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1 don Fiorenzo Chiasera IL MATRIMONIO E LA TRASMISSIONE DELLA VITA Trento, ottobre 1993

don Fiorenzo Chiasera - WebDiocesi · 4 2. Andamento della popolazione mondiale dalle origini alla metà del Settecento, ossia alla «rivoluzione demografica» Le ricostruzioni degli

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don Fiorenzo Chiasera

IL MATRIMONIO

E LA TRASMISSIONE DELLA VITA

Trento, ottobre 1993

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IL MATRIMONIO

E LA TRASMISSIONE DELLA VITA

1. Timori, problemi e dibattiti nuovi

Ab immemorabili l'umanità è vissuta nel nostro pianeta attingendo ilpiù possibile alle sue risorse, senza mai chiedersi quale fosse il rapportoauspicabile tra l'andamento della popolazione e dei mezzi, ambiente com-preso. L'umanità è vissuta tranquillamente, giorno dopo giorno, goden-do di quello che c'era, soffrendo per ciò che mancava, godendo per lenascite e piangendo per

.le morti, coltivando la terra, andando a nozze,

mettendo al mondo figli e seppellendo i morti.

Da qualche tempo non è più così.

Ci si preoccupa sempre più delle condizioni nelle quali già viviamo edi quelle che ci si preparano per il futuro: ciò riguarda l'aria da respirare,la sufficienza d'acqua, la sanità dei cibi e soprattutto i problemi dellapopolazione, a cominciare dal numero enorme di uomini che, quantoprima, abiterebbero il nostro pianeta. Non c'è più solo la bomba atomi-ca che minaccia l'umanità: c'è pure la bomba ecologica e ci sarebbesoprattutto la bomba demografica.

Di qui il problema di regolare le nascite.

Un problema recente, moderno, che l'umanità nella sua lunga storianon ha mai avuto, perché fino al 1800 la popolazione era molto scarsasulla faccia della terra. Basti pensare che anche nell'epoca napoleonical'età media in Europa era di 35 anni! In simili condizioni non si è nemme-no sfiorati dal desiderio di limitare le nascite: il problema demograficosemplicemente non esisteva.

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2. Andamento della popolazione mondiale dalle origini alla metàdel Settecento, ossia alla «rivoluzione demografica»

Le ricostruzioni degli storici concordano nell'attribuire alla popolazionemondiale dei ritmi di incremento estremamente lenti, per tutto il periodoche va dagli albori dell'umanità fin verso la seconda metà del secoloXVIII: si parla di 2-20 milioni di persone circa diecimila anni fa, di circa300 milioni all'inizio dell'era volgare cioè verso il 1200, di circa 550milioni nel 1650, e di poco più di 700 milioni nel 1750.

Per l'antichità abbiamo, come punto di riferimento valido, il censi-mento di Cesare Augusto, che fissò la popolazione dell'impero romanoin circa 54 milioni di abitanti; si trattava di tutto il mondo allora conosciu-to: 23 in Europa, 19,5 in Asia e 11,5 in Africa. Le stime più attendibiliper gli altri territori e continenti allora sconosciuti arrivano ad una ciframedia di una popolazione che doveva aggirarsi sui 300 milioni di abitan-ti. Una popolazione che poi andò rarefacendosi negli ultimi tempi, i se-coli bui dell'Impero d'Occidente, per disordini, guerre, malnutrizione,pestilenze. Bisogna inoltre tenere presente che quando scoppiavano legrandi epidemie, come avvenne tra il 1347 e il 1350 o tra il 1628 e il1630, nel giro di un paio di anni la popolazione si riduceva di un terzo. Civoleva poi parecchio tempo per riprendersi e riportare il numero di abi-tanti al punto di partenza.

In una simile situazione nessuno quindi si poteva sognare di limitare lenascite. Con un'età media così bassa bisognava invece mettere al mon-do tanti figli quanti ne venivano, nella speranza che qualcuno di lorosopravvivesse, arrivando, a sua volta, a procreare. Infatti un'età mediadi 35 anni significa un tasso di mortalità infantile notevolissimo: due terzidei bambini morivano prima dello svezzamento! Fare un figlio o due, inuna simile situazione, voleva dire esporsi al rischio di rimanere senzanessuno! Tanto più che i figli, in quella impostazione di vita agricolo-patriarcale, erano un grande «investimento» da tutti i punti di vista, siaper l'azienda agricola o artigiana (dove non c'era la meccanicizzazione laforza delle braccia era decisiva), sia per la malattia (il ricorso all'ospeda-le comincia nell'800 ed era praticato «in extremis»), sia per la vecchiaia(per gli anziani non c'erano assicurazioni né pensioni di sorta).

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3. Andamento della popolazione mondiale dalla metà del 1700alla fine della II guerra mondiale

A partire dalla metà circa del '700, iniziando dall'Inghilterra e allar-gandosi poi progressivamente all'intero mondo occidentale, avvengono,in un tempo relativamente breve, alcuni fatti che cambiano profonda-mente l'andamento della popolazione, provocando quella che comune-mente viene detta «rivoluzione demografica»: il crollo della mortalità,specialmente infantile, il crollo della natalità, uno spostamento dellanuzialità, la mutazione della composizione per età, l'allungamento dell'etàmedia della vita e soprattutto, almeno in un primo tempo, un forte au-mento della popolazione. Vediamo questi fatti un po' più distintamente.

Primo fatto: un rapido crollo della mortalità in genere e di quellainfantile in modo particolare.

A partire dalla metà del '700 assistiamo, iniziando dall'Inghilterra, adun complesso di fatti, in se stessi piuttosto modesti - ad es. maggioreimpiego di acqua nei servizi igienici (si pensi all'ormai notissimo WC),più grande cura dell'alimentazione e, in genere, della tenuta della propriapersona, della casa, ecc. la scoperta dei primi vaccini e la comparsadelle prime condotte mediche - che portano alla prevenzione di moltemalattie e soprattutto delle epidemie e quindi al crollo della mortalità ingenere, a quella infantile in modo particolare.

Secondo fatto: il crollo della natalità.

Al crollo della mortalità segue il crollo della natalità. Ciò non accadesubito, contemporaneamente al crollo della mortalità; per qualche tem-po, infatti, la natalità rimane alta - cioè si continua a procreare comeprima - mentre la mortalità ha già iniziato la sua discesa. Ma dopo qual-che tempo anche la natalità imbocca la strada della discesa. Il fatto risul-ta dalle statistiche.

La ragione sta in primo luogo in una crescente conoscenza dei feno-meni della sessualità e della riproduzione e in una crescente onerosità delfiglio, congiunta con una visione sempre più terrestre, per non dire mate-rialistica, della vita. In passato, infatti, le cognizioni di cui l'uomo dispo-neva, riguardo ai fenomeni della sessualità e della connessione tra

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sessualità e riproduzione, erano assai modeste, onde per escludere lacomparsa di nuove creature umane non si disponeva sostanzialmente dialtra via che l'esclusione dell'esercizio stesso della sessualità. Ora, inve-ce, a mano a mano che si procede nel tempo, anche questi fenomenidiventano più noti e si vede sempre più chiaramente la possibilità di di-sporre dell'esercizio della sessualità, senza giungere a nuovi concepimentio almeno a nuove nascite: si incomincia con il coito interrotto, poi ven-gono gli antifecondativi meccanici e chimici, infine gli antifecondativiormonali (la cosiddetta «pillola»), per giungere alla sterilizzazione e, incerti casi, anche all'aborto, pensato e cercato esso pure in funzione dellalimitazione delle nascite.

A ciò si aggiunse, in secondo luogo, il rapporto tra i vantaggi e glisvantaggi della venuta di un figlio nel seno della famiglia. In passato, dauna parte il figlio non costava quasi nulla: almeno a livello popolare, noncostava nulla prima della nascita, nulla durante il parto, e nulla durante glianni dell'infanzia, della fanciullezza, dell'adolescenza, ecc.; d'altra parte -sempre a livello popolare - comportava anche dei vantaggi, perché re-cava nuove braccia per l'azienda agricola o artigianale della famiglia; orainvece, a mano a mano che si procede nel tempo, i suoi costi aumentanosempre di più: il figlio costa prima della nascita, costa quando nasce,costa durante la fanciullezza, l'infanzia, l'adolescenza, ecc.; l'arco dellascolarità cresce; potrà forse trovare difficoltà per il lavoro e per il matri-monio; ed appena acquista una sua autonomia economica, il figlio lasciala famiglia di origine per dar vita a una sua famiglia propria, in un'abita-zione propria, con un proprio bilancio e difficoltà economiche proprie,per cui non può venire economicamente in aiuto ai genitori.

Codesto complesso di nuove conoscenze, che consentono di acce-dere all'esercizio della sessualità senza mettere in moto il processo ri-produttivo e codesto complesso di difficoltà e di costi del figlio, nonpossono non far sentire il loro peso, man mano che cresce l'orientamen-to della vita alla comodità e persino al godimento e al piacere. In questoclima anche la coppia si sente più portata a cercare, nell'esercizio dellasessualità, il piacere che essa comporta, evitando concepimenti e nasci-te piene di rinunce e di preoccupazioni; l'uomo e la donna cercano sem-

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pre di più il figlio nella misura in cui reca loro gratificazione; lo evitanoquando porta pesi e sacrifici. Si comprende quindi come si cerchi diritardare il più possibile la comparsa del primo figlio e, più ancora, diescludere la comparsa di nuove creature dopo il primo o, al massimo, ilsecondo figlio.

In altri termini, si comprende fin troppo bene perché e come si siapassati da una natalità al naturale e quindi, in concreto, da una natalitàpiuttosto alta a una natalità guidata dalla volontà, ovverosia a una natalitàsempre più bassa; pertanto risulta chiaro il crollo della natalità.

È un fenomeno che le statistiche confermano, ma che, al limite, nonha bisogno di statistiche per essere compreso nel suo contenuto, nellasua origine e nel suo sviluppo. Se poi, a tutto ciò si aggiungono le stessedifficoltà della custodia del figlio piccolo, a motivo della nuclearità dellafamiglia e del lavoro fuori casa dell'uomo e della donna, il quadro divienecompleto e drammatico.

Terzo fatto: spostamento della nuzialità.

Anche questo fatto è attestato dalle statistiche: il giovane, che nelpassato si sposava attorno ai vent'anni, ora rimanda sempre più il matri-monio e passa a nozze a 25-30 anni ed oltre. Altrettanto si dica dellagiovane: non si sposa più a 17-18 anni, ma a 23-25 ed oltre. Per lo piùla donna non procrea prima dei 30 anni. La ragione sta, di nuovo, nel-l'avvento di gravi difficoltà per il passaggio al matrimonio. Nella famigliadel passato il matrimonio non comportava quasi nessuna difficoltà e po-neva ben pochi problemi: nessun problema di conoscenza del partner,perché ci si sposava nell'ambito delle proprie conoscenze di sempre;nessun problema di locali, perché bastava una camera nella casa pater-na; nessun problema di bilancio, perché bastava aggiungere una scodel-la a mensa; nessun problema di lavoro, perché il marito continuava illavoro del padre e la moglie continuava il lavoro che aveva iniziato nellasua casa di origine... Man mano invece che il processo di industrializza-zione procede e si passa dalla famiglia patriarcale alla famiglia nucleare,nascono problemi di lavoro, di casa, di bilancio, ecc. Così la data delmatrimonio si sposta, l'arco di fecondità della donna si abbrevia; e glianni della riproduzione si spostano verso la fase terminale del ciclo.

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Questi tre fatti, ossia il passaggio delle componenti di un regimedemografico da un andamento al naturale ad un andamento guidato dal-la volontà, nel senso di crollo della mortalità, crollo della natalità e spo-stamento della nuzialità, portano ad altri fatti che meritano di essere ana-lizzati con non minor cura: l'allungamento della durata media della vita, ilcambiamento nella composizione per età della popolazione e soprattut-to, almeno per un primo periodo, un forte aumento della medesima.

Quarto fatto dunque è l'allungamento dell'età media della vita.

Man mano che ci si avvicina ai nostri giorni, i biblici 70-80 anni nonsono più privilegio dei più robusti.

Quinto fatto è la mutazione nella composizione per età della po-polazione.

Il crollo della mortalità da una parte e della natalità dall'altra hannoportato ad una progressiva diminuzione delle età infantili e giovanili ed auna crescita della popolazione adulta e senile. La piramide delle età dun-que cambia volto.

Sesto fatto è, almeno in un primo periodo, un forte aumento dellapopolazione.

Anche qui il fatto è attestato dalle statistiche.

Ci si chiederà il perché di tale folle crescita, dal momento che, tra ifenomeni ricordati, c'è anche la diminuzione della natalità.

Le ragioni sono due: il ritardo della diminuzione della natalità in con-fronto con la diminuzione della mortalità e il mutamento della composi-zione per età della nuova popolazione.

La rivoluzione di cui stiamo parlando è sorta in Inghilterra; di là si èdiffusa a tutto il mondo occidentale; non ha toccato invece, in questoperiodo, il terzo mondo: Africa, Asia, parte della stessa America delNord e l'America Latina in questo periodo non sono state raggiuntedalla «rivoluzione demografica».

Negli stessi Paesi dell'occidente la «rivoluzione demografica» ha at-traversato l'intero periodo dal 1750 alla fine della seconda guerra mon-diale: due secoli buoni.

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Tutto ciò consente già qualche riflessione, anzitutto a riguardo delconcetto esatto di «rivoluzione demografica».

A noi sembra che il contenuto esatto di tale concetto consista nellarapida e profonda trasformazione delle componenti di un regimedemografico, ossia dell'andamento di mortalità, di natalità e di nuzialità;lo sviluppo della popolazione e il suo cambiamento di composizione nesono piuttosto i frutti. In tal senso si potrebbe dire che la «rivoluzionedemografica» è il fenomeno di partenza del periodo analizzato.

4. Andamento della popolazione mondiale dalla fine della IIguerra mondiale al 2000 e oltre

Che lo sviluppo demografico costituisca un problema è sotto gliocchi di tutti, perché nel 1950 la Terra contava 2 miliardi e mezzo diabitanti, nel 1975 eravamo 4 miliardi, nel 1990 5 miliardi e 300 mila, nel2010 saremo 7 miliardi e 200 mila e nel 2020 8 miliardi. A questotraguardo è gioco-forza arrivarci, perché le pedine sono già tutte impo-state.

D'altra parte c'è però la situazione del Nord del Mondo che stainvecchiando terribilmente, per cui non si può riferire qui ciò che vienedetto su piano mondiale: da noi non si può auspicare una altrettanto«coraggiosa» limitazione delle nascite. Ormai ne parlano frequentemen-te anche i mezzi di informazione. La media delle nascite in Europa è di1,7 figli per donna, ma in Italia è di 1,3: abbiamo il primato di essere ilpopolo che fa meno figli su tutta la faccia della Terra! Nell'Italia stessa,la Campania e il Sud sono assestati sui valori europei, mentre l'EmiliaRomagna, che è una delle regioni più benestanti e più socialmente as-sistite, ha una media di 0,9 figli. In un recente dibattito televisivo si èudita una donna di Bologna sostenere di aver amato talmente i proprifigli da non metterli al mondo.

La congiuntura demografica dell'Europa costituisce il fatto di princi-pale importanza, a cui tutta l'informazione europea dovrebbe rivolgersi,

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come la medicina si volge a guardare le indicazioni della sopravvivenzadi un malato in pericolo di morte.

Nel Magreb, invece, e nel terzo mondo in genere, la media è di 6 figliper donna.

Il problema demografico dunque esiste, ma non si risolve certo conl'estinzione che l'Europa sta rischiando.

Alla luce di queste considerazioni prende singolare rilievo il gridolanciato da Giovanni Paolo II sul «suicidio» dell'Europa, nel discorsodell'11 ottobre 1985 al consiglio delle Conferenze episcopali europee:«La denatalità e la senescenza demografica non si possono più ignorare,o ritenere come una soluzione al problema della disoccupazione. Lapopolazione europea, che nel 1960 costituiva il 25% della popolazionemondiale, se dovesse continuare l'attuale tendenza demografica, scen-derebbe - alla metà del prossimo secolo - al livello del 5%: sono cifreche hanno indotto qualche responsabile europeo a parlare di un "suici-dio demografico" dell'Europa».

Infine non si può omettere di ricordare come dall'invecchiamentodella popolazione discendono, da una parte un maggior onereprevidenziale, un maggior onere sanitario, una maggiore emarginazionedegli anziani; dall'altra parte i minori bisogni - anche di personale - perl'assistenza dell'infanzia e l'istruzione. Dallo squilibrio tra l'andamentodella popolazione nel Nord e nel Sud deriveranno ulteriori difficoltà perl'occupazione nel Meridione ove si fanno più figli, maggior flussomigratorio verso il Nord, coi relativi insediamenti, specialmente nelpubblico impiego. Non sono problemi da poco, che dimostrano lanecessità di seguire molto attentamente l'andamento della popolazionedel nostro Paese.

Né il problema demografico a livello mondiale, per converso, sirisolve facendo fare «tout-court» meno figli al Terzo mondo, come, daun punto di vista molto rozzo ed ignorante, si sente dire frequentemente.Lì accade infatti quello che succedeva da noi secoli or sono: permanen-do l'attuale situazione socio-economico-sanitaria, fare meno figli equi-varrebbe a soccombere. L'eccesso di sviluppo demografico si riequili-

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brerà ragionevolmente, allorché verranno aggrediti e gradatamente ri-solti gli altri fattori perversi che causano la terribile situazione del Terzomondo: occorre sviluppo, lavoro, un domani, occorre di che sfamarsi,alfabetizzazione, assistenza sanitaria, beni pressoché tuttora assenti, ri-servati a pochi privilegiati. Solo a queste condizioni, con una certa«sicurezza di vita», sarà possibile ridimensionare anche il problemademografico.

5. Mentalità anti-life e politica familiare

Nella società occidentale va diffondendosi una cultura contraria allavita, connotata da una certa «allergia» alla vita. A questo riguardo sisono mossi recentemente anche i vescovi italiani, nella loro conferenzaplenaria (Roma, maggio 1993), chiedendo una diversa politica, consa-pevoli però che non è sufficiente.È solo un aiuto doveroso e concreto,che sia ben chiaro nel programma politico, da esigere da coloro cui sidà il proprio voto. Alla coppia infatti deve essere data una vera pariopportunità, che permetta una libertà di scelta. Non è giusto che unacoppia venga penalizzata, costretta ad affrontare tasse, sacrifici, ristret-tezze, per una scelta responsabile di generosità procreativa.

In questo senso, stipendi, «salario» alla casalinga, assegni familiari,politica della casa, assistenza all'infanzia, lavoro «part-time» vanno pen-sati e gestiti in maniera favorevole alla famiglia, come già è in atto nelNord Europa. Sono interventi che certo non bastano a determinare unasvolta nella mentalità, ma sono pur sempre dei passi che possono faci-litarla.

6. Dimensioni indispensabili per un autentico esercizio dellasessualità

Perché l'esercizio della sessualità sia umano - il che significa «degnodell'uomo», benefico, in quanto rispondente al disegno di Dio - devonoessere compresenti alcune dimensioni che rendono autentica quella

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determinata espressione di vita erotico-genitale. Il modo stesso con cuiqueste dimensioni vengono enucleate, corrisponde a una certa gerarchiadei valori in gioco: le diverse dimensioni dell'autenticità dell'amore sonotutte volute dall'ordine morale oggettivo, ma non tutte hanno lo stessopeso e la stessa importanza. Metterle sullo stesso piano sarebbe tradirela verità, perché fa parte della verità globale anche la gerarchia delleverità particolari.

Si tratta anzitutto della dimensione «amorosa», cioè dell'autenticità«psicologica» dell'amore: un amore vero, degno dell'uomo, benefico,vuole essere per natura sua eterno, fedele, unico-esclusivo. L'amore èautentico innanzitutto in quanto atteggiamento interiore: amare è volerbene, volere il bene di colui che si ama. Senza questa autenticità,l'espressione sessuale è menzognera nel senso più totale e diretto. Ladimensione amorosa è pertanto basilare per giustificare la sessualitàumana, che diventa appunto un linguaggio corporeo significante l'amore,non solo una funzione biologica riproduttiva, come nel mondo infra-umano.

La seconda dimensione dell'autenticità dell'amore è costituita dall'ac-cettazione leale della «missione procreativa» dell'amore, con un proget-to globale di fecondità responsabile. L'amore, per natura sua, è fecon-do, creativo. La vita è un fenomeno di relazione e, come tale, l'amoreè la misura della vita: si è in quanto si ama, in quanto si è «con» qualcunoe «per» qualcuno. I medioevali, al riguardo, avrebbero detto che «ilbene vuole diffondersi e, per natura sua, si comunica». È così che si vivedi affetto più che di ogni altra cosa al mondo. Che cosa fa il Signore,se non dirci: «Ti amerò comunque nella vita!». Dio, in se stesso, checos'è, se non tre relazioni amorose? Ogni amore è creativo, nel sensoche aiuta a vivere: solo l'amore fra un uomo e una donna è pure pro-creativo.

La terza dimensione, che rende valido e benefico l'esercizio dellasessualità, è la sua «responsabilità sociale». L'amore (pur restandouna scelta molto personale e pur essendo riservato nelle sue manifesta-zioni erotico-sessuali) non è un affare privato, bensì un «bene» pubblico,vitale per tutta la comunità, non solo per le famiglie interessate. Mano

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a mano che cresce e matura, il «noi» amoroso diventa una dimensionesempre più forte e sempre più bisognosa di essere riconosciuta dallacomunità in cui la coppia è inserita, fino ad essere recepito come unarealtà stabile nel suo seno. Su questa insopprimibile dimensione socialedell'amore si fonda la negatività morale oggettiva dell'espressione coniu-gale al di fuori dello stato coniugale.

La quarta dimensione dell'amore è costituita dalla autenticitàespressiva, legata al rispetto del suo linguaggio, rispetto che rendepossibile la veracità piena e totale del gesto sessuale. È in forza di questadimensione espressiva che non può essere detto del tutto autenticol'amore che si esprime nell'atto sessuale che la morale tradizionale chia-mava «contro natura».

7. Generosità procreativa inerente all’amore di coppia

Quest'ultimo aspetto ha una sua importante consistenza, ma, quandoparliamo di responsabilità procreativa, va anzitutto fortemente enucleatala seconda dimensione dell'amore, cioè il suo aspetto fecondo cometale. Una coppia sana, nella propria relazione amorosa, vive un momen-to estatico, entusiastico dell'esistenza, in cui tutto arride. Questa vita,che i consorti sperimentano così profondamente coinvolti nella gioia,nella fiducia, nella speranza, vale la pena donarla: ciò è nella natura dellecose.

Se ne ha la controprova nel fatto che, se una coppia non può averefigli non è avvantaggiata, ma sottoposta a una sofferenza notevole, chepuò essere superata riscoprendo e vivendo ancora più intensamente ladimensione spirituale della paternità e della maternità (in senso ecclesialee sociale - cfr FC 41). «La fecondità è il frutto e il segno dell'amoreconiugale, testimonianza viva della piena donazione reciproca degli spo-si» (FC 28).

L'atto sessuale ha in sé due significati inscindibili:- è significante l'amore;- è aperto alla vita.

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In questa prospettiva si può capire l'insegnamento profondo della«Humanae Vitae» (n. 8 e 12), la cui punta di diamante rappresenta labase di tutta l'etica sessuale cattolica, quando dice che l'atto sessuale hain sé due significati inscindibili, perciò intrinsecamente sempre connessi.Pertanto ogni atto sessuale, in se stesso, è «significante» l'amore diquella coppia, ed, in se stesso, è contemporaneamente «significante» lavita.

Ogni coppia trova tutta una metodologia espressiva del proprio rap-porto amoroso ricorrendo al linguaggio erotico-sessuale, che non èqualcosa di meccanico e di periodico come nel mondo animale. Nelmondo umano esso è soprattutto un fatto culturale, perciò libero. Tut-tavia, alla fin fine, la coppia per dirsi tutto il bene reciproco, nel momentoculminante, non ha di meglio che ricorrere all'atto sessuale, all'atto ge-nitale, laddove i due diventano «una carne sola».

Ma quel gesto, cui normalmente bisogna ricorrere per manifestarsil'amore sponsale, è il medesimo gesto che genera la vita. Può darsi chequella coppia, facendo l'amore, non ci pensi, che non abbia interesse alriguardo, che avere dei figli, in quelle circostanze, sia proibitivo, ma restail fatto che i coniugi, per dirsi tutto il bene che si vogliono, non hanno dimeglio che ricorrere all'atto generativo, alle strutture della vita, al lin-guaggio della vita, ragione per cui questi due aspetti sono inseparabili.Questo è il principio basilare di tutta l'etica sessuale cattolica fino adoggi; principio che compagina tutta la normativa e quadra tutti i problemidel settore.

Questo principio permise a Paolo VI di scrivere la «Humanae Vitae»nel luglio 1968, e questo stesso principio permise alla Congregazioneper la dottrina della fede di scrivere la «Donum Vitae» nel febbraio1987. La prima, nei nn. 13-14, contiene l'insegnamento del Papa, inbase al quale non è lecito ricercare l'aspetto unitivo, amoroso dellacoppia (che pure è doveroso coltivare), prescindendo dall'apertura allavita che in quel gesto è insita; la seconda afferma che non è lecitopromuovere la vita, perciò la nascita di una nuova creatura, pre-scindendo dall'aspetto unitivo della vita di coppia.

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La fecondità quindi non è qualcosa di facoltativo rispetto all'amore,ma è inerente all'amore. Un biologo potrebbe magnificamente spiegare,ricorrendo alla fisiologia e all'anatomia della sessualità, come la naturaabbia tutto ingegnosamente predisposto mirando alla vita. Si potrebbedire con uno "slogan": ci si innamora perché si muore! L'amore è la forzapropulsiva, la passione più coinvolgente, proprio perché è quella chedeve garantire la vita. Si comprende pertanto come la mentalità attuale,allergica alla vita, sia veramente contrassegnata dalla morte; un mondo,il nostro, che si presenta come una fantasmagoria di vita, giovanilista evivace, ed invece è necrofilo.

8. Motivi della anti-life mentality

Sorge immediatamente la domanda: perché questa innaturaledisaffezione alla vita?

Lì per lì verrebbe da rispondere che la vita è dura, che la vita è esigente,che per lo più bisogna lavorare in due per non essere penalizzati, chela casa non sempre si trova, che i ritmi giornalieri sono terribili...In partetutto questo è vero. Ma se la causa fosse proprio questa, come ci si spiegache proprio nelle classi più alte ci sono meno figli?

Altre risposte: il mondo è brutto, l'orizzonte è pieno di fosche pre-visioni, si va verso il peggio...Ma perchè allora tante coppie fanno ununico figlio? Forse che per questo «unico» il mondo è migliore?

Lo stesso ragionamento risulta valido dal punto di vista educativo:solitamente è molto più agevoleallevare due o tre bambini che uno solo,perchè si educano e si smussano a vicenda. Infatti essere «unico» nonè bene, innanzitutto per il figlio stesso, il quale sarà costretto, per moltotempo, a vivere solo o in compagnia di persone non della sua età. Inoltresarà messo in tentazione di comandare, anziché ubbidire. Ed infine, conogni probabilità, sarà accontentato in tutto, anche nei capricci.

Ma l'altro vero aspetto, il più profondo, che causa e denota questasituazione di «allergia alla vita» è l'angoscia. Il nostro mondo è nevrotico,angosciato.

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Stiamo vivendo una svolta epocale, preparata e determinata dallosviluppo scientifico-tecnico, la «rivoluzione industriale», che ha causatoil conseguente dissesto della società e della cultura agricolo-patriarcaleche stiamo vivendo oggi in modo così concentrato, dando luogo a quelloche viene chiamato il mondo moderno, caratterizzato da un modo dipensare concreto, dinamico, antropocentrico. Il cambiamento è in cor-so da secoli, ma, finora, aveva riguardato solo l'«élite» borghese, mentreil popolo era rimasto nella mentalità statica ed allegorica propria delmondo campagnolo, pre-tecnico. Soltanto nel dopoguerra questo cam-biamento ha investito e pervaso tutta la società, fino all'uomo dellastrada. Una cultura millenaria, propria del mondo agricolo-patriarcale,caratterizzato da uno stile di vita semplice, omogeneo, tradizionale èpertanto crollata in un ventennio. Il risultato immediato è il nostro mondosegnato dalla frammentazione, dalla complessità, dalla diversificazionedei ruoli, dal conseguente disorientamento e dalla difficoltà di senso.

Si sa meglio di ieri «come» andare nella vita, ma spesso non si sa«dove» andare. Di qui il vuoto, la noia, l'ansia, l'angoscia, la mancanzadi significato. Tutta una generazione senza padre! «Ma senza Dio esenza Maestro il peso dei giorni è terribile» (A. Camus). Mancanoideali, manca il futuro, manca la speranza, manca un vero progetto divita, perciò che senso ha far figli? «Cogli la rosa finch'è fiorita, deldoman non v'è certezza» (Lorenzo il Magnifico). «Coronemus nos rosis,cras moriemur», come dicevano i Romani nella decadenza dell'impero.

9. Il figlio unico, per lo più, è voluto come un bene per se stessi,come un diritto

Tutt'al più si accetta di fare un solo figlio, ma in realtà quel figlio èvoluto per se stessi, come un bene accanto a tanti altri beni, un bene dicui si rivendica il diritto. Che sia così è dimostrato da due fatti cheprovengono dalla medesima radice: se è in atto una gravidanza e quelfiglio non viene sentito come un bene, lo si elimina (su 100 nati vivi ci

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sono 30-40 aborti); viceversa, se il figlio viene sentito come un bene enon viene, lo si «fa fare», dato che oggi tecnicamente ciò è possibile.

In questo modo il figlio diventa un prodotto tecnico, non più il fruttodel mistero dell'amore, dove, diventando due in una carne sola, ci è datoil diritto e il dovere di diventare papà e mamma l'uno tramite l'altro.

10. Il figlio è un dono frutto del mistero dell'amore: amore coniu-gale e fecondità

Il figlio invece è un bene in se stesso e va voluto per se stesso. Lodice anche il concilio Vaticano II: «L'uomo è la sola creatura che Diovolle per se stessa» (GS 24). Tutto il resto è per l'uomo! Il figlio quindiva ricevuto come un dono che trascende l'operato dei coniugi: non è unprodotto della coppia, ma una persona umana che va educata ad esseresempre più libera ed autonoma. In questo senso va coltivato per anni,soprattutto con una buona esemplificazione, e poi, man mano, messo ingrado di coltivarsi da sé, affinché faccia la sua strada. Il figlio è di Dio,prima che dei coniugi! Nasce dal mistero d'amore dei due uniti in unacarne sola. Se il figlio dunque va voluto per il suo bene, ciò esige cheappena si può (se si può) non lo si lasci solo, perché ciascun simile cercail proprio simile e il bambino ha bisogno di altri bambini per imparare avivere, dato che la vita è condivisione, è socializzazione, è comunione.

Una coppia umanamente sana, tanto più se cristiana, prova quindi«onore e gioia» - come dice il Concilio nella GS - nel dare la vita econsidera la procreazione come «altissima vocazione» e i figli «donopreziosissimo del matrimonio» (GS 50).

11. Il matrimonio trova nell'amore umano la legge fondamentaledel suo valore morale (Paolo VI)

Il Vaticano II (1962-65) ha abbandonato il linguaggio teologicomillenario che parlava di «fine primario» del matrimonio, cioè la procre-

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azione e di «fine secondario», cioè l'aspetto amoroso come rimediodella concupiscenza e reciproco aiuto.

Poco prima, nel 1946, lo studioso tedesco H. Doms aveva elabo-rato, nella sua ricerca, un'altra prospettiva, mettendo al centro delmatrimonio l'amore come dono e compito della coppia. Dall'amoredovevano derivare tutta la ricchezza e gli impegni degli sposi, compresala procreazione. Ma i tempi erano prematuri e quell'opera fu messaall'indice! Tuttavia ciò che egli disse venne ripreso un ventennio dopodal Vaticano II (cfr GS 48).

Il Concilio, grazie al rinnovamento biblico, valorizzando ilpersonalismo degli anni '30, che aveva fatto riscoprire tutta un'altravisione dell'amore, parla in modo preclaro dell'affetto tra l'uomo e ladonna e della sessualità stessa («Sono onorabili e degni gli atti con cuii coniugi si uniscono in intimità» - GS 49). Riconosce queste dimensioniindispensabili alla vita di coppia («Là dove è interrotta l'intimità coniu-gale, non raramente è messa in pericolo la fedeltà di coppia e può venircompromesso il bene dei figli...: l'educazione e il coraggio di accettarnedegli altri» - GS 51). Dice ancora che gli atti con cui i coniugi si unisconoin intimità non soltanto esprimono l'amore, ma contribuiscono a farlocrescere (GS 49), lo alimentano e, proprio a questo proposito, parla«della missione propria dei coniugi di trasmettere la vita umana e dieducarla» (GS 50).

12. I figli dono preziosissimo del matrimonio: un progetto globa-le di fecondità

Ciò è tanto più valido per gli sposi cristiani: si tratta di vocazionedivina, che li porta ad essere interpreti dell'azione creatrice di Dio, che,tramite l'amore della coppia, arricchisce di nuovi figli la famiglia divinaoltre che l'umana società (cfr GS 50).

Gli sposi sono «cooperatori dell'amore di Dio Creatore e quasi suoiinterpreti» (GS 50); pertanto «pro-creatori», creatori della vita con Dio

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e al posto di Dio, che interviene dando una vita e uno spirito immortaleai loro figli. È questo l'aspetto più decisivo di quella visione biblica dellacreazione come realtà aperta, non come realtà conclusa, dove l'uomoè cooptato nel portare avanti l'opera creatrice di Dio, «che, attraversodi loro, continuamente dilata e arricchisce la sua famiglia» (GS 50).

Anche in questo senso i cristiani hanno il dovere di testimoniare, inmodo preclaro, la speranza, perché credono fattivamente nell'amore diDio, che per i suoi figli prepara «cieli e terra nuova». Certo, fare dei figlioggi è più rischioso che in altre epoche, soprattutto per l'aspetto educa-tivo (cfr GS 47); tuttavia Dio non ci chiede di riuscire in questo compito,ma di essere testimoni: la riuscita dipende anche da altri fattori, anzituttodalla responsabilità personale. Di qui il recupero di quel progetto glo-bale di fecondità di cui si parlava poc'anzi.

13. Generosità e responsabilità, criteri inderogabili per la pro-creazione

Il Vaticano II dà due grandi criteri per orientarsi in queste scelte ariguardo della fecondità, parte integrante dell'amore della coppia:l'aspetto generoso della procreazione e l'aspetto responsabile dellaprocreazione.

«E perciò adempiranno il loro dovere con umana e cristiana respon-sabilità e con dovuta riverenza verso Dio, con riflessione e impegnocomune, si formeranno un retto giudizio, tenendo conto sia del propriobene personale che di quello dei figli, tanto di quelli nati che di quelli chesi prevede nasceranno, valutando le condizioni di vita del proprio tempoe del proprio stato di vita, tanto nel loro aspetto materiale, che spirituale;e infine, salvaguardando la scala dei valori del bene della comunitàfamiliare, della società temporale e della stessa Chiesa» (GS 50).

A questo proposito va notato che non ci sono misure standard perquanto riguarda il numero dei figli. D'altronde tutta questa prospettivanon mira affatto a far fare chissà quanti figli!

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Dio, creandoci a sua immagine e somiglianza, ci ha resi sapienti,previdenti e provvidenti. Certo, Dio è la vita, è la vita in pienezza, ce l'hapartecipata, è venuto «perché avessimo la vita e l'avessimo in abbon-danza». Nessuno ha autorità sulla vita se non lui, che ne è il solo vindice.Tuttavia Dio non vuole la vita «comunque», la vita buttata lì senza po-terla seguire, educare e portare a compimento. Dio vuole sì l'«essere»,ma, dato che ciò che Lui fa lo fa bene, vuole nel contempo un «ben-essere»: ecco l'aspetto della responsabilità procreativa.

Il Concilio non dubita di lasciare ai coniugi il giudizio, il discernimentosul numero dei figli e sul momento più opportuno per metterli al mondo,pur esortandoli a fidarsi della Provvidenza. Tale decisione, in ultimaanalisi, tocca ai coniugi, in coscienza e in dialogo, davanti a Dio (cfr GS50). Quello che è decisivo, dal punto di vista morale, è avere l'atteggia-mento giusto, cioè generoso e responsabile, l'attitudine gioiosa verso laprocreazione. Questa disposizione troverà poi attuazione adeguata nellecircostanze concrete che quella determinata coppia si troverà a vivere:la salute propria e dei figli, la forza educativa, l'andamento della gravi-danza e del parto, la stessa situazione finanziaria ed abitativa, ecc. IlConcilio, parlando in questi termini, tratta pertanto gli sposi da personemature.

14. La regolazione delle nascite: il problema dei mezzi

Passiamo ora all'ultima dimensione che rende autentico l'eserciziodella sessualità. Dopo aver illustrato, con un certo approfondimento, ladimensione psicologica, la dimensione feconda, la dimensione socialedell'amore, ne analizzeremo ora la dimensione espressiva.

Sta in questo il problema vero e proprio che diede luogo all'enciclica«Humanae Vitae» ed alla norma del n. 14 di quel documento magiste-riale di Paolo VI, che afferma che l'atto sessuale, sia prima, sia durante,sia dopo il suo compimento, ex sese, deve rimanere aperto alla vita.Questo è il punto decisivo! Si tratta pertanto del problema dei metodida usare, quando è giusto, per responsabilità verso la vita, non dare la

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vita, pur dovendo tuttavia essere due in una carne sola, perché l'amorelo esige.

Diverso è dunque questo problema (più settoriale, ma vicino alla vitaconcreta) dei metodi da adottare per l'attuazione del progetto globaledi fecondità. Diverso è l'oggetto del problema: non si tratta di un atteg-giamento interiore o del progetto globale, ma della struttura precisa diun atto concreto. Diversi sono i valori in questione: non l'apertura glo-bale alla vita (che si suppone presente), ma il rifiuto di chiudere artifi-ciosamente alla vita il singolo atto che fosse di per sé fecondo.

Il giudizio morale sul progetto globale può essere negativo o positivo,ma esso non si identifica con il giudizio sulla qualità morale del metodo.

La decisione di non avere figli può essere pienamente giustificata inse stessa; essa deve ancora affrontare il giudizio ulteriore della validitàmorale dei metodi che utilizza.

È vero che dietro la contraccezione c'è spesso una mentalitàcontraccettiva; ma non la si può sempre presumere.

Pertanto il problema della contraccezione deve restare concettual-mente distinto da quello della generale apertura alla vita, soprattutto perrendere giustizia alla situazione angosciosa di parecchie coppie cristianeche, pur praticando la contraccezione, non possono essere accusate diegoismo o di mentalità anti-vita.

Quali sono dunque i termini di questo problema?

Sappiamo che l'atto con cui i coniugi si fanno collaboratori di Dio percomunicare la vita è il medesimo identico atto con cui essi si dicono illoro amore.

Questo atto è periodicamente capace di comunicare la vita, secondoritmi non sempre facilmente riconoscibili e padroneggiabili, indipendentidalle intenzioni dei coniugi.

L'attuazione di una paternità responsabile, segnata da numero emisura, deve fare i conti con questa fecondità. Ai coniugi si aprono levie del silenzio sessuale (periodico o totale) oppure la repressione dellaeventuale fecondità dell'atto con artifici vari.

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Gli sposi che vogliono attenersi al primo metodo sperimentano an-cora oggi difficoltà notevoli: l'espressione dell'amore attraverso l'attoconiugale è sentita, nella nostra cultura, non solo come l'oggetto di undesiderio, ma anche come un valore morale; come tale è stato ricono-sciuto dalla GS, la quale ammette che «là dove è interrotta l'intimità dellavita, non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venircompromesso il bene dei figli» (GS 51).

Come conciliare in questo caso la necessità di una regolazione dellenascite, che imporrebbe un silenzio sessuale più o meno prolungato, conla esigenza di esprimere, autenticare ed approfondire l'amore sponsalecon atti per sé dotati di una possibile fecondità?

15. La dottrina tradizionale della Chiesa

L'insegnamento della chiesa è stato, attraverso i secoli, rigorosamentecoerente nell'escludere ogni forma di soppressione artificiosa dell'even-tuale fecondità. Per il passato questo non faceva molto problema, siaper la concezione corrente della sessualità finalizzata alla procreazione,sia per la preziosità dei figli. Inoltre i mezzi conosciuti per escludere lafecondità dell'atto coniugale (interruzione e mezzi meccanici) rappresen-tavano più chiaramente di altri usati oggi (la pillola) una violenza e unimpoverimento dello stesso significato unitivo e del carattere di gestod'amore dell'atto stesso.

I metodi naturali si presentarono all'orizzonte già nel secolo scorso.Interpellata a riguardo del loro uso intenzionale, la Santa Sede risposenel 1853 e nel 1880, dicendo che «i coniugi che vi fan ricorso non sonoda inquietare». Ne parlò poi, riconoscendo le ragioni di questa tolleran-za e la sua compatibilità con la primarietà del fine procreativo, Pio XInell'enciclica «Casti connubii» del 1931. Con Pio XII il metodo dell'usointenzionale dei periodi infecondi viene, in un certo modo, ufficialmenteproposto come metodo lecito per la regolazione delle nascite, purché ladecisione relativa sia basata su «motivi morali sufficienti e sicuri».

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16. Nuovi aspetti dei problema: le discussioni del post-concilio

Tuttavia, nel frattempo, si presentava sempre più serio a livello mon-diale il problema demografico. La vita sociale, dal punto di vista lavora-tivo, professionale, economico, urbanistico e, di conseguenza, familiareed educativo, compresa l'emancipazione femminile, diveniva sempre piùcomplessa ed esigente. La scelta procreativa diveniva pertanto ancorpiù irta di ostacoli.

Contemporaneamente la scienza medica aveva prospettato, al di làdell'antico metodo usato da Onan di biblica memoria, ben altri mezzi perlimitare le nascite: metodi meccanici vari per l'uomo e per la donna, masoprattutto la pillola che, aspetto del tutto nuovo, pareva, lì per lì, la-sciasse intatto l'aspetto unitivo dell'atto coniugale, imitando i dinamismidi sospensione della fecondità propria della stessa natura. Inoltre inter-venne pure la relativa rivoluzione della concezione della sessualità e delmatrimonio, operatasi in seno al mondo cattolico ad opera del Concilio,che, nella GS, aveva recepito molte istanze personalistiche della culturasessuale moderna. Proprio per questi motivi alcuni teologi sembravanopropensi a riconoscere la validità morale della pillola.

Fu così che il problema esplose durante il Concilio Vaticano II, met-tendo in questione un po' tutta la dottrina tradizionale sulla regolazionedelle nascite. Paolo VI tuttavia ritenne opportuno avocare a sé tutta laquestione; sottraendola al dibattito dei Padri, affermò che avrebbe datolui stesso una risposta. Il Concilio terminò l'8 dicembre 1965, festa del-l'Immacolata. Ci si aspettava che già durante quell'Assise ecumenica osubito dopo il Papa prendesse posizione, ma il 1966 e il 1967 trascor-sero senza che giungesse risposta. Cosi passò qualche anno!

Nel frattempo, naturalmente, la teologia e la ricerca avanzavano. Sipensò che il Papa come tale, protraendo il suo silenzio, non sarebbe piùintervenuto, lasciando che il problema venisse risolto, come spesso eraavvenuto nel passato della storia della Chiesa, tramite il dibattito deiteologi, mediante il probabilismo (va ricordato che solo con gli ultimiPapi ci fu un magistero in morale vero e proprio). Tra i ricercatori diteologia morale si profilavano così varie soluzioni, compresa quella che

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giustificava i metodi artificiali - la pillola, in concreto - per programmareresponsabilmente le nascite.

Nel frattempo Paolo VI aveva istituito più commissioni, perché stu-diassero il problema e gli fornissero i dati in base ai quali poter prendereposizione in modo illuminato. Alla fine un'ultima commissione di 60 mem-bri non fu capace di accordarsi su una relazione unica da presentare alPapa e si spaccò: 56 componenti erano per l'apertura (relatore di mag-gioranza era il primate di Germania, il cardinale di Monaco GiulioDöpfner), gli altri 4 erano per il mantenimento della tradizione.

17. La Humanae Vitae: una riconferma della tradizione

Paolo VI, pur nella sua grande apertura alla problematica del mondoattuale e nella sua estrema sensibilità, non si sentì di aderire alla soluzionedi maggioranza e riaffermò la tradizione.

Fu un momento difficile, la svolta di quel pontificato. Paolo VI sa-peva in partenza che la sua presa di posizione avrebbe significato ilcrollo della sua popolarità e gli avrebbe portato grande sofferenza perl'incomprensione e il rifiuto di larghi settori della cristianità, che avreb-bero contestato il suo insegnamento con reazioni vivissime, dentro efuori le comunità cristiane. Infatti, nella situazione descritta, lapromulgazione della Humanae Vitae fu un fulmine a ciel sereno ed unmomento di disorientamento generale, perché colse di sorpresa unaparte notevole della pubblica opinione. Fu grande anche la sofferenzadella Chiesa, che si riversò enormemente sull'animo tanto sensibile edelicato di Paolo VI stesso. I tempi tuttavia gli hanno dato sempre piùragione.

In quel momento l'unico metodo naturale disponibile era sostanzial-mente quello di Ogino-Knaus, cioè la conta dei giorni, il metodo piùlabile e più insicuro. La situazione da allora è cambiata enormemente.Anche per l'insistenza della Chiesa stessa (HV 24), gli scienziati dispo-nibili a questo richiamo hanno elaborato tutta una serie di metodi naturali

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sempre più efficaci, sicuri e pratici, soprattutto quello dell'esame delmuco cervicale, che non tocca a noi illustrare. Questo è compito deitecnici del settore, mentre al teologo spetta richiamare l'aspetto moraledel problema.

18. I contenuti dottrinali dell'enciclica

Quale è dunque questo insegnamento? Già l'abbiamo presentato,ora brevemente lo commenteremo.

Quando è giusto «far l'amore»?

Ogni volta che l'amore ne ha di bisogno!

Ricordiamo che «far l'amore» è un'esigenza dell'amore stesso, comeha ricordato anche il Concilio, perché è indispensabile esprimerlo ade-guatamente.

Se, in un determinato momento, tuttavia è giusto, per rispetto allavita, non dare la vita, o in quel frangente o definitivamente, per motivia volte proibitivi, come si fa a «far l'amore» senza dare la vita?

Non si è autorizzati a manipolare il gesto amoroso, intervenendoprima, durante o dopo il suo svolgimento, con mezzi chimici o mecca-nici, che lo privano della sua naturale apertura alla vita (cfr HV 14).Quando è giusto che, compiendo responsabilmente l'atto coniugale, nonne segua la vita, è segno di responsabilità e perciò è doveroso ricorrerea quel gesto sessuale, espressivo dell'amore, nei giorni infecondi, appro-fittando di quello che la natura ha predisposto, cosicché non ne seguala vita. In questo modo l'atto rimane intatto nella sua espressività.

Il ragionamento può essere riassunto così: quando dunque, amando-si, è giusto «diventare due in una carne sola» ed è giusto, per rispettoalla vita, non dare la vita, è giusto e responsabile compiere l'atto co-niugale nei giorni in cui non ne segue la vita.

La differenza tra i metodi naturali e quelli artificiali non è quindi legatasolo all'intenzione, che può essere più o meno retta in ogni caso, maanche al fatto che, «nel primo caso i coniugi usufruiscono legittimamente

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di una disposizione naturale; nell'altro essi impediscono lo svolgimentodei processi naturali» (HV 16).

19. Le ragioni della Humanae Vitae e il paradigma del linguag-gio

È perché l'amore sia detto bene che deve essere fatto bene!

Se io, per dirti il bene che ti voglio, devo ricorrere - e non ho dimeglio, alla fin fine - alle strutture stesse della vita, devo rispettare quelgesto così com'è, affinché l'amore risulti nel suo splendore e quell'attomanifesti così la totale reciproca accoglienza delle persone dei coniugi,nel pieno rispetto dei ritmi caratteristici della loro natura maschile efemminile.

Un esempio. Abbiamo più volte detto che la sessualità è un linguag-gio corporeo, simbolico. Nel mondo umano essa non è un semplicemeccanismo, come nel mondo animale, bensì una realtà interpersonale,un atto espressivo e testimoniante, che comunica una verità di cui il gestostesso è carico: l'amore appunto, che come tale comporta la vita.

L'uomo si realizza dunque nella sua sessualità solo se la fa strumentodi comunicazione e di amore. Ogni norma morale che deve regolarlanon è dunque desumibile semplicemente dalla legge biologica, ma deverifarsi a questa sua fondamentale destinazione (significare l'amore), nonimposta dall'arbitrio di qualcuno, ma esigita dalla natura intrinseca dellasessualità stessa e dell'amore.

Ecco dunque com'è pertinente il paradigma del linguaggio!

Lo scopo della parola è quello di comunicare il proprio mondointeriore, il pensiero. Parlarsi ha senso se alla base c'è la sincerità psi-cologica. Infatti quando due persone comunicano, cosa ci si attende daldialogo reciproco se non la trasparenza? Questo dunque è il valorefondamentale e fondante la comunicazione tra le persone. Tuttavia nonè da trascurare, perché ha la sua importanza, pure la chiarezza espres-siva del proprio linguaggio. Quando una persona parla, per esprimersi

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ricorre ad una lingua; ma quest'ultima ha determinate parole, le qualihanno a loro volta un determinato significato, che va rispettato da chiparla, altrimenti non ci si capisce, pur volendo magari esser sinceri. Unalingua ha inoltre la sua struttura, la sua sintassi, che pure va osservata.Solo così il comunicare, oltre che sincero, risulta anche chiaro.

Nello stesso modo, quando le persone esprimono l'amore coniugale,cioè amandosi diventano «due in una carne sola», si trovano di frontea quel certo linguaggio che è quello della vita, e non sono autorizzati amanipolarlo con interventi indebiti, sia chimici che meccanici, prima,durante o dopo il suo svolgimento.

Tutto questo non ha nulla a che vedere con un certo «biologismo»,un allineamento alla natura, quasi la persona dovesse sottostare e subireil mondo del determinismo. Le leggi della natura biologica come tale nonsono mai automaticamente anche legge morale, se non quandoassurgono ad un significato spirituale per la persona stessa, cioè quandoquei dinamismi di per sé sono condizione oggettiva ed imprescindibiledella sua autorealizzazione, legati dunque ai più veri interessi dell'uomostesso. Ora, è l'amore stesso che esige, per essere splendidamenteespresso, che l'uomo usi quel linguaggio rispettandolo nella sua strutturasenza manipolarlo.

Come non si può sopprimere l'obbligo di dire la verità quando lapratica ci diventa difficile, così nemmeno l'amore ha il diritto di contrad-dire la vita nell'atto in cui, per esprimersi, sceglie di assumere la strutturadella vita. Se lo facesse, il gesto che ne segue non può essere conside-rato un vero bene, per quanto buona sia l'intenzione e grande la gene-rosità procreativa globale; infatti esso è inficiato dal male di un amoreche non ha integrato la legge del proprio linguaggio. Ciò su cui l'uomonon ha potere non sono i dinamismi biologici in quanto tali, ma i signi-ficati di cui sono portatori e che l'uomo non può rinnegare senza mentire.L'unità dei significati è correlativa all'unità psicofisica dell'uomo, così chela loro dissociazione introduce la rottura nell'essere stesso dell'uomo.

Infine solo il ricorso ai metodi naturali permette pure di correspon-sabilizzare ambedue i consorti nella loro vita erotico-sessuale. Infatti la

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sessualità è di coppia, e soltanto i metodi naturali coinvolgono ambeduenel condividere gioie e sacrifici allorché viene esercitata.

20. Alcune conseguenze sul piano etico

Naturalmente l'analogia del linguaggio resta imperfetta come ognianalogia; non vuol essere una dimostrazione apodittica delle norme dellaHumanae Vitae, ma ci può aiutare a capire meglio il grado e la naturadella loro urgenza.

Se abbiamo capito bene il senso dell'analogia, la contraccezione inquanto tale intaccherebbe piuttosto le leggi del linguaggio, con cui iconiugi si dicono l'amore, che non, almeno direttamente, l'autenticitàpsicologica di questo amore. Quindi obbliga certamente, ma non sulmedesimo identico piano delle leggi che assicurano, in modo diretto,l'autenticità dell'amore stesso. L'autenticità espressiva resta un dovere,ma non certamente il primo dei doveri che incombono sull'amore coniu-gale.

Non va dimenticato che la fecondità è proprio una condizione del-l'autenticità dell'amore in se stesso; ma lo è primariamente in quantovocazione globale, cui si adempie sufficientemente con un progetto re-sponsabile di fecondità. Ma si può anche capire che ogni atto con-traccettivo rappresenta una specie di smentita a questa vocazione;smentita proclamata proprio all'interno dell'atto espressivo più intimo esolenne dell'amore.

Sul piano pratico questo comporta che l'attenzione dei coniugi nonva rivolta anzitutto o esclusivamente (tranne qualche caso, questo pe-ricolo non esiste!) a questo problema pure vero e importante.

Prima di tutto conta l'autenticità interiore, psichica, feconda del loroamore. La fedeltà dell'amore a se stesso, alle sue esigenze di sincerità,unitività e procreatività viene prima della sua fedeltà al linguaggio ses-suale, anche se quest'ultima non deve essere sacrificata alla prima.Questo significa che non si può barare con la coscienza e con la legge

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di Dio: puoi aver messo al mondo anche dieci figli, ma se lo hai fattosenza amore si tratta di tutta una vita matrimoniale negativa; così pure,puoi usare tutti i metodi naturali che vuoi (e sei fortunato a sapere epotere «fare l'amore» in modo naturale), ma se non hai adempiuto allatua vocazione alla generosità procreativa, si tratta di tutta una vita ma-trimoniale negativa.

Una seconda conseguenza è l'impossibilità di ammettere, almeno sulpiano oggettivo, una qualche giustificazione della contraccezione come«minor male» o di una soluzione secondo coscienza di un conflitto didoveri inteso in senso oggettivo. La Humanae Vitae lo esclude espli-citamente, richiamando il principio generale per cui «non è lecito fare ilmale affinché ne venga il bene» (HV 14), cioè fare oggetto di una sceltaciò che è intrinsecamente un disordine anche per salvaguardare beniimportanti. La Humanae Vitae è sempre coerente nel ribadire il carat-tere oggettivamente disordinato degli atti in questione.

Questo però non esclude - come vedremo - che una coscienzaincolpevolmente erronea possa ritenere giustificato il ricorso al princi-pio del male minore o del conflitto di doveri, e che, almeno sul pianosoggettivo, un conflitto di doveri sia sperimentato davvero come realee giustificante certe scelte oggettivamente disordinate. È il caso classicodella «conscientia perplexa». Ma se un tale errore, a volte facilmenteincolpevole, richiederà una prudente pastorale di illuminazione gradualee rispettosa, che esclude ogni imposizione violenta, esso non sarà maioggettivamente giustificato e teoreticamente difendibile, come afferma-no i vescovi francesi.

21. Problematica pastorale

21.1 Difficile attuazione della norma dell'enciclica

Quello appena illustrato è l'aspetto teoretico del problema. Dal pun-to di vista pratico l'enciclica stessa riconosce che le esigenze da essaproclamate sembreranno difficili o a molti addirittura impossibili, edammette che esse richiedono serio impegno e molti sforzi, una disciplina

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e un'ascesi severa anche se nobilitanti (HV 20). Riconosce la necessitàche questi sforzi dei coniugi siano sostenuti da «un clima favorevoleall'educazione della castità» (HV 22) e fa appello, per la realizzazionedi questo ambiente sano, agli stessi poteri pubblici (HV 23).

Confrontando queste affermazioni con il clima imperante nel nostromondo, favorito da tutti i mezzi di comunicazione di massa e profonda-mente radicato nella psicologia collettiva, con l'assenza di ogni educa-zione al dominio di sé, sembra lecito trarre la conclusione che, di fatto,in molti casi, la piena osservanza delle norme della Humanae Vitae saràpraticamente impossibile a molte coppie, al di là di ogni buona volontàpersonale.

È quanto riconobbero esplicitamente diverse Conferenze episcopalie il Sinodo dei Vescovi sulla famiglia (1980), che affermò di non igno-rare «la situazione molto difficile e tormentosa di tanti coniugi che, no-nostante una sincera buona volontà, non riescono ad obbedire allenorme insegnate dalla Chiesa a causa della propria debolezza, ma anchedi obiettive difficoltà» (proposizione n. 24).

Questo significa che non sarebbe impossibile essere fedeli alle normedella Humanae Vitae in un contesto educativo e culturale che fossequale veramente dovrebbe essere, e comunque per la generalità deicasi, senza escludere situazioni particolari di minore libertà e dicondizionamento invincibile al disordine, soprattutto per il fatto chel'ambiente è tutt'altro.

21.2 La possibilità di un disordine non colpevole

Rimane così da affrontare l'aspetto pastorale, il quale pure ha ragioned'essere, in quanto sono le singole persone che vengono chiamate poia vivere una vita autenticamente umana e perciò conforme al progettodi Dio, in situazioni le più svariate, con opportunità ed inconvenienti, siainteriori che sociali, molto diversi. Tutto ciò comporta logicamente cam-mini personalizzati, dove le tappe e i tempi di crescita, come pure l'arrivoalla meta non sono «standard».

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È necessario anzitutto capire che questo valore (l'autenticità espres-siva del gesto erotico-sessuale) è assai elevato e quindi piuttosto difficileda capire e attuare. Il ragionamento che lo fonda e ne motiva la normafila, ma è piuttosto metafisico, raffinato.

La conoscenza della coscienza, inoltre, non è come quella scientifica,ove basta conoscere i dati, i fatti con le relative leggi naturali che lamente fa proprie. Per la coscienza infatti non è sufficiente la conoscenzaintellettuale del precetto, perché scattino pure il conseguente impegno edovere morale. La conoscenza della coscienza, invece, è esistenziale-valoriale, oltre che intellettuale, al punto che interpella globalmente tuttele facoltà dello spirito umano: la persona deve arrivare a percepire ilvalore sottostante la norma conosciuta, sentirne il fascino, al punto cheil sentimento ne sia coinvolto e la volontà inequivocabilmente interpel-lata.

Allora scattano l'esperienza del valore e il dovere morale conseguen-te, cui non è più possibile sottrarsi: se questo viene disatteso lucidamen-te, si fa purtroppo l'amara e triste esperienza del peccato.

Bisogna osservare tristemente che ci sono tante persone «rudes» -come avrebbero detto i Padri - che non riescono, pur conoscendo laposizione della Chiesa, a cogliere il valore che sottostà all'insegnamentoche essa proclama: ne rimangono estranei!

Non si può infine misconoscere che ci si imbatte anche in momenticonflittuali in cui, nelle circostanze precise di una determinata coppia,urgono più valori che quella coppia in quel momento non riesce a bilan-ciare e a far convergere: a differenza delle persone «rudes», questi sonoconvinti del valore della norma, ma, vivendo un serio momento conflit-tuale, non riescono ad attuarla, anche con dispiacere.

Infatti non è sempre agevole coordinare il valore dell'amore, che habisogno di quella espressione erotico-sessuale, con il valore di rispettoalla vita che, per responsabilità, in quel caso, può essere gravementeproibitivo dare, e con il valore dell'autenticità espressiva che quel gestodi per sé esige. È il caso della «conscientia perplexa», già ben trattatodalla manualistica. Nel momento della perplessità, dovendo fare una

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scelta, è sensato dare prevalenza ai valori più poderosi, più urgenti,costretti, per i limiti del discernimento umano, pur con dispiacere, asacrificare valori minori. È questa una soluzione pratica e operativa, incui i responsabili non hanno visto altra possibilità, soluzione che vale perloro in quel frangente, non estendibile ad altri, senza che ciò infici mini-mamente la legge morale oggettiva.

21.3 Tensione verso l'ideale e legge della gradualità

Nonostante certe interpretazioni rigoriste, il Sinodo dei Vescovi epoi il Papa stesso nella «Familiaris consortio» parlano della «legge dellagradualità». Di che cosa si tratta? Leggo il n. 9 di quell'importanteintervento magisteriale, in cui Giovanni Paolo II ricorre al concetto della«gradualità», proprio parlando della contraccezione: vi si riconosce che«l'uomo chiamato a vivere responsabilmente il disegno sapiente e amo-roso di Dio è un essere storico, che si costruisce giorno per giorno conle sue libere scelte. Per questo l'uomo conosce, ama, e compie il benemorale secondo tappe di crescita. Anche i coniugi perciò, nell'ambitodella loro vita, sono chiamati ad un incessante cammino, sostenuti daldesiderio di conoscere sempre meglio i valori che il progetto divinocustodisce e promuove e dalla volontà retta e generosa di incarnarli nelleloro scelte concrete».

La legge della «gradualità» non è una «legge graduale», nel senso dipoterla piegare, quasi avesse gradi diversi, al modo di sentire dellesingole persone in quella situazione: la legge, sempre universalmentevalida per tutti, piuttosto indica una meta, «una tensione verso l'ideale»,che è il bene dell'amore di coppia per tutti; però le persone vi si incam-minano gradualmente. È mirabile, in questo senso, pure il discorso diPaolo VI alle Equipes Notre-Dame (20.5.1971).

Pensiamo, nel concreto, al ruolo dei «pastori», dei parroci o dei laiciimpegnati nella pastorale della famiglia e dei fidanzati! Di fronte ad unmagistero che da decenni perora in modo appassionato questo insegna-mento e ne richiama l'osservanza, ci si imbatte frequentemente con larghistrati di gente indifferente, ma anche di buoni cristiani praticanti, e magari

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impegnati nella realtà ecclesiale, che, su questo punto, tranquillamente,disattendono l'insegnamento della Chiesa.

Paolo VI nella «Humanae Vitae» richiamava al riguardo la fedeltàall'insegnamento della Chiesa (dunque alla necessità di trasmettere leal-mente ed integro l'insegnamento della Chiesa parlando tutti «uno stessolinguaggio» (HV 28), e d'altra parte supplicava i preti, e i confessori inparticolare, ad essere pastori misericordiosi «Ma ciò dovrà sempreaccompagnarsi con la pazienza e la bontà di cui il Signore stesso ha datol'esempio... Intransigenti col male, ma misericordiosi verso le persone»(HV 29). Ciò significa: fedeli alla dottrina del magistero, ma pure capacidi rispettare le tappe di crescita del cammino dei singoli penitenti. «L'En-ciclica provoca ad un cammino» (Vescovi francesi). Un pastore, uneducatore, un catechista è dunque chiamato a presentare, motivandoloal meglio, in modo convincente ed appassionato, l'insegnamento dellaChiesa. Infatti è inutile ribadire delle norme senza evidenziare e cercaredi far fare l'esperienza del valore sottostante la norma.

Pertanto, pur con tutto il rispetto della coscienza del penitente, deveaiutare chi gli si affida a fare, se possibile, il passo ulteriore, sia pure consacrificio e con un lungo cammino, fino a portarlo alla piena osservanzadella norma. Se però quella persona o la coppia, nonostante questo,non percepisce e si sente a posto in coscienza, essa va rispettata, finoa che Dio non la illuminerà opportunamente, secondo la tradizionaledottrina in merito alla coscienza.

Lo stesso Episcopato italiano riconosce l'esistenza di «leggi di cre-scita nel bene», ed ammette che «talora si possa procedere per dei gradiancora imperfetti, ma con il fine di superarli lealmente, in una tensionecostante verso l'ideale».

Sono indicazioni preziose che impegnano ad una applicazione seriae coerente del «principio di gradualità» di Giovanni Paolo II.

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Sommario

1. Timori, problemi e dibattiti nuovi ................................................ 3

2. Andamento della popolazione mondiale dalle origini alla metàdel Settecento, ossia alla «rivoluzione demografica» .................... 4

3. Andamento della popolazione mondiale dalla metà del 1700alla fine della II guerra mondiale .................................................. 5

4. Andamento della popolazione mondiale dalla fine della IIguerra mondiale al 2000 e oltre .................................................. 9

5. Mentalità anti-life e politica familiare ........................................ 11

6. Dimensioni indispensabili per un autentico eserciziodella sessualità ......................................................................... 11

7. Generosità procreativa inerente all'amore di coppia .................. 13

8. Motivi della anti-life mentality .................................................. 15

9. Il figlio unico, per lo più, è voluto come un bene per se stessi,come un diritto ......................................................................... 16

10. Il figlio è un dono frutto del mistero dell'amore: amore coniugale e fecondità .................................................... 17

11. Il matrimonio trova nell'amore umano la legge fondamentaledel suo valore morale (Paolo VI) ............................................. 17

12. I figli dono preziosissimo del matrimonio: un progetto globale di fecondità ............................................... 18

13. Generosità e responsabilità, criteri inderogabili per la procreazione .......................................19

14. La regolazione delle nascite: il problema dei mezzi ......................... 20

15. La dottrina tradizionale della Chiesa ........................................ 22

16. Nuovi aspetti del problema: le discussioni del post-concilio ................................................. 23

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17. La Hamanea Vitae: una riconferma della tradizione ................... 24

18. I contenuti dottrinali dell'enciclica ............................................. 25

19. Le ragioni della Humanae Vitae e il paradigma del linguaggio .... 26

20. Alcune conseguenze sul piano etico ......................................... 28

21.Problematica pastorale ............................................................. 29

21.1 Difficile attuazione della norma dell'enciclica ........... 29

21.2 La possibilità di un disordine non colpevole .............. 30

21.3 Tensione verso l'ideale e legge della gradualità ......... 32

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A cura del Centro diocesano Famiglia - Trento 1993