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Dottor Giovanni Pisani

Dottor Giovanni Pisani - learningcoffee.it · In questa diapositiva vediamo come, in quasi 50 anni, si è assistito a una frenetica evoluzione della terapia emodialitica. ... vascolare

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Dottor Giovanni Pisani

Prima di poter eseguire un intervento di fistola, è fondamentale effettuare una valutazione pre-operatoria sia in quanto è proprio in questa fase che progettiamo il tipo di fistola da allestire, sia perché aumenta la percentuale di successo dell’intervento chirurgico.

In questa diapositiva vediamo come, in quasi 50 anni, si è assistito a una frenetica evoluzione della terapia emodialitica. Infatti sono state introdotte una serie di innovazioni che hanno migliorato radicalmente il trattamento sostitutivo, per non parlare poi dell’introduzione di una serie di farmaci importanti, primo fra tutti l’emopoietina, che hanno ulteriormente migliorato la qualità di vita dei nostri pazienti.

La dialisi, per esser eseguita, ha bisogno di un accesso vascolare e, purtroppo, dal 1966 - data in cui, da un’intuizione geniale dei medici Cimino e Brescia che convincono un chirurgo, il dottor Appell a creare su alcuni pazienti con insufficienza renale cronica una FAV radiocefalica - ad oggi, non ci sono state ulteriori innovazioni e le FAV native rimangono ancora adesso il gold standard dell’accesso vascolare in dialisi.

Questo è il nostro registro regionale, cioè il registro della Regione Lazio e qui vediamo come le fistole native siano estremamente rappresentate nei pazienti prevalenti, ma vediamo come anche i cateteri venosi centrali incomincino a essere sempre più rappresentati.

Questo si fa ancor più evidente se andiamo a vedere i pazienti incidenti, cioè i pazienti che iniziano il trattamento dialitico. Vediamo come quasi il 50% dei pazienti è avviato alla dialisi con un catetere venoso centrale.

Questa non è una condizione indifferente, in quanto se andiamo a valutare la sopravvivenza delle persone in dialisi in rapporto all’accesso vascolare, vediamo come i pazienti che iniziano la dialisi con un catetere venoso centrale hanno una sopravvivenza nettamente inferiore rispetto a quelli portatori di una fistola arterovenosa.

In questo lavoro pubblicato nel 2008 su NDT nello studio DOPPS II, vediamo come oltre il 50% dei Paesi studiati, aveva più del 50% dei pazienti avviati al trattamento emodialitico, nonostante l’80% degli stessi fosse stato valutato da un nefrologo circa 4 mesi prima, e addirittura il 90% un mese prima. Quindi, come è possibile che tutti questi pazienti inizino con un CVC il primo trattamento dialitico?

Questa diapositiva probabilmente spiega la motivazione, in quanto dalla prima osservazione del nefrologo alla creazione di un accesso vascolare trascorrono molti giorni, addirittura, negli Stati Uniti e nel Canada si va dai 40 ai 43 giorni. In Italia, invece, i tempi medi di attesa per l’allestimento di una fistola arterovenosa siano soltanto 5 giorni. Ciò nonostante, questo non spiega perché ci sia questa alta percentuale di CVC nei pazienti incidenti. Possiamo spiegarlo soltanto con l’esigua nicchia di nefrologi che allestisce le fistole arterovenose e probabilmente anche con la difficoltà di accedere alle sale operatorie in quanto noi siamo sempre relegati dopo gli interventi di chirurgia maggiore.

Questo è un problema non da poco in quanto nel mondo sono stati stimati nel 2009 circa 2500 pazienti affetti da insufficienza renale cronica in trattamento dialitico e sappiamo come questi numeri tendano ad aumentare in quanto c’è una tendenza all’aumento di patologie che portano a insufficienza renale, come il diabete, l’ipertensione e non ultimo l’aumento della vita media. Tutto questo porta nel tempo una maggior richiesta di dialisi e una maggior richiesta di accessi vascolari. Ecco perché ritengo importante addestrare sempre più nefrologi a poter creare accessi vascolari e perché ritengo che questa materia debba essere inserita nelle scuole di specializzazione: la chirurgia dell’accesso vascolare e addirittura la radiologia interventistica.

Quando inviamo un paziente a un programma di emodialisi dobbiamo pensare che questi deve afferire a un nefrologo, a uno stadio 4 dell’insufficienza renale in relazione al KDIGO del 2012, dove il nefrologo prende in carico il paziente, gli spiega la sua patologia comprese le varie opzioni terapeutiche, sia la dialisi peritoneale, sia il trapianto. Se poi il paziente decide di effettuare un trattamento emodialitico, dobbiamo creare un accesso vascolare. L’inizio della dialisi dovrebbe avvenire per una clearance della creatinina, intorno ai 5/10 ml al minuto anche se effettivamente sappiamo che questi dati non sono così ferrei, ma c’è una serie di condizioni che devono essere valutate come lo stato dell’equilibrio elettrolitico, lo stato dell’equilibrio acido base e, chiaramente, lo stato nutrizionale.

A questo punto dobbiamo informare il paziente dell’importanza di preservare il proprio corredo vascolare e quindi dobbiamo istruirlo a non far usare quelle vene importanti del braccio e dell’avambraccio. Queste vene non devono essere utilizzate per prelievi, infusioni. Devono essere utilizzate le vene della mano e quindi evitare l’uso di vene cefaliche che sono importanti per l’allestimento dell’accesso vascolare. Ricordo che soprattutto il personale infermieristico deve essere addestrato a queste procedure.

Quando iniziare a pensare di fare una fistola? Dobbiamo farlo circa 6 mesi prima dell’inizio della dialisi in modo che questa fistola abbia la possibilità di maturare e quindi di avere una portata corretta e, se necessario possa essere rifatta,nel caso non fosse funzionante. In ogni caso va sempre rivalutata la possibilità di una FAV nativa anche dopo un precedente accesso vascolare nativo fallito.

Quando pensiamo di creare un accesso vascolare, dobbiamo pensare a un accesso che sia il più facile da eseguire, che sia il più facile da utilizzare. Molto spesso quando ci affidiamo a dei chirurghi vascolari che non sono del campo nefrologico, abbiamo fistole che funzionano bene ma non possono essere utilizzate. Questa FAV deve essere duratura nel tempo e deve dare il minor fastidio possibile al paziente.

Pertanto ci troveremo a dover affrontare delle scelte, quindi dovremo pensare a dove confezionare la FAV, se distale o prossimale, il tipo di FAV da allestire, se deve essere FAV nativa o complessa, sempre più pazienti iniziano un trattamento con delle FAV complesse, proprio perché l’età media dei nostri pazienti è nettamente aumentata,

E poi si presenteranno altre scelte: quale arto usare? Quello non dominante o quello con vasi migliori? E molto spesso, quello con vasi migliori è quello dominante... La sede deve essere più distale possibile o quella più adatta al singolo paziente?

Ecco quindi che la valutazione preoperatoria, se fatta in maniera accurata e attenta può risolvere questi problemi, quindi noi dobbiamo raccogliere un’anamnesi accurata, dobbiamo fare un esame obiettivo del paziente in maniera veramente elettiva, dobbiamo avere una buona conoscenza dell’anatomia degli arti superiori, e, non ultimo, dobbiamo utilizzare un esame ecografico proprio per confermare i dati che abbiamo raccolto con l’esame obiettivo.

Riguardo alla storia clinica, noi dovremmo sapere se il paziente ha avuto delle storie precedenti di cateterismi venosi centrali perché questi si associano a frequenti stenosi venose, conoscere qual è l’arto dominante, proprio per minimizzare l’impatto negativo sulla qualità di vita, e poi sapere se il paziente è portatore di un pacemaker o comunque di un defibrillatore impiantato, in quanto c’è una correlazione fra l’applicazione di questi dispositivi con una stenosi venosa centrale.

E, ancora, dobbiamo conoscere se il paziente è affetto da un’insufficienza cardiaca congestizia perché la FAV può alterare l’emodinamica e la portata cardiaca. Sapere se il paziente ha una storia di cateterismi, arteriosi o venosi periferici perché possono aver danneggiato il sistema vascolare, se il paziente è affetto da diabete – sappiamo come il diabete si associa spesso a un danno vascolare – e, non ultimo, se il paziente è in terapia anticoagulante o se presenta dei disturbi della coagulazione, queste anomalie possono determinare dei sanguinamenti intraoperatori quindi delle difficoltà di emostasi. Direi quindi direi che, se il paziente sta seguendo una terapia anticoagulante e soprattutto una terapia antiaggregante, questa va sospesa almeno 15 giorni prima dell’intervento chirurgico.

Dobbiamo conoscere, fra l’altro, la presenza di comorbilità, per esempio, nel caso di un paziente neoplastico che ha una ridotta aspettativa di vita, forse non è giustificato un accesso vascolare permanente, ma probabilmente un catetere venoso centrale può essere idoneo. Dobbiamo conoscere se ci sono storie di precedenti accessi venosi, in questo caso noi sappiamo come questi precedenti possano influenzare o limitare ulteriori tentativi di allestimento di fistole arterovenose. E’ importante sapere se sono presenti malattie valvolari-cardiache o protesi valvolari-cardiache in quanto se noi decidiamo di eseguire una FAV protesica – sappiamo come le protesi siano ad alto rischio di infezione - eventuali infezioni possono metastatizzare a livello valvolare o protesico e determinare delle endocarditi fatali.

Dobbiamo sapere se il paziente ha subito interventi chirurgici agli arti, al collo, al torace, perché questo può diminuire le sedi utili che dobbiamo aggredire, e se il paziente ha un donatore vivente e quindi può effettuare un trapianto in tempi brevi e in questo caso è preferibile allestire un accesso venoso temporaneo, quindi un catetere temporaneo o a permanenza.

Arriviamo all’esame fisico. Faremo un accurato esame obiettivo, valuteremo la presenza di cicatrici, in quanto sono segno di pregressi interventi o traumi, andremo a vedere se c’è uno stato infiammatorio cutaneo, in quanto noi potremmo affrontare l’intervento solo dopo la risoluzione dell’infezione, andremo a valutare la presenza di edemi del braccio e dell’avambraccio e la presenza di eventuali circoli collaterali venosi superficiali sul braccio, sul cingolo scapolare, al torace, che sono dei segni indiretti di una stenosi centrale. Chiaramente andremo anche a valutare la differenza di volume fra i due arti. E’ anche importante la valutazione del pannicolo adiposo sottocutaneo: molto spesso è ben rappresentato nelle donne in sovrappeso e questo fattore può limitare la ripetitività delle punture della fistola arterovenosa. Al contrario, anche il trofismo della cute, quindi una cute atrofica, anelastica, determinerebbe una maggiore esposizione alle infezioni quando si vanno a pungere queste vene per il trattamento emodialitico.

In questo caso vediamo come a livello del cingolo scapolo/omerale di questi due pazienti, ci sia un importante circolo venoso collaterale superficiale e vediamo come gli arti siano aumentati di volume. Queste sono due stenosi da post pregresso posizionamento di pacemaker.

A questo punto diamo un’occhiata al livello anatomico dei vasi che ci interessano. Per quanto riguarda il sistema venoso noi riconosciamo due vie venose: una superficiale, che è quella di nostro interesse e una via profonda generalmente con vene satelliti delle arterie.

Le vene che ci interessano, a livello chirurgico, sono la vena cefalica dell’avambraccio, la vena radiale accessoria, la vena basilica, la vena mediana o, comunque le vene mediane dell’avambraccio.

Qui vediamo proprio le immagini delle vene che ci interessano a livello dell’avambraccio e del braccio, vediamo distintamente la vena cefalica, la vena basilica dell’avambraccio, alla piega del gomito distinguiamo le vene mediane, basilica e cefalica, e, nel braccio vediamo la vena basilica e la vena cefalica. A destra riconosciamo la vena accessoria radiale dell’avambraccio che va, durante l’intervento, isolata e legata per evitare iperafflussi alla mano o comunque furti della fistola arterovenosa.

Alla piega del gomito, invece riconosciamo queste situazioni anatomiche: troviamo il tipo M presente nel 60% dei casi, il tipo Y nel 30% dei casi dove riconosciamo la vena cefalica che si continua nella vena basilica, e dove la vena cefalica mediana è estremamente esile.

Per quanto riguarda le vene del braccio, la più importante è sicuramente la vena basilica. E’ la più grande, ha un diametro di 5/6 mm, decorre a livello del solco bicipitale mediale e si immette e continua con le vene brachiali e, se queste sono piccole, continua con la vena ascellare che è la diretta continuazione della vena basilica. E’ importante sapere dov’è a livello anatomico perché la vena basilica generalmente è utilizzata per le fistole un po’ più complesse.

La vena cefalica del braccio segue il solco bicipitale laterale e continua direttamente con la vena ascellare o la vena succlavia.

A questo punto andiamo a fare l’esame obiettivo, l’esame fisico del sistema venoso: andremo a palpare le vene che ci interessano le andremo a mappare con penna dermografica. La palpazione e il mappaggio consentono proprio di selezionare i vasi ideali, quelli che a noi interessano per l’intervento. Cercheremo comunque i segni dei precedenti cateterismi venosi anche perché molto spesso, non sempre, il paziente anziano a livello anamnestico ci può dire tutto ciò che ha subito durante gli anni e noi sappiamo che questi cateteri possono ridurre i vasi e quindi ridurre le possibilità di allestire una fistola arterovenosa.

A questo punto, dopo aver mappato le vene, mettendo un laccio emostatico o ponendo uno sfigmomanometro con almeno 40/50 ml di mercurio di pressione, andremo a valutarne la continuità e il diametro. Togliendo il laccio e rimettendolo ne valuteremo la distensibilità e quindi ne valuteremo la compressibilità. Tutti fattori importantissimi affinché una fistola arterovenosa sia ben allestita.

A questo punto andiamo a valutare il sistema arterioso del braccio e dell’avambraccio. Le arterie che ci interessano sono l’arteria radiale, l’arteria ulnare e l’arteria brachiale.

In questa diapositiva vediamo come l’arteria brachiale decorre a livello del solco bicipitale interno. Ai suoi lati generalmente ci sono due arterie, si chiamano arterie comitanti e sono arterie satelliti. Molte volte le troviamo ben sviluppate quando il circolo in uso superficiale è insufficiente e talvolta queste vene possono essere utilizzate come punto di scarico di una FAV protesica. Termina al di sotto della piega del gomito, circa 3 cm, e qui vediamo, a destra, il nervo mediano che decorre, inizialmente, nella parte superiore, lateralmente e poi si incrocia in avanti e decorre medialmente nella parte inferiore.

L’arteria radiale nasce al di sotto della piega del gomito, decorre nella parte di mezzo, fino ad arrivare alla doccia radiale del polso. Qui riconosciamo il nervo mediano che decorre medialmente. Va rispettato, così come va rispettato e non lesionato il ramo superficiale del nervo radiale perché può determinare, successivamente all’intervento ipoparestesia cutanea alla base del pollice.

L’arteria ulnare è invece di calibro maggiore. Riconosciamo tre porzioni di cui quella che ci interessa a livello chirurgico è la porzione anti brachiale.

A questo punto vediamo l’irrorazione dell’arcata palmare. E’ estremamente importante. E’ irrorata dalle terminazioni dell’arteria radiale e dell’arteria ulnare. Riconosciamo due arcate, una profonda e una superficiale, ed è importante sapere dell’esistenza di questa arcata perché quando interveniamo su queste arterie dobbiamo aver presente che, se lesionate, possono determinare delle alterazioni ischemiche alla mano.

Per quanto riguarda l’esame obiettivo del sistema arterioso, andremo a valutarne la pulsazione, l’ampiezza ed è importante effettuare anche una misurazione pressoria dei due arti. Valutiamo la pressione dell’arto di destra e di sinistra e la differenza non deve essere superiore ai 20 mm di mercurio.

Sempre attuale anche se molto antico come tipo di esame è eseguire il test di Allen. Teniamo il paziente seduto, gli facciamo stringere le dita della mano a pugno e poi comprimiamo saldamente sia l’arteria ulnale che l’arteria radiale. A questo punto facciamo aprire la mano al paziente e vediamo come, in questo caso, sia pallida.

A questo punto interrompiamo la pressione che abbiamo esercitato sull’arteria ulnare e vediamo che il palmo, come in questo caso, diventa rosa. L’eventuale persistenza del pallore indica l’occlusione dell’arteria ulnare e delle sue ramificazioni e questo è molto importante perché quando poi operiamo l’arteria radiale dobbiamo stare molto attenti a non lesionare questa arteria perché se dovessimo lesionarla immancabilmente ci sarebbero delle lesioni ischemiche alla mano.

Per terminare vi illustro un po’ la ultrasonografia. E’ l’unico esame strumentale che vi documento, anche perché credo che nella valutazione pre-operatoria è proprio il chirurgo nefrologo che deve eseguire l’esame, suggerirei di non fidarsi di esami che non siano stati effettuati da voi stessi. Non serve una grossa esperienza, è un esame facile da eseguire, ma fornisce una serie di informazioni importanti che possono modificare l’orientamento chirurgico che avevamo ipotizzato sulla base dell’esame obiettivo e sicuramente aumenta l’outcome del successo dell’accesso stesso. Infatti, numerosi studi randomizzati hanno dimostrato una più elevata percentuale di successo in pazienti in cui l’ecografia è stata utilizzata come valutazione pre-operatoria.

Andremo a valutare le arterie soprattutto 5 settori: l’arteria omerale e al gomito, l’arteria radiale e l’arteria ulnare alla biforcazione, e l’arteria radiale e l’arteria ulnare al polso. Faremo un esame morfologico e un esame flussimetrico.

Per quanto riguarda le arterie, le andremo a valutare a livello morfologico, le andremo a mappare valutandone il decorso, la pervietà, la grandezza. Andremo a valutare se ci sono delle anomalie di decorso e nelle ramificazioni e se ci sono delle lesioni della parete che possono essere localizzate o diffuse. Per quanto riguarda l’esame dinamico è un esame un po’ più complesso, ma noi andiamo a valutare la velocità massima, la velocità minima, il flusso, gli indici di resistenza e gli indici di pulsatività.

Per quanto riguarda il morfologico, a destra vediamo come si distingue bene l’arteria omerale. Andiamo a misurare il suo calibro, e vediamo alla biforcazione in alto l’arteria radiale, in basso l’arteria ulnare. A sinistra vediamo lo stesso esame con l’ecocolordoppler.

Un altro test che può essere effettuato è il test di iperemia reattiva. Noi lo effettuiamo misurando dapprima il calibro interno dell’arteria che ci interessa, in questo caso, a sinistra, come vedete, l’arteria radiale e poi creiamo un’ischemia. Questa può essere eseguita appunto facendo stringere forte il pugno del paziente per almeno 30/60 secondi. Questa ischemia determina una liberazione di amine vasoattive che provocano la caduta di resistenze vascolari a valle. Al termine facciamo riaprire il pugno e andiamo a valutare sia il calibro dell’arteria sia l’indice di resistenza. In basso potete vedere prima dell’esame e dopo l’esame: affinché il test sia positivo ci deve essere un aumento del calibro dell’arteria e una riduzione dell’indice di resistenza.

Il test di Allen che abbiamo fatto all’esame obiettivo, può essere ripetuto come test di Allen ecografico, andiamo a campionare un’arteria dell’arcata palmare e andiamo a studiare le variazioni di flusso comprimendo alternativamente l’arteria radiale e l’arteria ulnare. Se il flusso non si modifica o aumenta, l’arteria compressa contribuisce poco al flusso dell’arcata, mentre se questa si riduce, l’arteria compressa è quella che maggiormente rifornisce l’arcata palmare. Certamente questo è un esame molto più attendibile rispetto a quello che abbiamo fatto in precedenza durante l’esame obiettivo.

Per quanto riguarda le vene andremo comunque e sempre a valutarne il calibro, la pervietà, il decorso e la presenza di collaterali potenzialmente furtanti.

Dovremo vedere e valutare non soltanto la vena che abbiamo scelto ma tutte le vene che sono a monte di quella prescelta e, possibilmente, dobbiamo andare il più in alto possibile, se possiamo, anche a livello della radice dell’arto, dove risiede appunto la vena scelta. Per evitare la compressione di queste vene dobbiamo usare un eccesso di gel, come vedete nella foto, e, comunque, la compressibilità della vena è un indice indiretto di pervietà della vena.

Possiamo ulteriormente valutare la pervietà della vena con un esame doppler e a questo punto andiamo a valutare questo tronco in esame rilevando l’onda di aumento del flusso, come vedete in diapositiva, causata dalla compressione prossimale o distale dello stesso tronco venoso.

Affinché una vena sia adeguata deve essere ben distensibile e anche in questo caso l’ecografo ci può fornire dei dati importanti da cui possiamo valutare la distensibilità della vena. Come possiamo eseguire questa misurazione? Misuriamo prima di tutto la vena che abbiamo scelto, e qui lo vedete a sinistra, e andiamo a determinarne il calibro, poi mettiamo il laccio emostatico per 5 minuti. A questo punto andiamo a rivalutare la vena e andiamo a misurare il suo calibro che, trattandosi di una vena, per avere una buona distensibilità deve quasi raddoppiare dopo questa manovra, come potete vedere qui a destra.

Qui vi ho riportato una serie di lavori scientifici dove, questi autori, hanno valutato il successo di una fistola arterovenosa in rapporto al diametro dell’arteria radiale e dell’arteria cefalica. Vediamo che tra i vari autori ci sono varie misure, ma sostanzialmente possiamo dire che per un buon successo di una fistola arterovenosa l’arteria radiale deve essere almeno 1,5 mm e quella cefalica almeno 1,6 mm.

In conclusione, se ci sono delle situazioni complicate, pazienti che hanno dei fallimenti ripetuti delle fistole arterovenose, o pazienti che abbiamo portato dei cateteri per molto tempo, li dobbiamo avviare a indagini strumentali di secondo livello che possono essere la venografia, la risonanza magnetica, arteriografia, angio TAC e quant’altro.