale”. 242 Sono state infatti prospettate due possibili interpretazioni del contenuto eventuale ( in proposito V. la nota n. 66 ), Secondo l’interpretazione restrittiva, il riferimento alla “modifica” e alla “integrazione” comporterebbe la necessità di predisporre in quella sede unicamente misure che operino nel quadro degli istituti esistenti, intervenendo cioè, su disposizioni legislative singole e non su comparti strutturali della legislazione settoriale, Cos’ M. MESCHINO, La legge finanziaria, cit, pp. 469 ss. L’ottica estensiva, al contrario, sosteneva che i contenuti della legge finanziaria, riscontrerebbe come limite soltanto la coerenza tecnica e politica con il bilancio annuale e pluriennale, risultando quindi legittimata a rivedere pressoché tutte le disposizioni legislative vigenti, incluse quelle con effetti finanziari solo indiretti, a seconda della latitudine dell’intervento che ciascuna manovra finanziaria decide di prefigurare, Cfr. A BRANCASI Legge finanziaria e legge di bilancio, Milano, 1985, pp. 551 ss.

149

favorisse le condizioni per una discussione parlamentare disarmonica e costituita

da valutazioni sovrapposte, da emendamenti riferibili contestualmente, all’area

degli adeguamenti propri del bilancio e della legge finanziaria243.

Nessun riscontro trovavano i diversi tentativi di fissare un ordine di

votazioni rigido, tramite il quale le Camere avrebbero dovuto preliminarmente

esprimersi sul livello massimo del ricorso al mercato, perché privo di ogni

fondamento regolamentare.

Parallelamente anche le modifiche approntate in questa sede nel 1983 non

conducevano agli esiti sperati: anche lo “stralcio delle disposizioni non

concernenti il contenuto tipico della finanziaria” affidato al presidente della

Camera non risultava garantito da un parametro legislativo certo e d’altro lato, sia

la decisione di procedere allo stralcio, sia quella di deliberarlo dovevano essere

assunte a maggioranza e si risolvevano pertanto in un potere facilmente

controllabile dalla stessa maggioranza governativa.

E’ stato così, concordemente sostenuto che la riforma, pur contenendo

corretti ed incontestabili principi non delineava strumenti concreti in grado di

realizzare quella duttilità di programmazione economica da tempo auspicata.

La finanziaria finiva, al contrario, col rendersi responsabile di una crescita

vertiginosa della spesa pubblica che trascina pericolosamente, nel 1988, il debito

pubblico ai livelli del PIL.

Del resto la configurazione assunta dalla finanziaria, “offrendo molte

suggestioni nella sua versatilità”, non poteva non costituire “una vera e propria

tentazione”244 . La questione più allarmante era, infatti, costituita proprio dalle c.d.

“leggi finanziarie omnibus”, caratterizzate da una complessa “mescolanza tra

manovra finanziaria vera e propria e miriadi di mico-decisioni di spesa e lalora di

micro-decisioni di altra natura”245.

Ecco allora che la legge del 23 agosto 1988 tentava di dare una risposta a

questo stato di confusione latente e di definire in modo più compiuto il rapporto

tra legislazione di bilancio e manovra finanziaria246.

243 P. DE IOANNA, Dalla Legge n. 468 del 1978 alla legge n. 362 del 1988: note sul primo decennio di applicazione della “legge finanziaria”. Quaderni costituzionali, 1989, pp. 205 ss. 244 S. RISTUCCIA, Il Parlamento nel processo di bilancio dopo la legge n. 468 del 1978, Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1979, pp. 892. 245 In questo senso Cfr. V. ONIDA, Editoriale, Quaderni costituzionali, 1989, pp. 199 ss. 246 Sin dai primi anni di applicazione della normativa si raggiunge, infatti la consapevolezza per cui, aldilà delle questioni strettamente contabili, le innovazione apportate dalla riforma del ’78 dipendevano in maniera forse eccessiva dalla concreta evoluzione dei rapporti di potere tra

150

La legge n. 362 veniva, così, concepita perseguendo un duplice scopo: da

un lato quello di riconsiderare la sequenza delle deliberazioni che delineano le

grandezze cornice, disponendo le stesse, tra legge di bilancio e legge finanziaria in

modo da strutturare un confronto iniziale sulle grandezze di entrata complessive,

ivi includendovi l’indebitamento, mentre soltanto successivamente e fissata la

cornice complessiva di copertura, procedere alla deliberazione sulla spesa,

stabilendone la composizione e i possibili margini di riallocazione.

In questo riassetto procedurale, tuttavia, non si può trascurare il ruolo

essenziale ricoperto dai regolamenti delle Camere: le modifiche introdotte dalla

riforma conducono pressoché immediatamente alla riforma del Regolamento del

Senato, con un pugno di norme fortemente collegate alle revisioni legislative.

Ma la Legge 23 agosto 1988, n. 362, recante “Nuove norme in materia di

bilancio e di contabilità dello Stato”, costituisce il punto di arrivo del dibattito e

degli studi condotti tanto a livello dottrinale che politico-parlamentare247.

Non si può trascurare, in proposito il notevole apporto fornito dalla X

Legislatura per la presentazione di una decina di proposte di modifica della 468.

I tentativi venivano rivolti alla progressiva correzione delle patologie

registratesi durante il primo decennio applicativo della legge del 5 agosto, per

pervenire ad una finanziaria più snella, più aderente ai principi di

programmazione finanziaria ed il cui contenuto fosse circoscritto:

• alla fissazione dei saldi;

• alla modulazione della legge pluriennale

Governo e Parlamento. Ecco perché in questi anni il fulcro del dibattito e le più intense dispute dottrinali ruotano proprio attorno alla legge finanziaria, al suo ruolo e alla sua funzione, così M.R. TURCHI, Origine ed evoluzione della legge finanziaria, Rivista amministrativa, 1996, pp.50 ss, nonché A. GAVA, La Riforma del bilancio dello Stato, Nuova Rassegna di legisalzione dottrina e giurisprudenza, 1989, pp. 1169 ss. Ma se inizialmente le discussioni si incentrano prevalentemente sull’aspetto contenutistico, progressivamente viene raggiunta una consapevolezza ulteriore. La vera questione preliminare da risolvere consisteva essenzialmente nella definizione del rapporto temporale prima ancora che contenutistico, tra legge finanziaria e altre misure di politica economica a questa collegate. Per i lavori parlamentari di questo testo legislativo, Cfr. P.F.LOLITO, La riforma della Legge 468 del 1978 nei lavori parlamentari, Quaderni costituzionali, 1989, pp. 349 ss. 247 Ci si riferisce, ad esempio, al contributo apportato dalla Ragioneria Generale dello Stato e dalle competenti Commissioni parlamentari, sia al Senato che alla Camera dei Deputati. ( SENATO VIII LEGISLATURA, COMITATO DI STUDIO SU: PROBLEMI APPLICATIVI ED INTERPRETATIVI DELLA LEGGE 5 AGOSTO 1978, N. 468, Documento conclusivo; e IX LEGISLATURA, RELAZIONE AL PRESIDENTE DEL SENATO su:La riforma del bilancio: una prima verifica ad otto anni dalla sua entrata in vigore. Profili sistematici ed aspetti procedurali, CAMERA DEI DEPUTATI IX LEGISLATURA, COMMISSIONE V, Indagine conoscitiva sui problemi connessi alla riforma delle norme sulla contabilità dello Stato ).

151

• alla quantificazione annuale delle leggi di spesa

• al rifinanziamento di leggi vigenti limitatamente alle spese in conto

capitale;

• alla determinazione dei trasferimenti agli enti esterni

• alla fissazione delle aliquote tributarie e contributive

• alla manovra tariffaria

• alle altre determinazioni esclusivamente quantitative e traducibili

in maniera diretta ed immediata in tabelle;

• alle somme riconducibili ai fondi speciali

• all’individuazione delle regole afferenti la determinazione delle

poste di entrata e di spesa del bilancio a legislazione vigente,

inclusa l’elencazione tassativa, in apposita tabella, di tutti i capitoli

che sono sottratti alla loro applicazione.

Veniva in tal modo perseguito l’obiettivo di ricondurre la legislazione

finanziaria entro i limiti e le prescrizioni di cui all’articolo 81 comma terzo Cost.

Il bilancio tornava ad assumere il contenuto suo proprio: l’attuazione e la

specificazione dei criteri fissati dalla finanziaria, mentre quest’ultima in un’ottica

congiunturale, diventa una sorta di legge cornice, contenente i principali aggregati

di finanza pubblica.

3.8. La legge 23 agosto 1988, n. 362 e i nuovi principi per una

finanziaria “quantitativa”.

Gli intenti riformatori degli anni ’80 registravano il loro coronamento con

la Legge del 23 agosto 1988, n. 362 che, collocandosi pienamente nell’impianto

logico-strutturale della Legge del ’78248, si proponeva di evitare la diffusa

248 La continuità perseguita dal legislatore di desume anche dalla stessa tecnica redazionale prescelta, mediante interpolazione e novellazione del precedente tessuto normativo. Tanto da indurre parte della dottrina a definire la nuova normativa come un semplice “aggiornamento, adeguamento o perfezionamento tecnico” della precedente riforma, sostenendone una limitata portata innovativa e comunque circoscritta a correzioni, rettifiche e riorganizzazioni del sistema precedente. Cfr. sul punto, M. TURCHI, Origine ed evoluzione della Legge finanziaria, Rivista amministrativa, 1996, pp. 49 ss.

152

elusione del disposto costituzionale e di costruire una normativa in grado di

avviare un’incisiva opera di risanamento della finanza pubblica249.

Questo duplice ordine di obiettivi veniva perseguito attraverso la

rideterminazione del contenuto eventuale della legge finanziaria, in modo da

garantire che questo strumento si traducesse in una mera regolazione quantitativa

della legislazione di entrata e di spesa, mentre la restante opera di modifica della

legislazione veniva affidata alla nuova figura dei “disegni di legge collegati” e,

contestualmente, si sottraeva al disegno di legge finanziaria la determinazione

dell’equilibrio economico-patrimoniale, disponendo in proposito l’esclusiva

competenza del DPEF in merito all’individuazione dei saldi della finanza pubblica

a cui finanziaria e bilancio annuale previsione avrebbero dovuto attenersi.

Veniva così, abrogata l’ambigua formulazione adottata dal legislatore del

’78, per sostituirla con la più chiara e rispondente al disegno costituzionale

dizione secondo cui la finanziaria provvede “alla regolazione annuale delle

grandezze previste dalla legislazione vigente al fine di adeguarne gli effetti

finanziari agli obiettivi” e, soprattutto, “non può introdurre nuove imposte, tasse e

contributi, né può disporre nuove o maggiori spese”, salvo le ipotesi

specificamente formulate ed attinenti a variazioni di tipo esclusivamente

quantitativo.

Con questa espressione il legislatore si è voluto riferire, secondo la nuova

versione dell’articolo 11, L. 5 agosto 1978, n. 468, alle “variazioni delle aliquote,

delle detrazioni e degli scaglioni, alle altre misure che incidono sulla

determinazione del quantum della prestazione, afferenti imposte indirette, tasse,

canoni, tariffe e contributi in vigore, alla determinazione dell’importo

249 Ai fini di una più completa ricostruzione del contesto e del dibattito scientifico sviluppatosi negli anni precedenti la riforma Cfr. SENATO DELLA REPUBBLICA, IX legislatura, relazione al Presidente del Senato su La riforma del bilancio: una prima verifica ad otto anni dalla sua entrata in vigore. Profili sistematici ed aspetti procedurali, a cura di P. DE JOANNA, G. CASTIGLIA, G. FOTIA, G. SALERNO, Roma, 1986, pp. 5 e 6 della premessa; CAMERA DEI DEPUTATI, IX legislatura, Commissione V, Indagine conoscitiva sui problemi connessi alla riforma delle norme sulla contabilità generale dello Stato ( legge n. 469 del 1978 ), doc. n. 12, a cura del SERVIZIO COMMISSIONI PARLAMENTARI, Roma, 1987, p. 108. SENATO DELLA REPUBBLICA, VII legislatura, Documento conclusivo del COMITATO DI STUDIO su Problemi applicativi ed interpretazioni della legge 5 agosto 1987, n. 468 cit. T. SALVEMINI, Indagine conoscitiva sui problemi connessi alla riforma delle norme sulla contabilità generale dello Stato, Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, IX legislatura, seduta del 18 marzo 1986, p. 31. F. BASSANINI, Le riforma degli strumenti della programmazione finanziaria e M. CARABBA, Le ipotesi di riforma, Democrazia e diritto, 1986. A. GAVA, La riforma del bilancio dello Stato, Nuova Rassegna di legislazione dottrina e giurisprudenza, 1989, pp. 1169 ss; Sui lavori parlamentari V. P.F. LOLITO, La riforma della Legge n. 468 del 1978, nei lavori parlamentari, Quaderni costituzionali, 1989, pp. 349 ss; Sull’approvazione compiuta ai fini dell’approvazione del bilancio per il 1987 Cfr M. MESCHINO, La nuova procedura delle decisioni di finanza pubblica, cit, pp 383 ss.

153

complessivo massimo destinato, in ciascuno degli anni compresi nel bilancio

pluriennale, al rinnovo dei contratti di pubblico impiego e alle modifiche del

trattamento economico e normativo del personale dipendente da pubbliche

amministraizoni non compreso nel regime contrattale” nonché alle “ altre

regolamentazioni meramente quantitative rinviate alla legge finanziaria dalle leggi

vigenti”.

Lo stesso “contenuto necessario”250 è stato protagonista di una profonda

razionalizzazione: da un lato, si è resa più articolata l’indicazione dei fondi

speciali, prevedendo i c.d. fondi speciali negativi e si sono arricchite le modalità

di intervento della legge finanziaria sulle leggi di spesa pluriennali, dall’altro si è

confermato che spetta alla finanziaria stabilire il livello massimo del ricorso al

mercato finanziario, pur precisando che tale decisione deve essere in conformità

con i saldi obiettivo già individuati in occasione della predisposizione e

dell’approvazione parlamentare del DPEF.

Questa razionalizzazione dei contenuti induceva parte della dottrina a

dubitare dell’utilità di una distinzione e di una duplicazione di strumenti di

contabilità di fine esercizio.

La legge n. 362, infatti, prospetta una configurazione della finanziaria

vicina al novero degli interventi azionabili, prima della riforma del ’78, con la

stessa legge di bilancio251, destando notevoli dubbi in merito alla sua stessa

funzionalità, quale segmento autonomo della decisione di bilancio.

In questo modo, infatti, la legge finanziaria non sembra più assimilabile ad

un atto legislativo ordinario e caratterizzato, quindi, dalla discrezionalità tipica

250 La distinzione tra contenuto necessario e contenuto eventuale com’è noto, prende le mosse dal testo originario della legge 468 che indicava come contenuto principale “ l’indicazione del livello massimo di ricorso al mercato finanziario, il cui ammontare concorre con le entrate a determinare le disponibilità per la copertura di tutte le spese da iscrivere in bilancio, dalla fissazione dell’importo degli accantonamenti da iscrivere nei fondi speciali, con i quali far fronte alle spese derivanti da progetti di legge che si prevede possano essere approvati nel corso dell’esercizio e infine dalla determinazione delle quote destinate a gravare su ciascuno degli anni considerati dal bilancio pluriennale e come contenuto eventuale utilizzava una formula piuttosto ampia ai sensi della quale la legge finanziaria poteva operare “modifiche ed integrazioni a disposizioni legislative aventi riflessi sul bilancio dello stato, su quelli delle aziende autonome e su quelli degli enti che si ricollegano alla finanza statale, al fine di “adeguare le entrate e le uscite” di tali bilanci “agli obiettivi di politica economica cui si ispirano il bilancio annuale e il bilancio pluriennale”. Occorre precisare, tuttavia, che, come osserva G. M SALERNO, Legge finanziaria, cit, p. 16, con l’introduzione della legge n. 362, la distinzione tra contenuto necessario ed eventuale “mantiene un carattere prevalentemente classificatorio, avendo perso quel rilievo che aveva nell’originario regime della legge n. 468.” 251 Ad esclusione della possibilità di ridurre in via permanente precedenti autorizzazioni legislative di spesa e di rifinanziare, per un solo anno, interventi si sostegno dell’economia ( art. 11, comma II, lett. e) e f) ).

154

della funzione legislativa, ma come elemento tipico della complessiva struttura

normativa della legge di bilancio252.

La decisione annuale di bilancio viene così idealmente suddivisa in due

aree, distinte, ma strettamente interdipendenti: il progetto di bilancio a

legislazione vigente adibito alla registrazione delle grandezze finanziarie connesse

al quadro legislativo in vigore e la finanziaria che, sul presupposto degli equilibri

espressi dal bilancio annuale, contiene una serie di possibili correzioni marginali

di marca sempre strettamente finanziaria, ma caratterizzati da un elevato grado di

discrezionalità.

Questa scissione in due filoni normativi distinti, in realtà, non costituisce

una mera riorganizzazione contenutistica fine a se stessa, ma è l’espressione di

una precisa volontà del legislatore di sottoporre i due strumenti ad un diverso

regime di copertura.

Ecco allora che in quest’ottica, la complessa operazione iniziata nel 1987 e

precisata il decennio successivo, ai fini di ricondurre lo strumento della finanziaria

entro i parametri costituzionali, assume un significato preciso: la formale

autonomia di quest’ultima rispetto al bilancio annuale di previsione pone le

condizioni per creare uno specifico scrutinio di copertura per le spese nuovi o

maggiore ammesse nella LF.

Per nuova spesa, secondo la novella legislativa apportata nel 1988, deve

intendersi il rifinanziamento di leggi di investimento a scadenza e l’indicazione di

nuove finalizzazioni di spesa iscritte nei fondi speciali, mentre per maggiori spese

l’incremento riferito alle modulazioni annuali delle leggi a carattere pluriennale e

alle quote annuali di leggi di spesa permanente.

Da queste semplici modifiche apportate pare evidente come il nuovo

assetto permetta di separare gli incrementi annuali dall’evoluzione del saldo di

parte corrente a legislazione vigente per sottoporli allo specifico criterio di

copertura proprio della legge finanziaria.

Ecco che l’ottica degli anni ’60 e ’70 viene capovolta ed il carattere non

obbligatorio della spesa viene assunto come criterio discretivo per ricondurre

queste ultime in uno strumento specifico che ne consenta il controllo annuale

rispetto agli equilibri del bilancio a legislazione vigente, seppur nel rispetto dei

programmi indicati del DPEF.

252 P. DE IOANNA, Dalla legge n. 468 del 1978 alla legge n. 362 del 1988: note sul primo decennio di applicazione della “legge finanziaria”, Quaderni costituzionali, 1989, pp. 205 ss.

155

Viene, infatti, abbandonato lo schema dell’autocopertura: non viene più

richiesto che le maggiori entrate tributarie, extra-tributarie e contributive e le

riduzioni permanenti di autorizzazione di spesa corrente siano contestualmente

stabilite nella stessa legge finanziaria, il comma quinto dell’articolo 11 si discosta

dalla previsione del nuovo articolo 11 ter, articolo che opera una ricongnizione

delle tipologie di copertura utilizzabili in tutte le leggi di spesa, implicitamente

ponendo le premesse per una valutazione distinta della finanziaria dalla restante

legislazione di spesa253.

L’articolo 11 ter ammette come fonte di copertura soltanto le entrate nuovi

o maggiori derivanti da un mutamento del quadro legislativo vigente, mentre il

quinto comma dell’articolo 11 evoca genericamente le nuovi o maggiori entrate

tributarie od extra-tributarie.

Solo in quest’ottica si comprende la ratio della distinzione operata dal

legislatore tra i diversi strumenti di contabilità pubblica di fine esercizio e

l’ordinaria legislazione di spesa.

Secondo questo schema soltanto alla finanziaria, nel contesto generale

della legislazione di spesa, è consentito di includere come mezzo di copertura di

nuovi o maggiori spese, nel senso su-indicato, il miglioramento della previsione a

legislazione vigente.

Per un corretto approccio ai termini della questione è, infine, necessario

approfondire l’aspetto procedurale inerente i tempi della sequenza deciionale

disegnata dalla legge n. 362, che inverte la precedente impostazione e che

conduce ad una votazione del bilancio a legislazione vigente, sia in commissione

che in assemblea, che precede quella del disegno di legge finanziaria.

In tal modo l’eventuale evoluzione più favorevole delle entrate correnti

può essere direttamente utilizzato come copertura delle maggiori spese in sede di

finanziaria, mentre se da questo esame emerge un peggioramento del risparmio

pubblico, questo canale di copertura risulterà del tutto precluso254.

253 P.F. LOTITO, Copertura finanziaria e quantificazione della spesa:la disciplina dell’art.11-ter della 468/78 e della Circolare della Presidenza del Consiglio del 29 Aprile 1988, Quaderni costituzionali,1989

254 Questa distinzione nella sequenza di approvazione segna due campi di analisi nettamente distinti che esprimono due diversi livelli di valutazione: occorre certificare innanzitutto l’equilibrio di base del bilancio a legislazione vigente e soltanto successivamente procedere alle determinazioni in sede di finanziaria. Appare essenziale in questo contesto la questione dell’individuazione della base di riferimento sulla quale calcolare il miglioramento del risparmio pubblico: assestamento dell’anno in corso, ovvero confronto tra il valore del risparmio pubblico

156

Questo stretto collegamento che si crea tra il sistema del bilancio e della

legislazione finanziaria è indice di una ricerca, da parte del legislatore del ’88, di

maggiore equilibrio e soprattutto di un controllo più efficace delle uscite collocate

in sede di finanziaria, rendendo, così, esplicito lo scopo perseguito dalla riforma:

la riconduzione entro l’obbligo di copertura di una consistente quota marginale di

spese e di entrate che, in passato venivano assorbiti dalla decisione di bilancio e

per definizione sottratti allo scrutinio di copertura.

Questa nuova impostazione che conduce inevitabilmente ad un

riavvicinamento delle due aree di operatività della LB e della LF diventa

concretamente operativa, solo a condizione di una corretta gestione dei tempi

della decisione in modo da evitare sovrapposizioni di campo ed elusioni di

disposizioni legislative.

3.9. Il riassetto temporale del procedimento e la parallela revisione dei

Regolamenti parlamentari.

Le innovazioni legislative richiedevano una pronta revisione delle regole

interne di ciascuna Camera nel momento approvativo dei documenti contabili di

fine esercizio. Occorrevano ferme garanzie di stampo assembleare in grado di

contrastare la tendenza elusiva inevitabilmente propria di ciascuna maggioranza

parlamentare.

Il primo obiettivo da perseguire, a seguito dello snellimento contenutistico

proprio della novella dell’88, era la garanzia di un meccanismo in grado di

depurare dal disegno di legge governativo, ma anche dai successivi interventi a

livello parlamentare, tutte le disposizioni estranee al contenuto tipico della legge

finanziaria.

E’ stato, così, configurato a favore dei Presidenti di Assemblea l’inedito

potere di “stralcio”, per effetto del quale il primo presidente destinatario del

progetto “accerta che il disegno di legge non rechi disposizioni estranee al suo

oggetto così come definito dalla legislazione vigente in materia di bilancio e

del triennale in gestione e l’analogo valore proposto nel progetto di bilancio a legislazione vigente presentato alle Camere.

157

contabilità di Stato” e, in caso contrario “comunica all’Assemblea lo stralcio delle

disposizioni estranee, sentito il parere della Commissione bilancio”255.

Questa riserva di competenza costituisce un indice evidente della necessità

di ancorare lo scrutinio di copertura a parametri di legislativi obiettivi, sottratti

all’area di discrezionalità valutativa propria dell’assemblea e in grado di offrire

maggiori garanzie nei confronti delle minoranze parlamentari256.

Il diverso profilo inerente il momento più strettamente parlamentare è

invece, garantito da una rigida disciplina del potere di emendamento, in modo da

evitare che le dinamiche assembleari, tramite il noto meccanismo dello scambio

politico dei voti, provochi effetti devastanti sul fronte della spesa pubblica.

Così, al fine di evitare modifiche in Parlamento che introducano

disposizioni estranee al contenuto proprio del disegno di legge finanziaria gli

emendamenti devono necessariamente essere presentati in commissione, ad

eccezione dei casi in cui si riferiscano a parti della finanziaria introdotte in sede

referente o che siano sottoscritti dal Governo o dalla stessa commissione,

inducendo parte della dottrina a parlare in proposito di un “netto indurimento del

principio istruttorio”257.

Analogamente a quanto disposto per la disciplina del bilancio, inoltre,

devono essere destinati alle commisiioni di merito soltanto gli emendamenti che

riguardano esclusivamente singole parti di competenza di una singola

commissione, mentre in caso di argomenti interdisciplinari questi dovranno essere

sottoposti alla Commissione bilancio258.

255 V. L’articolo 120, comma 2, del regolamento Camera, come modificato il 28 giugno del 1989 e analogamente si Veda la disciplina contenuta all’articolo 126, comma 3, del regolamento Senato, come modificato il 30 novembre 1988: dal punto di vista procedurale, tuttavia, in questo ramo del Parlamento si riscontra l’obbligo di sentire il parere dello stesso Governo, responsabile del disegno di legge, mentre dal punto di vista del parametro del giudizio si stabilisce altresì che lo stralcio possa riguardare le disposizioni “volte a modificare norme in vigore in materia di contabilità generale dello Stato”, in modo da evitare quel fenomeno di modifica della “legge madre” da parte delle “leggi figlie”, registratosi anche con riferimento ad altre ipotesi assimilabili, Cfr, in merito a questo fenomeno A. RUGGERI, Prime osservazioni sul riparto delle competenze stato-regioni nella legge “La Pergola” e sulla collocazione di quest’ultima e della legge comunitaria nel sistema delle fonti, Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 1991, pp. 711 ss. 256 Per un bilancio positivo di questo potere presidenziale Cfr. A. PALANZA, Una nuova legge e un ordine del giorno per la riorganizzazione del processo di bilancio come metodo della politica generale, Rassegna parlamentare, 1999, pp. 635 ss. 257 A. MANZELLA, Il Parlamento, Bologna, 2003, pp. 349 ss. 258 Cfr. Art. 121 commi 1 e 2 Regolamento Camera, modificato il 28 luglio 1989. Leggermente diversa la disciplina in Senato: tutti gli emendamenti ad disegno di legge finanziaria vanno presentati direttamente alla Commissione bilancio: art. 128, comma 1, Reg. Sen., come modificato il 30 novembre 1988.

158

Analogamente sono giudicati inammissibili: “gli emendamenti d’iniziativa

sia parlamentare che governativa, al disegno di legge di approvazione dei bilanci

di previsione dello Stato e al disegno di legge finanziaria che rechino disposizioni

contrastanti con le regole di copertura stabilite dalla legislazione vigente per la

stessa legge finanziaria o estranee all’oggetto della legge di bilancio o della

finanziaria, come definito dalla legislazione vigente, ovvero volte a modificare le

norme in vigore in materia di contabilità dello Stato” 259.

Chiamati a vigilare sul corretto adempimento della norma sono ancora una

volta i Presidenti di Assemblea, con la differenza che alla Camera, in prima

battuta il giudizio è affidato al Presidente della commissione bilancio, con

possibilità di eventuale appello al Presidente della Camera.

Questo potere dei presidenti non deve essere considerato come un mero

vaglio procedurale o di coerenza formale della sequenza deliberativa ma come un

controllo contenutistico sulla proposta di innovazione dell’ordinamento rispetto al

quadro dei valori costituzionali, regolamentari e legislativi260.

Le modifiche regolamentari vanno, inoltre, ad incidere nel quadro del

riassetto temporale, da anni auspicato dalla dottrina261, operato della Legge n. 362

dell’88.

Questo intervento legislativo, infatti, precede un ordine delle decisioni

rimodulato e corretto rispetto all’impianto precedente che si articola nella

seguente scansione procedurale:

2 ��� � � ��� �

�� ���� ��� � � �-�� �� ������ ��

)�

3 �-� + + ���� �

�$�� �� ����� �� � $�0 � �� �� � �� �� � ����$����$� � � � �� �$� ��� $���� � � ��� $$� ��� ���� � � �� ��������� � $��� ��� �� � � + + $��� �

259 Così l’articolo 128 comma 6 del Regolamento del Senato, come modificato il 30 novembre 1988. 260 In questo senso V. anche M. OLIVETTI, Le sessioni di bilancio, Rassegna parlamentare, 1999, pp. 11 ss. 261 Cfr. S. RISTUCCIA, Il Parlamento nel processo di bilancio dopo la legge n. 468 del 1978 cit. p. 898 e A. BRANCASI, Legge finanziaria e legge di bilancio, cit. pp. 593 ss.

159

�$$������ ��

4 2 �� ���� � ��� �� ������� � $�/ �$�� ��� �� �� � $�0 � �� �� � �� �� � ��� � ��$����$�� � � �� �$���� $���� � � ��� � � ��$� ��� $$� ����� ���� � � �

� �� � � � ��� �� � $���� �� ��

5 �� � �� ���� �

��

� � ������ � � ������ � � ��$� �� � $$� ������ ��� '�� ����� �� ���� �����6+ � ��� � �7� � ��$� ��� � ���� � � �� � $� �� �� ��� �� � $�� � � '� �+ �$�� ��� �

4 8 �� ��$� �

��

���� � ��$��� �� �� � �� ����� � � � ��$&� �� ������ � �� ''��� ��� �

• ��� �� ���� ��� �� �� � ��� � ��$$� ������ � � ��� ���� � ��$� ��� �� ����� � ���� � $�+ �$�� ��� �� �� � $� ����� � � �� �

• ��� �� ���� ����� '��� � ��$$� ������ � � ������� � ��$� �$� � �� � ��� ��� $���'� �� $�� � � '� �+ �$�� ��� �

2 8 �� ����� �

�� � � �� � ��� �� � ��� �� ������'� � �� � � ��� � � ��� �� � $������ � � ��� �� � ������ �� �� � $$� ������ � � ��� ���� � ��$� �

��� �� ���� ����� '��� � ��$$� ������ � � ��� ��� � � ��$� ��$���$$� �� ������ ���-�����'��� � $$� �'������� � �� �� � ��� ��$�+ �$�� ��� �

2 9 �� ����� �

��

�$��� '� �� � � ���� � �� ��$����$� � � � �� ��$�� � �� � � � �� �� �� �� ���� � ���� � � �� �� � � � ��� :-�� �� ��������# � � �� ����$��� �� � '�� �� ��+ �$�� ��� � � ���$����� � � �� ��� ��� ���'� )�

4 2 �� ����� �

��

�$�� �� ����� �� � $�0 � �� �� � �� �� � �� ��$����$�� � � �� �$� ��� $���� � � ��� $$���� ���� � � �� ��������� � $��� ��� �� � � + $+ ��� ��$$������ �

4 2 �� ����� �

��

�� $���� � � ��� � � �$� �� � $$��/ �� ���� &���$�� �

��� �� � � � � ��� ��� �� � ���� � ��� �� � � � �����$���� � ���� ��� $�

160

�� � � ��� � �� �� �$� ������ � ��� ��$����$�� � � �� �� � ���� � � �� ��$$� � �� ��� ��� $���� � � �

4 8 ���� �� � �

��

��� �� ������� � $�0 � �� �� �� �� � $�/ �$�� ��� � �� �� � ��� � ��$����$�� � � �� ��� �� �� ����� ��+ �$�� ��� �� ���������� � � �� �� � $$&� �� ������ ��� ��� ��� �� ��$��� � � ��� � �� �� ��, � � $$� ��� � �$� �� ��$�4 2 �� ��� � + �� � �� �� � � � �� )�

$� �$�� �

�$�� �� ����� �� � $�0 � �� �� ��� '�� ��$���� �� ��$$� ��� ��� � ���$�� � �� � � � �� ��� � �� � � � �� �$� �$�� � � �� ���� � ������ � � �� � $�� � � '� �+ �$�� ��� �

• � � ��� � � ����� � � �� � �� �� ��� � � ���� � $$� ��� ��� � ���� � � � ��$� ��� �� ��� $� �� �� ��� �� ��+ �$�� ��� �

• �$���� �� �� '� �$� �$�� � � �� ��+ �$�� ��� ���

4 2 �$� �$�� �

��$��� '� �� � � �� �� � �� ��$����$�� � � �� ��$�� ��� �� � �� ��$� ��� �� ��+ �$�� ��� ��� � � �$� �� � $� ��� � � �$� �� �$� ���$���� � � �'��� � �� �

4 2 ���� ��� � �$�� �� ����� �� � $�0 � �� �� � �� �� � �� ��$����$�� � � �� �$� ��� �� � � � ��� $���� � � ��� $$���� ���� � � �� �������"�� � $$��, � �$� ����� � ��� � �� �� � $$� ��� ���� � � �� � ���� ��� � ��

2 9 ��� ��� � + �� �

��

�$���� �� �� '� �$� ���$���� � � � �� '���� � �$� �� � �� ���� � ������� �$� ��� $���� � �� �� ���� � ����# � �� ���� ��� �� )�

4 8 ��� ��� � + �� �

��$��� '� �� � � �� �� � �� ��$����$�� � � �� ��$�� ��� �� � �� ��$� ��� �-�� �� ������"��$�+ �$�� ��� � $� ��� � � �$� � �� ���� � ����� �� ���� ��� �� ��� ��$� ��� ��� $$� ������$$� �� �� � '�� �� ��-�� �� ��� � + + $����

��� �� ������� � $�/ �$�� ��� �� �� � $�0 � �� �� � �� �� � ��� � �$���� $���� � � � �� '���� � �$� �� � �� ���� � ����� �

161

2 �� ��� + �� � ����� �� �$���� ���� � � � ��$�� � � ���� �� ��+ �$�� ��� �

4 2 �� ��� + �� � �$��� '� �� � � � % � �� �� � ���� �� � �� $�� ��� �� � �� ''� � �� � � �� �� ��'������� � � ��$�+ �$�� ��� ����� ����� �

2 9 �� � '� � + �� � �� � ������ � � ��� ���� � ��$� �� � �� � �$� ������ $��� ��� � �� � � � �� ��$���� � � �� � � ��� � ��$� ��� � � ��� � ����� � � �-�� �$� �� ���� ��� �$� �� � ��� �� �� �$� �� � �� �� � $$&� �� ������ ��� ��� ��� �

4 8 �� � '� � + �� � ��$�� �� ����� �� � $�0 � �� �� � �� �� � ����$����$� � � � �� �$� ��� ��� ��� $���� � � ��� $$���� ���� � � �� ��������

4 2 �� ��� � + �� � ���� � � � ����� �� �� ��� �� �� ���� � ��$&� �� '���� � � �� � $�+ �$�� ��� "�����# �� � � �$&� �� ������ �-�� �� ������ �

Anche questa profonda razionalizzazione temporale, tuttavia, risultava

solo parzialmente risolutiva dello stato di incertezza e di promiscuità in cui

versavano i procedimenti di approvazione dei due principali strumenti dell’intera

manovra.

La dissociazione temporale tra il disegno di bilancio a legislazione vigente,

da presentare alle Camere entro il 31 luglio e il disegno di legge finanziaria, da

presentare entro il 30 settembre262, creata allo scopo di evidenziare le risultanze

dell’equilibrio annuale senza le innovazioni apportate dalla finanziaria, si rivelava,

tuttavia, in larga parte infruttuoso e comunque poco concreto, in quanto i due

provvedimenti finivano col nascere e il perfezionarsi parallelamente, in modo,

che, inevitabilmente, i contenuti del disegno di legge finanziaria finivano con

l’essere trasfusi nel disegno di legge di bilancio, mediante le apposite note di

variazioni.

Proprio per queste circostanze i regolamenti delle due Camere adeguavano

i procedimenti parlamentari al nuovo iter, in modo che le Commissioni di merito e

la Commissione di bilancio, attraverso un’istruttoria preventiva per acquisire gli

elementi conoscitivi necessari per una discussione congiunta dei due disegni di

262 Unitamente alla relazione previsionale e programmatica, al bilancio pluriennale programmatico e ai disegni di legge collegati ( V, schema sopra riportato e art. 1 bis della legge 468 del 1978, introdotto dalla legge n. 362 del 1988 ).

162

legge “sostanzialmente liberata da problemi tecnici di chiarificazione dei metodi

di costruzione della previsione” e per facilitare “le possibili scelte allocative”263.

La ridisciplina del 1988 veniva, inoltre, costantemente superata dalla

prassi di lavoro di entrambe le Camere che procedevano regolarmente ad una

primo esame del disegno di legge finanziaria e solo successivamente veniva preso

in considerazione il testo del progetto di bilancio a legislazione vigente.

Questa prassi, costituiva la diretta ed immediata conseguenza della

tipologia di fonte utilizzata per realizzare la riforma.

Le norme dettate a livello di legislazione ordinaria, infatti, si rivelavano

completamente inidonee a regolare materie, come l’ordine delle votazioni, per

definizione rientranti nell’ambito della riserva regolamentare di cui all’articolo 64

Cost.

Ecco, allora, che è proprio la modifica regolamentare del 1989 a stabilire

che in Assemblea l’esame deve procedere in modo da garantire una discussione

preliminare degli articoli riferiti alla legge di bilancio, a partire dello stato di

previsione dell’entrata, con cui si fissa il totale complessivo della spesa e, quindi

il totale delle entrate, e, soltanto successivamente procedere agli articoli del

disegno di legge finanziaria e alla votazione finale di quest’ultimo, con le

consequenziali note di variazioni, con cui si riportano in bilancio le modifiche

derivanti dalla finanziaria, per giungere, in conclusione alla votazione finale del

disegno di legge di bilancio264.

In questo quadro, il formale ossequio all’articolo 81 Cost. e ai principi

generali della contabilità pubblica viene, a tutti gli effetti, garantito.

Una scansione razionale dei singoli passi che segnano l’approvazione dei

disegni di legge costituisce, infatti, il presupposto per una determinazione più

consapevole e politicamente responsabile degli equilibri di bilancio e la questione

della copertura della legge finanziaria viene ad assumere connotati anche

procedurali.

263 P. DE IOANNA, Dalla legge n. 468 del 1978 alla legge n. 362 del 1988: note sul primo decennio di applicazione della “legge finanziaria”, Quaderni costituzionali, 1989, pp, 205 ss. 264 Così l’articolo 123 del regolamento della Camera, come modificato il 28 giugno 1989. Mentre il regolamento del Senato prevede una disciplina più esplicita per quanto riguarda l’ordine di votazione degli articoli, prevedendo che “gli articoli del disegno di legge finanziaria sono esaminati e votati secondo l’ordine previsto dalla legislazione vigente, Delle disposizioni del disegno di legge finanziaria sono comunque esaminate e votate per prime, previa discussione e votazione dei relativi emendamenti, quelle che recano il livello massimo del ricorso al mercato finanziario e del saldo netto da finanziare”, cfr. in questi termini l’articolo 129, c. 4, del Regolamento del Senato, come modificato il 30 novembre 1988

163

Lo scrutinio in sede di verifica di copertura della LF diventa una

specificazione dell’indicazione di cui all’articolo 81 quarto comma Cost., sul

terreno del metodo, dell’esigenza, cioè, di costringere il decisore politico ”ad

indicare le fonti di copertura aggiuntive nel momento stesso in cui determinati

oneri da potenziali vengono tradotti in effettive autorizzazioni di spesa annuale,

idonee ad generare flussi di cassa”265.

Questa rinnovata rigidità e l’esigenza di includere nella manovra gli effetti

finanziari di interventi di modifica qualitativi e non meramente quantitativi della

legislazione vigente, ha indotto ad operare una serie di correzioni all’assetto così

costituito, giudicato da più parti troppo rigido266.

Viene così, inaugurata la prassi267 del “collegato di sessione” che, fino alla

modifica del 1999, caratterizza la nostra manovra economica, allo scopo di

restituire alla decisione annuale in materia di spesa pubblica un reale margine di

intervento e di modifica delle grandezze proprie dell’ordinamento vigente.

Con questo strumento molti dei contenuti propri della “finanziaria

omnibus” vengono inseriti in questo documento, seppur nei limiti fissati dal DPEF

e dalle risoluzioni ad esso strumentali.

265 P. DE IOANNA, Dalla legge n. 468 del 1978 alla legge n. 362 del 1988: note sul primo decennio di applicazione della “legge finanziaria”, Quaderni costituzionali, 1989, p 226. 266 R. D’ALIMONTE parlava in proposito di “rinuncia alla flessibilità garantita da una legge finanziaria molto duttile” , Il processo di bilancio in Italia, Scienza dell’amministrazione e politiche pubbliche, a cura di G. FREDDI, Roma, 1989, pp. 202 ss. 267 Sulla base del duplice operare di DPEF-risoluzioni parlamentari e sull’ambiguità della disciplina dei provvedimenti collegati.

164

CAPITOLO IV

La legge n. 208 del 1999 e la nuova disciplina della sessione

di bilancio.

SOMMARIO: 4.1. I primi anni Novanta: un sistema ancora da migliorare. 4.2. La legge n. 208 del 1999: la riorganizzazione temporale del procedimento. 4.3. Profili contenutistici. 4.4. La concreta redazione del bilancio nella fase pre-parlamentare 4.4. a) Il bilancio di previsione 4.4. b) Il disegno di legge finanziaria 4.4. c) L’ordine delle votazioni 4.5. Il procedimento di approvazione parlamentare. 4.5. a) La fase preliminare. 4.5. b). L’esame in commissione di merito. 4.5. c) L’esame in commissione bilancio. 4.4. d) L’esame in Assemblea. 4.6. Procedure finanziarie e forma di governo: tendenze evolutive. 4.7. Decretazione d’urgenza e delegazione legislativa: deviazioni dal modello procedurale creato dalla Legge n. 208. 4.8. Maxi-emendamenti e questione di fiducia

4.1. I primi anni Novanta: un sistema ancora da migliorare.

A poca distanza dall’intervento riformatore dell’88, la situazione

economica e l’assetto finanziario dei conti pubblici non consentivano letture

ottimistiche dei primi anni di applicazione della nuova disciplina.

La grave crisi valutaria del 1992 veniva interpretata non solo come un

chiaro indice dell’incapacità del Governo di gestire le situazioni di emergenza

economica, ma anche come dimostrazione dell’inidoneità del nuovo assetto

regolatorio a consentire un effettivo margine di intervento in capo all’Esecutivo,

in grado di porre le fondamenta per una solida programmazione economica e un

efficace piano di risanamento della finanzia pubblica.

La nuova configurazione della legge finanziaria, “snella e quantitava”268,

impedendo di fatto ogni margine di intervento effettivo in capo agli Esecutivi, in

sede di definizione annuale degli equilibri di bilancio, da un lato si prestava alle

critiche di quanti sostenevano la completa inutilità di un ulteriore strumento da

affiancare al bilancio annuale di previsione, dotato delle pressoché identiche

268 N. LUPO, Costituzione e bilancio, L’articolo 81 della Costituzione tra interpretazione, attuazione e aggiramento, Roma, 2007, p. 89.

165

funzioni e sottoposto ai medesimi limiti269, dall’altro favoriva la nefasta prassi

parlamentare dei c.d. “collegati di sessione”, strumenti legislativi ordinari inseriti

all’interno della sessione di bilancio e includenti le operazioni più disparate ed

eterogenee, nel tentativo di inserire in quella sede tutto il complesso di

stanziamenti ormai preclusi in sede di legislazione finanziaria270.

Il c.d. “collegato di sessione”, prefigurato dalle risoluzioni di

Commissione approvate nel 1986271, in realtà, deve essere fatto risalire

all’intervento legislativo del 1988 e al successivo recepimento da parte degli

articoli 126 bis, Reg. Sen e 123 bis, Reg. Cam272, introdotti con le novelle del 30

novembre e del 28 giugno 1989, ma soltanto la sua evoluzione degenerativa ha

costituito un serio problema per il corretto funzionamento della sessione di

bilancio nel decennio successivo alle legge n. 362.

L’introduzione di questo strumento deve essere ricollegato alla pressante

esigenza, avvertita durante il decennio di applicazione della c.d. “finanziaria

omnibus”, di una più netta tipizzazione dei contenuti dei documenti contabili di

fine esercizio, allo scopo di definire il concreto discrimine tra la legislazione di

269 P. DE IOANNA, Dalla legge n. 468 del 1978 alla legge n. 362 del 1988: note sul primo decennio di applicazione della “legge finanziaria”, Quaderni costituzionali, 1989, pp, 205 ss. 270 Sui collegati V. E. COLARULLO, Le leggi collegate alla manovra finanziaria, Quaderni costituzionali, 1993, p. 513 ss, P. DE IANNA- G. FOTIA, Il bilancio dello Stato, Norme istituzioni, prassi, La nuova Italia scientifica, Roma, 1996, p. 55 ss., Sulla previsione dei collegati come mezzo di reazione alla “finanziaria omnibus” V. P. DE IOANNA, Parlamento e spesa pubblica, Bologna, 1993, p. 143 ss In tal senso V. anche P.F. LOLITO, Legge finanziaria, bilancio e provvedimenti collegati. Riflessioni sugli atti normativi e di indirizzo in materia di finanzia pubblica, U. DE SIERVO, Osservatorio sulle fonti 1996, Torino, 1996, pp. 23 ss. 271 ATTI PARLAMENTARI CAMERA, XIII legislatura, Bollettino delle Giunte e delle Commissioni Parlamentari, V Commissione permanente, 10 giugno 1986, p. 11 ( punto II, n. 4 ). 272 Dal punto di vista strettamente concettuale l’art. 123 bis Reg. Cam e 126 bis Reg Sen. stabiliscono due elementi caratterizzanti i “collegati”, la necessità di un’apposita indicazione nel DPEF, come approvato con risoluzione parlamentare, la presentazione alle Camere entro il 30 settembre successivo e la riserva di iniziativa, disciplinata direttamente dalla l. n. 362 a favore del Governo. Sotto il profilo procedurale, invece, al Senato viene stabilito che la discussione dei disegni di legge collegati è organizzata dalla Conferenza dei Capigruppo facendo obbligatoriamente applicare la disciplina del contingentamento dei tempi già previsto in generale dall’articolo 55, comma 5. Alla Camera la procedura dei tempi garantiti, pur non essendo così rigidamente prevista come al Senato, viene rimessa all’iniziativa del Governo, il quale, ai sensi dell’articolo 123 bis comma 2 “può richiedere che la Camera deliberi entro sul rpogetto di legge entro un determinato termine, riferito alle scadenze connesse alla manovra finanziaria complessiva”, In tal senso Cfr. M. CECCHETTI, La disciplina genrale del procediemnto legislativo ( artt. 91, 95 e 96 9, V. ATRIPALDI, R. BIFULCO, La Commissione bicamerale per le riforme costituzionali della XIII legislatura. Cronaca dei lavori ed analisi dei risultati. Torino, 1998, p. 473 ss. Dall’esame delle risoluzioni parlamentari approvate, che viene emergendo a partire dalla sessione di bilancio del 1991, è possibile distinguere tra i disegni di legge dollegati “fuori sessione”: i primi sono quei disegni di legge che la risoluzione di approvazione del DPEF prescrive siano esaminati nel corso della sessione di bilancio, in quanto contenenti le modificazioni normative necessarie alla realizzazione della manovra finanziaria, i secondi, invece, se pur variamenti connessi da un punto di vista contabile alla manovra stessa, rimangono concettualmente distinti ed estranei rispetto ad essa.

166

bilancio-finanziaria e gli strumenti legislativi ordinari, la cui funzione deve

necessariamente limitarsi all’organizzazione, puntuale e per settori omogenei di

competenza, di misure destinate a produrre effetti finanziariamente rilevabili a

decorrere dal primo anno del bilancio pluriennale.

Ma la stessa architettura del sistema, delineata dalla riforma dell’88 si

prestava ad un naturale ed inevitabile trasferimento di ruoli, funzioni e

competenze dalla legislazione finanziaria al provvedimento collegato, tendendo ad

una progressiva ed ineliminabile migrazione contenutistica dall’uno all’altro

strumento.

Questa circostanza finiva con il riprodurre per i documenti collegati la

stessa difficoltà di preventiva determinazione della materia oggetto di manovra,

riscontrata per la finanziaria non tipizzata.

Inizialmente il carattere settoriale del provvedimento aveva favorito una

lettura non eccessivamente pessimistica della figura, in quanto proprio questa

rigida distinzione e tipizzazione contenutistica avrebbe consentito la trattazione

nella sede naturale della commissione di merito, pur nello stesso orizzonte

temporale della sessione273, attraverso il meccanismo del contingentamento dei

tempi, oppure successivamente, ma in ogni caso prima della predisposizione del

DPEF relativo all’anno successivo, attraverso gli accantonamenti negativi.

Ma il disegno originario della riforma dell’88: elencazione e definizione

della cornice dei provvedimenti collegati con il DPEF, presentazione dei collegati

nel mese di ottobre, approvazione entro dicembre di quelli maggiormente

connessi alla decisione di bilancio, unitamente ai provvedimenti di attivazione

degli accantonamenti negativi e presentazione ed approvazione dei restanti

collegati e dei relativi provvedimenti di attivazione degli accantonamenti negativi,

nel periodo tra gennaio e maggio, prima della presentazione del successivo DPEF,

evidenzia pressoché immediatamente le sue disfunzioni strutturali.

Già nel 1990 questo modello entra in crisi: quattro provvedimenti, non

pervenendo all’approvazione entro l’anno successivo vengono a sovrapporsi ai

cinque collegati progettati per il ’91.

273 E. COLARULLO, Le leggi collegate, cit. p. 525, ricorda che nel 1990 la Corte dei Conti aveva suggerito di inserire i collegati nella sessione di bilancio.

167

Questo fenomeno, aggravandosi progressivamente nel corso degli anni

seguenti274, favorisce la degenerazione del documento di settore, in un

provvedimento di natura eterogenea unificato dal labile ed incerto confine

finalistico del c.d. “miglioramento dei saldi di bilancio”275.

Ecco, allora che all’originaria figura del “collegato di settore” viene

progressivamente sostituito il “collegato omnibus” che finisce con l’includere tutti

i contenuti compresi nella finanziaria tipica del decennio ’78-’88, seppur

formalmente delimitato dal punto di vista finalistico e circoscritto agli interventi

in grado di consentire un contenimento del disavanzo di cassa o di competenza276.

In realtà questi documenti si traducono, in breve tempo, in una comoda

occasione per introdurre riforme legislative di vasto raggio, con una finalizzazione

soltanto indiretta al risanamento della finanza pubblica, tanto da conquistare

l’appellativo di “mostri legislativi”277.

Questi inconvenienti procedimentali, queste degenerazioni nel quadro

delle fonti proprie della sessione di bilancio, ma anche il mutato quadro

istituzionale in cui si viene a trovare il nostro Paese, tra la svolta del sistema

274 Nel ’92 il processo si accentua, con una sequenza molto stretta di manovre di bilancio, che registra quattro collegati di sessione: la legge 23 dicembre 1992, n. 498, recanti interventi urgenti in materia di finanza pubblica, il decreto legge n. 394 del 1992, il decreto legge n. 384 del 1992 e la legge n, 421 del 1992, recante delega al governo in materia di Sanità, pubblico impiego, previdenza e finanza territoriale). Va ricordato che sul terzo e sul quarto di tali disegni di legge il Governo pose, sia alle Camera che al Senato, la questione di fiducia su ciascun articolo, rendendo, quindi, inemendabili gli interi testi. Cfr. sul tema, N. LUPO, Le deleghe del governo Amato in Parlamento, Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1994, I, pp. 96 ss. 275 Le risoluzioni sul DPEF, a partire dal 1992, nell’intento di tipizzare e di contenere in qualche modo questa pessima prassi, introducono questo concetto proprio allo scopo di concentrare gli interventi di correzione della legislazione sostanziale, correlati al conseguimento degli obiettivi non rientranti nel contenuto proprio del disegno di legge finanziaria, in un unico disegno di legge, caratterizzato dall’esclusiva finalità del contenimento delle grandezze di finanza pubblica. Ciascuna disposizione del provvedimento collegato avrebbe dovuto in tal modo, specificare l’apporto alla riduzione del saldo netto da finanziarie del bilancio, del fabbisogno del settore statale e dell’indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni, mentre il miglioramento dei saldi, determinato dalle singole disposizioni e riepilogato in un’apposita tabella, allegata alla finanziaria, avrebbe dovuto essere assunto come parametro per la dichiarazione di inammissibilità degli emendamenti. Ma l’unica sanzione prevista per l’inosservanza di queste regole, rappresentata dallo stralcio preliminare del presidente dell’Assemblea, su proposta della Commissione bilancio, risulta molto inusuale a causa dell’indeterminatezza dei confini del provvedimento. 276 Quest’ultimo limite dal punto di vista funzionale e finalistico, indicato per la prima volta nella risoluzione di approvazione del DPEF per il 1993-1995 e confermata in tutte le risoluzioni degli anni successivi, contribuisce alla configurazione del c.d. “collegato di contenimento”, divenuto il fulcro della sessione di bilancio 277 Così i vari Esecutivi tanto di centro-destra, quanto di centro-sinistra si servivano del collegato di sessione per realizzare riforme strutturali, V. in proposito i c.d. “collegati ordinamentali”, tra cui si segnalano la legge n. 537 del 1993, la l. n. 549 del 1995 e la l. n. 662 del 1996, facendo leva anche sulla mancata previsione per questi ultimi, di limiti di contenuto analoghi a quelli stabiliti per la legislazione finanziaria. L’espressione “mostri legislativi” con riferimento ai provvedimenti collegati appartiene a R. DICKMANN, Procedimento legislativo e coordinamento delle fonti, Padova, 1997, pp. 283 ss.

168

elettorale maggioritario e l’ingresso nella terza fase dell’unione economica e

monetaria europea, rendono necessaria l’ulteriore revisione delle procedure di

approvazione del bilancio statale e dei documenti a questo strettamente connessi.

Il referendum elettorale del 1993, sollecitando l’approvazione

parlamentare di nuove regole per l’elezione della Camera e del Senato su base

strettamente maggioritaria,finisce con l’evidenziare maggiormente l’inidoneità del

quadro delineato nel 1988 a garantire strumenti efficaci a favore dell’esecutivo, in

grado di incidere in modo significativo sulla situazione economica del Paese.

Questa svolta del sistema politico, infatti, determinando un sistema

decisionale basato un modello conflittuale di relazioni tra maggioranza e

opposizione278, presuppone che l’Esecutivo sia posto concretamente nella

condizione di evidenziare il suo programma politico e di renderlo effettivo con

una manovra economica efficace e realizzabile in tempi rapidi.

In quest’ottica deve leggersi la riforma del giugno del 1999 che,

nell’intento di razionalizzare nuovamente i contenuti dei documenti della sessione

di bilancio, provvede ad un rinnovato arricchimento del contenuto normativo della

legge finanziaria, contribuendo così al progressivo venir meno della sua

connotazione tipicamente “quantitativa”.

4.2. La legge n. 208 del 1999: la riorganizzazione temporale del

procedimento.

Il processo di riforma inaugurato con il testo del 1999 deve, in realtà,

necessariamente riferirsi a tutto il percorso di progressiva evoluzione nel sistema

delle regole di approvazione dei documenti contabili, iniziato nel 1992, con la

nuova fase del processo di integrazione comunitaria.

L’intera sessione di bilancio assume, infatti, una nuova organizzazione pur

a legislazione e a regolamenti parlamentari invariati, utilizzando il duttile

strumento delle convenzioni costituzionali e al precipuo scopo di razionalizzare ed

incrementare il livello di efficienza ed efficacia del processo decisionale279.

278 Cfr. T.E. FROSINI, Forme di governo e partecipazione popolare, Torino, 2003, pp. 14 ss. 279 L’estrema rilevanza di questa fase e dell’incidenza di questo percorso sulla riforma del 1999 è confermata da parte della dottrina che ha ravvisato in tale periodo una vera e propria “nuova fase dell’evoluzione iniziata nel 1978, in questo senso Cfr. M. V. LUPO’ AVAGLIANO, Dalla legge finanziaria ai provvedimenti collegati di finanza pubblica, limiti di una riforma, Giur. Cost., 1994, pp. 1440 ss.; P. F. LOLITO, Legge finanziaria, bilancio e provvedimenti collegati, Riflessioni sugli

169

Parallelamente le fondamenta delle innovazione introdotte con la legge n.

208 devono essere individuate nel quadro della riforma amministrativa registratasi

nella seconda metà degli anni ’90, la legge del 3 aprile 1997, n. 94, i decreti

legislativi 7 agosto 1997, n. 279 e 5 dicembre 1997, n. 430, che contribuiscono ad

una profonda rivisitazione dell’intero sistema di bilancio statale, soprattutto dal

punto di vista strutturale e dal punto di vista di vista soggettivo, mutando

l’apparato governativo di riferimento per l’elaborazione degli strumenti de

quibus280.

Dal punto di vista della genesi del documento, invece, le fondamenta della

riforma devono farsi risalire ad un lavoro istruttorio, realizzato dalle Commissioni

bilancio dei due rami del Parlamento, dietro impulso delle presidenze di Camera e

Senato e d’intesa tra le forze politiche di maggioranza e di opposizione281, ma il

dato di maggior rilievo è rappresentato proprio dal rapporto elaborato dal gruppo

di lavoro coordinato dal prof. Amato, dove vengono evidenziate le priorità da

raggiungere con il nuovo assetto procedurale del ciclo di bilancio e dove vengono

evidenziate le più pressanti esigenze da soddisfare.

In questo documento si legge la pressante insoddisfazione per l’eccessiva

macchinosità dell’iter approvativo del bilancio e l’inadeguatezza del sistema ad

adempiere compiutamente ai nuovi obiettivi prospettati a livello comunitario,

mentre in sede governativa la Commissione tecnica per la spesa pubblica, su

incarico del Ministro del Tesoro provvede a sottolineare le esigenze di

semplificazione della macchina amministrativa statale282.

atti normativi e di indirizzo in materia di finanza pubblica, Osservatorio sulle fonti, U. DE SIERVO ( a cura di ), Torino, 1996, pp. 14 ss; M. ZANGANI, I recenti sviluppi delle procedure parlamentari di bilancio: la terza fase dell’evoluzione in atto, Il parlamento nella transizione, S. TRAVERSA, A CASU ( a cura di ), Milano, 1998, pp. 137 ss. 280 Dal punto di vista strutturale, viene, infatti, introdotta la nuova configurazione del bilancio in unità previsionali di base, mentre dal punto di vista soggettivo con questi interventi normativi viene disposta l’unificazione del Ministero del Tesoro e del Ministero del bilancio e della programmazione economica. 281 Cfr. A.C. XIII legisl, V Comm., 20 gennaio 1999, pp. 56 ss e 10 febbraio 1999 pp. 73 ss., direttamente derivanti da questo lavoro sono gli artt. 2, 3, e 4 della legge, mentre l’articolo 1 si limita a riprodurre, con alcune modificazioni le due previsioni originarie, alle quali vengono successivamente aggiunte altre due disposizioni di cui l’una volta a coinvolgere la Commissione bicamerale consultiva per la riforma del bilancio statale, nella predisposizione dei regolamenti di organizzazione del Ministero del Tesoro, del bilancio e della programmazione economica e l’altra contenente una delega legislativa per l’adeguamento del sistema contabile regionale. 282 GRUPPO DI LAVORO, coordinato DAL PROF. GIULIANO AMATO, Il Mezzogiorno nella politica generale del dopo-Euro, febbraio 1999, paper. E per l’aspetto di razionalizzazione della spesa pubblica, COMMISSIONE TECNICA PER LA SPESA PUBBLICA, Razionalizzazione e semplificazione dei documenti e della procedure contabili, ottobre 1998, paper, Per una rassegna ragionata di questi temi Cfr. per tutti, A PALANZA, Una nuova legge e un ordine del giorno per la riorganizzazione

170

Gli interventi apportati dalla legge n. 208 devono quindi essere interpretati,

proprio in questo senso e lo stesso riassetto temporale del ciclo annuale della

manovra di bilancio rileva l’intento di assicurare una maggiore incisività alla

politica di programmazione di indirizzo governativo. La definizione dei tempi e

delle modalità di approvazione dei singoli documenti assume, in questo

procedimento definito da un’autorevole dottrina “motorizzato”283, un’importanza

capillare, costituendo il momento in cui le regole istituzionali tentano di guidare e

controllare le dinamiche socio-politiche.

Ecco allora che lo spostamento della data di presentazione del DPEF dal

15 maggio al 30 giugno si muove nell’intento di minimizzare il rischio di

obsolescenza delle previsioni ivi contenute, ma altresì nell’intento di concentrare

l’esame di tutti i documenti di bilancio nella seconda metà dell’anno solare,

posticipando a luglio la c.d. “sessione macroeconomica”284.

Per mitigare tale differimento e i possibili inconvenienti derivanti dalla

probabile sovrapposizione temporale di questo documento con i disegni di legge

approvativi del rendiconto e dell’assestamento, ma soprattutto dall’ulteriore

slittamento del termine di presentazione del disegno di legge di bilancio al 30

settembre, viene mantenuta la possibilità per il Governo di presentare, ai sensi

dell’art. 118 bis del regolamento della Camera, la c.d. “nota di aggiornamento”

del DPEF, prima dell’approvazione della finanziaria e del bilancio di previsione,

“qualora lo richiedano eventi imprevisti”.

L’esigenza di ancorare il ciclo di bilancio e la manovra economica

nazionale alle direttive di programmazione impartite a livello comunitario e

comunque la necessità di predisporre una linea di congiuzione tra i diversi livelli

di controllo della finanza pubblica si ravvisa nella previsione introdotta

dall’articolo 3 comma 4 bis della legge 469 del 1978, che sempbra proprio creare

questo collegamento tra i meccanismi di armonizzazione finanziaria dei paesi

membri e le decisioni assunte a livello nazionale.

Il Governo viene infatti, incaricato di trasmettere alle Camere una nota

informativa in occasione della presentazione del programma di stabilità nazionale

del processo di bilancio come metodo della politica generale, Rassegna Parlamentare, 1999, pp. 635 ss. 283 Così, A. MANZELLA, Il Parlamento, Bologna, 2003, pp. 258 ss. 284 Cfr. ad esempio M. OLIVETTI, Le sessioni di bilancio, Il Parlamento repubblicano, (1948-1998) S. LABRIOLA ( a cura di ), Milano, 1999, pp. 580 ss.

171

agli organismi dell’UE, con specifico rilievo e apposita motivazione sulle

eventuali discordanze dal DPEF.

Come accennato in precedenza, inoltre, il termine di presentazione del

disegno di legge di approvazione del bilancio a legislazione vigente torna a

coincidere con il termine di presentazione del disegno di legge finanziaria.

Com’è noto, infatti, il legislatore dell’88 aveva provveduto alla rigida

distinzione temporale dei due momenti, allo scopo di garantire un preventivo

esame della decisione in tema di equilibrio, per poi rinviare a settembre le

eventuali variazioni ( da evidenziare mediante la relativa nota ), apportate dalla

finanziaria.

Nella prassi parlamentare, tuttavia, queste scansioni differenziate del

momento di presentazione del bilancio e della finanziaria, non avevano prodotto

gli effetti sperati, finendo col determinare una sorta di esame congiunto ed

intrecciato, complice della progressiva perdita di trasparenza dell’intero

procedimento approvativo285.

Proprio per evitare questa promiscuità nel procedimento di

approvazione286 e anche in risposta alla posticipazione del termine di

presentazione del DPEF che avrebbe favorito un’ulteriore sovrapposizione forse,

in parte, ancora più irrazionale, data la netta differenziazione contenutistica dei

due documenti, la riforma del ’99 riavvicina nuovamente i due provvedimenti,

consentendo la presentazione del disegno di legge di bilancio entro il medesimo

termine previsto per la finanziaria287.

Il riassetto procedurale della manovra diventa ancor più indicativo

dell’intento di superare le difficoltà sostanziali insite nel sistema di bilancio

285 Cfr. G. FOTIA, Progetto di bilancio a legislazione vigente e proposta di bilancio, Crisi fiscale ed indirizzo politico, F. BASSANINI, S. MERLINI ( a cura di ), Bologna, 1995, pp. 435 ss. 286 Dovuta anche alla circostanza per cui il disegno di legge di bilancio veniva presentato in concomitanza con la chiusura estiva dei lavori parlamentari. 287 Parallelamente e quasi a compensazione del maggior arco temporale a disposizione del Governo per la stesura del documento di bilancio, due ordini del giorno provenienti dalle Commissioni bilancio, Camera e Senato ed accolti a livello di Esecutivo, hanno impegnato il Governo a presentare entro il 15 luglio di ciascun anno, alle Camere e alla Conferenza unificata, “elementi informativi sulle previsioni di bilancio a legislazione vigente per l’anno successivo, tali da fornire un quadro sistematico e commentato” e tale da “diventare lo schema sulla base del quale avrà luogo l’informazione permanente del Governo al Parlamento”, così l’o.d.g n. 9/4354 quinquies B/6, in Atti Camera, XIII legislatura, 17 giugno 1999, All. A, p. 11 ). Allo scopo di ottenere dal Governo, prima della sospensione estiva, un documento contabile che, seppur a fini meramente conoscitivi e senza originare alcuna specifica procedura parlamentare di esame, che consenta una lettura agevole da parte dell’organo espressione della sovranità popolare.

172

vigente prima della riforma, quando il legislatore del ’99 delinea le nuove

modalità e i termini di presentazione dei c.d. “provvedimenti collegati”.

Come già osservato, infatti, la prassi del collegato di sessione rischiava di

eludere l’intera disciplina fissata dalla L. 362 e la finanziaria quantitativa con essa

delineata finiva col risultare inutilmente ed eccessivamente rigida nel suo

contenuto tipico, proprio a fronte dell’estrema indeterminatezza e dell’assenza

pressoché totale di limiti procedurali e contenutistici di questi provvedimenti

collegati.

Ecco allora che il termine del 15 novembre stabilito dal legislatore del

1999 deve essere letto come un chiaro indice della volontà di distinguere in modo

netto la figura di questi documenti dal disegno di legge di bilancio a legislazione

vigente e da quello della finanziaria: la dilazione del termine di presentazione

permette, infatti, di slegare la discussione e l’approvazione dei collegati dalla

sessione di bilancio e quindi dalla sede precipuamente dedicata all’esame e

all’approvazione dei documenti contabili di fine esercizio.

Si tenta, così, una prima razionalizzazione della situazione

progressivamente creatasi dopo i primi anni di applicazione della legge n. 362,

quando, a seconda delle indicazioni contenute nel binomio DPEF-risoluzioni

parlamentari i provvedimenti collegati potevano venir esaminati nel corso della

sessione di bilancio (i c.d. collegati di sessione), oppure originare discussioni

distinte e approvazioni dilazionate nel tempo (i c.d. collegati fuori sessione),

venendo spesso a determinare un continuo stratificarsi di provvedimenti riferibili

a periodi di tempo incongruenti e non comparabili288.

L’operazione del 1999 è chiara: con la soppressione di ogni riferimento

termporale a settembre per i disegni di legge collegati alla manovra di finanza

pubblica con decorrenza dal primo anno considerato nel bilancio pluriennale e con

la precisazione del 15 novembre come termine perentorio di presentazione di tutti

i disegni di legge collegati, il legislatore intende eliminare l’ambigua figura del

collegato di sessione e ricondurre i suoi contenuti, ove compatibili con i limiti

legislativamente prescritti, all’interno della legge finanziaria.

288 Con riferimento alla situazione di ambiguità venutasi a creare dopo l’applicazione della Legge n. 362 si Veda, P. DE IOANNA, Parlamento e spesa pubblica, Bologna, 1993, pp. 148 ss., E. COLARULLO, Le leggi collegate alla manovra finanziaria, Quaderni costituzionali, 1993, pp. 513 ss. e altresì, G. M. SALERNO, Legge finanziaria (voce), Enciclopedia giuridica, Roma, 1998, p. 12. e, più in generale, M. ZANGANI, I provvedimenti collegati alla finanziaria nel Regolamento della Camera: disegno normativo ed evoluzione interpretativa, Il Parlamento della Repubblica, Organi procedure e apparati, Roma, 1998, pp. 172 ss.

173

Il profilo più strettamente temporale viene, così, ad intrecciarsi con le

innovazioni contenutistiche apportate dalla riforma degli anni ’90 e alla revisione

procedurale si affianca una nuova nozione di “legge finanziaria”.

4.3. Profili contenutistici.

La norma oggetto ridefinizione è ancora una volta quell’articolo 11 della

legge 468 del 1978 tanto studiato e tanto discusso dalla dottrina giuscontabile e

così variamente applicato dalla prassi parlamentare.

Per quanto riguarda la parte normativa della legislazione finanziaria,

infatti, è il terzo comma di questa disposizione che prevede che le norme con

effetti positivi per la finanza pubblica, che comportino cioè aumenti di entrata o

riduzioni di spesa, possono qualificarsi ammissibili se non contengono

disposizioni a “carattere ordinamentale, ovvero organizzatorio”, salvo che queste

si caratterizzino per “un rilevante contenuto di miglioramento dei saldi”289.

Mentre le norme con effetti negativi, che comportino cioè un aumento della spesa

o riduzioni delle entrate, vengono ammesse solo a condizione che il loro

contenuto sia “finalizzato direttamente a sostegno o a rilancio dell’economia,

restando esclusi “gli interventi di carattere localistico o microsettoriale”290.

Anche da un primo sguardo a questa riorganizzazione contenutistica

emerge l’intento della riforma: ammorbidire i rigidi limiti contenutistici inseriti

nel provvedimento del 1988 ed includere in finanziaria molti interventi che

altrimenti avrebbero costituito oggetto di provvedimenti separati e non

adeguatamente garantiti sotto il profilo temporale e procedimentale.

L’operazione mira, quindi, ad evitare le degenerazioni tipiche del decennio

’78-‘88, occultate durante il decennio successivo dalla prassi dei collegati di

sessione, nell’intento, tuttavia, di non riversare in finanziaria tutte le operazioni

realizzabili con i provvedimenti collegati e cercando di pervenire ad una

riorganizzazione complessiva in grado di dotare di una flessibilità maggiore in

sede di definizione degli obiettivi e dei programmi economici, pur nel rispetto dei

principi costituzionali.

289 Cfr. art. 11, comma terzo, lettera i) bis, della legge 468 del 1978, come modificato dalla legge n. 208 del 1999. 290 Cfr. art. 11, comma 3, lettera i) ter della legge 468 del 1978, come modificato dalla legge n. 208 del 1999.

174

Lo stesso dettato letterale del nuovo terzo comma dell’articolo 11, tuttavia,

si presta immediatamente ad alcuni dubbi interpretativi

Da un lato, infatti, viene aperto l’ingresso alle operazioni comportanti meri

tagli di spesa291, dall’altro la concreta definizioni delle iniziative ammissibili

diventa sempre più complessa, con l’inserimento di un elemento per natura

discrezionale e non determinato quale il concetto di “rilevante contenuto di

miglioramento dei saldi” e rende ancora più delicato il compito dei presidenti di

assemblea in sede di stralcio delle disposizioni estranee al contenuto proprio del

disegno di legge e in sede di giudizio di ammissibilità degli emendamenti292.

Anche per le decisioni peggiorative sulla situazione della finanza pubblica

e che quindi comportino un aumento della spesa o una diminuzione delle entrate,

la dizione legislativa appare tutt’altro che univoca, soprattutto nella parte in cui

inserisce come limite finalistico il sostegno o il rilancio dell’economia,

escludendo “interventi di carattere localistico o micro-settoriali”.

L’intenzione di escludere le micro-decisioni di spesa appare chiaro, ma la

concreta definizione di questo concetto resta tutt’altro che agevole, così come la

valutazione di una norma al fine di determinare se essa persegua direttamente,

oppure soltanto indirettamente, effetti di sviluppo economico.

Viene inoltre prescritto, forse in maniera maggiormente intelligibile, la

necessaria decorrenza ed efficacia temporale delle previsioni contenute in

finanziaria, stabilendosi che essa contiene norme tese a realizzare effetti finanziari

con decorrenza dal primo anno considerato nel bilancio pluriennale e,

parallelamente si chiarisce il divieto di istituire a mezzo di finanziaria norme di

delega o di carattere ordinamentale ovvero organizzatorio, quasi a voler porre

l’accento sul necessario carattere contingente e congiunturale della normativa ivi

contenuta293.

291 In proposito parte della dottrina parla di “mutamento genetico” con riferimento alla portata di queste riforme del ciclo del bilancio. La natura dei provvedimenti di contenimento della spesa, infatti, viene progressivamente mutando e alle “razionalizzazioni e le riforme di settore” vengono sostituiti i c.d. “tagli”, Cfr. P. GIARDA, Controllo della spesa pubblica e procedure di bilancio in Italia: alcuni recenti sviluppi, Mercato, Stato e giustizia sociale. Scritti in onore di G. Mazzocchi, Milano, 1997, pp. 243 ss. 292 Per una lettura restrittiva di tale espressione Cfr. G. POLILLO, Politiche pubbliche e vincoli finanziari nella riforma della L. 468 del 1978, Rassegna Parlamentare, 1999, pp. 660 ss. 293 Alcune modifiche sono, inoltre state rivolte alla parte tabellare della finanziaria, al fine di rendere la manovra, “più flessibile e orientata al sostegno dello sviluppo”, Cfr. Atti Camera, XIII legislatura, n. 4354- quinquies- C, p. 3. La tabella C, infatti, ove vengono determinate, per il triennio, ai sensi dell’articolo 11 comma 3, lett. d) della legge n, 468 del 1978, le quantificazioni degli oneri derivanti da leggi di spesa permanente che rinviino alla legge finanziaria, viene ora divisa in due parti, a seconda che si riferisca a spese di natura corrente oppure di conto capitale.

175

Per quanto riguarda il complesso problema dei documenti collegati e della

concreta definizione del loro contenuto, già da una prima lettura delle modifiche

apportate dalla riforma emerge la modesta portata innovativa delle disposizioni

introdotte.

Viene stabilito, da un lato, che il DPEF indichi, in luogo degli “indirizzi

per gli interventi”, contenuti nei provvedimenti collegati, la loro “articolazione”,

quasi a voler evocare un maggior grado di dettaglio nelle previsioni del

documento di programmazione e nelle risoluzioni da approvare, mentre dall’altro

viene prescritta la necessità di un oggetto unitario, di “disposizioni omogenee per

materia”.

Questa previsione è formulata al chiaro scopo di superare la pessima prassi

dei collegati di settore eterogenei ed ambiguamente inseriti all’interno della

manovra economica annuale, beneficiando quindi del regime procedurale

semplificato e dell’iter approvativo “motorizzato”294.

Nonostante gli ancora evidenti limiti propri di questa revisione legislativa,

la riforma degli anni ’90 procede finalmente ad una prima razionalizzazione del

settore, individuando due ambiti rigorosamente separati e distinti, delimitati dal

profilo strutturale e contenutistico: la manovra finanziaria vera e propria, cui

riservare l’insieme degli interventi in funzione anticongiunturale295, sia che essi si

muovano in senso restrittivo che in senso espansivo e gli interventi di natura

strutturale da affidare alla legislazione ordinaria mediante i provvedimenti

collegati, assicurandone un esame tempestivo, ma al tempo stesso approfondito

del Parlamento.

Queste rivisitazioni sono seguite dall’obbligata revisione dei regolamenti

parlamentari che interviene alla Camera con deliberazione del 20 luglio 1999 e al

Senato con deliberazione del 21 luglio dello stesso anno.

La riorganizzazione contenutistica delle operazioni realizzabili tramite la

manovra economica annuale e il tentativo, peraltro non perfettamente riuscito, di

Mentre la tabella D, ove si rifinanziano, ai sensi della successiva lettera f, le leggi che prevedono spese in conto capitale, può costituire, a seguito dell’intervento normativo de quo, la sede per rifinanziare norme vigenti che prevedano interventi in conto capitale, qualificabili come di “di sostegno all’economia”. 294 Cfr. A. MANZELLA, Il Parlamento, cit., pp. 258 ss. Questa situazione risultava, inoltre, spesso aggravata, in alcuni casi, dall’accorpamento in pochi articoli di questi contenuti normativi così disparati, v. per tutti sul tema, M. AINIS, La legge oscura, come e perché non funziona, Roma, Bari, 1997, pp. 3 ss. e 64. 295 Per un approfondimento circa l’utilizzo della politica di bilancio a fini anticongiunturali V. D. DA EMPOLI, P. DE IOANNA, G. VEGAS, Il bilancio dello Stato, La finanza pubblica tra Governo e Parlamento, Milano, 2005, pp. 133 ss.

176

approntare una rigida separazione di contenuti tra la legge finanziaria e quella dei

provvedimenti collegati rendono urgente la ridefinizione delle modalità di

approvazione dei “collegati”, in modo da rendere effettivo sul piano del concreto

svolgimento dei lavori parlamentari, il rispetto delle disposizioni legislative.

Ecco, allora che l’articolo 123 bis comma 1 del Regolamento della Camera

e l’articolo 126 bis del Regolamento del Senato introducono il potere di stralcio

da parte del Presidente di assemblea qualora il contenuto dei disegni di legge de

quibus non sia conforme alle previsioni legislative.

La previsione deve essere letta in parallelo a quanto stabilito per l’esame

della disegno di legge finanziaria296. Così, questo potere viene previsto,

analogamente a quanto disciplinato in materia di legge finanziaria, soltanto nei

confronti della Camera che provvede all’esame in prima lettura del documento e

viene effettuato dal Presidente, previo parere della Commissione bilancio.

Particolare previsione è contenuta nel Regolamento del Senato, dove viene

precisato l’obbligo di sentire obbligatoriamente anche il Governo, anche se la

differenza viene in larga misura ridimensionata dalla circostanza per cui il parere

viene espresso, in entrambe le sedi, presso la Commissione bilancio.

Questa valutazione in capo al Presidente viene ad assumere una

connotazione particolare, risolvendosi, come osservato in dottrina, in un “potere

dovere delicato”, dove non è chiaramente percepibile il confine tra tecnicità e

politicità297.

Questo delicato ruolo, tipico già del potere di stralcio nei confronti delle

disposizioni del disegno di legge finanziaria, riveste in questo contesto un’ancor

più evidente incertezza nei suoi concreti ambiti operativi, per il più labile confine

tracciato dal legislatore nella definizione del contenuto di questi provvedimenti

collegati.

Non solo, infatti, la riforma del ’99, non fornisce particolari indicazioni

circa il contenuto dei provvedimenti collegati, ma inserisce una disposizione

particolare che finisce col rimettere la concreta portata dei limiti contenutistici alla

discrezionalità della maggioranza governativa.

296 Cfr. in proposito l’articolo 120 comma 2, del Regolamento della Camera e l’articolo 126 comma 3 del Regolamento del Senato. 297 V. LIPPOLIS, Le procedure parlamentari di esame dei documenti di bilancio, T. MARTINES, C. DE CARO, V. LIPPOLIS, R. MORETTI, Diritto parlamentare, Rimini, 1992, p. 489.

177

La legge n. 468 del 1978, come modificata dalla L. n. 208 del 1999, si

limita a parlare, con riferimento alle operazioni effettuabili con gli strumenti de

quibus, di interventi, anche di settore, per il periodo compreso nel bilancio

pluriennale, necessari per il conseguimento degli obiettivi in termine di sviluppo

del reddito e dell’occupazione e in termine di saldi finanziari definiti nel DPEF e a

prescrivere come requisito indefettibile l’omogeneità di ciascun disegno di legge,

rinviando al binomio DPEF-risoluzioni parlamentari per ogni più concreta e

puntuale definizione contenutistica.

In ultima analisi, quindi lo stralcio può riguardare le disposizioni estranee

all’oggetto dei collegati secondo le definizioni approntate dalla “legislazione

vigente, nonché dal documento di programmazione economico-finanziaria come

approvato dalla risoluzione parlamentare”298.

Appare evidente lo iato sussistente tra la disciplina dello stralcio in materia

di finanziaria e la corrispondente prevista in tema di collegati.

Il primo, seppur sempre connotato da un margine di discrezionalità e da un

alone di politicità che è insito in ogni scelta parlamentare, fa riferimento ad un

parametro legislativo articolato e tendenzialmente stabile nel tempo, mentre il

potere di stralcio relativo ai collegati, risulta necessariamente legato al contenuto

del DPEF e alle risoluzioni approvative, risultando, così, inevitabilmente

subordinato alle decisioni contingenti delle forze politiche di maggioranza Con la

novella regolamentare del ’99, inoltre, si coglie l’occasione per adeguare la

disciplina dell’ammissibilità degli emendamenti dei provvedimenti collegati alla

prassi già consolidatasi dal ’92, nel senso di ritenere inammissibili gli

emendamenti che “rechino disposizioni contrastanti con le regole di copertura

stabilite dalla legislazione vigente o estranei all’oggetto dei disegni di legge stessi,

come definito dalla legislazione vigente, nonché dal documento di

programmazione economico-finanziaria come approvato dalla risoluzione

parlamentare”299.

Ecco che le regole di copertura registrano il loro ingresso formale anche

nella disciplina del procedimento di approvazione dei progetti di legge collegati,

gli emendamenti privi di copertura, o con copertura non conforme all’articolo 11

298 Cfr. art. 126 bis, comma 2 bis, del Regolamento del Senato 299 Così l’articolo 126 bis comma 2 ter del Regolamento Senato, sostanzialmente corrispondente al testo dell’articolo 123 bis, comma 3 bis, del Regolamento Camera.

178

ter, comma 1, vengono dichiarati inammissibili, mentre il limite contenutistico

assume finalmente rilevanza anche in occasione di iter parlamentare300.

Degno di nota è infine, l’eliminazione della speciale di disciplina del

contingentamento dei tempi, ex art. 119, comma 7 Regolamento Camera.

La scelta potrebbe, infatti, apparire irrazionale, in considerazione della

particolare origine propria del meccanismi di contingentamento301 e delle stesse

esigenze di celerità insite nella sessione di bilancio.

L’evoluzione dell’intero sistema di approvazione, tuttavia, così come

l’applicazione efficace dei nuovi metodi di contingentamento, previsti in via

generale dall’articolo 24 del regolamento Camera, inducono a ritenere preferibile

rispetto all’adozione di una procedura speciale, la garanzia di un esame

parlamentare più pacato, tale da assicurare alle opposizioni un tempo più ampio di

quello assegnato ai gruppi della maggioranza e in modo da riservarne una quota ai

relatori, di maggioranza e minoranza302.

4.4. La concreta redazione del bilancio nella fase preparlamentare.

4.4.a) Il bilancio di previsione

Come già più volte ricordato l’articolo 81, comma I, della Costituzione

riserva al Governo l’iniziativa in materia di bilanci e consuntivi, ma aldilà della

logica di tutela dell’intero sistema economico-patrimoniale pubblico contro

300 Per quanto riguarda le modalità procedurali dell’esame di ammissibilità degli emendamenti è da segnalare una divergenza tra la disciplina della Camera e quella del Senato. Alla Camera, in conformità a quanto previsto per gli emendamenti alla finanziaria ( ex art. 121, comma 5 ) i Presidenti delle commissioni sono incaricati di dichiarare l’inammissibilità degli emendamenti, perché estranei alla materia o privi di copertura, ma qualora sorga la questione, la decisione è comunque rimessa al Presidente della Camera. Al Senato, invece, giudizio di ammissibilità spetta ai presidenti delle Commissioni, ma questo deve essere nuovamente esercitato da parte del Presidente di assemblea sul testo trasmesso dalla commissione all’aula, proprio in virtù della speciale competenza di quest’organo a dichiarare inammissibili anche “le disposizioni del testo proposto dalla commissione all’Assemblea, udito il parere della commissione bilancio e del Governo, Su tale disciplina, molto controversa in sede di giunta per il regolamento Cfr. G. VEGAS, Atti Senato, XIII legislatura, doc. II, n. 28-A, pp. 3 ss. 301 Lo strumento del contingentamento, com’è noto, trova le sue prime applicazioni proprio in sede di manovra economica annuale e nel contesto della sessione di bilancio, Cfr. per tutti, C. DE CARO, Ostruzionismo addio, Quaderni costituzionali, 1991, pp. 294 ss. 302 Cfr. Relazione di LIOTTA, Atti Camera, XIII legislatura, doc. II, n. 40, pp. 5 ss. Un accenno merita infine la circostanza per cui al Senato è stato abrogato il comma 2 dell’articolo 126 che prevedeva la possibilità di un preesame del disegno di legge di bilancio nel periodo intercorrente tra la sua presentazione e quella del disegno di legge finanziaria, proprio in considerazione della sopravvenuta coincidenza fra le due scadenze, mentre alla Camera tale soppressione è stata stranamente evitata.

179

iniziative di spesa irresponsabili da parte dei singoli parlamentari, occorre

evidenziare un’ulteriore ragione alla base di una simile indicazione costituzionale.

Il Governo rappresenta il potere esecutivo ed è quindi il diretto

responsabile dell’attuazione del bilancio da parte delle singole amministrazioni, in

qualità di vertice delle organizzazioni ministeriali. Soltanto questo organo, inoltre,

dispone in modo diretto ed immediato dei dati necessari per costruire le proiezioni

economico-finanziarie sulle quali si basa il progetto di bilancio303.

Ma la concreta stesura del testo deve farsi risalire al lavoro essenziale e

preliminare della Ragioneria generale dello Stato che, nel mese di maggio, invia

ad ogni ministero una circolare recante i criteri che tutte le amministrazioni sono

tenute a rispettare nella redazione del progetto di bilancio di ciascun Ministero.

Entro il 16 luglio successivo, inoltre, le singole amministrazioni

provvedono a comunicare alla Ragioneria Generale le loro proposte304, che

vengono, inoltre sottoposte al vaglio dei consigli di amministrazione dei ministeri

stessi, i quali a loro volta sono tenuti a trasmettere gli elaborati e la

documentazione collegata.

Il documento di bilancio, proprio in questa fase comincia ad assumere la

sua concreta fisionomia, per questo il momento prodromico che vede come

protagoniste le singole amministrazioni e la Ragioneria Generale riveste una

capitale importanza anche dal punto di vista qualitativo e della tecnica di

redazione.

In proposito non si può evitare di ricordare che le modifiche introdotte a

iter parlamentare avanzato, risultano percentualmente irrilevanti in rapporto al

totale dell’entrata e della spesa.

Essenziali in questo momento di concreta definizione del contenuto del

documento contabile appaiono le indicazioni contenute nella circolare della

Ragioneria Generale che fissa una serie di regole a cui le Amministrazioni

dovrebbero attenersi.

Così viene in genere specificato che le proposte debbano essere formulate

con riferimento alle “schede-capitolo” e ai “bozzoni”, predisposti dalla Rgs sulla

303 Soltanto il potere esecutivo, infatti, risulta idoneo alla valutazione dell’impatto e della fattibilità amministrativa delle variazioni della spesa pubblica sul complesso della burocrazia statale e la capacità di questa impiegare correttamente le risorse che le vengono affidate in conformità alle indicazioni di spesa e parallelamente di realizzare le entrate ce le sono attribuite. 304 Proposte che vengono contestualmente inserite nel sistema informatico automatizzato della Rgs ad opera delle ragionerie centrali di tutti i ministeri, entro il 30 luglio.

180

base del bilancio annuale e della sua proiezione triennale. A latere del documento

principale ciascun ministero deve provvedere alla redazione di una sorta di nota

illustrativa che evidenzi il quadro delle proposte modificative dell’ordinamento

vigente al fine di facilitarne la lettura, la comprensione e la razionalizzazione dei

meccanismi di spesa.

Il momento integrativo o modificativo della legislazione vigente viene poi

realizzato attraverso lo strumento della finanziaria o dei provvedimenti collegati.

Proprio in ragione di tale circostanza la Ragioneria Generale invita le singole

amministrazioni a precisare l’entità delle quote delle leggi di spesa a carattere

pluriennale, da indicare nella tabella F del disegno di legge finanziaria, per

ciascun anno di esercizio del bilancio triennale e l’eventuale stanziamento residuo

relativo agli anni successivi al triennio considerato in bilancio, specificando il

livello presumibile dei pagamenti effettivi. Devono, inoltre, essere indicate le

nuove iniziative legislative in itinere, con il dettaglio dei relativi oneri e infine, le

amministrazioni sono tenute ad avanzare proposte di correzione o di integrazione

della legislazione vigente, soprattutto riferendosi agli aspetti finanziari.

Allo scopo di prevenire la tendenza fisiologica alla trasposizione degli

oneri pregressi nel bilancio per l’esercizio successivo, la Rgs invita i singoli

ministeri ad operare la revisione costante di tutti gli stanziamenti, compresi quelli

di cui non si propone la modifica, operando un esame dei motivi che comportano

la permanenza in bilancio degli stanziamenti esistenti, in modo da operare un

periodico raffronto tra gli obiettivi della manovra e l’ammontare dei costi previsti

per l’operatività dell’amministrazione settoriale.

I progetti degli stati di previsione dell’entrata, di pertinenza del ministero

dell’Economia e delle Finanze e delle spese, di competenza di tutti i ministeri

vengono, quindi, trasmessi alla Rgs organo deputato alla concreta predisposizione

del progetto di bilancio, dei successivi provvedimenti di assestamento e di

variazioni unitamente al rendiconto generale dello Stato.

Il perfezionamento del quadro di proposte avanzate dai singoli ministeri

apre una procedura consultiva tra la Ragioneria generale e i ministeri stessi, per

concordare modifiche, integrazioni o precisazioni al testo originario.

In proposito è interessante precisare il rapporto tra le determinazione dei

ministeri e le indicazioni fornite dall’organo di coordinamento: le direttive

generali, predisposte dalla Ragioneria non possono essere ritenute vincolanti e,

181

analogamente il Ministero dell’Economia risulta titolare di poteri impositivi nei

confronti delle singole amministrazioni.

Proprio per questo si manifesta la costante tendenza restrittiva palesata

dalla Rgs nei confronti delle proposte di spesa avanzate dai ministeri e la parallela

resistenza esercitata dalle amministrazioni, per giungere ad una sorta di accordo

transattivo tra i progetti ministeriali e gli aggiustamenti operati dall’organo

centrale di coordinamento305.

Alla prima stesura di carattere tecnico-amministrativo si affianca una

successiva fase di elaborazione più propriamente politica, incentrata sull’azione

del ministro dell’Economia, il quale provvede a trasmettere al Comitato

Interministeriale per la Politica Economica lo schema delle linee di impostazione

dei progetti di bilancio alle Regioni e agli Enti locali, sentendo il loro parere

tramite la Conferenza Unificata Stato-Regioni ed Autonomie Locali.

Anche il ruolo del CIPE, tuttavia, deve essere inquadrato nei suoi termini

reali: quest’organo costituisce un elemento interno dello stesso Consiglio dei

Ministri e, come tale non può rappresentare un valido baluardo contro le iniziative

di spesa delle singole amministrazioni, risolvendosi, piuttosto in un ulteriore

momento di coordinamento tra le decisioni monocratiche dei singoli ministri e la

collegialità più ampia del Consiglio dei Ministri.

Analogamente, l’intervento della Conferenza Unificata si limita ad

esprimere un parere consultivo suscettibile di venire disatteso nel merito da parte

del Governo, proprio alla luce questo suo carattere non vincolante306.

La fase conclusiva del procedimento di formazione del bilancio in sede

amministrativo-governativa è costituito dalla deliberazione conclusiva del

305 Proprio per questo ordine di ragioni si ritiene che il procedimento di progettazione abbia caratteristiche “contrattuali e non autoritative”, Cfr. D. DA EMPOLI, P. DE IOANNA, G. VEGAS, Il bilancio dello Stato, La finanza pubblica tra governo e parlamento, Milano, 2005, p. 181. Ogni ministro si ritiene, infatti, l’unico reale titolare della competenza finanziaria e delle prerogative governative riferite al suo dicastero. Le stesse indicazioni fornite dal DPEF non costituiscono un rigido limite, contenendo criteri di determinazione del livello delle entrate e delle spese esclusivamente nel loro complesso, ma non per ogni singola amministrazione. La risoluzione parlamentare approvativa del DPEF, inoltre, interviene a fine luglio e quindi a stato avanzato della fase amministrativa preliminare. 306 Le Regioni e gli Enti Locali, infatti, non sono in grado di influire sui meccanismi decisionali del bilancio, essendo tenuti a determinare gli obiettivi programmatici nei propri bilanci pluriennali, pur rispettando la cornice programmatica definita a livello centrale. Il patto di stabilità interno, infatti, prevede limiti di contenimento dei saldi e dell’indebitamento per le Regioni e gli enti locali, in armonia con quelli statali. Rimane ferma, tuttavia, la facoltà di detti enti di promuovere la questione di merito per conflitto di interessi davanti alle Camere, anche se il meccanismo non è ancora stato attivato, quasi a dimostrazione del fatto che il reale nodo da risolvere costantemente in proposito non è tanto la definizione comune o coordinata di linee programmatiche, ma la decisione del quantum di risorse da attribuire dallo Stato alle Regioni.

182

Consiglio dei Ministri, dove il progetto di bilancio viene approvato in via

definitiva, perfezionando collegialmente le scelte governative effettuate307.

A seguito dell’approvazione del disegno di legge di bilancio da parte del

Consiglio dei Ministri, il Presidente della Repubblica ne autorizza la

presentazione al Parlamento, che deve avvenire entro il 30 settembre, ad anni

alterni, presso la Camera e il Senato.

4.4. b) Il disegno di legge finanziaria

Le modalità di stesura e di presentazione del disegno di legge finanziaria

non si differenziano in modo significativo da quanto previsto in generale per ogni

disegno di legge di iniziativa governativa, se non per il fatto dell’esclusiva

competenza in capo al Ministro dell’Economia e per le rigide prescrizioni

temporali che, come già visto, impediscono il perfezionamento del d.d.l. oltre il

termine del 30 settembre di ogni anno.

Così i ministri proponenti elaborano una bozza preliminare,

successivamente trasmessa agli altri ministri per il concerto, che avviene per lo

più in modo informale attraverso incontri personali tra il ministro dell’Economia e

gli altri Ministeri.

Il progetto di finanziaria viene successivamente trasmesso alla Conferenza

unificata Stato, Regioni e autonomie locali e sottoposto all’esame del Consiglio

dei Ministri che lo approva e il Presidente della Repubblica ne autorizza la

presentazione alle Camere.

In tema di concreta stesura del testo della finanziaria i limiti alla

discrezionalità redazionale discendono in questo caso alle regole costituzionali e

dell’ordinamento contabile in materia di copertura delle leggi di spesa.

Il primo principio in materia è dettato dal comma 5 dell’articolo 11 della

Legge n. 468 del 1978, secondo cui la finanziaria è tenuta a prevedere la copertura

307 Risulta, tuttavia, ugualmente difficile classificare il progetto come un atto politicamente rilevante o come espressione dell’indirizzo politico di maggioranza, in quanto la sua struttura fondamentale rimane informata a criteri amministrativi e ad una logica prevalentemente contabile. L’attenzione prevalente viene, al contrario, concentrata sulle decisioni assunte tramite finanziaria o provvedimenti collegati, facilitando così, parallelamente, l’ambigua pratica dei rinvii

183

delle spese correnti con fonti di natura corrente esclusivamente riferite ai primi tre

titoli dell’entrata308, con esclusione, quindi dell’accensione di prestiti.

Questa precisa indicazione redazionale, in realtà è l’indice di una scelta

sostanziale diretta ad evitare che si ripresentino i fenomeni degenerativi del

passato, dovuti all’estrema genericità della normativa previgente, dove il saldo

netto da finanziare era costituito semplicemente dalla sommatoria del livello dei

saldi di bilancio e delle nuovi o maggiori spese recate dalla finanziaria. Questa

tecnica residuale impediva il formarsi di un valido baluardo contro il ricorso

indiscriminato all’indebitamento: le nuovi o maggiori spese venivano, infatti,

aggiunte al saldo preesistente e coperte con un ulteriore indebitamento.

Il comma quinto sopra indicato, al contrario, mira a definire un saldo-

obiettivo da mantenere costante durante l’intera discussione del progetto, in modo

da correlare le nuove spese correnti ad autonome fonti di copertura, mentre il

ricorso all’indebitamento può essere consentito soltanto per la copertura di spese

in conto capitale309.

Ulteriore vincolo nella stesura del progetto di legge è la necessaria

correlazione tra il contenuto della “finanziaria” e il DPEF, non potendo

quest’ultima stabilire un aumento delle spese o una diminuzione delle entrate in

misura superiore a quanto definitivo nella risoluzione approvativa del documento

di programmazione.

Per quanto riguarda, infine, la proponibilità di emendamenti di origine

governativa, occorre riferirsi, anche in questo campo, al congiunto operare delle

norme legislative e regolamentari. Questo connubio, reso effettivo dalla

risoluzione approvativa del DPEF, costituisce non solo un impegno indeclinabile

nei confronti dei parlamentari, ma produce effetti anche per l’Esecutivo in ragione

della natura stessa della risoluzione produttiva di effetti imperativi analoghi a

quelli di ordini del giorno e altri documenti di indirizzo.

In questa cornice di limiti opera la libertà governativa di proporre

emendamenti al testo della finanziaria, tuttavia, in applicazione dela legge n. 400

del 1988, il regolamento interno del Consiglio dei Ministri del 10 novembre 1993

stabilisce che gli emendamenti governativi seguono la stessa procedura dei

308 Entrate tributarie, extra-tributarie e alienazione e ammortamento di beni patrimoniali e riscossione di crediti. 309 In questo modo il comma 5 dell’articolo 11 della legge n. 468 diventa l’espressione del principio keynesiano del deficit spending, proprio nella misura in cui distingue le spese in conto capitale da quelle correnti.

184

disegni di legge, attraverso l’esame da parte del Consiglio dei ministri in tutti i

casi in cui modifichino in misura rilevante il disegno di legge, o comunque

incidano sulla politica generale del governo.

Solo nei casi di emendamenti di portata più limitata risulta sufficiente

un’autorizzazione del Presidente del Consiglio, o per sua delega, del ministro per i

Rapporti con il Parlamento, mentre nel caso di emendamenti comportanti aumenti

di spesa o diminuzioni di entrate occorre procedere di concerto con il ministro

dell’economia.

Anche per gli emendamenti governativi che comportino nuove o maggiori

spese, infine, in analogia ai disegni di legge di spesa, risulta necessaria una

parallela relazione tecnica310.

4.4. c) L’ordine delle votazioni

L’elemento temporale acquisisce in questa materia un’importanza

fondamentale.

Il problema dell’espansione incontrollata delle iniziative di spesa rende

necessario arginare la discussione sul progetto di legge su un ammontare

predefinito di entrate e di spese, onde evitare fenomeni degenerativi.

In quest’ottica si comprendono le proposte di modifica della Legge del ’78

orientate alla definizione preliminare, in finanziaria, del quadro generale delle

entrate, oltre alla specificazione del deficit.

Tale meccanismo avrebbe, infatti, permesso di determinare il quadro

macro-economico delle risorse spendibili, evitando il rischio di finanziare nuove

spese con attraverso una sopravalutazione delle entrate.

Queste proposte, tuttavia, non vengono concretizzate e la legge n. 362 si

rende protagonista di una scelta in direzione diametralmente opposta: la

determinazione complessiva delle entrate continua a trovare esclusiva

collocazione all’interno della legge di bilancio.

310 I criteri redazionali di questa relazione non differiscono da quanto previsto in generale per gli ordinari disegni di legge. Interessante è ricordare, altresì la pessima prassi adottata da parte dei rappresentanti del Governo che, al fine di evitare di presentare direttamente gli emendamenti, preferiscono utilizzare meno chiari canali parlamentari, evitando così gli oneri procedurali imposti a garanzia del coordinamento e dell’unità dell’azione governativa.

185

Proprio questa scelta, tuttavia, rende essenziale una gestione dei tempi e

dell’ordine delle votazione tali da garantire la razionalizzazione della spesa

pubblica.

Ecco allora che questi elementi procedurali diventano lo strumento per

arginare la discussione entro un quadro di entrate e di spese predefinito e le

modifiche ai regolamenti parlamentari del 1988 fissano, a questo fine, la priorità

della votazione sugli articoli del bilancio relativi alle entrate, determinando, così,

il livello complessivo delle medesime e, successivamente, quelle relative ai

singoli ministeri311.

Per quanto riguarda l’ordine di votazione del d.d.l finanziaria, invece, non

si registrano particolari formalità, anche perché, dovendo essere approvato a

bilancio già votato, presenta l’implicita garanzia di non poter sconvolgere gli

equilibri già determinati, mentre per la parte innovativa non può sottrarsi

all’adempimento dell’obbligo di copertura, rientrando nella sfera di applicazione

del quarto comma dell’articolo 81 Cost.

La fase pre-parlamentare si conclude con la votazione del progetto di nota

di variazione che trasferisce nella prima stesura del bilancio gli effetti contabili

della finanziaria.

4.5. Il procedimento di approvazione parlamentare.

Come già osservato in precedenza, il concetto di “sessione di bilancio”

costituisce il punto centrale per ogni discorso in materia di esame parlamentare

dei documenti contabili di fine esercizio, per cui un’analisi dei relativi

procedimenti approvativi non può prescindere da uno studio degli elementi che la

connotano.

Questa fase rappresenta il momento più delicato nel quadro dei rapporti tra

Esecutivo e Legislativo in quanto si esaltano da un lato, le facoltà direttive del

Governo rispetto al lavoro parlamentare, mentre dall’altro, aumentano le

possibilità di crisi del rapporto fiduciario.

311 Tale principio, della predefinizione delle macrograndezze, subisce, tuttavia, un’eccezione per quanto riguarda la determinazione del totale della spesa che non viene votato, come accade per il saldo della finanziaria, all’inizio della discussione, ma solo dopo la votazione degli articoli che si riferiscono alle singole tabelle. Il rischio che questo venga costruito su base residuale, tuttavia, dovrebbe essere in parte scongiurato dalla circostanza per cui la legge di bilancio non può in ogni caso innovare l’ordinamento.

186

In questo contesto, la maggioranza si trova nella condizione di dover

conseguire in ogni caso l’approvazione dei documenti legislativi

costituzionalmente doverosi312, “che continuano ad essere poli di attrazione di

tutte le tensioni politiche e sulle quali si scaricano tutte le rivendicazioni, più o

meno legittime di lobbies parlamentari”313.

Proprio per l’estrema delicatezza di questo procedimento nel quadro dei

rapporti tra Esecutivo e Legislativo, ma anche per la necessità di addivenire ad

una decisione in una tempi ragionevoli e comunque prestabiliti, i regolamenti

parlamentari prevedono e, in particolare, l’articolo 119 del Reg. Cam. dichiara che

“l’esame del disegno di legge finanziaria, del disegno di legge di approvazione dei

bilanci di previsione, annuale e pluriennale, dello Stato e dei documenti relativi

alla politica economica nazionale e alla gestione del pubblico denaro, collegati

alla presentazione dei predetti disegni di legge, ha luogo nell’ambito di

un’apposita sessione parlamentare di bilancio”314.

Questo concetto deve farsi risalire agli anni ’80315, nel quadro delle

innovazioni apportate all’originario impianto dei Regolamenti del ’71.

La configurazione iniziale predisposta all’inizio degli anni ’70 risentiva

ancora del contesto di normazione contabilistica rigidamente improntato ad una

nozione di bilancio pubblico assimilabile a quella aziendale, tuttavia, le stesse

Camere, consapevoli dell’estrema delicatezza della materia, introducevano un

pugno di articoli in grado di costituire l’embrione di tutte le successive modifiche

e della stessa nozione di “sessione di bilancio”. Per questo parte della dottrina ha

312 Tale conclusione non può in alcun modo essere negata per la legge di bilancio, dato lo stesso dettato letterale dell’articolo 81 comma 1 della Costituzione, ma analoghe ad analoghe conclusioni si deve pervenire per quanto riguarda la legge finanziaria, in quanto, mentre parte della dottrina dubita, forse a ragione, della sua legittimità costituzionale, cfr. M. MAZZIOTTI DI CELSO, Parlamento, funzioni, Enciclopedia del diritto, vol. XXXI, Milano, 1981, p. 795, ove questa venga ammessa e disciplinata dall’ordinamento contabile, assume necessariamente carattere obbligatorio. 313 V. GIUSEPPONE, Parlamento e legge finanziaria: un ricorrente parto traumatico, Consiglio di Stato, 1992, p. II, pp. 354 ss. 314 Così l’articolo 119 del reg. Camera, mentre in Senato, pur mancando una disposizione qualificatoria di tenore analogo, esiste una disciplina sostanziale parallela. 315 Parte della dottrina in realtà parla di “sessione di bilancio” anche in riferimento alla disciplina contenuta nei regolamenti parlamentari del ’71, V. ad esempio S. RISTUCCIA, Il parlamento nel processo di bilancio dopo la legge n. 468 del 1978 cit. p. 879 ss. e A. MANZELLA, La programmazione dei lavori in parlamento nella VII legislatura, cit. p. 62, il quale osserva che la legge n. 468 del 1978 “ha posto tutte le premesse di una rivoluzione parlamentare” prefigurando “una calendarizzazione dell’attività parlamentare assai precisa”. In questa sede, tuttavia, ci si è voluti riferire alla prima formalizzazione di tale termine ad opera del Regolamento della Camera (art. 119, c. I, come modificato il 29 settembre 1983 ) che fa espresso riferimento ad una “apposita sessione parlamentare di bilancio”.

187

ritenuto di poter ravvisare l’origine del concetto di sessione di bilancio proprio

con i Regolamenti del ’71316.

Così gli articoli dal 119 al 124 del regolamento della Camera e dal 125 al

129 del Regolamento del Senato che prevedono un doppio esame del bilancio da

parte delle commissioni di settore e della commissione bilancio317, il meccanismo

di riparto tra le commissioni nell’esame degli emendamenti e degli ordini del

giorno, l’ammissibilità della presentazione in Assemblea dei soli emendamenti già

respinti in commissione, l’individuazione nel testo originario dell’articolo 119,

comma 2, Reg. Cam. di un “periodo” dedicato all’approvazione del bilancio e del

rendiconto, nel quale nessuna commissione può essere convocata “salvo eccezioni

disposte dal Presidente della Camera in casi di particolare e indifferibile

necessità”318.

Ma soltanto la riforma del ’78, realizza un vero e proprio iter

procedimentale separato e distinto, esclusivamente proprio dell’approvazione di

questi strumenti legislativo-contabili, in modo da soddisfare l’esigenza di un

esame e un’approvazione temporalmente prefissati e strutturati in modo da

garantire un’analisi parlamentare approfondito.

Le successive novelle degli anni ’80 specificano e concretizzano queste

esigenze, delineando un insieme di garanzie tali da restituire al Parlamento e al

Governo la disponibilità degli strumenti idonei ad incidere annualmente sulle

grandezze aggregate della finanza pubblica a cominciare dalla tempistica

predefinita e garantita dei tempi di decisione, dal divieto di trattazione di nuovi

affari, dai meccanismi a tutela del contenuto proprio di tali strumenti, fino alle

peculiarità della fase istruttoria, dell’esame in Assemblea e alle modalità di esame

degli emendamenti.

Viene così adottato un rigido sistema di termini per l’esame dei

provvedimenti di bilancio, prima in commissione e poi in Assemblea, precludendo

in modo rigido e determinato lo svolgimento di altre attività per tutto il corso

dell’esame, con particolare riguardo al divieto di trattazione di disegni di legge di

316 V. in proposito la nota n. 39 e in particolare i contributi di S. RISTUCCIA, Il parlamento nel processo di bilancio dopo la legge n. 468 del 1978 cit. p. 879 ss. e A. MANZELLA, La programmazione dei lavori in parlamento nella VII legislatura, cit. p. 62. 317 Le commissioni di settore procedevano all’esame dei singoli stati di previsione ( entro il termine di 20 gg alla Camera e di 15 gg al Senato) , mentre la commissione bilancio procedeva ad un esame generale del bilancio (anch’essa nei termini di 20 gg alla Camera e di 15 gg al Senato), anche se questi termini venivano unanimemente ritenuti ordinatori. 318 Disposizione, invece, assente nel Reg. Sen.

188

spesa per tutta la durata della sessione, con la sola eccezione dell’esame dei

decreti legge e dei disegni di legge per cui sono previste deroghe o dalle

presidenze delle Camere o dai rispettivi regolamenti319.

Il ricorso all’istituto della sessione, che dispiega i suoi effetti fino al

momento in cui le commissioni concludono l’esame dei provvedimenti di

bilancio, è motivato, come accennato in precedenza, dall’intento di perseguire da

un lato la celerità del procedimento di approvazione dei documenti di bilancio,

pervenendo con regolarità alla loro trasformazione in legge entro il 31 dicembre,

evitando così il ricorso all’esercizio provvisorio, dall’altro dal fine di impedire che

nel corso dell’esame di bilancio vengano approvate leggi di spesa che potrebbero

modificare la portata della manovra.

Per quanto riguarda il profilo strettamente temporale, la durata della

sessione bilancio, varia da 45 giorni in prima lettura a 35 in seconda lettura320.

Può essere utile ripercorrere schematicamente le attività parlamentari e i

tempi a queste riservate durante l’intera sessione, anche se queste riprendono in

gran parte le scansioni già proprie della riforma del ‘78.

��������������� ���������������������������������������������������������������������

319 Soltanto per il Senato, inoltre viene previsto il divieto di esame di disegni di legge modificativi della legislazione di contabilità. In materia si riscontrano altre divergenze tra le due Camere: Il Senato, infatti, ammette deroghe per i decreti legge e i provvedimenti di assoluta urgenza, secondo le decisioni assunte dalla Conferenza dei capigruppo, mentre il regolamento della Camera non prevede un sistema di deroghe, ma individua casi specifichi in cui alcuni provvedimenti possono essere esaminati in corso di sessione. E’ il caso, oltre all’ipotesi dei decreti legge, la ratifica di trattati internazionali e quelli di attuazione degli atti normativi dell’Unione Europea, quando la mancata approvazione possa causare responsabilità per l’inadempimento di obblighi comunitari od internazionali. 320 Nel caso, invece, si rendano necessarie ulteriori letture, la durata della sessione dipende dalle decisioni che verranno assunte dalla Conferenza dei capigruppo. In questo caso, tuttavia, non può ritenersi ragionevole la previsione di un’analoga durata dell’esame, proprio perché in questa sede si analizzano e si votano soltanto le norme modificate dall’altro ramo del Parlamento.

189

in caso di modifiche da

parte del Senato, si rende necessario un nuovo esame alla Camera, in caso di terza lettura ed

eventuali letture successive alla seconda i termini vengono fissati dalle Conferenze dei capigruppo

parlamentari e i relativi tempi dipendono dalle contingenze politiche e dall’urgenza o meno di

giungere ad un’approvazione, in relazione anche all’eventualità di dover ricorrere all’esercizio

provvisorio.

�������� �������������������������������������������������������������������

PRESENTAZIONE dei disegni di legge di bilancio e

finanziaria

Stampa dei documenti

Sezione Camera di cui 10 gg per l'esame nella commissione di merito

14 gg per l'esame in commissione bilancio

Stampa e trasmissione al Senato

Sessione di bilancio in Senato

entro 5gg

entro 45 gg

entro 5 gg

entro 35 gg

190

PRESENTAZIONE dei disegni di legge di bilancio e

finanziaria

Stampa dei documenti

Esame della commissione di

merito

Esame da parte della commissione bilancio

Discussione in Assemblea

entro 5gg

entro 10 gg

entro 15 gg (o più se nella comm. di merito terminano prima. Tot. 25 gg)

entro 10 - 15 gg

Esame in seconda lettura alla

Camera

entro 35 gg

191

Più in dettaglio, l’esame parlamentare di questi disegni di legge si dispiega

attraverso una fase preliminare, già sommariamente descritta durante l’analisi

delle novità legislative apportate con le diverse riforme dell’88 e del ’99 321, la

fase della discussione in commissione di merito, in commissione bilancio,

caratterizzata da particolari regole in tema di ordine delle votazioni, fino al

dibattito finale in Aula e naturalmente gli adempimenti propri della seconda

lettura.

4.5. a) La fase preliminare

Con il concetto di “fase preliminare” ci si riferisce a quell’esame

incidentale affidato ai Presidenti delle Assemblee allo scopo di accertare il

contenuto del disegno di legge finanziaria e la sua corrispondenza ai limiti

prefissati a livello legislativo322.

Il concreto svolgimento di questa fase preliminare varia leggermente nelle

due Camere.

Alla Camera il Presidente dispone direttamente lo stralcio delle norme

estranee all’oggetto della finanziaria, con la conseguenza che queste disposizioni

vengono direttamente eliminate dal disegno di legge, venendo a costituirne uno

321 Cfr. sul punto G. DE CESARE, Le riforme del Regolamento della camera nel ventennio 1971-1990 e l’evoluzione del regime parlamentare italiano, Associazione per gli studi e le ricerche parlamentari, Quad. 2, Seminari 1991, Milano, 1992, pp. 87 ss. Le riforme regolamentari del 1997 paiono peraltro, evidenziare anche a livello normativo una ridefinizione del ruolo arbitrale del Presidente. Su questo processo V. A. CIANCIO, Riforma elettorale e ruolo garantistico del Presidente di Assemblea parlamentare: un modello in crisi?, Diritto e Società, 1996, pp. 405 ss. Sulle riforme regolamentari del 1997 V. R. MORETTI, Rubrica Parlamentare, Foro italiano, 1997, pp. 355 ss.; S. CECCANTI, Regolamenti parlamentari: Un altro tassello di una “riforma strisciante”, Quaderni costituzionali, 1998, pp. 157 ss.; N. LUPO, Le recenti modifiche del Regolamento della camera: una riforma del procedimento legislativo “ a costituzione invariata”, Gazzetta giuridica, 1997, pp. 1 ss. F. BIENTINESI, Il comitato per la legislazione e le riforme regolamentari della Camera dei Deputati, Diritto pubblico, 1998, pp. 511 ss.; L. LANZALACO, Il nuovo regolamento della camera: una risorsa dopo la bicamerale, Bologna, 1998, pp. 882 ss. 322 Come in parte sottolineato nell’analisi storica è stata la difficoltà nell’individuazione del contenuto tipico della finanziaria a rendere sempre più ardua un’applicazione delle disposizioni fissate a livello legislativo in conformità con i principi costituzionali. La tendenza della prassi a gonfiarne in miosura abnorme il contenuto ha indotto, quindi il Regolamento della Camera a operare un tentativo di contenimento della materia, disponendo proprio un primo embrionale potere di stralcio delle parti estranee al suo oggetto tipico. Tale valutazione, tuttavia, che avrebbe dovuto costituire un baluardo contro le iniziative governative irresponsabili e che avrebbe dovuto rivestire un carattere necessariamente giuridico, finisce con l’assumere progressivamente una sempre più spiccata vocazione politica. La legge dell’88 si inserisce così, in questo contesto, definendo precisi limiti contenutistici, rende finalmente operative le prime previsioni regolamentari degli anni ’83 e ’85. Soltanto la novella di adeguamento alla legislazione dell’88 introduce l’istituto del giudizio presidenziale preliminare.

192

nuovo, dotato di una numerazione distinta e destinato ad essere esaminato in un

contesto diverso dalla sessione di bilancio.

Il potere presidenziale è inappellabile.

Questo dato non mira ad evidenziare il carattere autoritario di tale

decisione, il Presidente nel compiere questa valutazione, infatti, si circonda spessa

di pareri, consultando la stessa Giunta per il Regolamento al fine di evitare che

decisioni di rilievo anche procedurale vengano assunte senza l’appoggio

dell’organo a ciò preposto. Il carattere inappellabile, in realtà si riferisce soltanto

all’impossibilità di rivedere la pronuncia, una volta assunta, per cui l’unica

alternativa percorribile potrebbe essere quella della presentazione di emendamenti

che mirino a ripristinare le norme cassate, ma in tal caso, il Presidente non

potrebbe far altro che dichiarare inammissibili gli emendamenti elusivi della

decisione principale.

Questo quadro di pareri, assume in Senato una configurazione più rigida,

diventando parte del quadro di adempimenti necessari che il presidente deve

compiere prima di procedere alla dichiarazione di inammissibilità contenutistica e

quindi allo stralcio delle disposizioni.

In questo senso, si rende necessario il parere della commissione bilancio e

soltanto successivamente è possibile comunicare all’Assemblea lo stralcio delle

disposizioni estranee.

Anche dal punto di vista del parametro il vaglio del Presidente del Senato

appare più complesso, dovendo valutare anche che la finanziaria non contenga

disposizioni che mirino a modificare la legislazione di contabilità e che sia

pienamente conforme ai criteri di copertura stabiliti dalla normativa vigente.

Anche in questo caso l’accertamento presidenziale deve essere compiuto solo

dopo aver conseguito l’espressa opinione da parte della commissione bilancio e a

seguito del parere reso dal rappresentante del Governo.

Parte della dottrina qualifica questo atto come un potere di stralcio di

natura “speciale” e dal “carattere fortemente innovativo”323, in rapporto al c.d.

“stralcio ordinario”324, in quanto non attribuisce al Presidente il mero potere di

323 M. MIDIRI, Piccole riforme istituzionali e modificazioni dei Regolamenti parlamentari ( La novella del Senato del novembre 1988 ), Nomos, 1989, p. 48. 324 In merito al funzionamento dello stralcio c.d. ordinario, regolato dall’art. 101 del Reg. del Senato ed applicato per prassi anche alla Camera dei Deputati, Cfr. V. LIPPOLIS, Il procedimento legislativo, T. MARTINES, C. DE CARO, V. LIPPOLIS, R. MORETTI, Diritto parlamentare cit. pp. 358-359.

193

presentare una proposta all’Assemblea, ma quello di disporre senz’altro lo

stralcio.

In proposito occorre, tuttavia, precisare, che tale potere pur risultando

formalmente molto incisivo, si rileva nella prassi parlamentare e soprattutto con

riferimento ai lavori della Camera alta, assai meno efficace, per almeno due ordini

di ragioni.

Da un lato, il potere di filtro da parte del Senato delle disposizioni miranti

a modificare la normativa in materia di contabilità risulta in gran parte menomato

dall’assenza di un’analoga previsione all’interno del Regolamento della Camera e

dall’altro la verifica sulla copertura della finanziaria finisce col risolversi in un

poco più che un’esortazione rivolta dalle Camere al Governo.

Nel caso in cui il progetto di finanziaria, contenente norme modificative

della legge di contabilità, venga approvata in prima lettura alla Camera, infatti, il

Presidente del Senato verrebbe a trovarsi impossibilitato ad intervenire, potendo

esercitare il suo potere soltanto nel caso di presentazione del disegno di legge in

prima lettura al Senato, per cui con queste modalità, il divieto introdotto nel

Regolamento del Senato verrebbe completamente aggirato.

Per quanto riguarda il diverso caso dello scrutinio di copertura degli

interventi di spesa introdotti a mezzo di finanziaria, non si può evitare di notare

come esso non comporti uno stralcio immediato delle disposizioni non conformi

agli obblighi legislativi, ma produca soltanto l’obbligo di comunicazione

all’Assemblea della mancanza od insufficienza di copertura.

Mentre le disposizioni estranee all’oggetto proprio della finanziaria

subiscono la diretta cancellazione senza comportare una modifica dell’impianto

complessivo del disegno di legge, l’accertamento dell’insufficiente copertura

determina la duplice alternativa di una caducazione dell’intero testo, eventualità

non plausibile in quanto il rifiuto di iscrizione all’ordine del giorno, da parte del

Presidente di Assemblea di un documento di simile rilievo si dimostrerebbe

completamente irrazionale, oppure di un’eliminazione parziale, ma anche

quest’ipotesi si rileva alquanto improbabile nella prassi, risultando complessa la

concreta individuazione della norma incriminata325.

325 M. V. ZANGANI, I recenti sviluppi delle procedure parlamentari di bilancio, la terza fase dell’evoluzione in atto, S. TRAVERSA, A CASU, Il Parlamento nella transizione, quaderni della Rassegna parlamentare, 1998, pp. 137 ss. G. RIVOSECCHI, La riforma del bilancio dello Stato: tra razionalizzazione della decisione finanziaria e riforma dell’amministrazione, Gazzetta giuridica,

194

Proprio per questo l’intervento del Presidente finisce col tradursi in una

semplice esortazione volta a sollecitare l’esecutivo a presentare emendamenti

correttivi in grado di ripristinare la legalità ed una corretta applicazione delle

regole di copertura.

La natura meramente esortativa di questo potere è confermata dal quadro

degli strumenti di cui è dotato il Presidente per rendere effettiva la sua facoltà.

La votazione dell’Assemblea sul testo presentato, infatti, non può in alcun

modo essere evitata, anche nel caso di persistenza della violazione dell’obbligo di

copertura.

Rimane salva la sola facoltà del presidente di richiamare l’Assemblea,

eventualmente applicando la procedura aggravata prevista per la votazione di testi

privi di copertura, sottolineando la gravità della violazione.

4.5. b). L’esame in commissione di merito.

Il computo dei termini stabiliti per lo svolgimento della sessione di

bilancio inizia soltanto con l’avvio della discussione e, quindi, con l’assegnazione

da parte del Presidente di Assemblea dei documenti di bilancio e del disegno di

legge finanziaria326, alle commissioni di merito e alla commissione di bilancio.

I regolamenti consentono di avviare procedure informative anche in questa

fase, tuttavia, l’estrema limitatezza del tempo a disposizione per provvedere

all’esame vero e proprio tende ad escludere che questa eventualità venga

veramente utilizzata dalle commissioni.

Questa ricognizione informativa, che dovrebbe essere utilizzata per

osservazioni di stampo micro-eocnomico, dato che a quelle più marcatamente

macro-economiche è riservata la sede di discussione e definizione della

finanziaria, viene volta alla realizzazione di una serie di incontri finalizzati ad

ottenere pareri di ordine tecnico-politico da responsabili di settore, appartenenti ai

1997, pp. 3 ss, D. DA EMPOLI, P. DE IOANNA, G. VEGAS, Il bilancio dello Stato, la finanza pubblica tra Governo e Parlamento, Milano, 2005, pp. 191 ss. 326 Oltre agli eventuali documenti collegati: come già in precedenza ricordato, nell’ambito della sessione di bilancio può trovare spazio l’esame di eventuali documenti collegati, a fronte di un’apposita dichiarazione del Governo circa la sussistenza di questo rapporto di collegamento, ma soltanto alla condizione che questi provvedimenti siano presentati tempestivamente, mentre i c.d. “collegati fuori sessioni”, quelli cioè che vengono presentati dopo il 30 settembre ed entro il 15 novembre, restano categoricamente esclusi dall’ambito della sessione.

195

singoli ministeri, o da osservazioni generali espresse dai rappresentanti della parti

sociali.

Esaurita l’istruttoria preventiva, l’esame procede nelle singole

commissioni.

Questa fase, connotata dal più alto grado di tecnicismo, rappresenta il

momento più delicato per la qualità dei testi e per la concreta determinazione delle

risultanze macro-economiche dei documenti: superata la sede della commissione

risulta molto difficile correggere errori di impostazione generale, l’unico margine

di rettifica è costituito dal noto sistema degli emendamenti327 necessariamente

ancorato a singole disposizioni.

Questa fase si dipana attraverso il duplice ruolo svolto dalla Commissione

bilancio e dalle Commissioni “di merito”.

Come già chiarito dallo schema generale ( V. figura A) e B) del presente

capitolo) i Regolamenti fissano il quadro delle preclusioni temporali da rispettare,

sia in sede di commissione di merito ( 10 gg per la commissione competente per

materia, sia alla Camera che al Senato), che per la fase successiva affidata alla

commissione bilancio ( 14 gg alla Camera e 15 al Senato)328.

Così, seguendo le indicazioni del regolamento, le commissioni di settore

prendono in esame “le parti di rispettiva competenza” e i relativi stati di

previsione, mentre alla Commissione bilancio è riservato l’”esame generale”329,

ciò significa che ognuna delle quattordici commissioni permanenti alla Camera e

delle tredici del senato esamina le tabelle del bilancio relative i ministeri sulla cui

attività ha potere di controllo, mentre per quanto riguarda la finanziaria questa

potrà essere esaminata da un punto di vista generale e in relazione alle norme che

riguardano il settore di relativa competenza.

La commissione bilancio assume comunque un ruolo essenziale e centrale,

procedendo in primo luogo all’esame generale del disegno di legge finanziaria e

del disegno di approvazione del bilancio, mentre, parallelamente, le commissioni

327 Tenendo, altresì, presente che sia per la finanziaria, che per la legge di bilancio ed i provvedimenti collegati i regolamenti prevedono che non si possono presentare in Aula emendamenti che non siano già stati presentati in Assemblea. 328 Si tratta, naturalmente di termini massimi che possono ridursi nel caso di un esame più rapido o della minor complessità della materia trattata, ma tendono ad assumere, specie per le opposizioni, come indicazione di tempi minimi da dedicare all’esame dei disegni di legge de quibus. 329 Cfr. art. 120, comma 1 del Regolamento Camera, e l’articolo 126 comma 1 del Regolamento del Senato. In entrambi i casi i Regolamenti richiedono la presenza dei Ministri competenti e la pubblicazione dei relativi resoconti stenografici ( artt. 120, comma 8 Reg. Cam. e 126 comma 5 Reg. Sen. ) Le Commissioni prendono in esame congiuntamente il disegno di legge di bilancio e il disegno di legge finanziaria.

196

di settore predispongono un relazione che viene trasmessa alla commissione

bilancio. Quest’ultima dopo aver visionato le relazioni e gli emendamenti

provenienti dalle commissioni di settore, procede alla trasmissione all’Assemblea

dei disegni di legge in questione, unitamente alla “relazione generale”,

determinando il testo che verrà esaminato nel plenum.

L’esame congiunto delle commissioni di merito e di quella di bilancio è

una peculiarità di questa procedura, completamente assente nei procedimenti

legislativi ordinari, dove, alla competenza per materia di una commissione si

sovrappone la competenza consultiva di altre330.

Proprio in ragione di questa circostanza e dell’intreccio di competenze tra

le commissioni di settore e quella di bilancio che la dottrina è divisa in merito alla

natura dell’attività posta in essere dalle commissioni competenti per materia

durante la sessione di bilancio.

Da un lato, si tende, infatti, a sottolineare la stretta connessione tra

l’attività di esame esperita in sede consultiva331, dall’altro vengono rilevate le

peculiarità che le caratterizzano332.

In ogni caso appare innegabile la sussistenza di un doppio esame

istruttorio in commissione, anche se il valore di questa analisi da parte delle

commissioni di merito assume soltanto il valore di proposta333 alla commissione

bilancio.

Il dibattito ha inizio con l’esposizione del relatore, che tende a soffermarsi,

per quanto riguarda il bilancio di previsione, sulle novità registrate rispetto

all’esercizio finanziario precedente, ma comprende necessariamente l’illustrazione

delle note di variazione sia in prima che in seconda lettura, cui fanno seguito gli

interventi dei rappresentati dei vari gruppi parlamentari, le repliche dei relatore e

del ministro.

330 Tale sistema, in realtà non è stato del tutto ignorato all’epoca della progettazione del sistema di approvazione di questi documenti. L’idea di una commissione bilancio come sede referente e le altre commissioni come sedi consultive era, infatti, previsto dall’art. 32 del Regolamento Camera, come modificato il 4 febbraio 1965, successivamente all’approvazione della Legge n. 62 del 1964, in merito all’approvazione del bilancio di previsione e veniva esteso nel 1978 al regime di approvazione della finanziaria, Cfr. in proposito V. ONIDA, Le leggi di spesa nella costituzione, Milano, 1969, pp. 134 ss. 331 Cfr. A. MANZELLA Il Parlamento cit. p. 263, secondo cui la relazione delle commissioni di settore “è qualcosa di più di un semplice parere in sede consultiva” e V. LIPPOLIS, Le procedure parlamentari, cit. p. 491, che la definisce “un’attività consultiva sui generis” 332 Cfr. M. OLIVETTI, Le sessioni di bilancio, Rassegna parlamentare, 1999, pp. 11 ss. 333 Così LIPPOLIS, Le procedure parlamentari, cit. p. 492.

197

Soltanto a conclusione della fase dibattimentale si giunge all’esame degli

ordini del giorno e degli emendamenti

L’ordine del giorno, com’è noto, costituisce uno strumento di indirizzo

rivolto al Governo, con il quale vengono evidenziati dubbi e le questioni da

risolvere in merito alla definizione di singoli interventi, ma anche interrogativi più

generali come la politica di un ministero o semplici dubbi esegetici su norme

particolari, invitando l’Esecutivo ad intervenire per tentare di porvi rimedio o di

apprestare una risposta.

Gli ordini del giorno che si riferiscono al bilancio, nelle sue singole parti o

in materia di riorganizzazione dei ministeri e delle spese, devono essere presentati

nella commissione competente per materia, mentre quelli riguardanti le linee

generali di impostazione e le questioni di politica economica devono essere

necessariamente esaminati dalla commissione bilancio, unitamente a quello

relativo alla legge finanziaria334.

Occorre precisare, inoltre, le modalità di votazione di questo strumento: la

sua stessa natura e lo stesso contenuto consentono, infatti, che aldilà della duplice

possibilità di un’approvazione o meno del documento, sia configurabile l’ipotesi

di un accoglimento da parte del Governo e quindi l’assunzione diretta

dell’impegno senza necessità di addivenire ad una formale votazione.

Una volta concluso l’esame degli ordini del giorno, occorre procedere alla

votazione degli emendamenti alle tabelle di bilancio di competenza di ciascuna

commissione335.

Essenziale, in proposito, è ricordare i limiti propri di questo potere

secondo i dettami del Testo Fondamentale.

Anche in questo contesto, opera, infatti, il terzo comma dell’articolo 81,

secondo cui “non possono essere introdotti nuove entrate o nuove spese” mediante

334 Gli ordini del giorno possono essere ripresentati in Assemblea esclusivamente se in precedenza sono stati presentati in commissione e soltanto se in quella sede hanno ricevuto voto contrario, ma a differenza degli emendamenti, gli ordini del giorno raccolti in commissione, sia che siano stati approvati dalla commissione che siano stati accolti dal Governo senza che si sia tenuta una votazione, sono considerati definitivi, senza la necessità di un’ulteriore trattazione in Assemblea. 335 La Commissione bilancio, per certi aspetti, pera analogamente alle singole commissioni di merito per quanto concerne le tabelle del ministero dell’Economia e delle Finanze, anche se limitatamente alla politica generale delle entrate, mentre le commissioni di merito non possono trattare emendamenti alla finanziaria. L’esame relativo è, infatti, riservato esclusivamente alla Commissione bilancio, mentre discutono gli emendamenti ai provvedimenti collegati, anche se il regolamento Camera obbliga a presentare presso le queste ultime anche gli emendamenti riferiti alle parti di competenza di ciascuna commissione, subordinandoli alla condizione che comportino variazioni compensative, nella parte di competenza della medesima commissione.

198

la legislazione di bilancio. Un simile divieto resterebbe del tutto eluso, infatti, se

tale risultato venisse perseguito attraverso un’abile politica di emendamenti.

Da un punto di vista strettamente procedurale, occorre ricordare che la

presentazione degli emendamenti in commissione rappresenta un elemento

essenziale per il corretto adempimento delle formalità previste dai regolamenti

parlamentari, costituendo una vero e proprio requisito di procedibilità336.

Nel caso in cui questi vengano accolti in commissione, è necessario

l’ulteriore passaggio della votazione in sede di commissione bilancio, la quale è

libera di mantenerli o respingerli.

I due esami risultano paralleli, ma complementari, risolvendosi, nel caso

della commissione di merito in un sindacato di natura prevalentemente tecnica e

relativo ai singoli settori di intervento, mentre quello della commissione bilancio

si traduce in un’analisi di vasto respiro che valuta l’impostazione dell’intera

politica di bilancio.

Viene, inoltre, previsto un sistema di fattispecie chiuse per l’esame delle

commissioni di merito: tutti gli emendamenti non espressamente consentiti in

questa sede, appartengono all’esclusiva competenza delle commissioni bilancio.

Soltanto nel caso di rigetto in commissione diventa possibile la

ripresentazione in Assemblea, nel plenum, infatti, non possono essere presentati

emendamenti nuovi che non siano connessi con emendamenti già approvati, così

come gli emendamenti riservati alla commissione di merito non possono essere

ripresentati nemmeno in commissione bilancio.

Altro profilo particolarmente delicato, inoltre, è costituito dall’aspetto

contenutistico.

E’ consentita soltanto la presentazione di emendamenti all’articolo del

disegno di legge approvativo del bilancio del ministero di competenza e alla

relativa tabella337.

336 V. A. MANZELLA, Il Parlamento, cit, pp. 263 ss 337 Si può trattare, ad esempio, di emendamenti miranti a modificare la dizione di un’unità previsionale di base, a introdurre, sopprimere o variare gli stanziamenti relativi all’Upb stessa, sia per la competenza, sia per la cassa, a condizione che tali emendamenti siano privi di conseguenze finanziarie. Non sono emendamenti volti a modificare la massa dei residui, anche perché questi non vengono neppure riprodotti nella legge di bilancio: non si tratta di entità sottoponibili a deliberazione, il loro valore dipende soltanto dall’attività di accertamento dell’amministrazione che, tra l’altro, per il disegno di legge di bilancio, riveste caratteristiche meramente presuntive, dato che il valore definitivo dei residui è rinvenibile soltanto in sede di rendiconto.

199

Ma soprattutto, particolare attenzione deve essere rivolta agli emendamenti

che contengono variazioni non compensative, questi, infatti, possono riferirsi, al

più, al caso di diminuzioni della spesa e di aumenti dell’entrata, traducendosi,

diversamente, in modifiche peggiorative del saldo netto da finanziare e rientrando,

quindi, nel campo riservato esclusivamente alla finanziaria.

L’ordine delle votazioni in questo contesto segue il numero dell’unità

previsionale di base cui i relativi emendamenti si riferiscono, per quanto concerne

le singole tabelle, mentre per gli emendamenti riferiti al testo del disegno di legge,

il punto di riferimento resta l’articolo e il comma che costituisce la base della

proposta emendativa.

La votazione è preceduta dall’illustrazione dei presentatori e su di essi si

esprimono, in senso favorevole o contrario, o, eventualmente, rimettendosi

all’orientamento altrui, il relatore e il rappresentante del governo, possono, inoltre,

intervenire i componenti della commissione, ma solo per le dichiarazioni di voto.

Il lavoro delle singole commissioni culmina nella redazione di un rapporto

che ha le stesse caratteristiche dei pareri emessi in sede consultiva, avendo per

oggetto l’esposizione motivata delle ragioni di favore o di sfavore in merito alla

proposta di bilancio per la parte relativa allo stato di previsione della spesa del

ministro di competenza delle commissioni di merito, mentre per la parte

dell’entrata, com’è noto, la competenza viene ripartita tra la commissione bilancio

e quella delle finanze rispettivamente per la parte delle politiche generali e per

quella relativa ai singoli tributi.

Nonostante l’utilità della relazione finale delle commissioni di merito non

è possibile leggere un simile documento come un requisito procedurale

indefettibile per il corretto proseguimento dell’iter di bilancio: la commissione

bilancio conserva, infatti, la propria competenza esclusiva in merito all’esito degli

emendamenti accolti nella sede settoriale.

L’esame delle commissioni di merito si conclude entro dieci giorni

dall’assegnazione, nel caso di prima lettura, o nei termini più ristretti fissati dai

rispettivi presidenti d’Assemblea in caso di letture successive.

200

4.5. c) L’esame in commissione bilancio.

La vera e propria istruttoria dei documenti338, tuttavia, si completa con

l’esame della commissione bilancio. In questa fase il dibattito si incentra sulle

macro-grandezze economiche e sui saldi, evidenziando gli orientamenti politici in

merito alle scelte fondamentali di politica economica.

Le modalità di discussione riflettono pienamente quelle proprie di altri

provvedimenti legislativi, aprendosi con la relazione del relatore generale sul

disegno di legge di bilancio e sulla finanziaria e seguito dagli interventi dei

rappresentanti delle varie forze politiche, le repliche dei relatori e dei ministri

finanziari. Conclusa l’esposizione iniziale il dibattito prosegue con l’esame degli

emendamenti e con le votazioni finali339.

Come già osservato, è la particolare materia trattata che esige la

predisposizione di un quadro di regole, speciali rispetto allo schema generale

adottato per gli altri disegni di legge ed in grado di conciliare i principi in tema di

libertà di iniziativa legislativa parlamentare con il disposto dell’articolo 81 Cost.

Ecco, allora, che non viene preclusa ai parlamentari la facoltà di incidere

sulle scelte già operate a livello di politica governativa, ma questo potere

discrezionale non può comportare una variazione peggiorativa rispetto ai limiti

quantitativi fissati mediante la risoluzione approvativa del DPEF.

Tale argine posto alla libertà di iniziativa legislativa parlamentare, oltre

che direttamente risultante da un’operazione di bilanciamento dei diversi principi

costituzionali (art. 71, I comma e art. 81 Cost.) risulta confermato e forse

indirettamente consentito, dagli stessi Regolamenti parlamentari che,

rappresentando la fonte diretta di autonomia delle Camere, possono validamente

contenere norme di autolimitazione dei poteri parlamentari, nel rispetto di altri

valori costituzionalmente garantiti.

338 Per la particolare nozione di istruttoria parlamentare, propria di questa fase e di questo procedimento legislativo V. A. MANZELLA, Il Parlamento, cit, pp. 263 ss., secondo cui anche il solo fatto per cui solo gli emendamenti respinti in commissione possono essere ripresentati in Assemblea costituisce l’indice di un’istruttoria intesa in senso particolarmente pregnante e rigoroso. 339 Peculiarità dell’esame degli emendamenti, in questa sede è l’onere a carico dei presentatori di proposte non facenti parte della commissione stessa di intervenire per presentarle: la mancata illustrazione degli emendamenti ne comporterebbe la decadenza e, com’è noto, la dichiarazione di decadenza comporta l’impossibilità di ripresentazione in Assemblea, fatta eccezione per gli emendamenti consequenziali a modifiche apportate ai testi e ai subemendamenti.

201

In quest’ottica devono essere lette le regole di ammissibilità degli

emendamenti e dell’ordine delle votazioni relative.

Innanzitutto occorre precisare che la commissione di bilancio rappresenta

la sede necessaria, per cui non sono ammissibili emendamenti non presentati

previamente in commissione, secondariamente sia in commissione che in Aula, la

votazione degli emendamenti deve avvenire necessariamente a scrutinio palese,

può essere, inoltre avanzata la richiesta di votazione per appello nominale con

verifica del numero legale, che diventa invece obbligatoria soltanto per la

votazione finale del bilancio e della finanziaria.

Particolare è , inoltre, la struttura degli emendamenti.

Mentre nel caso di proposta di modifica degli altri disegni di legge, infatti,

gli emendamenti vengono costruiti come frammenti di testo della legge,

alternativi rispetto a quello del progetto che intendono modificare, l’emendamento

alla legge di bilancio o alla finanziaria mira soprattutto a ritoccare parti tabellari e

quindi importi numerici, diventa essenziale, quindi un’attenta attività di

salvaguardia dei saldi.

Gli emendamenti al testo devono, quindi essere compensati o trovare

copertura, mentre quelli alle tabelle devono essere costruiti con il sistema della

partita doppia ed avere veste numerica340.

340 La tecnica di redazione dei documenti di bilancio rappresenta un presupposto essenziale per la correttezza e per la efficacia sostanziale della manovra, ecco perché, anche a livello di dottrina e, negli ultimi anni di prassi parlamentare, il tema suscita un interesse sempre più vivo, tanto da monopolizzare spesso anche il contenuto di documenti ufficiali. E’ il caso del Rapporto circa i criteri di Emendabilità dei documenti di bilancio, redatto dal SERVIZIO DELLA CAMERA DEI DEPUTATI, nell’ottobre 2006, dove precisa che gli emendamenti agli importi degli stati di previzione del disegno di legge di bilancio ed alle tabelle allegate al disegno di legge finanziaria debbono essere redatti indicando la variazione in aumento o in diminuzione rispetto all’importo indicato nel testo. Mentre gli importi devono essere espressi in migliaia di euro. Ad esempio nel caso si volesse modificare l’importo di una spesa da 100 a 150, l’emendamento deve indicare soltanto la misura differenziale nei seguenti termini : “+50”. Il rapporto precisa, inoltre, che non sono ammessi emendamenti che dequalificano la spesa, cioè riducfono la spesa i conto capitale ( tabella B ) per attribuire le risorse alla spesa di parte corrente ( tabella A ). Concludendo con uno schema di emendamento così strutturato: Alla tatella…. Voce Ministero….., apportare le seguenti variazioni…….. Conseguentemente alla tabella…… Vove Ministero….., apportare le seguenti variazioni……. Mentre per quanto più direttamente concernente gli emendamenti al disegno di legge di bilancio occorre: Non indicare i capitoli, oggetto del voto parlamentare restano soltanto le unità previsionali di base. Le variazioni devono indicare gli stanziamenti di competenza e le autorizzazioni di cassa Non sono, inoltre ammessi gli emendamenti che dequalificano la spesa, cioè riducono la spesa di unità previsionali di base di conto capitale per dare risorse ad unità previsionali di base di parte corrente. Concludendo con uno schema di emendamento così strutturato:

202

Generalmente le proposte di modifiche consistono nell’operazione di

sottrarre risorse da una finalità per attribuirle ad un’altra, la necessità di un

meccanismo su base contestuale deriva dal fatto che l’approvazione

dell’emendamento deve limitarsi alla modifica di destinazione di una somma e

non nell’incremento o nella diminuzione della spesa totale.

Ecco, allora, che la valutazione dell’incidenza economica di queste

operazioni rappresenta un elemento essenziale ai fini dell’ammissibilità degli

emendamenti stessi.

In primo luogo, infatti, questi non devono risultare contrastanti con le

regole di copertura stabilite dalla legislazione vigente341 e, secondariamente risulta

essenziale il rispetto del limite contenutistico che verte sulla congruità

dell’emendamento rispetto al contenuto della legge di bilancio, o della legge

finanziaria, come definito dalla legge di contabilità342

Organo adibito ad operare questo scrutinio di ammissibilità è il Presidente

della commissione e, in Aula, il Presidente di Assemblea, tale scrutinio ha

carattere insindacabile, nel senso che la declaratoria di inammissibilità non può

aprire il dibattito, né generare una discussione, soltanto il Regolamento della

Camera prevede nel caso di particolari controversie sulla decisione sia

configurabile un ulteriore intervento da parte del Presidente della Camera.

4.5. d) L’esame in Assemblea.

Concluso l’esame degli ordini del giorno e degli emendamenti il lavoro

prosegue dinnanzi al plenum.

Allo Stato di previsione del Ministero………… u.p.b…….. (-denominazione), apportare le seguenti variazioni: C.P. C.S. Conseguentemente, allo stato di previsione del Ministero………… u.p.b…….. (-denominazione), apportare le seguenti variazioni: C.P. C.S. 341 Sono quindi, assolutamente inammissibili gli emendamenti che provocano un incremento dei saldi rispetto a quelli definiti nel DPEF, ovvero un loro peggioramento qualitativo, operando, quindi, una copertura di spese correnti mediante compensazioni in conto capitale o con entrate derivanti da accensione di prestiti o con entrate o con incremento del livello massimo del ricorso al mercato finanziario. 342 Un emendamento alla finanziaria che introducesse disposizioni che ne ampliassero la materia al di là dell’elenco tassativo di cui all’articolo 11 della legge n. 468, risulterebbe senz’altro inammissibile.

203

L’attività dell’Assemblea ha inizio previa esposizione da parte di due

relatori appartenenti alla commissione bilancio delle linee essenziali del

documenti legislativi sui quali si svilupperà il dibattito.

La relazione può essere astrattamente suddivisa in due parti, comprendenti

la sezione generale, che contiene le motivazioni sulla base delle quali la

commissione ha operato le proprie scelte e la sezione riservata alla riproduzione

delle modifiche apportate agli articoli e alle tabelle del bilancio e della finanziaria

che costituiscono i nuovi testi base sui quali avverrà la discussione

dell’Assemblea343.

Aperto il dibattito in Aula, la discussione generale viene riservata agli

interventi in tema di impostazione globale del bilancio e della finanziaria, seguita

dalle repliche dei relatori e del Presidente del Consiglio, o , in sua vece dal

Ministro dell’Economia344.

I tempi di discussione sono di 15 gg, in prima lettura, mentre in seconda

lettura devono essere tali da permettere la conclusione dei lavori entro 35 gg

dall’inizio.

La Conferenza dei Capigruppo suddivide il tempo a disposizione dalla data

dell’inizio della discussione fino al termine imposto dal regolamento, tra i vari

gruppi riservando parte di questo anche alla Presidenza dell’Assemblea, al

Governo, ai relatori e alle operazioni di voto. Il monte ore a disposizione per

ciascun gruppo diventa così tassativo e una volta esaurito i rappresentanti non

possono più prendere la parola.

Per quanto riguarda l’ordine dei lavori, dopo la discussione congiunta sulle

linee generali dei due disegni di legge, si procede all’esame degli articoli del

disegno di legge di bilancio, iniziando da quello di approvazione dello stato di

previsione dell’entrata, in modo da fissare in via preliminare il livello delle risorse

disponibili.

Esaminati gli articoli del bilancio, non si procede, tuttavia, alla votazione

del disegno di legge nel suo complesso, rendendosi necessario il preliminare

esame del disegno di legge finanziaria, nei suoi articoli e nella deliberazione

343 Gli emendamenti che vengono trattati in Assemblea, quindi, devono riferirsi ai testi approvati in commissione e non più al testo originario. La relazione va trasmessa all’Assemblea entro 15 gg dall’inizio dell’esame in commissione bilancio e non oltre 25 dall’inizio della sessione. 344 La discussione generale concerne l’impostazione globale della politica economica e finanziaria e l’attuazione del programma economico nazionale e offre lo spunto per uno “dibattito generale sulla politica economica”, come osserva già V. LONGI, Elementi di diritto e procedura parlamentare, Milano, 1987, 167.

204

finale. Viene elaborata soltanto in questo contesto la Nota di variazioni ad opera

del Governo, mediante la quale vengono trasferiti sul bilancio gli effetti derivanti

dall’approvazione della legge finanziaria, come emendata dal Parlamento e il

disegno di legge di bilancio, così modificato, viene approvato in via definitiva.

Si riportano qui di seguito gli schemi riassuntivi dell’iter parlamentare di

approvazione del d.d.l. finanziaria e di bilancio, distinti a seconda della camera

incaricata di esaminare i testi in prima lettura.

205

������������������������������������������

a) fase preliminare

b) esame in commissione di merito

VERIFICA DA PARTE DEL PRESIDENTE DELLA CAMERA DELLE PARTI

ESTRANEE ALLA LEGGE FINANZIARIA E LORO STRALCIO

ESAME IN COMMISSIONE DI MERITO

DISCUSSIONE

RELAZIONE

DISCUSSIONE GENERALE

REPLICHE

VOTAZIONE DEGLI ORDINI DEL GIORNO

VOTAZIONE DEGLI EMENDAMENTI

RAPPORTO ALLA COMMISSIONE BILANCIO

206

c) esame in commissione bilancio

d) esame in assemblea

����������������������������������������

VOTAZIONI

RINVIO IN COMMISSIONE BILANCIO

NOTA DI VARIAZIONI

ESAME IN COMMISSIONE BILANCIO

RITORNO IN ASSEMBLEA E VOTAZIONE FINALE BILANCIO

TRASMISSIONE AL SENATO

D.D.L. LEGGE FINANZIARIA

(emendamenti e votaz.

D.D.L. di BILANCIO (solo emendamenti)

DISCUSSIONE GENERALE

VOTAZIONI

D.D.L. LEGGE FINANZIARIA

(emendamenti e votaz.

D.D.L. di BILANCIO (senza votazione finale)

DISCUSSIONE GENERALE

RELAZIONE GENERALE

207

a) fase preliminare

b) esame in commissione di merito

VERIFICA DELLA LEGGE FINANZIARIA DA PARTE DEL PRESIDENTE DEL SENATO (SENTITA LA COMMISSIONE BILANCIO), DELLE NORME

DI CONTABILITA’, DI COPERTURA FINANZIARIA E DELLE PARTI ESTRANEE ALL’OGGETTO, LORO STRALCIO E/O ANNUNCIO IN AULA

DELLA CARENZA DI COPERTURA

ESAME IN COMMISSIONE DI MERITO

DISCUSSIONE

RELAZIONE

DISCUSSIONE GENERALE

REPLICHE

VOTAZIONE DEGLI ORDINI DEL GIORNO

VOTAZIONE DEGLI EMENDAMENTI

RAPPORTO ALLA COMMISSIONE BILANCIO

208

c) esame in commissione bilancio d) esame in assemblea

VOTAZIONI

RINVIO IN COMMISSIONE BILANCIO

NOTA DI VARIAZIONI

ESAME IN COMMISSIONE BILANCIO

RITORNO IN ASSEMBLEA E VOTAZIONE FINALE BILANCIO

BILANCIO E LEGGE FINANZIARIA

D.D.L. LEGGE FINANZIARIA

(emendamenti e votaz.

D.D.L. di BILANCIO (solo emendamenti)

DISCUSSIONE GENERALE

se non vi sono modifiche

se vi sono modifiche

TRASMISSIONE ALLA CAMERA E SI RIPETE LA

PROCEDURA

VOTAZIONI

D.D.L. LEGGE FINANZIARIA

(emendamenti e votaz.

D.D.L. di BILANCIO (senza votazione finale)

DISCUSSIONE GENERALE

RELAZIONE GENERALE

209

4.6. Procedure finanziarie e forma di governo: tendenze evolutive

Il procedimento di approvazione dei documenti contabili annuali è stato

autorevolmente definito come “la pietra angolare della bontà di un sistema di

procedura parlamentare, poiché nessun’altra legge, come quella di bilancio,

richiede una così perfetta maturità di discussione, e insieme contiene una così

grande difficoltà tecnica”345.

Parallelamente non si può celare la capitale importanza che questa

procedura riveste nella concreta definizione della forma di governo e degli

equilibri della complessa macchina amministrativa statale, a fronte della già

ampiamente esaminata, riserva di iniziativa governativa e di approvazione

parlamentare in materia di bilanci e consuntivi.

E’ stata, altresì, sommariamente delineata la complessa evoluzione che il

sistema dei documenti di bilancio ha conosciuto a partire dal secondo dopoguerra,

ma, accanto alla continua modifica delle norme contabili, delle procedure

parlamentari e dei Regolamenti di Camera e Senato, non si può ignorare

l’universo della prassi istituzionale e il quadro di fattori esogeni346 che soprattutto

nell’ultimo scorcio di secolo hanno determinato una svolta nell’intero sistema, pur

a costituzione e regolamenti parlamentari invariati.

Il quadro istituzionale proprio degli anni ’70 e ’80, che vedeva il

Parlamento in una posizione centrale, come detentore reale del potere politico e

come unico arbitro delle grandi scelte politiche ed economiche del Paese,

costringeva il Governo al ruolo di mediatore tra le diverse tendenze ideologiche

345 V. E. ORLANDO, Principi di Diritto Costituzionale, Firenze, 1889, p. 142. 346 Ci si riferisce, essenzialmente al processo di globalizzazione dell’economia e alla tendenza alla regionalizzazione delle diverse sfere di influenza mondiale, per l’analisi degli effetti sulle istituzioni a livello nazionale, M. R. FERRARESE, Le istituzioni della globalizzazione, Bologna, 2000, pp. 7 ss., G. CANANEA, I pubblici poteri nello spazio globale, Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2003, pp. 21 ss, sui riflessi che tale fenomeno determina sulle dinamiche di funzionamento delle assemblee rappresentative, G. RIVOSECCHI, Il ruolo delle assemblee rappresentative di fronte ai procedssi di globalizzazione: spunti ricostruttivi, Amministrazioneincammino, articolo reperibile al sito http://www.,luiss.it. Per quanto riguarda gli effettidei vincoli comunitarisul sistema della finanza pubblica italiana, A. MONORCHIO, La finanza pubblica italiana dopo la svolta del 1992, Bologna, 1996, pp. 7 ss., nonché A. MUSUMECI, Gli atti normativi di finanza pubblica tra trasformazione interna e processo di integrazione europea, in F. MODUGNO, Trasformazioni della funzione legislativa. Crisi della legge e sistema della fonti, ( a cura di ) Milano, 2000, pp. 363 ss, la quale parla di processo “eteroguidato” dall’Unione Europea che si affianca a quello interno di trasformazione delle procedure di bilancio.

210

presenti all’interno della maggioranza, in una posizione “tutto sommato

collaterale”347.

Proprio il complesso di fattori “esogeni” di cui si parlava in precedenza,

tuttavia, contribuisce al progressivo scardinamento di un simile ordine

istituzionale, rendendo necessaria la presenza di un Esecutivo forte, in grado di

esprimere l’indirizzo politico della maggioranza in modo determinato e

responsabile.

Il processo di integrazione europea ha, da un lato, dotato gli esecutivi di

una carica di legittimazione ulteriore, soprattutto nel campo delle politiche

finanziarie, dove il Governo diventa l’organo direttamente responsabile degli

adempimenti nazionali nei confronti degli Unione348, dall’altro tuttavia, ha reso

necessario un progressivo mutamento del ruolo stesso dell’Esecutivo ed una sua

nuova centralità nel quadro istituzionale.

Questo tentativo di rafforzamento dell’Esecutivo viene perseguito in

diverse direzioni e trova le sue radici già a partire dagli anni ’80, quando il

Governo e la stessa Presidenza del Consiglio subiscono un processo di crescita

diella rilevanza istituzionale, rendendo l’Esecutivo nel suo complesso

maggiormente stabile e nel contempo, in grado di esercitare un maggior peso nel

circuito di determinazione dell’indirizzo politico349, ma si realizza in maniera più

percepibile dopo la svolta maggioritaria del 1993.

Questo passaggio fondamentale segna un nuovo capitolo del sistema

politico e del funzionamento della forma di governo italiana, determinando il

rafforzamento del Governo e del Presidente del Consiglio e l’affermazione di un

sistema decisionale basato su un sistema conflittuale di relazioni tra maggioranza

e opposizione350 e costruito su un modello caratterizzato da una rigida ripartizione

tra la funzione di indirizzo di stampo esclusivamente governativo e la funzione di

controllo, propria del Parlamento detentore del compito di attivare la c.d.

“democrazia dell’alternanza”.351

347 M. S. GIANNINI, Parlamento e decisioni di bilancio, Politica e mezzogiorno, 1993, p. 29 348 Cfr. Il rilievo di L. LANZILLOTTA, proprio in questo senso, Evoluzione dei poterei costituzionali di bilancio nella prospettiva dell’Unione economica e monetaria, Il Parlamento della Repubblica, Organi, procedure, apparati, Roma, 1992, pp. 14 ss; G. PITRUZZELLA, Forme di governo e trasformazioni della politica, Roma-Bari, 1996, pp. 198 ss. 349 V. in questo senso, M. CALISE, Il Governo, F. BARBAGALLO ( a cura di ) Storia dell’Italia repubblicana, Torino, 1997, pp. 368 ss. E S. FABBRINI, S. VASSALLO, Il Governo, Gli esecutivi nelle democrazie contemporanee, Roma, Bari, 1999, pp. 156 ss. 350 T. E. FROSINI, Forme di governo e partecipazione popolare, Torino, 2003, pp. 14 ss. 351 G.G. CARBONI, Alla ricerca di uno statuto per l’opposizione parlamentare, Torino, 2004

211

Il Governo doveva, quindi, dimostrarsi in grado di elaborare il suo

programma economico e di renderlo effettivamente operativo in tempi ragionevoli

ed ecco che in questo contesto si inserisce la già vista riforma legislativa del ’99

che ha provveduto a ridisegnare i tempi della manovra economica annuale e

quella regolamentare dello stesso anno.

Queste riorganizzazione legislativa e regolamentare si inquadra nel

processo di cui sono frutto anche le grandi leggi sulla riorganizzazione del potere

dell’Esecutivo, quali la Legge n. 400 del 1988 e la Legge n. 86 del 1989, volto a

dotare l’esecutivo di strumenti e forza nuova352.

Ma, nonostante la nuova legittimazione dell’Esecutivo e il suo accresciuto

potere di decisione politica353, il concreto atteggiarsi delle dinamiche istituzionali

non lanciano segnali perfettamente concordanti.

La manovra economica annuale si presenta spesso frammentata e poco

incisiva, rivelandosi più come scelta obbligata da compiersi sul terreno di un

forzato risanamento dei conti pubblici, che come il risultato di un programma

economico meditato.

Ma questi risultati così poco soddisfacenti derivano dal fallimento del

quadro normativo predisposto con le riforme e dal mancato rafforzamento

dell’Esecutivo rispetto al fronte parlamentare?

In realtà la prassi istituzionale dimostra muoversi nella direzione opposta,

con un Governo energico e dotato di una serie di strumenti normativi attraverso i

quali incidere sostanzialmente sul piano degli obiettivi di politica economica e un

Parlamento che “autolimita”354 le proprie attribuzioni in nome di un potere di

indirizzo politico unitario e più efficiente.

Non solo. L’Esecutivo si dimostra dotato di una serie di strumenti che, pur

non espressamente previsti a livello legislativo e collocandosi, talvolta, al limite

352 A. MANZELLA, La forma di Governo nell’Italia odierna, Quaderni costituzionali, 1991, pp. 23 ss. 353 Sul processo di rafforzamento e di stabilizzazione del Governo Cfr. S. FABBRINI, Rafforzamento e stabilità del governo, Come chiudere la transizione, S. CECCANTI, S. VASSALLO, ( a cura di ) Bologna, 2004, pp. 206 ss. 354 M. V. ZANGANI, I recenti sviluppi delle procedure parlamentari di bilancio:la terza fase dell’evoluzione in atto, S. TRAVERSA, A. CASU ( a cura di ) Il Parlamento in transizione, Quaderni della rassegna parlamentare, 1998 p. 169.

212

della legittimità costituzionale, consentono a buon diritto di parlare di mutato

quadro istituzionale e nuova centralità dell’Esecutivo355.

Nel corso degli ultimi anni, infatti, il Governo ha arricchito la tipologia di

fonti normative con cui presentare la manovra economica annuale,

accompagnando il disegno di legge finanziaria con una serie di distinti

provvedimenti d’urgenza, forse nell’intento di dotare l’intera operazione di

un’efficacia più immediata ed incisiva.

D’altro lato, le disfunzioni e l’ostruzionismo irrimediabilmente

connaturato in ogni decisione in campo economico-finanziario vengono superati

con la pessima pratica dei “maxi-emendamenti” con contestuale formulazione di

questione di fiducia alle Camere sul disegno di legge così formulato.

4.7. Decretazione d’urgenza e delegazione legislativa: deviazioni dal

modello procedurale creato dalla Legge n. 208.

Non costituisce una peculiarità esclusiva della prassi di questi ultimi anni

l’adozione di provvedimenti legislativi che, affiancandosi di fatto alla legge

finanziaria, ne completano la portata degli effetti, talvolta anticipandoli da un

punto di vista strettamente temporale.

E’ nota la ripetuta adozione di provvedimenti collegati che, anteriormente

all’intervento del ’99, finivano col coincidere anche cronologicamente con

l’adozione dei documenti annuali di bilancio, beneficiando dell’iter procedurale

accelerato proprio della sessione.

Il palese contrasto con i principi costituzionali di cui all’articolo 81 e con

la rigida delimitazione contenutistica della legge finanziaria operata dalla L. n.

362 del 1988, induceva il legislatore del ’99 a provvedere alla drastica

eliminazione dei c.d. “collegati di sessione”, proprio allo scopo di evitare che

strumenti legislativi paralleli rispetto alla finanziaria potessero di fatto elidere il

quadro di limiti previsti a garanzia del dettato costituzionale.

Ma accanto a questo tipo di provvedimenti, palesemente contrastanti con il

dettato normativo, cominciano a diffondersi, a partire dagli anni ’90356,

355 P. GAMBALE - D. PEROTTA, I profili problematici delle procedure di bilancio nella recente evoluzione in Italia: il crescente rafforzamento dell’Esecutivo e la possibile definizione di “controlimiti” parlamentari, Rassegna parlamentare, 2004, pp. 477 ss. 356 N. LUPO, Le deleghe del governo Amato in Parlamento, Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1994, pp. 95 ss.

213

provvedimenti collegati alla manovra finanziaria ed adottati con decreti legge, o

decretazione legislativa357.

In entrambi i casi il dubbio di costituzionalità emerge in relazione alla

competenza di cui questi provvedimenti sono dotati e alla discrasia tra questa e il

tipo di fonte con cui viene esercitata.

Il loro contenuto, infatti, non discostandosi minimamente da un punto di

vista sostanziale, dai provvedimenti adottati mediante legislazione finanziaria

inducono a dubitare della legittimità di un potere normativo esercitato

direttamente dal Governo, in contrasto con il principio di approvazione

parlamentare di cui all’articolo 81, comma I, Cost.

Fino al 1999, il problema si presentava con particolare forza e risultava

immediatamente percepibile, proprio in ragione della combinazione di diversi

elementi contrastanti con i principi legislativi e costituzionali vigenti: la

conversione di decreti legge o la delegazione legislativa venivano disposte nel

collegato unico di sessione o in altri disegni di legge collegati ed esaminate

nell’ambito della sessione bilancio, con contestuale ricorso, da parte

dell’Esecutivo alla questione di fiducia.

Ci si chiedeva, inoltre, circa la possibile conciliabilità tra la funzione

propria dei collegati, come strumenti legislativi volti ad incidere sulla normativa

sostanziale in senso congiunturale, con il differimento temporale proprio della

delegazione legislativa358.

L’intervento legislativo del ’99, tuttavia, pur contribuendo a razionalizzare

il problema dei collegati di sessione, provvedendone alla completa eliminazione,

non si dimostra risolutivo nel senso del completo superamento della prassi della

decretazione d’urgenza.

Il mutato quadro legislativo, pur contribuendo alla razionalizzazione del

contenuto dei singoli documenti tipici della manovra economica, non è stato in

grado di orientare validamente la prassi istituzionale, che in questi ultimi anni

sembra orientarsi verso un modello caratterizzato da un ruolo sempre più

preponderante dell’Esecutivo.

357 Non si possono ignorare le 24 deleghe legislative per il riordino del sistema fiscale, presenti nel collegato di sessione presentato nel 1996 dal Governo Prodi 358 Con riferimento a questi problemi Cfr. N. LUPO, L’uso della delega legislativa nei provvedimenti collegati alla manovra finanziaria, U. DE SIERVO, ( a cura di ) Osservatorio sulle fonti 1997, Torino, 1997, pp. 97 ss.

214

Il presupposto di questo accentramento in capo al Governo è stato

ravvisato nella c.d. “specialità” di procedura, che la sessione di bilancio

rivestirebbe, proprio in ragione della peculiare previsione di cui all’articolo 81

Cost.

Nonostante gli innegabili tratti peculiari di questa fase, in considerazione

della già vista rilevanza dei documenti ivi adottati, in merito alla concreta

definizione dell’indirizzo politico governativo, non può risultare ammissibile una

lettura della sessione di bilancio in termini del tutto esultanti rispetto ai principi

cardine del procedimento legislativo, anche in considerazione del fatto che lo

stesso dettato letterale dell’articolo 81, si limita a prevedere un’iniziativa

legislativa riservata a favore del governo, riconoscendo, parallelamente,

l’essenzialità di un’approvazione parlamentare.

Si registra, tuttavia, una tendenza contraria , propensa ad interpretare il

procedimento legislativo “finanziario”, come un terreno “privilegiato”, nel quale il

Governo sperimenta il massimo tasso di controllo dell’intero iter di approvazione

legislativa359.

Questa tendenza viene resa concreta proprio dall’utilizzo di una serie di

strumenti discutibili sul piano delle fonti, primo fra tutti proprio la decretazione

d’urgenza in contesto di sessione di bilancio.

A fronte della difficoltà di definire a priori la fisionomia ed il contenuto

della manovra finanziaria, nel combinato disposto risoluzioni parlamentari-DPEF,

una vasta portata di misure e di interventi in grado di incidere in maniera

significativa sull’intero programma economico globale, viene rimessa

all’adozione di decreti legge, anche in ragione dell’immediatezza dei relativi

effetti.

A partire dal 2001, infatti, il Governo accompagna la presentazione del

disegno di legge finanziaria con distinti provvedimenti d’urgenza che concorrono

alla manovra complessiva ed aventi per oggetto settori specifici..

Ma è la sessione di bialncio 2003 che segna il consolidamento di questa

prassi discutibile con l’adozione di un atto complesso contenente disposizioni di

vario genere e anche di carattere ordinamentale, volti a garantire maggiori entrate

e a finanziare interventi di spesa contenuti anche nel disegno di legge finanziaria.

359 P. GAMBALE – D. PERROTTA, I profili problematici delle procedure di bilancio nella recente evoluzione in Italia, cit. p. 493

215

Vengono, così, realizzate con decreto legge operazioni tipicamente affidate

al disegno di legge finanziaria, confermando la tendenza ad adottare

provvedimenti d’urgenza in chiave preventiva rispetto alla manovra adottata con

legge finanziaria.

Questa scelta metodologica, tuttavia, oltre ad apparire discutibile dal punto

di vista dell’opportunità strategica, si dimostra alquanto problematica dal punto di

vista del trattamento procedurale.

Sotto il primo profilo, infatti, l’adozione di misure urgenti disposte in via

del tutto autonoma rispetto alle previsioni contenute nel DPEF, si rileva

particolarmente incoerente con le esigenze di programmazione e di ponderazione

delle scelte politico-economiche.

Si palesa, infatti, in questo modo, la chiara scissione tra l’inizio reale della

sessione di bilancio e il momento della formale definizione dei valori economici

di riferimento fissati a livello di DPEF: l’esame concreto dei documenti di

bilancio e la definizione sostanziale dei saldi di finanza pubblica avviene soltanto

progressivamente e nel corso della sessione stessa, contribuendo al progressivo

indebolimento del DPEF, sia sotto il profilo previsionale che sotto l’aspetto

descrittivo ed anticipatorio.

Ulteriore dato problematico è rappresentato dalla definizione della natura

di simili provvedimenti legislativi, al fine di determinare il regime procedurale cui

essere ricondotti.

Il regime parlamentare di approvazione, infatti, varia a seconda della sua

riconduzione al novero dei “decreti legge” seguendo, quindi, un criterio di

qualificazione formale dell’atto, oppure alla diversa figura del “provvedimento

collegato” avendo, quindi a riguardo principalmente il contenuto sostanziale del

provvedimento.

L’eventuale qualificazione in termini giuridico-formali di decreto legge, in

luogo di un approccio sostanziale come provvedimento collegato, infatti,

impedisce formalmente che simili provvedimenti possano essere sottoposti allo

scrutinio presidenziale previsto dall’articolo 126, comma 6 del Regolamento del

Senato, in base al quale, in caso dell’accertamento dell’estraneità delle

disposizioni a quanto previsto dalla legislazione vigente, il Presidente esercita

l’apposito potere di stralcio.

216

La diversa configurazione comporta, inoltre, conseguenze dal punto di

vista di giudizio di ammissibilità degli emendamenti, in ragione della diversità del

parametro utilizzato: mentre per il decreto legge si riscontrano soltanto vincoli per

materia, ai sensi dell’articolo 96 bis, comma 3 bis Reg. Cam, per gli emendamenti

ai disegni di legge collegati alla manovra si registrano soprattutto limiti di tipo

finanziario ( ex art. 123 bis Reg. Cam. ).

Ma aldilà della difficoltà tecnica di qualificazione e delle possibili

discrasie tra le scelte interpretative adottate dalle due Camere 360, i veri problemi

si manifestano nel momento dell’elusione da parte di questi provvedimenti dei

principi costituzionali e dei limiti contenutistici fissati a livello legislativo per la

legislazione finanziaria.

Non si può ignorare, infatti, la tendenza ormai consolidata dalla politica

governativa di questi ultimi anni ad inserire nell’ambito del disegno di legge

finanziaria contenuti non particolarmente pregnanti, né da un punto di vista

macro-economico né sotto il profilo dell’indirizzo politico, in modo da ridurre la

360 Emblematico è stato in tal senso il caso del Decreto Legge n. 269 del 2003, dove per la prima volta vengono palesati gli effetti divergenti conseguenti ad un approccio o all’altro. Il Senato, infatti, in quell’occasione considerò il provvedimento alla stregua di un ordinario decreto legge,in linea, tanto con la qualificazione formale della natura dell’atto, ( conformandosi in tal senso alle previsioni dell’articolo 72 della Costituzione, per cui “ogni disegno di legge, presentato ad una camera, è, secondo le norme del suo regolamento, esaminato da una commissione e poi dalla Camera stessa, che l’approva articolo per articolo e con votazione finale”), sia con le indicazioni della dottrina ( V. in tal senso, M. OLIVETTI, Le sessioni di bilancio, cit. p. 78 ss., il quale ritiene che la prevalenza al regime procedurale proprio della decretazione d’urgenza vada accordata in virtù della copertura costituzionale dell’articolo 77). Una simile scelta interpretativa comportava l’inapplicabilità delle disposizioni regolamentari ( artt. 126 bis Reg. Cam e 126 Reg. Sen. ) in materia di potere stralcio presidenziale, applicando, invece il regime meno rigido previsto per l’esame dei provvedimenti di decretazione d’urgenza ( art. 78 Reg. Sen ). Tale opzione ermeneutica determinava, inoltre, una minore efficacia sistematica dell’intera manovra, in considerazione del fatto che gran parte delle misure contenute nel disegno di legge finanziaria risultano coperte dal c.d. “Decretone”, per cui, per evitare l’approvazione di emendamenti riduttivi degli effetti finanziari complessivi si rendeva necessario la posizione della questione di fiducia. Ma il dato maggiormente significativo è stata la divergenza di approccio seguito dalle due Camere. L’altro ramo del Parlamento esaminava, infatti, il provvedimento considerandolo alla stregua di un disegno di legge collegato e quindi, in relazione alla sua natura sostanziale. Si determina, così la prima grande asimmetria nell’ambito delle procedure di bilancio tra Camera e Senato, Cfr. M Degni, La politica economica del centro-destra: un bilancio a metà legislatura, Democrazia e diritto, 2004, p. 125, il quale, con un giudizio molto critico si riferisce alla situazione parlando di “procedure decisionali di finanza pubblica completamente disarticolate” e analogamente, MANIN CARRABBA, che evidenzia una vera e propria “crisi della democrazia di bilancio”, Il punto, Nota settimanale, redazione di Nens, 12 luglio 2004.

217

consistenza di quest’ultimo e favorire l’opposta dinamica accentratrice in capo

all’Esecutivo361.

In questo senso deve essere letta la concentrazione in una serie di decreti

legge collegati di sessione, delle misure quantitativamente e politicamente

maggiormente rilevanti. In questo modo, infatti, si isola e si neutralizza, per così

dire, il controllo parlamentare, attraverso una sorta di verifica ex-post di dubbia

efficacia e precludendo definitivamente allo scrutinio parlamentare la possibilità

di definire anticipatamente i contenuti dei relativi atti.

Il Governo si dimostra, così, alla costante ricerca di una serie di strumenti

normativi snelli e veloci, in grado rivedere costantemente i dati finanziari posti

alla base della manovra economica362.

Un simile strategia di normazione se presenta indubbi vantaggi dal punto

di vista della flessibilità e della tempistica della sessione parlamentare, richiede

necessariamente una più attenta e ponderata valutazione dei presupposti di

necessità e di urgenza tali da consentire il ricorso allo strumento di cui all’articolo

77 Cost e pone altresì una serie di questioni problematiche in relazione alla

compatibilità di una simile prassi con il dettato dell’articolo 81, primo comma,

della Costituzione in merito alla necessità di un’approvazione parlamentare degli

strumenti di bilancio.

4.8.Maxi-emendamenti e questione di fiducia

L’effettività dell’esame parlamentare durante il ciclo di bilancio è, inoltre,

seriamente pregiudicato dal ricorso sempre più frequente, da parte del Governo,

361 G. POLILLO, F. MAZZIOTTI, Premesse per la ridefinizione della legge finanziaria, Rassegna parlamentare, 1999, pp. 338-339 362 Questa esigenza viene in parte giustificata da una minoritaria dottrina, che pone l’accento sulle esigenze dettate dalle frenetiche dinamiche dell’economia globale. L’impossibilità di politiche di piano a lungo termine si pone, quindi, proprio in relazione all’estrema rapidità degli effetti di un qualsiasi evento economico, avvenuto sulla scala mondiale. In relazione a questa complessa realtà l’individuaizone di strumenti normativi d’urgenza diventa, secondo questa ricostruzione dottrinale, essenziale ed irrinunciabile. Si Veda, in tal senso, A. SIMONCINI, Le funzioni della decretazione d’urgenza, cit. p. 461 ss. e, sul piano generale, F. GALGANO, Lex mercatoria, Bologna, 2001, pp. 234 ss. Non può non osservarsi, tuttavia, come la decretazione d’urgenza tenda sempre di più ad assumere carattere ordinario, nell’ambito dell’attività legislativa e come tale prassi non possa essere supinamente giustificata da una generica esigenza di flessibilità regolatoria. A riguardo è sufficiente ricordare che la quota complessiva dei disegni di legge di conversione ammonta circa al 44% delle proposte del Governo approvate. Cfr. G. RIZZONI, Il Parlamento “maggioritario”, tendenze di metà legislatura, Quaderni costituzionali, 2004, pp. 112 ss., Per ulteriori indicazioni bibliografiche si rinvia a A. SIMONCINI, Le funziooni del decreto-legge. La decretazione d’urgenza dopo la sentenza n. 360 del 1996 della Corte Costituzionale, Milano, 2003.

218

alla tecnica dei c.d. maxi-emendamenti, disposizioni omnibus, che riscrivono di

fatto, l’intero testo dei documenti di bilancio.

Gli effetti distruttivi di questa pratica si realizzano con il congiunto

operare di questo sistema di normazione e la sistematica proposizione della

questione di fiducia sui testi “maxi-emendati”363.

Il graduale, ma progressivo allontanamento dai principi costituzionali

diventa, infatti, evidente e il libero esercizio dell’iniziativa parlamentare viene

seriamente pregiudicato, così come il potere di emendamento e la facoltà di

proporre articoli aggiuntivi.

A partire dall’ormai prevalente interpretazione dell’articolo 70 della Carta

Fondamentale, infatti, l’attribuzione congiunta alle Camere dell’esercizio della

funzione legislativa deve essere intesa nel senso di un espresso riconoscimento a

questi organi espressione della volontà popolare, del potere di determinare

autonomamente il contenuto della legge che essi stessi approvano.

Per cui, “ove le Camere non potessero esercitare il potere di emendamento

si avrebbe una limitazione all’esercizio della funzione legislativa che è loro

affidata dall’art. 70, in quanto l’approvazione di emendamenti appartiene alla fase

deliberativa del procedimento legislativo, ossia all’essenza stessa della funzione

legislativa”364

363 Come evidenziato da E. GRIGLIO, Riflessioni in ordine alla legittimità costituzionale dei maxe-emendamenti, Forum Quaderni costituzionali, 8 luglio 2004. Si pensi alla vicenda delle leggi finanziarie approvate annualmente dal 2001, emblematicamente passate – nel corso della XIV legislatura e proprio per effetto dell’evoluzione registrata dall’istituto in esame – da alcune decine di articoli a quattro, fino ad uno solo, composto di alcune centinaia di commi ed approvato in entrambi i rami del Parlamento grazie al voto di fiducia. Cfr. G. CARBONI, Il “potere di bilancio” fra processi decisionali interni e comunitari, Quaderni costituzionali, 2006, pp. 25ss., spec. 38 ss., e M. CAPUTO, L’esame parlamentare dei disegni di legge finanziaria nella XIV legislatura e le prospettive di riforma, Rassegna parlamentare, 2006, pp. 499 ss., spec. 519 ss. 364 E. SPAGNA MUSSO, voce Emendamento, Enc. del dir., XIV, Milano, 1965, pp. 828 ss., secondo cui una simile conclusione deve ritenersi valida anche nel caso delle c.d. “leggi meramente formali”[…] “poiché queste sono sempre poste in essere con il procedimento tipico della funzione legislativa, l'esercizio del potere di emendamento non può non sottostare alla comune disciplina del procedimento”. Ritiene che “il fondamento della potestà di emendamento risulta essere implicitamente riconducibile alla titolarità della funzione legislativa, intesa come funzione attiva, del Parlamento”, segnalando però che la “disciplina dell’esercizio di tale potestà, dato che questa non è disciplinata con norme costituzionali risulta essere ricostruibile prevalentemente, ma non esclusivamente in base alla normativa regolamentare”, A. PISANESCHI, Fondamento costituzionale del potere di emendamento, limiti di coerenza e questione di fiducia, Diritto e società, 1988, pp. 203 ss. In un’ottica non dissimile cfr. il contributo dell’ex presidente della Camera apparso sulla stampa quotidiana dello scorso anno (P.F. CASINI, Un abuso patologico, in Corriere della sera, 26 luglio 2006, pp. 1 ss.), nel quale si sostiene che l’uso continuo della questione di fiducia rischia di “svuotare la partecipazione delle Camere alla funzione legislativa attribuita loro dall’articolo 70 della Costituzione”. Non si può non concludere con la nota osservazione di A. Cerri, secondo cui, “il potere di emendamento può in definitiva considerarsi “un essentiale della funzione legislativa”,

219

Ma non è solo l’articolo 70 a proclamare la necessità di un’approvazione

parlamentare consapevole, inserendosi, in tale contesto l’espressa previsione

dell’articolo 72, primo comma della Costituzione, il quale individua i principi che

informano il procedimento legislativo.

Nel momento stesso in cui si dispone la necessità di un esame preliminare

in commissione e di un’approvazione successiva ad opera dell’Assemblea, si pone

l’accento su un dato irrinunciabile per il corretto svolgimento dell’iter

parlamentare: ciascuna iniziativa legislativa deve costituire l’oggetto di una

trattazione preventiva da parte di un organo in grado di esaminare accuratamente

il prodotto normativo da varare, quasi a voler evidenziare l’utilità di strumenti che

rendano ancora più effettivo l’esame e lo scrutinio parlamentare, attraverso un

organo ristretto e maggiormente idoneo a rivestire quel carattere di decisionalità

ritenuto così essenziale dal il costitutuente365

Lo stesso articolo, inoltre, pone l’accento su un elemento ulteriore ed

altrettanto essenziale a questi fini, quando precisa la modalità di approvazione del

progetto di legge, “articolo per articolo e con votazione finale”.

Non si può negare, infatti, che questa tecnica di esame sia stata concepita

proprio al fine di permettere un’attenta valutazione di ogni singola disposizione e,

naturalmente presupponendo un’omogeneità materiale di ciascuna partizione

dell’atto, proprio al fine di “rendere più agevole la presentazione degli

emendamenti ai singoli articoli e di consentire, peraltro, dopo l’eventuale

approvazione degli emendamenti, una valutazione d’insieme sul singolo

articolo”366.

A. CERRI, Dal contrattualismo al principio di maggioranza: approccio giuridico ed approccio economicomatematico al processo politico, Riv. trim. dir. pubbl., 1996, pp. 613 ss., spec. pp. 631. 365 Sull’importanza della fase istruttoria del procedimento legislativo cfr. F. MODUGNO, L’invalidità della legge. II. Teoria dell’atto legislativo e oggetto del giudizio costituzionale, Milano, 1970, spec. p. 204 s. e A. D’ANDREA, Autonomia costituzionale delle Camere e principio di legalità, Milano, 2004, spec. pp. 90 ss. Più in generale Cfr. L. ELIA, Le commissioni parlamentari italiane nel procedimento legislativo, Archivio giuridico "Filippo Serafini", vol. XXIX, 1961, pp. 42 ss., spec. 67 ss., il quale sottolinea che “la mancanza di ogni tipo di relazione (come, a maggior ragione, la mancanza di ogni esame in commissione) potrebbe comportare la invalidità del procedimento legislativo e pertanto della legge cui esso mette capo”. 366 Così A.A. CERVATI, Commento all’art. 72, Commentario alla Costituzione, G. BRANCA, ( a cura di ) Bologna-Roma, 1985, p. 108 ss., spec. 128 ss. Conformemente, A. PISANESCHI, Fondamento costituzionale del potere di emendamento, limiti di coerenza e questione di fiducia, cit., pp. 221 ss., per il quale il “controllo analitico da parte del Parlamento sui singoli articoli del progetto” previsto dall’art. 72 Cost. è “funzionalizzato alla possibilità da parte dell’organo legislativo di modificare la norma oggetto del controllo. Altrimenti la fase della discussione e votazione sui singoli articoli perderebbe quel valore centrale ed insopprimibile che questa riveste all’interno del procedimento legislativo e che deriva dalla previsione costituzionale della stessa”. In senso contrario, Cfr. V. LIPPOLIS, Il problema della tempestività del procedimento legislativo:

220

Oltre ad essere legato al concetto di funzione legislativa esercitata

collettivamente dalle Camere, alla nozione di esame parlamentare e di

approvazione articolo per articolo, il potere di emendamento deve ritenersi inoltre

legato, per non dire presupposto, al diritto di iniziativa parlamentare, ex art. 71

Cost367.

Ma questa tecnica legislativa, ormai concordemente definita del maxi-

emendamento, si dimostra davvero rispettosa di queste “prerogative

parlamentari”368, costituzionalmente garantite?

In realtà il maxi-emendamento determina una sorta di abolizione di fatto

della potestà parlamentare di porre modifiche sostanziali ai testi, contribuendo ad

azzerare completamente il potere di emendamento e con esso, ogni effettivo

margine di intervento delle Camere, aldilà delle statuizioni governative.

In questo modo, il procedimento parlamentare perde ogni sua

connotazione garantistica e ogni suo tratto peculiare rispetto alle distinte e più

veloci tecniche di approvazione normativa riservata alla competenza

dell’Esecutivo.

Questi elementi diventano particolarmente significativi nel contesto della

procedura di bilancio, dove il combinato disposto dell’articolo 72 c. IV e 81

comma I della Costituzione, inducono a ritenere operante in questo campo una

riserva assoluta di legge, proprio a garanzia di uno svolgimento corretto di esame

e di approvazione da parte dell’Organo rappresentativo della sovranità popolare.

E’ stato a suo tempo osservato369, infatti, che l’esplicita previsione da parte

del costituente della necessità di approvazione dei disegni di legge in materia di

la cosiddetta corsia preferenziale, i procedimenti di urgenza ex art. 72 Cost., il contingentamento dei tempi di intervento, CAMERA DEI DEPUTATI, Il Parlamento della Repubblica. Organi, procedure, apparati, 1, Roma, 1987, pp. 269 ss., spec. 280, ad avviso del quale non appare scontato che “la fase della votazione articolo per articolo, prevista dal primo comma dell’articolo 72, significhi anche approvazione con emendmenti. Non sarebbe quindi difforme a Costituzione l’ipotesi di “limitare, per alcuni procedimenti, la presentazione degli emendamenti alla sede referente poiché non sarebbe scalfito il diritto della Camera, in quanto organo complesso, a modificare il testo sottoposto al suo esame, e cioè il potere di emendamento”. 367 In questo senso la dottrina risulta ormai pressoché concorde da F. MORHOFF, Trattato di diritto e procedura parlamentare, Roma, 1948, pp. 192 ss., a L. PALADIN, voce Emendamento, Novissimo Dig. It., vol. VI, Torino, 1960, pp. 510 s.. Da A. PIZZORUSSO, Delle fonti del diritto (artt. 1-9 disp. prel.), Commentario del codice civile, A. SCIALOJA E G. BRANCA (a cura di ) , Bologna-Roma, 1977, p. 185, a M. MAZZIOTTI DI CELSO, voce Parlamento (principi generali e funzioni), Enciclopedia del diritto, XXXI, Milano, 1981, pp. 757 ss., fino a A.A. CERVATI Commento all’art. 71, Commentario della Costituzione, cit, pp. 61 ss., spec. 84 ss. Per un esame della minoritaria dottrina V.. E. SPAGNA MUSSO, voce Emendamento, cit., pp. 828 ss., P.G. LUCIFREDI, L’iniziativa legislativa parlamentare, Milano, 1968, pp. 18 ss. 368 Così definite da P. GAMBALE-D. PEROTTA, I profili problematici delle procedure di bilancio nella recente evoluzione in Italia, cit. p. 504

221

bilanci e consuntivi mediante la c.d. “procedura normale”, comporta

necessariamente e a fortiori , il congiunto operare di una riserva di legge assoluta

nella disciplina di queste delicate materie.

Ma risulterebbe davvero rispettata la volontà dei costituenti qualora i

procedimenti de quibus, pur risultando formalmente di tipo legislativo, non

apprestassero le garanzie proprie di tale tipo di procedimento?

In realtà non potrebbe parlarsi in senso sostanziale di procedimento

legislativo in caso di un iter di normazione che non garantisca quei caratteri di

trasparenza, pubblicità e partecipazione370 tipici della nozione stessa di

deliberazione parlamentare371.

In senso parzialmente differente sembra, invece, collocarsi la

giurisprudenza costituzionale372.

Sulla base del carattere “speciale” del procedimento di “approvazione dei

disegni di legge di conversione dei decreti-legge ( art. 96 bis Reg. Cam. e 78 Reg.

Sen. )”, e del procedimento concernente la posizione della questione di fiducia da

parte del Governo sull’approvazione o reiezione di emendamenti ad articoli di

369 Cfr. Ivi, capitolo 2, pp. 84 ss. 370 Cfr., per tutti, G.U. RESCIGNO, Sovranità del popolo e fonti del diritto nel pensiero di Carlo Esposito, Vezio Crisafulli e Livio Paladin, La sovranità popolare nel pensiero di Esposito, Crisafulli, Paladin, L. CARLASSARE, ( a cura di ), Padova, 2004, pp. 129 ss., spec. 153 ss.: “la legge formale viene discussa e deliberata in pubblico, da tutti i rappresentanti della volontà popolare (sempre che il sistema elettorale sia sufficientemente rappresentativo), mentre i regolamenti vengono elaborati e decisi in segreto, soltanto dagli esponenti della maggioranza con il concorso, quasi sempre segreto, dei gruppi di pressione (e cioè di coloro che dai regolamenti traggono o sperano di trarre benefici e vantaggi)” 371 In proposito L. GIANNITI E N. LUPO, affermano che una simile prassi “aggira nella lettera e nello spirito le minime garanzie procedurali fissate dall’art. 72 della Costituzione” Il Governo in Parlamento: la fuga verso la decretazione delegata non basta, Come chiudere la transizione. Cambiamento, apprendimento e adattamento nel sistema politico italiano, S. CECCANTI E S. VASSALLO (a cura di ), Bologna, 2004, pp. 225 ss., spec. 241 ss. Più in generale Cfr. M. AINIS, La legge oscura, cit., p. 4 e G.U. RESCIGNO, L’atto normativo, Bologna, 1998, pp. 139 ss. Particolarmente netta è la presa di posizione di quest’ultimo, il quale ritiene che si tratti di una “indecorosa e spudorata frode alla Costituzione, avallata dalla compiacenza dei presidenti delle due camere, non può essere seriamente contestato che un articolo composto da 100 commi od oltre è un fatto abnorme, sicuramente proposto al solo fine di aggirare la Costituzione. Presidenti di assemblea attenti e rigorosi dovrebbero dichiarare inammissibili simili progetti; la Corte costituzionale dovrebbe dichiarare incostituzionale un atto approvato in tal modo”. 372 Pur non avendo mai direttamente valutato l’istituto dei maxi-emendamenti ha respinto, in occasione della pronuncia su una disposizione di un decreto legge, la censura volta a lamentare la violazione dell’articolo 72 Cost. Cfr. la sentenza n. 391 del 1995, Giur. cost., 1995, pp. 2824 ss., con nota di G. GUZZETTA, Questioni in tema di entrata in vigore, limiti e sindacabilità (per i vizi formali) della legge di conversione, 1995, pp. 4493 ss, mentre la disposizione de qua è l’art. 5-bis del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, come convertito dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, recante "Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica", il quale ha dettato una nuova disciplina transitoria dell'indennità di espropriazione delle aree edificabili.

222

progetti di legge ( art. 116 Reg, Cam, e art. 161, comma 4, Reg. Sen)”, la

Consulta, ha, infatti, respinto la censura volta a lamentare la violazione

dell’articolo 72 Cost., sull’approvazione articolo per articolo dei progetti di legge.

La peculiarità di questi procedimenti renderebbe ammissibile un intervento

regolamentare in grado di determinare i singoli passi procedurali da compiere, per

cui un’approvazione parlamentare conforme alle previsioni regolamentari

risulterebbe pienamente rispettosa dei dettami del costituente373.

Nel caso di procedimento di approvazione di bilanci e consuntivi, tuttavia,

il carattere speciale viene direttamente desunto e tipizzato dallo stesso testo

costituzionale, escludendo ogni margine all’autonomia parlamentare: la

peculiarità e la delicatezza della materia è tale, da indurre il legislatore a definire

373 Non può non rilevarsi tutta la particolarità di una simile lettura che tende a configurare in senso assai ampio il rinvio ai regolamenti parlamentari. Con questa posizione la Consulta ritiene che i regolamenti parlamentari siano autorizzati a derogare alle norme fondmamentali poste al primo comma del medesimo articolo, sottileano, al contrario, l’inderogabilità delle fasi individuate all’articolo 72, comma I, Cost, tra gli altri, A.A. CERVATI, Il controllo di costituzionalità sui vizi del procedimento legislativo parlamentare in alcune recenti pronunce della Corte costituzionale, Scritti su la giustizia costituzionale in onore di Vezio Crisafulli, Padova, 1985, pp. 185 ss e A. MANZELLA, Il Parlamento cit, pp. 309 ss. La particolarità di una simile tesi appare, inoltre, palese se si considera lo stesso contenuto della sentenza n. 9 del 1959, Giur. cost., 1959, pp. 237ss. successivamente ribadita (tra le altre, cfr. le sentenze n. 282 del 984, Giur Cost, 1984, I, pp. 2123 ss., e n. 262 del 1998, Giur cost, 1998, pp. 2051 ss., entrambe relative all’istituto del coordinamento finale dei progetti di legge. Va ricordata, altresì, la sentenza n. 78 del 1984 (ivi, 1984, I, pp. 456 ss., nella quale invero già la Corte, relativamente al computo degli astenuti, compie un passo indietro” rispetto ai principi affermati nella sentenza n. 9 del 1959). Infine, sembra necessario ricordare altresì la sentenza n. 379 del 1996 (ivi, 1996, p. 3439 s.), la quale, pur se resa in sede di conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, sembra in realtà muoversi in linea di continuità con la sentenza n. 9 del 1959, in particolare laddove consente che l'autonomia del Parlamento prevalga sul principio di legalità allorquando “il comportamento di un componente di una Camera sia sussumibile, interamente e senza residui, sotto le norme del diritto parlamentare”). Con tale pronuncia, com’è noto, la Corte da un lato, aveva respinto le tesi dottrinali sul carattere meramente “direttivo” che sarebbe stato proprio delle regole costituzionali sul procedimento legislativo (ci si riferisce alla tesi di C. ESPOSITO, Questioni sull’invalidità della legge per (presunti) vizi del procedimento di approvazione, Giur. Cost, 1957, pp. 1326 ss., secondo il quale la riserva di regolamento parlamentare contenuta di cui all’art. 64, Cost, “giustifica ed impone che alle stesse regole della Costituzione che attengano all’organizzazione interna dellae Camere e ai relativi procediemnti entro le Camere sia riconosciuta efficacia elastiva e direttiva”), dall’altro aveva chiaramente individuato il parametro del suo giudizio sui “vizi formali”delle leggi nei soli precetti costituzionli, prescindendo cioè da ogni valutazione circa il rispetto o meno delle norme contenute nei regolamenti parlamentari, Cfr. per tutti, P. BARILE, Il crollo di un antico feticcio (gli interna corporis) in una storica (ma insoddisfacente) sentenza, Giur. Cost. 1959, pp. 240 ss. La Corte Costituzionale, ha inoltre ribadito in parte i principi affermati in occasione della pronuncia sull’articolo 2 commi 166-174 della Legge n. 662 del 1996, provvedimento collegato di sessione alla manovra finanziaria per il 1997. In questa occasione La Regione Lombardia e la Regione Veneto ritenvano violato l’articolo 72 Cost, in quantro a seguiro della questione di fiducia su tale articolo di era proceduto con votazione unica sulla molteplicità di commi contenuti nell’articolo stesso. Un’altra volta la Corte evita di pronunciarsi nel merito, dichiarando inammissibile tale censura, “non essendo chiaro nella prospettaizone dele ricorrenti in quale modo tale vizio si risolverebbe in invasione o menomazione della competenza regionale, CORTE COST. n. 398 del 1998, punto 5 del considerato in diritto, Giur. Cost. 1978, pp. 79 ss.

223

le modalità di discussione ed esame di simili atti, prescrivendone, all’articolo 72

comma IV, la necessità di approvazione mediante la c.d. “procedura normale” .

Questa prescrizione è indice della consapevolezza da parte del costituente

della estrema rilevanza dei documenti di finanza pubblica e della necessità di uno

strumento di tutela ancora più incisivo della riserva di legge: la riserva di

assemblea.

Il dettato dell’ultimo comma dell’articolo 72 rappresenta la via individuata

dalla costituzione per evidenziare l’essenzialità della deliberazione parlamentare,

di una deliberazione effettiva e consapevole, affiancata da un’istruttoria completa

in commissione referente, ma dove sia garantito l’ultimo esame da parte

dell’Assemblea.

Questa centralità dell’Assemblea sembra richiamare il primo comma

dell’articolo 81 Cost. dove si specifica la riserva di iniziativa governativa, ma

l’essenzialità di un’approvazione parlamentare.

Solo un esame concreto ed effettivo da parte dell’Organo rappresentativo

può quindi garantire il pieno rispetto delle norme costituzionali, ma l’effettività di

questo scrutinio parlamentare viene inevitabilmente pregiudicato

dall’impossibilità di poter incidere validamente sul contenuto normativo dei

disegni di legge presentati dall’Esecutivo e dall’ abolizione in via di fatto del

potere emendativo parlamentare.

Di fronte a questa prassi catalogata in dottrina come una delle “worst

practices”374 dei procedimenti parlamentari e all’assenza di una presa di posizione

netta da parte della Consulta, essenziali appaiono le indicazioni del Presidente

della Repubblica Ciampi, contenute del messaggio del 2004 sulla legge delega per

la riforma dell’ordinamento giudiziario, in cui il Presidente ha richiamato

l’”attenzione del Parlamento sul modo di legiferare che non appare coerente con

la ratio delle norme costituzionali che disciplinano il procedimento legislativo e,

segnatamente, con l’articolo 72 della Costituzione, secondo cui ogni legge deve

essere approvata “articolo per articolo e con votazione finale”375.

374 N. LUPO, Emendamenti, maxi-emendamenti e questione di fiducia nelle legislature del maggioritario, Relazione al seminario di studio, Le regole del diritto parlamentare nella dialettica tra maggioranza e opposizione, Roma 17 marzo 2006, reperibile sul sito www.astrid-online.com 375 Cfr. L. CUOCOLO, Le osservazioni del Presidente della Repubblica sul drafting legislativo tra rinvio della legge e messaggio alle Camere, www.associazionedeicostituzionalisti.it, 7 gennaio 2005, ID., I “maxi-emendamenti tra opportunità e legittimità costituzionale, Giurisprudenza costituzionale, 2004, pp. 4753 ss., spec. 4770, S. SCAGLIARINI, Il Presidente e la tecnica legislativa, Diritto pubblico, 2005 pp. 265 ss., E. GRIGLIO, Riflessioni in ordine alla legittimità

224

Questa attenzione alla qualità del prodotto legislativo assume ancor più

rilevanza in un procedimento peculiare come quello di approvazione dei bilanci e

consuntivi, proprio alla luce dell’essenzialità del ruolo parlamentare, più volte

evidenziato dallo stesso testo costituzionale: soltanto un progetto di legge

qualitativamente corretto ed intelligibile, può garantire un esame reale e

consapevole ed una deliberazione ragionata da parte dell’organo rappresentativo.

costituzionale dei maxi-emendamenti, www.forumcostituzionale.it, 8 luglio 2004 e Id., I maxiemendamenti del governo in parlamento, Quaderni costituzionali, 2005, pp. 807 ss. e L. LORELLO, Presidente della Repubblica e rinvio della legge: un nuovo “custode” della qualità della legislazione?, Nuove autonomie, 2005, pp. 327 ss.

225

CAPITOLO V

La struttura del bilancio statale: le tecniche di redazione

come risposta alle esigenze politico-economiche

contingenti.

SOMMARIO: 5.1 Premessa. 5.2. Il secondo dopoguerra e il superamento della concezione patrimonialistica del bilancio pubblico. 5.3. La Legge Curti: una riforma strutturale per il bilancio statale. 5.4. I riflessi della Legge n. 468 del 1978 sulla struttura del bilancio pubblico. 5.5. La riforma della pubblica amministrazione e le nuove esigenze del bilancio statale. 5.6. La nuova concezione di attività amministrativa pubblica con la legge 3 aprile 1997, n. 94. 5.7. Le unità previsionali di base. 5.8. La contabilità analitica per centri di costo. 5.9. La nuova struttura del bilancio e le dinamiche parlamentari.

5.1. Premessa

La necessità di un approccio qualitativo al tema della gestione e della

strutturazione dei documenti di finanza pubblica si manifesta anche e soprattutto a

livello di concreta progettazione e redazione dei testi contabili, palesandosi come

momento essenziale nella concreta definizione dell’indirizzo politico-economico

da imprimere alla manovra annuale di bilancio.

Le regole della “bonne legislation”376 si trasferiscono, così, dal piano

strettamente linguistico a quello della corretta redazione del testo, traducendosi in

376 In merito al concetto di “bonne legislation”, si rinvia, in generale, alla sterminata letteratura in tema di qualità legislativa, a partire da Platone fino al Filangeri, che già nella metà del ‘700 definiva gli errori dal legislatore come “i più grandi flagelli delle nazioni” e “la bontà assoluta delle leggi, la loro armonia con i principi universali della morale, comuni a tutte le nazioni, a tutti i governi e a tutti i climi” come l'obiettivo supremo da perseguire da ogni organizzazione sociale, da Russeau e Montesquieu fino a Carrè de Malberg. Per un cenno diretto meramente esemplificativo e senza alcuna pretesa di completezza a qualche autore classico: PLATONE, Critone, 48 B-54 D, Il discorso delle leggi, G. Rosati, Scrittori di Grecia, Milano, 1992, 903 ss.; G. SAVONAROLA, Prediche sopra Ruth e Michea, III-463, V. ROMANO (a cura di), Roma, 1962; G. SAVONAROLA, Rime, G. LAZZERI (a cura di), Milano, 1924; C. S. MONTESQUIEU, Lo spirito delle leggi, in S. MORAVIA, Filosofia, I testi, 2, ), Milano, 1992; C. BECCARIA, Dei delitti e delle pene, V, Oscurità delle leggi, G. D. PISAPIA (a cura di), ), Milano, 1964. Più di recente, com’è noto il discorso sulla qualità del discorso legislativo è stato ripreso durante la seconda metà del XX secolo. Lo studio della legistica, inteso nel senso moderno, di approfondimento delle tecniche di redazione del testo legislativo al fino di migliorarne la comprensibilità e l’accessibilità, ha avuto il suo esordio con il dibattito scientifico aperto dalla pubblicazione sulla rivista Il diritto dell’economia del 1960

226

precise tecniche di contabilizzazione adibite a realizzare e a rendere concreti gli

obiettivi di politica economica definiti a livello di amministrazione centrale.

Lo studio e l’analisi di questi criteri di registrazione delle operazioni

previste diventa, quindi, essenziale da un lato, per comprendere in modo più

completo le finalità perseguite e le strategie macro-economiche prescelte

dall’indirizzo politico di maggioranza, dall’altro costituisce il principale

strumento qualora si intenda incidere sul ruolo e sulle modalità dell’intervento

pubblico in economia.

E’ da evitare, in altre parole, il rischio di considerare le tecniche di

redazione del bilancio come strumenti neutrali, non incidenti sulla portata degli

effetti realizzati con la manovra economica e non è una casualità il fatto che le

grandi riforme della contabilità pubblica, che segnano la progressiva evoluzione

del ruolo dello Stato nell’economia pubblica, siano costantemente accompagnate

da una significativa revisione delle tecniche contabili e di strutturazione dei

documenti di finanza pubblica.

Ecco allora che il tradizionale studio di drafting e di qualità legislativa

deve leggersi, in questo particolare campo, come il perseguimento dell’obiettivo

della chiarezza, della trasparenza e della pubblicità dei documenti contabili in

dell’articolo dedicato alla “fondazione di una scienza della legislazione”, che ha contribuito alla progressiva presa di coscienza da parte della delle pubbliche istituzioni al problema della “scrittura delle leggi”, Per una sintesi delle azioni sviluppate in Italia a partire dagli esordi dello studio del drafting formale, G.U. RESCIGNO, Dal rapporto Giannini alla proposta di Manuale Unificato per la redazione di testi normativi adottata dalla conferenza dei Presidenti dei Consigli Regionali, Foro it. , 1993. A partire dagli anni ‘80 l'interesse politico alla tecnica legislativa diventa significativo in tutti i paesi europei, Cfr. Camera dei Deputati, Normative europee sulla tecnica legislativa, 1997, diffondendosi anche nell'ambito delle istituzioni comunitarie, A. VEDASCHI, Istituzioni europee e tecnica legislativa, Bologna, 2002.Per una bibliografia sul tema della qualità della legge e della tecnica legislativa, si rimanda senza alcuna pretesa di completezza ai preziosi contributi di F. CARNELUTTI, La crisi della legge, Discorsi intorno al diritto, Padova, 1937; F. CARNELUTTI, La crisi del diritto, Giur. it., 1946, pp. 64 ss.; G. CONSO, La certezza del diritto: ieri, oggi, domani, Riv. Dir. Proc. , 1970. R. SAVATIER, ��� �������� ���� �������� ��� ������ ��������� � ������ (L' inflazione legislativa e la "indigestione" del corpo sociale.) ���� ��� ������������, pp. 174-184; N. IRTI, Crisi della legge e giudizio di equità, Diritto e società, 1978; AA.VV., Lezioni di tecnica legislativa, a cura di S. BARTOLE, Padova, 1988. M. AINIS Una finestra sulla qualità delle leggi, Rassegna parlamentare, 1996, pp. 189 ss.; M. AINIS , La legge oscura. Come perché non funziona, Bari, 1997. R. DICKMANN Il drafting come metodo della legislazione, Rassegna parlamentare, 1997, pp. 214 ss; R. DICKMANN Le nuove Regole e raccomandazioni per la formulazione tecnica dei testi legislativi , Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2001, pp. 723 ss. Per una rassegna bibliografica generale sul tema, Cfr, R. PAGANO, Guida bibliografica al drafting legislativo, Introduzione alla legistica, l’arte di preparare le leggi, Milano 2004 pp. 338 ss.

227

modo da rendere esplicito l’intento economico perseguito a livello governativo,

ma anche come strumento di verifica della corrispondenza degli effetti prodotti

dalla politica di bilancio al quadro delle esigenze economiche e monetarie

concretamente prospettate.

La progressiva evoluzione vissuta nell’età repubblicana dal bilancio

annuale di previsione deve, quindi, essere interpretata proprio in questa luce,

come risposta alle diverse esigenze concretamente palesatesi nel nuovo contesto

economico nazionale. Una verifica qualitativa di queste scelte metodologiche

implica, quindi, l’accertamento degli obiettivi effettivamente realizzati, ma

costituisce soprattutto l’occasione per la continua ricerca di un miglioramento in

grado di condurre ad un sistema contabile semplice, trasparente ed in grado di

rispondere alle diverse esigenze di programmazione e di efficienza richieste dal

sistema economico attuale.

5.2 Il secondo dopoguerra e il superamento della concezione

patrimonialistica del bilancio pubblico.

E’ già stata esaminata la difficile situazione venutasi a creare gli albori

della Repubblica, a seguito della continua applicazione della legislazione

contabile del Regno nonostante il sopraggiungere dei nuovi principi costituzionali

in materia di programmazione economica e di intervento dello Stato in

economia377.

La struttura del bilancio statale continuava a riflettere la concezione

aziendalistica della macchina pubblica, configurando una strutturazione

finanziaria in grado di misurare l’incidenza di entrate e spese sul patrimonio netto.

Queste venivano inquadrate in due grandi categorie:

- le entrate e le spese effettive e

- le entrate e le spese per movimento di capitali.

Questa semplicissima classificazione riflette in modo immediato e palese

l’interesse prevalente della contabilità pubblica di quel periodo: misurare

l’incidenza delle operazioni effettuate o da effettuare sulla consistenza

377 Per una sintetica disamina delle premesse evolutive delle riforme della contabilità pubblica degli anni ’60-70, Cfr. F. SERPILLI, La nozione giuscontabile di impegno di spesa (con particolare riguardo ai soggetti competenti alla relativa adozione, nel quadro generale della contabilità pubblica), Nuova rassegna di legislazione dottrina e giurisprudenza, 2004, pp. 611 ss.

228

patrimoniale complessiva dell’azienda Stato, in modo da evidenziare le variazioni

globali sul patrimonio netto378.

La prima categoria, infatti, individua le partite finanziarie in grado di

incidere sul patrimonio netto, mentre le altre riguardano soltanto le operazioni

capaci di operarne una trasformazione sul piano qualitativo, ma inidonee ad

incidere sulla consistenza globale della massa patrimoniale.

Questo primo approccio in senso aziendalistico si percepiva anche nella

concreta gestione dei conti pubblici e nella continua ricerca di un equilibrio

patrimoniale.

Tale configurazione contabile, in realtà, rappresentava l’applicazione della

nota teoria economica “degli sbocchi”379, secondo cui il valore della domanda

globale del sistema non mai risultare inferiore a quello dell’offerta globale, in

considerazione del fatto che le risorse attraverso cui la collettività fa fronte

all’acquisto dei beni sono quelle che la stessa collettività ottiene attraverso

l’attività produttiva.

E’ proprio in questo postulato fondamentale, noto come “legge di Say”,

dal nome dell’economista francese che la ideò, che si ravvisa il fondamento della

necessità di un pareggio, anche a livello di amministrazione centrale, tra attività e

passività, entrate e uscite, risorse ed impieghi.

Il trasferimento alla contabilità nazionale dei valori e principi tipici della

sfera privatistica favorivano, tuttavia, il rapido sviluppo di istanze di

rinnovamento, anche alla luce del progressivo diffondersi delle nuove teorie

economiche di stampo keynesiano e dei chiari riferimenti costituzionali

all’intervento pubblico in economia, nell’ottica di una rinnovata programmazione

economica.

Si acquisisce la consapevolezza dell’impossibilità di una supina

trasposizione dei principi privatistici alla finanza pubblica, alla luce del particolare

ruolo da questa ricoperto per il corretto funzionamento del mercato nazionale.

Già la grave crisi economica del 1929 e le sue ripercussioni a livello

mondiale avevano reso palese l’impossibilità che le due grandezze economiche

378 G. CANTISANO, Bilancio e contabilità pubblica: analisi storico-evolutive e prospettive di riforma, La finanza locale, 2007, pp. 91 ss 379 Ai fini di una panoramica generale sulle teorie economiche classiche si veda il prezioso contributo di L.EINAUDI, Saggi bibliografici e storici intorno alle dottrine economiche, Roma, 1953, nonché P. GAREGNANI, Marx e gli economisti classici, Torino, 1981, P. ROSANVALLON, Perché è saltata l’equazione keynesiana? , Mondo operaio, 1981, pp. 51 ss. e F. ROMANI, Diritto ed economia: la prospettiva di un economista, Sociologia del Diritto, 1990, pp. 245 ss.

229

individuate dal Say avrebbero potuto raggiungere un equilibrio basandosi sulle

sole forze automatiche del mercato380.

A livello di politica governativa le critiche all’economia del non intervento

e alla dottrina classica venivano sperimentate già durante il secondo decennio

fascista381, ma sono i principi costituzionali della programmazione economica,

dell’economia mista e dell’utilità sociale della proprietà privata che segnano la

definitiva conferma del mutato quadro economico ed istituzionale.

Anche lo studio della contabilità pubblica subisce una svolta nella sua

impostazione di fondo e proprio questo nuovo ruolo dello Stato nell’economia

induce i giuscontabili a proporre un sistema di conti in grado di evidenziare, non

solo le variazioni patrimoniali dell’azienda Stato, ma di offrire il dettaglio del tipo

di gestione pubblica da questi effettuata.

Comincia, così, a diffondersi la consapevolezza per cui una mera indagine

di tipo finanziario rischierebbe di rilevarsi gravemente lacunosa in quanto

indicativa del solo ammontare complessivo di risorse monetarie impiegate dallo

Stato durante l’anno di riferimento, evidenziando un reddito monetario non

inclusivo dei costi e ricavi di carattere generale.

Queste premesse consentono un graduale passaggio dal sistema di

rilevazione contabile di tipo patrimoniale-aziendalistico al raggiungimento della

completa autonomia concettuale della contabilità pubblica raggiunta tra la

legislazione del ’64 e quella del ’78.

380 Sono i principi affermati dalla dottrina Keynesiana secondo cui “quando l’occupazione aumenta, aumenta il reddito reale complessivo. La psicologia della collettività è tale che quando aumenta il reddito reale complessivo, aumenta il consumo, ma non tanto quanto il reddito. Quindi gli imprenditori sosterrebbero una perdita se destinassero per intero la maggiore occupazione a soddisfare la maggiore domanda per il consumo immediato. Per mantenere un dato volume di occupazione, occorre, quindi, che sia realizzato un volume di investimento corrente, sufficiente ad assorbire l’eccedenza della produzione totale sull’importo che la collettività decide di consumare quanto l’occupazione è a livello dato”, J. M. KEYNES, The General Theory of Employment, Interest, and money, New York, 1936, 1964, p. 185; traduzione italiana a cura di Alberto Campolongo, Torino, 1978. 381 La strada del liberalismo cominciava ad essere abbandonata dal fascismo già a partire dal 1925, ma la vera e propria svolta protezionistica e di intervento statale nell’economia si realizza soltanto a seguito delle ripercussioni della crisi statunitense del ’29. Così, mediante la creazione dell’Istituto mobiliare italiano (1931) e dell’Istituto per la ricostruzione industriale (1933), lo Stato assumeva l’onere della concessione di fondi a favore di industrie in gravi difficoltà finanziarie e l’acquisto di parte del pacchetto azionario di alcune industrie siderurgiche, cantieristiche, navali meccaniche, nonché il controllo della Banca Commerciale, del Credito italiano e del Banco di Roma, che diventavano a partecipazione statale, determinando una profonda modifica della struttura e del carattere tipici dello Stato liberale. Venivano promossi una serie di lavori di pubblica utilità, tendenti a migliorare la vita della popolazione e a garantire l’impiego della manodopera disoccupata. Anche la massiccia costruzione di opere pubbliche deve essere inserita in questo quadro, il miglioramento dei servizi pubblici e il miglioramento dell’agricoltura attraverso un’intensa opera di bonifica e riassetto del territorio.

230

Durante questi anni, infatti, non viene negato in modo radicale

l’applicazione dei principi dell’economia aziendale alla redazione del bilancio di

previsione statale, ma si cerca di specificare alcuni connotati ritenuti essenziali ed

indefettibili per una contabilità pubblica trasparente.

Interessante è notare come le premesse per ogni dimostrazione circa

l’inidoneità del sistema di rilevazione tradizionale partano costantemente da

principi tipici dell’economia aziendale.

La lacunosità di un sistema improntato su dati esclusivamente finanziari

viene, infatti, dimostrata proprio dall’assunto secondo cui principio cardine

dell’economia aziendale è proprio la correlazione tra l’aspetto di gestione

economico e quello finanziario, correlazione che implica l’essenzialità di una

visione congiunta dei due aspetti.

Questi principi generali, tuttavia, vengono specificati per il sistema statale

proprio in ragione della peculiare natura di questa azienda, riconducibile al novero

delle “aziende di erogazione”382.

Proprio tali peculiarità dell’azienda Stato rendono necessario un esame

mirato ma tripartito alla luce di un’analisi compiuta della sua dinamica operativa,

dal punto di “vista numerario, economico e patrimoniale”383.

Una differenziazione dell’analisi delle entità economico-contabili

dell’esercizio, infatti, permette, secondo l’impostazione dottrinale dell’epoca, un

calcolo del risultato economico dell’intero anno finanziario.

Soltanto un insieme organico e razionale di scritture numerarie ed

economiche, in altre parole, si dimostrerebbe in grado di rilevare in maniera

sinottica il complesso di costi contrapposti al complesso dei ricavi, da cui,

detraendo in fine esercizio gli oneri dei servizi ancora da acquisire, sarebbe

possibile ottenere il calcolo del risultato economico dell’esercizio aziendale.

Il sistema di rilevazione contabile basato sul solo aspetto finanziario

comincia, così, a ritenersi insufficiente, in quanto palesemente parziale ed

inidoneo a fornire una panoramica sugli aspetti di economici e di gestione

dell’azienda stato.

382 Questa ricostruzione teorico-contabile dominante dagli anni successivi al sistema De Stefani, sino alla Legge Curti del 1964 deve essere attribuita al prezioso apporto dottrinale fornito da Aldo Amaduzzi, (1904-1991), Cfr. A. AMADUZZI, Sull’economia delle aziende pubbliche di erogazione, Torino, 1968. 383 Vedi nota precedente.

231

Anche la suddivisione delle entrate e delle spesi in entrate e spese effettive

ed entrate e spese per movimenti di capitale si dimostra superata dalla nuova

concezione della macchina statale.

L’iter logico seguito dai giuscontabili del dopoguerra è di estremo

interesse perché permette di comprendere i termini della successiva evoluzione

della contabilità pubblica attraverso le diverse riforme degli anni ’60, ’70, ’80 e

’90.

Dalla concezione patrimonialistica del bilancio pubblico proprio del

sistema statutario e del ventennio fascista, infatti, il primo passaggio evolutivo

nella nozione di contabilità statale è proprio quella sopra esaminata e promossa a

livello dottrinale già a partire dagli anni 30 con i preziosi contributi

dell’Amaduzzi e progressivamente coltivata anche a livello istituzionale nel

secondo dopoguerra per giungere a concretizzare i primi risultati attraverso la

riforma del 1964 con la legge n. 62.

Questa primo distacco dalla teoria patrimonialistica è di particolare

interesse proprio perché non critica in maniera assoluta ogni postulato proprio

della tradizione giuscontabile classica, ma conferma la lettura della macchina

statale in termini aziendalistici, pur evidenziandone tutte le peculiarità.

Secondo questa nuova impostazione, infatti, è proprio la natura aziendale

dell’amministrazione pubblica che ne richiede una valutazione in termini non solo

patrimoniali, ma anche economici384.

L’elemento di congiunzione tra la nozione liberale di bilancio statale e

quella introdotta a partire dagli anni ’30 è proprio il concetto di “azienda di

erogazione”385, che da un lato conferma la natura di impresa dell’attività pubblica,

ma dall’altro ne evidenzia il ruolo peculiare di gestione ed erogazione di pubblici

servizi.

Proprio questa funzione specifica rende necessaria una configurazione

contabile in grado di rilevare non solo gli aspetti più propriamente patrimoniali,

384 Per una rilettura attualizzata di questa impostazione V. il prezioso contributo di F. PEZZANI, L’evoluzione dei sistemi di contabilità pubblica, Azienda pubblica: teoria e problemi del management, 2005, pp. 561 ss. e, in prospettiva più generale, sull’opportunità o meno di applicare consapevolmente e con i necessari adattamenti i principi aziendalistici alle amministrazioni pubbliche, E. ANNESSI PESSINA, La contabilità economico-nelle aziende pubbliche: dal se al come, Azienda pubblica cit. 2005, pp. 567 ss. 385 Per una rassegna completa di questi evoluzione dei passaggi storici di questa evoluzione Cfr. G. PASSALACQUA, Il bilancio dello Stato, Milano, 1977. Per comprendere le nozioni di base e i presupposti teorici priopri del concetto di “azienda di erogazione”, con riferimento all’amministrazione statale Cfr. A. AMADUZZI, Sull’economia delle aziende pubbliche di erogazione, cit. 1968.

232

ma anche il complesso di operazioni realizzate, al fine di vagliare l’efficienza e la

produttività della gestione.

Si compie, così, il primo passo da una contabilità prevalentemente

finanziaria in grado di sottolineare soltanto le variazioni in aumento o in

diminuzione della massa attiva e passiva del patrimonio pubblico, legato quindi,

ad una nozione liberale del bilancio pubblico a una contabilità di tipo economico

che, tramite uno studio della natura e della tipologia dei costi e ricavi d’esercizio

sia in grado di evidenziare il risultato di gestione e di misurare l’efficienza della

macchina pubblica.

Vengono, quindi, individuati tre nuclei collegati di attività in grado di

evidenziare l’andamento delle operazioni effettuate durante l’esercizio finanziario:

• La gestione di consumo e di mantenimento

• La gestione di movimenti degli investimenti, dei crediti e debiti di

finanziamento

• La gestione di aziende di produzione connesse

Attraverso il primo nucleo di operazioni viene monitorato l’impiego dei

mezzi disponibili per il consumo e il mantenimento, ripartito nelle due

manifestazioni contabili, economica e finanziaria386, secondo la seguente

bipartizione:

Fig. 5.1. Aspetto economico

Spese Contributi

Oneri di beni e debiti

Rendite patrimoniali e di crediti

Perdite d’impresa

Utile d’impresa

386 Questa suddivisione dell’aspetto finanziario da quello economico rappresenta un’innovazione significativa rispetto alla prassi consolidata nella redazione del bilancio pubblico, dove le entrate e le uscite correnti non sempre corrispondevano a quelle analizzate sotto l’aspetto finanziario, in considerazione del possibile sfasamento temporale tra manifestazioni finanziarie e manifestazioni economiche.

233

Aspetto finanziario della gestione di consumo e mantenimento

Uscite finanziarie Entrate finanziarie

Per consumi

Per tributi

Per oneri patrimoniali e dei debiti

Per redite patrimoniali e dei crediti

Per reintegri di perdite

Per acquisizione di redditi di imprese

Avanzo finanziario

La gestione patrimoniale dell’azienda pubblica viene, invece, suddivisa in

tre classi di operazioni:

• Investimenti di carattere patrimoniale e loro realizzo

• Accensione ed estinzione di debiti di finanziamento

• Concessione ed estinzione di crediti di finanziamento

Anche l’inclusione all’interno del bilancio pubblico di voci di

investimento in beni di consumo di carattere durevole ed in opere pubbliche non

deve essere sottovalutato.

La concezione classica del bilancio statale, infatti, non conosceva questo

tipo di poste contabili, né, tanto meno, poteva considerare concepibile il ricorso a

fonti di finanziamento per la realizzazione di beni di investimento destinati alla

pubblica utilità, proprio alla luce della già esaminata “Legge di Say”387, secondo

cui lo Stato doveva astenersi da qualsiasi intervento nell’economia per non

alterare gli equilibri automatici, naturalmente raggiunti dalle sole forze del

mercato388.

387 Per un esame sintetico, ma molto efficace dei rapporti tra le dottrine economiche ed intervento dello Stato in economia, si Veda, F. ROMANI, Diritto ed economia: la prospettiva di un economista, Sociologia del Diritto, 1990, pp. 245 ss. nonché il più risalente, ma comunque esemplificativo contributo di P. ROSANVALLON, Perché è saltata l’equazione keynesiana? , Mondo operaio, 1981, pp. 51 ss. 388 D. DA EMPOLI, P. DE IOANNA, G. VEGAS, Il bilancio dello Stato, La finanza pubblica tra Governo e Parlamento, Milano, 2005, pp 134 ss.

234

I movimenti di gestione patrimoniale vengono anch’essi suddivisi in modo

da evidenziare la duplicità degli effetti da questa prodotti, tanto dal punto di vista

economico che patrimoniale.

Fig. 5.2. Aspetto economico dei movimenti della gestione patrimoniale.

Costi di acquisizione di: Ricavi di realizzo di:

Beni da reddito

Rendite patrimoniali e di crediti

Beni di uso durevole

Utile d’impresa

Costi di debiti restituiti

Ricavi di debiti attinti

Costi di crediti concessi

Ricavi di crediti realizzati

Aspetto finanziario

Uscite finanziarie Entrate finanziarie

Beni da reddito

Realizzo beni da reddito

Beni di uso durevole

Realizzo di beni di uso durevole

Restituzione di debiti

Accensione di debiti

Accensione di crediti

Riscossione di crediti

235

Infine per una visione congiunta delle diverse gestioni, occorre tener

sempre presente la duplicità degli effetti di ogni operazione di gestione dal punto

di vista economico e finanziario, in tal modo è possibile redigere un conto

economico d’esercizio, in analogia a quanto previsto per la generalità delle

imprese private ed un conto finanziario in grado di evidenziare i movimenti di

capitale389.

Fig. 5.3. Conto economico d’esercizio

Componenti negativi Componenti positivi

Spese per consumi:

• acquisti di beni e servizi non durevoli

• quote di ammortamento di beni pluriennale o comunque di utilità differita

• Contributi • Rendite patrimoniali • Interessi attivi ed altri lucri

finanziari

Oneri patrimoniali

Plusvalenze su realizzi patrimoniali

Interessi passivi ed altri oneri finanziari

Utili di imprese

Minusvalenze su realizzi patrimoniali

Riscossione di crediti

Perdite di imprese

Utile d’esercizio

Conto economico finanziario d’esercizio

389 G. FARNETI, Ragioneria pubblica, Milano, 2004, pp. 16 ss.

236

Entrate Uscite

Correnti derivanti da:

• tributi • rendite patrimoniali • interessi attivi • realizzo di utili di imprese

Correnti derivanti da:

• consumi correnti • oneri patrimoniali • interessi passivi • reintegro di perdite di

impresa

Di capitale derivanti da:

• vendita di beni di reddito • vendita di beni ad utilità

pluriennale • accensione di debiti • estinzione di crediti

Di capitale derivanti da:

• acquisto di beni da reddito • acquisto di beni di uso durevole • estinzione di debiti • accensione di crediti

Avanzo finanziario d’esercizio

Per la prima volta uno studio sistematico sulle aziende di erogazione

pubbliche390 riesce a dimostrare gli innumerevoli vantaggi che l’applicazione delle

metodologie economico-aziendali all’azienda Stato produrrebbero in termini di

trasparenza e di misurazione di efficienza della relativa attività.

La contabilità dei costi, i processi di pianificazione integrata, le tecniche

per favorire il processo decisionale (c.d. approccio differenziale), rilevandosi

idonei alla determinazione dell’incidenza dell’impatto delle attività dello Stato

sull’economia sociale e della qualità del lavoro reso dalle pubbliche

amministrazioni, cominciano a diffondersi a livello dottrinale e finiscono col

costituire il fondamento conoscitivo alla base della riforma del 1964391.

5.3. La Legge Curti: una riforma strutturale per il bilancio statale.

390 Il merito di questi risultati è, come già rilevato, da attribuire ai preziosi studi di Aldo Amaduzzi (1904-1991) che, abbracciando l’intero arco temporale che, a partire dalle riforme del 1923 conduce alla revisione strutturale e radicale del 1964, contribuiscono ad una svolta epocale nella concezione del sistema pubblico di contabilità, facilitando il percorso verso il raggiungimento della completa autonomia concettuale della disciplina della “contabilità pubblica”.

237

Con la Riforma del 1964 per la prima volta le iniziative ufficiose della

Ragioneria generale di affiancare alla distinzione in entrate e spese effettive ed

entrate e spese per movimento di capitali, ulteriori classificazioni di tipo

“economico” e “funzionale” vengono formalizzate in un atto legislativo in grado

capovolgere completamente la tradizionale impostazione del bilancio pubblico392.

Lo stesso articolo 1 della legge de qua provvede alla classificazione

funzionale delle entrate secondo i seguenti livelli:

• Titoli, secondo la fonte di provenienza delle entrate

• Categorie, secondo la natura di queste

• Rubriche, secondo l’organo al quale ne è affidato l’accertamento

• Capitoli, secondo il loro particolare oggetto

La classificazione delle entrate in titoli si ripartisce, così, in

• Titolo 1. Entrate tributarie

• Titolo 2. Entrate extratributarie

• Titolo 3. Alienazioni e ammortamenti di beni patrimoniali

Mentre le entrate per accensione di prestiti vengono considerate a parte.

Riguardo alla distinzione in categorie, invece, la nuova classificazione

procede ad una ripartizione di queste in relazione alla natura delle entrate

rispettando, tuttavia, anche la precedente impostazione amministrativo-

contabile393.

A scopo esemplificativo di questi primi due livelli è utile riportare uno

schema recante il dettaglio delle entrate seppur necessariamente limitato ad un

possibile frammento della classificazione globale.

Fig. 5.4. Esemplificazione sulla distinzione in titoli e categorie

Titolo I

Entrate tributarie

392 392 F. SERPILLI, La nozione giuscontabile di impegno di spesa (con particolare riguardo ai soggetti competenti alla relativa adozione, nel quadro generale della contabilità pubblica), Nuova rassegna di legislazione dottrina e giurisprudenza, 2004, pp. 611 ss. 393 G. PASSALACQUA, Il bilancio dello Stato, Milano, 1977, pp. 45 ss.

238

Categoria I – Imposte sul patrimonio e sul reddito. Importi

……….………….

Categoria II – Tasse e imposte sugli affari

……………………

Categoria III – Imposte sulla produzione, sui consumi e dogane

…………………….

Categoria IV - Monopoli

Categoria V– Lotto, lotterie ed altre attività da giuco

……….………….

Categoria VI – Proventi speciali

……………………

Categoria VII – Proventi di servizi pubblici minori

…………………….

In merito alle spese, invece, queste vengono suddivise in “correnti” e “in

conto capitale” a cui viene aggiunta un’ulteriore classe riferita al rimborso di

prestiti, pur senza costituire un titolo autonomo.

Se dal punto di vista teorico una simile impostazione si dimostra

rivoluzionaria rispetto alla precedente suddivisione in spese ordinarie e

straordinarie, non si possono nascondere gli svariati problemi applicativi generati

questo sistema classificatorio394 .

Non si dimostrava agevole, infatti, la nozione di spese di “funzionamento e

mantenimento” che avrebbero dovuto essere di pertinenza della parte corrente,

così come il concetto di “investimento” proprio della parte in conto capitale.

Secondo l’impostazione legislativa, infatti, ricadrebbero nella nozione di

cui al titolo I, spese correnti, le spese rivolte al funzionamento dello Stato ed alla

realizzazione dei servizi istituzionali, mentre nel titolo II, spese in conto capitale,

394 Circa la generale inadeguatezza del sistema delineato dalla Riforma del 1964, Cfr. V. Barbati, Il bilancio dello Stato, articolo pubblicato su sito http://www.bpp.it/Apulia/html/, nonché il contributo di A. CARUSO, La nuova impostazione del bilancio dello stato alla luce della più recente normativa, reperibile al sito http://www.postlaureagiurisprudenza.unimi.it/Caruso.doc.

239

le spese per investimenti, le concessioni di crediti ed anticipazioni, sia per finalità

“produttive” che per finalità “non produttive”.

Ma tale differenziazione legislativa appare poco chiara non utilizzando il

noto discrimine di derivazione aziendalistica, secondo cui con l’attributo

“corrente” si fa esclusivo riferimento alle spese riferite all’acquisto di beni e

servizi la cui utilità economica si esaurisce nell’esercizio in cui la spesa ha avuto

luogo, mentre il concetto di “spese in conto capitale” richiama ad investimenti ad

utilità pluriennale.

Il livello inferiore rispetto a quello dei titoli è riservato alle c.d. “sezioni”,

che classificano le spese in relazione alle funzioni e ai servizi realizzati per il

conseguimento delle finalità istituzionali dello Stato395, all’interno di ogni sezione

le spese vengono, inoltre, articolate in Rubriche, secondo le competenze degli

organi amministratori delle relative risorse.

L’innovazione più rilevante è, tuttavia, proprio la scomposizione di queste

ultime in categorie che rispondono alla dichiarata esigenza di voler approfondire

l’analisi delle spese sotto l’aspetto economico.

In questo modo la classificazione introdotta con la riforma del 1964

conferisce all’impianto contabile statale una dimensione multidimensionale,

considerando le spese tanto sotto il profilo economico (attraverso la distinzione in

titoli e categorie) che sotto l’aspetto funzionale(classificazione per sezioni) ed

amministrativo (distinzione in rubriche).

La legge Curti risulta, inoltre, altamente innovativa per l’introduzione dei

c.d. “risultati differenziali”, strumentali ai fini della valutazione delle politiche di

bilancio e delle conseguenti manovre eocnomiche.

Si tratta di risultati finanziari di sintesi che mettono a confronto grandezze

significative per la valutazione di determinati andamenti economici e misurano

l’efficienza e il buon andamento dell’economia pubblica con riferimento a

specifici aspetti o settori.

395 Sono state così previste nove aeree sezionali, a cui è stata aggiunta una decima relativa ai c.d. oneri “non ripartibili”, comprensivi delle spese non attribuibili in modo specifico ad altre voci funzionali, A. CARUSO, La nuova impostazione del bilancio dello stato alla luce della più recente normativa, reperibile al sito http://www.postlaureagiurisprudenza.unimi.it/Caruso.doc., nonché B. NICO, La riforma del bilancio dello Stato: funzione e contenuti, Nuova rassegna di legislazione dottrina e giurisprudenza, 2006, pp. 303 ss.

240

In quest’ottica il legislatore del ’64, ha introdotto in luogo del “riassunto

generale della gestione del bilancio”, proprio del sistema contabile previgente, il

c.d. “Quadro generale riassuntivo”, ove trovano sintesi le risultanze finanziarie

derivanti dalla gestione realizzata nel dato esercizio amministrativo.

In un’ottica meramente esemplificativa viene presentato qui di seguito il

quadro, a sezioni divise e contrapposte a causa del differente sistema

classificatorio adottato per le entrate e per le spese, dove emergono due distinti

risultati differenziali: l’avanzo o il disavanzo corrente, cioè la differenza tra le

entrate tributarie ed extra-tributarie ed il totale delle spese correnti, l’avanzo o il

disavanzo complessivo, che mira, invece, ad evidenziare la differenza tra il totale

complessivo delle entrate e quello delle spese, comprese quelle prodotte da

operazioni di accensione e rimborso prestiti.

Fig. 5.5. Quadro generale riassuntivo.

Entrata Spesa Tit. I – Entrate tributarie Tit. I – Spese

correnti

Tesoro

Finanze

Grazia e Giustizia

…………

Affari esteri …………

Pubblica Istruzione

…………

Interno …………

Lavori Pubblici …………

Trasporti e Aviaz. Civile

…………

Poste e Telecomunic.

…………

Difesa …………

Agricoltura e Foreste

…………

Industria e Commercio

…………

Lavoro e Prev. Sociale

…………

Commercio con l’Estero

…………

241

Marina Mercantile

…………

Bilancio …………

Partecipazioni Statali

…………

Totale Tit. I e II

(entrate tributarie ed

extratributarie)

………….

………… Sanità …………

Turismo e spettacolo

…………

Spese correnti

………… ………… …………

Differenza ( avanzo o disavanzo corrente)

………………

Tit. II – Spese in conto capitale

Tesoro …………

Finanze …………

………… Grazia e Giustizia

…………

Affari esteri …………

Pubblica Istruzione

…………

Interno …………

Lavori Pubblici …………

Trasporti e Aviaz. Civile

…………

Difesa …………

Agricoltura e Foreste

…………

Industria e Commercio

…………

Lavoro e Prev. Sociale

…………

Commercio con l’Estero

…………

Marina Mercantile

…………

Partecipazioni Statali

…………

Sanità …………

242

Turismo e spettacolo

…………

………… …………

Totale Tit. I e II

( spese correnti+spese in conto capitale)

…………

Rimborso di prestiti

Tesoro …………

Finanze …………

Affari esteri …………

Interno …………

Trasporti e Aviaz. Civile

…………

Agricoltura e Foreste

…………

………… ………… …………

Accensione di prestiti ………… Totale

complessivo spese

………… …………

Totale complessivo entrate

………… Totale complessivo entrate

…………

Differenza Risultato differenziale: avanzo o disavanzo complessivo

…………..

L’utilità di questa innovazione appare evidente fin da una prima lettura:

l’impostazione dell’intero sistema di rilevazione contabile in termini di saldi

differenziali riflette, infatti, l’esigenza di una strutturazione del bilancio pubblico

in termini nuovi, quasi a voler riaffermare la necessità di un approccio che misuri

l’efficienza e l’efficacia dell’azione della macchina statale396.

396 Per un’analisi consapevole dell’importanza di questi nuovi strumenti nella valutazione dell’efficienza dell’attività amministrativa statale, Cfr. G. LASORSA, I risultati d’insieme e differenziali del bilancio economico 1969, Lo stato civile italiano, 1970, pp. 276 ss, per un’analisi circa i risultati di un monitoraggio più attento dell’azione pubblica nel quadro contabile attuale, V. S. CANNISTRÀ, Riforma della contabilità pubblica e dei controlli. Nuovi orizzonti per la razionalizzazione della spesa. Tributi, pp. 874 ss.

243

L’introduzione dei saldi differenziali contribuiscono, così, in maniera

incisiva, ad una nuova lettura delle operazioni compiute dalle p.a. durante

l’esercizio finanziario. Queste non sono più l’espressione di un quadro di attività

minime dell’apparato statale, ma rientrano in un complesso di azioni in larga parte

discrezionali e frutto di scelte politiche intraprese al fine di orientare l’azione

dell’autorità centrale alla realizzazione di obiettivi di pubblico interesse397.

Ecco allora che, in quest’ottica, diventa essenziale la predisposizione di un

quadro di strumenti in grado di verificare l’efficienza delle azioni realizzate e la

rispondenza di queste al quadro di obiettivi programmatici delineati

preliminarmente.

Questo ampliamento delle azioni e delle finalità proprie del settore

pubblico, tuttavia, non richiede soltanto una verifica ex post dell’idoneità delle

strategie politiche intraprese a realizzare il quadro delle finalità inizialmente poste

come obiettivi, ma implica necessariamente una nuova valutazione dell’attività

pubblica in termini economici, per controllarne la stabilità e l’equilibrio tra il

quadro delle entrate e il complesso delle spese, sempre crescenti, della macchina

pubblica398.

Così, il c.d. avanzo corrente consente di determinare se le entrate relative

ai proventi di un determinato esercizio finanziario siano sufficienti per la

copertura degli oneri di funzionamento dell’apparato amministrativo statale.

Il valore positivo di questo aggregato economico, infatti, paleserebbe la

copertura data dai proventi correnti alle equivalenti spese dello stesso periodo di

riferimento, mentre la copertura mancherebbe, nel caso contrario.

Il secondo margine differenziale, invece, permette di determinare il

risultato complessivo della gestione finanziaria attraverso una lettura congiunta

della parte corrente, di quella in conto capitale di entrate e spese, ma anche

dell’intera dinamica dei movimenti finanziari relativi all’accensione ed al

rimborso dei prestiti.

In questo modo un eventuale avanzo complessivo, dimostrerebbe

l’esistenza di risorse finanziarie residue, a fronte e successivamente alla copertura

397 G. CANTISANO, Bilancio e contabilità pubblica: analisi storico-evolutive e prospettive di riforma, La finanza locale, 2007, pp. 91 ss 398 Le stesse riflessioni sono riposte, anche se calate in un contesto normativo differente a seguito della riforma del 1997 e del 1999, nel contributo di L. PICCINI, Differenza tra contabilità economica e contabilità finanziaria con particolare riferimento alle spese, Amministrazione dello Stato e contabilità degli Enti pubblici, 2000, pp. 660 ss.

244

integrale di tutte le spese, siano essere relative al funzionamento dell’apparato

amministrativo dello Stato, agli investimenti o, al rimborso dei prestiti.

L’esistenza di un valore negativo manifesterebbe, al contrario l’esistenza

di una parte di fabbisogno di finanziamento non coperta dalle fonti disponibili.

Nonostante la svolta radicale intrapresa dalla Riforma Curti, tuttavia, sin

dai primi anni di applicazione della nuova disciplina iniziano a muoversi le prime

critiche dottrinali circa le insufficienza del quadro contabile così delineato399.

Il bilancio non si dimostrava ancora idoneo a costituire uno strumento di

controllo di efficienza e di merito della gestione pubblica.

Il problema immediato prodotto dalla nuova disciplina viene ravvisato

nell’inidoneità del sistema di accertamento del complesso delle operazioni

pubbliche a fornire un quadro esauriente sull’aspetto economico-patrimoniale

della gestione.

Si inizia a comprendere, così, il nesso imprescindibile tra dato

patrimoniale e situazione economica.

Si comincia ad auspicare un’analisi dell’attività pubblica non soltanto da

un punto di vista dinamico, ma anche in relazione al quadro di cespiti e di beni

inseriti nell’assetto patrimoniale da un lato, in relazione al valore economico che

questi rivestono e dall’altro, al fine di inserirli correttamente nell’analisi e nella

determinazione del quadro economico di esercizio.

Vengono prospettati criteri valutativi in grado di evidenziare, non soltanto

il valore nominale dei componenti attivi e passivi, ma anche il loro valore reale al

fine di assicurare un valido sistema di coordinamento tra situazione patrimoniale e

situazione economica dell’azienda stato.

Proprio per questo la mancanza di adeguamenti economici relativi a valori

patrimoniali inficia la conoscenza dei risultati conseguiti.

Soltanto questo inscindibile collegamento tra le variazioni del patrimonio

netto intervenute in un dato esercizio e la gestione finanziaria di competenza di

quel periodo consente, infatti, di comprendere i condizionamenti che la gestione

399 Si Veda in proposito, B. NICO, La riforma del bilancio dello Stato: funzione e contenuti, Nuova rassegna di legislazione dottrina e giurisprudenza, 2006, pp. 303 ss., nonché C. COSSIGA E A.M. DENTE, Quale riforma per l’ordinamento finanziario e contabile?, La finanza locale, 2005, pp. 165 ss. e P. FOLGARAIT, Note sull’evoluzione della disciplina di bilancio, Informator, 2004, pp. 111 ss.

245

passata genera sul futuro e i rapporti tra avanzi, disavanzi e struttura del

patrimonio400.

5.4. I riflessi della Riforma del 1978 sulla struttura del bilancio

pubblico.

Come già osservato in sede di disamina dell’evoluzione del procedimento

di approvazione dei documenti di bilancio, la riforma del 1978 si inserisce in un

contesto economico difficile, caratterizzato da una pesante crisi valutaria in

conseguenza dell’allarme petrolifero di quegli anni e da una vera e propria

esplosione del debito pubblico.

In questo contesto matura la consapevolezza dell’insufficienza degli

strumenti offerti dalla legislazione di contabilità ai fini di una gestione

dell’economia pubblica consapevole ed efficiente così, accanto alle soluzioni

procedurali e alla predisposizione di strumenti legislativi e contabili nuovi401,

viene approntata una parziale revisione del sistema classificatorio inaugurato con

la Legge Curti.

400 E’ interessante ricordare, in proposito le critiche sollevate alla riforma del ’64 da Aldo Amaduzzi il quale afferma che i bilanci statali che tralasciano l’aspetto economico non consentono di operare un’analisi mirata ed utile della gestione delle risorse pubbliche e dell’andamento della politica economica del Paese. La mancanza del controllo economico produce, secondo l’Autore, una lacuna notevole nelle informazioni necessarie per il controllo di efficienza della macchina amministrativa nel perseguimento degli obiettivi che l’autorità centrale dovrebbe perseguire, riassumibili nella necessità di:

• produrre servizi pubblici al prezzo più competitivo e al minor costo • conseguire i mezzi da investire con il minor costo per l’amministrazione • operare gli investimenti che non siano per servizi di cui al punto 1. in beni ed opere pubbliche che

abbiano il massimo grado di produttività per l’Ente o per la collettività • in complesso operare la gestione in modo che il risultato economico globale dell’esercizio, fermi

gli obiettivi generali dell’Ente, sia il più vantaggioso. Secondo l’Autore il principale obiettivo dell’azienda pubblica riassunto nel quarto punto sopra delineato, viene raggiunto attraverso la realizzazione delle finalità indicate nei primi tre punti, in ogni caso tenendo presente che il percorso inevitabile per raggiungere questo quadro di obiettivi resta la riclassificazione delle entrate e delle uscite del bilancio finanziario in base agli effetti che generano sul patrimonio e sul conto economico generale. Cfr. A. AMADUZZI, Sull’economia delle aziende di erogazione, Torino, 1968, pp. 57 ss, nonché più in generale, A. AMADUZZI, Ragioneria Generale, Milano, 1969, pp. 78 ss. Per una rassegna storica dei fondamentali passaggi compiuti dalla finanza pubblica Cfr. G. PASSALACQUA, Il bilancio dello Stato, Milano, 1977,

401 Nel fare espresso rinvio a quanto analizzato al capitolo III, paragrafo 5, ci si limita a ricordare in questa sede come nell’ottica di dare impulso al ruolo del bilancio come strumento di programmazione dell’economia pubblica, la riforma del 1978 arricchisce la manovra economica annuale di altri atti tipici:

• La legge finanziaria, per coordinare gli strumenti giuridici alle esigenze del Governo, rendendo concreta la manovra economica delineata dall’Esecutivo

• Il bilancio pluriennale di competenza • Introduzione del bilancio di cassa

246

La dottrina pressoché unanime delineava e tutt’ora delinea, tra le

caratteristiche principali del bilancio pubblico, l’integrità, l’universalità, l’unità,

l’annualità, la veridicità, la pubblicità, la chiarezza, il pareggio (diventato

progressivamente un criterio solo tendenziale) e la specificità402.

Coerentemente con questa impostazione, l’articolo 5 della Legge n. 468

del 1978 provvede a ribadire i primi tre criteri ritenendoli profili attuativi

dell’articolo 81 della Costituzione.

Implicitamente, tuttavia, è il principio di specificità ad assumere maggior

rilievo, in quanto l’intero spirito della riforma sembra quasi orientarsi verso una

sempre maggiore specificazione e distinzione nei singoli aggregati di entrata e di

spese, nell’obiettivo di chiarire meglio le destinazioni delle diverse risorse, ma

anche per contenere la discrezionalità nella gestione dei mezzi pubblici403.

Ecco allora che il successivo articolo 6, della legge de qua, concretizza tale

principio proponendo una dettagliata classificazione delle entrate e delle spese.

Queste, infatti, non devono essere riportate nel loro complesso, ma devono

venire specificate secondo la loro natura, la causa e gli effetti che esse producono

sull’economia dello Stato.

Ecco allora che la specificità diventa, con riforma del 1978, un punto

nodale e una caratteristica del bilancio di competenza, perché una maggiore

ripartizione permette un più dettagliato controllo del Parlamento.

La discussione e l’approvazione dell’Assemblea rappresentativa si estende,

in questo modo, al singolo capitolo, impedendo trasferimenti successivi alla

delibera parlamentare miranti a trasferimenti da un fondo ad un altro.

Originariamente, lo spirito della norma era proprio evitare il pericoloso

sistema di approvazione mediante un unico capitolo contenente il complesso delle

entrate o l’intero quadro delle uscite.

In questo modo il Governo sarebbe risultato titolare di una discrezionalità

assoluta sulla gestione delle somme da spendere, mantenendosi soltanto il limite

dell’importo.

402 In proposito la dottrina è unanimemente concorde, a mero titolo esemplificativo si ricorda la disamina in tal senso di G. FAZIO E M. FAZIO, Il nuovo bilancio statale nel sistema finanziario italiano, Milano, 2001, pp. 116 ss.; D. DA EMPOLI, P. DE IOANNA, G. VEGAS, Il bilancio dello Stato, La finanza pubblica tra Governo e Parlamento, Milano, 2005, pp. 8 ss. S. BUSCEMA E A. BUSCEMA, Contabilità dello Stato e degli Enti pubblici, Milano, 2005, pp. 42 ss. 403 Cfr. S. BUSCEMA E A. BUSCEMA, Contabilità dello Stato cit. p. 45.

247

Parallelamente, tuttavia, si prospettava il rischio di un’eccessiva

specificazione, in quanto un dettaglio troppo rigoroso avrebbe intralciato

notevolmente l’attività del Governo, sottoponendolo ad un rigido rapporto di

dipendenza con il Parlamento.

La scelta del ’64 e la successiva riforma del 1978 devono essere lette in

quest’ottica: inizialmente, il legislatore del 64 propone una suddivisione delle

entrate e delle spese in titoli (ordinarie e straordinarie), categorie (effettive e per

movimento di capitali), rubriche e capitoli, ma il progressivo dilatarsi degli

interventi statali in settori sempre più significativi dell’economia nazionale,

producendo il già visto aumento esponenziale della spesa pubblica, richiede un

sempre maggiore dettaglio nel momento della registrazione del complesso delle

operazioni effettuate dalla macchina pubblica404.

L’articolo 6 della Legge n. 468 del 1978, attraverso un procedimento di

razionalizzazione della struttura delle entrate e delle spese, propone, così, un

ulteriore grado di specificazione, nell’obiettivo di porre in risalto, in termini

finanziari, la complessità dell’azione statale per ogni singolo settore di intervento.

Viene confermata la ripartizione delle entrate in Titoli, Categorie,

Rubriche e Capitoli, mentre le spese vengono ripartite in titoli, sezioni, rubriche,

categorie e capitoli. Per cui il titolo e la categoria dopo l’intento riformatore del

1978, individuano, se riferiti alle entrate, una ripartizione di carattere finanziario,

ossia la provenienza ( entrate tributarie, extra-tributarie, accensione di prestiti…) e

la natura (imposte sul reddito, sul patrimonio…), mentre se riferite alle spese

delineano una ripartizione generale concernente la destinazione economica (parte

corrente o di funzionamento e mantenimento o parte in conto capitale, o, ancora di

rimborso prestiti)405.

Ma le iniziative più significative sono l’ulteriore scomposizione del

capitolo, l’unità elementare del bilancio, in articoli, adibiti ad evidenziare le

specifiche finalità perseguite ed introdotti in appositi allegati agli stati di

previsione della spesa, nonché una riorganizzazione dei dati del bilancio, ad opera

404 C. COSSIGA E A.M. DENTE, Quale riforma per l’ordinamento finanziario e contabile?, La finanza locale, 2005, pp. 165 ss.; P. FOLGARAIT, Note sull’evoluzione della disciplina di bilancio, Informator, 2004, pp. 111 ss; S. CANNISTRÀ, Riforma della contabilità pubblica e dei controlli. Nuovi orizzonti per la razionalizzazione della spesa. Tributi, pp. 874 ss.

405 G. FAZIO E M. FAZIO, Il nuovo bilancio statale nel sistema finanziario italiano, Milano, 2001, pp. 45 ss.

248

del Ministero del Tesoro, al fine di consentire una lettura distinta per capitoli,

leggi e programmi406.

Il quadro delle critiche dottrinali avanzate all’impianto del ’64, invece,

trova risposta nella revisione delle modalità espositive dei dati finanziari.

Il punto nevralgico a lungo dibattuto in dottrina e nelle aule parlamentari

risiedeva nell’inidoneità del quadro normativo predisposto con la Legge Curti a

fornire una mirata analisi economica dell’attività compiuta dall’amministrazione

statale, proprio in vista della realizzazione degli obiettivi dell’efficienza e

dell’efficacia dell’azione pubblica.

Ecco allora che vengono predisposti una serie di risultati intermedi nella

predisposizione del quadro di valori finali di ogni amministrazione, in grado di

evidenziare la solidità delle struttura economico-patrimoniale della macchina

pubblica in riferimento ad un quadro differenziato di parametri.

Si delineano quattro distinti risultati differenziali, così definiti:

• risparmio pubblico, che mira ad evidenziare la differenza tra il

totale delle entrate tributarie ed extra-tributarie ed il totale delle

spese correnti

• indebitamento o accreditamento netto, che registra la differenza tra

tutte le entrate e le spese, escluse le operazioni riguardanti le

partecipazioni azionarie e le anticipazioni, nonché la concessione e

la riscossione di crediti, l’accensione e il rimborso di prestiti.

• Saldo netto da finanziare o da impiegare, ottenuto come differenza

delle operazioni finali, rappresentate da tutte le entrate e le spese,

escluse le operazioni di accensione e di rimborso di prestiti

406 Il processo di ampliamento dell’informativa di bilancio viene, inoltre, proseguito attraverso l’inserimento nella Legge n. 468, all’articolo 14, dell’obbligo di predisposizione dei seguenti documenti: • conto dare e avere del tesoriere centrale e dell’istituto bancario che svolge servizio di tesoreria

provinciale, del contabile del portafoglio e del cassiere speciale per i biglietti e le monete a debito dello Stato, da allegare, in particolare, al conto del patrimonio

• movimento generale di cassa e della situazione del Tesoro, della situazione dei debiti e crediti di tesoreria, da allegare allo stesso conto del patrimonio

• illustrazione dei dati consuntici dalla quale risulti il significato amministrativo ed economico delle risultanze contabilizzate di cui vengono posti in particolare evidenza i costi sostenuti e i risultati conseguiti per ciascun servizio, programma e progetto in relazione agli obiettivi e agli indirizzi del programma di Governo, da allegare al rendiconto.

Tra queste innovazioni certamente la più innovativa è costituita dal documento illustrativo dei dati relativi ai costi e ai risultati conseguiti per ciascun servizio, programma o progetto, richiesto da tempo dalla Corte dei Conti per approfondire il proprio giudizio sindacato sull’attività amministrativa svolta a livello centrale, divenuto tuttavia, obbligatorio soltanto a seguito della riforma del 1978.

249

• Ricorso al mercato, espresso come differenza tra il totale delle

entrate finali e il totale delle spese.

Questo quadro di valori differenziali viene riportato a mero scopo

esemplificativo nella figura 5.6.

Fig. 5.6. Quadro generale riassuntivo del bilancio, secondo la Riforma del 1978 (da compilare nella versione per competenza e per cassa)

Entrate Spese

Titolo I – Entrate tributarie Titolo I – Spese correnti

Titolo II – Entrate extra-tributarie Tesoro

Titolo III – Alienazione ed ammortamento … e risc. crediti

Finanze

(Di cui riscossione di crediti) Bilancio e programmazione economica

Totale entrate finali Grazia e giustizia

Titolo IV – Accensione di prestiti Affari esteri

Totale complessivo entrate

Pubblica istruzione

Interno

Risultati differenziali Lavori pubblici

Entrate tributarie ed extratributarie Trasporti

Spese correnti (–) ………

Risparmio pubblico Beni culturali e ambientali

Entrate finali

Spese finali (–) Titolo II – Spese in conto capitale

Saldo netto da finanziare Tesoro

Finanze

Entrate finali al netto delle riscossioni di crediti Bilancio e programmazione economica

Spese finali ………… Grazia e giustizia

Operazioni finanziarie: Affari esteri

Partecipazioni ………… Pubblica istruzione

Anticipazioni per finalità produttive ………… Interno

250

Anticipazioni per finalità non produttive

………… Lavori pubblici

Totale operazioni finanziarie ………… Trasporti

Spese finali al netto delle operazioni finanziarie

………

Indebitamento netto Beni culturali e ambientali

Entrate finali Totale spese finali

Spese complessive (–) Titolo III – Rimborso di prestiti

Ricorso al mercato Totale complessivo spese

Questi risultati differenziali sembrano quasi richiamare l’esame

tipicamente economico-contabile effettuato dalle imprese private tramite la c.d.

“analisi per indici”, che mira a comparare determinate grandezze al fine di

pervenire a risultati in grado di evidenziare la qualità e la solidità dell’azienda in

relazione a parametri determinati407.

Così il risparmio pubblico sembra suggerire la necessità di una valutazione

dell’attività pubblica che misuri la capacità delle entrate tributarie ed extra-

tributarie a garantire la copertura delle spese aventi rilevanza immediata, mentre

l’indebitamento (o accreditamento netto) pare richiamare l’esigenza di misurare la

solidità del sistema, indipendentemente dalle fonti di finanziamento esterne408.

D’altra parte è necessario che “il bilancio statale costituisca uno strumento

di conoscenza dell’influenza esercitata sull’economica, una guida utile per sapere

se ed entro quali limiti il Governo se ne è servito correttamente per esercitare una

giusta e sana influenza sull’economia nazionale, allo scopo di consentire le

407 A fini meramente esemplificativi e senza alcuna pretesa di completezza, si Vedano in proposito AVI, Il bilancio come strumento di informazione verso l’esterno, Padova,1990; FERRERO, DEZZANI, PISONI, PUDDU, Le analisi di bilancio, indici e flussi, Milano, 1998; SÒSTERO e FERRARESE, Analisi di bilancio: strutture formali, indicatori e rendiconto finanziario, Milano, 2000; M. FACCHINETTI, Le analisi di bilancio: logica e metodologia delle analisi per margini, indici e flussi per la conoscenza della realtà aziendale, Milano, 2001; 408 E’ la stessa logica che anima la previsione degli indici di redditività nell’economia aziendale: l’ammontare complessivo delle attività, costituito dai crediti, dal magazzino e dalle immobilizzazioni viene commisurato al reddito operativo, (c.d. indice ROI ), analogamente, lo stesso reddito operativo viene commisurato all’ammontare delle vendite, al c.d. fatturato (ROS). Questi due indici, fondamentali dell’economia delle imprese private, si basano proprio sul principio di isolare alcuni dati di bilancio, che pur devono essere necessariamente computati per il calcolo dell’utile netto e nella formazione generale dello stato patrimoniale dell’azienda, proprio al fine di verificare l’efficienza e la bontà dell’attività tipica, in assenza dei risultati propri della gestione finanziaria e quindi dei proventi ed oneri derivanti da finanziamenti estranei all’attività principale.

251

finalità fondamentali di ogni Stato moderno, quanto meno nei confronti di una

politica di stabilità e di sviluppo economico. In altre parole il bilancio pubblico

deve venir congegnato in modo da poter essere preso come base nel programma

degli interventi di politica economica e finanziaria”409.

5.5. La riforma della pubblica amministrazione e le nuove esigenze del

bilancio statale.

Già in occasione della riforma della procedimento di approvazione del

bilancio pubblico, attuata con Legge n. 362 del 1988, viene palesata l’esigenza di

superamento della rigidità strutturale propria del sistema varato dalla legislazione

del 1978 ed, in particolare, viene sottolineata la necessità di una struttura più

semplice, ma parallelamente maggiormente idonea ad evidenziare l’andamento

della finanza pubblica, monitorando l’efficienza e l’efficacia dell’attività svolta

dalle pubbliche amministrazioni.

In quest’ottica si provvede ad un più stretto collegamento tra le linee di

regolazione pluriennali-programmatiche e l’impostazione annuale del bilancio di

esercizio, istituendo il “Documento di Programmazione Economica e

Finanziaria”410, attraverso il quale il Governo provvede all’esposizione delle di

fondo della manovra economica e finanziaria pluriennale.

Tuttavia le più pressanti esigenze di revisione dell’impianto contabile

instaurato con la legge del ’78 si avvertono con il progressivo consolidamento

della radicale riforma del pubblico impiego e, più in generale, dell’intera

organizzazione delle pubbliche amministrazione avviato durante gli anni ’90411.

409 G. COSCIANI, Istituzioni di scienza delle finanze, Torino, 1961, p. 83. 410 V. infra Cap. 3, pp. 146 ss. 411 Questo complesso processo che può farsi risalire fino alla Legge del 8 giugno 1990, n. 142, che naturalmente trova il suo compimento nel D. lgs n. 29 del 1993, introducendo l’autonomia gestionale dei dirigenti pubblici, eleva a principio legislativo l’auspicio da anni promosso a livello scientifico-dottrinale, della separazione tra amministrazione e politica. Ai vertici elettivi viene riconosciuto il diritto-dovere di attuare le politiche pubbliche, secondo il mandato ricevuto dai cittadini, mentre la classe dirigenziale rimane l’unica titolare e responsabile della gestione: i dirigenti sono direttamente responsabili, in relazione agli obiettivi dell’ente, della correttezza amministrativa e dell’efficienza della gestione. ( Cfr. Art. 51 c. III, Legge n. 142 del 1990. Ma proprio il varo di questa riforma rende sempre più esplicita la connessione che sarebbe dovuta sussistere tra la costruzione di unità di bilancio omogenee e verifica dei costi sostenuti e dei risultati conseguiti, per pervenire ad un’analisi delle somme erogate sotto il profilo dell’efficienza, efficacia ed economicità, nonché determinazione delle sfere di responsabilità dei dirigenti. A livello esemplificativo, per controllo di efficacia si intende il grado di soddisfacimento dei risultati sperati, per “efficienza” il rapporto tra fattori produttivi impiegati e risultati conseguiti,

252

Ci si riferisce alla disegno tracciato dal decreto legislativo n. 29 del 1993

che, nell’ottica dei una più decisa responsabilizzazione dell’azione amministrativa

e di una sua valutazione in termini di efficienza ed economicità, contribuisce ad

un’ evoluzione ulteriore nella concezione del bilancio pubblico.

Questo documento continua ad allontanarsi dalla sua originaria

configurazione di documento amministrativo di rendicontazione e di previsione,

alla ricerca di una dimensione nuova, in grado, non solo di fotografare in modo

chiaro e trasparente il complesso di attività svolte e realizzate dello Stato, ma di

misurarne i risultati, attraverso un lavoro di valutazione dell’intera attività

gestoria.

Il processo di riforma della dirigenza pubblica contribuisce in maniera

incisiva in questa direzione, favorendo il progressivo intreccio tra cultura

amministrativa e quella aziendale, proprio attraverso la responsabilizzazione del

ruolo dirigenziale, in modo da rendere sempre costante la misurazione

dell’efficienza della gestione, verificando la rispondenza tra obiettivi e risultati,

costi e rendimenti.

In questo contesto lo schema classificatorio adottato con la Legge Curti e

precisato nel ’78, diventa gravemente insufficiente: il bilancio non può più essere

concepito esclusivamente come momento politico di definizione delle strategie

economiche e dei criteri guida per la gestione, ma deve necessariamente divenire

un atto di riorganizzazione della struttura amministrativa, garantendo l’effettivo

controllo di gestione sull’esecuzione della spesa.

Si manifesta, così, un’ulteriore esigenza, accanto all’originaria necessità di

individuare aggregati di spesa più ampi per una migliore leggibilità e trasparenza

contabile: adottare moduli di bilancio per la gestione, il controllo e la

rendicontazione coerenti con le rinnovate esigenze di funzionalità degli apparati

burocratici.

La nuova disciplina della classe dirigente già viene rivolta in questa

direzione, nell’intento di un’articolazione dei bilanci delle p.a. per “funzioni e

mentre per economicità, il raggiungimento del massimo risultato con la minima spesa, V. per tutti, O. SEPE, L’efficacia nell’azione amministrativa, Milano, 1975 pp. 200 ss. M. V. LUPO’ AVAGLIANO, I controlli di efficienza sulla gestione finanziaria dello Stato, Atti del Convegno di contabilità pubblica, “Collettività e controllo sulla finanza pubblica, Perugia 9-11 ottobre 1981, Perugia, 1982, pp. 411 ss.; E. BUGLIONE-G. FRANCE, La promozione della funzionalità nelle istituzioni pubbliche, Milano, 1990.

253

programmi”, con riferimento alle “unità amministrative cui compete la gestione di

questi”412.

Il passaggio obbligato diventa allora il raggruppamento di costi e spese,

aventi la medesima finalità, in “unità amministrative”, riferibili all’organo

responsabile degli obiettivi413.

L’inversione di rotta nella nozione di bilancio pubblico diventa, così,

inevitabile: una volta individuati gli uffici di livello dirigenziale “per funzioni

omogenee” e le relative piante organiche, la riclassificazione dal punto di vista

amministrativo degli stati di previsione e di riorganizzazione dei capitoli di spesa

diventa un passaggio obbligato.

Si comprende così che le direzioni generali, responsabili di obiettivi

connessi ad una specifica funzione (c.d. centro di spesa o di costo) avrebbero

dovuto necessariamente richiamare un capitolo di spesa, fornendo una sorta di

incrocio tra una classificazione funzionale ed una amministrativo-ministeriale414,

avviando una nuova politica di bilancio in grado di attivare un vero e proprio

controllo economico di gestione sull’attuazione della spesa e dei risultati

conseguiti.

In questa direzione si inserisce l’azione congiunta della Ragioneria

generale dello Stato che, negli anni ’90, comincia ad avanzare progetti di

rilevazione, analisi e controllo dei costi di gestione delle p.a. e della Corte dei

Conti, che si fa promotrice di nuovi modelli strutturali di classificazione della

spesa pubblica.

Proponendosi l’obiettivo di ideare un efficace strumento di controllo di

gestione, la Corte propone nel 1995, un progetto di riforma del rendiconto

generale dello Stato, che viene adottato in via sperimentale per l’esercizio

finanziario dello stesso anno415.

412 Cfr. artt. 63 e 64 D. Lgs n. 29 del 1993 413 MINISTERO DEL TESORO, Ragioneria generale dello Stato, Circolare 13 settembre 1993, n. 63, Attuazione decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29. Costi e servizi degli uffici. 414 Si sarebbe attuato in questo modo un trasferimento del vincolo gestionale dal limitato ambito di ciascun capitolo ad una più ampia aggregazione di spesa corrispondente all’unità amministrativa, in modo da valorizzare la funzione dirigenziale e rendere possibile una nuova politica di bilancio con l’aiuto di un vero e proprio controllo economico di gestione sull’attuazione della spesa e dei risultati conseguiti, Cfr. MINISTERO DEL TESORO, Ragioneria generale dello Stato, Circolare cit. 415 CORTE DEI CONTI, Sezioni riunite, Referto specifico in tema di struttura e riclassificazione del bilancio di previsione e del rendiconto, Roma, 1995 e Decisione e Relazione sul Rendiconto generale dello Stato per l’esercizio finanziario 1995, Roma 1996. Il collegamento tra riforma amministrativa e revisione contabile appariva, ormai inevitabile: ogni obiettivo previsto dalla nuova strutturazione della p.a. richiedeva un’impostazione contabile in grado di evidenziarne l’effettivo raggiungimento.

254

Il modello proposto ha come unità di decisione fondamentale l’“unità

operativa”, costituita non dal capitolo, ma da un aggregato fondamentale ideato al

fine di delimitare con maggior precisione i confini finanziari di una determinata

funzione di spesa.

Queste unità fondamentali comprendono, quindi, uno o più capitoli di

spesa, aventi la medesima finalità e sono caratterizzati, soprattutto, dall’essere

riferibili all’organo responsabile del perseguimento degli obiettivi e

dell’emanazione delle direttive per il loro conseguimento.

Questo progetto, secondo la Corte, avrebbe dovuto costituire un punto di

collegamento tra la razionalizzazione del bilancio e l’ammodernamento della

pubblica amministrazione, attuando e rafforzando il decreto legislativo n. 29 del

1993, fondato sul legame tra funzioni, centri di responsabilità e disciplina del

procedimento416.

La relazione illustrativa a questo progetto fornisce un quadro di sintesi

delle esigenze di riforma avvertite durante quegli anni, evidenziando tutta

l’inadeguatezza e l’obsolescenza dello schema varato nel 1964 e rivisto nel ’78.

Al centro del dibattito si colloca la strutturazione del bilancio in capitoli.

Questa eccessiva frammentazione impedisce, infatti, secondo la Corte,

un’organizzazione del lavoro pubblico per programmi e progetti.

L’inadeguatezza strutturale viene palesata, inoltre, dall’incapacità del

bilancio pubblico di divenire un valido strumento di ripartizione delle risorse ,

conducendo ad una scarsa significatività dei conti della finanza pubblica ai fini

della decisione parlamentare.

La legge del 23 ottobre 1992, n. 421, con cui veniva conferita al Governo la delega, per il contenimento, la razionalizzazione e il controllo della spesa per il settore dell’impiego pubblico, nel determinare come obiettivo prioritario il contenimento della spesa globale per i dipendenti pubblici, ne precisava l’obbligo e la necessità di evidenziare i dati relativi nel bilancio, preventivo e consuntivo, con particolare attenzione alla gestione delle risorse finanziarie “attraverso l’adozione di idonee tecniche di bilancio”. Proprio questa priorità imponeva l’individuazione di uffici e organi dirigenziali in relazione alla rilevanza delle funzioni svolte e della quantità di risorse loro assegnate. Nel settore pubblico, come visto, la delega ha avuto riscontro con il D. lgs n. 29 del 1993, che ha previsto, in relazione ai criteri citati, l’assegnazione a ciascun ufficio di livello dirigenziale di una “quota parte del bilancio dell’amministrazione”, considerando in modo organico e complessivo le risorse finanziarie destinate ad essere utilizzate nel corso della gestione, nelle quali sono inserite anche quelle relative al costo delle risorse umane e strumentali attribuite a ciascuno di essi, “la rilevazione, l’analisi e la valutazione dei costi degli uffici”, “il controllo del costo del lavoro”. Per uqesto diventa essenziale una profonda modifica strutturale dell’assetto contabile dal punto di vista della riclassificazione amministrativa degli stati di previsione e di riorganizzazione dei capitoli di spesa, in funzione delle competenze così determinate. 416 CORTE DEI CONTI, Decisione e Relazione, cit. Vol. II, Tomo, I, p. 10

255

I dati critici della Corte dei Conti e le esigenze di revisione dell’impianto

contabile si riassumono, così, nell’ambigua ripartizione delle poste che finisce col

rappresentare, secondo la Corte, una scelta confusa ed indefinita fra

classificazione economica, microfunzionale ed amministrativa.

Parallelamente, il problema della leggibilità non viene risolto, mancando il

necessario collegamento tra riclassificazione contabile e disegno di

ammodernamento amministrativo.

In altre parole l’intera riforma della dirigenza pubblica avrebbe perso gran

parte del suo significato in assenza di una parallela revisione del sistema di

accertamento e di verifica del complesso di risorse attribuite a ciascuna unità ai

fini di una reale verifica in termini di risultati.

L’asse portante della nuova classificazione dell’entrata e della spesa,

avrebbe dovuto orientarsi, pertanto, a gettare un solido parallelismo tra i due

processi razionalizzatori, per giungere ad un “metodo di impostazione del bilancio

basato capillarmente sulla rappresentazione degli obiettivi dell’azione

amministrativa, così da ricalibrare e funzionalizzare a quest’ultimi non soltanto

l’effetto giuridico dell’autorizzazione a spendere, ma anche le sfere di autonomia

e responsabilità dei centri decisionali dell’Amministrazione”417.

5.6. La nuova concezione di attività amministrativa pubblica con la

legge 3 aprile 1997, n. 94.

Questo complesso quadro di esigenze viene recepito e razionalizzato nel

disegno di riforma del 1997, attraverso la legge del 3 aprile, n. 94, recante

modifiche alla Legge 5 agosto 1978.

Si procede, così, al completamento del processo di revisione delle

procedure di bilancio iniziato nel 1964. Nonostante il trentennio trascorso, non

può, infatti, ignorarsi la linea di continuità sussistente tra la legge del ’97 e il

cammino intrapreso negli anni ’60, sulla strada dei preziosi studi di Aldo

Amaduzzi.

Gli elementi fondanti la riforma del ’64 devono, infatti, ravvisarsi nella

necessità di superare la concezione tradizionale del bilancio come documento

417 In tal senso V. CORTE DEI CONTI, Referto specifico al Parlamento in ordine ad un’ipotesi di revisione delle disposizioni in materia di struttura, classificazione e gestione delle spese di bilancio dello Stato, 1995, cit.

256

amministrativo418, concezione originariamente derivante dalla limitata operatività

del documento contabile di fine esercizio, deputato esclusivamente ad evidenziare

il complesso dei beni di proprietà dello Stato, delle rendite da essi derivanti,

unitamente alle entrate tributarie ed extra-tributarie ed una serie di spese

pubbliche inquadrabili in un limitato quadro di operazioni pubbliche, strettamente

necessarie.

I fautori della riforma del ’64 iniziano il cammino verso una nuova

concezione del bilancio pubblico, nel tentativo di adeguare il sistema contabile

alla nuova forma di Stato inaugurata dalla Carta Costituzionale.

Ma le esigenze del bilancio aldilà di una più chiara e trasparente

classificazione delle entrate e delle spese per evidenziare in maniera più completa

la pluralità di operazioni realizzate dal nuovo Stato sociale, si rivolgono

innanzitutto ad un nuovo approccio contabile fondato su criteri economici-

funzionali.

Si acquisisce la consapevolezza per cui, aldilà delle peculiarità innegabili

proprie dell’apparato amministrativo centrale, anche il bilancio pubblico debba

seguire una serie di regole e parametri valutativi di tipo economico, in modo che

l’attività statale venga indirizzata e condotta verso standard qualitativi ottimali e

comunque soddisfacenti sotto il profilo del rapporto costi-benefici.

Il bisogno di costruire un parallelismo tra l’economia aziendale e la

contabilità pubblica è sentito sin dalle origini dei bilanci moderni. Questi ultimi,

vengono, infatti, inizialmente concepiti come la registrazione del complesso dei

beni appartenenti allo Stato419, nell’ottica patrimonialistica tipica sia degli Stati

assoluti che di quelli liberali.

La rendicontazione delle operazioni realizzate con il patrimonio pubblico

avveniva seguendo i medesimi principi adottati per le realtà private, risolvendosi

in operazioni limitate e circoscritte alle sole attività reputate essenziali per la

stessa sopravvenienza dell’entità Stato.

Questo parallelismo non viene mai meno, nemmeno a seguito della mutata

concezione dello Stato, dopo l’introduzione della Carta costituzionale del ’48.

Dal punto di vista amministrativo-contabile il passaggio dallo Stato

liberale allo Stato sociale, non avviene disancorandosi dalle basi aziendalistiche

418 «Capostipite» di questa concezione in epoca repubblicana, come noto, Castelli Avolio, L'esame in Parlamento del bilancio dello Stato, 1955, Atti parl. cam. II, n. 1603-A e 1603-bis-A. 419 E, inizialmente, al Sovrano.

257

tradizionali, ma si realizza attraverso il concetto chiave della macchina statale

come “azienda di erogazione”.

Viene confermata quindi la natura di impresa dell’organizzazione statale,

pur sottolineandone gli aspetti peculiari derivanti dal ruolo dell’attore pubblico

nell’economia nazionale.

La riforma del 1964 nell’intento di adeguare la struttura contabile pubblica

alle nuove esigenze dello Stato sociale, propone da un lato, la più analitica

classificazione delle poste contabili da un punto di vista funzionale, ma dall’altro

punta a sottolineare le peculiarità della nuova gestione pubblica in un’ottica più

marcatamente economica.

Questo filo conduttore permane lungo tutti gli interventi riformatori, allo

scopo di adeguare il sistema pubblico ai parametri aziendalistici di efficienza

efficacia ed economicità.

Ecco allora, che la legge n. 94 del 1997 provvede, accanto alla riduzione

dei circa 6000 capitoli un migliaio di “unità previsionali di base”, di cui 150 di

entrata, un criterio di correlazione tra questa nuova unità fondamentale di bilancio

e i centri di responsabilità amministrativa di riferimento, proprio al fine di

misurarne l’efficienza economica420.

Parallelamente si individua una tecnica contabile basata sulla

valorizzazione dei centri di costo delle singole unità di spesa, in modo da

sottolineare, ancora una volta, l’importanza di una valutazione in termini più

marcatamente aziendali.

In questo modo la gestione viene monitorata in modo più consapevole,

promuovendo il coordinamento dei flussi di spesa e dell’andamento della

tesoreria, anche grazie all’esposizione delle uscite in funzioni obiettivo,

420 L’emanazione della legge del 3 aprile 1997, n. 94, rappresenta il risultato di un molto ampio progetti di riforma, concepito al fine di realizzare un profondo rinnovamento degli interi istituti base della contabilità pubblica. L’iter parlamentare, tuttavia, ha visto ridimensionarsi drasticamente gli originari disegni di revisione per limitarsi a procedimento concluso alle sole modifiche riguardanti la struttura e la formazione del bilancio dello Stato, unitamente al conferimento di significative deleghe aventi per oggetto misure organizzative tese a razionalizzare l’Amministrazione e la finanza pubblica con funzione di supporto alla revisione della classificazione. Il disegno di legge n. 1217 del Senato, d’iniziativa governativa “collegato” alla legge finanziaria, presentato dal Ministero del Tesoro di concerto con il Ministero della Funzione pubblica, si riallaccia direttamente allo schema di rendiconto elaborato per il 1995 dalla Corte dei Conti e in complesso costituisce una sorta di mediazione tra detto schema e le altre ipotesi di riforma nettamente più incisive proposte in quegli ultimi anni, quale la proposta dei “bilancio politico-amministrativo” della Ragioneria generale dello Stato e il “bilancio per centri di costo”, della commissione tecnica della spesa pubblica.

258

individuate sia per definire le politiche pubbliche di settore sia per misurare il

prodotto dell’unità amministrativa.

Seguendo la netta suddivisione, dettata dalla riforma amministrativa, tra

potere di indirizzo politico e potere amministrativo, il bilancio rivisto dalla Legge

del 1997 riveste una doppia struttura: una politica per l’approvazione

parlamentare e una amministrativa per la gestione, entrambe chiaramente

connesse sul piano qualitativo e quantitativo.

L’obiettivo principale perseguito con la riforma è la chiarezza espositiva,

concretizzata da una struttura essenziale composta da un lato da unità previsionali

di base, dall’altro da vari livelli di disaggregazione del bilancio che consentono un

processo decisionale più rapido e un miglior controllo delle risorse attraverso la

correlazione diretta di quanto deliberato in astratto e quanto effettivamente

realizzaton.

Le principali informazioni rinvenibili dal bilancio sono le funzioni

obiettivo, che rappresentando le politiche di settore, misurano il prodotto delle

attività amministrative e le unità previsionali di base che individuano specifici

centri di responsabilità dirigenziale.

In questo modo viene finalmente superata la suddivisione fondamentale in

capitoli che impediva l’identificazione delle precise responsabilità amministrative,

nella destinazione delle risorse, per giungere alla strutturazione del bilancio

stabilita dall’articolo 6 della 468 del 1978421.

Le entrate vengono così ripartite in

• Titoli, a seconda della natura, tributaria, extratributaria, di

provenienza dall’alienazione di beni patrimoniali, riscossione di

crediti…

• Unità previsionali di base, ai fini dell’approvazione parlamentare e

dell’accertamento dei cespiti

• Categorie, secondo la natura di questi.

• Capitoli, secondo il relativo oggetto, ai fini della rendicontazione

421 La ratio posta alla base della rinnovata struttura contabile deve, infatti, ravvisarsi proprio nell’esigenza di creare un legame diretto tra funzioni e programmi con le responsabilità effettive della dirigenza chiamata ad attuarli ed i controlli. In armonia ed in parallelo al riassetto della pubblica amministrazione, la nuova struttura classificatoria del bilancio si prefigge proprio lo scopo di valorizzare il più possibile la responsabilità dell’organo di indirizzo politico e della dirigenza statale responsabile dell’attuazione di tale indirizzo, il tutto sulla base di una netta divisione dei compiti e responsabilità, come prescritto dal d. lgs. 29793 e confermato dalla Legge n. 59/97.

259

Mentre le spese si ripartiscono in:

• Funzioni obiettivo, individuate con riferimento alla definizione

delle politiche pubbliche di settore e al fine di misurarne il

prodotto, in termini di servizi finali resi ai cittadini

• Unità previsionali di base, che associano oggetti di spesa aventi la

stessa natura e si riferiscono ad aree omogenee di attività.

• Categorie, secondo la natura eocnomica

• Capitoli, secondo l’oggetto, il contenuto economico e funzionale

della spesa, con riferimento alle categorie e alle funzioni obiettivo,

oltre che secondo il carattere giuridicamente obbligatorio o

funzionale della stessa.

5.7. Le unità previsionali di base.

Il problema principale che si pone al momento della concreta definizione

della nuova struttura del bilancio è l’individuazione del più ampio aggregato,

oggetto dell’autorizzazione parlamentare, affinché da un lato, si valorizzi la

funzione dirigenziale e la connessa autonomia decisionale, dall’altro, non venga

svilita la funzione di controllo delle Camere.

Vengono così create le unità previsionali di base, costruite in

corrispondenza con il centro di responsabilità al quale è affidata la relativa

gestione.

La rilevanza di questa nuova tecnica di redazione si manifesta a livello di

approvazione parlamentare risolvendosi nella fondamentale unità di voto rilevante

ai fini della deliberazione del c.d. bilancio politico, mentre ai fini della gestione e

della rendicontazione (attività evidenziate nel c.d. bilancio amministrativo),

rimane essenziale la strutturazione in capitoli.

La coincidenza che deve sussistere tra u.p.b., ai fini dell’approvazione

parlamentare e centro di responsabilità amministrativa, consente il raccordo delle

due funzioni di bilancio: la funzione politica di indirizzo e quella gestionale di

verifica dei risultati conseguiti422.

422 Cfr. Articolo 1, comma 1, D. Lgs, n. 279 del 1997, secondo cui “La determinazione delle unità previsionali di base deve assicurare la piena rispondenza della gestione degli obiettivi della gestione agli obiettivi posti dall’amministrazione dello Stato”.

260

Per ogni unità previsionale di base vengono indicati nel bilancio di

previsione:

• l’ammontare presunto dei residui attivi o passivi alla chiusura

dell’esercizio precedente

• l’ammontare delle entrate che si prevede di accertare e delle spese

che si prevede di impegnare nell’anno cui il bilancio si riferisce

• il complesso delle entrate che si prevede di incassare e delle spese

che di prevede di pagare nell’anno cui il bilancio si riferisce.

L’articolazione delle u.p.b. si differenzia per la parte dell’entrata e per

quella della spesa, con riferimento al primo ambito si adotta una ripartizione in

titoli e in tipologia di cespiti, mentre per la seconda le unità previsionali vengono

distinte a seconda che si riferiscano alla spesa corrente, alla spesa in conto capitale

e a quella per il rimborso dei prestiti, ma soltanto i primi due tipi di spese sono

oggetto di approvazione parlamentare, secondo i seguenti schemi:

Fig. 5.7. Classificazione delle entrate

Legge n. 468 del 1978 Legge n. 468 del 1978, art. 6423 come modificato dalla legge n. 94 del

3.4.1997

Titoli:

I. Entrate tributarie II. Entrate extratributarie III. Entrate provenienti

dall’alienazione e dall’ammortamento dei beni patrimoniali

IV. Entrate provenienti dalla riscossione di crediti e

Titoli:

I. Entrate tributarie II. Entrate extratributarie III. Entrate provenienti

dall’alienazione e dall’ammortamento di beni patrimoniali

IV. Entrate provenienti dalla riscossione di crediti e

423 Lo stretto rapporto tra autonomia, responsabilità e valutazione dei risultati del dirigente pubblico viene ulteriormente evidenziato nella disposizione di cui al comma 4 bis dell’articolo 2, che prevede un “riepilogo”, secondo la classificazione economica e quella funzionale delle autorizzazioni relative ad ogni unità previsionale, all’interno degli stati di previsione, e stabilisce che i budgets complessivi di spesa costituiti dalle nuove unità vengano assegnati dai Ministri competenti ai dirigenti generali responsabili della gestione, entro dieci giorni dalla pubblicazione della legge di bilancio.

261

dall’accensione di prestiti dall’accensione di prestiti

Categorie

(secondo la natura dei cespiti)

Unità previsionali di base

(ai fini dell’approvazione parlamentare e dell’accertamento dei cespiti)

Rubriche

(secondo l’organo al quale ne è affidato l’accertamento)

Categorie

(secondo la natura dei cespiti, ai fini della gestione e rendicontazione)

Capitoli

(secondo il relativo oggetto)

Capitoli

(secondo il relativo oggetto, ai fini della gestione e della rendicontazione)

Fig. 5.8. Classificazione delle spese

Legge n. 468 del 1978 Legge n. 468 del 1978, art. 6 come modificato dalla legge n. 94 del

3.4.1997

424 Nell’ambito della suddivisione della spesa introdotta con la legge del 1997, la novità più significativa è sicuramente rappresentata dalle funzioni obiettivo, individuate per definire le politiche pubbliche di settore e per misurare il prodotto dell’attività amministrativa. La relativa definizione in via concreta, tuttavia, ha destato non pochi problemi. Per l’esercizio finanziario 1998, ad esempio, è stato possibile predisporre il bilancio di previsione secondo il nuovo modello solamente in merito alle entrate, mentre per le spese siè dovuto ricorrere alle funzioni obiettivo individuate dalla Corte dei Conti, in occasione della predisposizione dei rendiconti del 1995 e 1996. L’autonoma redazione del bilancio di previsione, attraverso un’autonoma classificazione delle funzioni obiettivi è avvenuta, invece nel 1999, beneficiando dei risultati di una ricognizione delle attività e dei servizi svolti nelle varie amministrazioni pubbliche centrali ai fini dell’implementazione del sistema di contabilità analitica per centri di costo, individuando i noti livelli essenziali, poi rivisti a seguito dell’adozione della classificazione internazionale Cofog, delle

• Finalità, riferiti agli obiettivi primari • Funzioni, diferiti alle specifiche aree su cui viene diretta l’azione al fine di perseguire gli obiettivi

primari di cui al punto precedente • Macro-servizi, che esprimono le missioni perseguite la ciascuna ammiistrazione • Servizi, che individuano l’insieme delle attività poste in essere per realizzare un obiettivo

elementare. E’ noto, poi che a partire dal 2000, il nuovo sistema di derivazione internazionale ha imposto la profonda revisione del sistema, in modo da rendere conforme il piano contabile con il Sistema Europeo dei Conti (c.d. SEC 95), che propongono la definizione delle funzioni obiettivo, in: Divisioni, Gruppi, Classi, Missioni istituzionali, Macroserivizii e Servizi.

262

Titoli:

( a seconda che siano di parte corrente, in conto capitale, o per il rimborso di prestiti. Per quanto riguarda la parte in conto capitale, questa comprende gli investimenti diretti ed indiretti, le partecipazioni azionarie e conferimenti, nonché le operazioni di concessione di crediti. La parte corrente comprende le altre spese e il costo degli ammortamenti)

Funzioni obiettivo

(definiscono politiche pubbliche di settore e misurano il prodotto delle

attività amministrative anche in termini di servizi finali resi ai cittadini)424

Rubriche

(secondo l’organo che amministra la spesa)

Unità previsionali di base

Articolate in

• Spesa corrente, a sua volta suddivisa in funzionamento, interventi, rimborso dei prestiti e ammortamento

• Spesa in conto capitale, ripartita in investimenti diretti, indiretti, partecipazioni azionarie e conferimenti, operazioni per concessione di crediti

Sono oggetto di approvazione parlamentare solo le u.p.b. relative alla spesa corrente per funzionamento ed interventi e alla spesa in conto capitale

Categorie

(secondo l’analisi economica

Categorie

(secondo l’analisi economica)

Capitoli

(secondo il relativo oggetto)

Capitoli

(secondo il relativo oggetto, il contenuto economico e funzionale della spesa, riferito alle categorie e funzioni-obiettivo, nonché secondo il carattere giuridicamente obbligatorio o discrezionale della spesa)

Fig. 5.8. Distinzione in categorie economiche

Legge n. 468 del 1978 Legge n. 468 del 1978, art. 6 come modificato dalla legge n. 94 del

3.4.1997

Spese correnti Spese correnti

263

Organi costituzionali Personale in servizio Personale in quiescenza Acquisto di beni e servizi Trasferimenti Interessi Poste correttive e compensative delle entrate Ammortamenti Somme non attribuibili

Funzionamento Interventi Oneri comuni Trattamenti di quiescenza Oneri del debito pubblico

Spese in conto capitale

Beni ed opere immobiliari Beni mobili, macchine e attrezzature Trasferimenti Partecipazioni azionarie e conferimenti Concessione di crediti e anticipazioni per finalità produttive Concessione di crediti e anticipazioni per finalità non produttive Somme non attribuibili

Spese in conto capitale

Investimenti Altre spese in conto capitale Oneri comuni

Rimborso prestiti

Debito pubblico Altri debiti

Rimborso prestiti

Rimborso di attività finanziarie

Questa struttura basata sulla nuova suddivisione delle poste contabili in

unità previsionali di base, segna il passaggio verso una nuova nozione nel sistema

dei conti pubblici, nell’ottica del perseguimento degli obiettivi politico-

programmatici disegnati durante gli anni ’90425.

425 A conferma dello stretto legame sussistente tra l’attribuzione di maggiori responsabilità manageriali ai dirigenti e la razionalizzazione degli schemi di organizzazione del bilancio statale, sono le disposizioni che prevedono che, in occasione della presentazione al Parlamento del disegno di legge di bilancio, vengano fornite alle Camere elementi conoscitivi mediante le c.d. Note preliminari della spesa, oltre all’individuazione dei criteri adottati per la formulazione delle previsioni, queste devono contenere informazioni circa: gli obiettivi dell’azione amministrativa, distinti per livelli di servizi, gli eventuali aumenti di organico programmati per l’esercizio, gli indicatori di efficienza e di efficacia utili per la valutazione dei risultati. Nell’allegato tecnico, invece, sono descritti i contenuti di ciascuna unità previsionale di base, distinguendo tra spese discrezionali, spese obbligatorie e spese predeterminate per legge, i tempi di esecuzione dei programmi e dei progetti finanziati all’interno degli stati di previsione, mentre per

264

Secondo l’articolo 1 del Decreto legislativo 279 del 1997, attuativo della

legge n. 94 sopra citata, le unità prevsionali di base costituiscono l’insieme

organico delle risorse finanziarie affidate alla gestione di unico centro di

responsabilità amministrativa.

Questo strumento diventa il mezzo per assicurare la rispondenza della

gestione agli obiettivi posti all’azione amministrativa dello Stato, nell’ambito del

criterio di ripartizione delle risorse per funzioni e nella prospettiva della

separazione tra politica e amministrazione avviata con il decreto legislativo n. 29

del 1993.

5.8. La contabilità analitica per centri di costo.

Il secondo elemento che consente di cogliere il nesso inscindibile tra

metodi contabili, tecniche redazionali e istanze politico-istituzionali è l’adozione

del c.d. sistema unico di “contabilità economica analitica” per centri di costo.

La previsione contenuta al titolo III del decreto legislativo n. 279 del 1997

deve, infatti, essere letta in un’ottica attuativa della separazione tra il potere di

indirizzo politico e quello amministrativo-gestionale, secondo le prescrizioni del

decreto legislativo del 3 febbraio 1993, n. 29.

L’assegnazione la responsabilità gestionale ai dirigenti, contribuisce ad

una sensibilizzazione di quest’ultimi in merito all’organizzazione e al controllo

delle unità cui sono preposte, ma anche e soprattutto in merito all’utilizzo delle

risorse loro assegnate.

Un’efficace sistema di verifica del corretto utilizzo delle risorse pubbliche

necessita, tuttavia, una riorganizzazione del sistema di accertamento dei costi e

degli impieghi.

Ecco allora che si palesa l’esigenza di determinare il costo delle attività dei

servizi erogati dalla collettività, di verificare l’efficienza nell’utilizzo delle risorse

disponibili e valutare in termini complessivi il rendimento dell’attività

amministrativa. Questi obiettivi vengono congiuntamente perseguiti dal nuovo

l’entrata sono indicati i criteri adottati per la previsione delle principali imposte e tasse e, per ciascun titolo, la quota non avente carattere ricorrente, gli effetti derivanti dalle disposizioni normative che comportano agevolazioni fiscali (art. 2, comma 4 quater).

265

approccio alla contabilità pubblica avviato dal legislatore del ’97 tramite il

sistema di contabilità analitica per centri di costo426.

Questo sistema mira ad introdurre una revisione fondamentale nel metodo

di accertamento del lavoro e della produttività delle singole amministrazioni,

passando da una ricognizione sul tipo di spese effettuate ad un’indagine

approfondita sulla struttura e la fenomenologia dei costi sostenuti.

Con la circolare del 22 agosto del 1997, il Ministero del Tesoro,

impartisce, così, una serie di disposizioni per avviare un’attività ricognitiva al fine

di verificare le implicazioni derivanti dall’introduzione del sistema di controllo di

gestione nella pubblica amministrazione, per ricostruire il profilo del costo dei

prodotti-finalità erogati e verificare le modalità di impiego delle risorse,

nell’ambito della gestione dei singoli centri di costo427.

Secondo l’articolo 10 del Decreto legislativo n. 279 del 1997, la contabilità

analitica compara le risorse impiegate con i risultati conseguiti e le connesse

responsabilità consequenziali allo scopo di realizzare il monitoraggio dei costi, dei

rendimenti e dei risultati.

426 L’avvio di questo nuovo metodo di registrazione delle operazioni pubbliche risale al ’94, quando la Ragioneria generale, propone un’attività di studio delle problematiche relative alla realizzazione del controllo di gestione nella Pubblica Amministrazione, attraverso il seguente percorso: • definizione della metodologia di analisi e di scelta di criteri omogenei per le amministrazioni

interessate • ricognizione dell’attività svolta dai centri di responsabilità • definizione dell’articolazione analitica dell’azione amministrativa svolta dai Ministeri, di

concerto con questi ultimi • taratura finale del sistema attraverso una valutazione di sintesi. Quest’indagine preliminare presupponeva innanzitutto la definizione di una metodologia di criteri omogenei per tutte le amministrazioni coinvolte nel progetto, definizione cui si è giunti attraverso la suddivisione delle attività svolte in quattro livelli, rappresentati dalle finalità, le funzioni, gli obiettivi e i servizi. I diversi Miniseri iniziavano, così, a monitorare dall’interno la loro attività, rilevando una serie di informazioni e trasmettendole all’ufficio analisi costi e rendimenti, operante presso l’Ispettorato Generale del Bilancio della ragioneria generale dello Stato. 427 Parte della dottrina ritiene, in proposito, che la codificazione di una contabilità di tipo economico nel bilancio dello Stato trovi le sue origini già nella riforma del 1978, secondo cui il rendiconto sarebbe stato affiancato da un’illustrazione dei dati consuntivi dalla quale si evincesse il significato amministrativo ed economico delle risultanze contabilizzate. In tale allegato doveva essere posta particolare evidenza ai costi sostenuti ed i risultati conseguiti per ciascun servizio, programma e progetto, in relazione agli obiettivi e agli indirizzi del programma di Governo, Cfr. M. V. LUPÒ AVAGLIANO, Temi di contabilità pubblica, I La riforma del bilancio dello Stato, Padova, 2004, pp. 99 ss. Innegabile, tuttavia, risulta che in campo pubblicistico una contabilità di tipo economico ha avuto il suo esplicito ingresso nell’ordinamento in coincidenza con il varo della legge n. 142 del 1999 e con il decreto legislativo ad esso conseguente, n. 77 del 1995, con il quale veniva introdotto un vero e proprio “conto economico”, Sul punto Cfr. P. MORIGI, La contabilità economica negli enti locali, Milano, 1994, M. V. LUPÒ AVAGLIANO, Prospettive per una gestione economica ed efficiente delle risorse pubbliche nella finanza autonomistica e federale, Atti XVI Convegno di contabilità pubblica “Le gestioni pubbliche locali tra autonomia e federalismo”, Palermo 1997.

266

Viene seguita la metodologia propria della Ragioneria Generale dello

Stato, basata su un criterio di ripartizione contabile omogeneo per tutte le

amministrazioni, articolando l’attività svolta in

• Finalità, che rappresentano gli obiettivi primari che lo Stato

persegue

• Funzioni, che delineano le specifiche aree su cui lo Stato agisce per

poter perseguire gli obiettivi primari

• Macro-servizi, che individuano le missioni perseguite da ciascuna

amministrazione e sono realizzati nell’ambito di tutta la struttura

organizzativa

• Servizi, che esprimono l’insieme delle attività poste in essere dalla

struttura per la realizzazione di un obiettivo

Questo sistema permette pervenire ad una strutturazione del bilancio in

grado di evidenziare le linee di azione della p.a., mediante l’individuazione delle

funzioni-obiettivo. Questo elemento rappresenta, infatti, l’entità mediante la quale

si rende possibile una lettura del bilancio in termini finalistici.

Questo nuovo approccio risulta dalla combinazione delle due diverse

tecniche redazionali, l’una volta alla precisa individuazione in sede di bilancio

delle missioni di ogni amministrazione, mediante l’aggregazione delle diverse

attività svolte in funzioni-obiettivo l’altra volta alla misurazione di queste entità

in termini di costo, anziché di spesa sostenuta.

L’organo adibito al coordinamento di tale metodo all’interno delle singole

amministrazioni è il Servizio di controllo interno, che permette il monitoraggio

costante dei dati preventivati con quelli in corso d’opera, al fine di indirizzare la

gestione ed intervenire con le opportune azioni correttive in caso di divergenze

significative.

Al fine di rappresentare congiuntamente il quadro delle responsabilità

assegnate e quello delle risorse impiegate, nonché le logiche che consentono di

correlare questi due dati viene predisposto un sistema di rilevazione contabile

improntato su tre strumenti fondamentali:

• il piano dei conti

• il piano dei centri di costo

267

• il piano dei servizi erogati

Il piano dei conti rappresenta lo strumento essenziale di rilevazione dei

fatti di gestione nel sistema di contabilità economica ed è costituito da un elenco

di voci riguardanti le risorse che generano costi per la p.a.

Queste voci vengono classificate per natura, in relazione alle

caratteristiche fisico-economiche dei fattori, ma l’elenco comprende anche una

serie di voci non propriamente economiche, ma volte a misurare lo sfasamento

che a volte si realizza tra manifestazione finanziaria ed economica di una

determinata operazione428.

I centri di costo vengono invece utilizzati per esprimere le funzioni

elementari, finali e strumentali, svolte dai centri di costo per il raggiungimento

degli scopi dell’amministrazione. Essi vengono aggregati nelle funzioni obiettivo,

che esprimono appunto le missioni istituzionali di ciascuna amministrazione429.

Questa suddivisione per centri di costo risulta utile sia in fase di

preventivo, per verificare la coerenza tra quantità di risorse disponibili e le attività

da porre in essere per la realizzazione degli obiettivi, sia in sede di consuntivo, al

fine della misurazione del grado di raggiungimento degli obiettivi di costo,

valutando l’efficienza nel consumo delle risorse.

Il piano dei conti e dei centri di costi risultano essenziali per l’analisi

dell’andamento della gestione complessiva del consumo dei vari fattori produttivi,

ma anche di quella relativa alle singole unità operative. Questa articolazione

contabile, tuttavia, è insufficiente in merito alla descrizione delle finalità e degli

scopi perseguiti da ogni unità operativa.

Per realizzare il collegamento delle risorse agli obiettivi, è necessario

considerare le varie attività svolte dai centri di responsabilità ed associarle al

complesso di fini per i quali sono state poste in essere, redigendo il c.d. piano dei

servizi.

La classificazione utilizzata per la redazione di questo piano è quella per

funzioni obiettivo, introdotta dal sistema internazionale COFOG (SEC 95).

428 Ci si riferisce, ad esempio alle voci delle rimanenze di magazzino, accese per rilevare le risorse acquistate, ma non ancora utilizzate alla chiusura dell’ esercizio, i ratei e risconti, accesi per rilevare le risorse utilizzate in due esercizi consecutivi, le opere in corso, accese per rilevare le risorse acquistate, non per il consumo, ma per la costruzione interna i beni. 429 Per realizzare questa associazione tra costi e responsabili viene predisposta una suddivisione dell’organizzazione in unità operative, ovvero in aree organizzative guidate da un responsabile, investito del conseguimento di determinati obiettivi.

268

Il piano si ripartisce, così, in sei livelli, di cui i primi tre riguardano

astrattamente le finalità generali dello Stato (Divisioni, Gruppi e Classi), mentre i

livelli inferiori (Missioni istituzionali, Macro-servizi e Servizi) offrono il dettaglio

dei singoli output da realizzare.

E’ stata così evidenziata la natura tridimensionale dell’approccio contabile

introdotto, proprio perché in grado di rappresentare le risorse consumate, sia in

relazione ai caratteri fisico-economici (approccio per natura dei costi), sia in

relazione ai centri di responsabilità amministrativa e, quindi, ai soggetti che le

hanno impiegate (lettura dei costi per responsabilità), sia, infine, in relazione alle

finalità da raggiungere (lettura dei costi per destinazione), secondo il seguente

modello, proposto a livello ministeriale, proprio per evidenziare la triplice analisi

propria del nuovo sistema di rilevazione430.

Figura 5.9. Le tre dimensioni della contabilità analitica per centri di costo

Schema tratto da: MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, DIPARTIMENTO DELLA RAGIONERIA GENERALE DELLO STATO, Sistema di contabilità economica delle Amministrazioni Pubbliche. Manuale dei principi e delle regole contabili, 2004, pag. 11.

430 Questo metodo, se pur chiaramente efficace dal punto di vista della trasparenza e della valutazione dell’efficienza delle singole amministrazioni, rende l’accertamento sicuramente più complesso, richiedendo un grado di conoscenza delle realtà particolare, conseguibile soltanto attraverso ripetute sperimentazioni. Ecco perché fino al 2002 è stato possibile riferire i costi unicamente in relazione alle strutture organizzative (criterio della responsabilità).

269

Questa profonda evoluzione nel metodo di accertamento contabile

consente ancora una volta di cogliere il nesso indissolubile tra tecniche di

redazione del bilancio statale ed esigenze storico-politiche di riferimento tra

metodi contabili, istanze sociali e assetto delle istituzioni pubbliche.

Il rinnovato metodo di analisi dell’attività delle p.a. è l’espressione di

un’ulteriore evoluzione nel ruolo e nella concezione dello Stato in economia.

Una volta acquisita la consapevolezza per cui l’attore pubblico non può

astenersi in modo netto e totale da qualsiasi intervento correttivo sul mercato, a

fronte degli ormai acquisiti principi keynesiani, ci si preoccupa, in questi ultimi

anni, di porre un freno alla gestione incontrollata ed irresponsabile della spesa

pubblica, labilmente giustificata dalla necessità di sopperire all’insufficienza della

domanda globale, in funzione di sostegno all’economia.

Comincia a diffondersi, così, la necessità di un approccio nuovo alla

contabilità pubblica, concepita non più come una disciplina rigidamente distinta

ed incomparabile rispetto alle scienze aziendali431, ma come campo di analisi

strettamente condizionata dagli studi in materia di efficienza produttiva ed

economicità di gestione.

Il soggetto Stato comincia a perdere il suo connotato di attore privilegiato

sul mercato e il complesso delle operazioni da questo effettuate iniziano ad essere

sottoposte ad un sindacato di congruità economica, oltre al tradizionale vaglio di

opportunità politica.

Il nuovo modello contabile rappresenta il frutto di questa ricerca e la

maturazione della consapevolezza per cui, fermo restando l’innegabile

particolarità dell’azienda Stato, in quanto soggetto istituzionale adibito ad

un’azione orientata esclusivamente al perseguimento dell’interesse pubblico,

l’attività delle p.a. deve sempre svolgersi nel rispetto dei principi di efficienza,

efficacia ed economicità, propri di ogni azienda produttiva o di erogazione.

Ecco allora che la nuova struttura articolata in u.p.b. diventa lo strumento

di verifica, in termini più marcatamente economici, della gestione delle risorse

pubbliche e la contabilità per centri di costo rappresenta il mezzo per uno studio in

termini di tipologia e natura degli oneri sostenuti, correlato ad un più efficace

431 Nell’ottica della completa autonomia della contabilità pubblica rispetto alle altre discipline economiche Cfr. S. BUSCEMA, Trattato di contabilità pubblica…….., pp. 15 ss.

270

controllo di gestione, tramite la diretta imputazione dei suddetti costi all’organo

responsabile432.

In questa direzione un ruolo fondamentale è ricoperto dal c.d. “budget

economico”, quale strumento di congiunzione tra i principi di contabilità analitica

e la concreta redazione del bilancio di previsione.

Questo strumento si inserisce nella fase di programmazione dell’azione

pubblica, costituendo un momento di definizione degli obiettivi e dei tempi

necessari per il loro raggiungimento.

Le determinazioni economiche contenute nel budget non hanno autonoma

rilevanza giuridica, ma rappresentano la base informativa su cui vengono costruite

le previsioni finanziarie del bilancio di previsione.

Questo documento permette, infatti, una lettura del processo di

programmazione in termini economici, oltre agli aspetti finanziari, tramite

un’analisi del consumo di risorse necessarie per il conseguimento degli obiettivi

prefissati.

La fisiologia stessa del sistema dei budgets favorisce, inoltre, il

consolidamento di meccanismi di controllo periodico dei risultati conseguiti.

Il sistema prevede una strutturazione dei programmi su base semestrale

puntualmente soggetta a verifica, attraverso specifici reports sui dati rilevati a

consuntivo, con la possibilità di comparazione dei trend del consumo delle risorse

in relazione al grado di conseguimento degli obiettivi, e di contestuale

predisposizione di azioni correttive.

Ecco allora il sistema di budgeting permette il raccordo tra la nuova

struttura del bilancio per unità operative e il controllo del rendiconto in termini di

432 In quest’ottica si inserisce uno strumento essenziale in grado esprimere il raccordo tra questa nuova impostazione contabile e il bilancio di previsione è il cosiddetto “budget economico”, documento che costituisce la sintesi di tutto il sistema informativo di supporto alla concreta redazione del bilancio pubblico. In questa prospettiva si evidenzia il rinnovato ruolo del rendiconto generale in campo pubblicistico, concepito non più soltanto come verifica di meri dati finanziari, ma anche e soprattutto come documento adibito alla valutazione dei risultati complessivi della gestione delle Amministrazioni: proprio la previsione di un sistema di contabilità analitica per centri di costi impone un’adeguata strutturazione del consuntivo come strumento per rendere effettiva tutto il procedimento di controllo. Ecco, allora che la Legge n. 94 del ’97, impone una ristrutturazione del rendiconto generale in funzione degli obiettivi (di cui al comma 1 dell’art. 5) e la suddivisione dei capitoli in unità previsionali di base, in modo da consentire la valutazione economica e finanziaria delle risultanze di entrate e spese, evidenziando i risultati conseguiti in relazione agli obiettivi proposti.

271

efficienza economica, consentendo una comparabilità più immediata, avvalendosi

proprio della strutturazione in unità omogenee.

Il budget viene, così, inteso come strumento non solo di previsione pro-

futuro, ma, soprattutto come controllo dell’andamento della realtà aziendale nel

suo evolversi e tale da consentire il tempestivo intervento in caso di scostamenti

con i programmi e gli obiettivi prefissati433.

5.9. La nuova struttura del bilancio e le dinamiche parlamentari.

E’ stato fin qui evidenziato come le norme della contabilità pubblica e le

tecniche di redazione del bilancio statale costituiscano lo strumento principale per

tradurre le esigenze economico-sociali di un determinato periodo storico in un atto

di programmazione e di gestione delle risorse pubbliche.

Ma le scelte redazionali del bilancio pubblico non costituiscono soltanto il

risultato di meccanismi di tipo economico-finanziario, ma rappresentano anche lo

specchio di dinamiche istituzionali e prassi politiche: del concreto atteggiarsi dei

rapporti tra organi costituzionali.

La revisione strutturale del 1997 rappresenta la formalizzazione della

profonda alterazione degli equilibri istituzionali avviata dalla svolta maggioritaria

del ‘93 e anche soltanto un primo sguardo alla nuova articolazione della legge di

bilancio permette di cogliere la significativa inversione di rotta impressa dalla

Legge n. 94, nell’ottica di un deciso rafforzamento del ruolo dell’Esecutivo.

La struttura per unità previsionali di base, infatti, non rappresenta soltanto

una novità contenutistica e orientata alla più semplice individuazione del centro di

responsabilità amministrativa ad essa correlata, ma designa anche e primariamente

un’unità di voto, risolvendosi nelle unità di riferimento delle proposte

parlamentari di modifica alle previsioni dell’entrata e della spesa prima riferibili ai

singoli capitoli.

Sono già stati esaminati il problema dell’emendabilità di bilancio, l’acceso

dibattito dottrinale circa la possibilità concreta da parte del Parlamento di

determinare il contenuto di questo strumento ed è stata parallelamente evidenziata

la tendenza ad un sempre più deciso accentramento decisionale in capo all’organo

esecutivo, in quanto diretta espressione dell’indirizzo politico di maggioranza.

433 M. V. LUPO’ AVAGLIANO, Temi di contabilità pubblica, La riforma del bilancio dello Stato, Padova, pp. 121 ss.

272

Queste tendenze politico-costituzionali trovano immediato riscontro

nell’unità prevsionale di base, direttamente prevista dalla legislazione di

contabilità per rendere possibile il concreto funzionamento di tali nuove

dinamiche.

L’ancoraggio della possibilità di intervento parlamentare all’u.p.b, infatti,

impedisce alle Camere qualsiasi reale intervento in merito alla reale definizione

dei capitoli e quindi della gestione dei singoli cespiti.

I capitoli perdono ogni rilievo dal punto di vista dell’esame parlamentare

ed è proprio il comma 4 quinquies dell’articolo 2 della Legge n. 468 del 1978 ad

evidenziare che in apposito allegato allo stato di previsione le unità previsionali di

base siano ripartire in capitoli ai soli fini della gestione e della rendicontazione434

Parallelamente è il Governo, l’organo deputato all’individuazione delle

voci che costituiranno le unità previsionali di base435.

Allo stesso modo, anche le regole sull’emendabilità del disegno di legge di

bilancio vengono modellate proprio seguendo la funzione tipica di questa nuova

unità fondamentale.

Così le prevsioni di competenza sono emendabili per tutte le unità

previsionali di base, ma soltanto nei limiti dell’importo quantificato direttamente

dal bilancio e non da disposizioni legislative sostanziali.

Questa previsione costituisce in realtà il naturale corollario della regola

costituzionale per cui con la legge di bilancio non possono essere introdotte nuovi

tributi o maggiori spese, in questo caso, infatti, gli emendamenti devono essere

riferiti alla finanziaria, per non alterare gli equilibri dettati dall’articolo 81 Cost.

Le regole sull’emendabilità delle unità previsionali di base si specificano,

inoltre, nell’espresso divieto di modifica degli importi relativi agli interessi o al

rimborso dei prestiti e a dati contenenti riferimenti a spese obbligatorie, se non

motivati dall’esigenza di correggere una previsione errata.

434 L’articolo 2, comma 4 bis della Legge n. 468 del 1978, come modificato dall’art. 1 comma 2 della Legge n. 94 del 1997 specifica che “ formano oggetto di approvazione parlamentare solo le previsioni di cui alle lettere b) c) del comma 3 del citato articolo 2, anch’esso sostituito. In altre parole per ciascuna unità previsionale di base, l’ammontare delle entrate che si prevede di accertare e delle spese che di prevede di impegnare e l’ammontare delle entrate che si prevede di incassare e delle spese che si prevede di pagare, nell’anno al quale il bilancio si riferisce, senza distinguere per la cassa tra le operazioni in conto di competenza e conto residui. 435 Inizialmente l’esecutivo vi ha provveduto tramite il decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279, attualmente, invece queste articolazioni fondamentali sono individuate periodicamente in un apposito allegato al disegno di legge di bilancio, annualmente presentato alle Camere, le unità previsionali, quindi, possono variare da un esercizio all’altro.

273

Deve, inoltre, ritenersi escluso l’aumento di altre spese con la riduzione

della parte obbligatoria di tali unità previsionali di base.

Gli emendamenti concernenti spese discrezionali, per le quote dipendenti

da fattori legislativi o comunque, non rientranti nei capitoli recanti spese

obbligatorie, possono offrire compensazioni dirette per aumenti di spesa in altre

unità previsionali di base, in caso però non ammissibile la copertura di spesa

corrente, mediante compensazione con spesa in conto capitale ( c.d.

dequalificazione della spesa), mentre è ammissibile il contrario, ai sensi

dell’articolo 11 commi 5 e 6 della Legge 468 del ’78436.

Questi elementi devono essere letti in una duplice prospettiva, da un lato,

infatti, l’articolazione del bilancio in unità previsionali di base, avvia il processo

di semplificazione nella lettura del documento soprattutto con riferimento

all’immediata individuazione dei centri di responsabilità amministrativa deputati

alle gestione dei singoli apparati, ma dall’altro viene nuovamente limitata la

capacità innovativa delle Camere rispetto ai contenuti delle previsioni di spesa.

Ecco allora che risulta evidente la reciproca interdipendenza tra tecniche di

redazione del bilancio pubblico, andamento socio-economico del mercato e

dinamiche istituzionali.

Con riferimento ai primi aspetti, infatti, è già stato più volte osservato

come la revisione delle regole contabili costituisca il diretto risultato di mutate

esigenze economiche e sociali, ma il dato tecnico-redazionale influisce in modo

incisivo anche e soprattutto sul quadro dei rapporti fra organi costituzionali.

La qualità redazionale da un lato, infatti, condiziona l’effettività

dell’approvazione parlamentare garantendo la comprensione esaustiva e completa

dei termini e degli effetti della manovra economica presentata dall’Esecutivo, ma

dall’altro è anche l’indice del reale quadro dei rapporti che legano il Governo al

Parlamento e gli equilibri istituzionali ad esso connessi.

La riforma del ’97 deve allora essere valutata, proprio in quest’ottica: da

un lato, infatti, compie un decisivo passo in avanti verso la trasparenza del

processo parlamentare, garantendo una configurazione in termini tecnico-

economici per centri di responsabilità delle poste contabili, dall’altro conferma la

436 Il mancato rispetto di questi parametri legislativi costituisce profilo di inammissibilità della proposta di modifica, anche se, normalmente se l’emendamento supera la quota discrezionale di una determinata unità previsionale, incidendo quindi su parte di quella vincolata, questo si intende circoscritto alla sola quota non vincolata.

274

decisiva preminenza dell’Esecutivo nella definizione dei termini della manovra

annuale, circoscrivendo sempre più i margini di discrezionalità parlamentare.

In altre parole: “La nuova impostazione del bilancio dello Stato enfatizza

la funzione del Parlamento quale controllore della gestione finanziaria del

Governo, ma ne ridimensiona il potere di concorrere alla definizione dettagliata

degli interventi di spesa correlati alla manovra impostata dal Governo stesso.

Tale ridimensionamento è evidente nella misura in cui oggetto di esame

parlamentare sono le unità previsionali di base limitatamente alla parte della

relativa dotazione non riconducibile a spese obbligatorie”437.

437 R. DICKMANN, L’organizzazione del processo legislativo, Napoli, 2006, p. 164.

275

CAPITOLO VI

Le forme e le procedure del bilancio pubblico in una

prospettiva qualitativa.

SOMMARIO: 6.1 Premessa. 6.2. Bilancio e qualità legislativa: verso la concertazione procedimentale. 6.3. Drafting formale e bilancio statale. La nuova nozione di qualità legislativa. 6.4. La nuova classificazione, per missioni e programmi, inaugurata dal bilancio di previsione per il 2008. 6. 5. Drafting sostanziale, valutazione legislativa e bilancio statale. 6.6. Drafting e legge di bilancio: un cammino ancora lungo verso la qualità legislativa.

6.1. Bilancio e qualità legislativa: verso la concertazione

procedimentale.

Lo stretto rapporto sussistente tra le tecniche di redazione del bilancio

statale ed i risultati sostanziali concretamente prodotti, induce il legislatore a porre

un’attenzione particolare alla disciplina della stesura formale del testo contabile,

proprio nella consapevolezza per cui, una disciplina attenta del momento tecnico-

redazionale costituisce il canale di ingresso di innovazioni contenutistiche di vasta

portata.

Proprio la maturata consapevolezza dell’essenzialità di una cura

particolare del momento redazionale, dovrebbe indurre il legislatore ad un sempre

più deciso perseguimento della qualità legislativa438, valore ormai ritenuto

438 E’ noto che concetto di legistica, inteso in senso ampio come scienza della progettazione legislativa, come insieme di regole atte a strutturare un atto in termini chiari ed in modo da renderlo efficace trova diffusione in Europa a partire dagli anni ’70, quando inizia a diffondersi la convinzione per cui il prodotto legislativo debba necessariamente rispondere ad alcuni standard qualitativi. Tale definizione è fornita da G. AMATO, nei suoi Principi di tecnica legislativa, ISLE, Corso di studi superiori legislativi, Padova, 1990. E’ da ricordare anche la definizione di G.U. RESCIGNO, che alla voce “Tecnica legislativa” dell’enciclopedia giuridica. I risultati di questa scienza devono ritenersi utilissimi sia da un punto di vista teorico ricostruttivo, sia per quanto concerne i criteri qualitativi proposti, nell’ottica di un miglioramento redazionale dei testi legislativi. A partire dal 19 febbraio 1986, quando i Presidenti di Camera e Senato, congiuntamente al Presidente del Consiglio dei ministri, emanano tre Circolari di analogo contenuto sulla formulazione tecnica dei testi legislativi, la sensibilità per il tema della qualità della legislazione può ritenersi stabilmente acquisita anche a livello istituzionale.

276

essenziale in ogni campo del diritto, ma che diventa addirittura fondamentale in

Nel corso degli anni novanta, le iniziative a favore del miglioramento della qualità della legislazione, assumono un connotato diverso ed ulteriore. Dietro impulso della Raccomandazione del Consiglio dell’OCSE del marzo 1995, che suggerisce l’applicazione di una checklist al fine di operare una verifica d’impatto sugli interventi normativi in corso di approvazione, l’approccio delle due Camere al drafting legislativo si arricchisce di profili sostanziali. Aldilà della ricerca di criteri formali di redazione delle norme si propone a partire da questi anni, la predisposizione di strumenti valutativi ai fini di verificare l’efficienza e l’idoneità del prodotto legislativo al conseguimento degli obiettivi programmati. La Raccomandazione dell’OCSE, pur essendo rivolta ai Governi, viene sostanzialmente recepita dai Presidenti delle Camere in due Circolari, di analogo contenuto, del 10 gennaio 1997, aventi ad oggetto l’istruttoria legislativa in Commissione. Questo dato non può essere sottovalutato. L’intervento diretto in sede di istruttoria evidenzia l’essenzialità di questa fase ai fini della concreta progettazione legislativa e la maturazione della consapevolezza per cui ogni discorso in tema di drafting non può in alcun modo prescindere dalla cura e dal coordinamento del testo fin dal momento dell’istruttoria e dall’introduzione nei canali istituzionali, Sul punto v., per tutti, G. RECCHIA, R. DICKMANN (a cura di), Istruttoria parlamentare e qualità della normazione, Padova, 2002. e R. MORETTI, Il coordinamento parlamentare dei testi legislativi, Il foro it. 1985, pp. 240 ss Ecco allora che un breve esame delle Circolari del 1997 risulta essenziale per comprendere l’ottica rinnovata con cui le Camere si propongono di affrontare il problema della redazione dei testi legislativi. Oggetto preliminare all’interno dell’istruttoria legislativa, deve essere la valutazione in termini di necessità di intervento normativo stesso, anche con riferimento ad altre fonti, più flessibili. In questo modo le Camere devono operare nella costante consapevolezza dell’assetto complessivo del sistema delle fonti, dovendosi impegnare talvolta in coraggiose iniziative di self restraint. Si disegna, così, un nuovo ruolo dell’istruttoria, esaltandone la funzione, ai fini di un consapevole esame del testo in aula e sottolineandone la necessità di completezza. Con queste circolari istruttoria legislativa non vuol dire soltanto esame del progetto da parte dei parlamentari, con particolare attenzione agli aspetti qualitativi formali e sostanziali, ma anche “partecipazione al procedimento”. In questo contesto, ruolo fondamentale è rivestito dall’articolo 79, comma 4, che definisce nel dettaglio l’oggetto e le finalità dell’attività istruttoria. La reale portata innovativa della norma è proprio costituita da questo nuovo approccio qualitativo, sposato in modo universale, tanto con riferimento agli aspetti di drafting più propriamente formali che quelli sostanziali. Innegabile è anche la particolare attenzione dimostrata dal nuovo Reg. Cam. all’analisi di fattibilità. Sul punto V. P. ZUDDAS, Introduzione al drafting parlamentare, Contributo pubblicato sul sito http://www.tecnichenormative.it . La riforma del regolamento della Camera dei deputati approvata nel settembre del 1997, ed entrata in vigore il primo gennaio del 1998, costituisce il momento di maggior rilievo nell’impulso all’adozione di un’impostazione qualitativa nella redazione e nella valutazione dei testi legislativi. Successivamente si realizzano ulteriori interventi in materia, da parte soprattutto dei Presidenti delle assemblee parlamentari e sotto la veste formale di lettere o circolari438, che si inseriscono in questa direzione, ma il testo fondamentale di riferimento di natura non regolamentare è costituito dalla Circolare dei Presidenti delle Camere - adottate il 20 aprile 2001 congiuntamente al Presidente del Consiglio dei Ministri - contenenti Regole e raccomandazioni per la formulazione tecnica dei testi legislativi. Con questo testo si cristallizza il quadro delle regole che dovrebbero costituire il riferimento del legislatore al momento della concreta redazione del testo normativo. L’esperienza parlamentare, tuttavia, non si è dimostrata particolarmente costante nell’applicazioni di questo quadro di indicazioni, anche a causa della natura essenzialmente non vincolante della gran parte dei documenti de quibus. Questa prassi, tutt’altro che rigorosa, appare evidente soprattutto negli ambiti in cui la “tecnica della legislazione” confina con la “politica della legislazione” e magari con gli interessi di celerità nell’approvazione dei provvedimenti da parte della maggioranza parlamentare, Cfr. N. LUPO, Tecnica e politica della legislazione nelle circolari sulla redazione degli atti normativi, Quaderni regionali., 2004, p. 110.

277

una materia in grado di condizionare in misura così rilevante l’andamento socio-

economico dell’intera realtà nazionale.

In realtà il discorso sul drafting della legislazione di bilancio, non deve

limitarsi alle sole modalità tecniche di redazione del bilancio statale, anche se

questo aspetto costituisce un punto nevralgico, com’è stato in precedenza

evidenziato, proprio per il diretto riflesso che tali modalità redazionali hanno sui

risultati sostanziali perseguiti dal legislatore, ma deve coinvolgere il momento

dell’istruttoria procedimentale, al fine di garantire una reale partecipazione alla

definizione del contenuto normativo dell’atto, per giungere gli fino agli aspetti più

propriamente legati al c.d. drafting sostanziale, risultando ormai essenziale

predisporre un adeguato apparato di strumenti in grado di operare una valutazione

del prodotto legislativo.

In realtà la valutazione del sistema normativo e regolamentare che

disciplina il sistema di bilancio dovrebbe essere improntata proprio in questo

senso, al fine di garantire la qualità del procedimento, la chiarezza redazionale e

una valida analisi ex ante ed ex post, al fine di monitorare i risultati attesi

dell’intervento normativo e gli obiettivi effettivamente raggiunti.

Il funzionamento del sistema di bilancio è fortemente condizionato da una

serie di fattori, non soltanto legati al contesto politico-economico di riferimento,

ma anche ad un quadro di elementi in grado di modificare in maniera incisiva

l’intera realtà istituzionale: di fronte alle due spinte federaliste, quella interna delle

autonomie e quella esterna dell’Unione Europea, il governo dell’economia

diventa una funzione condivisa tra più livelli439.

L’autorità statale perde progressivamente la sua potestà esclusiva nella

determinazione degli indirizzi in materia di politica monetaria, dovendosi

conformare alle politiche di bilancio stabilite a livello comunitario e formalizzate

all’interno del c.d. Patto di stabilità440.

439 G. VEGAS, I documenti di bilancio, D. DA EMPOLI, P. DE IANNA, G. VEGAS, Il bilancio dello Stato, Milano, p. 3 440 Questa espressione viene utilizzata dalle istituzioni comunitarie per richiamare un sistema di norme composto dalla Risoluzione del Consiglio d’Europa di Dublino, in cui gli Stati, il Consiglio e la Commissione hanno determinato gli impegni e gli obiettivi di bilancio; il regolamento n. 1466 del 1997, di attuazione dell’art. 99 del TCE, volto a rafforzare la sorveglianza delle posizioni di bilancio e le politiche economiche, il regolamento n. 1467 del 1997, che definisce condizioni, termini e sanzioni delle procedure sui disavanzi eccessivi previsti dall’art. 104 del TCE, Cfr, in proposito, F. SUCAMELI, Il patto di stabilità interno fra politica e diritto, Quaderni costituzionali, pp. 423 ss.

278

Questo complesso di regole possono ritenersi a buon diritto come

innovative dell’ordine costituzionale europeo, inserendosi come norme

fondamentali integrative di quelle vigenti441 e trasformando il divieto di disavanzo

eccessivo di cui all’art. 104 del TCE in un obbligo positivo verso il

raggiungimento di un pareggio economico.

Le conseguenze maggiori si registrano, tuttavia, sul piano interno,

comportando una rilettura dell’articolo 81 Cost, nel rispetto dei vincoli debito-PIL

fissati a livello comunitario, ma soprattutto determinando una nuova distribuzione

di funzioni, verso una rigida separazione delle decisioni relative ai saldi, che

vengono definite soltanto a livello europeo, da quelle sulle scelte allocative,

ancora prerogativa degli Stati membri.

In questo modo l’intera definizione governativa dell’indirizzo politico-

economico viene fortemente ridimensionata, dovendo necessariamente

confrontarsi con le determinazioni comuni, al fine di raggiungere gli obiettivi

fissati a livello europeo.

Parallelamente le conseguenze del mutato assetto istituzionale si

percepiscono, dall’opposto processo federativo che si realizza a livello regionale,

ma che analogamente comporta una perdita di centralità dello Stato nella

definizione degli elementi portanti del quadro economico nazionale.

L’esperienza italiana di finanza regionale si caratterizza principalmente da

un sistema di trasferimenti statali, nonostante già il testo storico dell’art. 119 Cost,

formalizzasse il principio dell’autonomia finanziaria regionale442.

La novità più evidente della riforma del 2001 è l’estensione

dell’autonomia finanziaria di entrata e di spesa non solo alle Regioni, ma anche a

tutti i livelli di governo: Regioni ed Enti Locali stabiliscono e applicano tributi

propri e dispongono di compartecipazioni al gettito dei tributi erariali riferibili al

loro territorio. I commi 3 e 5 dell’art. 119, inoltre, attribuiscono allo Stato la

441 G. DELLA CANANEA, Il patto di stabilità e le finanze pubbliche nazionali, Rivista di diritto finanziario e scienze delle finanze, p. 573 442 Com’è noto le due formulazioni dell’articolo, prima e dopo la Legge costituzionale n. 3 del 2001, recano rispettivamente “Le regioni hanno autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti dalle leggi della Repubblica,” mentre il nuovo primo comma dispone che “ I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrate e di spesa”, Cfr. P. GIARDA, Le regole del federalismo fiscale nell’art. 119. Un economista di fronte alla nuova costituzione, Le Regioni, pp. 1419 ss. Agli inizi degli anni ’90, la finanza regionale e locale attingeva ai trasferimenti per oltre il 90% delle entrate, contribuendo in misura consistente alla dilatazione del debito pubblico, G. PITRUZZELLA, Forme di governo e trasformazioni della politica, Roma-Bari, 1996, p. 57.

279

funzione redistributiva e di perequazione, in relazione alla capacità contributiva e

senza vincolo di destinazione443.

Tale impianto, tuttavia, come ripetutamente osservato in dottrina444, lascia

aperti numerosi interrogativi circa le concrete modalità di funzionamento del

meccanismo così introdotto.

Il problema della sostenibilità del decentramento è una questione aperta

nella nostra realtà e si esprime nella continua ricerca di un equilibrio tra la

l’esigenza di instaurare un legame tra tributo e spesa a livello territoriale e la

necessità di perequazione tra territori.

Queste considerazioni rendono essenziali politiche di programmazione

consapevoli, che individuino obiettivi e scale di priorità, assicurando una finanza

locale autosufficiente, ma soprattutto strumenti di raccordo aventi la funzione di

limitare l’ingerenza del Governo centrale e di coinvolgere gli enti nella

elaborazione delle norme di comportamento relative alle prestazioni concernenti i

livelli essenziali dei diritti445.

443 Aldilà di questi interventi lo Stato può destinare risorse aggiuntive per effettuare interventi speciali a favore di determinati enti territoriali, per promuovere lo sviluppo economico, insomma con riferimento a quanto stabilito dall’art. 177 comma II, lett. m, secondo il quale spetta alla competenza legislativa statale garantire i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Su questi temi Cfr. F. BALASSONE- M. DEGNI- G. SALVEMINI, Regole di bilancio, patto di stabilità interno e autonomia delle amministrazioni locali, Rassegna parlamentare 2002, pp. 719 ss.; P. GIARDA, Le regole del federalismo, cit. p. 1435. e L. TORCHIA, Sistemi di welfare e federalismo, Quaderni costituzionali, pp. 713 ss. 444 Sul punto Cfr. P. GIARDA, Le regole del federalismo fiscale, cit. pp. 1449 ss e nello stesso senso, R. PEREZ, La finanza pubblica, S. CASSESE, ( a cura di ) Trattato di diritto amministrativo, Milano, Tomo I, pp. 587 ss. 445 Le soluzioni proposte sono state molteplici, dalla tanto auspicata introduzione della Camera delle Regioni, in grado di coinvolgere gli enti territoriali nella progettazione e attuazione del decentramento, alle svariate forme di raccordo istituzionale realizzate a livello di Conferenze, Unificata, Stato-Regioni e Stato autonomie, tuttavia, anche dopo la riforma del titolo V il Governo continua a conservare una posizione di preminenza nei confronti degli enti autonomi. Tuttavia, anche dopo la riforma del titolo V il Governo conserva una posizione di preminenza nei confronti degli enti autonomi. A partire dalla legge n. 448 del 1998 ( finanziaria per il 1999 ) vengono inserite nella manovra una serie di disposizioni per il miglioramento del saldo di ciascun ente, disposizioni che sono il risultato dell’accordo tra amministrazioni concluso in sede di Conferenza Stato-Regioni e Stato-Città. Il procedimento di consultazione di conduce all’approvazione di un patto di stabilità contenente meccanismi di dissuasione per disavanzi eccessivi da parte degli enti locali. Il Patto definisce come obiettivo generale la riduzione del disavanzo degli enti partecipanti, definisce le poste di bilancio che concorrono a formare il disavanzo e stabilisce un sistema di monitoraggio e di incentivi per gli enti che abbiano mantenuto il saldo fissato. Questo Patto, tuttavia, non ha sortito i risultati sperati: le difficoltà di monitoraggio dei conti degli Enti Locali e le incertezze del processo di riforme istituzionali, concorrono a produrre i risultati negativi raccolti.

280

Un efficiente sistema di raccordo e di monitoraggio dei diversi livelli in

cui si esplica la finanza nazionale diventa essenziale per la stabilità dei conti

pubblici e il potenziamento del federalismo fiscale deve necessariamente basarsi

su un quadro di regole stringenti per il bilancio degli enti territoriali, in modo da

garantirne la compatibilità con i vincoli statali ed europei.

Ma proprio questo complesso quadro di nodi problematici impone la

necessità di una risposta ferma da realizzarsi in sede di decisione economica

annuale.

Il processo di bilancio costituisce il fondamentale strumento di allocazione

delle risorse, ma appare ancora poco organico a causa della disordinata

sovrapposizione di decisioni ed indirizzi provenienti dai diversi livelli di governo.

Per quanto concerne i rapporti comunitari, le istituzioni europee affidano

interamente agli Stati il compito di realizzare gli obiettivi fissati dai Trattati,

limitando l’intervento alla fase di controllo e alle procedure di infrazione.

Proprio per facilitare questi meccanismi di controllo successivo l’Unione

ha predisposto un sistema di calcolo dei saldi comune (il c.d. Sistema Europeo dei

Conti), basato sul principio della competenza economica e finalizzato ad

evidenziare i risultati di gestione dei singoli Stati, ma anche questo meccanismo a

rilevato tutta la sua inidoneità ad approntare i risultati sperati.

In realtà anche in questa fase si rivela palesemente inutile ogni sforzo

diretto ad armonizzare la politica economica degli Stati membri in mancanza di

un’adeguata fase di coordinamento durante la quale venga resa possibile

un’effettiva “contrattazione” degli obiettivi da inserire nella manovra annuale.

Questi risultati devono essere recuperati attraverso una

procedimentalizzazione dei rapporti che ora si svolgono a livello informale, in

modo da offrire le condizioni oggettive di valutazione e garanzie di migliore tutela

delle politiche nazionali.

Soltanto il coordinamento preventivo delle politiche di bilancio

consentirebbe, infatti, di evitare il ripetersi di situazioni di conflitto all’interno

delle istituzioni europee e nei rapporti tra gli Stati membri.

Anche i problemi locali devono essere in gran parte ricondotti alla scarsa

trasparenza del rapporto tra i diversi livelli di governo in ordine all’autonomia

finanziaria: sono proprio la diretta dipendenza dal centro e la limitata autonomia

281

impositiva le cause che alimentano la de-responsabilizzazione dei governi

locali446.

In realtà la c.d. “armonizzazione dei bilanci pubblici” e il “coordinamento

della finanza pubblica”, inseriti dall’articolo 117 Cost, nel quadro delle materie di

potestà legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni, sono stati utilizzati dal

legislatore come pretesto di legittimazione di una costante e rigida imposizione

dall’alto di ogni aspetto di politica economica e contabile.

Oggi la partecipazione delle Regioni all’elaborazione delle scelte

economiche centrali si esaurisce in un parere espresso dalla Conferenza unificata,

in sede di elaborazione del DPEF447.

Ecco allora che, sulla scorta della sentenza della Corte Costituzionale n.

417 del 2005, che individua una soglia minima di autonomia degli Enti territoriali,

si manifesta ormai essenziale un ripensamento del ruolo degli organi che

intervengono nel processo di bilancio.

Proprio in quest’ottica lo studio degli strumenti e delle procedure di

bilancio dovrebbe iniziare a orientarsi verso una prospettiva qualitativa, intesa in

senso ampio.

Qualità della normazione, infatti, secondo l’ormai unanime ricostruzione

dottrinale448, significa da un lato, qualità del procedimento di adozione dello

446 Anche l’imposizione di vincoli alle politiche di bilancio impartite a livello di finanziaria alle regioni non hanno prodotto alcun risultato apprezzabile, nonostante l’imposizione dei suddetti vincoli fosse altamente necessaria per evitare il riprodursi di sanzioni per inadempimento degli obblighi comunitari. 447 Ai sensi dell’art. 1 bis della legge n. 468 del ’78, la Conferenza Unificata esprime il parere sul DPEF entro il 15 luglio e sui documenti che fanno parte della manovra di bilancio entro il 15 di settembre. 448La concezione ampia di studio qualitativo della legge è ormai nota dal punto di vista dell’equiparazione tra drafting formale e drafting sostanziale, Cfr. per tutti, R. PAGANO, Introduzione alla legistica, l’arte di preparare le leggi, Milano, 2004, spec. pp. 41 ss., interessante è invece la meno immediata equiparazione degli studi di drafting al procedimento legislativo, in merito alla garanzia di partecipazione, anche su questo punto, tuttavia, la dottrina è ormai concorde, anche dietro impulso delle circolari in materia di istruttoria legislativa e qualità della legislazione del 1997, comunque per un generale approfondimento degli studi dottrinali in materia di centralità della progettazione legislativa e del suo stretto legame con la qualità redazionale dello strumento da questa derivante, Cfr F. COLONNA, La progettazione legislativa è sempre una proposta politica, studi parlam. Pol. cost., 1977; V. DI CIOLO, Progettazione legislativa, informazione del parlamentare e assetto delle fonti normative, studi parl. Pol. Cost., 1977; A. MARTINO, La progettazione legislativa nell'ordinamento inquinato, studi parl. Pol. Cost., 1977; V. DI CIOLO, Progettazione legislative qualità delle leggi, Parlamento, 1980; R. BETTINI, Nodi storici, socio-economici, culturali e politici della progettazione legislativa, Riv. trim. sc. amm., 1983; F. COCOZZA, Negoziazione dell'esecutivo e formazione delle leggi, AA.VV., Le istituzioni della recessione a cura di Cammelli, Bologna, 1984; E. DE MARCO, La negoziazione legislativa, Padova, 1984; F. COCOZZA, Collaborazione preliminare a procedimento legislativo, Milano, 1988; M. AINIS Il coordinamento dei testi legislativi, Giurisprudenza costituzionale, 1993; M. CECCATO Coordinamento e correzione dei progetti di legge Giurisprudenza costituzionale, 1994,

282

strumento normativo, dall’altro qualità nella sua stesura materiale, attraverso una

particolare attenzione alle tecniche di redazione, ed infine verifica qualitativa del

risultato conseguito, tramite una valutazione dei obiettivi effettivamente raggiunti,

rispetto quanto inizialmente programmato.

Proprio in relazione alle problematiche sopra analizzate viene qui in rilievo

il primo aspetto da curare nella predisposizione delle regole in materia di bilancio

e legislazione collegata.

Qualità procedimentale significa innanzitutto garanzia di partecipazione

alla decisione finale: questa partecipazione deve risultare concreta per tutti i

soggetti istituzionalmente coinvolti nel provvedimento legislativo oggetto dell’iter

di approvazione.

La manovra finanziaria annuale, a fronte del mutato assetto istituzionale,

della Repubblica deve necessariamente diventare un procedimento altamente

concertato ed in grado di coordinare e garantire le varie forme di rappresentanza.

Il bilancio oggi viene ad assumere caratteristiche federative, formandosi in

un’istituzione, quella parlamentare che costituisce – o almeno dovrebbe costituire

- il punto di incontro di processi interistituzionali e di sovrastatualità.

Proprio in questo nuovo ruolo l’Assemblea rappresentativa deve

dimostrarsi in grado di dare voce agli interessi diffusi, conciliando gli attriti

inevitabilmente scaturenti dai diversi livelli di governo, al fine di assicurare un

livello adeguato di prestazioni sociali.

La concertazione procedimentale diventa allora lo strumento attraverso il

quale il Parlamento diventa il mediatore tra politica e “policy making”449.

Il ruolo della legge dovrebbe allora diventare quello di regolare i processi

che si svolgono anche all’esterno dell’istituzione parlamentare e che coinvolgono

le diverse categorie istituzionali e le stesse parti sociali.

pp. 3287 ss; E. DE MARCO Gruppi di pressione, procedimento legislativo e realizzabilità delle leggi Rassegna parlamentare 1996, pp. 939 ss; AA. VV. Parlamento e concertazione: atti incontro di studio Roma 18 febbraio 1999, Padova 1999; pp. 1459 ss.; P. G. MARIUZZO, La progettazione normativa dalla disciplina del procedimento ai vincoli di contenuto, studi parlamentari e di politica costituzionale, 2001, pp. 132 ss; V. DI CIOLO , La progettazione legislativa in Italia, Milano, 2002; A. G. RECCHIA E R. DICKMANN, Istruttoria legislativa e qualità della legislazione, Padova, 2002. 449 Ci si riferisce con la prima al “confronto, la competizione e il compromesso tra attori e organizzazioni che si prefiggono il fine primario di conquistare posizioni istituzionali, risorse e cariche di governo, o comunque influenza e potere decisionale a detrimento dei rispettivi competitori per medesime poste in gioco” , mentre con la seconda espressione si fa riferimento al “mutevole pluralismo di attori relazioni e di reti di interazione che si correlano al trattamento di un problema”, Cfr. P. CARETTI, M, MORISI, Parlamento e politiche pubbliche, Quaderni costituzionali, 2001, p. 492.

283

La consapevolezza di una concertazione procedimentale si sta diffondendo

progressivamente anche a livello politico-parlamentare e il problema del c.d.

“governo multilivello” è stato affrontato in sede di Giunta per il regolamento

durante la seduta del 28 febbraio 2007, dedicata in gran parte proprio alla

necessità di una riforma delle procedure di bilancio.

Sembra, infatti, ormai maturata la convinzione per cui una riforma delle

procedure di bilancio debba realizzarsi in una prospettiva completamente nuova,

nella cooperazione dei diversi livelli istituzionali 450.

La Giunta per il Regolamento, attraverso l’intervento del presidente della

Camera perviene, infatti, alla conclusione per cui l’obiettivo prioritario della

riforma non deve essere la circoscrizione del contenuto della finanziaria, ma la

predisposizione di una serie di misure in grado di responsabilizzare ed organizzare

i diversi livelli di governo.

Il primo passo deve quindi essere costituito dal un’adeguata legislazione

sul federalismo fiscale, alla quale dovrà affiancarsi la legge per il coordinamento

della finanza pubblica, nella direzione di un effettivo coordinamento territoriale.

Attraverso questi passaggi la legislazione finanziaria viene

necessariamente alleggerita nel suo contenuto, perché l’assenza di un’adeguata

disciplina di questi aspetti nevralgici ha condotto alla concentrazione in sede di

finanziaria di ogni misura necessaria a colmare questi vuoti normativi.

Ecco allora che, secondo le osservazioni del Presidente della Camera una

prima quota di tali questioni dovrebbe essere assorbita da una disciplina stabile e

strutturale della finanza regionale e locale, che consenta di mantenere costante di

anno in anno il quadro normativo e procedurale, rimettendo alla finanziaria

soltanto le modulazioni quantitative.

Una seconda quota di contenuti dovrebbe, inoltre essere demandata alla

sfera di autonomia delle Regioni e degli Enti locali, ai sensi del principio di

sussidiarietà di cui all’art. 118 Cost.

La legge finanziaria, in questo modo, dovrebbe risultare ordinata da una

serie di norme, poste su diversi livelli. La legge sul federalismo fiscale in materia

450 Proprio in questo quadro diventa essenziale la legislazione volta a dare attuazione al federalismo fiscale, cui dovrà affiancarsi una legge per il coordinamento della finanza pubblica che superi il modello tradizionale della legge di contabilità generale dello Stato, Cfr. GIUNTA PER IL REGOLAMENTO, Seduta 28 febbraio 2007, http:www.camera.it; pp. 18 ss. Solo in tal modo risulterà più semplice la redistribuzione del carico delle questioni che la finanziaria è chiamata a risolvere ogni anno sugli altri meccanismi di ordine strutturale e attraverso una più forte responsabilizzazione degli altri livelli territoriali

284

di entrate e la legge di coordinamento della finanza pubblica in materia di spese

dovrebbero ripartire i compiti tra i diversi livelli territoriali.

Nei settori di prevalente competenza regionale, inoltre, alla legge

finanziaria dovrebbe essere riservato soltanto il compito di fissare vincoli e

obiettivi di interesse nazionale, lasciando il relativo svolgimento alle competenti

fonti regionali e a procedure di intesa.

Infine la legge finanziaria dovrebbe risultare alleggerita, secondo le

conclusioni del 28 febbraio 2007451, anche per un trasferimento di contenuti verso

la legge di bilancio, potenziata e rinnovata ed in grado di determinare gli

stanziamenti sulla base di una chiara e trasparente aggregazione della poste per

grandi funzioni. Anche la gestione amministrativa ne verrebbe responsabilizzata

per la forte correlazione tra funzioni ed obiettivi, che rende più agevole il

controllo ei risultati.

Questa ripartizione di competenze e di contenuti normativi tra i diversi

livelli territoriali e le diverse tipologie di fonti pone, tuttavia, come condizione

necessaria un’adeguata e reale concertazione tra i diversi livelli istituzionali.

Recentemente, in proposito occorre registrare una prassi positiva.

Proprio nelle materie di potestà legislativa concorrente, l’estrema difficoltà

di individuare il confine delle competenze, ma anche la necessità di garantire un

sempre più efficace coordinamento tra le diverse realtà territoriali, hanno indotto

l’esecutivo a capovolgere l’approccio tradizionale, in merito all’impugnazione

delle leggi regionali.

Ci si riferisce alla direttiva del 26 giugno 2006452, con la quale il Ministro

per gli Affari regionali, introduce l’utilizzo di pratiche conciliative per la

prevenzione del contenzioso futuro e la risoluzione stragiudiziale delle

controversie in atto.

Pur non essendo equiparabile ad una soluzione transattiva di tipo

privatistico, stante la natura indisponibile del regime delle competenze statali e

regionali, questa prassi può costituire un segnale positivo per l’instaurazione di

veri e propri tavoli di negoziazione tra le parti, di carattere tecnico, che dovrebbe

451 Per tutti gli aspetti qui evidenziati si rinvia all’intervento del PRESIDENTE DELLA CAMERA, Considerazioni in tema di riforma delle procedure di bilancio, Giunta per il Regolamento, 28 febbraio 2007, http://www.camera.it 452 In realtà questa pratica non risulta del tutto innovativa essendo in parte già introdotta con il primo governo Prodi, dall’allora Ministro Bassanini, V. sul punto, V. ANGIOLINI ( a cura di ) Il contraddittorio nel giudizio sulle leggi, Torino, 1998, pp. 448 ss.

285

concludersi con il raggiungimento di un’intesa, paragonabile ai c.d. gentlemen’s

agreement anglo-americani453, con la quale le parti si impegnano ad apportare alla

normativa oggetto di esame le modifiche concordate.

Questi tavoli di negoziazione dovrebbero diffondersi non soltanto per

evitare il contenzioso dinnanzi alla Corte Costituzionale, ma anche per fornire un

base conoscitiva adeguata in sede di istruttoria legislativa e comunque nella fase

della progettazione dell’atto normativo.

Una simile cooperazione, come già rilevato in precedenza, si dimostra non

solo auspicabile, ma addirittura imprescindibile durante la stesura del progetto di

legge di bilancio e della finanziaria.

La natura stessa di potestà legislativa concorrente della materia

dell’”armonizzazione dei bilanci pubblici e del coordinamento della finanza

pubblica e del sistema tributario” impone che la predisposizione degli obiettivi

della manovra, a partire dal DPEF devono trovare la loro prima sede di redazione

nel sistema delle Conferenze, coinvolgendo le rappresentanze regionali e locali.

Nel nuovo regime costituzionale ispirato al principio di “autonomia

finanziaria di entrata e di spesa” delle autonomie, la riduzione dell’indebitamento

netto del conto consolidato delle pubbliche amministrazione è difficilmente

perseguibile senza il coinvolgimento totale delle rappresentanze di tutti i livelli

istituzionali.

La condivisione di obiettivi e di strumenti per la loro realizzazione

aumenta, infatti, in misura esponenziale le possibilità di successo della manovra.

Parallelamente, il decentramento verso i poteri locali della responsabilità

di una serie rilevante di decisioni di spesa richiede, ai fini di un effettivo

coordinamento delle politiche settoriali, il coinvolgimento delle istituzioni

interessate, che risultano anche titolari e responsabili della gestione

dell’intervento.

L’effettiva partecipazione al momento della definizione delle linee

fondamentali della manovra economica devono avvenire già a livello di DPEF,

453 Cfr. in tal senso, S. CALZOLAIO, Calo del contenzionso e recente prassi introdotta dalla direttiva del Ministro per gli Affari regionali: collaborazione contrattazione o ritorno al controllo preventivo?, Quaderni Costituzionali, ottobre 2007. Viene, così, prevista la nascita di una task force, che sembra poi essersi materializzata in un “Serivio di pre-contenzioso”, interno al Ministero, adibita a risolvere il contenzioso pendente attraverso la costituzione di tavoli tecnici con le singole amministrazioni di volta in volta coinvolte e a prevenire quello futuro, proponendo alle autorità competenti un percorso condiviso di soluzione alternativa al contenzioso, in proposito V. S. MUSOLINO, I rapporti Stato-Regioni nel nuovo Titolo V alla luce dell’interpretazione della Corte Costituzionale, Milano, 2007, pp. 138 ss.

286

ma per rendere possibile il confronto tra le diverse realtà territoriali, viene in

rilievo un ulteriore profilo essenziale nell’ottica di un miglioramento qualitativo

dell’intera legislazione di bilancio: la coerenza redazionale dei diversi documenti

contabili e l’attendibilità del bagaglio di dati cui tutte le previsioni fanno

riferimento454.

Proprio per questo, il secondo aspetto da verificare nell’ottica di un

miglioramento qualitativo della legislazione di bilancio è proprio il profilo

tecnico-redazionale, sia sotto il profilo della necessità di una standardizzazione

delle poste contabili tra i diversi livelli istituzionali, sia al fine di perseguire in

modo sempre più deciso l’obiettivo della chiarezza e della trasparenza del bilancio

pubblico, in modo da evidenziare chiaramente gli obiettivi perseguiti e le risorse

destinate a ciascuno scopo.

6.2. Drafting formale e bilancio statale. La nuova nozione di qualità

legislativa.

E’ già stata sottolineata l’opportunità di applicare le regole di drafting alla

legge annuale di bilancio, evidenziando altresì la necessità di un’interpretazione

allargata di questo concetto, per comprendere da un lato, la qualità nella fase della

progettazione e dell’istruttoria legislativa, dall’altro la corretta redazione tecnica

del disegno di legge e, infine, l’applicazione dei principi in tema di analisi di

fattibilità e di verifica ex post dei risultati conseguiti dalla normazione.

Ma che cosa si intende per qualità redazionale della legge di bilancio?

Tradizionalmente il concetto è stato interpretato, sulla scorta dei principi

aziendalistici dettati dal codice civile455, nell’ottica di una redazione del bilancio

454 F. BASSANINI, G. MACCIOTTA, La disciplina della manovra finanziaria annuale e pluriennale e dei suoi strumenti, una proposta di riforma. Ricerca svolta per incarico della Presidenza del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, Febbraio 2007, reperibile al sito http://www.astrid-online.it 455 L’art. 2423 del c.c. afferma, infatti, che il bilancio deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell’esercizio. Se le informazioni richieste da specifiche disposizioni di legge non sono sufficienti a fare una rappresentazione veritiera e corretta, si devono fornire le informazioni complementari necessarie allo scopo. Più nel dettaglio, ma sempre per garantire una rappresentazione veritiera e corretta del patrimonio aziendale l’art. 2423 bis elenca i principi di redazione del bilancio nei seguenti punti: 1) La valutazione delle voci deve essere fatta secondo prudenza e nella prospettiva della

continuazione dell’attività, nonché tenendo conto della funzione economica dell’elemnto dell’attivo o del passivo considerato;

287

conforme ai principi di veridicità, pubblicità, unità, universalità e

specializzazione.

Tali principi devono ritenersi tutt’ora gli assi portanti della stesura del

documento contabile, sostanziandosi in una concretizzazione del principio di

trasparenza e di obiettività del contenuto del bilancio.

Secondo il principio di veridicità, il bilancio deve contenere annotazioni

che corrispondono alle autorizzazioni legislative sostanziali, in modo da garantire

una costante corrispondenza tra scrittura contabile e norma sostanziale di entrata o

di spesa. I principi di integrità e di universalità sono strettamente correlati

implicando il primo, la necessità di una valutazione lorda della manovra

finanziaria456, mentre il secondo impone di considerare nel bilancio tutte le spese

e tutte le entrate dello Stato al fine di fornire un quadro fedele ed esauriente della

realtà patrimoniale di riferimento457.

Anche la regole dell’ unità si dimostra connessa con i principi di integrità e

universalità: se il bilancio deve contenere tutte le entrate e tutte le spese al lordo,

ne discende che ogni entrate e ogni spesa devono essere riferite a ciascuna

categoria cui appartengono e non vi possono essere collegamenti tra singole

entrate e singole spese. Ciò significa che ogni entrata finanzia una quota del totale

delle spese e che ogni spesa tra una quota dei fondi stanziati per essa, dal gettito di

tutte le imposte ed è proprio per da questo principio che deriva il divieto di

2) Si possono indicare esclusivamente gli utili realizzati alla data di chiusura dell’esercizio 3) Si deve tener conto dei proventi e degli oneri di competenza dell’esercizio, indipendentemente

dall’incasso o dal pagamento; 4) Si deve tener conto dei rischi e delle perdite di competenza dell’esercizio, anche se conosciuti

dopo la chiusura di questo; 5) Gli elementi eterogenei ricompresi nelle singole voci devono essere valutate separatamente, 6) I criteri di valutazione non possono essere modificati da un esercizio all’altro. […], Tali criteri, aldilà dell’aspetto tecnico mirano, infatti, ad assicurare la coerenza dei riscontri contabili con l’effettiva consistenza patrimoniale aziendale, concretizzando, quindi in ultima analisi l’obiettivo della veridicità e della trasparenza del bilancio. 456 In base a tale principio, quindi, le entrate debbono essere registrate al lordo delle spese di riscossione o di altre eventuali spese ad esse connesse, parallelamente le spese devono essere registrate per il loro intero ammontare, senza tener conto delle eventuali entrate che da esse debbono dipendere. 457 Tale principio, tuttavia, è fortemente pregiudicato dalla realtà composita dell’amministrazione statale e dal già ricordato carattere multilivello della realtà nazionale. La descrizione completa dell’intera situazione patrimoniale pubblica, infatti, viene in gran parte impedita dal fatto che una larga parte di attività di rilevanza pubblica è svolta da enti pubblici territoriali ed economici, a cui sono da aggiungere anche una pluralità di enti con personalità giuridica di diritto privato. Pur esistendo una serie di collegamenti testuali nel bilancio dello Stato, in realtà il principio dell’universalità risulta gravemente compromesso, proprio perché il bilancio delle singole amministrazioni segue un iter particolare e separato di approvazione e di gestione che impedisce una valutazione unitaria.

288

istituire un’imposta per pagare un determinato servizio pubblico individuabile

(c.d. divieto dei tributi di scopo).

Il principio della specializzazione, invece, impone una strutturazione

analitica delle poste contabili, per cui la suddivisione complessiva della massa

deve essere seguita da ulteriori frazionamenti fino a condurre all’unità elementare

del bilancio.

La pubblicità, infine, si sostanzia nella necessità di far conseguire al

bilancio la veste formale di atto legislativo tramite la pubblicazione sulla Gazzetta

Ufficiale e in modo da renderlo potenzialmente conoscibile e consentirne un

controllo diffuso da parte dell’opinione pubblica458.

Questi principi devono ritenersi tutt’ora fondamentali nella concreta

stesura del bilancio statale, tuttavia, negli ultimi anni si è diffusa la convinzione

per cui queste regole non siano più sufficienti a garantire “la qualità” del testo

contabile di fine esercizio.

Già dalla riforma del ’97 i concetti di economicità ed efficienza della

gestione pubblica entrano nell’uso corrente, ma il legislatore degli anni ’90 si

dimostra particolarmente interessato all’aspetto della responsabilità

amministrativa dei singoli settori dell’amministrazione, mentre la dottrina più

recente si manifesta più orientata ad un’analisi fermamente economica tra costi e

risultati conseguiti.

La “qualità redazionale” assume, così, in questi ultimi anni un significato

tecnico-economico che richiama le nozioni di efficienza allocativa ed efficienza

operativa.

Con il primo concetto si fa riferimento alla necessaria corrispondenza tra

obiettivi dell’azione pubblica e predisposizione di mezzi, secondo un ragionevole

graduazione di priorità, per cui tecniche di redazione improntate all’efficienza

allocativa dovranno evidenziare:

• Gli obiettivi perseguiti attraverso l’azione pubblica

• Le attività dirette a realizzare tali obiettivi

• Le entità delle risorse stanziate e spese.

458 In proposito la dottrina è unanimemente concorde, a mero titolo esemplificativo si ricorda la disamina in tal senso di G. FAZIO E M. FAZIO, Il nuovo bilancio statale nel sistema finanziario italiano, Milano, 2001, pp. 116 ss.; D. DA EMPOLI, P. DE IOANNA, G. VEGAS, Il bilancio dello Stato, La finanza pubblica tra Governo e Parlamento, Milano, 2005, pp. 8 ss. S. BUSCEMA E A. BUSCEMA, Contabilità dello Stato e degli Enti pubblici, Milano, 2005, pp. 42 ss.

289

L’efficienza operativa, invece, pone l’accento sui risultati conseguiti e sulla

corrispondenza di questi con gli obiettivi prefissati, risulta, allora, indispensabile,

in questa direzione, un rafforzamento dei controlli programmatici sulla spesa, ma

anche una maggiore flessibilità nell’organizzazione produttiva.

I concetti di economicità, efficienza ed efficacia, richiamati dal d. lgs n.

286 del 1999, in materia di “riordino dei costi, dei rendimenti e dei risultati

dell’attività svolta dalle amministrazioni pubbliche”, devono, quindi, essere riletti

alla luce di una serie di criteri diffusi a livello internazionale per misurare la

qualità di un sistema economico statale.

Si parla in tal senso di “Value for Money” per indicare un insieme di criteri

idonei a misurare il rapporto tra le risorse impiegate e i risultati ottenuti. Tale

sistema costituisce la base conoscitiva in grado da fornire supporto alla decisione

in materia di finanza pubblica in paesi, come il Regno Unito, l’Australia, la Nuova

Zelanda e il Canada, che da anni applicano i principi del performance budgeting.

Con questa espressione si sintetizza l’insieme delle tecniche che

assicurano la redazione del bilancio in termini di efficienza allocativa ed operativa

e che permettono di orientare la gestione verso l’ottenimento di risultati.

Il performance budgeting consiste nell’integrazione del documento di

bilancio con un piano annuale di performance che mostri la relazione tra i livelli

di finanziamento programmati ed i risultati attesi dell’azione pubblica, in esso

vengono inclusi una serie di indicatori e di obiettivi che devono essere conseguiti

ad un dato livello di spesa459.

Elemento essenziale di questa tecnica è l’individuazione di programmi,

l’articolazione in obiettivi e la loro traduzione in termini di outputs o outcomes da

perseguire, in modo da permettere la strutturazione delle fasi di produzione del

servizio pubblico nell’interazione tra fattori di produzione (inputs), prodotti

(outputs) e risultati (outcomes).

Per ogni programma deve essere, allora stabilito un obiettivo e una

descrizione delle sue attività chiave, in modo che ad esso vengano associati i

prodotti o i risultati attraverso i quali gli obiettivi del programma sono conseguiti.

459 Questa nuova struttura del bilancio ha come obiettivo primario quello di rendere più diretto il legame tra risorse stanziate ed azioni perseguite dal Governo. La nuova struttura contabile diventa, pertanto, un perno ineludibile a disposizione del Parlamento e dell’esecutivo, per meglio calibrare l’allocazione delle risorse. Il bilancio diventa, così, più trasparente offrendo ai cittadini la possibilità di visualizzare le scelte pubbliche effettuate, sin dal punto di vista della loro quantificazione che della loro rispondenza alle scelte effettuate dal Governo, in un quadro di maggiore democraticità.

290

Si palesa così utile una nuova strutturazione della spesa in programmi,

affiancata da strumenti di informazione strutturata su risultati, che garantisca una

migliore decisione sull’allocazione delle risorse e quindi sull’aumento o sulla

riduzione delle spese nel perseguimento di un obiettivo dato.

Parallelamente diventa fondamentale l’affinamento delle tecniche di

misurazione dei risultati delle varie politiche, tramite l’utilizzo di indicatori di

performance, in modo da garantire anche un’attività di rendiconto del governo al

Parlamento e favorendo l’indirizzo della programmazione per l’anno successivo.

Questo nuovo metodo, qualificabile, appunto, come performance

budgeting, mira a sottolineare le relazioni fra le risorse stanziate ed i risultati attesi

e si basa sulla sintesi degli obiettivi dell’azione pubblica in termini di prodotto

(output) e risultato (outcome).

L’output è definibile come il bene o il servizio reso dal governo ai

cittadini, alle imprese o alle p.a., mentre l’outcome è l’insieme delle conseguenze

che le politiche pubbliche e i programmi di governo riversano sulla società e

sull’economica, riflettendo i risultati intenzionali o non intenzionali dell’azione

amministrativa460.

Il capovolgimento dell’ottica della registrazione delle operazioni pubbliche

appare evidente. Proprio una nuova nozione di qualità legislativa, orientata ad una

valutazione in termini di rispondenza delle attività rese allo scopo perseguito,

induce ad un’evidenziazione degli obiettivi in termini di outputs ed outcomes in

grado di fornire gli elementi di valutazione dell’efficienza e dell’ efficacia

dell’attività governativa461 e ad una strutturazione dei conti in termini di

programmi.

460 Per un’esemplificazione ci si può riferire all’attività del Ministero della Salute, in termini di campagne per la prevenzione di determinate malattie. In questo caso il programma è costituito dalla quantità di test diagnostici effettuata sulla popolazione di riferimento, mentre l’outcome è l’incremento del tasso di sopravvenienza di una certa malattia, grazie alla diagnosi tempestiva, resa possibile dalla campagna di prevenzione. 461 Il modello strutturato in outcomes si è immediatamente dimostrato più rispondente agli scopi, sulla base della considerazione per cui gli output potrebbero distorcere gli obiettivi e le attività di governo, occultandone gli effetti e gli impatti. L’approccio basato sugli outputs sembrerebbe inoltre, ostacolare l’apprendimento all’interno del settore pubblico di una nuova cultura di performance nella formulazione degli obiettivi e in generale delle politiche pubbliche. La definizione e la misurazione degli outcomes è, tuttavia, più complessa. L’orientamento agli outcomes implica molta chiarezza nelle relazioni tra le politiche pubbliche, i programmi e gli effetti sulla società, ma richiede un’attenta capacità di isolare i risultati non intenzionali dell’azione governativa. Il problema è, infatti, la molteplicità dei fattori che costituiscono gli outcomes, nel senso che questi sono spesso il risultato della confluenza di molteplici fattori anche indipendenti ed involontari. La loro misurazione pertanto può rilevarsi difficile e dispendioso, senza contare che il differimento temporale tra la determinazione di una

291

6.3. La nuova classificazione, per missioni e programmi, inaugurata

dal bilancio di previsione per il 2008.

La vigente normativa (Legge Ciampi n. 94 del 1997) prevede una struttura

improntata su Centri di responsabilità amministrativa (aspetto organizzativo), su

unità previsionali di base (aspetto contabile) e sulla classificazione per funzioni

obiettivo (aspetto funzionale).

La riforma del ’97 costituisce senza dubbio una preziosa intuizione,

tuttavia, non fornisce risposte concrete circa la conoscibilità delle risorse

assegnate per i diversi obiettivi e la verifica dei risultati raggiunti attraverso quelle

risorse462.

Con la predisposizione del disegno di legge di bilancio per l’anno 2008 e

per il triennio 2008-2010, il Governo compie un deciso passo in avanti nella

direzione di una nuova configurazione improntata a criteri qualitativi e verso

logiche di risultato.

L’obiettivo prioritario resta la maggiore leggibilità e trasparenza del

bilancio, ma questa finalità primaria viene orientata al fine del perseguimento

dell’efficienza allocativa ed operativa del settore pubblico.

La consapevolezza di una revisione del sistema di registrazione e

contabilizzazione delle operazioni pubbliche si avverte già da tempo, ma le

istanze scientifico-dottrinali si traducono in un vero e proprio impegno politico

soltanto all’inizio del 2007, tanto in sede di parlamentare463, che governativa464.

politica pubblica e l’individuazione dei suoi effetti in termini di outcomes, potrebbe condurre ad una distorsione nell’attività di formulazione del budget e nella definizione dei progetti annuali di performance. 462 Cfr. MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, Seminario “Migliorare la qualità della spesa pubblica”, intervento del RAGIONIERE GENERALE DELLO STATO, Roma, 29 marzo 2007, paper pubblicato sul sito http://www.astrid-online.it 463 GIUNTA PER IL REGOLAMENTO, seduta del 28 febbraio, 13, 20 e 27 marzo 2007, Intervento del Presidente della Camera sulla riforma delle procedure di bilancio, CAMERA DEI DEPUTATI, Commissioni riunite, V (Bilancio, tesoro e programmazione) della Camera dei Deputati, V ( Programmazione economica e bilancio ) del Senato della Repubblica, seduta del 13 luglio 2007 ; COMMISSIONI BILANCIO DI CAMERA E SENATO, Indagine conoscitiva sulle linee di riforma degli strumenti e delle procedure di bilancio, documento conclusivo approvato l' 8 maggio 2007, reperibili sul sito http://www.camera.it 464 MINISTRO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, Orientamenti del Ministero dell’Economia e delle Finanze in materia di struttura del bilancio e valutazione della spesa, CONSIGLIO DEI

292

Il 28 febbraio il Presidente della Camera interviene in sede di Giunta per il

Regolamento per evidenziare la necessità di una riqualificazione della spesa, in

modo da evidenziare un chiaro nesso tra le assegnazioni di risorse operate dal

bilancio e quelle effettuate con la finanziaria, ma soprattutto permetta scelte più

consapevoli circa le risorse assegnate a ciascuna funzione.

Il Presidente della Camera propone, quindi, una revisione sperimentale del

bilancio, sulla base della classificazione funzionale definita dagli standard

internazionali COFOG, proprio perché seppur ampiamente condivise, le proposte

di revisione non sono ancora riuscite a diventare operative.

Questa sperimentazione dovrebbe basarsi su una cooperazione

istituzionale tesa al raggiungimento comportamenti rispettosi dei principi

esistenti, ma anche in grado di incoraggiare l’eventuale sperimentazione di nuove

prassi compatibili con questi.

Per quanto riguarda in particolare la legge di bilancio viene precisata la

necessità di una revisione complessiva della classificazione delle poste, in modo

da consentire di recuperare “significatività e spazio decisionale al disegno di legge

di bilancio, facendone la base di riorganizzazione della legge finanziaria in base ai

c.d. saldi di settore”465.

Successivamente queste indicazioni vengono specificate in sede di

Commissioni Riunite (V Commissione Camera e V Commissione Senato)466 e

formalizzate nella circolare del Ministro dell’Economia relativa alla previsione di

bilancio per l’anno 2008, del 5 giugno 2007, dove si delinea la nuova

strutturazione, organizzata in 34 missioni e 169 programmi, evidenziando,

tuttavia, che la ripresa del processo di riforma avviene in conformità della

legislazione vigente.

Il principale documento di riferimento, tuttavia, allo stato attuale della

legislazione resta il disegno di legge bilancio per il 2008 (allo stato AS 1818 ) e la

MINISTRI, 25 gennaio 2007; MINISTERO DELLE FINANZE, Circolare del 5 giugno 2007, n. 21, relativa alla “Previsione di bilancio per l’anno 2008 e per il triennio 2008-2010; PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, Direttiva del 3 luglio 2007, sulla “Riclassificazione del bilancio e avvio del programma di revisione della spesa pubblica” e, infine, la Relazione illustrativa al disegno di legge di approvazione del bilancio, AS 1818; testi reperibili sul sito http://www.governo.it e altresì sul sito http://www.astrid-online.it 465 GIUNTA PER IL REGOLAMENTO, seduta del 28 febbraio, 13, 20 e 27 marzo 2007, Intervento del Presidente della Camera sulla riforma delle procedure di bilanci,reperibile sul sito http://www.camera.it , p. 24 466 CAMERA DEI DEPUTATI, Commissioni riunite, V (Bilancio, tesoro e programmazione) della Camera dei Deputati, V ( Programmazione economica e bilancio ) del Senato della Repubblica, seduta del 13 luglio 2007

293

relativa relazione illustrativa, con il quale il Governo intende dare un’ulteriore

spinta propulsiva alla riclassificazione avviata nel ’97, allo scopo di introdurre una

maggior chiarezza sugli obiettivi perseguiti dall’azione pubblica, in un’ottica di

verifica in termini di efficienza ed efficacia, allocativa ed operativa.

Il disegno di bilancio per il 2008, seguendo le direttive indicate nella

circolare ministeriale del 5 giugno, si struttura su previsioni di spesa secondo

Missioni e Programmi, salvaguardando lo schema giuridico di cui alla Legge

Ciampi, pur innovandone profondamente l’assetto basato sui c.d. centri di

responsabilità amministrativa.

Secondo lo schema anzidetto, le funzioni obiettive, individuate con

riguardo all’esigenza di definire le politiche pubbliche di settore e di misurare il

prodotto dell’attività amministrativa467, venivano concretizzate nell’ulteriore

ripartizione in tre livelli, Divisioni, Gruppi, Classi, secondo i criteri internazionali

COFOG, ed un quarto livello dedicato alle Missioni istituzionali, espressive delle

realtà funzionali del nostro Paese.

Tale suddivisione, tuttavia, ha registrato risultati insoddisfacenti,

risolvendosi in uno strumento meramente conoscitivo ed informativo e

presentando scarsa capacità di raccordo con il bilancio decisionale votato dal

Parlamento468.

Proprio tali difficoltà operative rendono necessaria, così, una

riorganizzazione operata su una classificazione in due livelli: le Missioni ed i

Programmi, raccordabile con i tre livelli della sopra-citata classificazione

COFOG 469.

Più in dettaglio occorre definire “Missioni” le principali funzioni e gli

obiettivi strategici perseguiti con la spesa pubblica.

Queste costituiscono una rappresentazione politico-istituzionale delle

grandi finalità poste alla base dell’azione amministrativa statale. Questa

rappresentazione divento lo strumento per rendere più trasparente le scelte

allocative e conoscibili le politiche sottese al raggiungimento di queste.

467 Cfr. art. 4 comma 2, lett. b) Legge n. 94 del 1997. 468 Tale classificazione si è, inoltre, sviluppata, in modo trasversale tra i Ministeri, non risultando, quindi, idonea a costituire la base per un diverso sistema gestionale diretto alla responsabilizzazione dei dirigenti. 469 E’ stata, così, avviata la relativa attività volta a raccordare i nuovi programmi con le Classi COFOG, in modo da raggiungere una condivisione dei criteri con le Amministrazioni interessante con l’Istituto Nazionale di Statistica e con gli organismi istituzionali intervenuti nell’elaborazione della nuova classificazione.

294

Le missioni permettono, quindi, di riunire, all’interno del complesso delle

risorse stanziate con il bilancio, un numero limitato di grandi finalità ( 34

missioni) che vengono perseguite indipendentemente dall’azione politica

contingente ed assumono, quindi, una configurazione istituzionale permanente.

Non necessariamente questi grandi obiettivi devono essere di pertinenza di

un sono dicastero, risultando configurabili altresì missioni trasversali o

interministeriali.

Il concetto di missione si avvicina al primo livello di classificazione

COFOG, costruito allo scopo di confrontare macro-aggregati e di consentire una

lettura sintetica e semplificata della spesa pubblica470.

Significativo, con riguardo a questa classificazione, è la presenza di due

missioni per così dire, trasversali, presenti in tutti i Ministeri: i “Fondi da

ripartire” e i “Servizi istituzionali e generali”.

Con la prima suddivisione si intende raccogliere alcuni fondi di riserva

che non hanno una collocazione specifica in sede di predisposizione di bilancio di

previsione, per cui la loro concreta attribuzione è demandata ad atti e

provvedimenti successivi adottati in corso di gestione.

Mentre la missione “Servizi istituzionali e generali” raggruppa le spese di

funzionamento dell’apparato amministrativo trasversali a più finalità471.

Ogni missione si realizza poi in maniera concreta attraverso la

predisposizione di “programmi”.

470 Come già segnalato il metodo di classificazione COFOG deriva da un’esigenza di comparazione dei conti pubblici a livello internazionale. Nel 1997 l’OCSE propone, infatti la Classification on functions of Government-COFOG che prevede un’articolazione funzionale della spesa in Divisioni, Gruppi e Classi. In Italia, al fine di individuare questa nuova classificazione, con la circolare del Ministero del Tesoro n. 65 del 1997, è stata introdotta una metodologia per analizzare le attività realizzate ed i servizi prodotti dalle amministrazioni centrali dello Stato. Dall’integrazione tra la struttura nazionale e la struttura OCSE-COFOG è scaturita la classificazione adottata nel bilancio dello Stato su quattro livelli: Le divisioni, che rappresentano i fini primari perseguiti da una o più amministrazioni I gruppi, che esprimono le specifiche aree di intervento delle politiche pubbliche Le classi, che identificano ambiti omogenei di attività in cui si articolano le aree di intervento delle amministrazioni Le funzioni obiettivo, che rappresentano gli obiettivi perseguiti da ciascuna amministrazione in una determinata area di intervento. Questa classificazione, come già osservato, ha contribuito al sorgere di numerosi problemi applicativi, soprattutto in considerazione del fatto che queste ripartizioni di matrice internazionale non consentivano un reale ancoraggio contabile, ma si limitavano ad un apporto conoscitivo. 471 Rientrano ad esempio in questa categoria le spese per l’indirizzo politico e per gli affari generali.

295

Questi costituiscono aggregati omogenei di attività svolti all’interno del

singolo Ministero, per perseguire obiettivi definiti nell’ambito delle finalità

istituzionali riconosciute al Dicastero competente.

Il fondamento di questa nuova classificazione deve ravvisarsi nell’articolo

2 comma 2 della Legge n. 468 del 1978, come modificata dalla Legge n. 94 del

1997.

Il programma rappresenta, infatti, il punto focale della nuova struttura di

bilancio, costituendo un livello di aggregazione sufficientemente dettagliato per

consentire una scelta politicamente consapevole, ma non eccessivamente rigido ed

invasivo e quindi tale da pregiudicare la discrezionalità amministrativa nel

momento della concreta gestione delle risorse472.

Questa nuova classificazione dal punto di vista qualitativo può essere letta

in una duplice direzione: da un lato infatti l’impostazione per programmi permette

maggiore consapevolezza nella fase deliberativa e quindi permette una decisione

più meditata da parte del decisore politico, dall’altro migliora la leggibilità e la

trasparenza del bilancio e quindi ne agevola la comprensibilità anche da parte dei

cittadini.

Il primo obiettivo viene concretamente raggiunto attraverso una

rappresentazione più univoca e sintetica delle finalità perseguite, pur mantenendo

lo schema concettuale delle unità previsionali di base e tutti gli elementi presenti

del quadro classificatorio vigente.

Mentre la migliore leggibilità e trasparenza del documento di previsione

viene perseguita proprio attraverso una chiara rednicontazione dell’attività

realizzata, in modo da evidenziare in modo più immediato l’entità della spesa e

soprattutto la finalità delle singole erogazioni.

Ulteriore particolarità è la predisposizione dei programmi secondo lo

schema delle attività effettivamente espletate, ma senza alcun riferimento alle

strutture esistenti all’interno dei singoli dicasteri, questa organizzazione permette

di effettuare revisione nelle attribuzioni interne, rendendo dinamica e flessibile la

gestione amministrativa.

472 Concretamente si è deciso di operare secondo l’aggregazione delle attuali missioni istituzionali, il quarto livello funzionale successivo ai tre livelli della classificazione COFOG, in modo da identificare aggregati più ampi e significativi rispetto a quelli esistenti.

296

La struttura per programmi, inoltre, risulta particolarmente utile per

perseguire l’obiettivo di una valutazione dell’azione pubblica in termini di

efficienza ed efficacia.

E’ proprio il programma, infatti, che individua in modo preciso il risultato

da conseguire (il c.d. outcome, sopra analizzato ).

I programmi, infatti carattere strumentale e indicano l’input per perseguire

una determinata finalità e parallelamente evidenziano i prodotti o i servizi finali

resi (output), rendendo così immediata la valutazione in termini di risultati

(outcome)473.

Per riassumere le novità introdotte, occorre rilevare anche le correzioni

apportate alla struttura delle entrate, realizzate al fine di coordinare le

informazioni ivi contenute con la nuova classificazione in materia di spesa.

In proposito il primo livello di indagine rimane inalterato con la

suddivisione in quattro titoli: entrate tributarie, entrate extra-tributarie, entrate

derivanti dall’alienazione e dall’ammortamento di beni patrimoniali e dalla

riscossione di crediti ed entrate derivanti dall’accensione di prestiti.

Il secondo livello invece riprende la distinzione introdotta in materia di

spese inerente la ripartizione tra entrate ricorrenti ed entrate non ricorrenti474,

mentre il terzo livello permette di evidenziare la tipologia dell’entrata, quindi, ad

esempio, per le entrate tributarie si fa riferimento alla tipologia di tributo (imposta

sui redditi, IVA, IRES…), mentre per i restanti titoli viene indicata la tipologia del

provento per aggregati (ad esempio, proventi speciali, redditi da capitale, entrate

derivanti da servizi resi dall’amministrazione statale…)475.

Al quarto livello, infine , viene indicato il dettaglio dei proventi che

rientrano nelle tipologie di introiti indicati al terzo livello476.

473 E’ la stressa denominazione del programma che indica la finalità perseguita con le risorse attribuite, permettendo un’evoluzione concreta da un bilancio che definisce che gestisce le risorse, per centri di responsabilità amministrativa ad un bilancio che individua le azioni attivate dalla singola amministrazione attraverso la spesa pubblica. Ciascun programma si esplica, così, in un insieme di attività, poste in essere dall’amministrazione per il raggiungimento dei propri obiettivi. 474 Questa distinzione si rileva particolarmente utile per quanto riguarda la valutazione dei conti pubblici da parte degli organismi comunitari 475 In questo stesso livello, inoltre, le entrate tributarie si distinguono nelle entrate derivanti dall’attività ordinaria di gestione e le entrate derivanti dall’attività di accertamento e controllo, in questo modo si distingue la quota derivante dal versamento spontaneo e quella proveniente dalla verifica e dal controllo del livello di evasione. 476 Riassuntivamente, quindi, Entrate I livello (titoli)

297

Per quanto riguarda le spese, invece, come già anticipato, ciascuno stato di

previsione si articola nelle 34 missioni, già analizzate a carattere interministeriale

e suddivise a loro volta in 168 programmi a carattere prevalentemente, anche se

non esclusivamente ministeriale.

Le unità voto sono tuttavia, costituite da un ulteriore livello i c.d. macro-

aggregati che evidenziano le risorse attribuite e gestite dal Centro di

responsabilità, secondo l’articolo 2 comma 2 della Legge n. 468 del 1978.

I centri di responsabilità vengono, infatti, collocati al di sotto dei macro-

aggregati per consentire l’evidenziazione degli stanziamenti di missioni

programmi - unità previsionali di base assegnati ai singoli centri di

responsabilità477.

Questa nuovo sistema di classificazione costituisce senza dubbio un

segnale positivo verso un nuovo approccio metodologico nella redazione del

bilancio pubblico. La struttura per missioni e programmi sembra, infatti, inserirsi

in modo coerente nella rinnovata cultura dell’efficienza della gestione pubblica.

Queste poste contabili forniscono, infatti, utilissime indicazioni circa gli

obiettivi perseguiti, gli strumenti predisposti per la loro realizzazione e i risultati

effettivamente raggiunti, ma per un reale vaglio qualitativo e una verifica concreta

• Tributarie • Extra-tributarie • Alienazione e ammortamento di beni patrimoniali e riscossione di crediti • Accensione di prestiti

II livello ( natura ) • Entrate ricorrenti • Entrate non ricorrenti

III livello • Tipologia dell’entrata

IV livello (unità di voto parlamentare) • Attività/Proventi

477 Lo schema diventa per lo stato di previsione della spesa, così strutturato: • Missioni • Programmi • Macroaggregati Per la spesa corrente -Funzionamento - Interventi - Trattamenti di quiescenza, integrativi e sostitutivi - Oneri del debito pubblico - Oneri comuni Per la spesa in conto capitale -Investimenti -Altre spese in c.capitale -Oneri comuni Rimborso dei prestiti -Rimborso del debito pubblico • Centro di responsabilità amministrativa

298

in termini di efficienza gestionale occorre garantire il funzionamento di un valido

apparato di controlli, in modo che la legislazione di bilancio possa migliorare in

misura significativa di anno in anno, correggendo gli errori di valutazione

dell’anno precedente.

Pertanto appare strettamente strumentale a questa rinnovata stesura del

bilancio di previsione la predisposizione di meccanismi in grado di operare

un’analisi ex ante dell’idoneità delle risorse stanziate alla realizzazione delle

obiettivi perseguiti e congiuntamente, una verifica ex post degli effettivi risultati

raggiunti, completando l’approccio qualitativo adottato nel momento redazionale

con i tradizionali strumenti valutativi tipici del drafting sostanziale.

6. 4. Drafting sostanziale, valutazione legislativa e bilancio statale.

Com’è già stato osservato nella premessa introduttiva, gli anni ‘80 e ‘90

segnano, nel nostro Paese, il completo raggiungimento della consapevolezza

dell’insufficienza, ai fini dello studio della qualità legislativa di un

approfondimento in termini meramente formali478.

Allo studio delle corrette tecniche di redazione si affianca la necessità di

un procedimento valutativo in grado di calcolare gli effetti prevedibili o reali di un

atto legislativo479.

478 A. BARETTONI ARLERI, Fattibilità e applicabilità delle leggi, Rimini, 1983; G.U. RESCIGNO, Problemi politici-costituzionali di una disciplina delle tecniche di redazione e del controllo di fattibilità delle leggi, in Le Regioni, 1985, p. 270; G.U. RESCIGNO, La catena normativa, contributo al tema della fattibilità delle leggi, in Pol. dir., 1987, p. 349; G. PASTORI e A. ROCELLA, La fattibilità delle leggi, in S. BARTOLE (a cura di), Lezioni di tecnica legislativa, Padova, 1988; M.M. DE MEO, Il fattore valutativo per la fattibilità delle leggi, in Iter legis, 1997. A. BARETTONI ARLERI, Fattibilità delle leggi e implicazioni finanziarie, in M. D'ANTONIO (a cura di) Corso di studi superiori legislativi, Padova, 1990; si veda, peraltro, A BRACASI, Differenze tra copertura finanziaria e analisi di fattibilità delle leggi, in Iter legis, 1997. G. MAROTTA, L'analisi degli effetti finanziari delle leggi: una prima valutazione sull'esperienza parlamentare di verifica delle quantificazioni, in AA. VV., Il Parlamento della Repubblica. Organi, procedure, apparati, vol. IV, Roma, 1992, p. 156. 479 Il primo embrione di attività valutativa si realizza negli anni 70, negli Stati Uniti, quando viene individuato uno strumento per controllare la quantità e la qualità della produzione normativa delle agenzie regolative. Nel 1974, infatti, è l’Executive Order n. 11821 che obbliga per la prima volta queste agenzie ad allegare vere e proprie analisi di impatto alle proprie proposte di legge (il rapporto c.d. Inflaction Impact Assesment). A livello meramente esemplificativo e rinviando alla bibliografia estesa di seguito riportata ci si limita a ricordare FORMEZ, L’analisi di impatto della regolazione, le esperienze regionali, Roma 2006; FORMEZ, L’Analisi di impatto della regolazione in dieci paesi dell’Unione Europea, Roma, 2005; A. NATALINI, La sperimentazione dell'AIR a livello statale, Riv. Trim. di Scienza dell'Amministrazione, 2000; NUCLEO di SEMPLIFICAZIONE delle NORME E delle PROCEDURE, Guida alla sperimentazione dell'analisi di impatto della regolamentazione, in GU serie generale,

299

Occorre, inoltre, registrare una tendenziale omogeneità nella definizione

dei diversi momenti dell’analisi sostanziale della qualità delle leggi.

Si qualifica pressoché unanimamente, AIR l’analisi e la quantificazione

preventiva degli effetti di un provvedimento regolativo. Questa indagine richiede

la comparazione tra più opzioni, nell’obiettivo di assegnare particolare rilevanza a

quelle meno onerose per i destinatari.

L’analisi tecnico-normativa è dedicata, invece, all’esame della

compatibilità giuridica del testo rispetto al sistema di riferimento, verificandone

l’incidenza nell’ordinamento vigente e la sua compatibilità con la costituzione e

con i parametri comunitari.

L’ATN, inoltre, controlla la correttezza della definizione dei riferimenti

normativi nonché delle tecniche di modificazione ed abrogazione delle

disposizioni vigenti e, infine, compie un’analisi della giurisprudenza sulla materia

oggetto del progetto480.

L’analisi ex post, o valutazione retrospettiva, invece, consiste nel

verificare gli effetti reali delle misure adottate481.

Il nuovo approccio allo studio delle tecniche di produzione legislativa deve

essere letto in relazione all’impostazione economicistica della qualità della

normazione, nella consapevolezza che anche un sistema giuridico può essere

oggetto di scelta da parte degli operatori economici che mirano a collocare i loro

prodotti sul mercato internazionale.

In un contesto economico competitivo, infatti, gli operatori sono soliti

considerare oltre ai vari vantaggi competitivi, anche i costi di adeguamento alle

normative vigenti in un dato Paese, valutandone il grado di utilità rispetto al tipo

di produzione che si intende realizzare.

L’OCSE ha così avviato, tramite il programma PUMA, azioni di sviluppo,

incentivazione e promozione della riforma della regolazione in tutti i governi

nazionali con l’obiettivo di migliorare il livello qualitativo della produzione

suppl. ord. al n°55 del 7 marzo 2001, 12 ss; T. SFORZA Analisi di impatto della regolamentazione: i risultati della sperimentazione e le prospettive, FORMEZ, Roma, 2003 480 E. CATELANI E. ROSSI. (a cura di) (2003), L'analisi di impatto della regolamentazione (AIR) e l'analisi tecnico-normativa (ATN) nell'attività normativa del governo, Atti seminario di Studi, Pisa il 10 giugno 2002, Milano. La definizione dell’ambito di operatività di questi due tipi di analisi risulta pressoché indiscussa, anche grazie all’espressa definizione formita dalla Direttiva del P.d.C.M del 27 marzo 2000, dal titolo “Analisi tecnico-normativa e Analisi di impatto della regolamentazione”. 481 In tal senso Cfr, V. DI CIOLO, Vecchi e nuovi strumenti parlamentari per la verifica dello stato di attuazione delle leggi, Iter legis, 1997.

300

legislativa e di arginare, per questa via, il sempre più diffuso fenomeno

dell’ipertrofia normativa.

Le esperienze nazionali censite dall’OCSE, a partire dal 1997, mediante

rapporti valutativi e apposite banche dati, evidenziano che l’AIR, opportunamente

applicata è in grado di migliorare, non solo la qualità della regolazione, ma più in

generale le condizioni di competitività e di sviluppo economico.

Per quanto riguarda la legge di bilancio, non si può negare il suo carattere

altamente peculiare rispetto alle altre esperienze di legislazione.

Tuttavia, proprio la sua idoneità ad incidere in modo significativo

sull’assetto economico e sociale del Paese richiede una particolare attenzione

nella fase redazionale e ancor prima nel momento di progettazione.

La rilevanza del suo impatto sulla realtà del Paese, impone un attento

studio dello dell’impatto che questo apparato di regole è in grado di produrre.

Questa analisi deve articolarsi da una lato, in un approfondimento

preventivo circa l’idoneità degli strumenti predisposti alla realizzazione degli

obiettivi, dall’altro, nella costante verifica del raggiungimento di questi e nello

studio delle ragioni di eventuali insuccessi.

E’ lo schema dell’AIR, dell’ATN e dell’analisi ex post, ma soprattutto è la

maturazione della consapevolezza della necessità di applicare il c.d. “circolo

virtuoso dell’apprendimento legislativo”482 alla normazione di bilancio e

finanziaria.

Un reale studio sui risultati di una determinata manovra economica, infatti,

non può non condurre ad un suo progressivo miglioramento, partendo dalla

correzione degli errori pregressi.

Questo meccanismo trova applicazione ancora più agevole nel campo delle

leggi a cadenza annuale o ad approvazione periodica.

Il varo ciclico di un atto normativo avente il medesimo oggetto, infatti,

consente di applicare questi principi in modo molto più immediato consentendo

un miglioramento costante che non può non condurre a risultati positivi.

Punto di partenza, pertanto, deve essere l’affinamento di tecniche di

controllo che costituiscano l’indice immediato dell’andamento in termini di

efficacia ed efficienza di un determinato settore.

482 G.U. RESCIGNO, La catena normativa, contributo al tema della fattibilità delle leggi, in Pol. dir., 1987, p. 349.

301

La riforma legislativa del 97-99 ha contribuito ad avviare sistemi di

controllo essenzialmente amministrativi, ma utilissimi per verificare la

produttività di un determinato settore in termini efficacia dell’azione pubblica.

Questa verifica si basa sul presupposto per cui ogni spesa inserita nel

bilancio di previsione costituisce il risultato di complesse operazioni contabili

svolte dalle singole unità amministrative, per cui una verifica in termini di

correttezza gestionale del bilancio pubblico non può prescindere da un’analisi di

ciò che avviene a monte.

L’introduzione del sistema di contabilità analitica, infatti, ha imposto il

riordino e il potenziamento dei meccanismi di monitoraggio e di controllo della

spesa pubblica483, aprendo la strada al decreto legislativo n. 286 del 1999.

Questo atto normativo introduce, infatti, anche in ambito pubblico il

concetto di “controllo di gestione”, chiarendo che oggetto di questo è la verifica

dell’efficacia, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa, predisposta al

fine di ottimizzare il rapporto tra costi e risultati.

In questo modo il settore pubblico viene equiparato a quello privato

introducendo un controllo che accompagna e sostiene l’attività gestorea,

contribuendo a pieno titolo alla cura del pubblico interesse.

Ogni apparato, al fine di rendere effettivo questo controllo deve

determinare le unità responsabili della progettazione e del controllo e le unità

organizzative a livello delle quali si intende misurare l’efficacia, l’efficienza e

l’economicità dell’attività amminsitrativa, nonché gli indicatori specifici per

misurare il grado di corrispondenza dei risultati agli obiettivi prefissati484.

L’amministrazione, inoltre, deve definire le modalità di rilevazione e

ripartizione dei costi tra unità organizzative e di individuazione degli obiettivi per

cui i costi sono stati sostenuti485.

483 L’articolo 11 della L. n. 59 del 1997, c.d. Bassanini 1, tra le altre, aveva infatti, conferito delega al Governo per riordinare e potenziale i meccanismi e gli strumenti di valutazione dei costi, rendimenti e risultati delle attività svolte dalle Amministrazioni pubbliche, prevedendo, inoltre, che ciascuna Amministrazione organizzasse un sistema informativo statistico di supporto al controllo di gestione. Questa normativa stabiliva, inoltre, che ciascuna Amministrazione provvedesse all’elaborazione comparativa dei costi, rendimenti e risultati. (art. 17). 484 Cfr. Art. 4 D. Lgs. n. 286 del 1999. 485 Art. 4, comma 1 lett. e), mentre per la rilevazione dei costi quale strumento di controllo della spesa pubblica occorre riferirsi al d. lgs. 165/2001artt. 58 e 59

302

Un ulteriore passo verso una verifica di risultato dell’attività

dell’amministrazione pubblica è, inoltre, la previsione da parte del d.lgs. n. 286

del 99 del cd. “controllo strategico”486.

Questo tipo di verifica valutativa consiste nell’analisi, preventiva e

successiva, della congruenza e degli eventuali scostamenti tra missione affidate

dalle norme, gli obiettivi programmati e le risorse umane, finanziarie e materiali

assegnate, nonché nella concreta individuazione dei fattori ostativi e dei possibili

rimedi attivabili.

La metodologia inaugurata dal decreto legislativo de quo, non può non

ritenersi essenziale come inizio di una concreta esperienza valutativa da applicare

anche al bilancio statale.

Tuttavia, da un lato, deve rilevarsi la necessità di un immediato

adeguamento degli strumenti predisposti per il controllo, alla luce della rinnovata

struttura del bilancio in missioni e programmi.

Il decreto legislativo in oggetto, infatti, individua tra i componenti per

costruire il sistema di verifica in primo luogo il piano dei conti, e in secondo

luogo i centri di costo.

Questa impostazione, tuttavia, deve necessariamente essere adattata alla

nuova classificazione contabile che punta non più sul centro soggettivo di

individuazione della responsabilità, ma direttamente all’obiettivo da conseguire

attraverso lo schema già delineato delle missioni e dei programmi487.

In quest’ottica si inserisce la Direttiva del Presidente del Consiglio dei

Ministri del 12 marzo 2007 che, pur non prendendo esplicitamente posizione sulle

nuove categorie proprie del bilancio di previsione per il 2008, costituisce un

primo passo verso una nuova concezione dei controlli e dei monitoraggi

amministrativi nella direzione di un vero e proprio controllo qualitativo funzionale

al miglioramento della manovra economica annuale.

In questo documento, infatti, viene evidenziata la necessità di promuovere

una nuova concezione dei controlli di gestione e dei controlli strategici,

486 Cfr. articolo 6 del decreto legislativo citato. 487 Attraverso i centri di costo, infatti, veniva realizzato concretamente il controllo tra impieghi e risultati, quest’ultimi, infatti, secondo la legislazione ancora vigente, esprimono le attività finali e strumentali poste in essere dalle Amministrazioni dello Stato per il raggiungimento delle politiche pubbliche di settore. In base alla definizione dei servizi finali, infatti, vengono individuati gli indicatori idonei a consentire la valutazione. I servizi venivano strettamente correlati alle funzioni obiettivo le quali a loro volta esprimevano gli scopi istituzionali. Correlando le risorse alle destinazioni delle quali si vuole valutare il risultato viene reso possibile il confronto tra gli obiettivi predeterminati ed i risultati raggiunti.

303

accentuando e stringendo il legame tra il ciclo di pianificazione e controllo

amministrativo e il ciclo della programmazione finanziaria.

Queste attività, infatti, secondo la Presidenza del Consiglio, pur

evidenziando punti di contatto restano sostanzialmente separate nel momento

essenziale: la decisione strategica sull’allocazione delle risorse.

L’attività valutativa, secondo il sistema vigente, infatti, si pone a valle

delle decisioni sul bilancio prese prevalentemente secondo un metodo

incrementale, senza tenere nella debita considerazione le priorità definite nel

programma di governo488.

Ma proprio in queste considerazioni è doveroso evidenziare un importante

passo avanti. Comincia a comprendersi della necessità di un continuo raffronto tra

obiettivi programmatici e confronto dei risultati allo scopo di pervenire ad una

pianificazione sempre più realistica e consapevole dei limiti e dei punti di forza

dell’azione amministrativa e agevolando così la correzione degli errori strategici

effettuati.

La direttiva propone, infatti, di invertire questo ciclo e definire un percorso

all’interno del quale la definizione delle priorità del Governo guidi le scelte in

ordine all’allocazione delle risorse, in modo da approvare regole già determinate,

condivise ed articolate prima della definizione del DPEF.

Occorre pertanto pervenire ad un sempre stretta connessione tra

pianificazione strategica e programmazione finanziaria, al fine di rendere visibili

le priorità dell’attività di governo, monitorabile la loro attuazione e conoscibili i

risultati ottenuti.

E’ lo schema dell’analisi ex post, o meglio del c.d. “circolo virtuoso

dell’apprendimento legislativo”, secondo cui la progettazione di un nuovo testo

normativo deve necessariamente riferirsi all’esito dell’analisi dei risultati

dell’esperienza precedente, in modo da evitare gli errori strategici e valorizzarne i

punti di forza.

Aldilà di questa premessa certamente positiva la direttiva non si spinge

oltre la via tracciata dai precedenti interventi della governativi, in merito.

488 Cfr. DIRETTIVA DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI del 12 marzo 2007, Attuazione monitoraggio e valutazione del programma di Governo, Linee guida del Comitato tecnico-scientifico per il controllo strategico nelle Amministrazioni dello Stato, ( G.U, n. 166 del 19 luglio 2007, Suppl. Ord. N. 163 ).

304

E’ ripreso il percorso da seguire per la definizione degli obiettivi strategici

delineato dalla Circolare del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 18

aprile 2006, nonostante il documento del 2007, evidenzi il processo di

cambiamento in atto per la redazione del bilancio 2008.

Il nuovo metodo introdotto a partire dalla sessione di bilancio per il 2008,

tuttavia, dovrebbe rilevarsi ancora semplice ed in grado di agevolare il cammino

intrapreso verso un’analisi di fattibilità normativa ed una verifica ex post dei

risultati.

La classificazione per programmi, infatti, rende ancor più immediata la

precisazione dell’obiettivo da raggiungere.

I passi da compiere secondo la direttiva del 2007 sono, infatti, la

definizione degli obiettivi strategici, dei piani d’azione e degli obiettivi operativi.

Ma questi elementi presentano forti affinità con il quadro classificatorio

introdotto recentemente per il bilancio di previsione.

Gli obiettivi strategici si definiscono in relazione a ciascuna priorità

politica e si riferiscono alle politiche pubbliche che sono di competenza

dell’amministrazione in quanto coerenti con una sua missione.

Questi sono definiti esclusivamente in funzione della realizzazione di

ciascuna priorità politica (criterio di pertinenza ) e devono essere essenziali alla

realizzazione di ciascuna di esse (criterio della rilevanza)489.

Per il conseguimento di ciascun obiettivo strategico è necessario che il

titolare del CRA predisponga un piano di azione che preveda tutte e solo le azioni

necessarie al conseguimento dell’obiettivo strategico.

Il piano di azione permette, pertanto il collegamento tra obiettivo

strategico, azioni necessarie al suo conseguimento e gli obiettivi operativi490.

489 Vengono così individuati obiettivi strategici in numero limitato, fermo restando l’integrale espletamento delle ordinarie attività istituzionali, per le quali si possono fissare obiettivi di miglioramento. Ogni obiettivo strategico ha di regola un orizzonte temporale pluriennale e può richiedere per la sua realizzazione l’apporto di più centri di responsabilità anche appartenenti a più amministrazioni. Ciascun obiettivo strategico deve essere formulato in modo semplice, preciso e comprensibile. Esso deve essere misurabile secondo criteri oggettivi attraverso indicatori di impatto e di risultato. Per il conseguimento di ciascun obiettivo strategico è necessario che il titolare del CRA predisponga un piano di azione che preveda tutte e solo le azioni necessarie al conseguimento dell’obiettivo strategico. 490 Il piano d’azione, in particolare, deve necessariamente specificare: le azioni ed i corrispondenti obiettivi operativi, le principali fasi di realizzazione delle azioni, il responsabile per ciascuna azione, le modalità con le quali le azioni contribuiscono alla realizzazione dell’obiettivo strategico, le altre strutture che possono influenzare la realizzazione dell’obiettivo strategico e soprattutto gli indicatori attraverso i quali si realizza il monitoraggio della realizzazione degli obiettivi operativi e dell’obiettivo strategico.

305

Questi ultimi devono realizzarsi in relazione alle risorse concretamente

assegnate ai singoli Centri di Responsabilità Amministrativa nel bilancio di

previsione. Infine come ultimo anello della catena è previsto, in via meramente

eventuale, il programma operativo, al fine della concreta realizzazione degli

obiettivi operativi491.

La misurazione del grado di raggiungimento degli obiettivi strategici e di

quelli operativi richiede l’utilizzo di indicatori, appositamente individuati dal

SECIN.

Esistono diversi tipi di indicatori che evidenziano i diversi aspetti della

gestione e vengono classificati dalla direttiva del Presidente del Consiglio dei

Ministri dell’8 novembre 2002, a seconda dell’oggetto della loro misurazione,

individuando:

- indicatori di realizzazione finanziaria, in grado di determinare lo

stato di avanzamento della spesa nel settore determinato;

- indicatori di realizzazione fisica, che misurano il livello di

compimento dell’azione o dell’intervento;

- indicatori di risultato che determinano il grado raggiungimento

dell’obiettivo che l’azione o l’intervento di propone di

conseguire;

- indicatori di impatto che esprimono l’impatto che il

raggiungimento degli obiettivi genera sul sistema di riferimento.

La concreta applicazione di questi indicatori, tuttavia, non è così

immediata, data la difficoltà di individuare strumenti di misurazione realmente

indicativi del grado di raggiungimento di un determinato obiettivo.

La scelta del tipo di indicatore è, infatti, essenziale per garantire il corretto

funzionamento del sistema.

Lo scopo degli indicatori, inoltre, è differente a seconda del tipo di

obiettivo strategico od operativo al quale siano associati.

Gli indicatori associati ad obiettivi operativi, infatti, sono deputati a

misurare il procedere dell’attività amministrativa verso il perseguimento

491 I programmi operativi sostituiscono i programmi di azione del precedente sistema che erano finalizzati alla realizzazione degli obiettivi operativi. L’insufficiente collegamento tra obiettivi strategici ed operativi, tuttavia, ha indotto ad introdurre il cd. Piano d’azione, secondo la seguente successione: obiettivi strategici, piani di azione, obiettivi operativi, ed eventualmente programmi operativi.

306

dell’obiettivo dato e la realizzazione della stessa attività secondo un razionale

utilizzo delle risorse disponibili.

Gli obiettivi strategici, invece, necessitano, strumenti di rilevazione

dell’efficacia e dell’impatto dell’azione pubblica e la corretta declinazione di un

obiettivo strategico in uno operativo492.

La direttiva del 2007 costituisce un fondamentale passo in avanti verso una

nuova concezione del sistema dei controlli amministrativi e verso una

funzionalizzazione di questi ad un miglioramento qualitativo dei documenti

pubblici di bilancio. Non possono, tuttavia, nascondersi le difficoltà volte alla

concreta predisposizione di un valido sistema di indicatori in grado di misurare il

rapporto tra risorse impiegate e veri e propri target fisici di risultato.

Uno dei dati maggiormente problematici risiede nella natura stessa

dell’attività pubblica.

L’azione amministrativa si presenta intrinsecamente molto variegata e

come tale risulta altamente complesso abbozzare misurazioni in termini di

risultato ( i c.d. outcomes sopra delineati ).

La definizione del prodotto (output) risulta forse meno problematica, ma

potrebbe condurre ad un allontanamento della percezione dell’obiettivo finale

dell’intervento pubblico.

Aldilà di questi problemi innegabili e fisiologici, inoltre, occorre quanto

meno segnalare la necessità di non limitare l’attività di valutazione e controllo a

livello di spesa e, più precisamente, a livello di gestione amministrativa delle

risorse pubbliche, risultando essenziale la predisposizione di un sistema di

indicatori in grado di valutare le scelte di bilancio in un’ottica globale, in una

valutazione sinottica tra entrate e uscite.

A tal fine dovrebbe essere potenziato e valorizzato il ruolo dei saldi di

bilancio.

492 Assicurando, in tal modo, la corretta interpretazione dello scopo e della direzione dell’obiettivo, allo scopo primario di evitare incongruenze e divergenze tra indirizzo politico e attuazione amministrativa. Per superare eventuali difficoltà di quantificazione nella traduzione degli obiettivi strategici in indicatori, è possibile ricorrere agli indicatori c.d. proxy, che consistono in misuratori del raggiungimento degli obiettivi mediante un complesso di indicatori non direttamente riferiti all’obiettivo stesso. Si suole esemplificare la questione riferendosi all’obiettivo strategico del miglioramento dell’efficienza della giustizia civile, che può indurre all’impiego come indicatore proxy, il tempo medio di definizione di alcune tipologie di processo ritenute rappresentative.

307

Questi costituiscono, infatti, indice immediato dell’andamento economico

delle diverse grandezze del sistema contabile pubblico, mettendo a confronto le

diverse componenti patrimoniali e finanziarie della macchina statale.

Una nota dottrina, infatti, definisce come “il cuore del bilancio” il quadro

generale riassuntivo che rappresenta, appunto, il documento dove vengono

indicati i saldi differenziali della finanza pubblica, le somme algebriche dei flussi

finanziari in entrata e in uscita493.

Questo documento, infatti, fa emergere da un lato, il carattere unitario del

bilancio, essendo la sede in cui si palesa la determinazione dell’equilibrio tra

attività e passività, dall’altro permette di compiere valutazioni in termini di

solidità della struttura finanziaria pubblica, attraverso una valutazione congiunta

delle diverse grandezze economiche.

E’ lo stesso articolo 6 della Legge n. 468 del 1978 che elenca i saldi da

evidenziare e contestualmente ne definisce l’oggetto.

Secondo tale norma il risparmio pubblico è costituito dal risultato

differenziale tra il totale delle entrate tributarie ed extratributarie e il totale delle

spese correnti.

Questo dato consente di avanzare valutazioni in termini di liquidità. Il

complesso delle entrate e delle uscite devono infatti essere comparati non soltanto

nel dato temporale e quindi nel tempo utile per la loro maturazione o riscossione,

ma devono necessariamente essere parametrate tra loro anche in relazione al loro

carattere durevole o, al contrario corrente.

Il risparmio pubblico verifica proprio questa corrispondenza e permette di

valutare l’idoneità delle entrate correnti a coprire le spese correnti.

L’indebitamento o accrescimento netto, invece, costituisce il risultato

differenziale tra tutte le entrate e le spese escluse le operazioni riguardanti le

partecipazioni azionarie e i conferimenti, nonché la concessione e riscossione di

crediti e l’accensione o il rimborso dei prestiti.

Questa voce rappresenta, invece, l’indicatore più significativo in merito

alla solidità della situazione finanziaria statale, misurando l’indebitamento reale,

tralasciando le entrate e le spese inerenti le operazioni finanziarie.

Il saldo netto da finanziare o da impiegare è costituito dal risultato

differenziale delle operazioni finali, rappresentate da tutte le entrate e le spese

493 N. LUPO, Costituzione e bilancio, L’art. 81 della Costituzione tra interpretazione, attuazione e aggiramento, Roma, 2007.

308

escluse le operazioni di accensione o rimborso dei prestiti, esso esprime il

fabbisogno complessivo e indica quanto nell’anno si prevede di dover acquisire

dal mercato, attraverso operazioni finanziarie o monetarie.

Mentre, in modo speculare rispetto a quest’ultimo dato si costruisce il c.d.

ricorso al mercato, cioè il risultato differenziale tra il totale delle entrate finali e il

totale delle spese, questo, infatti, per definizione risulta pari al titolo IV

dell’entrata, accensione prestiti494.

Altro elemento fondamentale è, inoltre, il conto di cassa del settore

pubblico che ha nel fabbisogno il suo saldo principale e si sostanzia nella

differenza tra gli incassi realizzati nell’esercizio e i pagamenti effettuati.

Il fabbisogno complessivo è, quindi, pari alla somma del disavanzo, che

non comprende le operazioni finanziarie, e il saldo delle partite finanziarie, al

netto delle entrate e delle uscite per l’accensione e il rimborso dei prestiti.

Questo dato fornisce elementi utili per valutare la misura del ricorso al

mercato, rappresentando il principale parametro di riferimento per l’andamento

dei conti pubblici, in quanto strettamente connesso con la politica monetaria.

E’ doveroso rilevare, tuttavia, come questo sistema informativo derivante

dagli indicatori di bilancio non venga utilizzato in sede politico-istituzionale in

modo ottimale.

Questo complesso di indici, in realtà, viene concretamente utilizzato

soprattutto in ragione dell’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea, anche in

relazione a quanto stabilito dalle regole di cui al Regolamento CE n. 2223/96.

Questo regolamento ( c.d. SEC 95 ), infatti, fornisce i principi per la

determinazione delle principali variabili di contesto macro-economiche tra cui il

PIL e per la costruzione del conto economico consolidato delle pubbliche

amministrazioni, il Manuale sul disavanzo e sul debito pubblico495.

Sono queste le regole di riferimento che permettono di applicare al quadro

di valori e di indici sopra indicato le regole del SEC 95, onde pervenire ad una

coerenza europea nel sistema di rilevazione dei dati economici.

494 F. FORTE, I bilanci pubblici italiani alla luce della costituzione fiscale di Maastricht, Milano, 1997

495 Questo manuale è stato pubblicato, a cura dell’Eurosat, nel 2002, e successivamente integrato con l’approfondimento di ulteriori tematiche di interesse per il settore istituzionale delle amministrazioni pubbliche.

309

Questi saldi pertanto costituiscono la base e il fondamento del

monitoraggio degli andamenti di finanza pubblica, per verificarne la congruenza

con il programma di stabilità e crescita.

Se in materia di monitoraggio dei costi delle singole amministrazioni,

infatti, si può registrare un primo passo verso la consapevolezza che un’attenta

valutazione dei risultati ottenuti durante l’esercizio precedente possono costituire

il fondamento di una decisione più consapevole ed equilibrata per l’anno

successivo, altrettanto non può dirsi in sede di valutazione economica del bilancio

nel suo complesso.

Non può infatti ritenersi raggiunta in questo campo una cultura qualitativa

nella produzione legislativa in materia finanziaria.

Lo schema dei saldi delle amministrazioni pubbliche e il suo quadro

generale riassuntivo rappresentano, infatti, elementi conoscitivi rilevanti per

valutare in misura complessiva l’opportunità delle scelte di politica economica

intraprese durante l’anno precedente. Una lettura congiunta del livello dei saldi tra

diversi esercizi è l’espressione di andamenti tendenziali molto significativi, in

grado di registrare veri e propri cicli economici.

Da un lato, quindi questo sistema dovrebbe essere potenziato dal punto di

vista dell’elaborazione di nuovi indicatori, che tengano in considerazione anche

aspetti più circoscritti dell’andamento finanziario pubblico e pervenendo, così, ad

un’analisi puntuale dei dati raccolti, ma soprattutto è necessario che venga

concretamente realizzato quel raccordo tra analisi dei risultati e progettazione

legislativa che permette di superare gli errori commessi e raggiungere

progressivamente standards qualitativi sempre migliori.

6.5. Drafting e legge di bilancio: un cammino ancora lungo verso la

qualità legislativa.

Il tentativo di proporre un approccio qualitativo allo studio e alla concreta

redazione della legge di bilancio statale sembra confermata dalle iniziative

istituzionali, governative e parlamentari.

A partire dalla legge n. 94 del 1997, infatti, il legislatore introduce principi

innovativi nella tecnica classificatoria del bilancio pubblico, basati su una nuova

310

nozione di qualità legislativa, improntata sul concetto di efficienza ed efficacia

dell’azione pubblica.

I centri di responsabilità amministrativa e le unità costo vengono

appositamente individuati per valutare da un lato, gli oneri reali che determinate

azioni amministrative comportano, dall’altro per ricondurre la responsabilità della

gestione delle risorse al soggetto istituzionalmente preposto al controllo e al

monitoraggio di quel particolare settore o servizio496.

Ma il cammino verso il perseguimento della qualità legislativa in senso

strettamente redazionale diventa ancora più evidente con la riforma in corso di

attuazione e con le nuove direttive497 in tema di struttura del bilancio di previsione

per il 2008.

L’attenzione verso il profilo soggettivo cede, infatti, il passo ad una

valutazione oggettiva in termini di economicità dell’azione pubblica.

Obiettivi e risultati diventano i protagonisti della nuova legge di bilancio,

quasi a voler evidenziare la centralità dell’analisi economica, rispetto alle

valutazioni in termini di responsabilità dirigenziale.

Questi segnali costituiscono senza dubbio l’indice di un cambiamento

nell’approccio ai documenti di bilancio, ma nonostante ciò, il cammino da

percorrere verso la qualità redazionale dei documenti di bilancio risulta ancora

lungo.

496 Questa riforma, come già variamente illustrato in precedenza, si propone come modello in grado di “attivare un profilo di controllo sui risultati, costi e rendimenti, raccordati in modo molto stretto all’individuazione di aree di responsabilità amministrative”, Cfr. SENATO DELLA REPUBBLICA, XIII Legislatura, V Commissione permanente, Relazione ai disegni di Legge n. 1217, 375, 643 e 967–A, comunicata alla Presidenza l’11 novembre 1996. Relazione illustrativa alla Legge n. 94/97. 497 Per uno sguardo d’insieme alle iniziative parlamentari e governative rivolte in questa direzione Cfr. GIUNTA PER IL REGOLAMENTO, seduta del 28 febbraio, 13, 20 e 27 marzo 2007, Intervento del Presidente della Camera sulla riforma delle procedure di bilancio, CAMERA DEI DEPUTATI, Commissioni riunite, V (Bilancio, tesoro e programmazione) della Camera dei Deputati, V ( Programmazione economica e bilancio ) del Senato della Repubblica, seduta del 13 luglio 2007 ; COMMISSIONI BILANCIO DI CAMERA E SENATO, Indagine conoscitiva sulle linee di riforma degli strumenti e delle procedure di bilancio, documento conclusivo approvato l' 8 maggio 2007, reperibili sul sito http://www.camera.it; MINISTRO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, Orientamenti del Ministero dell’Economia e delle Finanze in materia di struttura del bilancio e valutazione della spesa, CONSIGLIO DEI MINISTRI, 25 gennaio 2007; MINISTERO DELLE FINANZE, Circolare del 5 giugno 2007, n. 21, relativa alla “Previsione di bilancio per l’anno 2008 e per il triennio 2008-2010; PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, Direttiva del 3 luglio 2007, sulla “Riclassificazione del bilancio e avvio del programma di revisione della spesa pubblica” e, infine, la Relazione illustrativa al disegno di legge di approvazione del bilancio, AS 1818; testi reperibili sul sito http://www.governo.it e altresì sul sito http://www.astrid-online.it

311

La qualità redazione non può dirsi raggiunta soltanto con una revisione

delle categorie contabili, essendo necessario, da un lato, la maturazione di una

vera e propria cultura dell’efficienza e dell’economicità dell’azione pubblica,

dall’altro la promozione di azioni concrete dirette verso l’armonizzazione del

sistema dei conti, sia a livello interno che internazionale e comunitario.

L’adempimento dei vincoli di matrice europea sulla finanza pubblica

richiede, infatti, non soltanto la produzione di informazioni di natura statistica in

vista del monitoraggio delle grandezze definite nel patto di stabilità e di crescita,

ma anche e soprattutto l’armonizzazione dei modelli contabili nell’ottica di un

confronto e di una proiezione a livello internazionale498.

Il concetto di contabilità nazionale viene, infatti, inteso, in una prospettiva

comunitaria, in senso più ampio rispetto alla sola amministrazione centrale che

costituisce il punto di riferimento della contabilità pubblica italiana.

Per questo occorrerebbe porsi in una duplice prospettiva volta

all’integrazione europea e alla realizzazione in ambito nazionale del federalismo

fiscale.

Ma questa esigenza di riclassificazione, in modo conforme ai principi

comunitari, deve necessariamente realizzarsi attraverso una riconsiderazione del

procedimento legislativo, delle tecniche dell’istruttoria, in modo da concretizzare

il principio della concertazione procedimentale e rendere effettiva la

partecipazione alla decisione, anche da parte degli Enti territoriali.

Una vera attenzione alla qualità legislativa complessivamente intesa, che

coinvolga quindi anche la cura dell’iter legislativo e della progettazione del testo,

non può, tuttavia, ritenersi ancora raggiunta a livello istituzionale.

Da un lato, infatti, occorre proseguire il cammino verso la reale

partecipazione delle Regioni e degli Enti Locali alla decisione sull’allocazione

delle risorse pubbliche, dall’altro è necessario ancora un profondo affinamento

delle procedure di approvazione dei documenti annuali di finanza pubblica al fine

498 Proprio in quest’ottica deve leggersi l’esigenza di definire procedure contabili dirette alla misurazione dell’andamento della finanza pubblica secondo le regole contenute nel SEC 95 e delle modalità di adempimento degli obblighi di adeguamento contenute nel Protocollo sulla procedura per disavanzi eccessivi, Il bilancio italiano, tuttavia, presenta ancora molti caratteri di difformità rispetto al modello proposto a livello comunitario. La sua struttura ancorché altamente analitica si rileva estremamente lacunosa, in quanto limitata ai soli conti dei ministeri e delle poche azione autonome privatizzate, mancando di rappresentare quel complesso di grandezze contabili riferite, nell’accezione europea, all’aggregato delle amministrazioni pubbliche (c.d. SEC13 – settori e sottosettori istituzionali in funzione della natura del comportamento economico che le caratterizza).

312

di rendere realmente effettiva quella “approvazione parlamentare” prevista

dall’art. 81 Cost.

Le c.d. worst practices499, ormai cristallizzate da diversi anni, finendo con

l’eludere il dettato costituzionale, non possono che costituire l’indice di un

profondo fallimento degli studi in materia di qualità legislativa.

Anche il profilo valutativo, concernente il c.d. drafting sostanziale non può

dirsi decisamente avviato, mancando in maniera pressoché totale una vera e

propria cultura della valutazione legislativa.

Tuttavia la nuova struttura del bilancio promossa, seppur a legislazione

invariata, dalle iniziative governative consente di avanzare previsioni in senso

positivo quanto meno sulla possibilità di instaurare vere e proprie procedure di

controllo, facilitate dalla classificazione per missioni e programmi.

Questi controlli ex post dovranno costituire la base su cui fondare il nuovo

testo, al fine di costituire un reale strumento di perfezionamento qualitativo e

realizzando, così, in modo compiuto il principio del c.d. circolo virtuoso

dell’apprendimento legislativo.

499 Per una completa enunciazione ed esplicazione delle peggiori pratiche si rinvia alle considerazioni svolte in sede di procedimento legislativo, in particolare ai paragrafi 4.6, 4.7 e 4.8 del capitolo quarto, pp. 204 ss e spec. 212 ss., mentre l’espressione è coniata da N. LUPO, Emendamenti, maxi-emendamenti e questione di fiducia nelle legislature del maggioritario, Relazione al seminario di studio, Le regole del diritto parlamentare nella dialettica tra maggioranza e opposizione, Roma 17 marzo 2006, reperibile sul sito www.astrid-online.com