16
U U N’ATTIVITÀ SEMPRE PIÙ DIFFICILE. L’ASSESSORE REGIONALE ACCUSA POLITICHE SBAGLIATE E MERCATI RAPPORTO SULLA PESCA IBLEA CHIARE FRESCHE E AMARE ACQUE 1 FASCICOLO CON IL PATROCINIO DELL’ASSESSORATO REGIONALE ALLE RISORSE AGRICOLE E ALLA PESCA INSERTO AL N. 10 DEL 2 NOVEMBRE 2012

Dossier Pesca fascicolo 1

Embed Size (px)

DESCRIPTION

Dossier Pesca fascicolo 1

Citation preview

Page 1: Dossier Pesca fascicolo 1

UUN’ATTIVITÀ SEMPRE PIÙ DIFFICILE.L’ASSESSORE REGIONALE ACCUSAPOLITICHE SBAGLIATE E MERCATI

RAPPORTO

SULLA

PESCA

IBLEA

CHIARE FRESCHEE AMARE ACQUE

1FASCICOLO

CON IL PATROCINIO DELL’ASSESSORATO 

REGIONALE ALLE RISORSE AGRICOLE

E ALLA PESCA

INSERTO AL N. 10 DEL 2 NOVEMBRE 2012

Page 2: Dossier Pesca fascicolo 1

LA PAROLAD’ORDINE DEVE ESSERE INNOVAZIONE

RAPPORTO

SULLA

IBLEAPESCA

L’ASSESSORE

REGIONALE

intervista di

Gianni Bonina

PAGINA 2

AIELLO

Non esiste in provincia di Ragusa la figura, tipica delle marinerie del‐la Sicilia occidentale, dell’armatore che è a capo di una flo a di im‐

barcazioni da pesca e gestisce un’impresa con un numero di dipendentiche può trasferire da un’unità a un’altra. Questo modello, che ha segnatouna lunga stagione di splendori, è oggi entrato in crisi proprio per la ple‐toricità dell’azienda. In provincia è presente invece la figura del condut‐tore dire o che corrisponde a quella che in agricoltura è del coltivatoredire o e nei trasporti su gomma del “padroncino”. Il proprietario delmotopesca non dispone generalmente nemmeno di lavoratori al proprioservizio ma utilizza membri della propria famiglia e parenti con i qualisemmai tende a costituire cooperative per la spartizione “alla parte”.

IL CONDUTTORE DIRETTO ANZICHÉ L’ARMATORE

Page 3: Dossier Pesca fascicolo 1

ssessore Aiello, la pesca iblea soffre degli stessi malisiciliani ma con un plusvalore negativo perché vie-ne da uno stato di depressione dell’economia che èpiù grave qui che altrove. Concorda?Sicuramente le produzioni ittiche risentono dell’anda-mento della crisi, quindi della rarefazione della do-manda d’acquisto e del calo della disponibilitàgenerale a consumare questo prodotto. E ciò in consi-derazione dopotutto del fatto che questa produzione èdestinata al mercato locale. Solo alcune varietà hannocome sbocco - ma parlo della pesca siciliana e non diquella iblea - il mercato internazionale, come il tonnoe il pescespada. Se perciò l’andamento della crisi portala gente a consumare di meno, i prezzi sono inevita-bilmente più bassi e il meccanismo di funzionamentodella filiera ittica ne soffre come quella agroalimentarein generale. Il produttore ittico però ha un handicap inpiù: non può conservare il suo prodotto a tempo inde-terminato ma solo per qualche giorno. E questo aspettoinveste la questione del rapporto con il mercato, conquella fascia di operatori intermedi cioè che interven-gono per accaparrarsi il prodotto, o con i processi divendita dove ci sono mercati ittici disponibili. In so-stanza i processi di speculazione che abbiamo denun-ciato in agricoltura riguardano anche la filiera ittica.Tutto ciò comporta che il settore sia in difficoltà, chesi blocchi anche il rinnovamento armatoriale delle bar-che, che manchino i capitali necessariper fare il passo avanti. Tutti avvertonola difficoltà di andare a una riconversio-ne delle barche, che pure è un passaggioepocale necessario.Ma ci sono in questo senso precise re-strizioni da parte dell’Unione euro-pea, decisa a ridurre il numero delleimbarcazioni in mare.La stessa politica comunitaria che inagricoltura tende a fare scomparire lapiccola e media impresa la ritroviamonella pesca meridionale. Anziché soste-nere i progetti di riconversione e di cre-scita, l’Unione europea lavora adespellere le piccole marinerie, il che si-gnifica l’abbandono di mondi che scom-paiono dalla scena economica, sociale eculturale. Occorre piuttosto aiutare i pe-scatori a rimanere, permettendo la ricon-versione delle flottiglie, che vuol dire mantenere unpatrimonio professionale antico di forte legame con iterritori. Ma vediamo che tutto questo la politica co-munitaria lo scarta. Punta al risultato della innovazionedella sola grande marineria continentale.Ma l’innovazione interessa soprattutto la piccola emedia impresa.Ripeto, c’è una linea che l’Unione europea segue concaparbietà ed è la stessa che agisce in agricoltura. Ilprincipio base è che piccolo è sinonimo di obsoleto edeve perciò da cancellare per evitare che diventi unpeso per la grande marineria. Ma cosa è possibile fare?

Sono possibili diverse azioni alternative, anche impo-nendo l’obbligo dell’innovazione da parte dell’Ue, maè chiaro che questo può avvenire solo se c’è l’accom-pagnamento delle istituzioni verso il nuovo, cioè versol’abbandono delle vecchie barche e il rinnovamento informe aggregate e associate. Ma questo non apparepossibile sicché abbiamo solo l’abbandono.Non appare possibile per volontà di chi?Di quello schema della politica che ha come modellodi riferimento le marinerie dell’Europa continentale.Che sono marinerie strutturate, attrezzate, e che hannocompiuto passaggi innovativi significativi quanto aiservizi, al pescato, alla collocazione sul mercato, allefiliere. Da noi tutto questo non è ancora presente e per-ciò abbiamo una paralisi nel movimento della marine-ria, che cerca contatti con i Paesi del Mediterraneo perrisolvere questioni riguardanti la sua dimensione, losviluppo, che cerca rapporti con i Paesi frontalieri, conpolitiche che guardino in questa direzione. Ma nel-l’ambito delle dinamiche europee non si tratta che diun modo per continuare a sopravvivere senza riuscirea porsi in maniera competitiva rispetto alle grandi flot-te che solcano oramai il Mediterraneo.Questo deficit colpisce ancora di più la marineriaiblea dunque. Ma quale filiera si è creata per esem-pio a Scoglitti, che vanta la prima flotta pescherec-cia della provincia?

O il prodotto viene prenotato ed è ac-quistato prima del pescato oppure vie-ne venduto attraverso i mercati itticiterritoriali, lì dove c’è una parvenza dicontrattazione da libero mercato. Visono poi linee che portano alla risto-razione siciliana, linee costruite attra-verso i rapporti diretti o mediati conle cooperative di pescatori, ma si trattadi un movimento molto locale. La re-gionalizzazione della nostra pesca èancora un elemento che va valutato suun duplice registro: della produzioneittica di qualità - il gambero, il pesceazzurro, la seppia - e dell’arretratezzadel sistema, perché in realtà il nostropesce diventa tipico in ragione del fat-to che non riesce a diventare produ-zione per i mercati nazionali edeuropei che vantano forme di vertica-

lizzazione che noi non abbiamo se non presso le grossemarinerie di Sciacca e Mazara del Vallo dove un mi-nimo di articolazione di filiera esiste davvero.Questo dunque significa che in provincia di Ragusauna vera e propria filiera non si è mai costituita.No, mai. Abbiamo una piccola pesca molto diffusa eimportante perché segna un rapporto di reciprocità trail territorio e le risorse ittiche e perché offre un pro-dotto di giornata, fresco e di qualità. Il sistema dellaristorazione locale in questo senso assume un valoreche non è solo quello immediato, di carattere econo-mico, ma più generale, con una forza di richiamo po-tente sui territori. Detto questo, rimane un dato di fatto:

IL NOSTROPESCE 

DIVENTA TIPICO

PERCHÉ NONRIESCE A 

DIVENTAREPRODOTTODEI GRANDI

MERCATI NAZIONALIED EUROPEI

A

PAGINA 3

NON CI SONO DIFFERENZENEI PROCESSI SPECULATIVITRA AGRICOLTURA E PESCA.L’UE TENDE AD ESPELLERE

La politicaha comemodello lemarineriedellaEuropa del Nord.Che sonomarineriestru urate,a rezzate,e che hannocompiutopassaggiinnovativiimportantiquanto aiservizi, alpescato, almercato,alle filiere.Da noi ciò non è ancorapresenteed eccola paralisi

Page 4: Dossier Pesca fascicolo 1

PAGINA 4

la nostra marineria non ha una capacitàdi offerta unitaria e verticale. Non cre-do che esista perché non esistono lestrutture e non esistono gli obiettivi chesi vogliono raggiungere. Dopotutto nonc’è nemmeno un progetto commercialedi tutta la marineria siciliana. Se c’è èattivo in qualche modo a Sciacca e aMazara. Ma basta.E le organizzazioni dei produttori?Qual è il loro ruolo?Il loro ruolo dovrebbe essere quello dicostruire questi percorsi di filiera, main realtà si tratta di percorsi molto ele-mentari, che integrano progetti mini-malisti.Secondo lei la funzione delle Op èdunque venuta meno?Perlomeno non si è sviluppata nelle possibilità che po-trebbe offrire. Ma questo riguarda anche il mondo agri-colo perché è un difetto orizzontale. In sostanza la Opnasce per verticalizzare la produzione ma alla fine di-venta un’organizzazione minimale dedita ad alcuneoperazioni di governo del rapporto interno della stessaOp.La verità è anche che c’è meno pescato.Ed per questa ragione che si attuano forme di riposostabilite. Con il fermo biologico si cerca di concentrarein alcune fasi dell’anno l’attività di ripopolamento dialcune specie. Il fermo biologico è anche collegato almercato stagnante perché la stagione è finita, sicché siscelgono questi periodi in funzione anche del quadro

economico generale. L’attività vienebloccata, è vero, ma è comunque unfatto positivo che viene riconosciuto econdiviso dagli stessi pescatori inte-ressati a un migliore ecosistema. E pe-raltro non va visto come una misurapenalizzante perché è davvero reale ildepauperamento del pescato per effet-to di fenomeni esterni alle forme e aimodi della pesca. Vi sono ragioniestrinseche infatti che riguardano il la-vaggio delle stive delle navi in transi-to, il riversaggio delle sentine inacqua, l’inquinamento che derivadall’accentuazione delle ricerche pe-trolifere, lo sversamento di materialiprodotti in terraferma sia attraversodeputatori malfunzionanti che attra-

verso l’infiltrazione delle falde acquifere. Quindi esisteuna grande problema di tutela dell’ambiente marinoche richiede un intervento europeo. Il Mediterraneova salguardato neutralizzando le fonti dell’impoveri-mento marino, perciò occorre un passo avanti forte chemetta sotto monitoraggio tanti fenomeni anche e so-prattutto a terra: dalle strutture di immissione delle ac-que reflue in mare alle tecniche di coltivazioneagricola. Il problema è però di immaginare qualcosa di real-mente nuovo. Da questo punto di vista qualche idea nuova cerchere-mo di presentarla alla Comunità euroepa. Penso peresempio a dei siti produttivi di interesse comunitario,

RAPPORTO

SULLA

IBLEAPESCA

L’ASSESSORE

REGIONALE

LA OP NASCEPER RENDEREVERTICALE LAPRODUZIONE

E TROVAREPERCORSI DIFILIERA MAFINISCE PERESSERE UN 

ORGANISMOMINIMALE

La marineria

siciliana ingenere

non dispone di

una capacità di

offertaunitaria everticale

né di stru ureadeguate

Manca anche unproge o

articolatodi obie ivida cogliere

Page 5: Dossier Pesca fascicolo 1

un conetto nuovo che ho proposto in se-de qualificata destando curiosità e inte-resse. Si tratta di un sito dove il temadello sviluppo e dell’ecocompatibilitàvenga fortemente finalizzato. Immagi-niamo di riuscire a trasformare la serri-coltura siciliana in un sito produttivo diinteresse comunitario. Significherebbeinnanzitutto risparmio energetico, maanche controllo delle falde, del tratta-mento fitosanitario, tutti passaggi checoncorrono a fare del mare una risorsaricca e pulita.Prima dunque bisogna pulire il mareper andarci a pescare.Senz’altro. E i pescatori sono i primi aessere impegnati in questa partita. Parloalmeno della pesca che conosco io.Quella internazionale è un’altra cosa.Nel nostro mare si determinano infatti fenomeni disfruttamento intenso che non guardano più a un ambitodi ricchezza, ma alla speculazione e al profitto. Oggiquesti predatori sono nel Mediterraneo ma domani sa-ranno nell’Atlantico o da qualche altra parte del mon-do. Innovazione dunque. Qualche tempo fa Sciacca hapensato di introdurre sistemi di vendita compute-rizzati in base ai quali la produzione era dettatadalla vendita che avveniva già a bordo.Per me esiste un filo rosso che come lega i diversicomparti agricoli alla grande distribuzione così agisceanche nell’attività ittica. L’altra strada è la vendita di-

retta nei mercati che paradossalmentecostituisce una forma di tutela del pe-scato rispetto a un mercato globaliz-zato e stravolto e che non sappiamonemmeno cos’è né riusciamo a vede-re. Almeno c’è un minimo di contrat-tazione.Le restrizioni della Comunità euro-pea circa la pesca a ottobre e no-vembre del tonno rosso nonfiniscono per colpire ancora di più?Quando il rapporto con il tonno eracollegato a forme anche arcaiche di unmercato limitato, con i suoi ritmi e lesue forme, era naturale non sottoporloa restrizioni perché era parte della no-stra cultura. Ma nel momento in cui lapesca del tonno diventa internazionalesubiamo anche noi i contraccolpi. Le

poche quote in più che ci sono state aggiunte sono do-potutto ben poca cosa rispetto allo sviluppo naturaledi una marineria che aveva i suoi tempi di presenza sulmare. Ci sono state soltanto piccole correzioni, quoteassegnate in più per pescare, per cui su questo puntocredo che la protesta sia d’obbligo. Dobbiamo comun-que convincerci che le norme europee, le direttrici co-munitarie in fatto di pesca del tonno rossocorrispondono a una situazione reale. Che poi incidanosu interessi di territori (come nel caso della Sicilia) chehanno fatto della pesca del tonno una tradizione mil-lenaria è un altro discorso.Non è comunque un tipo di pesca praticata in pro-

PER PARADOSSOLA VENDITA

DIRETTA COSTITUISCEUNA FORMA

DI TUTELADEL PESCATORISPETTO AL

MERCATOGLOBALIZZATO

E STRAVOLTO

PAGINA 5

Quando ilrapportocon il tonno eracollegato aforme anche arcaiche diun mercatolimitato,era naturalenon so oporloa vincoli.Ma non èpiù così sela pescadiventaglobale

Page 6: Dossier Pesca fascicolo 1

vincia. A Scoglitti, Donnalucata e Poz-zallo cosa si pesca?La seppia, il pesce azzurro, la piccolapesca insomma, il pescato frontaliero,che però dà all’economia ittica un suocontributo molto localistico.Si è anche pensato di lanciare l’acqua-coltura. Ma il progetto fatica.So però di un impianto che sorgerà a Vit-toria e credo che ci sia la possibilità diportare questi impianti sulla terraferma.Semmai l’idea è un’altra. In questi mesicome assessore ho maturato una rifles-sione che mi consente di guardare aiproblemi della filiera produttiva sottol’aspetto della ricerca genetica di basepartendo dai primi passi che essa può favorire. Noi sia-mo estremamente fragili e dipendenti, sia che si trattidi avannotti che di avicoltura o di altre attività di alle-vamento. Esiste realmente la possibilità anche in Sici-lia di realizzare impianti capaci di mettere inproduzione uova fecondate o produrre marchi deposi-tati, senza più royalties dunque e licenze da acquistare.L’idea è di assicurare ai settori produttivi una capacitàdi creare da sé tutto ciò che è necessario per aprire unprocesso produttivo e non dipendere dall’esterno, sen-za più il rischio quindi di rimanere tagliati fuori pervolontà di qualche gruppo esterno che decidesse di ne-garci le licenze o bloccarci la fornitura di uova fecon-date. Se dunque qualcuno pensasse di non fornirci piùgli elementi di base rimarremmo praticamente fer-mi.Questo è il grande problema siciliano, valido sia inagricoltura che nella pesca a coltura. Non dieci ma tre-cento milioni vanno dunque destinati al sostegno delleaziende che vogliano impegnarsi nell’avvio della pri-ma fase del ciclo. Le prime forme di applicazione ge-netica e l’intera questione dell’assistenza applicatadevono costituire la priorità massima rispetto agli in-vestimenti fatti dalla Regione per aprire e chiudere la-boratori di ricerca dove invece potrebbero trovareoccupazione i tanti nostri giovani laureati nelle nuovediscipline quanto a tracciabilità, assistenza tecnica, ri-sorse applicate. C’è in sostanza tutto un pacchetto diquestioni sul sostegno alle attività di innovazione e dicontrollo che va tirato fuori e fatto partire. In riferi-

mento al fiume di denaro che vienedall’Unione europea grandissima at-tenzione bisogna dare agli elementiche abbiamo detto. La domanda allafine è questa: voglio diventare auto-nomo quanto alle forniture? E voglioche nulla sia non siciliano? Allora ètempo di invertire la rotta. L’autono-mia delle aziende parte dalla fase piùvicina alla genetica. E siccome la ri-cerca genetica la fanno cinque grandigruppi nel mondo noi siamo tagliatifuori se non riusciamo a essere pre-senti e vigili.Secondo lei chi sta peggio tral’agricoltura e la pesca?

Entrambe, ma forse la serricoltura sta peggio, perchél’investimento di capitali è più alto. Ma direi che sonocomparti per i quali le politiche di monitoraggio, i con-tatti tra produzione e consumo, una messa a punto nonspontaneistica ma coordinata e razionale potrebberoaiutare a fare passi avanti. È l’innovazione la parolad’ordine. Innovazione con tutti quelli che si sentonodi fare quel percorso e non con quanti giudicano ilmercato un processo evoluzionistico. Lo sviluppo ènecessario, l’ammodernamento anche, ma non al prez-zo di uccidere tre quarti di un comparto. In un Paesecome il nostro che ha fatto della piccola e media im-presa la bandiera della propria economia, come si fa adire che è giusto uccidere le piccole e medie impreseperché occorre diventare grandi, perché dobbiamopuntare sui grandei obiettivi? Ma è un proposito illu-sorio dal momento che tutti vediamo come le grandiaziende soffrano quanto le più piccole.Anche perché quelle piccole non hanno un realeproblema di costo del lavoro.È vero. La piccola impresa ittica che noi conosciamoe che vediamo all’opera nel Ragusano è immune per-ché non conosce la compartecipazione mista degliequipaggi. Ma una forma di compartecipazione c’è an-che a Scoglitti. Dove opera il conduttore diretto soste-nuto dalla sua sola famiglia. In qualche modo anchequesto è associazionismo, sia pure anomalo. In sostan-za quel che abbiamo evoca retaggi verghiani, piccoliproprietari con tante Provvidenze.Guardiamo piuttosto avanti. Lei come vede il futu-ro della pesca iblea?

NON DIECIMA

300 MILIONIVANNO 

DESTINATI ALLE IMPRESE

DECISE ADAVVIARE LA

RICERCA GENETICA

RAPPORTO

SULLA

IBLEAPESCA

L’ASSESSORE

REGIONALE

PAGINA 6

Esistedavvero

la possibilità

di creareimpianticapaci diprodurre

uova fecondateo marchi

depositati,senza piùroyalties

dunque elicenze dacomprare.

L’idea èdi dare ai

se oriprodu ivi

una capacitàdi creare

da sé tu ociò che è

necessario

Page 7: Dossier Pesca fascicolo 1

Lo vedo diviso in due segmenti fonda-mentali: uno che dovrà crescere construtture e capacità di offerta appannag-gio della grande marineria di altura e unaltro fatto di marineria territoriale, chia-miamola così, che troverà sbocco nel-l’offerta gastronomica e turisticasiciliana, la quale può dare lavoro a mi-gliaia di persone. La velocità dei duesegmenti dipenderà dalle politiche cheverranno scelte, ma entrambi meritanol’attenzione della Regione, dello Stato edella Comunità europea. Noi abbiamoavuto di recente approvati i Piani di ge-stione della pesca, che sono strumentiattraverso i quali si pianifica l’attività it-tica.Come si integrano questi Piani con i Gruppi diazione costiera?I Gac servono ai Comuni aderenti a esprimere politi-che di governo sulle coste mentre i Piani di gestione,che vengono calati nell’attività dei Gac, sono di orien-tamento generale delle marinerie.Come spiega la circostanza che in provincia di Ra-gus si abbiano due Gac, uno dei quali siracusano epartecipato da Ispica e Pozzallo?Anche i Consorzi di ripopolamento ittico erano divisi.Ora li abbiamo riformulati e ridotti a sei da una ventinache erano in Sicilia. Non sono visti positivamente e sisovrappongono ai Gac, ma hanno per obiettivo la tu-tela del mare mentre i Gac perseguono politiche terri-toriali più generali. Perché quest’altra divisione?Dipende da molti elementi anche di opportunità: con-tano molto l’inclinazione socio-culturale dei Comunicome anche la loro collocazione politica e soprattuttola contiguità territoriale.Se dovesse scegliere tra un porto peschereccio e unporto turistico quale preferirebbe?Guardi, anche i porti sono diventati un affare. Io, es-sendo legato alla territorialità, devo dire che le opera-zioni costruite a tavolino sono a rischio. Laterritorialità è più lenta ma è più solida nelle imposta-zioni. Prendiamo Scoglitti. Il suo porto è innanzituttopeschereccio, ma io dico che può e deve convivere conquello turistico nonostante lo stravolgimento che si èvoluto fare e si tenta di fare. Ho litigato col mondo in-tero per mantenere la caratteristica di porto pescherec-

cio perché vedo strategicamente nellapresenza della marineria un punto diforza del territorio. Un luogo che ab-bia una flotta peschereccia significache possiede una propria ricchezzanonché un valore enogastronomicomolto più alto di chi non ce l’ha. AMarina di Ragusa il pesce devonoandare a comprarlo a Donnalucata oa Scoglitti. Questo è un fatto. Ma idue porti, ripeto, possono conviverese si trova un equilibrio. Epperò restache l’errore della portualità turisticaè stato micidiale: fai un piano fasulloe ti metti a competere con la barchet-ta del porto vicino. Conti fatti male.

Pensavano che venivano Murdoch o Montezemolo esbarcavano col petto al vento. Non è andata così.Meglio dunque una barchetta con un pescatore cheun panfilo con cento tycoon?Ciascuno scelga la sua strategia. Io penso che Scoglittiabbia un porto-villaggio e che sia un luogo dove il con-cetto di naturalità deve riprendere spazio. Abbiamodieci chilometri di costa e dobbiamo riuscire a preser-varla, anche per lo sviluppo del turismo di massa, conspiagge libere e accessibili, con luoghi di ristorazionepiù vicini al mare, con infrastrutture ricettive, avendol’accortezza però di non trasformare questa carta checi possiamo giocare con successo in una cartolina.Ma a Scoglitti si sta facendo un gran parlare delporto turistico. Non tutti sono sfavorevoli.Allora, abbiamo un progetto appaltato nel 2005 da me,per tre milioni e mezzo, che deve essere ancora ese-guito, sebbene siano passati sette anni. Poi c’è un pro-getto di privatizzazione della struttura che va avantimentre quello pubblico è rimasto in un angolo. Nonun euro in più è venuto in questi sette anni a Scoglittia causa di una scelta suicida che l’amministrazione co-munale sta compiendo. Un porto turistico privato na-sce in aree dove non c’e nulla e non dove ci sonocinquant’anni di portualità. E quindi come vede la situazione?Quella che vedo è un’operazione arbitraria e specula-tiva che alla fine ucciderà la marineria, non porterà ilturismo e varrà alcune grosse speculazioni immobiliaria ridosso del porto, dove avremo un’enorme calata dicemento, che è il vero affare che si sta perseguendo.

PAGINA 7

UN LUOGOCHE ABBIA UN

FLOTTA PESCHERECCIA

SIGNIFICACHE POSSIEDEUNA PROPRIA

RICCHEZZACHE ALTRI

NON HANNO

Il porto diScogli i èdei pescatorima io dicoche puòconviverecon quelloturisticononostantequanto siè volutofare. Holitigatocon tu iper mantenereil cara eredi portodeditoalla pescaMa l’erroredella portualitàturistica èstato micidiale

Page 8: Dossier Pesca fascicolo 1

RAPPORTO

SULLA

IBLEAPESCA

LE CIFREDELLA CAMCOM LO SPLASH

DI SCOGLITTIE IL BOOM DI POZZALLO

UNA FORTE DIVERSITÀ TRALE DUE AREE DELLA PROVINCIA.E I COMUNI VICINI SI ACCODANO

PAGINA 8

Se si prende la flotta più nu-merosa, quella di Scoglitti,si nota che negli ultimi seianni, compreso il 2012, ilnumero delle imprese itti-

che registrate alla Camera di commer-cio non ha fatto che decrescere. Dalle80 del 2007 sono calate quest’anno a51. Un’emorragia progressiva che dà lamisura della crisi. Il caso vittoriese èsignificativo anche perché segnalal’andamento meno costante. La perditadi imprese, diversamente che per le al-tre marinerie della provincia, è stata asbalzi con dismissioni che sono statetra il 2007 e il 2008 di 21 aziende in unsolo anno. Ma già nel raffronto con il 2006 le dismis-sioni erano state ben 15. Scoglitti è l’indicatore più attendibile delle variazioniin provincia ed anche il più volatile. Il suo calo di re-gistrazioni è stato vertiginoso e rabbioso. Certo il piùdrammatico. Nella marineria più vicina, quella di San-ta Croce Camerina, gli abbandoni sono stati in sei annidi sole due unità. E altrettanto lento e contenuto è statoil decremento a Marina di Ragusa. Le differenze sispiegano alla luce del fatto che la flotta pescherecciascoglittese vanta un numero di imprese e quindi di im-barcazioni di gran lunga maggiore rispetto alle mari-nerie più vicine. Le dismissioni non possono quindiche essere di più.

Motivo di curiosità è però il fatto chele proporzioni delle variazioni noncambiano spostandosi verso le marine-rie della zona orientale, segno che laflotta di Scoglitti è la più sensibile al-l’andamento della crisi e quella che hasubito i maggiori danni. Al contrario lamarineria di Pozzallo sembra non ri-sentire la crisi, dal momento che il nu-mero delle registrazioni è addirittura increscita e soltanto negli ultini due anniha subito lievissimi casi di abbandono.Le dismissioni di conseguenza sonostate praticamente irrilevanti, nell’or-dine di una sola azienda cessata ognianno se non addirittura nessuna.

La terza forza della provincia è quella di Donnalucata.E anch’essa sta reggendo benissimo l’urto della crisieconomica con una media di registrazioni costante neltempo fino a rimanere invariata negli ultimi anni. Adecretare quindi il decremento in termini di valori as-soluti delle imprese registrate è la crisi che ha colpitosolo Scoglitti. La perdita di una trentina di iscrizioniequivale infatti alla mole di dismissioni che si sonoavute nella borgata vittoriese. Sorprende invece l’in-cremento del dato pozzallese, prova di una vitalità chetrova le proprie ragioni in una più robusta economialocale. Di riflesso anche la marineria di Donnalucatagode di una certa tranquillità: quantomeno nel sensoche le aziende non chiudono.

La borgatavi orieseregistra il

calo piùrapido,

segno di un

malessereprofondomentre la

flo a pozzallese

crescenonostante

la crisi. Ledue

marineriesono agli

antipodi eformano le

due faccedella realtà

iblea

IN STABILE TENUTA 

LA FRAZIONEDI SCICLI, INLEGGERA

FLESSIONE INVECE SANTA CROCE

CAMERINA

Page 9: Dossier Pesca fascicolo 1

2012

2011

2010

2009

PAGINA 9

2008

2007

DATI DELLA CAMERA DI COMMERCIO DI RAGUSA

Page 10: Dossier Pesca fascicolo 1

RAPPORTO

SULLA

IBLEAPESCA

LA PRIMAMARINERIA

PAGINA 10

LA CENTRALEDELLA PESCADOVE LA SPIGOLAÈ SCOMPARSA

SCOGLITTI

Page 11: Dossier Pesca fascicolo 1

lle tre di ogni pomeriggio i pescatori guardano la genteche arriva e ne contano sempre meno. Una volta, finoa sette anni fa, il mercato ittico di Scoglitti era una vuc-ciria di suoni e grida, un cafarnao di commercianti ecompratori. E una montagna di pesce che se ne andavain un paio d’ore. Oggi c’è il silenzio e l’andirivieni de-gli acquirenti è mesto, lento, scandito dai passi che sisentono sulla leggera discesa di sabbia e cemento,mentre il pesce rimane invenduto. C’è un’ora di apertura del mercato ma non ce n’è unadi chiusura perché il pesce resta in vendita fino adesaurimento. Il problema è che non si esaurisce. Nem-meno dopo tre o quattro ore, quando i pescatori sonodisposti a venderlo anche fino a metà prezzo e oltre.Alle sette di ogni sera avviene allora una cosa dolori-sissima e del tutto nuova: il pesce nelle cassette vieneriportato a bordo nell’attesa, quando alle tre di notte leparanze riprendono il largo, di essere gettato in acqua.Qualcuno ne porta un paio di chili a casa costipando ilfrigorifero e costringendo tutti a mangiare se non pe-sce, il resto va perduto. Sicché alla fine la divisione“alla parte” (l’antico e sempre attivo metodo di spar-tizione ragusano degli utili) diventa non quella del ri-cavato della vendita ma del pescato invenduto. Equesto accade non una volta la settimana, al momentodella divisione dei soldi, ma ogni sera. Agli inizi della crisi, quando non si sapeva nemmenocom’era e quanto sarebbe durata, si era pensato di con-gelare il pesce avanzato nelle celle frigorifere del mer-cato e venderlo il giorno dopo, ma risultò un’ipotesiche si reggeva su una speranza impossibile: che l’in-domani si potesse vendere il pesce del giorno e quellocongelato. Impossibile appunto, perché ogni giorno lavendita non fa che decrescere in uno stillicidio di ditteche chiudono, di pescatori che lasciano le barche perimbarcarsi nei grandi trasporti marittimi, di giovaniche sognano di aprire a terra un esercizio alimentare oun bar e lasciare che solo il padre si alzi alle due e sene stia dodici ore a mare, estate e inverno, dormendodi giorno e lavorando di notte, di pescatori che com-piono un’impensabile mutazione genetica trasforman-dosi in braccianti. Così il mercato ittico di Scoglitti, ilsimbolo di tutta la marineria iblea, vive il suo tempopeggiore. Alle tre di pomeriggio apre e le barche chevengono dalle paranze alla rada o ancorate sbarcanole cassette stampigliate con le etichette sulla traccia-bilità, che indicano anche la zona di mare dove è statopescato. Sono ripiene di polipi, gamberi, merluzzi, pe-sce azzurro. È sparito il pesce di qualità che si pescavaun tempo: orate, cernie, spigole, saraghi. È rimastoquello “povero”. In parte è conferito direttamente almercato e venduto dallo stesso pescatore al dettaglio,cioè a cassetta, ma il maggiore quantitivo è acquistatosul porto dai commercianti che lo trasportano in unodue centri: quello di Scoglitti di Via Pescara e l’altroall’ingresso di Vittoria. Da qui finisce nei mercatini lo-cali oppure viene rivenduto fuori provincia. Il prezzo viene deciso dal pescatore e negoziato ognigiorno con il commerciante, ma non ci sono mai trat-tative “arabe”, cioè lunghe ed animate. Il prezzo sem-

bra formarsi da sé, con leggerissime oscillazioni, in unequilibrio che compenetra da sempre le aspettative ditutte le parti. Ma negli ultimi tempi il prezzo tende ascendere perché il consumo di pesce locale continua adiminuire mentre i costi di gestione non fanno che sa-lire. In questa scala inversa, paradossalmente a resistere so-no i piccolissimi pescatori, cioè i proprietari delle co-siddette “removeliche”, gli unici che possono vendereal dettaglio sulla battigia appena approdati. Sono circa60, hanno costi irrisori, non più di 15 euro al giorno,praticano la pesca che chiamano “a posta” (calano larete e aspettano) e producono lo stesso genere di pescedelle barche a motore (distinte dalla paranze per la mi-nore stazza), come le quali possono spingersi fino acinque miglia se autorizzate con annotazioni di sicu-rezza. Anziché alle quindici le removeliche tornano amezzogiorno e portano pesce appena pescato cheun’ora dopo è a tavola. Eppure la maggior parte deiconsumatori preferisce comprare il pesce nei centricommerciali anche se congelato e proveniente chissàda dove. Le battaglie condotte dall’associazione San Francescoe dalle quattro cooperative perché almeno la distribu-zione locale si rifornisca a Scoglitti hanno sempre tro-vato orecchie sorde. Ma anche quando dovessearrivare un sì, la marineria scoglittese non sarebbe ingrado di offrire, oltre la cassetta, un servizio di forni-tura adeguato mancando delle strutture dove confezio-nare il prodotto secondo le esigenze della grandedistribuzione. Il centro di rivendita obbligato rimanedunque l’antico mercato ittico dove i pescatori aspet-tano che siano i commercianti dei grandi centri a spun-tare sulla grande porta basculante e fare ordinativi bensuperiori a quelli dei piccoli commercianti. Ma nonsuccede.Eppure i prezzi sono convenientissimi. A dieci metridal mercato opera una piccola pescheria che il pome-riggio è generalmente chiusa. La mattina il prezzo chepropone è quasi il doppio di quello praticato dal mer-cato. Se con dieci euro è possibile comprare in pesche-ria un chilo di polipi, con una cifra simile al mercatosi compra invece un’intera cassetta. Ma nemmeno i co-sti così convenienti invogliano i consumatori come untempo. Cala il consumo, eppure la produzione cresceperché cresce il pescato. Per qualche inspiegabile ragione il mare di Scoglitti èinfatti diventato più ricco negli ultimi anni. Le paran-ze, cioè i grossi pescherecci, tornano ogni giorno conle stive piene, ma è fatica in gran parte sprecata. Cosìsuccede che addirittura rallentino la produzione o nonsi spingano molto lontano: sarebbe solo gasolio in più.E il gasolio è la voce che incide di più nei costi di ge-stione. Una paranza ne consuma ogni giorno dai 400ai 500 litri che viene comprato, senza accise per for-tuna, a 82 centesimi il litro. La somma spesa è peròquasi l’equivalente del ricavato quotidiano della ven-dita, a volte anche meno. Ma ci sono altri costi. Il prez-zo dei cavi d’acciaio che si comprano a chilo èraddoppiato rispetto ai due euro di sei anni fa. E ogni

PAGINA 11

AIL MARE SI RIPOPOLA MA LAFLOTTA SI ASSOTTIGLIA. INPOCHI ANNI SONO SPARITEUNA DOZZINA DI PARANZE 

Il mercatoi ico sempremeno affollatoA volte ipescatoriribu anoin mare ilpesceinvendutoMolti hanno restituitola licenza eincassato isoldidell’UeMa puòfarlo solochi non hadebitiIntanto icosti di gestionecresconoOgni giorno servono500 eurosolo di gasolio

Page 12: Dossier Pesca fascicolo 1

sette mesi al massimo ne occorrono dai4 ai 500 chili. C’è poi la manutenzionedel peschereccio, necessaria ogni ottomesi. Scoglitti è priva di cantieri per cuile paranze devono andare a Licata dovel’intervento può costare fino a 4000 eu-ro ma mai meno di 2000. Sono aumen-tati anche i prezzi dei “calamenti” (icavi che tirano la rete sotto il fondale)passati da 1000 a 1500 euro ciascuno. A causa di questa escalation dei costi digestione le paranze si sono ridotte aventi. In dieci anni ne sono scomparseuna dozzina. I proprietari si sono lasciatitentare dalle provvidenze della Ue cheindennizza le imbarcazioni dismessecon somme diventate per tutte molto ghiotte. Ma la di-smissione può farla solo chi non ha debiti ed è proprie-tario dell’imbarcazione. Molti aspettano così diliberarsi delle pendenze bancarie per restituire la licen-za. Un dramma, perché di questo passo la flotta pe-schereccia scoglittese è destinata a scomparire. Eppureè una delle più abili della Sicilia, avendo dovuto ope-rare in un mare povero e insidioso. Le acque non sono infatti come quelle vicine di Licata:offrono pesce non di grande qualità né di grande di-mensione. Almeno oggi. La colpa della scomparsa dicernie, spigole e altre varietà di pregio è imputata daipescatori a tre cause: lo sversamento delle navi cister-ne al largo che rilasciano sostanze destinate a ricopriregli scogli dove dimorano le orate e le spigole; la pre-senza di decine di pozzi petroliferi dismessi che secon-do i pescatori non sono mai stati chiusi sicchécontinuano a liberare greggio in mare; e soprattuttol’inquinamento marino da parte delle discariche comu-nali. Vittoria, Chiaramonte e Comiso sversano nell’Ip-pari che finisce in mare dove opera una pompa di

rilancio che in una vasca accumula ireflui per poi lanciarli a due chilome-tri di distanza in acqua. Spopolando-la. C’è un depuratore, quello di Vittoria,ma è insufficiente perché peraltromalfunzionante e molte volte fermo.In sostanza la scomparsa del pesce diqualità, per i pescatori scoglittesi, co-me per tutti quelli che operano fino aPozzallo, è colpa dell’inquinamentodella costa dovuto ai Comuni e alleborgate marine che scaricano i loro li-quami in acqua. In queste condizioni diventa perciòmolto difficile alla marineria scoglit-

tese sostenere la crisi. Problemi che una volta non era-no avvertiti oggi appaiono capitali. La scomparsamisteriosa del pesce di qualità ha privato la marineriadi Scoglitti di una fonte di guadagno preziosissima. Sicalcola che il profitto sia calato del 50%, percentualeche è il risultato negativo di tutte le voci di gestione.Tra le quali non c’è però quella del lavoro. La figuradell’armatore che rimane a terra ed è padrone di piùimbarcazioni non è mai esistita a Scoglitti, la cui ma-rineria è composta di proprietari di barche coadiuvatidai figli e dai parenti costituiti in cooperativa. Non cisono lavoratori estranei al nucleo familiare né flottigliedi una sola casa. A ogni barca corrisponde un padrone.Che pesca e vende facendo tutto da sé. Non supera isette miglia, non va in acque internazionali, non scon-fina verso Licata o Pozzallo. E pratica la sola pesca astrascico. Getta le reti generalmente tre volte in unagiornata lavorativa e avvia i motori per una decina dichilometri parallelamente alla costa e ad andatura mo-derata. Quello a strascico è da sempre l’unico esercizio della

C’È UNA POMPA DI RILANCIO

CHE ACCUMULA I

REFLUI E LIESPELLE FINO

A DUE CHILOMETRI

IN MARE

PAGINA 12

RAPPORTO

SULLA

IBLEAPESCA

Le acquedi Scogli inon danno

più un pesce diqualità edi grosso

peso. I pescatori

accusano iComuni

cheriversanoin mare i

reflui, ipozzi

petroliferimai

davverochiusi e le

navi cisterna

Page 13: Dossier Pesca fascicolo 1

pesca in vigore a Scoglitti da parte deipescherecci. Deprecato dagli ambienta-listi perché lo strascico provoca il depau-peramento dei fondali uccidendo anchele uova, è consentito dalla Ue solo conl’impiego di reti a maglie larghe e oltrele tre miglia dalla costa, ma capita cheper risparmiare sul gasolio o per il maregrosso le paranze facciano lo strascico adistanze più ravvicinate. Il bisogno rendetalvolta trasgressivi. Ma c’è un altro problema che rende dif-ficile la pesca scoglittese. Il fondale èmorfologicamente costituito in forma diselle in successione. Questa irregolaritàostacola pesantemente la pesca a strasci-co che richiede fondali piani come quelli di cui godela fortunata marineria licatese, per indicare la più vi-cina e quella più concorrenziale. Le reti si impiglianoe si rompono, per cui il peschereccio scoglittese, perevitare questi inconvenienti, deve procedere a velocitàridotta, il che significa ridurre anche la produzione.Che però oggi non serve tenere in quantità elevata pervia dell’invenduto. Un ulteriore problema che ha pesato per decenni sullapesca scoglittese, quello dell’insabbiamento del portopeschereccio, è stato risolto soltanto da poco tempo:dopo l’incidente accaduto a Nino Nicosia, oggi presi-dente dell’associazione San Francesco e proprietariodel “Nunzio Padre”, una delle più grosse paranze dopoquella dei fratelli Penna, “La Madonnina”. Nel ’97 Ni-cosia uscì come al solito con il suo vecchio pescherec-cio e fece come facevano tutti: arrivata la chiglia asfiorare la sabbia all’imbocco del porto diede più mo-tore per superare la cuna ma quella volta la paranzascheggiò gli scogli e gli successe quanto è poi avve-nuto alla Concordia. Nicosia controllò lo scafo, vide

che era integro e guadagnò il mareaperto. Senonché a giorno fatto esvolta la pesca, il risentimento che lachiglia aveva subito urtando controgli scogli determinò una falla e labarca cominciò a prendere acqua. Isoccorsi furono lentissimi e Nicosiacon gli altri uomini dell’equipaggiodovettero lanciarsi in mare per esserepoi raccolti da un altro peschereccio.La barca colò velocemente a picco eNicosia si trovò senza niente. Maerano altri tempi. Ricomprò un’altrabarca che chiamò “Gemello” perchésimile alla prima e poi un’altra anco-ra, quella che ha oggi, un mastodonte

troppo grosso per i guadagni che può consentire. Madopo quell’episodio il porto fu drenato e oggi non co-stituisce più un ostacolo da superare ogni notte. Nicosia, con il suo “Nunzio Padre”, intitolato al geni-tore che però non era pescatore e stava a terra a gestireun negozio, potrebbe pescare d’altura ma non è solola crisi a scoraggiarlo. Nel modo di vivere e vedere lapesca, i scoglittesi non amano per tradizione che il loromare infimo. Uno solo volle spingersi più lontano, incerca di nuove acque più pescose, Salvatore Ferrigno.Gli andò malissimo. Benché credesse di trovarsi in ac-que internazionali, finì nelle mani dei libici e fu presoprigioniero. Il suo motopesca venne sottoposto a se-questro. Quando quella storia finì Ferrigno vendette tutto e smi-se di fare il pescatore. Oggi fa altro. Non sapeva chemolti altri pescatori lo avrebbero seguito molti annidopo nella strada della dismissione. La moria a Sco-glitti sta avvenendo a terra: di pescatori e non di pesce,perché il mare continua a ripopolarsi, anche se di spe-cie povere che danno pane povero.

I PESCATORIDI SCOGLITTINON AMANO

LA PESCAD’ALTURA.

UNA VOLTA CIPROVÒ UNO E

FINÌ NELLEMANI DEI 

LIBICI

PAGINA 13

La pesca sipraticacon lo strascico,consentitosolo oltrele tre miglia, mamolte volte, perrisparmiaregasolio, lalegge viene violata. Ilfondale è asella sicché anche lostrascicoriesce difficile 

Page 14: Dossier Pesca fascicolo 1

RAPPORTO

SULLA

IBLEAPESCA

IL PASSATO

PAGINA 14

diNunzio Lauretta

C’ERA UNA VOLTAUN SOGNOGRANDE QUANTOIL MARE

LA STORIA

Page 15: Dossier Pesca fascicolo 1

PAGINA 15

ssessore Aiello, la pesca iblea soffre degli stessi malisiciliani ma con un plusvalore negativo perché vie-ne da uno stato di depressione dell’economia che èpiù grave. Concorda?Sicuramente le produzioni ittiche risentono dell’anda-mento della crisi, quindi della rarefazione della do-manda d’acquisto e del calo della disponibilitàgenerale a consumare questo prodotto. In considera-zione dopotutto del fatto che questa produzione è de-stinata al mercato locale. Solo alcune varietà hannocome sbocco - ma parlo della pesca siciliana e non diquella iblea - il mercato internazionale, come il tonnoe il pescedaèsade. Se perciò l’andamento della crisiporta la gente a consumare di meno, i prezzi sono ine-vitabilmente più depressi e il meccanismo di funzio-namento della filiera ittica ne risente come quellaagroalimenatre in generale. Il produttore ittico però haun handicap in più: non può conservare il suo prodottoa tempo indeterminato ma solo per qualche giorno. Equesto aspetto investe la questione del rapporto con ilmercato, con quella fascia di operatori intermedi cheintervengono per accapparsi il prodotto o nei processidi vendita dove ci sono mercati ittici disponibili. In so-stanza i processi di speculazione che abbiamo denun-ciato in agricoltura riguardano anche la filiera ittica.Tutto ciò comporta che il settore sia in difficoltà, chesi blocca anche il rinnovamento armatoriale delle bar-che, che manchino i capitali necessari per fare il passoavanti. Tutti avvertono la difficoltà di andare a una ri-conversione delle barche, che è un passaggio epocalenecessario.Ma ci sono in questo senso precise restrizioni daparte dell’Unione europea, decisa a ridurre il nu-mero delle imbarcazioni in mare.La stessa politica comunitaria che in agricoltura tendea fare scomparire la piccola e media impresa la ritro-viamo nella pesca meridionale. Anziché sostenere iprogetti di riconversione e di crescita, l’Unione euro-pea lavora ad espellere le piccole marinerie il che si-gnifica l’abbandono di di mondi che scompaiono dallascena economica, sociale e culturale. Occorre piuttostoaiutare i pescatori a rimanere, permettendo la ricon-versione delle flottiglie, che vuol dire mantenere unpatrimonio professionale antico di forte legame con iterritori. Ma vediamo che tutto questo la politica co-munitaria lo scarta. Punta al risultato della innovazionedella sola grande marineria continentale.Ma l’innovazione interessa soprattutto la piccola emedia impresa.Ripeto, c’è una linea che l’Unione europea segue concaparbietà ed è la stessa che agisce in agricoltura. Ilprincipio base è che piccolo è sinonimo di obsoleto edeve perciò da cancellare per evitare che diventi unpeso per la grande marineria. Ma cosa è possibile fa-re? Sono possibili diverse azioni alternative, anche impo-nendo l’obbligo dell’innovazione da parte dell’Ue, maè chiaro che questo può avvenire solo se c’è l’accom-pagnamento delle istituzioni verso il nuovo, cioè versol’abbandono delle vecchie barche e il rinnovamento

in forme aggregate e associate. Ma questo non apparepossibile e abbiamo solo l’abbandono.Non è possibile per volontà di chi?Di quello schema della politica che ha come modellodi riferimento le marinerie dell’Europa continentale,che sono marinerie strutturate, attrezzate, e che hannocompiuto passaggi innovativi significativi quanto aiservizi, al pescato, alla collocazione sul mercato, allefiliere. Da noi tutto questo non è ancora presente e per-ciò abbiamo una paralisi nel movimento della nostramarineria, che cerca contatti con i Paesi del Mediter-raneo per risolvere questioni che riguardano la sua di-mensione, lo sviluppo, cerca rapporti con i Paesifrontalieri, con politiche che guardino in questa dire-zione. Ma nell’ambito delle dinamiche europee non sitratta che di un modo per continuare a sopravviveresenza riuscire a porsi in maniera competitiva rispettoalle grandi flotte che solcano orami il Mediterraneo.Questo deficit colpisce ancora di più la marineriaiblea dunque. Ma quale filiera si è creata per esem-pio a Scoglitti, che vanta la prima flotta pescherec-cia della provincia?O il prodotto viene prenotato ed è acquistato prima delpescato oppure viene venduto attraverso i mercati itticiterritoriali, lì dove c’è una parvenza di contrattazioneda libero mercato. Vi sono poi linee che portano allaristorazione siciliana, linee costruite attraverso i rap-porti diretti o mediati con le cooperative di pescatori,ma si tratta comunque di un movimento molto locale.La regionalizzazione della nostra pesca è ancora unelemento che va valutato su un duplice registro: dellaproduzione ittica di qualità - il gambero, il pesce az-zurro, la seppia - e dell’arretratezza del sistema, perchéin realtà il nostro pesce diventa tipico in ragione delfatto che non riesce a diventare produzione per i mer-cati nazionali europei che vantano forme di verticaliz-zazione che noi non abbiamo se non presso le grossemarinerie di Sciacca e Mazara del Vallo dove un mi-nimo di articolare di filiera esiste davvero.Questo dunque significa che in provincia di Ragusauna vera e propria filiera non si è mai costituita.No, mai. Abbiamo una piccola pesca molto diffusa eimportante perché segna un rapporto di reciprocità trail territorio e le risorse ittiche e perché offre un pro-dotto di giornata, fresco e di qualità. Il sistema dellaristorazione locale in questo senso assume un valoreche non è solo quello immediato, di carattere econo-mico, ma più generale, con una forza di richiamo po-tente sui territori. Detto questo, rimane un dato di fatto:la nostra marineria non ha una capacità di offerta uni-taria e verticale. Non credo che esista perché non esi-stono le strutture, non esistono gli obiettivi che sivogliono raggiungere. Dopotutto non c’è nemmeno unprogetto commerciale di tutta la marineria siciliana.C’è in qualche modo a Sciacca e a Mazara. Ma basta.E le organizzazioni dei produttori? Qual è il lororuolo?Il loro ruolo dovrebbe essere quello di costruire questipercorsi di filiera, ma in realtà si tratta di percorsi mol-to elementari, che integra progetti minimalisti.

AIL MARE SI RIPOPOLA MA LAFLOTTA SI ASSOTTIGLIA. INPOCHI ANNI SONO SPARITEUNA DOZZINA DI PARANZE 

Le politi‐che cheparlano di multifun‐zionalitàsono in realtà uninvito alla riconver‐sione: tidiamo sol‐di e basta.E la cosa mostruosache c’è die‐tro queste po‐litiche è il dissolvi‐mento del‐l’apparatoprodu ivo

Page 16: Dossier Pesca fascicolo 1

RAPPORTO

SULLA

IBLEAPESCA

Secondo lei la funzione delle Op è dunque venutameno?Perlomeno non si è sviluppata nelle possibilità che po-trebbe offrire. Ma questo riguarda anche il mondo agri-colo perché è un difetto orizzontale. La Op nasce perverticalizzare la produzione ma alla fine diventa un’or-ganizzazione minimale dedita ad alcune operazioni digoverno del rapporto interno della stessa Op.La verità è anche che c’è meno pescato.Ed per questa ragione che si attuano forme di riposostabilite. Con il fermo biologico si cerca di concentrarein alcune fasi dell’anno l’attività di ripopolamento dialcune specie. Il fermo biologico è anche collegato almercato stagnante perché la stagione è finita, sicché siscelgono questi periodi in funzione anche del quadroeconomico generale. L’attività viene bloccata, è vero,ma è comunque un fatto poitivo che viene riconosciutoe condiviso dagli stessi pescatori interessati a un mi-gliore ecosistema. E peraltro non va vista come unamisura penalizzante perché è davvero reale il depau-peramento del pescato per effetto di fenomeni esternialle forme e ai modi della pesca. Vi sono ragioni estrin-seche che riguardano il lavaggio delle stive delle naviin transito, il riversaggio delle sentine in acqua, l’in-quinamento che deriva dall’accentuazione delle ricer-che petrolifere, lo sversamento dimateriali prodotti in terraferma sia at-traverso deputatori malfunzionanti siaattraverso l’infiltrazione delle falde ac-quifere. Quindi esiste una grande pro-blema di tutela dell’ambiente marinoche richiede un intervento europeo. IlMediterraneo va salguardato neutra-lizzando le fonti dell’impoverimentomarino, perciò occorre un passo avantiforte che metta sotto monitoraggio tan-ti fenomeni anche e soprattutto a terra:dalle strutture di immissione delle ac-que reflue in mare alle tecniche di col-tivazione agricola. Il problema è però di immaginarequalcosa di realmente nuovo. Da questo punto di vista qualche idea nuova la cerche-remo di presentare alla Comunità euroepa. Penso peresempio a dei siti produttivi di interesse comunitario,un conetto nuovo che ho proposto in sede qualificatadestando curiosità e interesse. Si tratta di un sito doveil tema dello sviluppo e dell’ecocompatibilità vengafortemente finalizzato. Immaginiamo di riuscire a tra-sformare la serricoltura siciliana in un sito produttivodi interesse comunitario. Significherebbe innanzituttorisparmio energetico, ma anche controllo delle falde,del trattamento fitosanitario, tutti passaggi che concor-rono a fare del mare una risorsa ricca e pulita.Prima dunque bisogna pulire il mare per andarci apescare.Senz’altro. E i pescatori sono i primi a essere impe-gnati in questa partita. Parlo almeno della pesca checonosco io. Quella internazionale è un’altra cosa. Nelnostro mare si determinano infatti fenomeni di sfrut-tamento intenso che non guardano più a un ambito diricchezza, ma alla speculazione e al profitto. Oggi que-sti predatori sono nel Mediterraneo e domani nel-l’Atlantico o da qualche altra parte del mondo. Innovazione dunque. Qualche tempo fa Sciacca hapensato di introdurre sistemi di vendita compute-rizzati in base ai quali la produzione era dettata

dalla vendita che avveniva già a bordo.Per me esiste un filo rosso che come lega i diversicomparti agricoli alla grande distribuzione così agisceanche nell’attività ittica. L’altra strada è la vendita di-retta nei mercati che paradossalmente costituisce unaforma di tutela del pescato rispetto a un mercato glo-balizzato stravolto e che non sappiamo nemmenocos’è né riusciamo a vedere. Almeno c’è un minimodi contrattazione.Le restrizioni della Comunità europea circa la pe-sca a ottobre e novembre del tonno rosso non fini-scono per colpire ancora di più?Quando il rapporto con il tonno era collegato a formeanche arcaiche di un mercato limitato, con i suoi ritmie le sue forme, era naturale non sottoporlo a restrizioniperché era parte della nostra cultura. Pensiamo allamattanza o alla caccia nelle acque di Portopalo. Manel momento in cui la pesca del tonno diventa inter-nazionale subiamo anche noi i contraccolpi. Le pochequote in più che ci sono state aggiunte sono dopotuttoben poca cosa rispetto allo sviluppo naturale di unamarineria che aveva i suoi tempi di presenza sul mare.Ci sono state soltanto piccole correzioni, quote asse-gnate in più per pescare, per cui su questo punto credoche la protesta sia d’obbligo. Dobbiamo comunque

convincerci che le norme europee, ledirettrici comunitarie in fatto di pescadel tonno rosso corrispondono a unasituazione reale. Che poi incidano suinteressi di territorio come nel casodella Sicilia che hanno fatto della pe-sca del tonno una tradizione millenariaè un altro discorso.Non è comunque un tipo di pescapraticata in provincia. A Scoglitti,Donnalucata e Pozzallo cosa si pe-sca?La seppia, il pesce azzurro, la piccolapesca insomma, il pescato frontaliero,che però dà all’economia ittica un suocontributo molto localistico.Si è anche pensato di lanciare l’ac-

quacultura. Ma il progetto fatica.So però di un impianto che sorgerà a Vittoria e credoche ci sia la possibilità di portare questi impianti sullaterraferma. Semmai l’idea è un’altra. In questi mesicome assessore ho maturato una riflessione che miconsente di guardare ai problemi della filiera produt-tivo sotto l’aspetto della ricerca genetica di base par-tendo dai primi passi che la genetica può favorire. Noisiamo estremamente fragili e dipendenti, sia che si trat-ti di avannotti sia che di avicoltura o di altre attività diallevamento. Esiste realmente la possibilità anche inSicilia impianti capaci di mettere in produzione uovafecondate o produrre marchi depositati, senza più ro-yalties dunque e licenze da acquistare. L’idea è di as-sicurare ai settori produttivi una capacità di creare dasé tutto ciò che è necessario per aprire un processo pro-duttivo e non dipendere dall’esterno, senza più il ri-schio di rimanere tagliati fuori per volontà di qualchegruppo esterno che decidesse di negarci le licenze obloccarci la fornitura di uova fecondate. Questo è ilgrande problema siciliano, valido sia in agricoltura chenella pesca a coltura. Non dieci ma trecento milionivanno dunque destinati al sostegno delle aziende chevogliano impegnarsi nell’avvio della prima fase del ci-clo. Le prime forme di applicazione genetica e l’intera

DOMANI E UNALTRO GIOR‐

NO E SI VE‐DRA: ERA

UNO DIN QU‐DI QUEI GIOR‐

NI CHE TUNON HAI VI‐STO MAIDO‐MANI E UN

Le politi‐che che

parlano di multifun‐zionalitàsono in

realtà uninvito alla riconver‐

sione: tidiamo sol‐di e basta.

E la cosa mostruosache c’è die‐

tro queste po‐litiche è il dissolvi‐

mento del‐l’apparato

produ ivo

PAGINA 16