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1 Facoltà di Medicina e Chirurgia Università degli Studi di Foggia Chirurgia Generale I Chirurgia Generale II Chirurgia Generale III Chirurgia Generale IV Chirurgia d’Urgenza Prof. Vincenzo Neri Prof. Giuseppe Giordano Prof. Antonio Ambrosi

Dis Pen Sachi Rur Gia

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Facoltà di Medicina e Chirurgia

Università degli Studi di Foggia

Chirurgia Generale I Chirurgia Generale II Chirurgia Generale III Chirurgia Generale IV Chirurgia d’Urgenza

Prof. Vincenzo Neri

Prof. Giuseppe Giordano

Prof. Antonio Ambrosi

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CLASSIFICAZIONE INTERVENTO CHIRURGICO

Intervento Chirurgico d’Elezione o Programmato: c’è tutto il tempo a disposizione per

poter studiare il pz con le indagini diagnostiche più opportune, valutando sia la patologia di base da

trattare chirurgicamente, sia la presenza di eventuali altre patologie che se trascurate possono

provocare complicanze intra o postoperatorie, tali da rendere inutile l’intervento e impedire la

guarigione del pz. In tal caso il pz viene portato in sala operatoria nelle migliori condizioni per poter

superare lo stress operatorio ed evitare le complicanze.

Intervento Chirurgico d’Urgenza immediata nel caso di pz in gravi condizioni

(politraumatizzati gravi) oppure urgenza differibile se c’è un po’ di tempo per studiare il pz

(occlusione intestinale non complicata). Le situazioni d’urgenza sono ad alto rischio di mortalità.

Inoltre, possiamo fare una distinzione tra:

- intervento di chirurgia maggiore: si interviene su più organi, ↑↑ stress chirurgico, alto rischio di

mortalità.

- intervento di chirurgia minore: si interviene solo sull’organo interessato (colecistectomia).

In base al grado di contaminazione possiamo fare una distinzione tra:

- intervento chirurgico pulito: rischio di infezione molto basso (colecistectomia per via video-

laparoscopica).

- intervento chirurgico contaminato: si agisce su visceri cavi potenzialmente sterili (stomaco,

colecisti) con possibilità di complicanze infettive.

- intervento chirurgico sporco: intervento a cielo aperto con alto rischio di complicanze settiche. Inoltre, abbiamo L’intervento diagnostico come la laparoscopia esplorativa: consente di

osservare tutti i visceri addominali e di valutare le strutture interessate da una patologia.

Dal punto di vista Oncologico si fa una distinzione tra:

Intervento Chirurgico Radicale: tumori nelle fasi iniziali, in assenza di metastasi linfonodali e a

distanza, è un intervento di tipo curativo perchè si asporta la massa neoplastica + una parte di

tessuto sano adiacente come margine di sicurezza oncologica per evitare che cellule neoplastiche

residue possano le recidive e metastasi con morte del soggetto + linfoadenectomia in caso di

metastasi linfonodali. E’ un intervento radicale dal punto di vista chirurgico e oncologico, con

grosse probabilità di guarigione per il pz.

Intervento Chirurgico Palliativo: tumori nelle fasi avanzate con metastasi a distanza per cui è

inutile ricorrere ad un intervento ampiamente demolitivo, per cui si tratta di un intervento radicale

dal punto di vista chirurgico ma non oncologico.

L’Intervento chirurgico rappresenta un momento di grande stress per il pz per cui è molto

importante la fase di preparazione del pz all’intervento chirurgico o fase pre-operatoria.

La prima tappa della fase preoperatoria è la Visita Preoperatoria che si basa sull’anamnesi,

esame obiettivo, esami di routine preoperatoria, cioè indagini di laboratorio e strumentali.

Anamnesi: raccolta accurata di tutte le informazioni che riguardano la storia clinica del pz, può

essere fisiologica, familiare, patologica remota e prossima.

Esame Obiettivo: esame fisico del pz che si basa su 4 tappe, cioè ispezione, palpazione,

percussione, auscultazione.

Le indagini di routine preoperatoria sono:

Indagini di Laboratorio: esame emocromocitometrico con formula leucocitaria, Hb, HCT, fx

renale, fx epatica...

Rx Torace: fx respiratoria, patologie in atto o silenti clinicamente dell’apparato respiratorio.

Consulenza Cardiologica, ECG, Ecocardiografia: per valutare la fx cardiocircolatoria, presenza

di patologie cardiache in atto o silenti clinicamente o pregresse.

La legge impone il Consenso Informato per evitare guai dal punto di vista medico-legale: cioè

occorre stabilire un buon rapporto di fiducia medico-pz, il medico deve descrivere in maniera

semplice la patologia di cui soffre il pz, le strategie terapeutiche e i risultati, cioè vantaggi e

svantaggi della tecnica chirurgica, possibilità di successo o di complicanze intra o post-operatorie.

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Infatti, la visita preoperatoria consente di valutare tutti i fattori di rischio e a quale classe di rischio

appartiene un pz: il Rischio Operatorio è la probabilità che nel periodo intra e postoperatorio

possano verificarsi delle complicanze tali da compromettere l’efficacia dell’intervento e la

guarigione del pz.

Tra i Fattori di Rischio abbiamo:

─ Età del pz: il pz anziano è ad “alto rischio chirurgico” perché è psico e immuno-depresso,

povero di riserve, denutrito, lento nel recupero, si adatta poco allo stress operatorio, tenendo conto

che in genere presenta un decadimento fisiologico della fx respiratoria, cardiocircolatoria, renale,

epatica, osteo-articolare...

─ Tipo di intervento: l’intervento di chirurgia maggiore e d’urgenza sono ad alto rischio.

─ malattie cardiovascolari, respiratorie, renali, nutrizionali.

Il RISCHIO CARDIOVASCOLARE è alto nei pz che hanno avuto un infarto acuto del miocardio

(IMA), insufficienza cardiaca, ipertensione arteriosa, tromboembolie.

L’Infarto del Miocardio nella maggior parte dei casi si riscontra nei pz anziani che devono essere

sottoposti ad intervento chirurgico, con mortalità pari al 70% dei casi, rispetto ai soggetti anziani

con cuore sano con mortalità pari al 26%.

Il rischio di recidiva cioè di un nuovo infarto, dipende dall’intervallo di tempo tra il primo infarto e

il momento in cui il soggetto viene sottoposto all’intervento chirurgico e che è tanto più basso

quanto più questo intervallo di tempo è alto: il rischio di recidiva è del 37% se il soggetto viene

sottoposto ad intervento chirurgico dopo 3 mesi dal primo infarto, scende al 11-16% se l’intervallo

di tempo è di 4-6 mesi, scende ulteriormente al 4-7% se l’intervallo di tempo è > 6 mesi.

L’Insufficienza Cardiaca, frequente nei soggetti anziani, spesso dovuta a cardiopatia ipertensiva,

cardiopatia ischemica, cardiomiopatia dilatativa, scompenso cardiaco da cuore polmonare cronico o

IMA, alterazioni del ritmo e della conduzione (aritmie), responsabili di alterazioni emodinamiche,

insufficienza circolatoria acuta post-operatoria che può essere aggravata dall’edema polmonare

acuto. Nel periodo intraoperatorio l’assistenza anestesiologica consente di ottenere una buona

stabilità emodinamica, ma bisogna stare attenti alle complicanze post-operatorie che dipendono

dalla gravità della cardiopatia, tipo di intervento e durata dell’anestesia.

Nei pz con Ipertensione Arteriosa bisogna continuare la terapia antipertensiva fino al giorno

dell’intervento per migliorare la stabilità emodinamica durante l’intervento stesso.

Altri fattori di rischio sono: le alterazioni dell’emostasi e coagulazione con alto rischio di

emorragie intra e postoperatorie oppure di tromboembolie fino alla CID o coagulazione

intravascolare disseminata (grave coagulopatia).

I pz ad alto rischio di tromboembolie sono: pz affetti da epatopatie croniche (cirrosi epatica),

nefropatie croniche, coagulopatie primitive e secondarie, varici degli arti inferiori, interventi

chirurgici ortopedici, ginecologici, prostatici che costringono il pz a stare immobile a letto per

lunghi periodi di tempo.

E’ importante la profilassi eparinica e il monitoraggio dei parametri emocoagulativi per valutare

l’efficacia della terapia, cioè si controlla:

- tempo di protrombina PT o tempo di Quick: per valutare la presenza di deficit della via comune

ed estrinseca della coagulazione cioè il deficit dei fattori della coagulazione V, VII, X, protrombina

e fibrinogeno.

- tempo di tromboplastina parziale PTT: per valutare la presenza di deficit della via comune ed

intrinseca della coagulazione.

La PROFILASSI EPARINICA si basa sulla somministrazione di 0,2 ml eparina calcica 2 volte/die

prima dell’intervento e per 4-5 gg nel periodo postoperatorio oppure fino a quando il pz non sarà in

grado di alzarsi dal letto. In genere, si somministra eparina calcica alla dose di 5000 UI due h prima

dell’intervento e poi ogni 8-12 h dopo l’intervento, fino a quando il pz non sarà in grado di alzarsi

dal letto.

Bisogna stare attenti alle emorragie acute tenendo conto della quantità di sangue che viene perso e

della velocità con cui viene perso fino allo shock ipovolemico e ipoperfusione degli organi vitali

con insufficienza cardiaca, renale, epatica e cerebrale, con morte del pz se non si interviene subito.

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SCORE SYSTEM di GOLDMAN (analisi multifattoriale del rischio operatorio)

Lo Score System di Goldman consiste nell’assegnare un punteggio ad una serie di parametri che si

ottengono mediante l’anamnesi, l’esame obiettivo, le indagini di laboratorio e strumentali, tipo di

intervento chirurgico ed altri fattori, ottenendo 4 classi di rischio crescente di complicanze

cardiovascolari, come la morte improvvisa da arresto cardiaco, IMA, edema polmonare acuto... per

cui si parla di analisi multifattoriale del rischio operatorio o score system di Goldman.

Vediamo quali sono questi parametri e il punteggio che si assegna a ciascuno di essi:

Anamnesi: - età > 70 anni. 10

- IMA < 6 mesi prima dell’intervento. 10

- IMA > 6 mesi prima dell’intervento. 5

Esame Obiettivo:

- III tono all’auscultazione cardiaca 11

(insuff. mitralica o aortica, difetti del setto ventricolare o atriale)

- stenosi aortica

(pz anziano con ipertensione arteriosa sisto-diastolica 3

o prevalentemente sistolica).

ECG: - fibrillazione ventricolare da IMA . 7

- extrasistoli ventricolari/min > 5 da IMA. 7

Dati di Laboratorio:

- PaO2 < 60 mmHg (ipossiemia). 3

- PaCO2 > 50 mmHg. 3

- azotemia > 15 mg/dl 3

- creatininemia > 3 mg/dl. 3

- HCO3- < 20 mEq/l. 3

Tipo di intervento:

- urgenza. 4

- d’elezione toracico o addominale. 3

Si ottengono 4 classi di rischio:

- classe I: 0-5 punti

- classe II: 6-12 punti

- classe III: 13-25 punti

- classe IV: oltre 26 punti.

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Il RISCHIO RESPIRATORIO è alto nei pz fumatori e nei pz che già presentano problemi

respiratori prima dell’intervento, come bronchite cronica, asma bronchiale, perché l’intervento

chirurgico e l’anestesia possono provocare ulteriori alterazioni dei volumi polmonari e dei flussi

respiratori.

Infatti, la laparotomia mediana provoca una < del 45% CV per 1-2 gg, gli interventi all’addome

superiore provocano una < di oltre il 60% del VRE, gli interventi all’addome inferiore provocano

una < di oltre il 25% del VRE.

La CFR e la VEMS o FEV1 subiscono una < alla 16^ h post-operatoria.

Gli interventi all’addome superiore e al torace inferiore provocano una < del VC o volume corrente

dovuto alla disfunzione del diaframma, dolore inspiratorio e deficit del riflesso della tosse che è ad

alto rischio di complicanze broncopolmonari post-operatorie perché favorisce il ristagno delle

secrezioni nell’albero bronchiale, con conseguente bronchite, polmonite, atelectasie polmonari, fino

all’insufficienza respiratoria, tenendo conto che l’anestesia provoca delle modificazioni respiratorie:

- anestesia generale: azione centrale depressiva e azione periferica sui bronchi con

broncocostrizione, < attività miocardica.

- anestesia loco-regionale, spinale ed epidurale: paralisi dei muscoli addominali con

vasodilatazione periferica e < del ritorno del sangue venoso al cuore.

Nel periodo post-operatorio il pz può andare incontro a ipossia (ridotta utilizzazione di O2 da parte

dei tessuti legata al dolore), bronchite, polmonite da riflesso della tosse inefficace.

Per cui bisogna studiare il pz nel periodo pre-operatorio con un Rx del torace, spirometria,

l’emogasanalisi, ricorrendo alla terapia antibiotica in presenza di infezioni batteriche e farmaci

mucolitici per rendere più fluide le secrezioni bronchiali e facilitare la loro espulsione con la tosse.

Dal punto di vista anestesiologico è preferibile l'anestesia generale con intubazione endotracheale e

ventilazione meccanica assistita.

Il RISCHIO RENALE deve essere valutato in tutti i pz chirurgici: l’insufficienza renale acuta post-

operatoria è ad alto rischio di mortalità specialmente nei pz anziani che presentano un decadimento

fisiologico della fx renale, oppure che presentano patologie dell’apparato renale prima

dell’intervento.

Un altro fattore di rischio è il DIABETE MELLITO che è una sindrome dismetabolica ereditaria a

patogenesi multifattoriale di competenza medica ma spesso richiede l’intervento chirurgico perché i

soggetti diabetici sono predisposti a varie malattie: ulcera peptica gastro-duodenale, pancreatite

acuta e carcinoma pancreatico, cirrosi epatica, retinopatie fino alla cecità, nefropatie con

insufficienza renale grave fino a richiedere l’emodialisi, cardiopatie, dislipidemie e

ipercoagulabilità del sangue con rischio di aterosclerosi, microangiopatie con ispessimento della

membrana basale dei capillari, alterazione della permeabilità della parete capillare, del trofismo

cellulare e deficit dei processi di riparazione dei vasi.

I pz diabetici sono più sensibili alle infezioni batteriche e fungine e possono andare incontro a

neuropatie sensitivo-motorie e neurovegetative con deficit dei movimenti dei muscoli esofagei,

gastro-enterici e urogenitali, con conseguente disfagia, atonia gastro-enterica, diarrea, difficoltà alla

minzione...

Quindi il pz diabetico è un soggetto ad alto rischio chirurgico: è necessaria la collaborazione tra il

diabetologo e il chirurgo, monitorando prima e dopo l’intervento glicemia, glicosuria, azotemia ed

altri parametri importanti, perchè lo stress chirurgico può favorire una crisi iperglicemica da

iperincrezione di adrenalina e cortisolo a livello surrenale oppure una crisi ipoglicemica da digiuno

prolungato.

La MALNUTRIZIONE è tipica dei pz anziani, anoressici, diabetici, pz che prima dell’intervento

sono sottoposti ad indagini strumentali che richiedono il digiuno assoluto e spesso dopo l’intervento

restano a digiuno per molte ore e vengono nutriti per via parenterale.

Per valutare lo stato di nutrizione del pz si valutano le proteine totali e il rapporto tra massa magra

proteica e massa grassa adiposa osservando lo spessore della cute del braccio (plica cutanea).

L’Immunodepressione Congenita o Acquisita (AIDS) sono ad alto rischio di mortalità

perioperatoria.

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VALUTAZIONE del RISCHIO ANESTESIOLOGICO

La Società Americana di Anestesiologia ASA (American Society of Anestesiology) ha stabilito

che esistono 5 classi di rischio anestesiologico crescente, tenendo conto che l’intervento chirurgico

rappresenta un momento di grosso stress per l’organismo umano.

Bisogna stabilire a quale classe di rischio appartiene il pz mediante:

- Anamnesi accurata del pz patologica remota e prossima, valutando la presenza di patologie

congenite o acquisite, se il pz ha il diabete o l’ipertensione arteriosa, interventi chirurgici pregressi.

- Esami di Laboratorio: esame emocromocitometrico con formula leucocitaria.

- Rx del Torace e consulenza cardiologica con ECG ed Ecocardiografia sono utili per la diagnosi di

patologie respiratorie e cardiocircolatorie in atto, oppure silenti clinicamente o pregresse.

Secondo la Classificazione ASA abbiamo 5 classi di rischio anestesiologico:

Classe ASA I: pz sano, in buone condizioni generali, giovane-adulto, cioè si tratta di una

classe di rischio generica, legata solo all’intervento chirurgico perché si tratta di pz che non sono

affetti da patologie organiche o sistemiche gravi.

Classe ASA II: pz che presentano una lieve malattia sistemica senza nessuna limitazione

funzionale, cioè che non compromette la normale attività del pz.

Ad esempio, si tratta di un pz affetto da una bronchite cronica, oppure un pz con obesità moderata,

diabete ben controllato con la terapia medica, infarto miocardico di vecchia data, ipertensione

arteriosa moderata e tenuta sottocontrollo con la terapia farmacologica antipertensiva.

Classe ASA III: pz che presentano una patologia sistemica grave con limitazione funzionale

di grado moderato, cioè affetti da una patologia sistemica grave ma non invalidante.

Ad esempio, si tratta di un pz affetto da angina pectoris ben controllata dalla terapia, diabete

insulino-dipendente, obesità di tipo patologica, insufficienza respiratoria moderata.

Classe ASA IV: pz che presentano una patologia sistemica grave, invalidante, che

rappresenta un pericolo costante per la sopravvivenza del pz.

Ad esempio, si tratta di un pz affetto da insufficienza cardiaca severa, angina pectoris “instabile”

poco sensibile al trattamento, insufficienza respiratoria, renale, epatica o endocrina di grado

avanzato, cioè si tratta di pz che devono essere tenuti sottocontrollo e che necessitano di terapia

continua per sopravvivere.

Classe ASA V: pz moribondo, la cui sopravvivenza non è garantita per 24 h, con o senza

l’intervento chirurgico, ad esempio un pz politraumatizzato grave in stato di shock o coma, oppure

con infarto intestinale o un’altra situazione chirurgica d’urgenza, con poche possibilità di

sopravvivenza per il pz.

Per questo motivo è molto importante conoscere tutti i fattori di rischio e a quale classe di rischio

appartiene il pz, riferendo il tutto al pz e ai familiari in modo da evitare dei problemi dal punto di

vista medico-legale.

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Profilassi Preoperatoria

E’ importante per la preparazione del pz all’intervento chirurgico.

1) PROFILASSI ANTITROMBOEMBOLICA per evitare le complicanze tromboemboliche nel

periodo post-operatorio: infatti, lo stress chirurgico sposta l’equilibrio tra coagulazione e fibrinolisi

verso la coagulazione favorendo l’insorgenza di tromboembolie in presenza di alcuni fattori di

rischio tromboembolici, cioè varici degli arti inferiori, obesità, interventi sul piccolo bacino con

interessamento dei vasi pelvici, interventi chirurgici ginecologici, prostatici, ortopedici che

costringono il pz a stare fermo e immobile per lunghi periodi di tempo a letto.

La Profilassi Antitromboembolica si basa soprattutto sulla somministrazione di eparina calcica

alla dose di 5000 UI due ore prima dell’intervento ed ogni 8-12 h nel periodo postoperatorio,

oppure eparina sodica a basso PM alla dose di 5000 UI per 7-15 gg dopo l’intervento, tenendo

conto che si tratta di farmaci molto maneggevoli e che agiscono efficacemente anche con una sola

dose giornaliera, essendo farmaci a lento assorbimento.

Inoltre, è importante che il pz si alzi dal letto entro 24-36 h dopo l’intervento, oppure bisogna

aiutare il pz a muovere le gambe per favorire la circolazione ed evitare il ristagno del sangue.

A tal proposito la chirurgia laparoscopica è quella più favorevole perché abbiamo un decorso post-

operatorio migliore, tanto che il pz in alcuni casi può ritornare a casa già dopo 24-36 h dopo

l’intervento, come nel caso della colecistectomia non complicata.

2) PROFILASSI RESPIRATORIA avviene con indagini di routine preoperatoria cioè l’Rx del

Torace, per individuare patologie dell’apparato respiratorio in atto o silenti clinicamente.

I “pz più a rischio“ sono quelli che già prima dell’intervento presentano patologie dell’apparato

respiratorio, cioè affetti da bronchite cronica, asma bronchiale e i soggetti fumatori perché il fumo

di sigaretta è il principale responsabile delle complicanze bronco-polmonari postoperatorie.

- il soggetto fumatore deve smettere di fumare da almeno 15 gg prima dell’intervento.

- assumere farmaci mucolitici per rendere più fluide le secrezioni bronchiali, evitando il ristagno nei

bronchi, favorendo la loro eliminazione, evitando bronchiti, polmoniti, atelectasie...

- analgesici contro il dolore postoperatorio perché questo provoca una < dei movimenti del muscolo

diaframma, della meccanica ventilatoria, favorendo le complicanze bronco-polmonari.

- il fisioterapista (nei grossi centri) prima dell’intervento fa svolgere al pz alcuni esercizi di

ginnastica respiratoria (gonfiare palloncini o soffiare in una bottiglia con cannuccia), che poi

ritorneranno utili dopo l’intervento per ripristinare la meccanica respiratoria, i movimenti del

diaframma e l’espansione dei polmoni.

3) PROFILASSI ANTIBIOTICA: importante per evitare le complicanze infettive (shock settico).

- il pz deve giungere in sala operatoria pulito.

- si disinfetta la cute con soluzioni antisettiche nel punto in cui avverrà l’incisione chirurgica e si

asciuga tamponando con un panno sterile e non strofinando per evitare di ricontaminare la zona

appena disinfettata da parte dei batteri presenti sulla cute adiacente alla zona di incisione, tenendo

conto che la ferita chirurgica rappresenta la via principale di ingresso dei microrganismi presenti

nell’aria e sulla cute (Staphylococcus epidermidis, Pseudomonas aeruginosa) responsabili di

infezioni opportunistiche.

- eseguire la depilazione nella sede di incisione con cautela evitando abrasioni o piccole ferite

cutanee che possono favorire l’ingresso dei microrganismi.

- cateteri e tubi di drenaggio devono essere sterili e devono essere rimossi dopo 36 h al massimo

perché possono veicolare microrganismi responsabili di infezioni opportunistiche.

- somministrare antibiotici ad ampio spettro d’azione 1-2 h prima dell’intervento per ottenere la

massima efficacia nel periodo operatorio.

La profilassi antibiotica è obbligatoria nel caso degli interventi sporchi con apertura del torace o

dell’addome, nel caso degli interventi contaminanti cioè quando si interviene su visceri cavi

potenzialmente sterili come lo stomaco e la colecisti ed è obbligatoria anche nel caso degli

interventi puliti nelle sale operatorie di chirurgia universitaria perché spesso sono superaffollate da

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chirurghi, infermieri, specializzanti e studenti, ecco perché è importante entrare in sala operatoria

muniti di camice, guanti, scarpe e cappellini sterili.

Inoltre, nel caso di interventi sull’apparato gastro-enterico è importante la dieta prima

dell’intervento, ricca di fibre, in modo da ridurre la massa fecale, poi si ripulisce l’intestino con

soluzioni lassative o clisteri, evitando che all’apertura dell’addome e del peritoneo ci sia la

contaminazione del peritoneo con peritonite acuta e shock settico, ad alto rischio di mortalità.

- stare attenti alla deiscenza postoperatoria cioè all’apertura dell’anastomosi, con passaggio del

contenuto intestinale nel cavo peritoneale che richiede un intervento chirurgico d’urgenza.

Le anastomosi eseguite con le suturatrici meccaniche o Stappler sono a basso rischio di deiscenza

rispetto alle suture eseguite manualmente.

Decorso Postoperatorio

Il Decorso Postoperatorio comincia dal momento in cui il pz viene esce dalla sala operatoria:

- è preferibile che il pz esca dalla sala operatoria in posizione semiseduta perché favorisce la

ventilazione, cercando di evitare le complicanze broncopolmonari.

- controllo dei principali segni vitali: P arteriosa, frequenza cardiaca, stato di coscienza del pz,

presenza del riflesso della tosse che è un importante meccanismo di difesa per evitare il ristagno

delle secrezioni nell’albero bronchiale e le complicanze broncopolmonari.

- controllare i drenaggi intratoracici e intraddominali che consentono di valutare la presenza di

emotorace ed emoperitoneo: si controlla se la busta collegata al tubo di drenaggio è piena o vuota

ma se è vuota non è detto che il pz non abbia emotorace o emoperitoneo, bisogna stare attenti

perché il tubo di drenaggio può essere piegato impedendo il deflusso del liquido e il riempimento

della busta, oppure il pz ha assunto un decubito sbagliato comprimendo il tubo di drenaggio con il

suo peso, oppure il tubo è ostruito da coaguli di sangue che devono essere rimossi aspirando il

liquido, senza iniettare soluzioni che potrebbero veicolare germi responsabili di gravi infezioni.

- controllare il dolore post-operatorio perché rappresenta un ulteriore fonte di stress per il pz e <

notevolmente i movimenti dei muscoli respiratori, in particolare del muscolo diaframma, favorendo

l’insorgenza delle complicanze broncopolmonari. Per cui si aggiungono farmaci analgesici nella

flebo per avere un’azione più rapida e duratura nel tempo.

- prelievo di sangue con esame emocromocitometrico con formula leucocitaria in modo da valutare

la presenza di infezioni (leucocitosi neutrofila), anemia (< Hb) mentre l’HCT (indice diretto della

volemia) + controllo della diuresi consente di valutare lo stato di idratazione del pz, per correggere

tempestivamente un eventuale squilibrio idro-elettrolitico.

Si controlla la fx renale, fx epatica, si controllano le proteine totali presenti nel siero, in particolare

l’albumina plasmatica.

- diuresi post-operatoria: può essere spontanea o indotta dal catetere: nel periodo post-operatorio è

molto utile la diuresi oraria, rispetto a quella delle 24 h, perché consente di valutare costantemente

lo stato di idratazione del pz in rapporto alla quantità di liquidi che si reinfondono.

- misurare la T°C corporea: in genere la febbricola indica lo stato di sofferenza e di stress del pz che

deve ancora recuperare la condizione fisica ottimale dopo l’intervento, mentre la presenza di febbre

alta (> 38°C) indica la presenza di una complicanza infettiva che deve essere tenuta sottocontrollo

mediante terapia antibiotica ad ampio spettro d’azione.

In base allo stato generale del pz, si stabilisce se il pz può tornare ad alimentarsi regolarmente

oppure se ricorrere alla nutrizione per via parenterale totale (NPT).

- controllare la ferita chirurgica per verificare eventuali riaperture, eseguendo un’accurata

medicazione della ferita per favorire la cicatrizzazione ed evitare le infezioni.

- si invita il pz a muoversi per favorire la circolazione del sangue.

- si controlla la canalizzazione dell’intestino alle feci e ai gas per valutare la presenza di

subocclusioni od occlusioni intestinali.

- si rimuovono i cateteri, tubi di drenaggio, sondino naso-gastrico, perché questi perdono la loro

sterilità e possono favorire l’insorgenza delle infezioni.

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BILANCIO e RIEQUILIBRIO IDRO-ELETTROLITICO

Il Bilancio Idrico è molto importante nel periodo post-operatorio soprattutto nel caso di interventi

di chirurgia d’urgenza, di chirurgia maggiore, di lunga durata, digiuno prolungato, nel caso di pz

politraumatizzati gravi, ustioni gravi ed estese, emorragie acute con shock ipovolemico, emotorace,

emoperitoneo, emopericardio, tutte situazioni in cui si verifica una notevole perdita di liquidi con

grave squilibrio idro-elettrolitico e della volemia.

Bisogna stare attenti anche ai pz cardiopatici con insufficienza cardiocircolatoria, ai pz nefropatici

con insufficienza renale acuta o cronica, ai pz cirrotici con ipertensione portale e ascite.

L’H2O circolante nell’organismo rappresenta il 60-70% del peso corporeo totale: il compartimento

intracellulare contiene il 40% dell’H2O totale, un’altra parte è rappresentata dal plasma e un’altra

parte dai liquidi interstiziali.

L’acqua è abbondante nella massa magra, mentre la massa grassa è ricca di tessuto adiposo.

Il contenuto di H2O < col passare degli anni, infatti, il contenuto di acqua è massimo nel periodo

neonatale, poi si verifica un calo fisiologico con valori molto bassi nei soggetti anziani che

presentano una cute secca e rugosa.

La maggior parte dell’H2O presente nell’organismo viene introdotta dall’esterno, ecco perché si

consiglia di bere 1.5-2 litri di liquidi al giorno.

Una piccola quota di H2O viene ricavata dai cibi solidi e dai prodotti di ossidazione dell’organismo,

per cui ogni giorno vengono introdotti ~ 2600 cc di liquidi.

Oltre alle entrate dobbiamo considerare le uscite dei liquidi: normalmente vengono persi ~ 1.5 l/gg

di liquidi con le urine, mentre 250 cc vengono persi con le feci.

Poi ci sono le perdite insensibili: sudore (pz con febbre alta) con perdita di 250 cc di liquidi per

ogni grado di T°C corporea che aumenta, nel tentativo da parte dell’organismo di mantenere

costante la T°C corporea, riducendo gli eccessivi aumenti di calore.

Poi abbiamo la perspiratio insensibilis (perdite che avvengono a livello polmonare) e soprattutto le

perdite patologiche da ustioni gravi ed estese, emorragie acute fino allo shock ipovolemico, diarrea

profusa, vomito abbondante da occlusione intestinale alta, febbre molto alta di tipo settica...

Per cui si parla di DISORDINI del BILANCIO IDRICO con disturbi quantitativi o alterazioni

della volemia e disturbi qualitativi o alterazioni della [ ] e composizione dei liquidi.

I Disturbi Quantitativi cioè le alterazioni della volemia sono dovute alle emorragie acute,

ustioni gravi ed estese, traumi con rottura epatica, splenica o di grossi vasi addominali... con

shock ipovolemico tale da provocare gravi ripercussioni sugli organi vitali se non si interviene

subito cioè cuore, cervello, reni...

Il primo segno dell’ipovolemia è la sete persistente, mentre l’ipervolemia si manifesta con edema

generalizzato con segno della fovea cioè si preme con un dito a livello degli edemi declivi degli

arti inferiori e si crea una specie di fossetta.

L’Esame Emocromocitometrico evidenzia anemia con < Hb e globuli rossi, < HCT o ematocrito

che è un indice diretto della volemia, consente di valutare entità delle perdite e stato di

idratazione del pz. L’HCT viene definito come il rapporto tra il volume di plasma sanguigno e

volume occupato dai globuli rossi, cioè è il volume occupato dai globuli rossi in 100 ml di sangue.

I valori normali sono 40-54% nell’uomo e 36-46% nella donna.

In caso di disidratazione avremo un >> HCT per cui il pz si dice emoconcentrato, mentre in caso di

iperidratazione avremo un << HCT per cui il pz si dice emodiluito.

Molto utile è la valutazione della Diuresi Oraria in modo da verificare anche l’efficacia della

terapia medica e la misurazione della PVC o Pressione Venosa Centrale che ci dà informazioni

sullo stato di idratazione del pz e quantità di liquidi da reinfondere (vedi shock ipovolemico).

Le Cause responsabili delle alterazioni del bilancio idrico sono distinte in cause

preoperatorie, operatorie e postoperatorie.

cause preoperatorie sono legate alla patologia di base del pz, come un’occlusione intestinale alta

con vomito abbondante e precoce, diarrea profusa, ustioni gravi ed estese, febbre molto alta di tipo

settica, uso eccessivo di clisteri con disidratazione di tipo iatrogena.

cause operatorie: lesione intraoperatoria di un grosso vaso con grave emorragia difficile da controllare.

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cause postoperatorie: digiuno prolungato del pz, mancato ripristino dell’equilibrio idro-elettrolitico.

Per cui è molto importante il Bilancio Idrico nel pz chirurgico che si ottiene facendo la somma

algebrica tra le entrate e le uscite: si usa il foglio del bilancio idrico che viene messo ai piedi del

letto del pz, segnando sulla parte sx tutte le entrate e sulla parte dx tutte le uscite.

– entrate: liquidi somministrati al pz per via parenterale cioè soluzioni idro-elettrolitiche, soluzioni

glucosate, plasma expanders, sangue intero o emoderivati, proteine (albumina plasmatica).

– uscite: liquidi persi dal pz attraverso la diuresi indotta dal catetere vescicale, tubi di drenaggio,

sondino naso-gastrico...

Nel caso di un pz in buone condizioni generali, peso medio di 70 Kg, il foglio del bilancio idrico

viene compilato 1 volta al giorno, somministrando ~ 1800 cc di soluzioni idroelettrolitiche.

Nel caso di pz in gravi condizioni il foglio del bilancio idrico viene compilato 2 volte al giorno,

segnando le entrate e le uscite dalle ore 8 alle ore 20 e dalle ore 20 alle ore 8 del giorno successivo,

somministrando 2000-3000 cc di liquidi, controllando l’HCT, la diuresi e la PVC.

Alla fine della giornata si fa la somma algebrica tra entrate e uscite, ottenendo 2 possibili risultati:

– bilancio idrico - se le uscite prevalgono sulle entrate, per cui il pz è ancora disidratato.

– bilancio idrico + se le entrate prevalgono sulle uscite, per cui stiamo sovraccaricando il pz, si ha

iperidratazione, oppure si tratta di un pz con insufficienza renale con oliguria perché valutando la

diuresi si nota che il pz urina poco nell’arco delle 24 h, trattenendo più liquidi, oppure si tratta di un

pz con insufficienza cardiocircolatoria per cui bisogna sospendere la somministrazione dei liquidi

per evitare ulteriori complicanze, come l’edema polmonare acuto.

SHOCK

Lo Shock o collasso circolatorio è una sindrome caratterizzata da insufficienza circolatoria acuta

con ipoperfusione tissutale e deficit del metabolismo e del catabolismo cellulare (rimozione dei

rifiuti metabolici), per cui si verifica una discrepanza tra contenente e contenuto cioè tra la capacità

dei vasi e il volume effettivo del sangue circolante, come succede in caso di shock ipovolemico da

< della massa sanguigna o shock cardiogeno per un deficit primitivo o secondario della pompa

cardiaca. Per cui possiamo fare una distinzione tra vari tipi di shock in base alla causa che l’ha

provocato, cioè shock ipovolemico, cardiogeno, settico, neurogeno, traumatico e post-operatorio,

anafilattico.

Lo SHOCK IPOVOLEMICO è dovuto alla rapida < del volume ematico circolante con

conseguente < P riempimento sistemica e del ritorno del sangue venoso al cuore (< precarico).

Le CAUSE dello shock ipovolemico sono diverse:

- emorragia acuta interna o esterna da traumi con emoperitoneo, emotorace, emorragia

gastrointestinale o retroperitoneale, aneurisma dissecante dell’aorta.

- occlusione intestinale, peritonite, pancreatite, ascite, ustioni gravi, reazioni di ipersensibilità

anafilattiche con < del volume plasmatico.

- deplezione di acqua ed elettroliti da inadeguata assunzione di liquidi e sali minerali, eccessiva

sudorazione, vomito e diarrea gravi, eccessive perdite urinarie (diabete mellito, sindrome nefrosica,

abuso di diuretici)

Quindi lo shock ipovolemico è caratterizzato da importanti alterazioni emodinamiche da cui deriva

tutta la sintomatologia. I SINTOMI dello shock ipovolemico sono:

- pallore della cute e soprattutto delle mucose (colore della cute può variare da un individuo ad un

altro a seconda della pigmentazione), sudorazione, < T°C cutanea cioè ipotermia da < afflusso di

sangue e azione del riflesso simpatico vasocostrittore, tachicardia, ipotensione arteriosa da < gittata

cardiaca e delle resistenze vascolari periferiche con ipoperfusione tissutale, < apporto di ossigeno e

sostanze nutrienti con acidosi metabolica e ischemia cellulare, deterioramento degli organi vitali e

morte se non si interviene tempestivamente.

- midriasi (pupille dilatate), astenia, alterazione dello stato di coscienza cioè irrequietezza,

agitazione, confusione mentale, vertigini da ipoperfusione cerebrale.

- < diuresi con oliguria da ipoperfusione renale e deficit della filtrazione glomerulare plasmatica,

fino all’anuria.

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L’organismo reagisce mediante dei meccanismi di compenso che sono mediati dal SN simpatico

con intervento di sostanze neurosensoriali endogene e da meccanismi vasoregolatori locali:

- tachicardia nel tentativo di > gittata e frequenza cardiaca attraverso una maggiore contrattilità del

cuore.

- vasocostrizione arteriolare da stimolo adrenergico delle meta-arteriole del distretto splancnico,

cute e muscoli scheletrici, cercando di garantire la perfusione di cuore e cervello.

- maggiore stimolazione della midollare del surrene da parte del simpatico per il rilascio delle

catecolamine, come l’epinefrina, provocando vasocostrizione e ridistribuzione del sangue al cuore,

cervello e reni per la loro perfusione.

I meccanismi di compenso sono di breve durata ed inefficaci in caso di shock ipovolemico grave,

con evoluzione verso lo shock cardiogeno se non si interviene subito, perché non arriva più sangue

al cuore da pompare.

E’ molto importante il Monitoraggio dello shock ipovolemico che prevede diverse fasi:

1. Controllare la pervietà delle vie aeree e si ricorre alla ventilazione meccanica assistita.

2. Controllo della frequenza e del ritmo cardiaco per valutare precocemente le alterazioni cardio-

circolatorie, mentre l’ECG consente di valutare la presenza di battiti ventricolari prematuri

responsabili di gravi aritmie ventricolari e di altri disturbi della conduzione.

3. Misurazione della P Arteriosa che in caso di shock ipovolemico è difficile da eseguire con lo

sfigmomanometro a causa della vasocostrizione simpatica riflessa con riduzione dell’afflusso di

sangue all’avambraccio. Per questo motivo occorre individuare i polsi periferici, come il polso

radiale caratterizzato da un maggior afflusso di sangue e una minore vasocostrizione, oppure i polsi

centrali, come il polso carotideo e femorale: se il polso è ancora palpabile si incannula una di

queste arterie per via percutanea misurando la P arteriosa, mentre se la P arteriosa sistolica è < 80

mmHg, oppure le resistenze vascolari periferiche sono <, si dice che il polso è tardo, debole o

assente per cui si incannula l’arteria per via chirurgica.

In caso di < marcata del polso arterioso e ipotensione profonda, si deve subito intervenire per

evitare danni cerebrali e cardiaci rapidi e irreversibili, per cui si deve subito ripristinare la P

perfusione mettendo il pz in posizione orizzontale con le gambe leggermente sollevate per favorire

il ritorno del sangue venoso al cuore, somministrando possibilmente ossigeno supplementare per

mantenere una PaO2 almeno pari a 70 mmHg.

Infatti, bisogna evitare le alterazioni dell’equilibrio acido-base che vengono valutate mediante

l’emogasanalisi, misurando il pH ematico e i gas ematici: nelle fasi iniziali dello shock ipovolemico

si ha l’alcalosi respiratoria con iperventilazione nelle fasi iniziali dello shock, > pH e < PaCO2,

mentre nelle fasi avanzate il pz va incontro ad acidosi metabolica con < PaO2 e produzione di acido

lattico da ipossia tissutale anossica, cioè scarso apporto di O2 ai tessuti con condizione di

anaerobiosi che favorisce la produzione di acido lattico con ischemia cellulare oppure si va incontro

ad acidosi mista, cioè metabolico-respiratoria.

4. Esame Emocromocitometrico: valutiamo l’Hb per stabilire la presenza dell’anemia nel pz e

l’HCT ematocrito che è un indice diretto della volemia, definito come il rapporto tra il volume del

plasma sanguigno e il volume occupato dai globuli rossi, espresso in %, cioè indica il volume

occupato dai globuli rossi in 100 ml di sangue. Normalmente l’HCT è pari a 40-54% ♂ e 36-46%

♀. Bisogna ricordare che in caso di shock ipovolemico la < dell’ematocrito HCT non avviene sin

dalle fasi iniziali perché si ha una perdita equilibrata sia della parte liquida plasmatica che della

parte corpuscolata del sangue. La < HCT si noterà nel momento in cui reinfondiamo plasma

expanders nel pz. In base ai valori dell’HCT possiamo fare una distinzione tra:

- shock ipovolemico lieve o compensato se le perdite sono < 20%.

- shock ipovolemico medio se le perdite sono comprese tra il 20 e 40%.

- shock ipovolemico grave se le perdite sono > 40%.

Le indagini di laboratorio consentono di valutare la fx renale perché nello shock ipovolemico si ha

ipoperfusione renale con insufficienza renale acuta, oliguria fino all’anuria (azotemia,

creatininemia, clearance renale dell’urea, creatinina, , glicosuria, proteinuria, peso specifico urine).

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Inoltre, poiché il fegato mette a disposizione il suo sangue per cercare di ripristinare la volemia, si

avrà ischemia del parenchima epatico con necrosi delle cellule epatiche con conseguente ittero a

iperbilirubinemia diretta da insufficienza epatica.

Inoltre, si può avere shock settico in seguito alla alterazione della mucosa intestinale con azione

della flora batterica residente (leucocitosi neutrofila, > VES, febbre alta).

5. Misurazione della Pressione Venosa Centrale PVC, normalmente pari a 6-10 cmH2O,

rappresenta la P presente nella vena cava superiore che riflette la P media dell’atrio dx e la P

telediastolica ventricolare dx.

La PVC è molto importante perché da informazioni sull’indice di riempimento vascolare, ritorno

del sangue venoso al cuore, stato di idratazione del pz, consentendo di stabilire la quantità di

liquidi da reinfondere nel pz, valutando la risposta del pz ad un carico di volume.

La PVC è misurata mediante un catetere inserito nella vena cava superiore a partire da una vena

antecubitale cioè la vena giugulare esterna o interna oppure la vena succlavia.

Si reinfonde un carico di liquidi pari a 1-2 dl nel giro di 5-10 minuti e si misura la PVC:

- se la PVC resta costante significa che la quantità di liquidi che stiamo reinfondendo è giusta.

- se la PVC è bassa significa che il pz è ancora vuoto e dobbiamo reinfondere altri liquidi.

- se la PVC > rapidamente senza miglioramenti dell’emodinamica, anzi la situazione peggiora,

probabilmente ci troviamo di fronte ad una insufficienza cardiaca con < del ritorno venoso al cuore

e > PVC, per cui se reinfondiamo altri liquidi andiamo a sovraccaricare il muscolo cardiaco

aggravando la situazione (edema polmonare) e dobbiamo evitare di somministrare altri liquidi.

6. Controllare la Diuresi (oraria) cioè la quantità di urine emessa ogni h mediante un catetere

vescicale a permanenza: infatti, nello shock ipovolemico si ha ipoperfusione renale e < funzione

filtrazione glomerulare plasmatica, < della quantità di pre-urina, urina cioè < diuresi, oliguria fino

all’anuria.

L’organismo nelle fasi iniziali interviene con il meccanismo di compenso renina-angiotensina

provocando vasocostrizione delle arteriole afferenti al glomerulo e > P idrostatica intraglomerulare

nel tentativo di aumentare la perfusione renale, ma se non ripristiniamo la volemia il meccanismo di

compenso non è efficace e si va incontro ad una insufficienza renale acuta su base funzionale con

oliguria ad alto peso specifico (> 1020-1035), iperazotemia, < clearance renale di Na+, urea,

creatinina, che però tende a regredire nel giro di alcuni gg se si interviene subito con infusione di

una soluzione isotonica in 10 minuti oppure somministrando 100 cc di mannitolo al 20% per via

e.v. per richiamare i liquidi nei vasi.

Se la diuresi non viene ripristinata significa che siamo già nella fase di Insufficienza Renale Acuta

su Base Organica con necrosi tubulare acuta, retrodiffusione della pre-urina, tubuloressi cioè

sfaldamento delle cellule tubulari e della membrana basale con edema interstiziale compressivo,

ostruzione massiva dei tubuli distali e dei canali collettori.

In tal caso abbiamo oliguria a basso peso specifico delle urine (fino a 1010-1011) con iperazotemia,

ipercreatininemia, proteinuria, glicosuria, ematuria microscopica e < escrezione urinaria di Na+ e

urea dovuta al danno ischemico. In tal caso è necessaria la resezione parziale o totale del rene

ischemico (rene grinzo).

La TERAPIA dello shock ipovolemico si basa su:

- ripristino della volemia: sangue intero o emoderivati, plasma expanders cioè sostituti del

plasma, come i destrani macrodex e rheomacrodex che hanno un P.M. più o meno alto, tali da > il

volume plasmatico per assorbimento dell’acqua dagli spazi extracellulari.

Inoltre, si somministrano per via e.v. soluzioni isotoniche ed isosmotiche per contrastare la

disidratazione del pz cioè soluzioni fisiologiche a base di cristalloidi, Ringer lattato (contro

l’acidosi metabolica), albumina plasmatica (> la P colloidosmotica richiamando acqua nei vasi).

- ripristinare l’equilibrio idro-elettrolitico con soluzioni idro-elettrolitiche, cioè acqua, Na+,

K+,

Ca2+

e soluzioni glucosate o glucosio per ripristinare l’equilibrio calorico.

Sono utili gli anticoagulanti, come l’eparina per evitare le complicanze tromboemboliche e gli

antibiotici ad ampio spettro d’azione per evitare lo shock settico.

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Lo SHOCK CARDIOGENO si verifica quando il cuore non riesce più a pompare il sangue e O2

in periferia, con conseguente < gittata cardiaca, > resistenze periferiche, > frequenza cardiaca,

P riempimento cardiaca ≤, cute fredda e sudata.

Le CAUSE dello shock cardiogeno sono: IMA, insufficienza valvolare acuta, grave insufficienza

cardiaca congestizia da cardiopatia ipertensiva o valvulopatia, miocardiopatie e miocarditi che

compromettono la fx sistolica, ostruzione meccanica della vena cava superiore con ostacolo al

ritorno venoso o al riempimento ventricolare sx, trombosi di una protesi valvolare mitralica e

mixoma atriale, aneurisma dissecante dell’aorta, stenosi aortica, trombosi della protesi valvolare

aortica responsabili di ostruzione all’efflusso ventricolare sx.

Lo SHOCK NEUROGENO è il classico svenimento da crisi vagale con perdita del tono

vasomotorio dovuta a: anestesia generale o spinale, lesione cerebrale o del midollo spinale,

farmaci, cioè barbiturici, agenti bloccanti adrenergici e gangliari.

Lo SHOCK TRAUMATICO O POSTOPERATORIO si deve a traumi violenti, interventi di

chirurgia maggiore...

Lo SHOCK ANAFILATTICO si deve a fenomeni anafilattici, azione di sostanze vasoattive, cioè

adrenalina, istamina, acetilcolina, acido nicotinico...

NB: per lo shock settico vedi dispensa Malattie Infettive

EMORRAGIE DIGESTIVE

L’Emorragia Digestiva è una perdita di sangue all’interno del lume dell’apparato digerente.

Si fa una distinzione tra emorragie digestive superiori che originano a monte del legamento di

Treitz ed emorragie digestive inferiori che originano a valle del Treitz.

Le emorragie digestive superiori rappresentano l’85-90% di tutte le emorragie con circa 100 nuovi

casi/100000 abitanti l’anno, mentre quelle inferiori solo il 10-15%.

Le emorragie digestive superiori in genere sono causate da un'ulcera peptica perforata gastro-

duodenale, rottura delle varici esofagee, gastrite erosiva, emorragica, lacerazione della giunzione

esofago-gastrica o malattia di Mallory-Weiss, tumori oro-faringei, esofagei, gastrici, perivateriani,

esofagiti.

Le emorragie digestive inferiori in genere sono causate da diverticoli del colon, carcinomi del

colon-retto, retto-colite ulcerosa emorragica, morbo di Crohn, angiodisplasie del colon con

emorragia di tipo venosa e incontrollabile con le trasfusioni, emorroidi e ragadi anali, infarto

mesenterico, strozzamento intestinale, volvolo, invaginazione intestinale.

Alcune volte l’emorragia digestiva origina dalle vie biliari, come in caso di carcinoma

dell’epatocoledoco o della colecisti, calcolosi biliare con conseguente emobilia, oppure deriva dal

pancreas, come in caso di una pancreatite acuta necrotico emorragica PANE.

Inoltre, abbiamo le emorragie digestive di natura iatrogena, ad esempio da terapia anticoagulante

in atto o pregressa, interventi chirurgici o indagini endoscopiche dell’apparato digerente o dei grossi

vasi addominali. Poi ci sono soggetti predisposti alle emorragie digestive, cioè con diatesi

emorragica, oppure le emorragie da rottura di un aneurisma aortico fissurato nell’esofago oppure

rottura di un innesto vascolare nel tubo digerente.

Secondo la Classificazione di Hoerr possiamo fare una distinzione tra:

emorragia lieve con HCT ≥ 30%: il pz ha pallore e raramente lipotimia (perdita di coscienza

momentanea, cioè svenimento).

emorragia grave compensata: perdita di sangue < 1 litro, avviene lentamente senza arrivare allo

stato di shock.

emorragia grave scompensata: perdita di sangue > 1,5 litri, corrispondente al 20-25% della

massa sanguigna, fino ad arrivare ad uno stato di shock controllabile con terapia trasfusionale,

sangue intero o plasma expanders.

emorragia cataclismatica o dissanguante con shock irreversibile e morte del pz.

Questa classificazione tiene conto solo della quantità di sangue che viene perso, mentre sono

importanti anche la velocità con cui il sangue viene perso, età del pz, peso, malattie associate.

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Infatti, se il pz perde una quantità di sangue pari a 1500-2000 ml rapidamente può andare subito

incontro ad un gravissimo stato di shock ipovolemico.

Se il pz perde una quantità di sangue superiore ma questa perdita avviene lentamente, l’organismo

riesce ad adattarsi ed è più facile controllare la situazione mediante le trasfusioni, purchè non si

tratti di emorragie recidivanti che avvengono a breve distanza tra loro e che il pz non abbia altre

patologie associate, cardiocircolatorie, respiratorie, renali.

I SINTOMI principali con cui si manifestano le emorragie digestive sono l’ematemesi e la melena,

e i sintomi dello shock ipovolemico:

L’Ematemesi è l’emissione di sangue attraverso il vomito in seguito al suo accumulo nello

stomaco, di colore rosso vivo fluido o ricco di coaguli, raramente ha un colore più scuro se il sangue

ha ristagnato per lungo tempo nello stomaco sottoposto all’azione digestiva del succo gastrico.

Nel 60% dei casi l’ematemesi è causata dall’ulcera peptica, altre volte dalla rottura delle varici

esofagee, gastrite erosiva, carcinoma gastrico... e si verifica quando il contenuto di sangue nello

stomaco è pari ad almeno 1 litro con conseguente vomito da distensione dello stomaco, per cui

l’ematemesi è indice di una grave emorragia digestiva. In tal caso una grossa quantità di sangue

passa nell’intestino stimolando la peristalsi, accelerando il transito del contenuto intestinale con

conseguente evacuazione di sangue rosso vivo misto alle feci (il sangue è il più potente lassativo).

Bisogna stare attenti a non confondere l’ematemesi con l’emottisi cioè la perdita di sangue

proveniente dalle vie respiratorie ed emesso in seguito a colpi di tosse, oppure con l’epistassi o

emorragia nasale.

La Melena è l’emissione di sangue con le feci, di colore rosso scuro, nero o piceo, posa di caffè

perché viene digerito dagli enzimi digestivi intestinali e dai batteri saprofiti, con trasformazione

dell’Hb in ematina, che in genere è indice di una emorragia avvenuta al di sopra della giunzione

ileo-cecale con perdita di sangue non esagerata, per cui non stimola la peristalsi intestinale e il

transito del contenuto intestinale sarà lento.

Per cui possiamo avere delle emorragie digestive con melena ed ematemesi, oppure solo con

melena mentre è impossibile avere emorragie digestive solo con ematemesi.

Ricordiamo che:

- ematochezia: emissione di sangue rosso vivo, misto a feci e coaguli oppure solo di sangue rosso

vivo, spesso dovuta ad una emorragia massiva del colon-retto.

- enteroraggia e proctoraggia: emissione di sangue rosso vivo misto a feci più o meno formate,

come in caso di sanguinamento delle varici emorroidarie.

- sangue occulto nelle feci: il sangue è visibile solo al laboratorio dovuto alla emissione cronica di

piccole quantità di sangue, < 50-100 ml.

Dobbiamo anche ricordare che l’assunzione di ferro, bismuto, carbon vegetale ed altri farmaci o

alimenti possono provocare l’emissione di feci di colore rosso scuro, simil melena (falsa melena).

La DIAGNOSI si basa su:

Indagini di laboratorio: esame emocromocitometrico valutando soprattutto l’HCT che è un indice

diretto della volemia, l’Hb ed eventuali segni di insufficienza renale, segni di insufficienza epatica

(perché il fegato può subire delle lesioni da ipoperfusione epatica), parametri emocoagulativi (PT o

tempo di Quick, piastrine...), determinazione del gruppo sanguigno.

Anamnesi: la storia clinica del pz può essere utile per valutare la sede e la natura dell’emorragia,

valutando la presenza di coagulopatie ereditarie, patologie gastroduodenali o interventi chirurgici

gastroduodenali pregressi, assunzione di FANS, anticoagulanti, patologie cardiovascolari…

Esplorazione digito-rettale è utile per valutare se l’emorragia deriva da emorroidi sanguinanti,

da ragadi anali o da tumori del canale anale o dell’ano...

Si applica il Sondino naso-gastrico (SNG) per aspirare il sangue, i coaguli, eventuali frammenti

di cibo non ancora digeriti presenti nello stomaco, verificando la presenza di sangue nello stomaco

ed è possibile eseguire un lavaggio con acqua e ghiaccio a scopo emostatico o con soluzioni

tamponanti. In presenza di ematemesi la presenza di sangue nello stomaco consente di orientarsi

verso un sanguinamento alto.

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Comunque, se si aspira solo succo acido-gastrico e bile significa che la sede dell’emorragia è bassa,

mentre se si aspira solo il succo gastrico non possiamo escludere la presenza di un sanguinamento a

sede alta, poiché potrebbe trattarsi di un’emorragia in sede duodenale con piloro competente che

impedisce il reflusso del sangue nello stomaco.

Esofago-gastro-duodenoscopia o EGDS: indagine endoscopica molto importante per valutare

sede e natura di un’emorragia digestiva alta, anche se deve essere evitata in caso di emorragia in

atto e usata con molta cautela in anestesia locale. E’ utile per la diagnosi delle varici esofago-

gastriche, ulcera gastrica o duodenale, gastrite cronica erosiva, carcinoma gastrico, esofagite da

RGE, consente di lavare lo stomaco portando via il sangue, i coaguli e il materiale presente, di

bloccare direttamente una emorragia per via endoscopica e di intervenire chirurgicamente.

Retto-sigmoidoscopia, Colonscopia, Pancolonscopia: indagini endoscopiche utili per valutare la

sede e la natura delle emorragie digestive inferiori del colon-retto. È necessario pulire l’intestino

con clisteri, poi si insuffla una piccola quantità di aria per evitare il distacco dei coaguli e la ripresa

del sanguinamento.

Arteriografia selettiva con catetere di Seldinger: molto utile per le emorragie che originano dal

tenue e colon dx che sono molto difficili da esplorare con le altre indagini, consente di eseguire

direttamente l’embolizzazione del vaso sanguinante, somministrare farmaci vasocostrittori come

propanololo e vasopressina.

Si introduce un catetere nell’arteria femorale che viene condotto fino all’aorta addominale, al tronco

celiaco e alle due arterie mesenteriche, si inietta il m.d.c. e si osserva.

L’arteriografia selettiva del tronco celiaco consente di stabilire se l’emorragia deriva dallo stomaco,

duodeno, pancreas, fegato o dalla milza. L’arteriografia selettiva della a.m.s. fornisce informazioni

sulla vascolarizzazione del tenue e colon dx, mentre l’arteriografia selettiva della a.m.i. fornisce

informazioni sulla vascolarizzazione del colon sx e del retto.

Il m.d.c. consente di studiare le fasi della vascolarizzazione:

- Fase arteriosa: si valuta la presenza di un’eventuale vascolarizzazione anomala cioè circoli

neoformati che irrorano una neoplasia maligna, mentre in caso di emangioma avremo un fitto ed

ordinato incremento della trama vascolare.

- Fase parenchimale: può essere visualizzata direttamente la sede dell’emorragia digestiva per la

fuoriuscita di sangue ricco di m.d.c. nel lume intestinale.

- Fase del ritorno venoso: si verifica la presenza di circoli collaterali ectasici che può essere indice

di ipertensione portale.

Laparotomia esplorativa: è utile prima del trattamento chirurgico nel caso ci siano ancora dubbi

sulla sede e natura dell’emorragia.

La TERAPIA MEDICA è rianimatoria e antishock: è importante il monitoraggio dello shock

ipovolemico e il ripristino della volemia (vedi shock ipovolemico).

In caso di emorragia da ulcera peptica si posiziona il sondino naso gastrico, si aspira tutto il

contenuto gastrico e si esegue un lavaggio dello stomaco mediante una soluzione di acqua e

ghiaccio che ha un effetto tamponante ed emostatico e si iniettano farmaci antagonisti dei recettori

H2 dell’istamina (anti-H2) cioè la ranitidina, cimetidina..., inibitori della pompa protonica, farmaci

riducenti il flusso splancnico cioè la somatostatina, octreotide, vasopressina.

Inoltre, si può ricorrere alla Terapia Endoscopica che può essere: iniettiva con soluzione di

adrenalina, sclerosante con adrenalina + polidocanolo, etanolo, sodio tetradecil solfato, sonde

termiche cioè elettrocoagulazione, Yag laser, meccanica con clips metalliche.

La Terapia Chirurgica dell’ulcera peptica si basa sulla pilorotomia + piloroplastica + vagotomia

tronculare, fino alla gastroresezione nei casi più gravi.

In caso di rottura delle varici gastro-esofagee si ricorre alla sonda salvavita di Sengstaken

Blakemore oppure alla Scleroterapia per via endoscopica.

La Terapia Chirurgica delle varici esofagee si basa sugli interventi derivativi e non derivativi.

La Terapia Chirurgica è indicata in caso di fallimento della terapia medica e/o endoscopica,

emorragia recidivante dopo terapia endoscopica, emorragie massive non controllabili con terapia

medica ed endoscopica.

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OCCLUSIONE INTESTINALE O ILEO

L’Occlusione Intestinale o Ileo è una grave sindrome caratterizzata dall’arresto brusco, acuto,

completo del transito del contenuto intestinale solido, liquido e gassoso.

L’occlusione intestinale rappresenta il 25% circa delle cause di addome acuto.

Dal punto di vista Eziologico l’occlusione intestinale può essere dovuta a cause meccaniche che

agiscono su un segmento circoscritto dell’intestino, interrompendone la canalizzazione e cause

non meccaniche da turbe neuro-muscolari della motilità intestinale che interessano segmenti di

varia lunghezza, anche tutto l’intestino, per cui possiamo fare una distinzione tra ileo meccanico

e ileo non meccanico o dinamico o paralitico.

L’Ileo Meccanico è un’ostruzione del lume intestinale che rende la peristalsi impotente a garantire

una normale progressione delle feci e gas dovuto a cause luminali, parietali o extraparietali.

cause luminali: addensamento del meconio nei primi gg di vita, cioè di quella sostanza bruno-

verdastra che si accumula nell’intestino del feto e che dovrebbe essere espulsa nei primi gg di vita;

presenza di un corpo estraneo o di un grosso calcolo biliare che giunge nell’intestino attraverso

una fistola colecisto-duodenale (ileo biliare); ammasso di elminti (ascaridi); fecaloma cioè un

accumulo di feci nell’intestino tale da simulare la presenza di un tumore.

cause parietali: malformazioni congenite come l’atresia duodenale o digiuno-ileale; malattie

infiammatorie croniche dell’intestino, cioè morbo di Crohn, diverticolite cronica; malattie

infiammatorie vascolari dell’intestino come una enterite ischemica con riduzione in addome di

un’ansa intestinale strozzata sofferente per l’ischemia; carcinoma infiltrante del colon sx,

carcinoma vegetante del colon dx...

cause estrinseche con lesioni vascolari: volvolo cioè rotazione sull’asse di un’ansa intestinale

con arresto completo dell’alvo; invaginazione cioè ripiegamento di un tratto di intestino nel tratto

che lo segue; cingoli strozzanti e briglie aderenziali postoperatorie cioè aderenze cicatriziali che

nascono come esito di pregresse infezioni (peritonite, appendicite) o di interventi chirurgici.

cause estrinseche senza lesioni vascolari: tumori di organi contigui, cioè pancreas,

retroperitoneo, utero, briglie, cingoli...

L’Ileo Paralitico, non meccanico o dinamico è determinato da una paralisi della muscolatura

intestinale con blocco della peristalsi e della progressione del contenuto intestinale, distinto in:

ileo paralitico diretto da lesioni nervose locali o midollari, intossicazioni e ipokaliemia.

ileo paralitico riflesso da traumi, interventi chirurgici addominali con apertura del peritoneo,

peritonite da appendicite acuta o perforazione di un viscere cavo, pancreatite acuta, infarto

intestinale, deiscenza di un’anastomosi intestinale; coliche biliari e renali, IMA, pericardite,

pleurite infiammatoria, torsione delle cisti ovariche e dei testicoli.

ileo paralitico spastico da lesioni nervose centrali o periferiche (S. di Ogilvie), traumi,

farmaci, intossicazione alimentare soprattutto da funghi.

Inoltre, possiamo fare una distinzione tra occlusione intestinale semplice, doppia ad ansia chiusa e

con strangolamento.

occlusione intestinale semplice: dovuta ad una stenosi senza sofferenza vascolare.

occlusione intestinale doppia o ad ansa chiusa: dovuta a stenosi doppia con completo

isolamento, da volvolo, aderenze, briglie e ileo con valvola ileo-ciecale continente ad alto

rischio di rottura dell’ansa isolata al transito (perforazione diastasica del cieco).

occlusione intestinale con strangolamento: si deve ad un’occlusione di tipo meccanica molto

grave perché si ha il blocco della vascolarizzazione dell’ansa interessata con conseguente

ischemia intestinale che evolve rapidamente verso la necrosi e la perforazione, come succede in

caso di un’ansa intestinale erniata e strozzata, invaginazione intestinale e volvolo.

Possiamo fare una distinzione tra occlusione intestinale alta a livello duodenale e prima porzione

del tenue, occlusione intestinale media a livello del tenue e colon dx, occlusione intestinale bassa

a livello del colon sx.

Dal punto di vista Fisiopatologico l’occlusione intestinale è caratterizzata da:

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Alterazione dei gas: si ha l’accumulo di gas a monte dell’ansa intestinale occlusa con distensione

dell’intestino a monte e > P intraluminale. Il gas che si accumula è costituito per il 70% dall’aria

deglutita costituita soprattutto dall’azoto, poi CO2 (10%) che si sviluppa nel mesocolon tra il succo

gastrico acido e il succo pancreatico ricco di bicarbonati, passando. Una piccola quota di gas è

rappresentata dall’idrogeno e metano che derivano dalla putrefazione delle proteine e dalla

fermentazione degli zuccheri da parte dei batteri della flora intestinale.

Alterazioni idroelettrolitiche: si ha l’accumulo di liquidi a monte dell’ansa occlusa, fino a 6-9

litri/di che derivano dalle secrezioni ghiandolari, cioè la saliva, succo gastrico, succo pancreatico

e bile. Normalmente i liquidi, elettroliti ed enzimi sono riassorbiti per il 98% prima di arrivare

alla valvola ileo-ciecale, mentre in caso di occlusione si accumulano a monte dell’ansa occlusa

con conseguente distensione dell’intestino e < della capacità di assorbimento intestinale di

liquidi ed elettroliti. Inoltre, normalmente la P endoluminale è di 2-4 cmH2O, mentre in caso di

occlusione intestinale arriva fino a 20-30 cmH2O nel tenue e 50 cmH2O nel colon, superando

così i valori della P venosa, soprattutto della vena porta dove la P è di 6-15 cmH2O, per cui si ha

la fase di edema e congestione della parete intestinale caratterizzata da stasi venosa ed edema,

trasudazione di liquidi nel lume intestinale, alterazione dei capillari della parete intestinale

con > permeabilità dei capillari e ulteriore trasudazione di plasma e sangue nel lume

intestinale e nel cavo peritoneale.

L’assorbimento intestinale di liquidi ed elettroliti si riduce man mano che si ha la distensione

delle anse fino a scomparire, ecco perché le anse a monte dell’ostacolo sono voluminose, piene

di un liquido più o meno emorragico, atoniche per l’assenza della peristalsi con comparsa di

petecchie ed erosioni emorragiche multiple.

L’organismo cerca di reagire con alcuni Meccanismi di Compenso, tra cui l’antiperistaltismo

che dirige il contenuto intestinale nello stomaco e verso l’esterno mediante il vomito.

Il vomito è precoce ed abbondante in caso di occlusione intestinale alta tenendo conto che la

superficie mucosa a disposizione per il riassorbimento dei liquidi ed elettroliti è scarsa, si ha

una maggiore perdita di elettroliti acidi, rappresentati dal Cl- presente nel succo acido gastrico,

nonché K+ e HCO3- presenti nella bile, per cui si ha alcalosi metabolica ipocloremica e

ipopotassiemica, con respiro rapido e superficiale.

Il vomito è tardivo in caso di occlusione intestinale bassa perché la superficie mucosa a

disposizione per il riassorbimento dei liquidi ed elettroliti è maggiore e perché la distensione

delle anse intestinali a monte dell’occlusione è più lenta e progressiva: in tal caso si ha una

maggiore perdita di elettroliti basici, rappresentati dal Na+ presente nel succo pancreatico e

nella bile con conseguente acidosi metabolica e ipopotassiemia, con polipnea.

In realtà, questo meccanismo pur opponendosi alla distensione intestinale provoca un grave

squilibrio idro-elettrolitico.

Un altro meccanismo di compenso è < del tono della muscolatura intestinale che in minima parte

< l’ipertensione endoluminale, ma si tratta di meccanismi che si esauriscono rapidamente e si ha

un nuovo > della P endoluminale.

Invece, in caso di occlusione intestinale con strangolamento si ha anche il sequestro di sangue

ricco di globuli rossi e proteine nel lume intestinale.

Se la causa della distensione persiste si va incontro alla fase ischemica con necrosi, perforazione

e peritonite in seguito al passaggio di liquido siero-ematico e di sostanze tossiche nel cavo

peritoneale, per cui il pz si trova in uno stato di shock ipovolemico e settico, con notevole

squilibrio idroelettrolitico, perdita di proteine plasmatiche, soprattutto l’albumina, notevoli

danni agli organi vitali da ipoperfusione se non si interviene tempestivamente.

Iperproliferazione Batterica: la chiusura dell’alvo a feci e gas, favorisce il ristagno dei germi

nel tratto a monte dell’occlusione, soprattutto in caso di strangolamento poiché il contenuto

intestinale è più ricco di proteine e globuli rossi che favoriscono la proliferazione batterica e la

produzione delle endotossine responsabili dello shock tossico.

Dal punto di vista Anatomo-Patologico si nota la presenza di liquido siero-ematico nel cavo

peritoneale, spesso di odore fecaloide, con sierosa peritoneale arrossata e edematosa. Inoltre, la

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distensione delle anse è massima a monte dell’ostacolo e diminuisce allontanandosi dall’ostacolo

stesso in direzione orale, specie nelle occlusioni recenti, mentre in quelle iniziate da alcuni gg la

distensione interessa anche le anse più distanti.

Le anse presentano un colore cianotico, sono pesanti per la grande quantità di liquidi che

contengono, con Ø molto superiore alla norma. La parete intestinale è edematosa, più fragile

soprattutto in caso di ileo da strangolamento a causa della sofferenza ischemica dell’ansa fino alla

necrosi e perforazione nel giro di poche ore.

Dal punto di vista Clinico l’occlusione intestinale si manifesta con:

dolore di tipo colico: dolore acuto, crampiforme, intermittente dovuto alla distensione delle

anse a monte dell’occlusione, > rapidamente di intensità, raggiungendo un picco massimo,

associato a borborigmi, poi si attenua con intervalli liberi caratterizzati da una lieve dolenzia.

La crisi dolorosa dura alcuni minuti e termina col finire della contrazione peristaltica (1-10’). Il pz

flette il tronco e le cosce sul bacino.

Nell’Ileo Dinamico spesso il dolore è assente, mentre nell’Ileo da Strangolamento il dolore è

continuo, violento, dovuto alla sofferenza ischemica dell’ansa ad alto rischio di perforazione e di

peritonite acuta con dolore continuo, violento, tende ad irradiarsi a tutto l’addome, la palpazione

dell’addome provoca reazione di difesa con contrattura di tipo lignea della parete muscolare

addominale il che è indice di irritazione peritoneale (addome acuto).

vomito: si deve alla distensione progressiva dello stomaco in cui refluisce il contenuto intestinale

in seguito all’antiperistaltismo. Il vomito è prima alimentare, poi biliare e infine fecaloide in caso

occlusioni basse. Il vomito è precoce nelle occlusioni alte, è tardivo in quelle basse, può essere

assente nelle occlusioni a livello del colon se la valvola ileo-ciecale e continente.

Può essere accompagnato da nausea.

chiusura dell’alvo a feci e gas: è tardiva nelle occlusioni alte perché è preceduta dallo

svuotamento di tutto il contenuto intestinale a valle dell’ansa occlusa, spesso diarroico, seguito

dalla chiusura dell’alvo, mentre è precoce nelle occlusioni basse.

sintomi e segni di shock ipovolemico e settico: segni di disidratazione sono sete

persistente, lingua asciutta, pelle secca, occhi infossati, sudorazione, tachicardia, ipotensione

arteriosa, estremità fredde, pallore, polso piccolo e frequente, respiro superficiale nell’alcalosi,

polipnoico nell’acidosi, cioè il respiro si comporta come meccanismo di compenso degli squilibri

idroelettrolitici che avvengono nel pz. In caso di shock settico il pz presenta febbre alta con

leucocitosi neutrofila.

La Diagnosi si basa su:

Esame Obiettivo:

All’Ispezione si nota: sovradistensione dell’addome da meteorismo o addome globoso, più

evidente a livello mesogastrico in caso di occlusione del tenue, a livello periferico (fianchi) in caso

di occlusione del colon con notevole alterazione del profilo dell’addome che è percorso da

movimenti peristaltici visibili in caso di ileo meccanico, immobile in caso di ileo paralitico.

Si possono notare anche dei movimenti peristaltici vivaci delle anse intestinali che si disegnano

al di sotto della parete addominale, di cui si valuta la sede, direzione, ritmo e durata, che

scompare nelle fasi avanzate e in caso di strangolamento dell’ansa intestinale dove la peristalsi

è assente. Inoltre, si valuta la presenza di eventuali cicatrici addominali perché l’occlusione può

essere dovuta a briglie o aderenze post-chirurgiche e si esplorano le zone erniarie per escludere

la presenza di un’ernia strozzata.

La Palpazione deve essere dolce per non stimolare la peristalsi, valutando se ci sono o meno i segni

di irritazione peritoneale, cioè contrattura di difesa della parete addominale da peritonite.

Alla Percussione si apprezza il meteorismo con timpanismo circoscritto o diffuso a tutto

l’addome disteso e la scomparsa dell’aia di ottusità epatica in seguito alla perforazione o

notevole distensione delle anse.

All’Auscultazione in caso di ileo meccanico si apprezzano borborigmi da iperperistaltismo se

l’ansa intestinale è notevolmente distesa dai liquidi e dai gas, mentre si apprezzano dei rumori di

tipo metallico se l’ansa intestinale è notevolmente distesa solo dai gas.

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Questi rumori sono assenti in caso di ileo paralitico per cui si parla di silenzio sepolcrale.

Nel momento in cui la peristalsi non riesce a vincere l’ostacolo si passa dall’ileo meccanico a quello

paralitico, con sovrapposizione tra i due addomi.

Esplorazione digito-rettale: occlusione da tumore o fecaloma rettale, stenosi ano-rettale di

natura infiammatoria o tumorale, ampolla rettale vuota...

Se il dito esploratore si sporca di sangue bisogna sospettare la presenza di una invaginazione

intestinale o di una occlusione con sofferenza ischemica dell’ansa.

Esami di laboratorio: consentono di valutare soprattutto la presenza di squilibri idrosalini con

disidratazione, con ipovolemia, emoconcentrazione (> HCT), iperproteinemia, perdita di Cl-, Na

+ e

K+ nel siero, anche se la < del K

+ intracellulare è messa in evidenza dall’ECG perché provoca una

riduzione della contrattilità muscolare e conducibilità nervosa con conseguente sottoslivellamento

del tratto ST, onda T piatta o negativa, comparsa dell’onda U.

Rx senza m.d.c. in bianco dell’addome (diretta dell’addome): per stabilire la sede, l’aumento

della peristalsi con distensione delle anse a monte dell’occlusione che si dispongono a ventaglio o

parallelamente tra di loro e i livelli idro-aerei che si osservano in posizione ortostatica: si tratta di

immagini di contrasto dovute alla presenza dei liquidi e gas che ristagnano nell’intestino occluso da

almeno 3-4 h, dove i gas forniscono un’immagine radiotrasparente che sovrasta l’immagine

radiopaca fornita dai liquidi. Nelle occlusioni del tenue i livelli idro-aerei compaiono nelle parti

centrali dell’addome, disposti a “scalinata” o a “canna di organo” o a “corona di rosario”, mentre

nelle occlusioni del colon i livelli idro-aerei sono più periferici. Inoltre, nell’ileo meccanico le anse

distese, i livelli idro-aerei e il diaframma sono mobili, mentre nell’ileo paralitico tutto è immobile.

All’Rx dell’addome possiamo evidenziare anche il Pneumoperitoneo con presenza di aria sotto

diaframmatica o falce aerea sottodiaframmatica da perforazione dell’ansa intestinale.

La Terapia Medica in genere serve solo a preparare il pz all’intervento chirurgico.

Si introduce un sondino naso-gastrico utile per detendere le anse intestinali, bisogna ripristinare

l’equilibrio idro-elettrolitico (plasma expanders, albumina plasmatica, liquidi ed elettroliti),

ripristinare l’equilibrio proteico e calorico, bisogna correggere gli eventuali stati di acidosi mediante

l’infusione di bicarbonati, oppure gli stati di alcalosi mediante il cloruro di ammonio.

Bisogna stimolare la fx renale col mannitolo ed evitare le complicanze settiche con la

somministrazione di antibiotici ad ampio spettro.

La Terapia Chirurgica varia secondo la causa che ha provocato l’occlusione intestinale.

ILEO POSTOPERATORIO

- Alterazione prolungata della motilità intestinale: lievi disturbi del metabolismo elettrolitico,

trauma intraoperatorio massivo, contaminazione batterica massiva pre o intraoperatoria, cause

extraddominali (polmonite). Prognosi favorevole.

- Ileo paralitico da disturbi del metabolismo elettrolitico da ipopotassiemia, diabete, infezioni da

deficit della sutura, peritonite, ascessi residui, infezioni extraddominali, deiscenza addominale: è

necessaria una relaparotomia ma la Prognosi è sfavorevole.

- Ileo meccanico da formazione precoce di aderenze, stenosi intestinale da anastomosi troppo

stretta, malattia secondaria non corretta come un’aderenza preesistente, tumore misconosciuto: è

necessaria una relaparotomia con Prognosi relativamente favorevole.

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TRAUMI ADDOMINALI

I Traumi Addominali sono distinti in traumi chiusi e aperti.

I Traumi Addominali Aperti sono rappresentati dalle ferite parietali e dalle ferite penetranti.

I Traumi Addominali Chiusi sono rappresentati dalle contusioni parietali e viscerali.

Le Contusioni Viscerali sono le più importanti e, in particolare, le contusioni renali, spleniche ed

epatiche, più rare sono le contusioni pancreatiche, grossi vasi addominali, stomaco, intestino, vie

urinarie...

Le Contusioni Renali si verificano in seguito meccanismi di schiacciamento, stiramento, flessione

fino allo scoppio del rene.

Possiamo avere vari tipi di lesioni, cioè le lesioni sottocapsulari, le lesioni del parenchima renale, le

lesioni delle strutture di connessione vascolo-capsulari, le lesioni delle cavità renali e dell’ilo renale.

I SINTOMI sono rappresentati da dolore locale o diffuso, contrattura di difesa a livello lombare,

ecchimosi, ematoma, ematuria macroscopica con o senza coaguli, anemia più o meno grave, fino

alla morte del pz nel caso di distacco di un polo renale, scoppio o spappolamento del rene.

Per cui si tratta di una situazione chirurgica d’urgenza e non c’è il tempo necessario per la Diagnosi.

L’Rx renale evidenzia l’opacizzazione diffusa della loggia renale, le fratture delle coste e delle

vertebre, mentre l’ecografia renale e la TAC consentono di osservare l’ematoma sottocapsulare

circoscritto o diffuso, oppure extracapsulare o perirenale.

La Laparoscopia consente di esplorare la cavità addominale per osservare tutte le strutture

interessate dal trauma.

L’arteriografia selettiva dell’arteria renale consente di valutare la sede di origine dell’emorragia

consentendo al chirurgo di fare la scelta terapeutica più opportuna.

In genere si ricorre alla laparotomia e si esegue l’emostasi renale e la sutura del parenchima renale.

Nei casi gravi si ricorre alla resezione di un polo renale o alla nefrectomia.

Le Contusioni Spleniche sono dovute a traumi da schiacciamento a livello della parte bassa

dell’emitorace sx o ipocondrio sx, spesso associate alle fratture delle ultime coste, ma anche le

forme gravi di splenomegalia, come quelle di origine malarica, leucemica e mononucleosica,

possono provocare la rottura della milza.

Le lesioni spleniche sono di vario tipo, cioè possiamo avere un piccolo ematoma sottocapsulare, un

ematoma intrasplenico, lacerazioni capsulari o capsulo-parenchimali, fino al distacco di frammenti

o di tutta la milza dal suo peduncolo.

I SINTOMI nel caso delle lesioni sottocapsulari di modesta entità sono dolore all’ipocondrio sx che

si irradia alla spalla sx o “segno di Kehr”, contrattura di difesa all’ipocondrio sx, con palpazione di

una tumefazione profonda, molle, elastica e dolente, anemia, leucocitosi e febbre alta.

Nelle forme più gravi con rottura completa della milza si ha un dolore violento diffuso a tutto

l’addome, con addome acuto e stato di shock.

La DIAGNOSI si basa sull’Rx addome: ingrandimento dell’ombra splenica da ematoma

intracapsulare, mentre in caso di rottura splenica si nota ipodiafania a limiti sfumati, imprecisi

nell’ipocondrio sx con spostamento dello stomaco e del colon sx, mentre il diaframma è immobile.

L’ecografia, la TAC e la laparoscopia sono utili per verificare tutte le strutture interessate dal

trauma, anche se in genere si tratta di una situazione chirurgica d’urgenza, per cui non c’è il tempo

necessario per la diagnosi, perché dobbiamo salvare la vita del pz.

Spesso si ricorre alla splenectomia, farmaci coagulanti e correggendo lo shock ipovolemico.

Le Contusioni Epatiche sono dovute a traumi a livello dell’ipocondrio dx e parte inferiore

dell’emitorace dx, con maggiore interessamento dell’emifegato dx perché è ancorato alla vena cava

inferiore ed è più grande rispetto all’emifegato sx che è più piccolo e mobile.

Le lesioni epatiche possono essere:

- lesioni sottocapsulari con ematoma sottoglissiano più o meno esteso.

- lesioni capsulo-parenchimali con emoperitoneo.

- lesioni parenchimali con necrosi emorragica diffusa a tutto il fegato e alle vie biliari con

emobilia.

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Alcune volta all’ecografia o alla TAC epatica si osserva la presenza del “bilioma” cioè di una

raccolta notevole di bile, circoscritta, che si verifica in seguito alla lesione di un dotto biliare, fino

ad assumere un volume cospicuo perché viene rifornita continuamente di bile, la quale non trova

una via di scarico sufficiente, provocando dolore all’ipocondrio dx, epatomegalia e sepsi se la bile

s’infetta.

Si parla di lesioni relativamente benigne in caso di ematoma sottocapsulare con Ø < 10 cm e rottura

capsulo-parenchimale con profondità < 3 cm.

Si parla di lesioni modeste in caso di ematoma sottocapsulare con Ø > 10 cm e rottura capsulo-

parenchimale con profondità > 3 cm.

Si parla di lesioni gravi in caso di distruzione di un settore epatico, con ematoma massivo, lesione

della vena cava inferiore retroepatica o delle grosse vene sovraepatiche, rottura del peduncolo

epatico.

I SINTOMI sono dolore più o meno intenso a seconda dell’entità della lesione, localizzato

all’ipocondrio dx che tende ad irradiarsi a tutto l’addome, contrattura di difesa addominale (addome

acuto) shock ipovolemico da emorragia grave, anemia...

La DIAGNOSI si basa sull’ecografia epatica e l’angio-TAC anche se spesso si tratta di una

situazione chirurgica d’urgenza per cui non c’è il tempo per studiare il pz.

Si ricorre alla laparotomia mediana e trasversa sottocostale, si individuano le lesioni epatiche e

delle altre strutture, si riduce l’emorragia con il clampaggio del peduncolo epatico, si legano i vasi

sanguigni e le vie biliari principali, si riparano le strutture lacerate e si asportano le strutture

devitalizzate, cioè necrotiche, poi si sutura la superficie cruenta (sanguinante) mediante dei punti di

sutura a tutto spessore, ad X a U o incavigliati, eventualmente appoggiati su una spugna di fibrina

per favorire l’emostasi.

In caso di emorragia arteriosa si lega l’arteria epatica comune, mentre l’arteria epatica propria viene

lasciata libera per favorire la circolazione del sangue attraverso l’arteria gastro-duodenale e l’arteria

gastrica dx.

In caso di lacerazione del parenchima epatico, della vena cava inferiore retroepatica e delle grosse

vene sovraepatiche si ricorre alla esclusione vascolare totale del fegato mediante il clampaggio del

peduncolo epatico, della vena cava inferiore al di sopra dello sbocco delle vene renali e della vena

cava sovraepatica subito al di sotto del diaframma, provocando ischemia che viene tollerata dal

fegato per circa 1 h, tempo in cui si esegue l’epatectomia dx e la riparazione della vena cava con

una protesi, poi si esegue il declampaggio nello stesso ordine del clampaggio.

Le Contusioni Pancreatiche sono molto rare ma quasi sempre mortali, spesso dovute a traumi da

schiacciamento contro le vertebre lombari, come succede in caso di un incidente d’auto, con lesione

del parenchima pancreatico o rottura del pancreas e dei vasi, emorragia endo o extraperitoneale e

diffusione del succo pancreatico e degli enzimi digestivi con pancreatite acuta autodigestiva.

Le Contusioni dei Grossi Vasi Addominali sono molto gravi perché si ha l’interessamento

dell’aorta addominale e delle sue collaterali, vena cava inferiore, vena porta...ad alto rischio di

emoperitoneo con shock ipovolemico.

ASCESSO e FLEMMONE

Sono infezioni acute di interesse chirurgico del tessuto connettivo profondo cioè tessuto

sottocutaneo, sottomucoso, interstiziale, stromatico e tessuti più differenziati (tendini, fasce,

periostio e ossa). Il FLEMMONE può essere superficiale o profondo, circoscritto o diffuso: viene

distinto in flemmone sieroso, siero-fibrinoso, siero-leucocitario (banale cellulite), suppurativo,

gangrenoso e gassoso.

Il Flemmone suppurativo può essere di tipo circoscritto o diffuso.

Il Flemmone suppurativo circoscritto o ASCESSO è una cavità contenente pus, circondata da

una parete di tessuto connettivo profondo infiammato (membrana piogenica) con suppurazione

circoscritta, in genere causata da germi piogeni, cioè Staphilococchi e Streptococchi che penetrano

nell’ospite attraverso una soluzione di continuo della pelle o delle mucose, raramente dal Bacterium

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coli, Enterococchi che fanno parte della flora batterica residente e si portano nella sede

dell’infezione per contiguità o per via ematica o linfatica.

L’ascesso inizialmente è superficiale, poi si ha la suppurazione con progressiva distruzione delle

cellule tessutali e formazione della cavità, unica o multipla, sferica, contenente pus cremoso, denso,

biancastro-giallastro, inodore, costituito da PMN degenerati e morti, germi responsabili

dell’infezione e tessuto necrotico più o meno colliquato.

I SINTOMI quando l’ascesso è superficiale sono dolore urente, pulsante, tumefazione duro-elastica,

edematosa, arrossata, calda, deficit funzionale locale, associato a mialgia, cefalea, tachicardia,

febbre continua... Successivamente il dolore è spiccato nella parte centrale dell’ascesso in seguito a

fenomeni di fluidificazione del suo contenuto, la tumefazione > di volume ma è circoscritta,

l’arrossamento è più intenso e cianotico, la febbre è remittente o intermittente preceduta da brividi.

Quando l’ascesso è di piccole dimensioni si può avere il riassorbimento del pus con sostituzione

della cavità da parte di tessuto di granulazione che in alcuni casi va incontro a calcificazione,

oppure alla formazione di una capsula cicatriziale o di una pseudocisti sierosa o siero-mucosa. In

alcuni casi l’ascesso tende ad evacuare verso la cute o in una cavità vicina, oppure il pus ristagna

nella cavità e si possono formare dei tragitti fistolosi.

La TERAPIA: chemio-antibiotica per via generale, si usano impacchi caldi per sedare il dolore,

incisione della parete dell’ascesso nella parte più declive, drenaggio del pus, somministrazione di

antibiotici per alcuni gg nel postoperatorio.

In caso di ascesso endocavitario si ricorre alla resezione parziale o totale di un organo

(appendicectomia, colecistectomia...).

Il Flemmone suppurativo diffuso è un’infiammazione suppurativo-necrotica che tende a

diffondersi nel tessuto connettivo profondo, non circoscritta dalla membrana piogenica e in alcuni

casi l’essudazione sierosa è accompagnata dalla formazione di gas, per cui si parla di flemmone gassoso con fenomeni vascolari e necrotici evidentii.

Il principale responsabile è lo Streptococco che penetra attraverso piccole ferite o ferite lacero-

contuse, interessando soprattutto soggetti immunodepressi, diabetici...

Il pz presenta febbre alta di tipo settica sin dalle fasi iniziali, preceduta da brividi, polso frequente,

lingua patinosa, dispnea, alcune volte nausea, vomito e diarrea.

Se il flemmone interessa il tessuto connettivo sottocutaneo, sottofasciale, intermuscolare, possiamo

apprezzare una tumefazione diffusa, consistenza dura, coperta da cute rosso-cianotica, con lividi e

flittene che aprendosi consentono di evidenziare aree di gangrena nei piani più profondi.

La tumefazione è dolorosa, tale da provocare impotenza funzionale notevole, con interessamento di

tendini, muscoli e infiammazione dei nervi e non regredisce nemmeno in seguito alla ulcerazione

della cute con fuoriuscita del materiale necrotico-suppurativo.

Può provocare Complicanze locali come emorragie da ulcerazione dei vasi, flebiti, artriti

suppurative, distruzione dei tendini e muscoli, oppure Complicanze generali come gli ascessi

polmonari e cerebrali, danni renali, sepsi e morte del pz se non si interviene tempestivamente.

La TERAPIA è chemioantibiotica e chirurgica con ampie incisioni multiple, drenando tutto il

materiale purulento, lavaggi con soluzioni antisettiche, detergenti e antibiotici ad azione locale.

Il Flemmone gangrenoso è un’infiammazione acuta del tessuto connettivo profondo caratterizzata

da gangrena e necrosi, di cui si conoscono 3 forme:

- gangrena gassosa o di guerra da Clostridium welchii, septicum, histoliticum: producono le

tossine citolitiche responsabili della colliquazione delle proteine e formazione di gas fetidi,

distruggendo i tessuti morti e danneggiando i tessuti vivi, tipica delle ferite da guerra, contaminate

dalla terra o dagli indumenti, che spesso provocano la morte del soggetto per gravi complicanze

settiche, nei casi più fortunati l’amputazione di un arto.

- gangrena del perineo rara, da cateteri infetti, uretriti e tumori dovuta all’azione di Streptococchi,

Bacterium coli ed altri germi anaerobi, responsabili del flemmone diffuso periuretrale.

- angina di Ludwig: flemmone gangrenoso del pavimento della bocca con tumefazione duro-lignea

che tende a spingere la lingua indietro, ostacolando la deglutizione, respirazione e fonazione, con

edema laringo-faringeo e morte in tempi brevi se non si agisce subito.

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FEGATO

Il Fegato è una grossa ghiandola esocrina, ovoidale, posta sotto al diaframma, occupa l’ipocondrio

dx, epigastrio e parte dell’ipocondrio sx cioè tutti i quadranti superiori della cavità addominale.

Il fegato riceve un duplice afflusso di sangue cioè uno arterioso-nutritizio attraverso l’arteria epatica

ed uno venoso-funzionale attraverso la vena porta che convoglia al fegato il sangue venoso refluo

dallo stomaco, intestino, pancreas e milza.

L’arteria epatica, vena porta, vasi linfatici, nervi e vie biliari costituiscono il peduncolo epatico che

decorre nello spessore del legamento epatoduodenale portandosi verso l’ilo epatico.

Dal tronco o tripode celiaco origina l’arteria epatica comune da cui originano l’arteria gastrica dx

e l’arteria gastroduodenale, poi si continua come arteria epatica p.d. fino all’ilo epatico dove si

divide in arteria epatica dx e sx da cui originano i rami per i vari segmenti epatici, soprattutto le

arteriole interlobulari che decorrono negli spazi portali, da cui originano le arteriole perilobulari che

si gettano nei sinusoidi.

La vena porta origina posteriormente alla testa del pancreas dalla confluenza della vena

mesenterica superiore e della vena lienale o splenica che a sua volta riceve la vena mesenterica

inferiore. La vena porta a livello dell’ilo epatico da origine al tronco dx e sx della vena porta da cui

derivano vari rami per i segmenti epatici, soprattutto le venule interlobulari e perilobulari che si

aprono nei sinusoidi intralobulari. Il deflusso del sangue dal fegato avviene attraverso le vene

centrolobulari che confluiscono nelle vene sottolobulari e nelle vene epatiche dx, sx e mediana,

fino alla vena cava inferiore, cioè alla circolazione sistemica.

Il fegato è ricoperto da tessuto connettivo collageno in cui decorrono i vasi sanguigni, linfatici e

nervi, e che a livello dell’ilo epatico diventa più spesso e penetra nel fegato costituendo la capsula

fibrosa perivascolare di Glisson che delimita delle piccole aree del parenchima epatico, dette lobuli

epatici classici, formati da numerose lamine cellulari anastomizzate e perforate che delimitano un

sistema labirintico di spazi irregolari detti sinusoidi cioè una rete di vasi capillari a decorso tortuoso

o rete mirabile venosa che confluisce il sangue dalla periferia del lobulo epatico verso la vena

centrolobulare e alle vene epatiche.

Il sangue che circola nei sinusoidi è artero-venoso: infatti, inizialmente le diramazioni sono distinte

e affiancate fino alla periferia del lobulo, poi confluiscono nello stesso sistema di drenaggio,

immettendosi nei sinusoidi intralobulari.

L’unità anatomo funzionale del fegato è la cellula epatica o epatocita che ha una forma

poliedrica a 6 o più facce, costituita da un polo vascolare ed un polo biliare:

─ polo vascolare: rivolto verso la parete endoteliale discontinua dei sinusoidi, tra cui c’è lo spazio

perisinusoidale di Disse dove si ha il passaggio del filtrato plasmatico e gli scambi di sostanze tra

cellule epatiche e il sangue cioè glucosio, proteine plasmatiche e lipoproteine elaborate dalla cellula

epatica e immessi in circolo.

─ polo biliare: rivolto verso le cellule epatiche adiacenti, consente il passaggio della bile nel

canalicolo biliare.

Il fegato dal punto di vista Anatomico viene suddiviso in 4 lobi cioè lobo dx, sx, quadrato e

caudato, dal punto di vista Chirurgico viene suddiviso in 8 segmenti dotati di autonomia vascolare

e biliare, il che è molto importante per le resezioni epatiche: a livello dell’ilo epatico la vena porta,

arteria epatica e il dotto epatico si biforcano dando origine ai peduncoli glissoniani di I ordine,

tributari dell’emifegato dx e sx, il cui piano di divisione è dato dalla vena sovraepatica sagittale

mediana, diretta dall’alto in basso e da dx verso sx, cioè dal margine sx della vena cava inferiore

verso il letto della colecisti.

I peduncoli glissoniani di I ordine si dividono nei peduncoli di II ordine, tributari ognuno di un

settore, per cui ogni emifegato ha un settore paramediano e uno laterale, separati da un piano in cui

decorrono le vene sovraepatiche dx e sx.

I peduncoli di II ordine si dividono in due, per cui ogni settore è divisibile in 2 segmenti, per cui il

fegato presenta 8 segmenti, da I a VIII disposti in senso orario a partire dal lobo caudato.

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Poiché le vene sovraepatiche decorrenti nei piani divisori drenano il sangue da due unità contigue,

devono essere risparmiate nella exeresi chirurgica di una di queste unità, legando solo le affluenti

del territorio che si asporta. Inoltre, grazie alla capacità rigenerativa del fegato è possibile la

resezione di grossi volumi di massa epatica: le cellule epatiche proliferano attivamente, insieme agli

endoteli e i dotti biliari, con fx epatica che ritorna normale se il parenchima residuo è sano.

Le Funzioni del fegato sono diverse:

Secrezione biliare: il fegato produce da 600 a 1000 ml di bile al giorno. La bile è costituita per il

95% da H2O, poi da sali biliari, fosfolipidi, proteine, colesterolo, bilirubina ed elettroliti, soprattutto

Na+, Ca

++, K

+, Cl

-. La bile viene riversata nei canalicoli biliari a livello del polo biliare della cellula

epatica e giunge alla cistifellea: dopo i pasti si ha l’intervento della colecistochinina che stimola la

contrazione e lo svuotamento della colecisti con passaggio della bile nelle vie biliari extraepatiche

fino al duodeno dove la bile svolge diverse funzioni: digestione e assorbimento intestinale di

sostanze liposolubili, cioè la vit.A, D, K, nonché della vit.B12, Cu2+

, Fe2+

, regolazione del bilancio

di colesterolo mediante la escrezione biliare diretta o la conversione in acidi biliari, escrezione di

sostanze cataboliche come la bilirubina, farmaci e tossine.

Metabolismo proteico: attraverso il circolo portale gli aminoacidi giungono al fegato dove una

parte viene catabolizzata in urea (azotemia), una parte viene immessa in circolo e un’altra parte

viene usata per la sintesi di nuove proteine, come le α e β globuline, soprattutto l’albumina

plasmatica che regola la P oncotica o colloidosmotica, controllando il passaggio di H2O e soluti tra

il compartimento intra ed extracellulare, ecco perché in caso di ipoalbuminemia si ha la perdita dei

liquidi dai vasi con conseguente edema cutaneo o ascite (cirrosi). L’albumina è importante perché

trasporta nel plasma la bilirubina indiretta, acidi grassi, vitamine, ormoni, farmaci...

Metabolismo glucidico: il glucosio viene immagazzinato sottoforma di glicogeno nel fegato

attraverso la glicogenosi e in caso di necessità viene riconvertito in glucosio attraverso la

glicogenolisi e immesso in circolo per essere usato come fonte di riserva energetica. Comunque, il

fegato, attraverso la gluco-neogenesi, riesce a ricavare il glucosio da fonti non carboidratiche, cioè

dalle proteine e lipidi, ecco perché in caso di sofferenza epatica si può andare incontro a

ipoglicemia, come in caso di insufficienza epatica in caso di epatite acuta, epatite alcolica ...

Metabolismo lipidico: il fegato provvede alla conversione degli acidi grassi liberi in trigliceridi,

alla sintesi ed esterificazione del colesterolo, cioè il colesterolo viene coniugato agli acidi grassi e

veicolato con la bile all’intestino dove sono riassorbiti.

Le 4 maggiori classi di lipidi presenti nel plasma, cioè colesterolo libero, esteri del colesterolo,

fosfolipidi e trigliceridi, essendo insolubili in H2O, formano complessi con proteine specifiche e

sono veicolate nel plasma sottoforma di lipoproteine, cioè:

─ lipoproteine a densità molto bassa VLDL sintetizzate dal fegato.

─ lipoproteine a densità bassa LDL o colesterolo cattivo: rappresentano i principali trasportatori

del colesterolo nel siero, derivanti soprattutto dal catabolismo delle VLDL.

─ lipoproteine a densità alta HDL o colesterolo buono, prodotto a livello epatico e intestinale.

Sintesi dei fattori della coagulazione: fibrinogeno o fattore I della coagulazione, fattori della

coagulazione vit.k dipendenti, cioè fattore II o protrombina, fattore V, VII, IX, X.

Inoltre, sintetizza alcuni fattori che regolano il processo della coagulazione, cioè l’antitrombina III,

la proteina C, cofattore eparinico II.

Metabolismo ormoni e farmaci: il fegato svolge un’importante azione detossificante nei

confronti di sostanze endogene come gli ormoni, sia di sostanze esogene come farmaci e tossine.

Metabolismo della bilirubina: la Bilirubina è il prodotto terminale del catabolismo dell’Hb

rilasciata dai globuli rossi invecchiati. Infatti, i globuli rossi hanno una vita media di ~ 120 gg al

termine della quale sono distrutti dalle cellule del sistema reticolo endoteliale e dalla milza

mediante il processo dell’emocateresi, perciò i globuli rossi rilasciano l’Hb che viene degradata in

seguito all’azione del sistema enzimatico eme-ossigenasi con conseguente distacco della globina

dal gruppo eme e formazione di ematina, poi si ha la perdita di ferro, la trasformazione

dell’ematina in protoporfirina IX, la rottura dell’anello tetrapirrolico e formazione della

biliverdina da cui deriva la bilirubina indiretta o non coniugata che è insolubile in acqua per cui

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si ha l’intervento dell’albumina plasmatica che ha la capacità di legarsi a 2 molecole di bilirubina

indiretta e di trasportarla al fegato. A livello della membrana della cellula epatica si ha la

scissione del legame tra albumina e bilirubina e si ha l’intervento di alcune proteine di trasporto

dette ligandine che veicolano la bilirubina nella cellula epatica dove avviene il processo della

glicuronazione, cioè la coniugazione tra la bilirubina indiretta e 2 molecole di acido glicuronico,

con formazione della bilirubina diretta o coniugata che è idrosolubile, cioè solubile in H2O. La

bilirubina diretta viene escreta nella bile che, a sua volta, a livello del polo biliare passa nei

canalicoli biliari, viene trasportata alla cistifellea che rappresenta il serbatoio naturale della bile.

Dopo i pasti si ha l’intervento della colecistochinina che favorisce la contrazione della cistifellea e

il passaggio della bile nelle vie biliari principali che conducono la bile al duodeno dove viene

degradata in corpi bilinoidi dalla flora batterica intestinale, cioè stercobilinogeno che

rappresenta la quota di pigmenti biliari eliminata con le feci e urobilinogeno che rappresenta la

quota di pigmenti biliari che viene riassorbita a livello intestinale e che ritorna al fegato

attraverso la circolazione entero-epatica, mentre solo una piccola quota sfugge alla riescrezione

epatica e viene eliminata con le urine.

Ricordiamo i valori normali:

─ nel soggetto adulto normale vengono distrutti ~ 7,5 gr di Hb in 24 h da cui derivano 260 mg di

bilirubina, a cui bisogna associare 40 mg di bilirubina di origine diversa (emolisi intramidollare di

eritrociti giovani, distruzione intramidollare di eritroblasti e precursori dell’eme, cioè le porfirine).

─ bilirubina totale = 0,20-1,20 mg/dl.

─ bilirubina diretta = 0,3-0,4 mg/dl.

─ bilirubina indiretta = 0,2-0,8 mg/dl sangue.

─ quantità di stercobilinogeno eliminato con le feci = 50-250 mg.

─ quantità di urobilinogeno eliminato con le urine 1-2 mg.

Le Vie Biliari Extraepatiche sono distinte in vie biliari principali e vie biliari accessorie.

Le vie biliari principali sono rappresentate dai dotti epatici dx e sx che originano dalla

confluenza dei canalicoli biliari provenienti dai segmenti epatici e che a livello dell’ilo epatico

convergono formando il dotto epatico comune che insieme al dotto cistico, proveniente dal collo

della colecisti, costituiscono il dotto coledoco che passa posteriormente alla prima porzione

duodenale e alla testa del pancreas e sbocca nell’ampolla duodenale maggiore insieme al dotto

pancreatico principale del Wirsung, dove c’è un sistema di fibrocellule muscolari lisce che

costituiscono lo sfintere di Oddi, sboccando a livello della parete mediale della seconda porzione

duodenale (porzione discendente).

Le vie biliari accessorie sono rappresentate dalla colecisti o cistifellea che rappresenta il

serbatoio naturale della bile, può contenerne fino a 50-60 cm³ di bile. E’ costituita dal fondo, corpo

e il collo a cui segue il dotto cistico.

La vascolarizzazione dei dotti epatici dx, sx e del dotto coledoco, si deve a rami della arteria epatica

e alle vene affluenti della vena porta.

La cistifellea è irrorata dalla arteria cistica ramo dell’arteria epatica dx oppure della arteria epatica

propria. Le vene costituiscono un tronco che sbocca nel ramo dx della vena porta.

Il drenaggio linfatico spetta ai linfonodi dell’ilo epatico, il linfonodo cistico e del dotto coledoco.

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ITTERO

L’Ittero è la colorazione giallastra della cute e delle mucose, soprattutto delle sclere che si

verifica quando > i livelli di bilirubina nel plasma.

Si parla di subittero se i livelli di bilirubina sono pari a 2 mg/dl con colorazione giallastra

delle sclere o altre mucose, mentre si parla di ittero franco se i livelli plasmatici della

bilirubina sono pari a 3-5 mg/dl sangue con colorazione giallastra della cute e delle sclere

poiché c’è affinità tra la bilirubina e l’elastina che è una proteina delle fibre elastiche delle

sclere. Possiamo fare una distinzione tra:

Ittero a bilirubina indiretta o non coniugata in genere da iperemolisi cioè eccessiva

distruzione dei globuli rossi, da eritropoiesi esagerata con eccessiva produzione di globuli rossi,

deficit della capacità di trasporto intraepatico della bilirubina indiretta, deficit della glicuronazione.

Ittero a bilirubina diretta o coniugata o ittero colestatico o ittero da stasi o ittero ostruttivo che è l’ittero di interesse chirurgico poiché è causato da una ostruzione meccanica delle vie biliari

che può avvenire a diversi livelli ostacolando il deflusso della bile, dovuto alla presenza di calcoli,

stenosi infiammatorie, neoplasie, lesioni iatrogene, cisti da echinococco...

Inoltre, la Classificazione degli itteri prevede la distinzione tra ittero pre-epatico, epatico e post-

epatico a seconda che ci sia l’interessamento del compartimento ematico, delle cellule epatiche

o delle vie biliari.

L’ITTERO PRE EPATICO è un ittero a iperbilirubinemia indiretta o non coniugata, con funzione

epatica normale, causato da:

– iperemolisi che può essere congenita da anemia emolitica oppure acquisita di natura tossica,

immunitaria, infettiva (malaria), neoplastica (linfomi di Hodgkin). L’iperemolisi è caratterizzata

da eccessiva distruzione dei globuli rossi mediante emocateresi con notevole liberazione di Hb

e produzione di bilirubina indiretta che le cellule epatiche non riescono a coniugare ed

eliminare totalmente con accumulo di bilirubina indiretta (libera) nel sangue.

– ipereritropoiesi cioè eccessiva produzione di globuli rossi, come l’ittero di Israel da iperplasia

eritroblastica con lisi prematura dei globuli rossi e liberazione di Hb, talassemia, anemia

perniciosa, porfiria..

In genere, nell’ittero pre-epatico i livelli plasmatici della bilirubina sono ≤ 4 mg/dl sangue:

poiché la bilirubina indiretta è insolubile in acqua, non supera il filtro renale, per cui non si ha

l’eliminazione della bilirubina indiretta con le urine, ecco perchè abbiamo urine ipocromiche,

feci ipercromiche da > eliminazione dello stercobilinogeno intestinale con le feci.

L’ITTERO EPATO-CELLULARE può essere distinto in:

ittero a iperbilirubinemia indiretta da deficit della glicuronazione della bilirubina.

ittero a iperbilirubinemia diretta da deficit della escrezione della bilirubina diretta a livello

del polo biliare della cellula epatica.

Quindi l’ittero epato-cellulare si deve ad una sofferenza della cellula epatica con deficit della

captazione, elaborazione ed escrezione della bilirubina, come accade in caso di epatite virale,

cirrosi epatica, degenerazione tossica da alcol o farmaci, carcinoma epatocellulare che possono

essere caratterizzati da un > bilirubina totale e frazionata, < colesterolo totale, ipoalbuminemia,

< PT (somministrare vit. k), >> transaminasi GOT (AST aspartato aminotransferasi) e soprattutto

GPT (ALT alanina aminotransferasi), fosfatasi alcalina ≥.

Inoltre, il pz presenta feci ipocoliche o acoliche e prurito intenso da > sali biliari nel sangue.

L’ittero epato-cellulare può essere congenito o acquisito.

Tra le Forme Congenite abbiamo l’ittero fisiologico neonatale da deficit delle ligandine e

glicuronazione che normalmente si attivano dopo circa 1 mese dalla nascita.

Tra le Forme Acquisite abbiamo:

ittero da latte materno a iperbilirubinemia indiretta da deficit della glicuronazione dovuto

ad una sostanza presente nel latte materno (3α-20β-pregnandiolo).

ittero di Lucey-Driscall (neonatale) dovuto ad una sostanza presenta nel siero materno che

inibisce la glicuronazione.

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sindrome di Crigler-Najjar: ittero a iperbilirubinemia indiretta distinta in sindrome di

Crigler-Najjar di tipo I da deficit della glicuronazione totale in cui solo una piccola quota o

nessuna di bilirubina indiretta viene coniugata, per cui si hanno delle gravi alterazioni

neurologiche con ittero nucleare o Kernicterus perchè la bilirubina indiretta si svincola

dall’albumina plasmatica e riesce a superare la barriera ematoencefalica immatura del

neonato, alterando i nucleoli della base dell’encefalo, provocando perdita dei riflessi,

convulsioni, strabismo oculare, nistagmo oculare, turbe cardiocircolatorie e respiratorie fino

alla morte nel primo anno di vita, raramente il bambino raggiunge l’adolescenza ma con gravi

disturbi neurologici.

Poi abbiamo la sindrome di Crigler- Najjar di tipo II da deficit parziale della glicuronazione, per

cui è meno grave del tipo I.

sindrome di Gilbert: ittero a iperbilirubinemia indiretta da deficit della captazione della

bilirubina indiretta da parte delle cellule epatiche, si manifesta con debolezza, stanchezza...

sindrome di Dubin-Johnson: ittero a iperbilirubinemia diretta da deficit della escrezione

della bilirubina nei capillari biliari con pigmentazione del fegato in seguito all’accumulo di un

pigmento nei lisosomi delle cellule epatiche, per cui si parla di ittero a fegato nero, con ittero

ingravescente, urine ipercromiche, spesso scoperta durante la gravidanza, mentre nella sindrome

di Rotor si hanno gli stessi sintomi ma senza la pigmentazione del fegato.

L’ITTERO POST-EPATICO è detto anche Ittero Ostruttivo o ittero da stasi o colestatico ed

è un ittero a iperbilirubinemia diretta o coniugata in seguito ad un ostacolo al deflusso della

bile, distinto in ittero ostruttivo intra ed extraepatico.

L’ittero ostruttivo intraepatico è dovuto ad un ostacolo a livello del polo biliare della cellula

epatica, come succede nelle donne al 7-8° mese di gravidanza a causa degli alti livelli di

estrogeno che vanno ad alterare la membrana della cellula epatica, oppure può essere dovuto ai

contraccettivi orali, alle infezioni delle vie biliari intraepatiche o colangiti con desquamazione e

necrosi dell’epitelio, per cui la bilirubina non riesce a defluire, si accumula nella cellula epatica

e poi rigurgita nel sangue con conseguente iperbilirubinemia diretta.

L’ittero ostruttivo extraepatico è una ostruzione delle vie biliari extraepatiche da calcoli,

neoplasie come il carcinoma della testa del pancreas o del dotto coledoco, pancreatite cronica

con sostituzione del parenchima pancreatico con tessuto fibroso che esercita una compressione

ab estrinseco sul fegato e vie biliari. Il pz presenta ittero intenso con colore giallo-verdastro

della cute e mucose, prurito intenso per ristagno dei sali biliari, feci chiare o acoliche per

l’ostruzione delle vie biliari, deficit del passaggio della bile nell’intestino con mancata

eliminazione dello stercobilinogeno, urine molto scure, color marsala perché la bilirubina diretta

è solubile in acqua, supera il filtro renale e viene eliminata con le urine.

Dal punto di vista Fisiopatologico l’ostruzione delle vie biliari è caratterizzata da un > P

nell’albero biliare con dilatazione a monte dell’ostruzione, a livello delle vie biliari

intraepatiche, distensione della colecisti e vie biliari con dolore tipico della colica epatica.

Il ristagno della bile nelle vie biliari provoca Alterazioni Anatomo Patologiche cioè

alterazione dei microvilli dei canalicoli biliari con edema e scarsa capacità secretiva,

irritazione dei canalicoli biliari e colangite cioè infiammazione con eccessiva produzione di

fibre collagene con fibrosi, rottura delle membrane dei canalicoli biliari e > fosfatasi alcalina.

Le Indagini di Laboratorio evidenziano: > bilirubina diretta nelle fasi iniziali, poi la cellula epatica

va incontro ad una maggiore sofferenza con deficit della captazione e glicuronazione con

conseguente > bilirubina indiretta, > fosfatasi alcalina iperprodotta dalle cellule epatiche a causa

dell’ostacolo al flusso biliare; ipoalbuminemia da deficit della sintesi proteica; deficit della sintesi dei fattori della coagulazione vit.k dipendenti. Infatti, la bile non raggiunge il duodeno per cui i

sali biliari in essa contenuti non possono svolgere le proprie funzioni, cioè assorbimento delle

vitamine liposolubili, come la vit.k indispensabile per la sintesi dei fattori della coagulazione,

inoltre, i sali biliari si legano alle endotossine per evitare il loro passaggio in circolo, per cui nel

pz con ittero ostruttivo si possono verificare delle infezioni da gram¯.

Tra le cause più importanti di ittero ostruttivo abbiamo la calcolosi o litiasi biliare.

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CALCOLOSI della COLECISTI o COLELITIASI BILIARE

La Calcolosi della Colecisti o colelitiasi biliare è dovuta alla formazione di calcoli unici o

multipli nella colecisti che possono migrare nelle vie biliari principali, come nel dotto coledoco

provocando ittero ostruttivo, raramente i calcoli si formano direttamente nelle vie biliari principali.

Dal punto di vista Epidemiologico la litiasi biliare o colelitiasi è molto frequente nei Paesi

occidentali, colpisce soprattutto soggetti di sesso F con rapporto M/F = 1/3, dopo i 40 aa nel 15%

dei casi e verso i 70 aa nel 40% dei casi, in particolare le multipare ed è stata individuata anche una

certa predisposizione familiare cioè la colelitiasi può verificarsi in diversi soggetti della stessa

famiglia (mamme e figlie).

La colelitiasi è più frequente nelle donne perché gli ormoni femminili hanno effetti sia sulla

secrezione di colesterolo biliare, con tendenza alla più rapida cristallizzazione del colesterolo nella

colecisti, che sulla motilità colecistica provocando stasi biliare: il progesterone inibisce la motilità

colecistica attraverso un effetto diretto sulla muscolatura dell’organo.

Ecco perché la gravidanza rappresenta un ulteriore fattore predisponente, vista la quota elevata di

estrogeni e progesterone che caratterizza questa fase della vita della donna: durante la gravidanza si

riscontra una grossa quantità di sabbia biliare nella colecisti cioè si forma un deposito di cristalli di

colesterolo, bilirubinato e sali di Ca2+

che può favorire la formazione dei calcoli biliari, ma spesso si

ha la scomparsa della sabbia nei mesi successivi al parto.

Altri fattori di rischio litogenico sono: terapia ormonale sostitutiva nelle donne in

postmenopausa, ormonoterapia nei pz di sesso M con carcinoma prostatico, contraccettivi orali,

l’obesità favorisce sia la sintesi di calcoli di colesterolo sia la < della motilità della colecisti, il

rapido dimagrimento dovuto a diete a basso contenuto calorico è responsabile di ~ 1/3 dei casi di

calcolosi biliare perchè l’organismo cerca di compensare le perdite attraverso una > secrezione di

colesterolo nella bile, senza dimenticare che lo scarso stimolo prandiale provoca una < del

meccanismo di contrazione colecistica con conseguente stasi biliare.

Le diete prive di fibre e ricche di carboidrati raffinati o ricche di grassi aumentano il rischio di

calcoli biliari, mentre un effetto protettivo viene garantito dalle diete vegetariane e dal basso

consumo di bevande alcoliche. La colelitiasi biliare è frequente nei diabetici a causa della ridotta

motilità colecistica e all’> della secrezione biliare di colesterolo, senza dimenticare che spesso il

diabete si associa ad altri 2 fattori di rischio di colelitiasi cioè l’obesità e l’ipertrigliceridemia.

I calcoli possono essere di vario tipo: calcoli di colesterolo, pigmento biliare puro e misti.

I Calcoli di Colesterolo o Colesterolici in genere sono calcoli solitari che si formano in seguito

ad alterazioni metaboliche con precipitazione del colesterolo che può essere dovuto ad una

ipercolesterolemia costituzionale o alimentare, ipercolesterolemia temporanea come nelle

donne in gravidanza, con eccesso del tasso di ormoni steroidi nella bile, oppure la precipitazione del

colesterolo si deve ad una eccessiva produzione di sali biliari da parte dell’epatocita.

Sono costituiti da: colesterolo > 50%, fosfati, carbonato di Ca++, bilirubinato di Ca++, fosfolipidi,

acido palmitico, glicoproteine, mucopolisaccaridi.

Per cui il colesterolo viene sintetizzato a livello epatico, viene escreto nella bile in parte senza

subire modificazioni, in parte viene degradato in acidi biliari che in gran parte sono riassorbiti a

livello dell’ileo distale e veicolati al fegato mediante la circolazione entero-epatica per la sintesi di

nuovo colesterolo.

Il colesterolo è insolubile in acqua per cui ha bisogno di una sostanza lipidica per essere

solubilizzato, cioè la lecitina, e sostanze anfipatiche, cioè i sali biliari, in grado di formare con esse

delle micelle costituite da un nucleo centrale colesterolico, con associazione tra fosfolipidi e sali

biliari, circondato da molecole più solubili, cioè acidi biliari e lecitina.

Secondo il Triangolo di Admiral-Small per ottenere una corretta solubilizzazione del colesterolo

occorre avere un ottimo rapporto tra colesterolo, fosfolipidi e sali biliari cioè: colesterolo < 10%,

fosfolipidi < 20%, sali biliari > 70%.

La precipitazione del colesterolo avviene in seguito alla sovrasaturazione del colesterolo (>10%)

cioè viene superata la sua solubilizzazione, per cui > il deposito di colesterolo e < la quantità di

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acidi biliari che hanno il compito di stabilizzare la soluzione, per cui il colesterolo si solidifica su

un substrato di muco secreto dalla colecisti con formazione del calcolo.

La calcolosi colesterolica prevede 2 fasi:

─ fase di nucleazione con precipitazione del colesterolo intorno ad un nucleo centrale costituito da

cellule sfaldate dell’epitelio colecistico, batteri, glicoproteine, sali di Ca²+, pigmenti.

─ fase di accrescimento del calcolo per apposizione radiale o concentrica di cristalli di colesterolo.

I Calcoli di Pigmento Biliare Puro o bilirubinato di Ca²+ rappresentano il 10-20% dei casi, in

genere multipli, di piccole dimensioni, colorati cioè neri e si parla di black stones o bruni e si parla

di brown stones, di consistenza dura-friabile, privi di colesterolo ma costituiti da bilirubinato di

Ca++

e fosfati.

La precipitazione dei pigmenti biliari avviene in presenza di un’eccessiva quantità di bilirubina

indiretta non coniugata o monoconiugata nella bile, come può succedere in caso di cirrosi epatica

con insufficienza epatocellulare.

I Calcoli Misti sono i più frequenti, costituiti da colesterolo monoidrato, fosfolipidi, acidi e

pigmenti biliari, proteine e acidi grassi, spesso sono multipli, lisci e sfaccettati, consistenza dura,

colore grigio-biancastro o verdastro a seconda della prevalenza del colesterolo o dei pigmenti

biliari.

Dal punto di vista CLINICO la calcolosi della colecisti resta asintomatica fino a quando i calcoli

non migrano nel coledoco o nel dotto cistico con conseguente ostruzione e/o infiammazione.

Le forme asintomatiche possono essere scoperte casualmente mediante una Ecografia o altre

indagini richieste per altri motivi. Le forme sintomatiche sono caratterizzate dalla colica

biliare o epatica, sintomo più specifico della colelitiasi biliare, dovuto alla migrazione del

calcolo dalla colecisti nel dotto cistico o nelle vie biliari principali extraepatiche. La colica biliare si

manifesta con dolore improvviso e intenso in una situazione di pieno benessere, di intensità

costante, localizzato all’ipocondrio dx, si irradia verso l’epigastrio, al fianco e spalla dx,

soprattutto all’angolo inferiore della scapola di dx.

Il dolore in genere dura 15-30 min, raramente 1-4 h e tende a regredire progressivamente

spontaneamente o con analgesici o antispastici.

Il pz può presentare nausea, vomito prima alimentare, poi biliare, non ha la febbre, mentre in

presenza di febbre possiamo sospettare la presenza di una litiasi delle vie biliari extraepatiche con

flogosi secondaria della colecisti. Il pz è sofferente ed immobile nel letto, con respiro rapido e

superficiale, rispetto alla colica renale dove il pz è molto agitato, si muove continuamente nel letto

tentando di trovare una posizione antalgica.

Il segno di Murphy è +: la manovra di Murphy consiste in una palpazione profonda affondando la

mano sotto l’arcata costale dx, invitando il pz ad eseguire una inspirazione profonda, scatenando un

dolore vivo con blocco della respirazione.

Nelle ore o giorni successivi alla colica biliare può comparire subittero cioè colorazione giallastra

delle sclere, urine ipercromiche cioè iperpigmentate, feci acoliche cioè chiare e questa situazione

può regredire nel giro di qualche giorno oppure si può avere la migrazione di uno o più calcoli dalla

colecisti nel coledoco con conseguente ittero ostruttivo.

Infatti, la Litiasi delle vie biliari principali o epatocoledocica nel 70% dei casi è dovuta alla

migrazione di uno o più calcoli dalla colecisti nel coledoco, nel 30% dei casi i calcoli si formano

direttamente nel coledoco in seguito ad un’ostruzione parziale dovuta ad un calcolo residuo, stenosi

traumatiche o colangiti sclerosanti.

Il calcolo può raggiungere la papilla di Vater realizzando un meccanismo a valvola con ostruzione

parziale e intermittente e solo quando l’ostruzione diventa completa si hanno segni clinici e

bioumorali di colestasi:

segni di stasi biliare cioè dolore, ittero con > fosfatasi alcalina, > γ-glutamil-transpeptidasi, >

bilirubina coniugata e > transaminasi.

segni colangite acuta cioè la Triade di Charcot con dolore, febbre e ittero:

─ dolore: la colica biliare si manifesta nel 70-75% dei casi, in genere associato a nausea e vomito.

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─ febbre alta (39-40°C) insorge piuttosto rapidamente a volte con brividi e leucocitosi neutrofila

indice di colangite da ostruzione delle vie biliari con stasi della bile e sovrainfezione batterica.

─ ittero: in genere modesto e compare dopo un periodo più o meno lungo di disturbi dispeptici o

dopo una colica tipica, associato a prurito, feci ipocoliche o acoliche, urine ipercromiche. E’ un

ittero di intensità variabile, intermittente, poiché l’ostruzione coledocica è dovuta sia ad un fattore

meccanico sia allo spasmo e all’edema infiammatorio.

La palpazione dell’epigastrio e ipocondrio dx provoca dolore, la cistifellea non è palpabile

perché si ha la sclerosi della parete che perde la sua elasticità e non si distende.

Il pz può presentare turbe dispeptiche: < appetito, digestione lenta e laboriosa con

intolleranza per i cibi grassi, meteorismo post-prandiale, pirosi, eruttazioni e rigurgiti acidi,

nausea, vomito alimentare e poi biliare, cefalea, alvo irregolare con stipsi alternata a diarrea.

In alcuni casi il calcolo migra dal coledoco nel dotto pancreatico principale del Wirsung

ostruendolo e provocando il reflusso del succo pancreatico ricco di enzimi digestivi attivi nel

pancreas con conseguente pancreatite acuta biliare con > rapido e notevole dell’amilasi.

Ricordiamo che in alcuni casi il pz presenta la Triade di Saint cioè la calcolosi della colecisti è

associata alla diverticolosi del colon e all’ernia jatale, oppure la Tetrade di Captell se la calcolosi

della colecisti è associata alla diverticolosi del colon, ernia jatale e ulcera peptica.

La DIAGNOSI della colelitiasi si basa su:

Anamnesi: storia clinica del pz, abitudini di vita cioè abuso di alcol, uso di farmaci epatotossici

(cloropomazina, isomiazide, alfa-metil-dopa), contatto con sostanze epatotossiche (idrocarburi

alogenati, fosforo bianco), epatite B pregressa. Se l’ittero insorge improvvisamente ed è associato a

calo ponderale dobbiamo sospettare la presenza di una neoplasia, se il pz ha delle coliche violente

con comparsa di ittero possiamo sospettare una coledoco-litiasi.

Esame Obiettivo: valutiamo la presenza dell’ittero con colorazione giallastra della cute e delle

mucose, soprattutto delle sclere, perché c’è affinità tra le fibre elastiche delle sclere e la bilirubina,

dolore tipico della colica biliare, segno di Murphy +, prurito intenso dovuto alla eccessiva

presenza di sali biliari nel sangue, spesso insopportabile, esasperante, infatti si osservano delle

lesioni da grattamento soprattutto a livello delle mani e dei piedi, difficili da controllare con gli

antistaminici, e sono stati segnalati alcuni casi di suicidio.

Indagini di Laboratorio: in caso di ittero ostruttivo abbiamo > bilirubina diretta, > fosfatasi

alcalina enzima prodotto dalle cellule epatiche, da ossa, intestino, reni, mammelle, ghiandole

salivari (v.n. = 50-150 U/l), > γGT che insieme agli altri parametri consente di valutare la difficoltà

allo scarico della bile nel duodeno, deficit della sintesi dei fattori della coagulazione vit.k

dipendenti, ipoalbuminemia e < del tempo di Quick da malassorbimento della vit. K (sindrome da

insufficienza epatocellulare). Si possono valutare anche i markers neoplastici, le feci acoliche o

ipocoliche, le urine ipercromiche color marsala, > transaminasi e del rapporto GOT/GPT (valori

normali 0,7-1,4) cioè enzimi responsabili della deamminazione degli aa, distinti in GOT o AST

(glutammato ossalacetica: 10-45 U/l M, 5-30 U/l F) prodotto dal tessuto epatico e da altri tessuti, e

GPT o ALT (glutammico piruvica: 10-40 U/l M, 5-35 U/l F) prodotta solo dal tessuto epatico.

Rx diretto dell’Addome: non è utile perchè i calcoli di colesterolo sono radiotrasparenti, non

visibili all’Rx, mentre i calcoli di pigmento biliare puro sono radiopachi.

Ecografia: è l’esame di prima scelta, semplice, non costoso, non invasivo, ripetibile, consente di

evidenziare la morfologia e lo stato di riempimento della colecisti, l’ispessimento della parete

colecistica in caso di colecistite acuta o cronica, la dilatazione delle vie biliari intra ed

extraepatiche, la struttura del parenchima epatico.

I calcoli si presentano come strutture iperecogene (riflettono gli ultrasuoni) contenute nel lume

della colecisti, a volte galleggianti nella bile in caso di calcoli di colesterolo puro, oppure adagiati o

strettamente aderenti alla parete colecistica. Caratteristico è il cono d’ombra distale cioè una

colonna priva di echi dietro al calcolo a causa di una completa riflessione degli ultrasuoni.

Ricordiamo che il meteorismo dovuto alla presenza di gas nel duodeno può mascherare

l’osservazione soprattutto della regione del coledoco terminale.

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ERCP o Colangio Pancreatografia Retrograda Endoscopica: esame radiografico dei dotti

pancreatici e delle vie biliari, eseguito dopo iniezione di un m.d.c. nei dotti pancreatici e nel

coledoco mediante incannulazione endoscopica, cioè si introduce il fibro-duodenoscopio per via

retrograda fino al duodeno, si incannula la papilla del Vater, si inietta il m.d.c., e si

somministra glucagone per via e.v. o un anticolinergico per via i.m. per determinare atonia e

rilasciamento dello sfintere di Oddi. L’esame dura 30-60 minuti. E’ Indicato per stabilire la

natura dell’ittero, diagnosi di tumori periampollari cioè tumori della papilla del Vater, tumori

del pancreas e dotti biliari, localizzazione di calcoli e stenosi dei dotti pancreatici e biliari,

consentendo di estrarre direttamente i calcoli, eseguire una papillotomia e prelievi bioptici,

inoltre diagnosi di colangite acuta, colangite sclerosante primitiva, pancreatite acuta e cronica,

malattia di Caroli, può essere usata nel periodo preoperatorio per drenare il pz mediante un

sondino naso-biliare.

L’ERCP è Controindicata nei pz gastro-resecati, alterazioni papilla di Vater, presenza di

diverticoli peripapillari, stenosi, neoplasie serrate; in questi casi si ricorre alla PTC.

Le Complicanze della ERCP sono:

─ pancreatite acuta: si verifica se anziché incannulare il dotto coledoco, incannuliamo il dotto

pancreatico di Wirsung con irritazione ed edema della papilla che impedisce il deflusso del succo

pancreatico nel duodeno con reflusso del succo pancreatico nel pancreas e pancreatite acuta. Dopo

la ERCP è opportuno il dosaggio degli enzimi pancreatici cioè amilasi, lipasi... in modo da ricorrere

eventualmente alla terapia opportuna.

─ perforazione duodenale ed emorragia da papillo-sfinterotomia. ─ colangite acuta.

─ sepsi. ─ mortalità (0,1%).

PTC o Colangiografia Percutanea Transepatica: è un esame fluoroscopico delle vie biliari

dopo somministrazione di un m.d.c. nell’albero biliare con ago sottile, flessibile, detto ago di

Chiba, lungo 15 cm, con Ø 0,7 cm.

L’esame deve essere condotto in condizioni di asepsi, in sala operatoria, sedando il pz: sottoguida

ecografica, si invita il pz a inspirare profondamente e a trattenere il respiro, quindi si introduce l’ago

sotto l’arcata costale dx, a livello della linea ascellare media o anteriore, per cui estraendo il

mandrino si osserverà la fuoriuscita della bile soltanto se l’ago è penetrato in un ramo biliare

intraepatico. E’ possibile misurare la P a tale livello, raccogliere un campione di bile da esaminare,

poi si inietta il m.d.c. che si ferma a livello dell’ostacolo consentendo la diagnosi di sede e natura.

La PTC è Indicata soprattutto per le forme ostruttive alte consentendo la diagnosi differenziale

tra ittero ostruttivo e non ostruttivo, localizzazione, estensione e causa di una ostruzione

meccanica delle vie biliari.

La PTC è Controindicata nei pz con deficit della coagulazione del sangue (diatesi emorragica),

in presenza di cisti idatidea per evitare la rottura della cisti e la disseminazione del parassita, ma

soprattutto se le vie biliari non sono dilatate, come nelle colangiti croniche dove il m.d.c. non

passa e cui non si osserva niente.

Le Complicanze della PTC sono l’emorragia, emobilia, sepsi...

Colangio-RMN o MRCP: è una colangiografia e.v. che consente la ricostruzione

tridimensionale delle vie biliari e pancreatiche mediante la RMN molto sensibile e specifica per le

patologie ostruttive delle vie biliari da calcoli, stenosi o anomalie congenite delle vie biliari.

Nei casi dubbi è molto utile la DIAGNOSI INTRAOPERATORIA mediante:

Colangiografia Intraoperatoria Transcoledocica o Transcistica: indagine radiografica e

fluoroscopica delle vie biliari con iniezione del m.d.c. attraverso un tubo a T che viene inserito nel

coledoco durante l’intervento chirurgico, consentendo la Diagnosi Intraoperatoria di calcoli, stenosi

delle vie biliari, neoplasie e fistole dei dotti biliari.

Ecografia Intraoperatoria: si mobilizza il duodeno con la manovra di Cocker e si applica

direttamente il trasduttore sulla parete della via biliare.

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Coledocoscopia: esplorazione endoscopica delle vie biliari extraepatiche mediante il

coledocoscopio introdotto nel coledoco attraverso una coledocotomia o dopo una papillotomia per

via retrograda, osservando direttamente all’interno del coledoco.

La PROGNOSI della colelitiasi è favorevole in assenza di complicanze.

La TERAPIA della colelitiasi può essere medica conservativa o chirurgica.

La Terapia Medica è soprattutto dietetica evitando il consumo di alcol, cibi grassi, favorendo la

dieta ricca di fibre, associata ad una opportuna attività fisica, mentre la terapia farmacologica era

usata in passato in caso di calcoli di colesterolo, piccoli con terapia litica per os con acidi biliari,

cioè acido chenodesossicolico o acido ursodesossicolico (10-15 mg/kg/die) per favorire la

solubilizzazione del colesterolo ma è controindicata in caso di epatopatie, donne in età fertile per

evitare danni al feto, senza dimenticare che le possibilità di recidive sono del 50% dopo 7 aa.

La litotripsia extracorporea con onde d’urto (usata anche nella calcolosi renale) è indicata

soprattutto nel caso di calcoli di colesterolo con Ø ≤ 3 cm: i calcoli vengono frantumati e poi si

somministra per l’acido cheno-urso-desossicolico per os per solubilizzare i calcoli, in modo da

eliminarli naturalmente, anche se talvolta si hanno delle coliche oppure l’ostruzione della papilla

fino a provocare la pancreatite acuta.

La Terapia Chirurgica si avvale della colecistectomia video-laparoscopica a cielo chiuso

(chirurgia mininvasiva) consiste nell’inserire un tubo a fibre ottiche in sede ombelicale che consente

una videoscopia del campo operatorio e nell’introduzione videoguidata di due o più strumenti

operatori in altri punti addominali per eseguire l’asportazione della colecisti (incisione laparotomica

a livello ombelicale, sottocostale dx e epigastrica). Questa tecnica offre vari vantaggi e svantaggi:

─ vantaggi: riduzione del dolore post-operatorio, assenza di turbe respiratorie, conservazione della

peristalsi intestinale, ripresa rapida dell’alimentazione senza necessità di reidratare il pz per via e.v.,

degenza ospedaliera post-operatoria di 24-48 h al massimo, cicatrici molto piccole, rischio di

laparoceli e fenomeni aderenziali molto basso.

─ svantaggi: maggiore durata dell’intervento, possibilità di insorgenza di aritmie, oppure lesione di

un vaso arterioso parietale o di un viscere cavo o parenchimatoso o di una massa patologica da parte

del tre-quarti, cedimento di una graffetta emostatica con conseguente emoperitoneo o coleperitoneo,

migrazione di un piccolo calcolo della colecisti nelle vie biliari principali.

Queste complicanze sono molto limitate se l’intervento viene eseguito da mani esperte.

Se l’intervento risulta più difficile rispetto alle previsioni oppure insorgono degli imprevisti durante

l’intervento laparoscopico, si deve passare alla colecistectomia tradizionale con laparotomia

mediana o sottocostale o trasversale, asportando la cistifellea per via retrograda, cioè partendo dal

suo ilo, legando l’arteria cistica a parte.

Se i calcoli sono situati nel coledoco si ricorre alla coledocotomia sopraduodenale: si incide il

coledoco e lo si spreme per favorire l’uscita del calcolo. Se invece i calcoli sono bloccati a livello

della papilla di Vater si ricorre alla papillotomia transduodenale.

La papillotomia e la sfinterotomia per via endoscopica sono indicate in caso di papillite ed oddite

sclerosante: si dilata lievemente la papilla senza danneggiare lo sfintere per favorire l’uscita

spontanea dei calcoli, oppure si usa un catetere a palloncino o la sonda a castello di Dormia, oppure

la litotripsia con onde d’urto per favorire la rimozione dei calcoli.

Complicanze della Calcolosi Biliare

COLECISTITE ACUTA: è la complicanza più frequente della colelitiasi biliare, dovuta alla

presenza di uno o più calcoli che irritano la parete della colecisti e nella maggior parte dei casi

ostruiscono il dotto cistico o il collo della colecisti con conseguente colecistite acuta litiasica

caratterizzata da edema nella zona dell’ostruzione, alterazione dei vasi sanguigni della parete della

colecisti, ristagno di bile nella colecisti che favorisce la proliferazione dei germi, come E. coli,

Klebsiella, Streptococcus e Clostridium responsabili di alcune infezioni di entità diversa, cioè

idrope, empiema e flemmone.

Ricordiamo che esiste anche la colecistite acuta alitiasica in cui l’ostruzione al deflusso della

bile dalla colecisti non è dovuta ad un calcolo, ma ad altre cause (trauma chirurgico, ustioni gravi ed

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estese, vasculite sistemica) favorendo la proliferazione dei germi e l’insorgenza delle infezioni che

rappresentano un terreno favorevole per la formazione dei calcoli.

I SINTOMI della colecistite acuta sono: dolore acuto all’ipocondrio dx e/o epigastrio, esacerbato

dal respiro e dai movimenti, talvolta irradiato alla spalla e scapola dx, che dura ~ 30-60 min;

febbricola, mentre in presenza di una febbre > 38,5ºC preceduta da brividi bisogna sospettare la

presenza di empiema o gangrena; inoltre il pz presenta nausea e vomito (alimentare - biliare).

All’ESAME OBIETTIVO si nota:

─ pz immobile con respiro rapido e superficiale, prevalentemente toracico mentre l’addome non

dà alcun contributo alla respirazione.

─ segno di Murphy +: si esegue una palpazione nel punto cistico, corrispondente alla zona al di

sotto dell’arcata costale dx, a livello del margine esterno del muscolo retto addominale, e si invita il

pz ad eseguire una inspirazione profonda, provocando dolore intenso con contrattura di difesa e

blocco della respirazione.

─ segno di Blumberg +: se dopo la palpazione profonda si toglie la mano improvvisamente, si ha

dolore acuto detto dolore da rimbalzo (addome acuto).

Gli Esami di Laboratorio evidenziano una modesta leucocitosi neutrofila, > VES, modesto >

bilirubina, fosfatasi alcalina e AST (GOT), mentre l’Ecografia Addominale è utile per

confermare la presenza dei calcoli, ispessimento della parete colecistica > 3-4 mm, > volume

della colecisti, possibile sviluppo di raccolte pericolecistiche da flemmone colecistico.

Infatti, se il calcolo passa dalla colecisti nel dotto cistico o nel coledoco ostruendoli, la bile non

defluisce nel duodeno ma ristagna nella colecisti e, in seguito a fenomeni di riassorbimento dei

pigmenti biliari e di secrezione della mucosa colecistica, diventa vischiosa, siero-mucosa

determinando il quadro della IDROPE della colecisti (mucocele) con distensione della colecisti

che > di volume, che in genere si verifica dopo 1-2 episodi di colica biliare. Il pz riferisce una

modica dolenzia e un senso di tensione epigastrica.

All’Esame Obiettivo la palpazione consente di individuare lateralmente al muscolo retto una

massa ovoidale o piriforme, di consistenza elastica, lievemente dolente, mobile col respiro,

senza contrattura di difesa addominale.

Alcune volte l’idrope resta asintomatica, può restare stazionaria o tende a regredire, alcune

volte evolve nell’EMPIEMA cioè si ha una superinfezione da germi piogeni con presenza di

materiale muco-purulento nella colecisti, dolore intenso all’ipocondrio dx, contrattura di difesa

circoscritta che rende difficile la palpazione della tumefazione, febbre alta e tachicardia.

L’empiema può evolvere nel FLEMMONE dovuto all’infiltrazione dell’essudato purulento nella

parete della colecisti, spesso con necrosi da decubito del calcolo o trombosi vasale.

La flogosi si estende alla superficie esterna della parete colecistica provocando delle aderenze con

l’epiploon, stomaco, duodeno, colon (formazione del piastrone), fino alla Perforazione in un’area

libera provocando peritonite oppure si ha la fistolizzazione con fistole bilio-digestiva

colecisto-duodenale o colecisto-digiunale con migrazione del calcolo dalle vie biliari

nell’intestino. I calcoli piccoli sono espulsi con le feci mentre se il calcolo ha un Ø > 2,5 cm si può

avere l’Ileo Biliare cioè una occlusione intestinale soprattutto a livello dell’angolo duodeno-

digiunale di Treitz oppure della valvola ileo-cecale.

L’Rx dell’addome mette in evidenza la presenza del calcolo, sede dell’ostruzione, livelli idro-

aerei e reflusso nelle vie biliari del m.d.c. introdotto con un sondino nel duodeno, anche se

spesso la diagnosi di ileo biliare è tardiva, con prognosi grave soprattutto nei pz anziani con gravi

epatopatie.

La Terapia prevede: pz a digiuno, posizionare il sondino nasogastrico, somministrare liquidi,

elettroliti, analgesici, antispastici ed antibiotici ad ampio spettro d’azione (cefalosporine,

ampicillina), e colecistectomia d’urgenza entro 72 h dall’episodio acuto.

Ricordiamo che esiste anche la Colecistite Acuta Post-operatoria (in genere alitiasica) rara, che

insorge dopo ~ 5-10 aa da un intervento chirurgico non correlato alle vie biliari, addominale o

extraddominale, ad esempio cardio-vascolare, oppure dopo traumi gravi, ustioni estese, nutrizione

parenterale totale prolungata o trasfusioni di sangue o terapia antibiotica protratta

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COLECISTITE CRONICA: può nascere come evoluzione di una forma acuta o come forma a se

stante molto insidiosa. E’ caratterizzata dalla calcificazione della parete colecistica in seguito alla

precipitazione dei sali di Ca²+ con ulcerazione e congestione della mucosa, infiltrazione

linfocitaria, con presenza di calcoli e bile torbida nella colecisti, per cui si parla di colecisti a

porcellana.

I SINTOMI sono turbe dispeptiche cioè senso di peso epigastrico post-prandiale, eruttazioni,

pirosi, diarrea, nausea, raramente vomito, alcune volte cefalea post-prandiale, dolore in sede

epigastrica, ipocondrio dx e regione scapolare.

L’Esame Obiettivo può evidenziare dolenzia nel punto cistico e segno di Murphy +.

L’Ecografia dimostra la presenza dei calcoli e la fibrosi della parete che appare ispessita, l’Rx

evidenzia la presenza di una struttura radiopaca.

La Terapia è chirurgica con colecistectomia.

Cancerizzazione: è una complicanza rara ma quasi sempre mortale (vedi dopo).

Papillite e Oddite sclerosante: restringimenti fibrosi della papilla e dello sfintere di Oddi

associate nel 90% dei casi alla litiasi biliare con flogosi dovuta alla presenza di calcoli o

microlesioni legate al passaggio degli sferoliti di colesterolo. Si manifestano con dolore, febbre e

ittero (Triade di Charcot).

EMOBILIA: è il mescolamento tra sangue e bile dovuto a traumi contusivi del fegato,

infiammazioni (colecistite emorragica, idatidosi epatica), aneurisma dell’arteria epatica o dei suoi

rami, neoplasie sanguinanti epatiche o delle vie biliari, cause iatrogene da colecistectomia con

fistola artero-biliare, unendo per sbaglio l’arteria con la parete della via biliare, agobiopsia epatica,

PTC... L’emobilia può essere lieve ed asintomatica che si risolve spontaneamente oppure

abbondante con formazione di coaguli che possono ostacolare il deflusso biliare con subittero o

ittero, dolore all’ipocondrio dx, ematemesi e melena, shock ipovolemico e anemia.

La Diagnosi avviene con l’Ecografia epatica, TAC e soprattutto con l’Arteriografia selettiva

dell’arteria epatica, utile per la scelta terapeutica.

La TERAPIA è Medica nelle forme lievi, Chirurgica d’Urgenza nelle forme gravi con sutura

epatica, emostasi, detersione e drenaggio delle vie biliari con tubo di Kehr, resezione epatica,

oppure si lega o embolizza il ramo arterioso che all’arteriografia è risultato sanguinante.

In caso di colecistite emorragica si ricorre alla colecistectomia, nelle forme neoplastiche alla

resezione epatica.

Infezioni delle vie biliari

Le infezioni delle vie biliari sono distinte in: angiocoliti o colangiti se sono interessate le vie biliari

intraepatiche, colecistite ed epatocoledococite se sono interessate le vie biliari extraepatiche.

La Colangite o Angiocolite è un processo infiammatorio delle vie biliari intraepatiche, spesso di

natura ostruttiva con stasi biliare da calcoli, tumori, stenosi iatrogena, oddite sclerosante, cisti da

echinococco.. che favoriscono l’intervento di alcuni microorganismi come il Bacterium coli,

Enterococchi, Staphilococchi, Streptococchi presenti normalmente nelle vie digestive e che

giungono alle vie biliari per via ascendente transpapillare, attraverso una fistola bilio-digestiva, per

via portale, per via arteriosa, per via linfatica oppure giungono dall’esterno mediante drenaggi

biliari, manovre iatrogene transepatiche o transpapillari.

Esistono 3 forme di gravità crescente:

colangite acuta non suppurativa: caratterizzata dalla Triade di Charcot cioè dolore

all’ipocondrio dx gravativo, febbre più o meno alta con brividi, ittero modesto, intermittente.

colangite acuta suppurativa: rapido decadimento delle condizioni generali del pz, febbre alta,

grave sofferenza epatica (analisi di laboratorio) e bile purulenta.

colangite acuta suppurativo-ostruttiva: con abbondante raccolta di pus e distensione delle

vie biliari, microascessi epatici multipli, sepsi con febbre alta, confusione mentale,

disorientamento temporo-spaziale, fino al coma epatico.

La Triade di Charcot associata ai disordini psichici costituisce la Sindrome di Reynolds e Bargan.

La DIAGNOSI della colangite si basa su:

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Indagini Laboratorio: leucocitosi, > VES, > transaminasi, > γGT, > bilirubina, emocoltura +.

Ecografia: dilatazione delle vie biliari, sede dell’ostacolo, presenza di ascessi o calcoli.

PTC e ERCP: dilatazione e stenosi delle vie biliari.

La TERAPIA prevede la somministrazione di antibiotici, decompressione delle vie biliari con un

drenaggio chirurgico esterno o per via percutanea transparietocolica o endoscopica transpapillare,

resezione chirurgica per rimuovere la causa ostruttiva.

La Malattia di Caroli I è una dilatazione congenita intraepatica dei dotti biliari, caratterizzata da

episodi ricorrenti di colangite fin dalla nascita, ad alto rischio di sepsi con ascessi epatici o

subfrenici, insufficienza epatica fino alla morte.

La Papillomatosi dei Dotti Biliari Intraepatici o Malattia di Caroli II è una rara malattia ad

eziologia sconosciuta, colpisce soggetti di sesso F adulto-anziani caratterizzata dalla presenza di

papillomi multipli secernenti muco in abbondanza, filante, vischioso, incolore, privo di sali e

pigmenti biliari, dilatando i dotti biliari con aspetto fusiforme o sacciforme, più o meno diffuso

a vari segmenti epatici, profondi o superficiali con aspetto a bozze del fegato, spesso recidivante

dopo resezione chirurgica. Si manifesta con senso di peso o dolore all’ipocondrio dx, calo

ponderale, anemia da emobilia, ittero ostruttivo, epatomegalia, colecisti palpabile.

La Diagnosi si basa su Indagini di Laboratorio con segni di colestasi, > enzimi epatici, sangue

occulto nelle feci, Ecografia, ERCP e TAC: lacune multiple intraepatiche e dilatazioni duttali.

La Prognosi è grave in presenza della colelitiasi, colangio-epatite, perdite di proteine ed elettroliti.

La Terapia prevede buoni risultati solo in caso di trapianto di fegato.

Spesso si opera il pz per una diagnosi sbagliata di colelitiasi ma all’apertura del coledoco fuoriesce

liquido mucoso abbondante, oppure nei giorni successivi si nota la raccolta di muco nel tubo di

Kehr posto nel coledoco per il drenaggio della bile.

CISTI

La CISTI o cisti vera è una raccolta di liquido, circoscritta in una cavità neoformata con pareti

proprie, generalmente rivestita da epitelio o endotelio, talvolta contenente materiale gelatinoso o di

consistenza poltacea. Invece si parla di Pseudocisti o cisti falsa se la cavità non è delimitata da

una parete propria ma è delimitata in parte dai tessuti circostanti e in parte dal tessuto connettivo di

reazione neoformato cioè le pareti derivano dalla reazione del tessuto circostante a raccolte di

natura infiammatoria o traumatica cioè raccolte liquide o semiliquide rappresentate da trasudati,

essudati, versamenti emorragici o linfatici, materiale necrotico.

Ricordiamo le pseudocisti pancreatiche tipica della necrosi colliquativa da pancreatite acuta o da

traumi, le pseudocisti ossee, gangli tendinei, gangli sinoviali a patogenesi incerta.

Possiamo fare una distinzione tra cisti da ritenzione, cisti da eterotopia cellulare, cisti parassitarie:

cisti da ritenzione da ostruzione del dotto ghiandolare con conseguente accumulo di secreto e

distensione della parete, iperproliferazione delle cellule connettivali parietali e delle cellule

epiteliali di rivestimento. Interessano soprattutto la mammella con fibrosi cistica, la cute con cisti

sebacea, mucosa del cavo orale, ghiandola di Bartolini, fegato, reni...

cisti da eterotopia cellulare derivano dalla proliferazione di cellule embrionali eterotopiche,

oppure di cellule adulte che in seguito ad un trauma vengono spostate dalla loro sede naturale.

Ricordiamo le cisti dermoidi con presenza di cute e annessi nella parete della cisti, le cisti

bronchiali, dentarie, del dotto tireo-glosso e paraovariche, più rare.

cisti parassitarie sono rappresenta

te soprattutto dalle cisti idatidee da echinococco.

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CISTI EPATICHE

Le Cisti Epatiche sono distinte in: cisti biliari congenite, fegato policistico, cisti solitarie congenite

e cisti parassitarie da echinococco granulosis o idaditosi epatica.

La cisti biliare congenita è una cisti da ritenzione associata alla malattia di Caroli I con

infiammazione delle vie biliari intraepatiche, con alternanza tra dotti biliari normali, aperti e dotti

biliari atrosici, chiusi, con conseguente dilatazione dei dotti e formazione di cisti contenenti la bile.

Il fegato policistico è caratterizzato dalla presenza di numerose cisti diffuse nel fegato o in alcune

zone, di volume diverso, a contenuto sieroso, non comunicanti con le vie biliari.

Le cisti solitarie congenite non sono sempre uniche ma alcune volte sono duplici o multiple.

La Cisti Parassitaria da Echinococco granulosis o idaditosi epatica è dovuta ad un parassita

detto Echinococcus granulosis (Cestode) che ha come ospite definitivo il cane o il lupo, mentre

l’uomo ospita il parassita nello stato larvale.

L’idaditosi epatica colpisce spesso la metà dx del fegato dove affluisce il sangue proveniente dalla

vena mesenterica superiore che trasporta l’embrione esacanto.

Spesso si tratta di una cisti multivescicolare, cioè contenente le cisti figlie e nipoti, che >

progressivamente di volume fino ad occupare una grossa parte del fegato.

Si tratta di una cisti proligera, cioè che da origine alle cisti figlie ed è circondata dal pericistio, cioè

da parenchima epatico atrofico compresso dalla cisti stessa.

Il pericistio è sottile se la cisti è giovane e viceversa.

Possiamo fare una distinzione tra vescicolazione endogena se le cisti figlie si raccolgono

all’interno della cisti idatidea e vescicolazione esogena se le cisti figlie raggiungono il pericistio, lo

superano e invadono il parenchima epatico formando altre cisti, fino alla completa distruzione delle

zone colpite.

I SINTOMI possono essere assenti per molti anni, poi provoca dolore gravativo e tensione

all’ipocondrio e alla spalla dx, epatomegalia.

Se la cisti è localizzata nell’emifegato dx, anteriormente si può palpare una tumefazione sotto

l’arcata costale, liscia, teso-elastica, poco dolente, solidale col fegato durante i movimenti

respiratori. Se la cisti è localizzata superiormente al fegato si hanno sintomi respiratori, cioè tosse,

dolore alla base dell’emitorace dx che risulta ipofonetico con < respiro.

Se la cisti comprime le vie biliari si ha ittero ostruttivo, se comprime la vena porta si ha ipertensione

portale, se comprime la vena cava inferiore si ha stasi di sangue venoso con edema agli arti

inferiori.

Tra le COMPLICANZE abbiamo:

─ infezioni da germi piogeni che giungono al pericistio con le vie biliari provocando una flogosi

purulenta: la cisti si stacca parzialmente dal pericistio e si trasforma in una sacca di pus e bile,

contenenti frammenti della membrana parassitaria e cisti figlie.

─ rottura della cisti massiva nel cavo peritoneale con grave shock settico, oppure si ha una

ecchimosi peritoneale, o la rottura della cisti in un’ansa intestinale con conseguente fistola bilio-

digestiva, soprattutto quando la cisti è localizzata a livello della faccia inferiore del fegato.

La DIAGNOSI si basa su:

Rx addome: consente di valutare l’epatomegalia, il sollevamento e l’ipomobilità emidiaframma

dx, i livelli idro-aerei in seguito alla rottura della cisti.

Ecografia: la cisti è ipoecogena o anecogena, sferica a margini netti, altre volte si notano delle

aree settate con aspetto a nido d’api dovute alla presenza di numerose cisti figlie.

TAC: utile per valutare i rapporti tra cisti e vena cava inferiore, vena porta, anse intestinali... e per

la scelta terapeutica cioè la pericistectomia totale a cisti chiusa, la pericistectomia parziale o

subtotale, resezione epatica cioè segmentectomia, epatectomia dx o sx. La Terapia Medica è utile

per favorire la calcificazione del pericistio e la morte del parassita perché impedisce l’apporto di

sostanze nutrienti al parassita e la sua proliferazione.

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EPATITI SUPPURATIVE

Le Epatiti Suppurative sono rappresentate dall’ascesso epatico e dal pseudoascesso amebico (Paesi

Tropicali e Subtropicali)

L’ASCESSO EPATICO è frequente nei M adulti ed è causato da germi piogeni cioè Escherichia

coli e Staphilococcus aureus che possono raggiungere il fegato:

- per via portale da un’appendicite flemmonosa, colite ulcerosa, cancro gastrico ulcerato

(diffusione emo-metastatica o per continuità attraverso una tromboflebite).

- per via biliare ascendente da un’angiocolite.

- per via biliare discendente da un’area epatica devitalizzata o alterata per contusione, cisti

idatidea, tumore epatico.

- per contiguità da una colecistite suppurativa, ulcera peptica, cancro gastrico perforato nel fegato.

- per via arteriosa: da un focolaio suppurativo lontano.

- dall’esterno attraverso una ferita penetrante o un trauma epatico.

Dal punto di vista ANATOMO PATOLOGICO la lesione può essere multicentrica con numerosi

piccoli ascessi, spesso l’ascesso è unico, di volume variabile, localizzato all’emifegato dx,

contenente pus giallo scuro, mescolato a bile e sangue, costituito da granulociti degenerati e morti,

detriti necrotici, fetido se è causato dal Bacterium coli o un anaerobio.

L’ascesso epatico può superare la barriera glissoniana diffondendosi verso l’alto con ascesso inter-

epato-diaframmatico, empiema pleurico dx o una fistola bilio-bronchiale, oppure si diffonde in

basso nel peritoneo, stomaco, colon, duodeno o vie biliari extraeptiche.

I SINTOMI sono: stato tossico ben evidente con febbre alta, continua o remittente con brividi e

sudorazione profusa, inappetenza, nausea, tachicardia, ittero da compressione delle vie biliari,

dolore all’ipocondrio dx irradiato alla spalla ed esacerbato dalla pressione, lieve > di volume

del fegato, < della motilità respiratoria dell’addome e della base polmonare dx, leucocitosi

elevata (20000 g.b.) con neutrofilia.

Tra le Complicanze abbiamo: empiema pleurico, peritonite, fistola bilio-bronchiale con vomica di

liquido bilio-purulento, fistola nel tubo gastro-enterico o nella via biliare con ematemesi e melena

per emobilia. In caso di microascessi multipli di origine biliare (litiasica) si ha una grave

angiocolite con febbre alta, dolori intensi, ittero, iperazotemia, oliguria.

La DIAGNOSI si basa su:

Rx: > volume del fegato con sollevamento dell’emidiaframma dx, < della motilità diaframmatica,

versamento pleurico basale.

Ecografia: evidenzia focolai anche di piccole dimensioni, ipoecogeni, circondati da una zona

iperecogena dovuta alla flogosi periascessuale.

TAC: utile nei casi dubbi e per definire i rapporti tra ascesso e strutture contigue.

La TERAPIA prevede la somministrazione di antibiotici ad ampio spettro d’azione, correzione

dell’equilibrio idro-elettrolitico, proteico e dell’anemia, incisione chirurgica e drenaggio dell’ascesso

per via laparotomica, raramente si ricorre alla resezione epatica come in caso di ascessi

superficiali, ascessi cronicizzati con parete sclerotica del lobo sx...

Tumori delle Vie Biliari Extraepatiche

I Tumori delle vie biliari extraepatiche sono rappresentati dal cancro della colecisti, cancro della

via biliare principale periilare, della via biliare principale distale e dell’ampolla di Vater. Il

cancro della papilla di Vater, del coledoco terminale insieme al carcinoma della testa del pancreas e

del duodeno rappresentano i tumori periampollari.

Il CARCINOMA della Colecisti è raro (1%) ma è molto aggressivo, colpisce soprattutto soggetti

di sesso F con età media di 60 anni, e nell’80% dei casi è associato alla colelitiasi, anche se non è

stata ancora dimostrata la relazione causa-effetto tra le due malattie: la colecistectomia profilattica è

indicata in presenza di calcoli di dimensioni > 3 cm con irritazione cronica della mucosa colecistica,

colecisti calcifica o a porcellana, anomalie anatomiche della via biliare principale.

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Dal punto di vista ANATOMO PATOLOGICO si tratta di un adenocarcinoma scirroso nell’80%

dei casi, raramente di un carcinoma a cellule squamose, e anaplastico (sarcoma).

Il carcinoma della colecisti si diffonde per continuità a tutta la parete colecistica, per contiguità al

fegato e vena porta, per via linfatica ai linfonodi dell’ilo epatico e pericoledocici che possono

comprimere le vie biliari e la vena porta.

I SINTOMI sono piuttosto tardivi cioè ittero ingravescente in seguito a compressione delle vie

biliari da parte della colecisti e linfonodi, e rapido decadimento delle condizioni generali del pz

con calo ponderale, anoressia, nausea, vomito, febbre ed è possibile palpare una massa dura,

irregolare, indolente, mobile nel respiro, solidale col fegato.

La DIAGNOSI si basa sull’Ecografia che evidenzia un ispessimento irregolare della parete

colecistica e la diffusione al fegato e linfonodi. La TAC e la RMN sono utili per la stadiazione

prechirurgica anche se nella maggior parte dei casi la stadiazione è intraoperatoria mediante

esplorazione laparoscopica con biopsie ed esame istologico estemporaneo al congelatore,

valutando lo stadio della neoplasia secondo la Stadiazione Istologica di Nevin (1976):

- stadio 1: carcinoma in situ con interessamento della mucosa.

- stadio 2: carcinoma che invade la sottomucosa fino alla muscolare.

- stadio 3: carcinoma che invade tutta la parete della colecisti fino alla sierosa.

- stadio 4: il carcinoma interessa i linfonodi regionali (linfonodi dell’ilo epatico).

- stadio 5: carcinoma che invade il fegato o che ha dato metastasi linfonodali a distanza.

Negli stadi iniziali con interessamento solo della parete colecistica è sufficiente la colecistectomia

per via laparoscopica. Se il tumore interessa anche il parenchima epatico contiguo al letto della

colecisti si associa alla colecistectomia la resezione cuneiforme del parenchima epatico contiguo al

letto della colecisti e la linfoadenectomia dell’ilo epatico, fino alla resezione dei linfonodi

pericoledocici, del tripode celiaco e retropancreatici. Negli stadi terminali è inutile ricorrere

all’exeresi radicale perché i risultati sono insoddisfacenti, è possibile solo un trattamento palliativo

dell’ittero cioè ERCP o PTC con posizionamento di endoprotesi biliare o di un drenaggio

percutaneo interno-esterno.

La PROGNOSI è infausta con una mortalità del 75% entro 1 anno.

Colangiocarcinoma

Il Colangiocarcinoma rappresenta il tumore più frequente dell’albero biliare, può originare nei

dotti biliari intraepatici, nella regione ilare dove i dotti epatici dx e sx confluiscono a formare il

dotto epatico comune, oppure nelle vie biliari extraepatiche soprattutto nel dotto cistico e coledoco.

Il colangiocarcinoma ilare o tumore di Klatskin (o della biforcazione) è la forma più frequente,

colpisce M e F con età media di 60 anni: nei Paesi orientali sembra essere correlato alle infezioni da

Clonorchis sinensis e Opistorchis viverrini responsabili di angiocoliti cioè infezioni dei dotti

biliari intraepatici, con proliferazione adenomatosa dell’epitelio duttale, anche se il meccanismo di

cancerizzazione è ancora sconosciuto. Altri fattori di rischio sono le malattie infiammatori

croniche intestinali, soprattutto la retto-colite-ulcerosa, la colangite sclerosante, esposizione

professionale all’asbesto, alterazioni cistiche congenite dei dotti biliari come la cisti coledocica

e la malattia di Caroli I (dilatazione congenita dei dotti biliari intraepatici).

Dal punto di vista Istologico si tratta di un adenocarcinoma mucino-secernente nell’80% dei casi.

I SINTOMI sono secondari all’ostruzione dei dotti biliari cioè ittero e prurito che nelle fasi iniziali

possono essere intermittenti, poi si ha un rapido decadimento delle condizioni generali del pz con

anoressia, astenia, perdita di peso e febbre. All’esame obiettivo si nota epatomegalia oppure un

idrope della colecisti se il tumore è localizzato al di sotto del dotto epatico comune.

Le Indagini di Laboratorio evidenziano una colestasi con >> fosfatasi alcalina, mentre

l’Ecografia, TC e RMN evidenziano la dilatazione delle vie biliari, invasione del parenchima

epatico circostante e l’eventuale presenza di metastasi ai linfonodi addominali.

Spesso la diagnosi avviene solo con indagini invasive cioè ERCP e PTC che consentono di

visualizzare tutto l’albero biliare.

La TERAPIA è chirurgica radicale o parziale considerando i criteri di operabilità e inoperabilità:

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I criteri di operabilità sono tumori non estesi oltre le vie biliari, non infiltranti le strutture vascolari

afferenti ai dotti epatici dx e sx, condizioni generali del pz buone, assenza di insufficienza epatica.

I criteri di inoperabilità assoluta sono: tumore esteso oltre la confluenza biliare di II ordine, cioè

al parenchima epatico e ai piccoli dotti biliari con interessamento della vena porta e dell’arteria

epatica, cioè sono interessate entrambi i territori di distribuzione del fegato.

Per la scelta chirurgica si tiene conto della Classificazione dei colangiocarcinomi dell’ilo

secondo Bismuth con distinzione tra:

Tipo I: tumore al di sotto della confluenza. Si ricorre alla resezione della via biliare.

Tipo II: tumore che raggiunge la confluenza. Si ricorre alla resezione del I segmento epatico,

corrispondente al lobo caudato del fegato.

Tipo IIIa: tumore infiltrante il dotto epatico comune ed esteso ai rami di II ordine di dx (dotto

epatico dx). Si ricorre alla epatectomia dx.

Tipo IIIb: tumore infiltrante il dotto epatico comune ed esteso ai rami di II ordine di sx (dotto

epatico sx). Si ricorre alla epatectomia sx.

Tipo IV: corrisponde alla associazione tra IIIa e IIIb, cioè si tratta di un tumore infiltrante il dotto

epatico comune ed esteso ai rami di II ordine di dx e sx per cui non è possibile una resezione

radicale.

Dopo la resezione si esegue una ricostruzione con epato-digiuno-stomia secondo Roux: si esegue

una singola anastomosi con l’ansa digiunale se non si reseca la confluenza, oppure una doppia

anastomosi tra i dotti epatici dx e sx e l’ansa digiunale se si reseca la confluenza.

Molto utili sono l’Ecografia e la Colangiografia intraoperatoria per valutare se il tumore ha

infiltrato la vena cava, vena porta o l’arteria epatica: in questi casi si ricorre ad una terapia

palliativa-sintomatica con decompressione biliare per via percutanea transepatica con

posizionamento di endoprotesi che consentono il drenaggio della bile verso l’esterno e interno nel

duodeno, oppure per via endoscopica con sondino naso-biliare o endoprotesi.

Tumori Periampollari

I Tumori Periampollari sono rappresentati dal carcinoma della testa del pancreas, della papilla

di Vater, del coledoco terminale e del duodeno soprapapillari e peripapillari.

La caratteristica principale dei tumori periampollari è che comprimono la regione del coledoco

terminale provocando ittero ostruttivo che > lentamente e progressivamente con valori elevati

della bilirubinemia fino a 40 mg/dl sangue, non tende a regredire, per cui si parla di ittero

ingravescente che insorge senza dolore, associato a febbre, prurito, astenia, anoressia,

epatomegalia, ascite, perdita di peso, nausea, vomito, urine ipercromiche e feci acoliche.

Nel caso della litiasi biliare invece l’ittero ostruttivo ha un esordio improvviso in seguito alla

ostruzione delle vie biliari da parte di uno o più calcoli che passano dalla colecisti al coledoco, fino

a raggiungere la papilla di Vater, determinando spesso un ittero intermittente: infatti, se il calcolo

si blocca a livello della papilla di Vater impedisce il deflusso della bile nel duodeno con

conseguente iperbilirubinemia e ittero, se si sposta favorisce il deflusso della bile con <

bilirubinemia e scomparsa dell’ittero.

La vecchia Legge di Courvoisier Terrier dice che in presenza di ittero e fondo della colecisti

palpabile dobbiamo sempre sospettare la presenza di una neoplasia, in particolare di un tumore

periampollare che causa ostruzione a valle del sistema di scarico della bile e la dilatazione del fondo

della colecisti che così diventa palpabile.

In realtà, noi sappiamo che nella calcolosi biliare i calcoli si formano sempre nella colecisti,

irritando la mucosa della colecisti, con conseguente < della elasticità ed espansibilità della colecisti

stessa. Inoltre, quando il calcolo migra dalla colecisti alle vie biliari principali, si ha l’ostruzione al

deflusso della bile che così si accumula nella colecisti, si distende e può essere palpata a livello

dell’arcata costale in corrispondenza del margine esterno del muscolo retto addominale.

Per cui la legge di Courvaisier Terrier non ha valore assoluto ma relativo perché la colecisti può

essere palpata sia in caso di una colelitiasi biliare sia in caso di una neoplasia periampollare, anche

se nelle forme tumorali il carattere distintivo è l’ittero senza dolore associato a dimagrimento.

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La DIAGNOSI si basa su:

Indagini di Laboratorio: > bilirubinemia totale e frazionata, > GOT e GPT, > fosfatasi

alcalina, > γ-GT, markers tumorali (CEA, Ca 19.9).

ERCP o Colangio Pancreatografia Retrograda Endoscopica oppure si ricorre alla PTC

sottoguida ecografica o TAC quando il tumore impedisce di incannulare la papilla di Vater.

TAC: per valutare lo stadio in cui si trova la neoplasia, strutture interessate, dimensioni del

tumore, presenza di metastasi linfonodali o a distanza soprattutto epatiche e polmonari.

Ecografia, Colangio-RM.

I tumori della papilla di Vater sono a basso indice di malignità con prognosi più favorevole

rispetto ai tumori del coledoco terminale che sono ad alto indice di malignità.

I tumori della Testa del pancreas hanno una prognosi più sfavorevole perché l’ittero è tardivo cioè

quando il tumore ha raggiunto delle grosse dimensioni (> 2 cm) con compressione delle vie biliari.

La TERAPIA dei tumori periampollari è chirurgica con duodeno-cefalo-pancreasectomia DCP

con resezione del 3° distale dello stomaco, duodeno, porzione terminale del coledoco, testa del

pancreas o tutto il pancreas in base alle dimensioni del tumore. Dopo la fase demolitiva si passa alla

fase di ricostruzione con tecnica di Whipple eseguendo una serie di anastomosi cioè epato-

digiunostomia, gastro-digiunostomia e pancreato-digiunostomia. Poichè i risultati sono scarsi in

genere si preferisce ricorrere alla chirurgia palliativa cioè alle derivazioni bilio-digestive:

pancreato-digiunostomia, gastro-entero anastomosi, coledoco-duodenostomia oppure alla terapia

palliativa per via endoscopica con drenaggio mediante sondino naso-biliare o protesi.

TUMORI EPATICI

I Tumori del Fegato possono essere benigni e maligni, di natura epiteliale o mesenchimale.

tumori benigni di natura epiteliale: adenoma epatocellulare o epatoma benigno, adenoma dei

dotti biliari intraepatici o colangiocellulare, cistoadenoma dei dotti biliari intraepatici.

tumori maligni di natura epiteliale: carcinoma epatocellulare o epatocarcinoma,

colangiocarcinoma (forma periferica, ilare o tumore di Klatskin), cistoadenoma dei dotti biliari

intraepatici, carcinoma epato-colangiocellulare, carcinoma indifferenziato.

tumori benigni di natura mesenchimale: emangioma semplice e cavernoso, emangio-

endotelioma infantile, fibroma, leiomioma, lipoma (rarissimi).

tumori maligni di natura mesenchimale: angiosarcoma, sarcoma embrionale, fibrosarcoma...

L’ADENOMA EPATOCELLULARE è un tumore benigno del fegato di natura epiteliale, si

presenta come un nodo duro, unico o multiplo, Ø 5-15 cm, circoscritto, privo di capsula,

disomogeneo a causa delle emorragie intratumorali. Colpisce soprattutto soggetti di sesso F con

età compresa tra i 15-50 anni favorito dall’abuso di contraccettivi orali, steroidi e ormoni

anabolizzanti, gravidanza, poichè è un tumore ormone dipendente.

Spesso si tratta di un tumore asintomatico per cui la diagnosi avviene casualmente mediante

un’ecografia richiesta per altri motivi oppure durante un intervento chirurgico o in sede autoptica.

Le forme più voluminose possono provocare dei sintomi cioè dolore addominale gravativo,

epatomegalia, ematoma intraepatico o emoperitoneo da rottura del tumore.

La DIAGNOSI si basa su:

Ecografia e TAC: per individuare la sede e dimensioni del nodo.

Angiografia: vascolarizzazione del tumore con vasi irradiati verso il centro del nodo.

Agobiopsia ecoguidata: per la diagnosi di certezza.

La PROGNOSI è favorevole, non è mai stato segnalato alcun caso di cancerizzazione.

La TERAPIA è astensionista nelle forme di piccole dimensioni e asintomatiche, sottoponendo il pz

a controlli periodici mediante l’Ecografia e abolendo l’uso dei contraccettivi orali che possono

influenzare la crescita del tumore. L’exeresi chirurgica è indicata per le forme voluminose e

sintomatiche che crescono rapidamente, ad alto rischio di rottura con emorragia, che non

regrediscono dopo la sospensione della terapia ormonale e nelle donne che desiderano una nuova

gravidanza.

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Gli EMANGIOMI sono tumori benigni del fegato di natura mesenchimale, frequenti nel sesso F,

nelle multipare, dove entrano in gioco gli estrogeni, si presenta come una massa circoscritta

rosso-scura, spesso superficiale raramente profonda, di tipo semplice oppure cavernoso o

cavernoma che è la forma più frequente, costituita da ampi spazi pieni di sangue, rivestiti da uno

strato di cellule endoteliali e separati da tessuto di sostegno.

In genere, l’emangioma è asintomatico, mentre le forme voluminose provocano dolore per

compressione delle vie biliari, vena porta o vena cava inferiore, provocando stasi biliare, ittero...,

raramente si ha la rottura in peritoneo con shock settico e morte.

L’Ecografia e la TAC con m.d.c. evidenziano una struttura ipodensa, angiografia, esplorazione

laparoscopica.

Nel caso degli angiomi di piccole dimensioni e asintomatici si eseguono dei controlli periodici con

Ecografia 1 volta/anno o ogni 6 mesi per tenere la situazione sottocontrollo, mentre nelle forme

voluminose e sintomatiche si ricorre alla chirurgia.

TUMORI EPATICI MALIGNI

Il CARCINOMA EPATOCELLULARE O EPATOCARCINOMA (HCC Hepato Cellular Carcinoma)

rappresenta il 75-85% dei tumori maligni primitivi del fegato, origina dagli epatociti e viene

distinto in carcinoma epatocellulare non fibrolamellare e fibrolamellare.

Il Carcinoma epatocellulare non fibrolamellare rappresenta il 98% di tutti i tumori maligni

primitivi del fegato, frequente in Sud Africa, Paesi Tropicali, Sud-Est Asiatico, mentre in Europa il

picco più alto si registra in Italia, Grecia e Jugoslavia, colpisce soprattutto soggetti di sesso M con

rapporto M/F = 5/1 in presenza di cirrosi mentre in assenza di cirrosi c’è un certo equilibrio tra M e

F. L’età di insorgenza è variabile: in Sud Africa è tra i 20-40 anni, in Europa è tra i 40-60 anni, in

Giappone è tra i 60-70 anni.

Dal punto di vista EZIOLOGICO la forma non fibrolamellare è associata alla cirrosi epatica micro

o macronodulare nell’80% dei casi, per cui si parla di cancro-cirrosi che è post-epatica nel 70%

dei casi, alcolica nel 10% dei casi. Quando il quadro clinico di un pz cirrotico si aggrava

improvvisamente bisogna sempre sospettare una degenerazione neoplastica: il pz cirrotico è ad alto

rischio di cancerizzazione, per cui deve essere monitorato attentamente, tenendo conto che il

cirrotico peggiora lentamente e quasi mai all’improvviso.

Inoltre, esiste una stretta correlazione tra epatocarcinoma ed infezioni da virus dell’epatite B e C:

l’80% dei casi di epatopatia cronica di tipo B evolve in epatocarcinoma, più raramente epatite C che

ha una lenta evoluzione passando dalla fibrosi epatica alla cirrosi fino all’epatocarcinoma.

Questa evoluzione si riscontra solo nel 50% dei casi di epatocarcinoma da HBV.

Il Carcinoma epatocellulare fibrolamellare è molto raro, colpisce soprattutto soggetti giovani

con età media di 20-30 aa, con rapporto M/F = 1/2, solo nel 4% dei casi è associato alla cirrosi

mentre tra i fattori favorenti abbiamo agenti chimici come l’alcool (etanolo) e le aflatossine B1

che derivano dal metabolismo dell’Aspergillus flavus presente nelle derrate alimentari cioè arachidi,

soia, cereali molto consumati in Asia, Africa e America Latina dove il tumore è molto diffuso.

Il carcinoma epatocellulare fibrolamellare è un tumore a crescita lenta, con andamento più benigno

rispetto alla forma non fibrolamellare, presenta una pseudocapsula che lo delimita dal parenchima

epatico sano circostante, facilitandone l’exeresi chirurgica, per cui la prognosi è più favorevole con

sopravvivenza a lungo termine maggiore.

Dal punto di vista ANATOMO PATOLOGICO il carcinoma epatocellulare non fibrolamellare si

presenta in maniera diversa se insorge su un fegato cirrotico o meno:

in assenza di cirrosi si presenta come un nodo bianco-giallastro, più o meno grande, spesso

localizzato all’emifegato dx, non capsulato, raramente è plurinodulare con noduli multipli piccoli

che circondano la massa principale, con aree necrotico–emorragiche intratumorali.

in presenza di cirrosi, che è la forma più frequente, è multicentrico, con distruzione più o meno

estesa del parenchima epatico.

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Dal punto di vista Istopatologico si fa una distinzione tra forme macroscopiche cioè infiltrante,

espansivo, misto infiltrante–espansivo, diffuso o multifocale, e forme microscopiche cioè

trabecolare (sinusoidale), pseudoghiandolare (acinoso), compatto e scirroso.

La CLASSIFICAZIONE CLINICA del carcinoma epatocellulare non fibrolamellare si basa su alcuni

parametri che indicano la presenza di una malattia in fase avanzata, cioè dimensioni del tumore,

presenza di ascite, albuminemia < 3 gr/dl, bilirubinemia > 3 mg/dl, con distinzione tra 3 stadi:

─ stadio I: non ci sono segni clinici di malattia in fase avanzata.

─ stadio II: sono presenti 1 o 2 segni clinici di malattia in fase avanzata.

─ stadio III: sono presenti 3 o 4 segni clinici di malattia in fase avanzata.

I SINTOMI sono assenti nel caso di tumori di piccole dimensioni, mentre i tumori più grandi

possono causare dolore al fianco dx e alla schiena, senso di peso, tensione addominale e disturbi

della digestione. Negli stadi più avanzati insorgono i sintomi dell'insufficienza epatica: ittero,

ascite in seguito alla diffusione del tumore al peritoneo con conseguente carcinosi peritoneale che

è indice di inoperabilità. Inoltre, calo ponderale, febbricola, astenia, anoressia, edema agli arti

inferiori da compressione della vena porta o della vena cava retroepatica con ostacolo al deflusso

del sangue venoso, epatomegalia con massa palpabile in sede epigastrica...

La DIAGNOSI si basa su:

Esami di Laboratorio: > transaminasi GOT e GPT (indice di citolisi), > γGT, > fosfatasi

alcalina, > bilirubina totale e frazionata (indici di colestasi); PT e PTT (alterazioni della

coagulazione), markers epatite B e C, > α-fetoproteina parametro aspecifico importante solo se

raggiunge valori elevatissimi, > 200 ng/ml con specificità vicina al 100%, importante nel follow-up

postoperatorio (> 60 epatiti, cirrosi).

Ecografia addominale: è l’indagine di approccio nei pz ad alto rischio di cancerizzazione cioè pz

cirrotici o con epatite cronica, consentendo la diagnosi delle forme tumorali anche di piccole

dimensioni, cioè < 2 cm. Quando il tumore è costituito solo dalle cellule tumorali si nota una massa

scura ipoecogena, mentre quando si hanno fenomeni emorragici e necrotici si osserva una

struttura iperecogena. La pseudocapsula appare come una struttura peritumorale iperecogena.

Per una diagnosi di certezza si può ricorrere alla biopsia epatica ecoguidata.

TAC con m.d.c. (per via e.v.) utile per valutare la presenza di metastasi linfonodali e a distanza.

RMN addome.

Rx torace: metastasi polmonari.

Arteriografia selettiva dell’arteria epatica (angiografia): consente di valutare se oltre alla massa

tumorale primitiva ci sono anche altri noduli più piccoli e di stabilire i rapporti tra la neoplasia e le

strutture vascolari del fegato, molto utile per il trattamento chirurgico. Si inietta il m.d.c. nell’arteria

epatica e si osserva una opacizzazione più o meno intensa e anomala del parenchima epatico

interessato. Utile anche per la diagnosi differenziale con gli angiomi epatici.

Laparoscopia Esplorativa con biopsia mirata: consente di valutare la presenza di lesioni

sottocapsulari e l’invasione del peritoneo con carcinosi peritoneale, consente di eseguire delle

biopsie direttamente in sala operatoria per fare una scelta terapeutica adeguata.

La PROGNOSI è infausta in presenza di insufficienza epatica grave, emorragia da rottura delle

varici esofagee, grave deperimento generale del pz.

Per la stadiazione della neoplasia si ricorre alla Classificazione TNM:

─ T1: tumore con Ø < 2 cm.

─ T2: tumore con Ø compreso tra 2 e 5 cm.

─ T3: tumore con Ø > 5 cm che può infiltrare il lobo epatico controlaterale oppure è un tumore

associato alla cirrosi epatica nello stadio A o B di Child oppure si ha l’infiltrazione della vena

cava inferiore o delle vie biliari.

─ T4: tumore infiltra massivamente il fegato e può essere associato alla cirrosi nello stadio C.

─ N0: nessuna metastasi linfonodale.

─ N1: sono presenti le metastasi ai linfonodi dell’ilo epatico.

─ N2: sono presenti le metastasi ai linfonodi celiaci.

─ N3: sono presenti le metastasi ai linfonodi extraregionali.

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─ M0: nessuna metastasi a distanza.

─ M1: sono presenti metastasi a distanza, polmonari, ossee, cerebrali...

La TERAPIA si basa sulla resezione epatica in caso di tumori unicentrici o circoscritti, di Ø ≤ 2

cm, limitati ad un settore epatico, senza metastasi linfonodali e a distanza e segni di insufficienza

epatica grave: in assenza di cirrosi la resezione epatica può essere più estesa, sfruttando la capacità

rigenerativa delle cellule epatiche sane residue, con formazione di un parenchima epatico

funzionale ed è possibile rioperare il pz in caso di recidive o se la prima resezione epatica non è

stata sufficiente per l’asportazione di tutta la massa tumorale. Mentre in presenza di cirrosi fino a

qualche anno fa la resezione epatica era molto limitata perché la diagnosi era tardiva, con grave

insufficienza epatica, presenza di metastasi linfonodali e a distanza, tenendo conto che il fegato

cirrotico ha una scarsa capacità rigenerativa. Oggi grazie allo screening con ecografia nei pz ad alto

rischio cioè pz con cirrosi ed epatite cronica, la diagnosi è più tempestiva, per cui si può intervenire

sin dalle fasi iniziali eseguendo delle ecografie intraoperatorie per definire meglio la sede,

dimensioni del tumore, interessamento dei grossi vasi o delle strutture circostanti, in modo da

eseguire delle resezioni più o meno estese, segmentarie o sottosegmentarie, e riducendo il rischio

di gravi emorragie perioperatorie mediante il clampaggio preventivo temporaneo dei vasi ilari.

Sappiamo che dal punto di vista Anatomo Chirurgico il fegato viene suddiviso in 8 segmenti

epatici dotati di autonomia vascolo-biliare: infatti, a livello dell’ilo epatico la vena porta, arteria

epatica e il dotto epatico si biforcano dando origine ai peduncoli glissoniani di I ordine, tributari

dell’emifegato dx e sx, il cui piano di divisione è dato dalla vena sovraepatica sagittale mediana,

diretta dall’alto in basso e da dx verso sx, cioè dal margine sx della vena cava inferiore verso il letto

della colecisti. Da questi originano i peduncoli di II ordine, tributari ognuno di un settore, per cui

ogni emifegato ha un settore paramediano e uno laterale, separati da un piano in cui decorrono le

vene sovraepatiche dx e sx. I peduncoli di II ordine si dividono in 2, per cui ogni settore viene

suddiviso in 2 segmenti. Per cui si ottengono 8 segmenti epatici: segmenti I, II, III nell’emifegato

sx, segmenti IV, V, VI, VII, VIII nell’emifegato dx. Questa segmentazione è molto importante nella

chirurgia del fegato, tenendo conto che è possibile resecare anche una grossa quantità di parenchima

epatico grazie alla notevole capacità rigenerativa del fegato: per cui legando il peduncolo

glissoniano si ha un’ischemia nel suo territorio di irrorazione, mettendo in evidenza il piano di

scissione dove il chirurgo deve agire, risparmiando la vena sovraepatica che decorre nel piano di

divisione e drena dalle due unità contigue.

Possiamo fare una distinzione tra resezioni epatiche minori e maggiori.

resezioni epatiche minori: indicate per i tumori che insorgono su un fegato cirrotico dotato di

una scarsa capacità rigenerativa e per i tumori benigni.

resezioni epatiche maggiori: indicate per i tumori che insorgono su un fegato non cirrotico

dotato di una notevole capacità rigenerativa, rappresentate dalla epatectomia dx che può essere

allargata al lobo caudato, asportando il 70-80% della massa epatica, epatectomia sx, lobectomia dx

o sx.

Inoltre, le resezioni epatiche sono indicate in caso di carcinoma della colecisti diffuso al fegato,

lesioni traumatiche gravi, emobilia, cisti idatidee, metastasi tumorali uniche o circoscritte.

La resezione epatica avviene in 2 tempi:

─ tempo ilare con clampaggio dell’ilo epatico, escludendo il flusso ematico attraverso l’arteria

epatica p.d. e la vena porta.

─ tempo sovraepatico in cui si esclude la vena sovraepatica che decorre nel piano di scissione,

poiché questa vena drena sia dal segmento da resecare sia da quello adiacente.

Possiamo ricorrere alla manovra di Pringle con clampaggio temporaneo del peduncolo portale per

circa 15-30 min, poi si decampla per circa 10 min in modo da favorire la riperfusione del fegato,

evitando fenomeni di ischemia, poi si clampa per 15-30 min, per cui l’intervento dura molte h.

Nell’epatectomia dx bisogna escludere tutte le strutture che vanno a dx, cioè dotto biliare dx, ramo

dx arteria epatica e della vena porta, vena cava inferiore sopra lo sbocco delle vene renali e vena

cava sovraepatica subito sotto il diaframma, in modo da scheletrizzare la metà dx del fegato

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(analogamente per l’epatectomia sx). Per cui l’emifegato dx va in ischemia, diventa cianotico e si

forma una linea di demarcazione che facilita l’exeresi chirurgica.

Ricordiamo anche la Tecnica Orientale o Vietnamita secondo TON THAT TUNG con

digitoclasia in cui si divide il fegato a livello del piano scissurale con le dita: il chirurgo individua

con i polpastrelli i dotti vascolo-biliari e li chiude con una pinza, poi incide la capsula glissoniana,

individuando il peduncolo glissoniano che viene isolato e legato.

Inoltre, si evita l’emorragia mediante il clampaggio temporaneo dell’ilo epatico per circa 15 min, si

legano la vena cava retroepatica e le vene sovraepatiche, e si libera l’emifegato dx lungo il

legamento triangolare e coronarico fino alla vena cava inferiore.

La chemioterapia è indicata nei tumori inoperabili mediante infusione dei farmaci attraverso

l’arteria epatica o con chemioembolizzazione mentre la radioterapia è palliativa-sintomatica.

Il trapianto di fegato (ortotopico) non offre buoni risultati per cui è meglio destinare il fegato di un

donatore sano ad un pz cirrotico dove si ottengono dei risultati più soddisfacenti.

Metastasi Epatiche

Le Metastasi Epatiche nel 75% dei casi derivano da un carcinoma del colon-retto, nel 25% dei

casi da tumori delle ghiandole surrenali, carcinoma polmonare, melanoma, tumori delle ossa,

testicoli e ovaie. Si fa una distinzione tra metastasi sincrona quando si manifesta

contemporaneamente al tumore primitivo e metastasi metacrona quando si manifesta dopo alcuni

mesi o anni dalla diagnosi o asportazione del tumore primitivo.

Le metastasi epatiche da carcinoma colo-rettale nel 25% dei casi sono sincrone, nel 75% dei casi

sono metacrone.

Nelle fasi iniziali le metastasi epatiche sono asintomatiche, poi si ha dolore addominale,

anoressia, calo ponderale, febbricola, ittero, epatomegalia, ascite, con prognosi sfavorevole.

La DIAGNOSI si basa su: Indagini di laboratorio con > CEA, > fosfatasi alcalina FA, > γGT, >

LDH, > GOT e GPT, > bilirubinemia, inoltre Ecografia, TAC, RMN, Biopsia ecoguidata,

Ecografia Intraoperatoria.

La PROGNOSI dipende dalla sede, istotipo e stadio in cui si trova la neoplasia primitiva valutando

il n° metastasi, n° lobi epatici interessati. Il carcinoma colo-rettale ha una prognosi migliore con

sopravvivenza a 5 aa dopo terapia chirurgica pari al 25-35% in assenza di malattie extraepatiche.

Abbiamo la Classificazione delle metastasi epatiche secondo Gennari indicando con la lettera H

la % di parenchima epatico che è stato sostituito dalla metastasi:

─ H1: sostituzione epatica ≤ 25%.

─ H2: sostituzione epatica pari a 25-50%.

─ H3: sostituzione epatica > 50%.

─ S: presenza di metastasi singole.

─ m: presenza di metastasi multiple solo in 1 lobo epatico.

─ b: presenza di metastasi bilaterali.

─ i: infiltrazione di organi o strutture contigue.

─ f: funzione epatica compromessa.

Le Indicazioni alla chirurgia sono: metastasi da adenocarcinoma colon-rettale allo stadio A-B di

Dukes, ben differenziato, metastasi unica, metacrona, fegato non cirrotico.

Le Controindicazioni alla chirurgia sono: metastasi epatiche > 4, metastasi extraepatica accertata

istologicamente, interessamento della vena cava inferiore, vene sovraepatiche, vena porta, I

segmento epatico (lobo caudato), cirrosi severa, cioè allo stadio C di Child-Pugh.

La TERAPIA è chirurgica con metastasectomia, segmentectomia unica o multipla, epatectomia dx

o sx. In caso di metastasi multiple si ricorre alla chemioterapia locale somministrando i farmaci

direttamente nel fegato incannulando l’arteria epigastrica dx con un catetere che viene portato fino

all’arteria epatica, collegato ad una pompa di infusione.

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IPERTENSIONE PORTALE

L’IPERTENSIONE PORTALE è una sindrome caratterizzata da un > della P vigente nel sistema

della vena porta, dovuto ad alcune patologie che ostacolano il deflusso del sangue venoso.

Il Sistema Portale è costituito dal Tronco della Vena Porta che si forma dietro la testa del

pancreas per la confluenza della vena mesenterica superiore, vena lienale o splenica e vena

mesenterica inferiore che spesso sbocca nella vena lienale poco prima che questa si unisca alla vena

mesenterica superiore.

I rami affluenti della vena porta sono: vena gastrica sx o coronaria dello stomaco, vena gastrica

dx o pilorica e vena ombelicale durante la vita fetale.

Il tronco della vena porta è situato nello spessore del legamento epato-duodenale insieme al dotto

coledoco e all’arteria epatica, si dirige verso l’ilo epatico dove si divide in un ramo dx e un ramo

sx, conducendo al fegato il sangue venoso refluo dei visceri addominali:

– la vena mesenterica superiore raccoglie il sangue venoso refluo dal tenue, colon dx, parte dello

stomaco, pancreas e grande omento. I rami affluenti della vena mesenterica superiore sono: vene

intestinali, vena ileo-colica, vena colica dx, vena colica media, vena pancreatico-duodenali, vena

gastroepiploica dx.

– la vena mesenterica inferiore raccoglie il sangue venoso refluo dal colon sx. I suoi rami affluenti

sono: vena colica sx, vene sigmoidee, vena rettale o emorroidaria superiore.

– vena lienale o splenica raccoglie il sangue venoso refluo dalla milza, pancreas, stomaco e grande

omento. I suoi rami affluenti sono: vena gastroepiploica sx, vene gastriche brevi, vene pancreatiche

e duodenali.

– Vene Porte Accessorie cioè: vene del legamento gastro-epatico, vene del legamento falciforme,

vene del legamento coronarico, vene paraombelicali, vene cistiche, vene nutritizie dei condotti

biliari, dei rami della vena porta e dell’arteria epatica, che sono indipendenti dal sistema portale e

che realizzano dei collegamenti virtuali tra sistema portale e circolazione sistemica che diventano

reali solo in condizioni patologiche.

Dai rami dx e sx della vena porta originano dei rami più piccoli che portano il sangue venoso al

sistema dei sinusoidi, dove il sangue venoso si mescola con quello arterioso proveniente

dall’’arteria epatica, subendo importanti modifiche biochimiche da parte degli epatociti e cellule di

Kupffer, poi passa nelle vene centrolobulari e nelle vene sovraepatiche fino a raggiungere la vena

cava inferiore.

In condizioni normali il flusso del sangue venoso nel sistema portale è di tipo epatopeto, cioè è

diretto al fegato e la progressione del sangue nel sistema portale è favorita dal gradiente pressorio

tra vena porta e vena cava inferiore: normalmente la P nella vena porta è di 10-12 cmH2O mentre

nella vena cava inferiore è di 9-10 cmH2O, creando un gradiente pressorio che consente al sangue

venoso presente nel sistema portale di vincere la resistenza della P venosa centrale e le resistenze

periferiche intra-epatiche.

In caso di ipertensione portale con un > della P fino a 50 cmH20, il flusso del sangue diventa

epatofugo, cioè il sangue trova l’ostacolo che può essere preepatico, intraepatico o postepatico e

torna indietro raggiungendo la circolazione generale grazie alla dilatazione delle anastomosi e

formazione dei circoli collaterali che favoriscono lo scarico del sangue nella vena cava inferiore.

Possiamo fare una distinzione tra circolo collaterale superiore e inferiore .

Il CIRCOLO COLLATERALE SUPERIORE è rappresentato dal Circolo Collaterale Gastro-

Esofageo: a livello della giunzione gastro-esofagea si realizza un’anastomosi tra i plessi venosi

sottomucosi e periesofagei dell’esofago e le vene sottomucose dello stomaco che però rappresenta

un fattore negativo perché si formano delle voluminose varici esofagee nella sottomucosa

dell’esofago che possono facilmente rompersi in seguito all’> della P venosa, al passaggio degli

alimenti o in seguito a colpi di tosse, provocando una grave emorragia.

Comunque, attraverso la vena lienale o splenica, le vene gastriche brevi e la vena gastrica sx o

coronaria stomacica, si può realizzare un circolo collaterale tra la vena cava superiore e la vena

cava inferiore, convogliando il sangue verso l’alto, cioè verso le vene esofagee, vena azigos ed

emiazygos, scaricando il sangue nella vena cava superiore, cioè nella circolazione generale.

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Il CIRCOLO COLLATERALE INFERIORE o Emorroidario si realizza a livello del canale

anale grazie all’anastomosi tra le vene emorroidarie o rettali superiori, tributarie della vena

mesenterica inferiore e le vene emorroidarie o rettali medie e inferiori, tributarie della vena

ipogastrica o iliaca interna che porta il sangue alla vena cava inferiore.

Le vene emorroidarie costituiscono il plesso emorroidario.

Anche in questo caso si possono formare delle grosse varici emorroidarie che all’esplorazione

digito-rettale si presentano come dei grossi gavoccioli: si parla di emorroidi sintomatiche

secondarie all’ipertensione portale che, rispetto alle emorroidi primitive idiopatiche o

criptogenetiche, non devono essere trattate chirurgicamente perché nei pz con ipertensione portale

le emorroidi rappresentano una valvola di scarico che consente al sangue di passare dal sistema

portale alla circolazione generale, per cui se si interviene chirurgicamente si può provocare una

grave proctoraggia difficile da controllare.

Inoltre, si possono sviluppare circoli collaterali secondari:

Anastomosi a livello del peritoneo parietale con formazione del circolo collaterale retro-

peritoneale, cioè si realizza una comunicazione tra il circolo venoso preperitoneale e

retroperitoneale costituendo il sistema di RETZIUS o rete venosa retroperitoneale che nei pz con

ipertensione portale consente il passaggio del sangue dal sistema portale al sistema retroperitoneale,

fino alla vena cava inferiore. Infatti, il sistema di Retzius si realizza tra le radici delle vene

mesenteriche e delle vene addominali parietali cioè vene lombari, vena sacrale mediana, e viscerali

cioè vene renali, vene spermatiche interne, tributarie della vena cava inferiore.

Anastomosi a livello della parete addominale anteriore: si realizza un’anastomosi porto-

sistemica per intervento delle vene porte accessorie che si attivano solo in condizioni patologiche

per favorire il deflusso del sangue. In particolare, si ha l’intervento della vena ombelicale, ramo

della vena porta, che durante la vita fetale porta al feto il sangue arterioso ossigenato e ricco di

sostanze nutrienti proveniente dalla placenta, percorrendo il cordone ombelicale con andamento a

spirale, penetra nell’addome del feto fino a sboccare nel ramo sx della vena porta da cui origina il

condotto venoso di Aranzio che sbocca nella vena epatica sx, tributaria della vena cava inferiore.

Dopo la nascita il cordone ombelicale viene legato per cui la vena ombelicale e il condotto venoso

di Aranzio vanno incontro ad un processo di obliterazione: la vena ombelicale si trasforma nel

legamento rotondo del fegato, mentre il condotto venoso di Aranzio si trasforma nel legamento

venoso del fegato.

In caso di ipertensione portale la vena ombelicale si apre, cioè diventa pervia, favorendo lo scarico

del sangue nel dotto di Aranzio che si dilata, favorendo il deflusso del sangue nella vena cava

inferiore.

Questo fenomeno è tipico della Cirrosi di Cruveilhier-Baumgarten con ipertensione portale da

blocco intraepatico e pervietà della vena ombelicale, caratterizzata dalla formazione del “caput

medusae” rilievi venosi che si espandono a raggiera dall’ombelico in seguito alle anastomosi tra la

vena ombelicale e le vene della parete addominale.

Attraverso la vena ombelicale, vene porte accessorie e vene paraombelicali il sangue può refluire

verso le vene sottocutanee della parete addominale, scorrendo verso l’alto in direzione della vena

cava superiore, con intervento delle vene intercostali e mammaria interna, e verso il basso in

direzione della vena cava inferiore, con intervento delle vene epigastriche superficiali e inferiori.

Successivamente il notevole versamento endoperitoneale provoca la compressione della vena cava

inferiore, per cui il circolo venoso superficiale assume un decorso prevalentemente verticale

assicurando il collegamento tra il sistema della vena cava inferiore e della vena cava superiore,

mediante anastomosi tra le vene epigastriche e intercostali, realizzando il circolo collaterale cava-

cava.

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La CLASSIFICAZIONE dell’IPERTENSIONE PORTALE tiene conto delle cause, con distinzione

tra ipertensione portale da iperafflusso di sangue, di tipo dinamico e ipertensione portale da

blocco, intraepatico, pre-epatico, post-epatico, di tipo statico.

L’IPERTENSIONE PORTALE da IPERAFFLUSSO di SANGUE è causata da una patologia

primitiva della milza con splenomegalia cioè la milza > di volume, per cui necessita di una

maggiore quantità di sangue, per cui > l’afflusso di sangue ma anche il deflusso di sangue dalla

milza che va ad incrementare il circolo portale con conseguente ipertensione portale da iperafflusso

di sangue, come succede in caso di:

I° stadio della malattia di Banti con splenomegalia fibro-congestizia, iperafflusso di sangue alla

milza, > P intrasplenica e ipertensione portale, segni di ipersplenismo cioè sequestro e lisi di

globuli rossi, leucociti e piastrine da parte della milza con conseguente anemia, leucopenia e

piastrinopenia, fino ad andare incontro ad epatopatia e a cirrosi epatica.

rottura di un aneurisma dell’arteria epatica nella vena porta.splenomegalia primitiva nei pz affetti

da malaria o talassemia.

neoplasie spleniche, cioè linfomi di Hodgkin e non Hodgkin.

L’IPERTENSIONE PORTALE da BLOCCO è dovuta ad un ostacolo al flusso del sangue nel

sistema portale che può essere pre-epatico, intra-epatico o post-epatico.

L’ostacolo pre-epatico spesso si deve ad una trombosi della vena porta di vario tipo:

─ trombosi di natura infettiva o pileflebite a partire da un’infezione di un viscere addominale, ad

es. in caso di appendicite.

─ trombosi di natura tossica, come in caso di pancreatite acuta degenerativa.

─ trombosi di natura traumatica.

L’ostacolo pre-epatico può essere dovuto ad una atresia della vena porta, malformazione di

natura congenita, o ad una compressione ab estrinseco da carcinoma della testa del pancreas.

In tal caso il fegato è sano ma è pallido perché riceve il sangue solo dall’arteria epatica, mentre il

sangue venoso ristagna nel sistema portale.

L’Ostacolo Intraepatico rappresenta l’85-90% di tutte le forme di ipertensione portale ed è dovuta

alla cirrosi epatica di tipo atrofica di Morgagni-Laemec, dovuta a alcolismo, epatite virale B e C,

farmaci epatotossici, caratterizzata da degenerazione epatica diffusa, necrosi delle cellule epatiche,

sclerosi perilobulare ed endolobulare, rigenerazione nodulare degli epatociti e duttuli biliari,

notevole < volume epatico e formazione del circolo collaterale gastro-esofageo.

L’Ostacolo Post-epatico è tipico della Sindrome di Budd-Chiari dovuta ad una trombosi delle vene

sovraepatiche, con ipertensione portale e ascite precoce: il sangue venoso giunge al fegato mediante

la vena porta ma a causa dell’ostacolo a livello delle vene sovraepatiche, il sangue ristagna nel

fegato, con conseguente “fegato da stasi” e presenta delle dimensioni doppie o triple rispetto a

quelle normali ma se si ricorre subito alla terapia trombolitica il sangue comincia a defluire e il

fegato si sgonfia come se fosse una spugna.

L’ostacolo post-epatico può interessare anche la vena cava inferiore sovraepatica o il cuore dx,

come in caso di pericardite costrittiva con conseguente ipertensione portale e stasi venosa nella vena

cava, edema e varici agli arti inferiori, ectasie venose a livello della parete addominale...

Inoltre, possiamo fare una distinzione tra ipertensione portale globale e distrettuale in base al grado

di interessamento del sistema portale.

L’IPERTENSIONE PORTALE GLOBALE si verifica quando è interessato tutto il sistema portale

per un blocco post-epatico, come succede nella Sindrome di Budd-Chiari, blocco intraepatico da

cirrosi, oppure blocco pre-epatico da trombosi della vena porta o da iperafflusso di sangue alla

milza. In tal caso inserendo un ago collegato ad un manometro nella milza e nella vena mesenterica

superiore si possono eseguire delle misurazioni pressorie: se la P è alta in entrambe le sedi significa

che c’è una ipertensione portale globale.

L’IPERTENSIONE PORTALE DISTRETTUALE si verifica quando è interessata solo una parte del

sistema portale, come in seguito alla trombosi della vena splenica.

La vena splenica si dirige dall’ilo splenico verso il margine superiore del pancreas, al di sotto

dell’arteria splenica, ma in alcuni casi decorre dietro il corpo del pancreas, per cui in caso di

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pancreatiti acute o croniche si ha un effetto compressivo espansivo della vena splenica e la

trasmissione del processo infiammatorio alla parete esterna della vena splenica con periflebite, poi

si diffonde nel lume della vena con endoflebite e trombosi della vena splenica.

L’ostruzione della vena splenica può essere dovuta anche ad una compressione ab-estrinseco da un

tumore del pancreas.

Per cui a causa della ostruzione della vena splenica il sangue che proviene dalla milza trova

l’ostacolo e torna indietro, provocando ipertensione portale distrettuale a sx, mentre a dx nella vena

mesenterica superiore il sangue scorre regolarmente.

Se l’ostacolo interessa la vena mesenterica superiore, da tumore intra o retroperitoneale si ha

ipertensione portale distrettuale a dx.

Per quanto riguarda la PATOGENESI e i SINTOMI dell’IPERTENSIONE PORTALE

consideriamo la forma da blocco intraepatico di natura cirrotica che è la più frequente: in condizioni

normali nello spazio portale o centrolobulare c’è il tessuto connettivo contenente arteria

centrolobulare, vena centrolobulare, dottulo linfatico e piccolo dotto biliare.

In caso di cirrosi epatica si ha un processo di necrosi con distruzione delle cellule epatiche:

normalmente il fegato ha una notevole capacità rigenerativa ma nella cirrosi epatica il fegato questo

non succede poichè si ha una notevole degenerazione del parenchima epatico, la formazione di

tessuto fibroso cicatriziale che comprime tutte le strutture che si trovano nello spazio

centrolobulare: l’arteria centrolobulare ha una parete resistente per cui viene solo dislocata nella

parte periferica dello spazio portale mentre la vena centrolobulare ha una parete sottile e fragile,

viene compressa impedendo il deflusso del sangue venoso con conseguente ipertensione portale.

La compressione del dotto linfatico impedisce il deflusso della linfa nel sistema linfatico con

conseguente ASCITE cioè una raccolta di liquido sieroso trasudativo in cavità peritoneale.

La compressione del dotto biliare impedisce il deflusso della bile con conseguente ITTERO che

nel pz cirrotico è di tipo combinato cioè presenta sia un ittero a bilirubinemia indiretta o non

coniugata da insufficienza epatocellulare sia un ittero a bilirubinemia diretta o coniugata di tipo

meccanico da compressione ad estrinseco dei dotti biliari.

Il pz cirrotico nella fase florida presenta epatomegalia e splenomegalia da iperafflusso di sangue

alla milza, mentre nella fase di retrazione con processo fibro-cicatriziale si ha ipotrofia con < del

volume epatico, per cui il fegato diventa piccolo e duro.

Il pz cirrotico va incontro anche ad atrofia testicolare da deficit del metabolismo degli ormoni

sessuali a livello epatico (testosterone), porpora cutanea da deficit della sintesi dei fattori della

coagulazione vit.k dipendenti (somministrare vit.K ad alte dosi), calo ponderale, dita a bacchetta di

tamburo, edemi periferici, encefalopatia di grado variabile…

Inoltre, nel pz cirrotico con ipertensione portale si ha la formazione del circolo collaterale gastro-

esofageo con formazione delle varici gastro-esofagee, la cui rottura rappresenta la complicanza più

temibile dell’ipertensione portale, caratterizzata da ematemesi, melena fino allo shock ipovolemico.

Raramente si sviluppa il circolo collaterale inferiore o emorroidario con emorroidi secondarie

sintomatiche di ipertensione portale dalla cui rottura si ha una proctorragia molto grave e difficile

da tenere sottocontrollo.

La DIAGNOSI di Ipertensione Portale si basa su:

Indagini di Laboratorio che evidenziano i segni di insufficienza epatica da cirrosi, cioè >

bilirubina diretta e indiretta, ipoalbuminemia, < PT da deficit della sintesi dei fattori della

coagulazione vit.k dipendenti. Inoltre, in caso di rottura delle varici esofagee possiamo valutare

l’entità delle perdite e dello shock ipovolemico: < HCT, anemia, insufficienza renale con < diuresi...

Rx ed Endoscopia Esofago-Gastrica per visualizzare le varici gastro-esofagee: le varici si

formano tra il plesso venoso sottomucoso e periesofageo del 3° distale dell’esofago e il plesso

venoso sottomucoso del fondo gastrico. All’Rx con m.d.c. baritato si notano dei rigonfiamenti

presenti nel lume esofageo, cioè 3-4 colonne che possono occupare anche tutto il 3° distale

dell’esofago, dove il m.d.c. è costretto a deviare nelle zone più interne, con minus di riempimento

rispetto plus di riempimento tipico dell’ulcera peptica dove si ha una perdita di sostanza che viene

riempita dal m.d.c..

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Angiografia con m.d.c. con tecnica di Seldinger: si incannula l’arteria femorale mediante un

catetere lungo e sottile, si prosegue attraverso l’arteria iliaca verso l’aorta addominale, fino al

tripode celiaco e si inietta il m.d.c. ottenendo 3 tempi:

tempo arterioso o fase arteriografica: si osservano i rami di divisione del tronco celiaco cioè arteria

epatica comune, arteria splenica e arteria gastrica sx.

tempo parenchimale o fase parenchimografica: si osserva la milza opacizzata.

tempo venoso o fase flebografica: è la fase del ritorno venoso, importante perché consente di

visualizzare l’albero portale e i circoli collaterali epatofughi, vena splenica che in caso di

ipertensione portale da cirrosi è dilatata, il fegato è ipotrofico mentre la milza è aumentata di

volume. Poi si incannula l’arteria mesenterica superiore ottenendo un tempo arterioso osservando

l’arteria mesenterica superiore, un tempo parenchimatoso osservando le anse intestinali, un tempo

venoso osservando la vena mesenterica superiore che insieme alla vena splenica costituisce la vena

porta, consentendo di osservare il circolo portale.

Inoltre, in caso di cirrosi epatica in fase avanzata possiamo osservare un altro segno radiologico

cioè la verticalizzazione del tronco portale perché il fegato è ipotrofico, piccolo, si retrae e si

trascina con se l’ilo epatico e la vena porta.

Eco-Doppler: consente di studiare la morfologia e la dinamica del sistema portale vena cava

inferiore e vene epatiche, Ø dei vasi, flusso del sangue nei vasi, turbolenze, portata dei vasi ed è

utile per il monitoraggio post-operatorio degli shunt chirurgici porto sistemici.

Laparoscopica con biopsia mirata: per valutare bene l’entità delle lesioni nel pz cirrotico e

soprattutto l’evoluzione nel carcinoma epatocellulare. In passato si ricorreva alla biopsia con ago di

Verres introdotto a cielo aperto per via transparieto-epatica, aspirando un frustolo di fegato e

facendo un esame istologico ma era ad alto rischio di emorragia, tenendo conto dello stato dei vasi e

del deficit della coagulazione del sangue.

Spleno-Porto-Manometria pungendo la milza con un grosso ago collegato ad un manometro per

misurare la P presente nella milza e Spleno-Portografia per visualizzare graficamente la milza e la

vena porta, non sono più usate perché ad alto rischio di emorragia.

La PROGNOSI è grave soprattutto in caso di emorragia da rottura delle varici gastro-esofagee,

con mortalità pari al 25-40% dei casi.

La TERAPIA tiene conto della presenza dell’ascite, emorragie da rottura delle varici...

In caso di ascite la Paracentesi non è utile perchè non ci consente di monitorare le perdite e perchè è

ad alto rischio di sepsi. In questi pz è importante ripristinare le perdite idroelettrolitiche cercando di

evitare lo shock ipovolemico, somministrando plasma expanders, sangue intero o emoderivati,

albumina plasmatica, liquidi ed elettroliti. La paracentesi potrebbe essere utile in caso di asciti

abbondanti con notevole distensione dell’addome e sollevamento del diaframma che va ad

esercitare una compressione sui polmoni alterando la meccanica respiratoria.

Anche il Trattamento Chirurgico dell’ascite con la Tecnica di Le Veen non è più usato: prevede

l’applicazione di una valvola unidirezionale interposta a 2 tubi di silicone: un tubo presenta diversi

fori e va a pescare nel cavo peritoneale, mentre l’altro tubo viene fatto passare a livello sottocutaneo

della parete addominale e toracica a partire dal collo della vena giugulare interna: durante

l’inspirazione si ha un > di volume della gabbia toracica, la valvola viene schiacciata favorendo il

passaggio del liquido ascitico nella vena giugulare interna, mentre durante la espirazione la valvola

si dilata e aspira il liquido dall’addome, per cui si reinfonde il liquido ascitico in circolo, ma il

rischio di mortalità è pari al 10-15% e si hanno dei grossi squilibri emodinamici a causa

dell’immissione in circolo di una grossa quantità di liquidi, inoltre, è controindicata nei pz con

patologie renali, cardiopatici e presenza di varici esofagee che in seguito all’> della volemia

potrebbero rompersi aggravando la situazione.

L’emorragia da rottura delle varici esofagee è la complicanza più grave dell’ipertensione portale

perchè si può avere la perdita di una notevole quantità di sangue in pochi minuti, fino allo shock

ipovolemico e la morte del pz per arresto cardiaco. Per cui bisogna monitorare qual’è l’entità

dell’ipovolemia valutando l’HCT, diuresi, PVC e si ripristina la volemia.

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In presenza di un’emorragia digestiva la prima cosa da fare è una endoscopia perché nel pz

cirrotico l’emorragia può essere dovuta anche a ulcera da ipergastrinemia e se ricorriamo alla sonda

di Sengstaken Blakemore non riusciamo a bloccare il sanguinamento.

Mediante l’indagine endoscopica si valuta la sede dell’emorragia e si verifica se l’emorragia è

dovuta alla rottura delle varici gastro-esofagee, oppure se deriva da un ulcera gastro-duodenale,

gastrite emorragica erosiva, esofagite da RGE... L’esame endoscopico deve essere eseguito

possibilmente quando il pz non sanguina, altrimenti si deve cercare di fermare il sanguinamento

mediante la sclerosi endoscopica delle varici che è molto utile nei pz ad alto rischio chirurgico

cioè gruppo C di Child e se viene eseguita da un endoscopista esperto possiamo controllare

l’emorragia massiva nel 70% dei casi.

Se l’emorragia è causata dalla rottura delle varici esofagee si può ricorre al tamponamento

meccanico con la Sonda di Sengstaken Blakemore detta sonda salvavita spesso usata come

primo trattamento di emergenza al Pronto Soccorso.

La sonda è costituita da 3 vie: una via centrale che pesca nello stomaco e che consente di ripulire lo

stomaco dal contenuto di sangue, coaguli, frammenti di cibo non ancora digeriti, una via collegata

ad un palloncino longitudinale-cilindrico che viene alloggiato nella parte inferiore dell’esofago e

una via collegata ad un palloncino rotondeggiante che viene alloggiato nel fondo gastrico.

La sonda viene lubrificata e introdotta per via nasale con i palloncini sgonfi, fino a quando il

palloncino gastrico ha raggiunto lo stomaco: per essere sicuri che il palloncino gastrico abbia

raggiunto lo stomaco si prende una siringa, si aspira dalla via centrale e se fuoriesce il sangue

significa che siamo nello stomaco che è pieno di sangue.

A questo punto si inietta l’aria o l’acqua in modo da gonfiare il palloncino gastrico e si esercita una

certa trazione sulla sonda per far aderire tenacemente il palloncino al fondo gastrico. Poi si gonfia il

palloncino esofageo, fino 30 mmHg e si fissa la sonda con un cerotto al naso oppure si esercita su di

essa una modica trazione continua.

In tal modo si ottiene una compressione omogenea delle varici, bloccando l’emorragia

meccanicamente. Dobbiamo ricordare di sgonfiare il palloncino esofageo ogni 45 min per alcuni

minuti per evitare problemi di irrorazione, facendo attenzione perché la sonda può anche spostarsi e

andare a comprimere la trachea. Inoltre, la sonda è tollerata circa 12-24 h al massimo, per cui deve

essere rimossa per evitare la necrosi e la perforazione della parete esofago-gastrica. Nel 10% dei

casi rimuovendo la sonda si può avere la ripresa dell’emorragia per cui è necessaria la TERAPIA

CHIRURGICA che si basa su interventi derivativi e non derivativi:

Gli INTERVENTI DERIVATIVI consistono nelle anastomosi tra grossi vasi, come la derivazione

porto-cavale, spleno-renale prossimale e distale, mesenterico-cava.

La Derivazione Porto-Cavale prevede l’anastomosi vena porta-vena cava inferiore distinta in:

- anastomosi latero-laterale: la vena porta viene bloccata con delle pinze, poi si asporta una losanga

dalla parete laterale della vena cava inferiore e una losanga dalla parete laterale della vena porta e

si esegue l’anastomosi dal piano posteriore verso quello anteriore, si toglie la pinza consentendo la

comunicazione tra vena porta e vena cava inferiore.

Per cui il sangue trova l’ostacolo a livello epatico e passa dalla vena porta alla vena cava inferiore,

< l’ipertensione portale.

- anastomosi termino-laterale: tra il segmento terminale della vena porta e il segmento laterale della

vena cava inferiore.

La complicanza della derivazione porto-cava è l’encefalopatia porto sistemica:

normalmente il sangue attraverso il sistema portale giunge al fegato dove viene depurato dalle

sostanze tossiche, mentre nella derivazione porto-cavale il sangue passa direttamente nella vena

cava inferiore con tutte le sostanze tossiche che poi giungono al cervello, fino a provocare

un’encefalopatia di grado variabile da I a IV che si manifesta con turbe cerebrali,

disorientamento temporo-spaziale, disturbi neurologici, ipertono muscolare fino al coma e

morte del pz (iperammoniemia), ecco perché spesso si ricorre alla arterializzazione aggiuntiva

del fegato con impianto dell’arteria splenica nel fegato o con l’anastomosi tra arteria splenica e

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moncone distale della vena porta e con innesti venosi od alloplastici che partono dall’aorta o da un

ramo collaterale e giungono alla vena porta.

Inoltre, la derivazione porto-cavale non è possibile in caso di trombosi della vena porta o in caso di

verticalizzazione della vena porta.

La anastomosi spleno-renale prossimale o distale si realizza tra la vena splenica e la vena

renale sx distinta in:

- anastomosi spleno-renale prossimale termino-laterale: si lega il moncone distale della vena

splenica, si seziona a livello prossimale e si esegue l’anastomosi con la parete laterale della vena

renale sx, si asporta la milza.

- anastomosi spleno-renale prossimale latero-laterale: si asportano due losanghe laterali dalle vene e

si esegue l’anastomosi senza asportare la milza.

Nell’anastomosi spleno-renale distale secondo Warren la milza non viene asportata, mentre

la vena splenica viene scheletrizzata e liberata dal pancreas.

Si lega il moncone prossimale della vena splenica, mentre quello distale viene sezionato e si esegue

l’anastomosi termino-laterale con la vena renale sx.

Preventivamente si esegue una deconnessione tra la vena azigos e la vena porta, risparmiando la

vena gastroepiploica sx e i vasi gastrici brevi, favorendo il deflusso del sangue dalle varici esofagee

attraverso la milza nella vena renale sx che convoglia il sangue nella vena cava inferiore.

L’anastomosi mesenterico-cava ha una forma ad H perché si usa una protesi che viene messa a

ponte tra la faccia dx della vena mesenterica superiore e la faccia sx della vena cava inferiore.

Si può usare un innesto venoso autologo, cioè un segmento della vena giugulare (intervento di

Drapanas) oppure della vena safena (intervento di Stipa) ricavati dallo stesso pz.

Queste anastomosi minori sono ad alto rischio di trombosi perché le vene hanno un calibro più

piccolo rispetto alla vena porta e alla vena cava inferiore.

Gli INTERVENTI NON DERIVATIVI sono rappresentati dall’omentopessia e devascolarizzazione.

Nell’omentopessia si fissa il grande omento al peritoneo parietale o al grasso preperitoneale o al

tessuto sottocutaneo, mettendo in collegamento i vasi dell’omento (epiploon), tributari del sistema

portale, con le vene della parete addominale anteriore, tributarie della vena cava inferiore, ma in tal

caso si formano dei circoli collaterali insufficienti alla circolazione del sangue.

La devascolarizzazione delle varici si basa sulla legatura delle varici esofagee o la

deconnessione azigos-portale, studiando prima il pz con un’indagine endoscopica, TAC epato-

splenica, angiografia del sistema portale e indagini di laboratorio per stabilire a quale classe di

Child appartiene il pz. Infatti, Child ha individuato 3 gradi di rischio crescente del pz cirrotico,

tenendo conto dei valori della bilirubinemia, albuminemia, entità dell’ascite, grado

dell’encefalopatia e stato nutrizionale del pz.

- grado A: punteggio 5-6, corrisponde alla fase iniziale della cirrosi con bilirubinemia < 1-2 mg/dl,

albuminemia > 3,5 gr/dl, ascite assente, encefalopatia assente, stato nutrizionale è eccellente.

- grado B: punteggio 7-9, corrisponde alla fase intermedia della cirrosi con bilirubinemia 2-3 mg/dl,

albuminemia = 3-3.5 gr/dl, ascite scarsa, encefalopatia di I e II grado, stato nutrizionale è buono.

- grado C: punteggio 10-15, corrisponde alla fase terminale della cirrosi, grave, con bilirubinemia

> 3 mg/dl, albuminemia < 3 gr/dl, ascite moderata, encefalopatia di III e IV grado, stato nutrizionale

compromesso.

La legatura delle varici avviene per via toracica a livello della 8^ costa sx, oppure per via

addominale: si libera la parte inferiore dell’esofago esercitando una certa compressione su di esso

per ottenere un effetto emostatico. Si esegue una esofagotomia longitudinale e si esegue la legatura

con sutura continua delle 2 o 3 colonne varicose sottomucose, che viene prolungata fino alla

superficie interna dello stomaco ma spesso quando la compressione termina il sanguinamento

riprende come prima.

La deconnessione azigos-portale è l’interruzione dei vasi che alimentano il circolo collaterale

gastro-esofageo, cioè della vena gastrica sx lungo la piccola curvatura che si continua in alto con la

vena azigos a dx e con la vena emiazygos a sx che convogliano il sangue nella vena cava superiore.

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Con questa tecnica si devascolarizzano i 4/5 dello stomaco e 10-11 cm di esofago terminale,

risparmiando la zona prepilorica, per cui si ha un notevole acquattamento delle varici esofagee.

Si scheletrizza l’esofago addominale e lo stomaco prossimale, si lega l’arteria splenica per impedire

che arrivi sangue alla milza e dalla vena splenica al sistema portale, < molto l’ipertensione portale.

I vantaggi della deconnessione azigos-portale sono: è molto stabile nel tempo, può essere usata in

caso di insuccesso della terapia derivativa o se la tecnica derivativa non può essere usata e in caso

di recidive dopo un intervento derivativo.

L’unico svantaggio è che non può essere utilizzata in presenza di un fegato atrofico con grave

insufficienza epatica, cioè pz allo stadio C di Child per cui si ricorre alla scleroterapia delle varici

per via endoscopica con polidocanolo, sodio-tetradecil-solfato, cianoacrilato.

Varici ano-rettali sintomatiche di ipertensione portale

Le varici ano-rettali sintomatiche di ipertensione portale sono molto rare, interessano solo il 4%

dei pz cirrotici soprattutto quando l’ipertensione della vena emorroidaria superiore si ripercuote sul

plesso emorroidario provocandone la dilatazione, cioè si notano dei gavoccioli grossi, bluastri,

molli, che non provocano dolore, non sono pulsanti, responsabili di una grave emorragia difficile da

controllare, con fuoriuscita di sangue rosso scuro, venoso, rispetto a quello di tipo rosso tipico delle

emorroidi.

La DIAGNOSI avviene con la esplorazione digito-rettale, l’ano-rettoscopia, l’angiografia.

La TERAPIA con laccio elastico, crioterapia, emorroidectomia oppure con tamponamento mediante

palloncino o con garza per 12-24 h non sono molto efficaci.

Si può ricorrere alla scleroterapia endoscopica e alla transezione transanale del retto con suturazione

automatica a livello mucoso e sottomucoso, mentre le colonne vasali sono suturate con catgut

dall’estremo distale all’ampolla rettale.

ASCITE

L’Ascite è una raccolta di liquido sieroso, scarsamente corpuscolato nel cavo peritoneale, con

volume variabile da alcuni dl fino a molti litri (25 litri) per cui l’addome diventa globoso, assume un

aspetto a botte, ecco perché si parla di addome batraciano (rana)

Le asciti sono distinte in trasudative ed essudative in base ad alcuni parametri chimico-fisici

valutati con la Prova di Rivalta: si riempie una provetta con una soluzione di acido acetico al 3% e

poi si iniettano con una pipetta alcune gocce di liquido ascitico da esaminare.

Se la soluzione resta limpida, chiara, cioè non si ha l’intorpidimento della soluzione, si parla di

prova di Rivalta negativa (-), per cui si tratta di un ascite trasudativa caratterizzata da aspetto

limpido, colore giallo paglierino, peso specifico o densità ≤ 1008-1015, tasso proteico ≤ 2.5-3 gr%.

Se la soluzione subisce un intorpidimento, tipo “fumo di sigaretta”, si parla di prova di Rivalta

positiva (+), per cui si tratta di ascite essudativa con aspetto torbido, lattescente, colore roseo,

verdastro, bruno, peso specifico > 1015, tasso proteico > 3 gr%.

Le Cause di Ascite Trasudativa sono:

1) Ipertensione Portale da:

stasi venosa generalizzata con fegato da stasi e ostacolo alla circolazione portale causata da

scompenso cardiaco congestizio grave o mediastino-pericardite cronica con difficoltà al deflusso del sangue dalla vena cava inferiore all’atrio dx. occlusione delle vene sovraepatiche da tromboflebosi o sindrome di Budd-Chiari, oppure da

compressione estrinseca delle vene sovraepatiche o per aplasia congenita o cirrosi di Cruveilher-

Baumgarten. Nel pz cirrotico in fase avanzata il versamento ascitico è preceduto dalla ritenzione

renale di Na+ e H2O dovuto alla sindrome circolatoria iperdinamica da vasodilatazione arteriosa

periferica (circolazione splancnica) con < volemia, per cui si ha l’intervento del meccanismo di

compenso renina-angiotensina-aldosterone nel tentativo di provocare vasocostrizione delle arteriole

afferenti al glomerulo e la perfusione renale, ma questo tentativo non da alcun risultato per cui il pz

cirrotico va incontro alla sindrome epato-renale dove all’insufficienza epatica si associa

l’insufficienza renale con contrazione della diuresi.

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ostacolo intraepatico alla circolazione portale da cirrosi alcolica, cirrosi postepatica e soprattutto

cirrosi epatica di Morgagni-Laemec dove il disordine strutturale intraepatico con proliferazione

connettivale è alla base dell’ostacolo da cui si genera un ascite abbondante.

ostruzione della vena porta o dei suoi rami dovuta a linfonodi aumentati di volume in seguito a

metastasi da carcinoma gastrico, testa del pancreas, intestino, retto, testicoli, oppure da emopatie,

linfomi addominali, con conseguente ascite e ittero per compressione del coledoco.

2) Ipoalbuminemia con < P oncotica del sangue.

Le Cause di Ascite Essudativa sono:

peritonite cronica di origine TBC o da salpingite.

neoplasia peritoneale primitiva o secondaria, metastasi carcinomatosa peritoneale da tumore ovaie, utero, stomaco, intestino.

trasformazione del trasudato in essudato in seguito a paracentesi ripetute.

Inoltre, l’ascite può essere dovuta a: ─ cardiopatie: insufficienza della valvola tricuspide, pericardite costrittiva.

─ nefropatie.

─ lesioni del dotto toracico o dei collettori che vi affluiscono con ascite di tipo chilosa, pancreatite

acuta con comunicazione tra sistema duttale intrapancreatico e cavo peritoneale, rottura di una

pseudocisti pancreatica nel peritoneo con ascite pancreatica.

Dobbiamo ricordare che il liquido ascitico viene prodotto anche dalla superficie epatica filtrando

attraverso la capsula epatica, per cui si parla di “fegato che piange l’ascite”.

In caso di cirrosi epatica si parla di ascite benigna con ottusità alla percussione con concavità

rivolta verso l’alto, liquido giallo paglierino, con densità di 1012-1015.

In caso di cancro-cirrosi, metastasi epatiche o carcinosi peritoneale si parla di ascite maligna o

neoplastica caratterizzata da liquido trasudativo ematico.

L’Ascite è caratterizzata da vari reperti obiettivi:

– Ispezione: addome batraciano (a botte o a rana) con distensione della cute che si presenta

liscia, lucente, con smagliature più o meno evidenti, fino allo spianamento o estroflessione

della cicatrice ombelicale, ad alto rischio di ernia ombelicale.

– Palpazione: la parete addominale è trattabile e si percepisce il segno del fiotto, cioè

l’osservatore si dispone alla dx del pz che è in posizione supina, poggiando la mano sx a piatto

sulla regione del fianco dx, una mano del pz viene disposta lungo la linea mediana esercitando

una compressione con il margino ulnare per impedire la trasmissione degli impulsi lungo la

parete addominale che potrebbe essere rilevante nei soggetti adiposi, mentre l’osservatore

eserciterà con la mano dx dei piccoli urti alla parete addominale in corrispondenza del fianco

sx, percependo con la mano sx l’onda di percussione dovuta allo spostamento del liquido

contenuto nella cavità peritoneale.

– Percussione: consente la delimitazione del versamento. Quando il pz è in decubito supino il

liquido tende ad accumularsi in basso e a formare un livello orizzontale in alto che incontra la

parete addominale lungo una linea semicircolare a concavità rivolta verso l’alto.

Partendo dal centro dell’addome e percuotendo lungo linee raggiate, è possibile disegnare

questa linea in base al brusco cambiamento del suono plessico da timpanico dovuto al gas

presente nelle anse intestinali che galleggiano nel liquido al centro della cavità addominale, a

suono plessico ottuso dovuto al liquido libero a contatto diretto con la parete addominale.

In caso di versamento modesto si ricerca l’ottusità mobile: si invita il pz a decombere sul fianco

sx e si esegue la percussione dell’addome lungo una linea trasversale da dx verso sx; se vi è

liquido libero la regione del fianco dx darà un suono timpanico, mentre la regione del fianco sx

darà un suono ottuso. L’ottusità si sposta da un fianco all’altro con i movimenti laterali del corpo.

L’Rx in bianco dell’addome evidenzia una opacità diffusa e l’assenza del profilo del muscolo psoas

se il versamento supera il ½ litro.

L’Ecografia consente di evidenziare versamenti anche modesti, pari a 100 cm³.

La Paracentesi eseguita a vescica vuota, con il pz semiseduto e un po’ ruotato sul fianco sx,

prevede di pungere a livello della fossa iliaca sx mediante un ¾ del calibro di 3 mm, a metà strada

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tra la spina iliaca antero-superiore sx e l’ombelico: si aspira il liquido ascitico e si eseguono delle

indagini chimico fisiche per valutare la sua natura.

In caso di globo vescicale la percussione evidenzia un limite curvilineo con convessità verso

l’alto e in posizione sovrapubica.

In caso di cisti ovarica si ha la compressione laterale delle anse intestinali, con ottusità

mediana o paracentrale, margine superiore curvilineo con convessità verso l’alto, mentre

lateralmente ci sono le anse che forniscono un suono chiaro.

E’ importante ripristinare l’equilibrio idro-elettrolitico con albumina plasmatica, H2O ed elettroliti,

plasma expanders.

ERNIE ADDOMINALI

L’ERNIA è la fuoriuscita di un viscere o di una parte del viscere dalla cavità in cui è normalmente

contenuto, attraverso un’area di debolezza della parete o attraverso un orifizio o un canale naturale.

Possiamo fare una distinzione tra ernie esterne ed interne:

Le Ernie Esterne sono le più frequenti: in questo caso i visceri migrano fuori della cavità

addominale attraverso zone di minore resistenza della parete addominale, come succede nel caso

delle ernie addominali, cioè le ernie inguinali, ernie crurali o femorali, ernie ombelicali, ernie

della linea alba cioè le ernie epigastriche e mediane sottombelicali, poi le ernie o laparoceli post-

operatori, nonché le ernie lombari, otturatorie, ischiatiche, perineali e le ernie di Spiegel più rare.

Le Ernie Interne si verificano quando un viscere abbandona la cavità in cui normalmente è

contenuto e migra in un’altra cavità del corpo, impegnandosi attraverso orifizi naturali o anomali,

come succede nel caso delle ernie diaframmatiche, ernie vescicali, ernia peritoneale di Treitz...

Inoltre, possiamo fare una distinzione tra ernie congenite e acquisite.

Le Ernie Congenite sono dovute ad un difetto dello sviluppo della parete addominale, soprattutto a

livello ombelicale e inguinale, possono essere presenti sin dalla nascita oppure svilupparsi

sucessivamente dopo la nascita.

Ad esempio, nelle ernie inguinali congenite il sacco erniario deriva dalla mancata obliterazione

del dotto peritoneo-vaginale: infatti, il testicolo e le componenti del funicolo spermatico

normalmente verso l’8° mese di vita intrauterina, discendono dalla regione lombare alla cavità

scrotale, accompagnati da una estroflessione del peritoneo, detta dotto peritoneo-vaginale, che a

sviluppo completato si oblitera nella parte funicolare, mentre nella porzione testicolare resta pervio,

formando la tunica vaginale del testicolo.

L’incompleta o mancata obliterazione del dotto peritoneo-vaginale è alla base delle ernie inguinali

congenite o di un idrocele.

Le Ernie Acquisite si sviluppano in seguito alla dilatazione di canali o orifizi naturali, come il

canale inguinale, l’anello femorale, l’anello ombelicale, il forame otturatorio... in seguito a sforzi

muscolari con brusco > della P endoaddominale, oppure sono dovute a patologie o traumi, come ad

esempio le ernie diaframmatiche post-traumatiche, oppure le ernie o laparoceli post-operatori.

Le ernie possono essere dovute a CAUSE predisponenti e determinanti:

Tra le Cause Predisponenti abbiamo:

alterazioni anatomiche congenite o acquisite, come la pervietà del dotto peritoneo-vaginale,

l’incompleta chiusura della parete addominale, presenza di aree di debolezza della parete

addominale.

età del pz: nel neonato sono frequenti le ernie inguinali congenite per la mancata chiusura del

dotto peritoneo-vaginale, le ernie ombelicali congenite per difetto di chiusura dell’orifizio

ombelicale, le ernie diaframmatiche di Morgagni e Bochdalek da difetto di saldatura del diaframma.

Si tratta di ernie frequenti anche nei pz anziani a causa del deficit o debolezza della parete

muscolare.

sesso: l’ernia inguinale è più frequente nei soggetti di sesso maschile per la pervietà del dotto

peritoneo-vaginale perché l’anello inguinale interno ha un calibro grande per consentire il passaggio

degli elementi del funicolo o cordone spermatico, oppure per sforzi ripetuti e prolungati o soggetti

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anziani con aree di debolezza dei muscoli laterali dell’addome, come il muscolo obliquo interno e il

muscolo trasverso (rapido dimagrimento).

Nella donna è più frequente l’ernia crurale o femorale a causa della svasatura del bacino dopo la

pubertà e una maggiore debolezza dell’anello femorale. L’ernia inguinale nella donna è rara perché

l’anello inguinale interno è piccolo in quanto non si ha il passaggio degli stessi elementi che si ha

nell’uomo e perché la donna è meno soggetta a sforzi fisici, anche se la gravidanza può indebolire le

pareti e > la P endoaddominale.

Le Cause Determinanti sono:

notevole > della P endoaddominale: in condizioni normali e di riposo la P endoaddominale è

pari a 20-40 cmH2O e può salire fino a 100-150 cmH2O in seguito a starnuti , colpi di tosse, torchio

addominale, senza però provocare l’ernia a meno che non ci siano dei fattori predisponenti.

La P addominale può agire con un meccanismo di pulsione in seguito a sforzi fisici violenti,

prolungati e ripetuti, estroflettendo il peritoneo con formazione del sacco erniario, oppure con un

meccanismo di trazione con scivolamento verso l’esterno ed estroflessione del peritoneo.

traumi diretti della parete addominale con rottura del muscoli, cute integra e formazione

dell’ernia o traumi indiretti da contusione o schiacciamento con improvviso > P addominale.

ascite voluminosa responsabile soprattutto delle ernie ombelicali e inguinali.

insufficienza respiratoria cronica con tosse persistente.

L’ernia è costituita da una porta, un sacco, dal contenuto, dagli involucri accessori tra sacco e cute.

La Porta è l’apertura muscolo aponeurotica della parete, attraverso cui il viscere passa dalla cavità

addominale verso l’esterno oppure dalla cavità addominale nella cavità toracica nel caso delle ernie

diaframmatiche.

Il Sacco è costituito da una estroflessione del peritoneo parietale, può avere una forma cilindrica,

conica, piriforme, a bisaccia, e presenta un colletto, un corpo e un fondo.

Il colletto è la parte ristretta del sacco a livello della porta erniaria, tra peritoneo e sacco p.d., il

corpo è la parte dilatata del sacco, mentre il fondo è la parte distale del sacco.

Il sacco può essere incompleto se non riveste completamente il contenuto dell’ernia (ernie da

scivolamento), oppure può essere assente (ernie diaframmatiche post-traumatiche, ernie vescicali).

Il Contenuto del sacco erniario è rappresentato da visceri (tenue, colon), epiploon...

Si parla di ernia riducibile o libera quando il suo contenuto può essere respinto nella cavità

addominale, mentre si parla di ernia irriducibile o aderente quando ciò non è possibile.

Inoltre, si parla di ernia composta o combinata quando il contenuto è rappresentato da 2 o più

visceri, ad esempio un’ansa intestinale e la vescica, mentre si parla di eventrazione quando il

contenuto è rappresentato da numerosi visceri addominali.

L’Involucro esterno o accessorio dell’ernia varia a seconda della regione erniaria ed è costituito

dai tessuti che il sacco spinge avanti a se, cioè tessuti interposti tra sacco e cute.

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ERNIE INGUINALI

Le Ernie Inguinali interessano la regione inguinale che è attraversata dal canale inguinale

dall’alto in basso, dall’esterno verso l’interno, dalla profondità in superficie, lungo nell’uomo 4-5

cm, mentre nella donna è un po’ più lungo ma più stretto.

Il canale inguinale è delimitato da 4 pareti, cioè anteriore, posteriore, superiore e inferiore:

parete anteriore è molto spessa e resistente perché costituita da 3 strati che in senso antero-

posteriore sono l’aponevrosi di inserzione del muscolo obliquo esterno, tessuto connettivo

sottocutaneo e cute.

parete posteriore è più sottile, costituita dalla fascia trasversalis che presenta lateralmente il

legamento di Hesselbach e medialmente il legamento di Henle, il tendine congiunto e il legamento

di Colles che è il fascio profondo di inserzione del muscolo obliquo esterno controlaterale. Tra

queste strutture la fascia trasversalis rappresenta quella di maggiore debolezza attraverso cui si

fanno strada le ernie inguinali dirette.

parete superiore, interna o mediale è costituita dal margine inferiore del muscolo obliquo

interno e del muscolo trasverso che si uniscono medialmente formando il tendine congiunto.

parete inferiore, esterna o laterale è costituita dal legamento inguinale che si porta dalla spina

iliaca antero-superiore al tubercolo pubico.

Inoltre, il canale inguinale presenta 2 orifizi:

orifizio esterno o anello inguinale sottocutaneo posto lateralmente al tubercolo pubico, ha una

forma ovale e consente l’accesso alla cavità scrotale, è delimitato dai fasci aponevrotici del muscolo

obliquo esterno che formano 3 pilastri cioè il pilastro esterno che si fissa al tubercolo pubico, il

pilastro interno che si fissa alla sinfisi pubica e il legamento di Colles che proviene dal muscolo

obliquo esterno controlaterale.

orifizio interno o anello inguinale addominale si trova posteriormente a livello della fascia

trasversalis, consentendo l’accesso alla cavità peritoneale, è protetto in alto e lateralmente dall’arco

aponevrotico del muscolo trasverso e dalle fibre del muscolo obliquo interno.

All’Ispezione il canale inguinale corrisponde ad una plica cutanea data dalla riflessione della pelle

sulla parete addominale dove si inserisce il legamento inguinale, costituendo la piega inguino-

scrotale che separa la regione dell’arto inferiore dall’addome.

Il canale inguinale contiene nell’uomo il funicolo spermatico, mentre nella donna contiene il

legamento rotondo dell’utero, struttura fibrosa con funzione di sostegno per l’utero.

Il Funicolo o cordone spermatico comprende diverse strutture, cioè:

- dotto deferente cilindrico, biancastro, consistenza dura, palpabile.

- arteria spermatica interna ramo dell’aorta addominale.

- arteria spermatica esterna ramo dell’arteria epigastrica inferiore.

- arteria deferenziale ramo dell’arteria vescicale superiore.

- plesso venoso pampiniforme costituito da numerose vene provenienti dal testicolo e

dall’epididimo anastomizzate tra loro e che cranialmente all’anello inguinale interno formano la

vena spermatica.

- vasi linfatici satelliti dei vasi spermatici interni ed affluenti dei linfonodi lombo-aortici.

- plesso nervoso spermatico e deferenziale.

- fibre muscolari lisce costituenti il muscolo cremastere interno.

La parete posteriore del canale inguinale presenta 3 pliche peritoneali, cioè:

- plica mediana che origina dai residui dell’uraco (da cui deriva il legamento vescicale medio).

- plica dei vasi epigastrici data dai vasi epigastrici inferiori.

- plica ombelicale laterale data dal residuo dell’arteria ombelicale.

Queste pliche delimitano le fossette inguinali cioè depressioni del peritoneo parietale, distinte in:

fossetta inguinale esterna che corrisponde all’anello inguinale interno, posta lateralmente ai vasi

epigastrici, attraverso cui si fanno strada le ernie inguinali oblique esterne.

fossetta inguinale media posta tra la plica epigastrica e la plica ombelicale laterale, corrisponde

alla parte media della parete posteriore del canale inguinale, cioè alla fascia trasversalis, molto

debole, attraverso cui si fanno strada le ernie inguinali dirette.

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fossetta inguinale interna posta tra plica mediana e plica ombelicale laterale, a livello dell’anello

inguinale esterno, attraverso cui si fanno strada le ernie inguinali oblique interne, molto rare perchè

questa zona è quella più resistente del canale inguinale.

Quindi le ernie possono essere “Classificate” in ernia inguinale obliqua esterna, ernia inguinale

diretta, ernia inguinale obliqua interna.

L’ERNIA INGUINALE OBLIQUA ESTERNA è la più frequente, può essere congenita o acquisita.

La forma congenita deriva dalla mancata obliterazione del dotto peritoneo-vaginale, con

formazione del sacco erniario di tipo intrafunicolare, con dotto deferente adeso tenacemente al

sacco posteriormente, mentre gli altri elementi del funicolo spermatico sono sparsi sul sacco stesso.

Il sacco può presentare il contenuto sin dalla nascita o nelle settimane successive.

La forma acquisita deriva da uno sfiancamento dell’anello inguinale interno, delle strutture

connettivali della fascia trasversalis e dell’arco del muscolo trasverso.

Il sacco erniario si forma nella fossetta inguinale esterna e mediante l’anello inguinale interno

penetra nel canale inguinale occupandolo in parte o per tutta la sua lunghezza fino a raggiungere lo

scroto, con conseguente “ernia inguino-scrotale”.

In tal caso il sacco è extrafunicolare e a seconda dell’entità dell’ernia distinguiamo 4 forme:

- punta d’ernia se oltrepassa appena l’anello inguinale interno.

- ernia interstiziale se occupa il canale inguinale.

- bubbonocele se affiora all’anello inguinale esterno.

- ernia inguino-scrotale o oscheocele se giunge nello scroto.

Il contenuto delle ernie inguinali oblique esterne in genere è rappresentato da un’ansa intestinale.

L’ERNIA INGUINALE DIRETTA è sempre di tipo acquisita, fuoriesce dalla fossetta media della

parete posteriore del canale inguinale dove il punto di debolezza è dato dalla fascia trasversalis.

L’ernia inguinale diretta in genere non raggiunge delle grosse dimensioni perchè viene contenuta

dalla fascia trasversalis e dall’aponevrosi del muscolo obliquo esterno, senza mai raggiungere il

sacco scrotale, raramente si ha lo strozzamento perchè la porta erniaria è ampia ed elastica.

Il contenuto dell’ernia inguinale diretta in genere è rappresentato dal cieco a dx, dal sigma a sx,

alcune volte dall’epiploon, dalla vescica che scivola sul peritoneo costituendo parte integrante della

parete media del sacco e si parla di “ernia da scivolamento”.

L’ERNIA INGUINALE OBLIQUA INTERNA è molto rara, di tipo acquisita, la porta erniaria è data

dalla fossetta inguinale interna, posta tra plica mediana e plica ombelicale laterale, dove la parete

posteriore del canale inguinale è molto resistente, per cui l’ernia si forma solo in caso di notevole

debolezza muscolo-aponevrotica.

In genere, è un’ernia di piccole dimensioni, raramente supera l’anello inguinale esterno e il

contenuto del sacco erniario è dato dal tessuto adiposo prevescicale, dalla vescica o da diverticoli

vescicali.

I SINTOMI possono essere soggettivi, oggettivi e funzionali:

I Sintomi Soggettivi sono: presenza di una tumefazione che protrude attraverso la parete

addominale, non dolente né spontaneamente né alla palpazione, a meno che non ci siano delle

complicanze. Il pz riferisce una sensazione di peso, stiramento e fastidio a livello della tumefazione.

I Sintomi Oggettivi sono valutati con l’esame obiettivo: il pz viene visitato in posizione ortostatica,

cioè in piedi, poi in decubito supino.

Se all’Ispezione la tumefazione non è visibile perchè di piccole dimensioni o perchè è ridotta in

addome, si invita il pz a tossire od a eseguire la manovra di Valsalva cioè ponzamento addominale

con espirazione a glottide chiusa, determinando un > P venosa a livello addominale e toracico, cioè

a livello della vena cava inferiore e superiore, favorendo il riempimento del sacco erniario che

avviene a partire dal colletto verso il fondo del sacco, nello stesso tempo per stabilire di quale ernia

si tratta si mette il dito indice omolaterale alla tumefazione nell’orifizio esterno o anello inguinale

sottocutaneo in modo da apprezzare l’impulso che il contenuto erniario determina quando riempie il

sacco:

- se l’impulso viene percepito dalla punta del dito si tratta di un’ernia inguinale obliqua esterna.

- se l’impulso viene percepito dal dorso della 1^ e 2^ falange si tratta di un’ernia inguinale diretta.

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- se l’impulso viene percepito dalla parete mediale del dito si tratta di un’ernia inguinale obliqua

interna.

Inoltre, si verifica se la tumefazione si forma stando in posizione ortostatica prolungata, eseguendo sforzi fisici e se si riduce in addome mettendosi in posizione supina oppure mediante la manovra

di riduzione incruenta del Taxis: si esercita una pressione dolce e progressiva con una mano

per cercare di far rientrare il contenuto del sacco erniario nella cavità in cui normalmente è

contenuto; in genere il viscere non viene ridotto in cavità addominale in presenza di complicanze

cioè strozzamento, irriducibilità, intasamento.

La Palpazione consente di valutare meglio i caratteri dell’ernia, cioè si apprezza:

─ tumefazione ricoperta da cute normale, non dolente, di dimensioni variabili, di forma cilindrica

nel caso dell’ernia inguinale obliqua esterna, che può raggiungere anche il sacco scrotale

provocando l’ernia inguino-scrotale, mentre ha una forma emisferica nel caso delle ernie inguinali

dirette e oblique interne, che in genere non raggiungono la borsa scrotale.

─ si valuta la superficie e la consistenza del sacco che varia a seconda del contenuto e della

presenza di complicanze: se il contenuto è un’ansa intestinale avremo un sacco con superficie liscia

e consistenza molle e in tal caso si valuta anche la presenza o meno dei movimenti peristaltici,

rumori o gorgoglii all’Auscultazione, con suono timpanico alla Percussione perché l’ansa è piena di

gas, soprattutto nelle forme voluminose inguino-scrotali, mentre se il contenuto è rappresentato

dall’epiploon, oppure ci sono complicanze come l’infiammazione o lo strozzamento erniario,

avremo un sacco con superficie granulosa e consistenza dura.

I Sintomi Funzionali dipendono dalla struttura erniata: se il contenuto è un’ansa intestinale

possiamo apprezzare un rumore di gorgoglio, turbe dispeptiche, con anoressia, nausea, vomito,

eruttazioni, turbe intestinali fino alla chiusura dell’alvo in caso di occlusione intestinale.

La DIAGNOSI DIFFERENZIALE è tra l’ernia inguinale e l’ernia crurale: nell’ernia inguinale il

colletto del sacco si trova al di sopra del legamento inguinale, lateralmente ai vasi femorali, mentre

nell’ernia crurale si trova al di sotto del legamento inguinale, medialmente ai vasi femorali.

Nel caso dell’ernia inguinale mediante il dito indice è possibile introflettere la cute scrotale a dita di

guanto, stabilendo la posizione del sacco e i rapporti con il funicolo spermatico, mentre nell’ernia

crurale ciò non è possibile.

Inoltre, è importante la diagnosi differenziale tra l’ernia inguino-scrotale e l’idrocele mediante la

tecnica della transilluminazione: l’idrocele ha un contenuto liquido, è transilluminabile ed ha un

polo superiore netto ben delimitato, mentre l’ernia non è transilluminabile.

Poi si fa diagnosi differenziale tra ernia inguinale e tumefazione linfonodale mediante la palpazione,

osservando che i linfonodi non si muovono con i colpi di tosse rispetto all’ernia, oppure si ricorre

alla ecografia per valutare se la tumefazione è di natura neoplastica o di altro tipo.

La TERAPIA delle ernie inguinali può essere conservativa palliativa o chirurgica.

La Terapia conservativa palliativa consiste nell’applicazione del cinto erniario, cioè si riduce

l’ernia in addome e si mette un cuscinetto a livello della porta erniaria dove viene mantenuto fisso

mediante un sistema di cinghie rigido-elastico, ma è una tecnica che viene riservata solo per i pz che

non possono essere sottoposti all’intervento chirurgico, tenendo conto che il cinto erniario può

provocare un’infiammazione cronica delle strutture con cui è in contatto e lo strozzamento erniario.

La Terapia chirurgica d’elezione o d’urgenza in base alla presenza o meno delle complicanze.

Abbiamo la Tecnica tradizionale di Bassini con varie fasi:

- incisione di cute, sottocute e aponevrosi del muscolo obliquo esterno per tutta la lunghezza del

canale inguinale.

- nel caso delle ernie inguinali oblique esterne il sacco erniario e il funicolo o cordone spermatico

sono tenacemente adesi fra loro, per cui vengono esteriorizzati e poi si isola il funicolo dal sacco,

mentre nel caso delle ernie dirette e oblique interne il sacco e il funicolo hanno solo rapporti di

contiguità per cui è più facile il loro isolamento.

- si apre il sacco erniario e si riduce il viscere nella sede d'appartenenza, poi si chiude il colletto a

monte mediante un laccio, oppure si chiude con alcuni punti di sutura soprattutto se il colletto è

ampio, e si asporta il sacco.

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- si ricostruisce il canale inguinale, evitando la lesione dei vasi epigastrici, eseguendo una sutura a

punti staccati del margine inferiore del muscolo obliquo interno, del muscolo trasverso e della

fascia trasversalis al margine posteriore del legamento inguinale, in modo da ricostruire la parete

posteriore del canale inguinale, su cui viene adagiato il funicolo spermatico.

La sutura prevede l’uso di materiale non assorbibile o catgut cromico e si parla di ricostruzione con

plastica di trazione o di tensione.

Infine, si suturano i margini dell’aponevrosi del muscolo obliquo esterno, sottocute e cute.

L’inconveniente di questa tecnica è che chiudendo i punti di trazione si può avere l’ischemia dei

muscoli con possibilità di recidive pari al 5% circa.

Per evitare questi inconvenienti si ricorre alla Tecnica di Trabucco in cui il sacco erniario viene

isolato e affondato in addome senza aprirlo e si applica una rete di polipropilene a mo’ di tappo a

livello dell’anello inguinale interno e sulla fascia trasversalis, dove provoca una reazione

cicatriziale in modo da rafforzare la fascia stessa.

Se l’intervento viene eseguito da mani esperte il rischio di avere le recidive è pari allo 0%, evitando

l’ischemia e consentendo al pz di alzarsi dal letto già dopo 24 h dall’intervento, evitando le

complicanze trombo-emboliche e riducendo la degenza ospedaliera.

Sia la tecnica di Bassini che di Trabucco sono dette “tension-free”.

Molto utilizzata è anche la tecnica chirurgica per via laparoscopica soprattutto in caso di

recidiva, applicando la rete di polipropilene posteriormente.

COMPLICANZE delle Ernie Inguinali

Comprendono l’infiammazione, irriducibilità, intasamento, strozzamento.

L’INFIAMMAZIONE può essere acuta o cronica, di natura infettiva o traumatica.

La forma acuta può interessare sia il sacco che il contenuto con conseguente peritonite, oppure

interessa solo il contenuto provocando appendicite, epiplopite, enterite, a seconda del contenuto

stesso. L’infiammazione può interessare anche i tessuti perisacculari fino alla cute.

Il pz presenta dolore vivo, l’ernia è irriducibile e tende ad aumentare di volume.

La forma cronica è di tipo sierosa o sierofibrinosa che si verifica soprattutto in seguito alla azione

irritativa esercitata dal cinto erniario, che provoca irriducibilità dell’ernia progressiva, stipsi e una

lieve dolenzia.

La Terapia è chirurgica d’urgenza nelle forme acute per evitare altre complicanze (peritonite).

L’IRRIDUCUBILITA’ si verifica quando non è più possibile ridurre il contenuto erniario nella

cavità addominale dovuta a:

- presenza di briglie o aderenze tra sacco e contenuto in seguito ad infiammazione cronica da cinto

erniario.

- ernia di grosse dimensioni detta “incoercibile” perché non è possibile ridurla in addome.

- strozzamento e intasamento.

L’INTASAMENTO si verifica quando il contenuto del sacco è dato da un’ansa intestinale con

accumulo progressivo di feci e gas fino ad andare incontro all’occlusione intestinale di tipo

meccanica, soprattutto se è interessato il colon dove la consistenza fecale è maggiore.

L’intasamento è favorito dall’insufficienza della peristalsi intestinale soprattutto nei pz anziani,

dalla presenza di ernie voluminose con transito intestinale lento e difficile, dalla presenza di ernie

irriducibili con difficoltà meccaniche per presenza di aderenze.

L’intasamento è caratterizzato da un > progressivo delle dimensioni dell’ernia, dolore più o meno

forte, consistenza pastosa o dura e irriducibilità. Inoltre, si notano i segni della occlusione

intestinale, cioè meteorismo, dolori colici, iperperistalsi, progressiva chiusura dell’alvo a feci e gas,

vomito, disidratazione.

La Terapia è chirurgica d’urgenza.

Lo STROZZAMENTO è la complicanza più grave, dovuta all'improvvisa e completa irriducibilità

del viscere erniato con rapida e profonda modificazione della sua struttura.

Le Cause possono essere predisponenti e determinanti:

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cause predisponenti: alterazioni anatomiche cioè porta erniaria stretta e rigida, ernie voluminose,

aderenze tenaci tra sacco e contenuto da infiammazione cronica da cinto erniario.

cause determinanti: sforzi improvvisi, tosse violenta nei pz con bronchite cronica, asma,

enfisema, bronchiectasie, stasi improvvisa di materiale fecale e gas nell’ansa erniata.

Lo strozzamento erniario è caratterizzato soprattutto dalle turbe circolatorie poiché il viscere viene

compresso a livello della porta o del colletto del sacco erniario, con conseguente stasi venosa,

edema, > volume dell’ernia e formazione di un cingolo strozzante, fino all'ischemia, necrosi e

perforazione della parete dell’ansa intestinale, che si affloscia, mentre il materiale intestinale passa

nel cavo peritoneale provocando peritonite e shock settico.

Lo strozzamento si manifesta con un dolore forte e improvviso che si esacerba con la palpazione,

nausea, vomito, occlusione intestinale con alvo chiuso a feci e gas, pallore, sudorazione,

agitazione, polso piccolo e frequente, reazione di difesa con contrattura di tipo linea della

parete addominale con pz immobile (addome acuto) che sono segni di shock settico da peritonite,

sete intensa, lingua asciutta, occhi infossati cioè segni di disidratazione.

La Terapia è d’urgenza e viene distinta in terapia incruenta e cruenta:

La terapia incruenta prevede la manovra del Taxis per cercare di ridurre l’ernia in addome: il pz

deve mettersi in decubito supino, rilasciando i muscoli addominali, si somministrano antispastici e

antidolorifici e si usa un impacco freddo per cercare di ridurre l’edema e il volume dei gas presenti

nell’ansa intestinale strozzata. La manovra di Taxis consiste nel premere dolcemente con una mano

sull’ernia, mentre con l’altra mano si circonda il peduncolo erniario. La riduzione deve essere lenta

e progressiva per evitare di danneggiare o addirittura rompere l’ansa intestinale erniata.

La terapia cruenta si basa sull’erniectomia d’urgenza: dopo l’intervento si osserva l’ansa

intestinale e si utilizzano degli impacchi di soluzione fisiologica calda per favorire la circolazione

del sangue: se l’ansa intestinale riprende il suo colorito naturale e l’attività peristaltica, significa che

l’ansa è stata recuperata e si procede con l’ernioplastica, se ci sono delle aree a dubbia ripresa si

può decidere di affondare l’ansa, se invece persistono problemi di ischemia con necrosi dell’ansa si

ricorre alla resezione dell’ansa intestinale con anastomosi tra i monconi opposti per ristabilire la

continuità intestinale.

Ernia Crurale o Femorale

È un’ernia che si impegna nel canale crurale frequente nei soggetti di sesso femminile.

Il canale crurale è un piccolo spazio virtuale lungo 1-2 cm, diretto dall’alto in basso, medialmente

e anteriormente, delimitato in alto dal legamento inguinale, in basso dal muscolo pettineo e dal

legamento di Cooper, medialmente dal legamento lacunare di Gimbernat e lateralmente dalla vena

femorale.

Possiamo fare una distinzione tra punta d’ernia, ernia interstiziale incompleta ed ernia completa:

punta d’ernia: supera lievemente l’anello crurale, cioè l’orifizio superiore del canale crurale,

attraverso cui passano l’arteria e la vena femorale avvolti da una guaina fibrosa.

ernia interstiziale incompleta: il viscere erniato penetra nell’infundibulo, cioè nella zona del

canale crurale posta medialmente alla vena femorale e che è occupata da linfonodi e vasi linfatici,

limitata in alto dalla porzione mediale dell’anello crurale, per cui si parla di ernie crurali

infundibulari o linfolacunari che sono le più frequenti.

ernia completa: il viscere erniato supera la fascia cribrosa, cioè il foglietto superficiale che

circoscrive il canale crurale, teso tra il muscolo sartorio e il muscolo adduttore medio, passando

sopra il triangolo di Scarpa, detta cribrosa perché è crivellata da numerosi fori che fanno da

passaggio a vasi e nervi che si portano dal tessuto sottocutaneo allo strato sottofasciale e viceversa,

come la vena safena interna (grande safena).

In genere, l’ernia crurale è di tipo acquisita per debolezza, frequente nelle donne perché hanno il

bacino e l’anello crurale più ampio, un’ampia lacuna dei vasi femorali, soprattutto nell’età adulta e

in gravidanza, mentre è molto rara nelle bambine.

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Spesso è asintomatica, altre volte provoca un dolore più o meno forte soprattutto se si sta in piedi

per lungo tempo o in seguito a sforzi eccessivi che > la P endoaddominale, tendendo a ridursi in

addome se si flette la coscia verso il bacino o in posizione supina.

Alla palpazione si apprezza una tumefazione piccola o grossa, rotondeggiante, lievemente dolente,

al di sotto del legamento inguinale, con superficie liscia o granulosa a seconda del contenuto.

Se il contenuto è un’ansa intestinale si può apprezzare alla percussione un suono ottuso, raramente

borborigmi, cioè gorgoglii prodotti dai gas intestinali quando si spostano in seguito alle contrazioni

dell’ansa stessa.

E’ importante la Diagnosi Differenziale con l’ernia inguinale: l’ernia crurale si sviluppa al di sotto

del legamento inguinale, apprezzando la pulsazione dell’arteria femorale (medialmente ai vasi

femorali).

Inoltre, bisogna stabilire se si tratta di una tumefazione linfonodale oppure della dilatazione

sacciforme dello sbocco della vena safena interna nel triangolo di Scarpa che ha una consistenza

molle, si riduce facilmente con la pressione, senza gorgoglio e si riforma non appena la pressione

cessa.

La TERAPIA è chirurgica con riduzione del viscere, asportazione del sacco e chiusura del canale

crurale con la plastica di Colzii applicando alcuni punti di sutura.

Laparocele

Il Laparocele è la fuoriuscita di un viscere addominale attraverso una breccia muscolo-

aponeurotica della parete addominale, che si verifica a livello di una precedente incisione

chirurgica, come una laparotomia, oppure lombotomia, perineoectomia (amputazione del retto

secondo Miles), ecco perché si parla di laparocele o ernia post-operatoria.

Le Cause sono:

- infezione della ferita chirurgica, sutura chirurgica eseguita male nel 50% dei casi.

- broncopatia cronica ostruttiva con tosse violenta, sforzi fisici.

Possiamo fare una distinzione tra laparocele mediano che si verifica a livello epigastrico e

periombelicale, e laparocele laterale a livello sottocostale, iliaco e lombare.

Le incisioni longitudinali sono a più alto rischio di laparocele rispetto alle incisioni trasversali,

perché sono ortogonali alle linee di forza dell’attività contrattile della muscolatura addominale.

La parete addominale muscolo-aponeurotica ha una funzione di contenimento dei visceri che si

esplica mediante le linee di forza orizzontali ed oblique determinate dai muscoli larghi, che sono

ancorati posteriormente alla fascia lombo dorsale ed anteriormente ai muscoli retti e alla linea alba.

Quando queste strutture perdono la loro solidità si possono avere vari problemi, cioè:

- alterazioni della dinamica respiratoria come in caso di laparocele della linea mediana in cui i

muscoli retti ruotano di ~ 90° rispetto al loro asse longitudinale fino ad assumere una posizione

ortogonale rispetto a quella originale, impedendo l’aumento della P endoaddominale e

compromettendo i movimenti del diaframma, con conseguente insufficienza respiratoria cronica e >

lavoro respiratorio.

- insufficienza vascolare venosa da deficit di pompa per > del lavoro respiratorio e < del ritorno

del sangue venoso al cuore.

- distensione dei visceri cavi e alterazione della peristalsi.

- ipertrofia dei muscoli addominali.

Inoltre, in base alla mobilità del contenuto possiamo fare una distinzione tra laparoceli riducibili o

mobili e laparoceli fissi o incarcerati:

laparoceli riducibili o mobili quando il viscere non è tenacemente adeso alla parete del sacco

per cui in seguito ai movimenti respiratori o sforzi che > la P endoaddominale fuoriescono dal sacco

e possono essere ridotti in addome.

laparoceli fissi o incarcerati quando il viscere è aderente al sacco per cui è immobile, non può

essere ridotto in addome, provocando una grave insufficienza respiratoria e si può andare incontro

allo strozzamento del laparocele.

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La DIAGNOSI si basa sull’Anamnesi valutando un pregresso intervento chirurgico laparotomico e

sull’Esame Obiettivo osservando la presenza di una tumefazione a livello della cicatrice

laparotomica, spesso dolente, che protrude in seguito all’aumento della P endoaddominale e che in

genere è riducibile con la manovra di Taxis.

La TERAPIA è chirurgica: si riduce il contenuto del laparocele, si reseca il sacco e si chiude la porta

del laparocele. Se l’omento è adeso al sacco del laparocele è necessaria la resezione dell’omento.

Dopo aver eseguito la plastica della parete muscolo-aponeurotica spesso è necessario escidere la

cicatrice cutanea e una porzione di cute circostante divenuta esuberante (brutta anche per l’estetica).

ERNIE DIAFRAMMATICHE

Il Diaframma è un muscolo a forma di cupola a concavità inferiore che separa la cavità toracica

dalla cavità addominale.

Presenta una parte centrale, detta centro frenico o tendineo del diaframma a forma di trifoglio,

perché è costituita da una foglia anteriore, una foglia dx e una foglia sx.

Tra la foglia anteriore e la foglia dx c’è l’orifizio della vena cava inferiore.

Inoltre, il diaframma presenta una parte lombare o vertebrale, una parte costale e una parte

sternale.

La parte lombare origina dai pilastri mediale e laterale del diaframma: il pilastro mediale viene

distinto in dx e sx, i quali si inseriscono sulla faccia anteriore delle vertebre lombari L2, L3, L4 e a

livello della L1 circoscrivono l’orifizio aortico che fa da passaggio all’aorta e al dotto toracico.

Poi c’è l’orifizio esofageo attraverso cui passa l’esofago e i nervi vaghi.

Lateralmente al pilastro mediale c’è una fessura (non sempre) attraverso cui passano il tronco

dell’ortosimpatico, i nervi grande e piccolo splancnico e la vena azigos.

La faccia supero-centrale del diaframma è in rapporto col mediastino, cioè pericardio, esofago e

aorta, mentre la faccia supero-laterale è in rapporto con le pleure e i polmoni.

La faccia infero-centrale del diaframma è in rapporto con fegato, fondo gastrico, milza, flessura sx

del colon, pancreas duodeno, mentre la faccia infero-laterale con i reni e le ghiandole surrenali.

La faccia superiore è vascolarizzata dalle arterie pericardico-freniche e dalle vene muscolo

freniche, mentre la faccia inferiore è vascolarizzata dalle arterie freniche inferiori e dalle vene

freniche inferiori.

L’innervazione si deve soprattutto al nervo frenico proveniente dal plesso cervicale responsabile

della innervazione motoria del diaframma e della innervazione sensitiva della pleura, pericardio e

peritoneo.

Durante una respirazione normale il diaframma si abbassa di 1-2 cm, sollevando le ultime coste e

ampliando la cavità toracica, essendo il diaframma un muscolo inspiratorio, con > P

endoaddominale.

Durante una respirazione forzata il diaframma si abbassa fino a 5-7 cm.

L’ERNIA DIAFRAMMATICA è la migrazione nella cavità toracica di un viscere addominale o

di una parte di esso attraverso un orifizio esofageo o una lacuna muscolare che interrompe la

continuità del muscolo diaframmatico, mentre la protrusione dei visceri dalla cavità toracica alla

cavità addominale è molto rara perché nella cavità toracica c’è una P negativa mentre nella cavità

addominale c’è una P positiva.

La CLASSIFICAZIONE delle ernie diaframmatiche prevede una distinzione tra ernie congenite e

acquisite e in particolare, si parla di:

- ernie dello jatus esofageo o ernie jatali.

- ernie diaframmatiche congenite da persistenza delle lacune embrio-fetali, cioè l’ernia postero-

laterale di Bochdalek e l’ernia del forame di Morgagni-Larrey o retrosternale.

- ernie diaframmatiche post-traumatiche.

- eventratio e relexatio diaframmatica.

Le ERNIE JATALI sono le ernie diaframmatiche più frequenti, soprattutto nei soggetti di sesso

femminile nel rapporto M/F di 1/2, con età tra i 50-70 aa.

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In genere, sono ernie acquisite in cui si ha la protrusione nella cavità toracica dei visceri addominali

attraverso orifizi o fessure naturali del diaframma, in seguito ad un > del Ø dell’orifizio o ad una

debolezza del sistema di contenzione dei visceri.

Gli orifizi sono: l’orifizio della vena cava inferiore, l’orifizio esofageo e l’orifizio aortico.

Le ernie dello jatus esofageo sono le più frequenti.

I mezzi di contenzione dei visceri sono le fibre di Burget, la membrana freno-esofagea di Laimer,

l’angolo di His che è un angolo iperacuto che si realizza tra il margine sx dell’esofago e il fondo

gastrico e che impedisce il reflusso del succo gastrico dallo stomaco nell’esofago.

Abbiamo detto che le ERNIE dello JATUS ESOFAGEO sono le più frequenti e sono classificate

in 3 tipi diversi, cioè:

- ernie da scivolamento che rappresentano il 95% di tutte le forme.

- ernie paraesofagee da rotolamento rappresentano il 4%.

- ernie da esofago corto o brachiesofago rappresenta solo l’1%.

L’ERNIA JATALE da SCIVOLAMENTO rappresenta il 95% di tutte le ernie diaframmatiche,

con maggiore incidenza nei soggetti di sesso femminile, nella fascia di età dei 40-60 aa.

Dobbiamo ricordare però che spesso queste ernie sono asintomatiche e sono scoperte casualmente

mediante indagini radiografiche o endoscopiche richieste per altri motivi, per cui le ernie jatali da

scivolamento sono sottostimate.

Nell’ernia iatale da scivolamento si ha la migrazione dalla cavità addominale verso la cavità

toracica attraverso l’orifizio esofageo del diaframma della giunzione esofago-gastrica più una parte

più o meno ampia del fondo.

Nella regione cardiale si localizza lo sfintere esofageo inferiore LES ad alta pressione, cioè si tratta

di uno sfintere che posto tra la regione toracica e quella addominale impedisce il reflusso del

materiale gastrico nell’esofago, data la differenza di P esistente tra addome e torace.

La giunzione esofago gastrica è mantenuta in sede sottodiaframmatica grazie ad alcuni “mezzi di

contenzione” anatomici, cioè la membrana freno-esofagea di Laimer e Bertelli costituita da

tessuto fibroso ed elastico, l’arteria gastrica sx, il legamento gastro-frenico, a cui si aggiunge

l’azione a tenaglia dei due pilastri mediali che formano lo jatus esofageo cioè il cosiddetto laccio di

Allison ed è importante l’angolo di His, cioè l’angolo acuto tra il lato sinistro dell’esofago

addominale e il lato mediale del fondo gastrico .

I FATTORI EZIOPATOGENETICI responsabili delle ernie jatali da scivolamento sono:

debolezza delle strutture anatomiche di contenzione della regione cardiale, enorme lassità della

muscolatura diaframmatica che circonda l’esofago (laccio di Allison) con scivolamento dello

stomaco in alto e scomparsa dell’angolo di His.

appiattimento del diaframma per > dei Ø della gabbia toracica da cifosi senile, scoliosi, enfisema

polmonare.

> P addominale da stipsi cronica, ascite, gravidanza, obesità.

I SINTOMI spesso sono assenti, altre volte il pz presenta sintomi digestivi, cardiaci e generali da

emorragia occulta.

I Sintomi digestivi sono legati alla presenza o meno del Reflusso Gastro Esofageo RGE dovuto

alla scomparsa dell’angolo di His, < del tono dello sfintere esofageo inferiore o LES con

conseguente esofagite da RGE, quindi si ha la risalita o rigurgito del cibo in bocca soprattutto

durante il sonno, il pz riferisce di trovare il cuscino bagnato al risveglio, oppure quando il pz si

china a terra per prendere degli oggetti.

L’esofagite si manifesta con eruttazioni da incontinenza del cardias, pirosi, dolore urente epigastrico

e retrosternale che s’irradia al collo, mandibola e orecchio, di tipo precordiale (simile all’angina

pectoris dove però l’ECG è alterato).

Se il materiale che refluisce dallo stomaco nell’esofago viene inalato, si possono verificare delle

complicanze polmonari, come le polmoniti ab ingestis, bronchiti croniche...

La disfagia è un sintomo tardivo ed è espressione di stenosi cicatriziale dell’esofago da esofagite di

III grado: inizialmente la disfagia è saltuaria, poi diventa permanente, soprattutto verso i cibi solidi

e secchi, come pane e biscotti.

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I Sintomi Cardiaci si verificano nel caso di ernie voluminose, tali da spostare il cuore verso la

parete toracica, provocando tachicardia (cardiopalmo), dolori anginosi, fino alle crisi sincopali.

I Sintomi Generali sono rappresentati dall’anemia dovuta ad uno stillicidio emorragico della

mucosa gastrica risalita in torace cioè si verifica un’emorragia occulta, per cui il pz presenta pallore

della cute e delle mucose, astenia e dimagrimento, mentre rarissime sono le emorragie massive con

melena ed ematemesi.

La DIAGNOSI delle ernie iatali da scivolamento si basa su:

Rx esofago-gastrico con m.d.c. con pz in posizione di Trendelenburg cioè supino su di un

piano obliquo con il capo più basso con un cuscino sotto l’addome, facendo ingerire al pz un m.d.c.

baritato: si nota un rigonfiamento con volume variabile da una noce ad un’arancia, posta al di sopra

del profilo diaframmatico, inoltre il radiologo potrebbe confermare la presenza di un eventuale

reflusso o delle sue complicanze, come l’esofagite caratterizzata da discinesie esofagee, contrazioni

multiple terziarie, ispessimento delle pliche esofagee, fino alle stenosi esofagee.

Esofago-Gastroscopia: è utile sia per la diagnosi sia per fare la scelta terapeutica più opportuna

medica o chirurgica, consente di valutare il grado della lesione della mucosa, di eseguire

direttamente delle biopsie e di verificare se la linea Z si trova al di sopra dello jatus esofageo del

diaframma. Infatti, la linea Z rappresenta il limite tra la mucosa pavimentosa dell’esofago e quella

cilindrica dello stomaco.

Manometria esofagea: consente di misurare la P dello sfintere esofageo inferiore che in tal caso

si trova dislocato in torace e di studiare la peristalsi esofagea.

pHmetria esofagea nelle 24 h: un piccolo elettrodo viene introdotto per via nasale e fatto

scendere nell’esofago e nello stomaco per valutare la concentrazione idrogenionica, il n° e la durata

dei reflussi gastro-esofagei, la capacità di pulizia dell’esofago, stabilendo con il punteggio di De

Meester se effettivamente il reflusso è la causa di una prolungata persistenza del succo gastrico

nell’esofago.

La TERAPIA delle ernie iatali da scivolamento dipende dalla presenza dell’esofagite da RGE che

provoca i principali disturbi per il pz: la terapia può essere medica o chirurgica a seconda dell’entità

dell’esofagite.

In caso di esofagite di I grado caratterizzata solo da eritema si ricorre alla terapia medica con

farmaci antagonisti dei recettori H2 dell’istamina, cioè la ranitidina (Ranidil), cimetidina,

famotidina, a cui si associa l’omeprazolo per ridurre l’acidità gastrica e l’irritazione della mucosa

esofagea.

La Terapia Chirurgica è utile in caso di esofagite di II grado con ulcerazione da RGE ed emorragia

e di esofagite di III grado con stenosi da retrazione cicatriziale delle ulcere.

In passato si ricorreva alla tecnica di Lortat-Jacob, cioè si trattava di un intervento di tipo

anatomico con varie fasi: si riduceva in addome la parte del fondo gastrico erniata nel torace, con 2-

3 punti di sutura si restringeva lo jatus esofageo, si ricostruiva l’angolo di His fissando il fondo

gastrico al margine sx dell’esofago addominale.

Poi si è passati agli interventi di tipo funzionale che consentono di ricreare una zona ad alta P a

livello dell’esofago terminale per ristabilire una situazione fisiologica normale.

Abbiamo la fundoplicatio a 360° o circonferenziale secondo Nissen con plastica antireflusso,

cioè si esegue una rotazione di 360° di un manicotto del fondo gastrico e si applicano dei punti di

sutura tra la parete del fondo gastrico e la parete esofagea: il manicotto viene disteso dalla bolla

d’aria presente nel fondo gastrico esercitando così una certa P sull’esofago, si ha un > del calibro

dell’esofago addominale tale da impedire la sua migrazione nel mediastino e garantire il

meccanismo antireflusso.

Durante l’intervento occorre fare attenzione a non ledere il nervo vago di dx perché è importante

nella secrezione e motilità gastrica.

Inoltre, possiamo ricorrere alla fundoplicatio secondo Toupet in cui il manicotto del fondo

gastrico viene disteso fino alla metà posteriore dell’esofago, oppure alla fundoplicatio secondo

DOR in cui il manicotto di fondo gastrico viene disteso fino alla metà anteriore dell’esofago.

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Sono interventi eseguiti per via video-laparoscopica e durante l’intervento si esegue una

manometria per valutare se la P a livello del tratto LES è tale da impedire il RGE.

Se l’intervento viene eseguito da mani esperte non dovrebbero esserci problemi, mentre

l’insuccesso si verifica quando la plastica antireflusso è troppo stretta o larga o debole.

L’ERNIA JATALE da ROTOLAMENTO o PARAESOFAGEA è molto rara (4-5%),

caratterizzata da un esofago di lunghezza normale ma rettilineo, il cardias si trova regolarmente

sotto il diaframma, ma si forma un vero e proprio sacco peritoneale dove ernia prima il fondo

gastrico, poi una parte più o meno estesa della grande curvatura dello stomaco nel caso delle ernie

più voluminose, anche se la giunzione esofago-gastrica resta in posizione sottodiaframmatica.

Se il sacco è molto grande può ospitare anche tutto lo stomaco, ma essendo il colletto del sacco

piccolo con bordi fibrosi, si possono verificare delle complicanze, come lo strozzamento, e il

volvolo gastrico organo-assiale o mesenterico-assiale.

Nel volvolo organo-assiale lo stomaco ruota lungo il suo asse longitudinale, per cui la grande

curvatura e la piccola curvatura invertono la propria posizione di origine.

Nel volvolo mesenterico-assiale lo stomaco ruota lungo l’asse trasversale per cui la porzione distale

o pilorica dello stomaco si pone a sx rispetto alla porzione prossimale che viene tenuta in sede dalla

giunzione esofago-gastrica.

L’ernia da rotolamento può essere congenita o acquisita.

I SINTOMI non sono sempre evidenti, sono di origine meccanica, e correlati all’assunzione del cibo

che penetra nello stomaco dislocato in torace e lo distende.

Nel neonato in genere si manifesta con vomito alimentare, tosse ed eruttazioni.

Nell’adulto in genere si manifesta con dolore epigastrico o retrosternale post-prandiale, talora di

tipo pseudoanginoso perché s’irradia verso la spalla e il braccio sx.

In caso di volvolo gastrico si ha prima ristagno alimentare nello stomaco e poi il vomito.

In caso di strozzamento si ha dolore violento, vomito, difesa addominale, compromissione dello

stato generale del pz perché spesso si ha l’ulcera peptica da ristagno di materiale cloridro-peptico

nello stomaco erniato, dato il difficoltoso svuotamento attraverso lo iato, anemia dovuta alle

alterazioni distrofiche della mucosa fundica con deficit della secrezione del fattore intrinseco che è

indispensabile per l’assorbimento della vit.B12, per cui si tratta di un’anemia ipocromica

sideropenica, raramente si ha melena e/o ematemesi.

Non si hanno sintomi legati al RGE.

La DIAGNOSI si basa su:

Rx semplice del Torace: se lo stomaco erniato presenta una quantità di gas sufficiente si osserva

una specie di tasca radiotrasparente all’interno del mediastino con un sottostante livello idro-aereo,

nei casi dubbi possiamo usare un m.d.c. baritato per escludere la presenza di neoformazioni cistiche

del polmone, diverticoli epifrenici...

EGDS per valutare lo stato della mucosa gastrica, la presenza di ulcerazioni e la posizione

sottodiaframmatica del cardias (linea Z).

La TERAPIA è chirurgica: si riduce lo stomaco erniato per via addominale, si asporta il sacco e si

sutura la breccia residua.

Inoltre, si fissa il fondo o il corpo gastrico alla parete addominale o all’emidiaframma sx, e si

ricorre alla fundoplicatio per evitare il reflusso e le recidive.

L’ERNIA JATALE da ESOFAGO CORTO o BRACHIESOFAGO rappresenta solo l’1% delle

ernie diaframmatiche, in cui si ha la risalita nel torace di una parte dello stomaco perché in tal caso

l’esofago è più corto del normale, cioè termina al di sopra dello jatus esofageo del diaframma.

Può essere congenita o acquisita:

forma congenita cioè durante la vita intrauterina si ha l’arresto della discesa dell’esofago in

addome perchè l’esofago è più corto rispetto alla norma per cui lo stomaco per trazione migra nel

torace dove viene irrorato dai vasi dell’aorta toracica.

forma acquisita è dovuta all’esofagite da RGE con ulcerazione della mucosa e processo di

retrazione cicatriziale che interessa anche la tonaca muscolare.

I SINTOMI sono dolore, rigurgito e disfagia.

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La DIAGNOSI si basa sull’Rx esofago-gastrico, EGDS osservando che l’esofago è più corto

rispetto alle sue dimensioni reali, il punto in cui si passa dall’epitelio pavimentoso a quello

cilindrico (linea Z), il grado dell’esofagite e l’entità della stenosi.

La TERAPIA è chirurgica con riduzione dell’ernia, plastica della porta erniaria, fundoplicatio per

impedire il RGE e dilatazione del tratto stenotico.

La fundoplicatio viene eseguita per via toracotomica sx poiché è impossibile ridurre lo stomaco in

addome.

Ricordiamo che si parla di Triade di Saint quando l’ernia iatale è associata alla calcolosi della

colecisti e ai diverticoli del colon, tipica nei soggetti di sesso femminile, adulti, associata a stipsi

cronica.

Le ERNIE DIAFRAMMATICHE CONGENITE da persistenza delle lacune embrio-fetali

sono rappresentate dall’ernia postero-laterale di Bochdalek e l’ernia del forame di Morgagni-

Larrey o retrosternale.

L’Ernia postero-laterale di Bochdalek è anche detta ernia del canale pleuro-peritoneale perché

interessa la zona di Bochdalek, cioè quella zona triangolare posta tra parte lombare e costale del

diaframma, poco resistente, dove pleura e peritoneo vengono in contatto.

E’ un’ernia congenita, sprovvista di sacco peritoneale, dovuta al mancato sviluppo degli abbozzi

postero-laterali del diaframma, oppure ad un difetto di fusione tra gli abbozzi, con persistenza del

canale pleuro-peritoneale postero-laterale.

A causa di queste anomalie di sviluppo i visceri passano dal cavo addominale, dove perdono il

diritto di domicilio, nel cavo toracico, con eviscerazione, cioè si può avere la migrazione di vari

organi addominali che vanno a comprimere i polmoni, che non sviluppano completamente

(ipoplasia polmonare). Le strutture che più facilmente migrano sono le anse del tenue, il colon dx ed

il colon trasverso.

Nel 90% dei casi l’ernia si forma a sx perché a dx c’è il fegato che per le sue dimensioni impedisce

la migrazione nel torace dei visceri ed organi addominali.

Dal punto di vista CLINICO si fa la distinzione tra 3 forme, cioè:

- forme rapidamente mortali, spesso scoperte solo al tavolo autoptico.

- forme latenti, si manifestano con disturbi digestivi da occlusione o subocclusione intestinale, cioè

vomito, disidratazione, dolore di tipo colico ingravescente, e disturbi cardio-respiratori dovuti alla

compressione esercitata sul polmone e sul mediastino da parte dei visceri erniati cioè crisi di

insufficienza cardio-respiratoria, dispnea grave, tachicardia...

- forme suscettibili di terapia chirurgica.

E’ importante la Diagnosi prenatale, infatti è possibile individuare l’ernia diaframmatica già verso

la 18^ settimana di gestazione, in modo da programmare il parto e la terapia più opportuna alla

nascita del bambino.

Comunque, i visceri possono erniare nel torace anche dopo la nascita, progressivamente, fino a

provocare problemi respiratori, in particolare dispnea in seguito ad attività sportive.

La DIAGNOSI si basa su:

Rx del torace mette in evidenza che la trachea e la punta del cuore sono spostati verso dx.

Rx dell’apparato digerente con pasto baritato evidenzia la presenza degli organi e visceri

addominali nel torace e lo spostamento mediastinico.

TAC è utile per la diagnosi di conferma.

La TERAPIA è chirurgica d’urgenza con ventilazione assistita: si riducono i visceri in addome e si

ricostruisce il diaframma.

L’Ernia del forame di Morgagni-Larrey o retrosternale è un’ernia congenita, provvista di sacco

peritoneale, dovuta alla persistenza di una lacuna retrosternale paramediana per la mancata

saldatura tra i fasci sternali e costali del diaframma.

Nel 90% dei casi i visceri addominali erniano a livello della fessura di dx perchè a sx c’è il sacco

pericardico.

Le strutture che in genere erniano sono il grasso pre-peritoneale con conseguente lipoma

dell’angolo cardio-frenico dx, oppure erniano il peritoneo parietale che riveste la superficie

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inferiore del diaframma, una parte del grande omento che trascina con se il colon trasverso che è il

viscere che più frequentemente ernia e che a sua volta si trascina la grande curvatura dello stomaco,

mentre il cardias resta al di sotto del diaframma, fino a provocare il volvolo gastrico, mentre

raramente si ha lo strozzamento dell’ansa colica erniata.

I SINTOMI non sono sempre evidenti, infatti nel 50% dei casi si tratta di ernie asintomatiche,

mentre le forme sintomatiche si manifestano con dolore epigastrico o costale persistente, nausea,

vomito, disturbi respiratori come tosse, dispnea, dolore alle basi polmonari.

La DIAGNOSI si basa su:

Rx del torace in proiezione antero-posteriore e latero-laterale: opacità dell’angolo cardio-

frenico dx.

Rx con clisma opaco e pasto baritato: stiramento del colon trasverso in alto, il cardias è sempre

in sede sottodiaframmatica, mentre si notano due bolle aeree gastriche, una sottodiaframmatica

corrispondente al fondo, l’altra sopradiaframmatica relativa alla grande curva dello stomaco che

ruotando migra nel torace.

La TERAPIA è chirurgica per via laparotomica.

Le ERNIE DIAFRAMMATICHE POST-TRAUMATICHE sono caratterizzate dal passaggio

degli organi addominali nella cavità toracica attraverso un’apertura del diaframma in seguito ad un

evento traumatico, incidenti d’auto o motociclistici, cadute dall’alto, ferite da arma bianca come

coltelli, frammenti di vetro o metallo, oppure ferite d’arma da fuoco, compressione tra due corpi

solidi, seppellimento, sollevamento pesi, sforzi violenti, con brusco > della P intraddominale,

tensione e lacerazione del diaframma che nel 90% dei casi interessa l’emidiaframma sx perché a dx

c’è il fegato che in un certo senso protegge l’emidiaframma dx.

I visceri che erniano sono lo stomaco che si trascina la milza se la breccia diaframmatica è ampia,

inoltre il colon, le anse del tenue, il grande omento, mentre rene e surrene erniano solo in caso di

disinserzione del diaframma dalla parete postero-laterale del torace.

Tutto ciò provoca un collasso polmonare con sbandieramento del mediastino, cioè si ha uno

spostamento controlaterale del mediastino, del sacco pericardico e del cuore, con grave

insufficienza cardio-respiratoria. Anche il pancreas può subire delle lesioni poiché può essere

schiacciato dallo stomaco contro la colonna vertebrale.

L’Esame Obiettivo mette in evidenza un’ottusità alla base toracica di sx e una < del murmure

vescicolare, mentre all’Rx del torace non si riesce a distinguere bene il profilo diaframmatico e si

nota ipodiafonia nel polmone sx in seguito all’emotorace oppure una iperdiafonia dovuta all’aria

della bolla gastrica. Il segno più importante è la discrepanza tra modesta raccolta idro-aerea nel

cavo pleurico e il grave spostamento del cuore verso dx: infatti, un pneumotorace parziale non

causerebbe mai una dislocazione cardiaca notevole, cosa che invece succede quando il fondo

gastrico migra nel torace.

La diagnosi di conferma viene data dall’Rx con m.d.c. baritato introdotto con sondino naso-

gastrico: se il bario risale al di sopra del profilo diaframmatico significa che il diaframma è

lacerato. Inoltre, se si iniettano 400-500 cc di aria nel cavo peritoneale e si esegue un Rx del torace

con pz in posizione semiseduta e si osserva pneumotorace, significa che il diaframma è lacerato

perché si ha il passaggio di aria dalla cavità addominale a quella toracica.

Anche l’Ecografia evidenzia la presenza di emotorace ed emoperitoneo mentre la TAC fornisce

maggiori dettagli sulle lacerazioni del diaframma.

In realtà, non c’è molto tempo per poter studiare bene il pz con tutte queste indagini perchè si tratta

di una situazione di emergenza, riducendo i visceri erniati in addome e chiudendo la breccia

diaframmatica con punti di sutura se la lesione è lineare oppure applicando una rete di contenzione

nel caso di lesioni più frastagliate. La via di accesso può essere toracotomica o laparotomica.

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EVENTRATIO e RELEXATIO Diaframmatica

La eventratio diaframmatica è l’innalzamento di un’area circoscritta della cupola diaframmatica,

soprattutto a livello dell’emidiaframma dx, mentre la relexatio è l’innalzamento di un

emidiaframma, che può avvenire sia a dx con risalita nel torace del fegato, sia a sx con risalita nel

torace dello stomaco, milza, colon e intestino tenue.

Nella relexatio dell’emidiaframma sx si realizza il cosiddetto stomaco a cascata, cioè il fondo

gastrico si innalza e ricade in avanti con volvolo gastrico.

I SINTOMI possono essere diversi: disturbi digestivi cioè senso di peso epigastrico, eruttazioni,

pirosi, dolori crampiformi, stipsi da subocclusione intestinale, disturbi respiratori cioè dispnea post-

prandiale, tosse con espettorato a volte ematico, sintomi cardiaci cioè tachicardia post-prandiale

causata dalla distensione gassosa dello stomaco per una eccessiva acutezza dell’angolo gastro-

esofageo che non permette il rilasciamento del cardias sotto pressione ed impedisce l’eruttazione,

inoltre, aritmie, extrasistoli, palpitazioni, fenomeni anginosi per intervento delle stimolazioni vagali

riflesse. L’Rx del torace evidenzia la risalita del diaframma e dei visceri addominali.

ESOFAGO

L’Esofago è quel tratto del tubo digerente che nel soggetto adulto ha una lunghezza di ~ 25-26 cm,

facendo seguito alla faringe a livello della C6, in corrispondenza del margine inferiore della

cartilagine cricoidea della laringe, passando dal collo nel torace e poi nell’addome attraverso

l’orifizio esofageo del diaframma, per cui possiamo distinguere 4 parti: parte cervicale (4-5 cm),

parte toracica (16 cm), parte diaframmatica (1-2 cm), parte addominale (3 cm) che comunica

con lo stomaco mediante il cardias. Inoltre, l’esofago presenta 4 restringimenti:

─ restringimento cricoideo a livello del margine inferiore della cartilagine cricoide della

laringe dove inizia l’esofago.

─ restringimento aortico a livello del versante posteriore dx dell’arco aortico.

─ restringimento bronchiale a livello del bronco principale di sx.

─ restringimento diaframmatico a livello dell’orifizio o jatus esofageo del diaframma.

Inoltre, l’esofago presenta 3 curvature fisiologiche: prima discende a ridosso della colonna

vertebrale dalla C6 alla T4 seguendone la curvatura anteriore, poi si discosta dalla colonna

vertebrale leggermente a dx nel torace e poi si sposta verso sx.

La parte cervicale è in rapporto anteriormente con trachea, lobo sx della tiroide e nervo ricorrente

sx, la parte toracica è in rapporto anteriormente con la trachea e bronco sx, posteriormente con la

colonna vertebrale fino alla T4, condotto toracico, aorta toracica discendente.

La parte addominale è in rapporto anteriormente con la faccia postero-inferiore o viscerale del lobo

sx del fegato, posteriormente con l’aorta addominale, i pilastri mediali del diaframma, il lobo

caudato del fegato, il fondo gastrico.

La parete dell’esofago è formata dalla tonaca mucosa rivestita da epitelio pavimentoso non

cornificato, tonaca sottomucosa connettivale lassa, tonaca muscolare con strato esterno

longitudinale e strato interno circolare. La tonaca sierosa è assente.

La Vascolarizzazione arteriosa della parte cervicale si deve alla arteria tiroidea inferiore che è un

ramo del tronco tireocervicale proveniente dalla arteria succlavia.

La parte toracica è vascolarizzata dalle arterie bronchiali e intercostali rami collaterali dell’aorta

toracica discendente, la parte diaframmatica e addominale dalle arterie freniche inferiori, rami

parietali dell’aorta addominale e dall’arteria gastrica sx collaterale viscerale dell’aorta addominale.

Il Drenaggio venoso a livello cervicale, toracico e diaframmatico spetta a vene affluenti della vena

cava superiore: vena azigos, vena tiroidea inferiore, vena frenica, vene bronchiali e vene

pericardiche. La parte addominale viene drenata dalla vena gastrica sx radice della vena porta.

Per cui si stabilisce un’anastomosi tra la vena cava superiore e la vena porta che è importante in

caso di ipertensione portale con comparsa delle varici esofago-gastriche.

Il Drenaggio linfatico spetta ai linfonodi cervicali profondi, linfonodi pretracheali, linfonodi

mediastinici posteriori e linfonodi gastrici superiori.

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L’Innervazione si deve a fibre parasimpatiche del nervo vago costituenti il plesso esofageo

importante per la peristalsi esofagea e fibre provenienti dall’ortosimpatico.

La FUNZIONE principale dell’esofago è di far progredire il cibo dalla faringe allo stomaco: il bolo

alimentare provoca un > della P endofaringea con rilasciamento del muscolo crico-faringeo e della

muscolatura esofagea a livello dello sfintere esofageo superiore UES che mantiene una P di

chiusura di 20-25 mmHg e contemporaneamente viene evitato il passaggio del cibo nelle vie

respiratorie o nel rinofaringe grazie alla chiusura della glottide, abbassamento della epiglottide,

risalita della laringe e accollamento del palato molle alla parete posteriore del rinofaringe.

Il bolo raggiunge l’esofago e mediante un’onda di contrazione peristaltica I procede fino allo

stomaco. In condizioni normali si tratta di un’onda unica a singolo picco che progredisce

dall’esofago prossimale a quello distale, non è mai ripetitiva e non compare mai spontaneamente, di

breve durata e genera una P di 25-40 mmHg, misurabile con la manometria esofagea.

Il tratto terminale dell’esofago presenta lo sfintere esofageo inferiore o LES che è quel segmento

lungo 3-4 cm al di sopra della giunzione gastro-esofagea, che presenta una P di chiusura di 15-20

mmHg e che si rilascia un attimo prima dell’arrivo dell’onda peristaltica, con azzeramento della P

nel momento in cui passa il bolo alimentare, mentre poi > per impedire il reflusso gastro-esofageo.

Il LES è controllato dal nervo vago e da un meccanismo ormonale: gastrina è ipertensiva,

serotonina, colecistochinina e glucagone sono ipotensivi.

In condizioni patologiche si può avere la comparsa di onde di contrazione II e III.

PATOLOGIE ESOFAGEE da CAUSTICI

I Caustici (sostanze che provocano bruciore) sono sostanze liquide o solide che spesso sono

ingerite per errore soprattutto dai bambini oppure da soggetti adulti in genere a scopo suicida.

I caustici possono essere di natura basica come la soda caustica e di natura acida come l’acido

muriatico, acido citrico iperconcentrato, acido solforico, acido cloridrico, acido fenico.

Queste sostanze possono provocare lesioni di diversa entità in base alla quantità di caustico ingerito,

sua concentrazione e a quanto tempo la sostanza staziona e resta in contatto con i tessuti: le sostanze

alcaline sono più viscose ed hanno un transito più lento nell’esofago, mentre le sostanze acide sono

meno viscose ed hanno un transito più veloce.

I punti critici dove la sostanza caustica staziona più a lungo sono i punti di restringimento

dell’esofago, soprattutto il restringimento cricoideo e diaframmatico.

Nei punti in cui la sostanza transita più velocemente si hanno lesioni minori cioè ustione di I grado

con eritema ed edema, ustione di II grado con flittene (vescicole), mentre nei punti in cui la

sostanza caustica staziona più a lungo si hanno lesioni maggiori cioè ustioni di III grado:

─ le sostanze caustiche di natura basica provocano lesioni multiple con necrosi colliquativa e

lesioni ulcerose in seguito alla denaturazione delle proteine e colliquazione dei tessuti con effetto

devastante.

─ le sostanze caustiche di natura acida provocano lesioni multiple con necrosi coagulativa e

formazione di escare, poiché la necrosi è più superficiale, che dopo ~ 10-15 gg cadono e sono

riparate da tessuto connettivo ricco di fibroblasti, con cicatrizzazione fino alla sclerosi da retrazione

cicatriziale e stenosi con restringimento progressivo del lume esofageo che impedisce la

comunicazione tra esofago e stomaco.

Le lesioni da caustici prevedono 3 fasi:

fase iniziale o acuta: dopo l’ingestione della sostanza caustica il pz presenta un dolore urente

retrosternale ed epigastrico, scialorrea, disfagia, vomito ematico e stato di shock se l’ingestione

del caustico è massiva, fino alla morte per l’insorgenza di complicanze cioè edema della glottide

con asfissia, emorragia grave, mediastinite o peritonite...

Si deve subito ispezionare bocca, lingua e faringe, osservando la presenza di eritema, edema, ulcere.

L’Endoscopia è utile per valutare la sede e l’entità della lesione ma bisogna stare attenti in caso di

emorragia o necrosi massiva dell’esofago con pericolo di perforazione dell’esofago.

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Se la perforazione avviene in mediastino possiamo avere la mediastinite con enfisema

mediastinico cioè crepitii al collo con morte del pz nel 99% dei casi per shock settico e

complicanze pleuro-polmonari, ecco perché i pz sono tenuti in rianimazione.

Se la perforazione avviene in peritoneo possiamo avere segni di peritonite acuta con reazione di

difesa addominale lignea e segni di pneumoperitoneo con scomparsa dell’aia di ottusità epatica.

Il pz viene nutrito per via parenterale totale e si lascia un sondino naso-gastrico per aspirare tutto il

contenuto gastrico. Se la lesione è molto grave è necessario la resezione gastrica ed esofagea,

eseguendo una faringostomia e una digiunostomia: si sfila l’esofago dal collo verso l’addome e se il

pz sopravvive, si può sostituire l’esofago con il colon.

fase subacuta: il pz supera la fase di shock iniziale e passa in una fase stato con segni di

esofagite, cioè disfagia grave e rigurgito per alcuni giorni. Mediante l’Endoscopia si valuta l’entità

delle lesioni, la presenza di escare che si staccano dopo ~ 2 settimane, spesso con lieve perdita di

sangue, la deglutizione ritorna normale ma tutto ciò trae in inganno perchè nel giro di qualche mese

o addirittura anni si va incontro alla fase cronica.

fase cronica: si ha la riparazione delle aree ulcerate con formazione di cicatrici che vanno

incontro a retrazione fino alla stenosi con disfagia ingravescente (solidi, liquidi, saliva), rigurgiti

da stenosi esofagee con emissione del cibo subito dopo la deglutizione, scialorrea, calo

ponderale da iponutrizione cronica.

L’Rx con m.d.c. evidenzia la presenza di stenosi esofagee con dilatazioni a monte.

L’Endoscopia conferma la presenza delle stenosi e si possono eseguire dei prelievi bioptici per

escludere la cancerizzazione delle lesioni (lesioni precancerose).

Per rimuovere le stenosi possiamo agire per via endoscopica facendo scendere lentamente lungo un

filo guida le olive di Eder-Puestow o la sonda dilatatrice di Celestin o di Savary.

In caso di esofago con lume ridotto ad un filo possiamo sostituirlo con il colon dx o sx, oppure lo

stomaco o il digiuno, anastomizzato e portato fino al collo, passando nel letto esofageo o in un

tunnel retrosternale. Nei soggetti giovani si preferisce asportare l’esofago per evitare che col passare

del tempo si abbia un’evoluzione carcinomatosa.

Malformazioni Acquisite: DIVERTICOLI ESOFAGEI

Il Diverticolo è una estroflessione sacciforme della mucosa e/o sottomucosa esofagea che avviene

attraverso un locus minoris resistenziae della tonaca muscolare, cioè un punto di minore resistenza

della muscolatura della parete esofagea.

I diverticoli esofagei sono distinti in diverticoli dell’esofago alto, medio e basso cioè:

─ diverticolo faringo-esofageo di Zenker da pulsione interessa la parte prossimale cervicale

dell’esofago.

─ diverticolo paratracheo-bronchiale da trazione interessa la parte media toracica dell’esofago.

─ diverticolo epifrenico da pulsione interessa la parte distale addominale dell’esofago.

Dal punto di vista Patogenetico si fa una distinzione tra diverticoli da pulsione e da trazione:

I Diverticoli da Pulsione sono i più frequenti e sono dovuti ad un > della P endoluminale, cioè un

> della P interna dell’esofago che esercita una spinta contro le pareti del viscere causando una

estroflessione della parete nel punto di minore resistenza o debolezza con erniazione della mucosa e

sottomucosa. L’> della P endoluminale può essere di due tipi:

- fisiologico dovuto al passaggio del bolo alimentare che dilata l’esofago.

- patologico con estroflessione e sfiancamento della mucosa a livello di un punto di maggiore

debolezza della tonaca muscolare con formazione della sacca diverticolare.

In genere, il diverticolo da pulsione è sacciforme, rotondeggiante od ovale.

I Diverticoli da Trazione interessano esclusivamente l’esofago medio, tracheo-bronchiale,

soprattutto nei pz affetti dalla TBC, che presentano un focolaio flogistico con formazione di un

pacchetto di linfonodi che va incontro al processo di necrosi caseosa-cicatriziale, così come avviene

nel polmone, aderendo alla parete esofagea sui cui esercitano una trazione con effetto pinza e

formazione del diverticolo da trazione che più o meno ha una forma triangolare.

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Molto importante è il concetto dell’ectasia ortogonale: se il pz fosse sempre in decubito supino, il

diverticolo si svilupperebbe in tutte le direzioni seguendo le linee naturali del viscere ma poiché il

pz sta anche in piedi il diverticolo per effetto della gravità tende a pendere verso il basso con

riempimento (replezione) agevolato del diverticolo che > progressivamente di dimensioni fino ad

ostruire il lume esofageo.

Il diverticolo è costituito da colletto che rappresenta la porta d'ingresso del diverticolo, corpo e

fondo.

Gli alimenti possono seguire una duplice via: la via naturale lungo il lume esofageo, oppure

imboccano il colletto riempiendo il diverticolo che > progressivamente di dimensioni, esercitando

una compressione ad-estrinseco sulla parete dell’esofago soprattutto a sx perché il diverticolo

spesso si forma a sx, con conseguente < del lume esofageo, impedendo il passaggio degli alimenti

nello stomaco, fino a quando il pz è costretto ad interrompere l’alimentazione perché il diverticolo è

ormai pieno di cibo.

Tutto ciò provoca una grave disfagia paradossa perché il pz crede che il cibo finisca nello stomaco

mentre in realtà finisce nel diverticolo che > di volume fino a provocare disfagia e senso di

soffocamento.

Il Diverticolo Faringo-Esofageo di Zenker rappresenta il 90% dei diverticoli esofagei colpendo

soprattutto soggetti di sesso M con età media di 60 aa: in tal caso si ha l’estroflessione della tonaca

mucosa e sottomucosa esofagea a livello di un punto di debolezza della tonaca muscolare o

locus minoris resistenziae corrispondente al triangolo di Laimer cioè il punto di giunzione

faringo-esofagea, tra il muscolo costrittore inferiore della faringe e il muscolo crico-faringeo, che

rappresenta un’area di debolezza perché non è ricoperta da muscoli.

Si tratta di un diverticolo da pulsione perché è dovuto ad una ipertensione endoluminale patologica

che agisce contro la parete posteriore della giunzione faringo-esofagea con graduale estroflessione

della mucosa.

Il diverticolo si riempie di cibo e tende a svilupparsi verso il basso, comprimendo l’esofago fino a

ridurlo ad un esile filo.

Nel 50% dei casi il diverticolo di Zenker è associato all’ernia iatale o al RGE con > della P

endoluminale soprattutto a livello dello sfintere esofageo superiore.

I SINTOMI sono:

- disfagia perché il cibo si arresta a livello del collo e il pz cerca di favorire la sua progressione

muovendo la testa e comprimendosi il collo.

- rigurgito tardivo con cibo che ritorna alla bocca, oppure passa nelle vie respiratorie con tosse fino

a provocare una broncopolmonite ab ingestis.

- scialorrea, cioè eccessiva salivazione.

- alito di cattivo odore (fetido) da fermentazione del cibo che ristagna nella sacca diverticolare.

La DIAGNOSI si basa su:

Rx faringo-esofageo con m.d.c. baritato in proiezione antero-posteriore e laterale, valutando

la sede, il volume e i rapporti del diverticolo: il m.d.c. riempie il diverticolo mettendo in evidenza

un livello idro-aereo in posizione di ortostasi, cioè il livello dove finisce la parte liquida, solida o

semisolida e comincia la parte aerea.

Esame endoscopico consente di evidenziare il colletto del diverticolo, lo stato della mucosa che

può essere infiammata o ulcerata in seguito ad episodi di esofagite da RGE.

L’endoscopia deve essere eseguita con molta cautela perché c’è il rischio di perforare la parete del

diverticolo che è sottile e fragile.

Le Complicanze del diverticolo di Zenker sono:

- Infiammazione o Diverticolite: è dovuta al ristagno del cibo indigerito e putrefatto nel

diverticolo, trasformazione dei batteri saprofiti in batteri patogeni, proliferazione batterica e

infiammazione della mucosa del diverticolo cioè diverticolite oppure delle strutture adiacenti al

diverticolo con peridiverticolite fino alla flogosi settica nei casi più gravi.

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- Crisi di soffocamento: quando il cibo riempie il diverticolo si ha la dilatazione progressiva del

diverticolo, per cui il pz avverte una massa espansiva o un corpo estraneo che comprime la trachea

poiché la trachea si trova anteriormente all’esofago.

- Perforazione della parete diverticolare: la solidificazione del contenuto diverticolare provoca

l’erosione della mucosa del diverticolo con conseguente emorragia, ad alto rischio di fistola

esofago-tracheale, flemmone del collo o mediastinite che è letale nel 98% dei casi.

La Terapia è soprattutto chirurgica: si esegue un'incisione lungo il margine anteriore del muscolo

sternocleidomastoideo di sx, isolando i vasi del collo verso l’esterno, cioè vena giugulare e arteria

carotide, si giunge alla parete faringo-esofagea e al sacco diverticolare, isolando il colletto del

diverticolo. S'introduce una sonda dalla bocca fino al di sotto del diverticolo per evitare che dopo la

resezione del colletto si abbia la stenosi dell’esofago e si sutura con la suturatrice meccanica.

Se il diverticolo è piccolo oppure nel caso di pz anziani o particolarmente defedati, si ricorre alla

diverticolopessi: si sospende il fondo del diverticolo ai muscoli del collo in modo che il colletto si

trovi in posizione declive e la sacca non possa riempirsi.

Prima dell’intervento si esegue una manometria esofago-gastrica e una pH-metria delle 24 h: in

caso di ipertono dello sfintere esofageo superiore si esegue una miotomia del muscolo crico-

faringeo e della muscolatura esofagea sottostante per circa 4 cm per evitare le recidive.

Bisogna bloccare le cause che hanno provocato la formazione del diverticolo: RGE, ernia iatale…

I Diverticoli Epifrenici sono diverticoli da pulsione che in genere interessano il 3° distale

dell’esofago, leggermente al di sopra del diaframma, con Ø < 4 cm, raramente più grande.

In genere, sono associati a disordini della motilità esofagea come acalasia, oppure stenosi, ernia

iatale, che ostacolano il passaggio del cibo nello stomaco con > della P endoluminale, dilatazione

dell’esofago in toto o megaesofago e formazione del diverticolo epifrenico la cui parete è costituita

da tutti gli strati della parete esofagea.

I Sintomi sono: pirosi, disfagia, dolore retrosternale dovuto allo spasmo dello sfintere esofageo

inferiore e al RGE. La digestione può essere difficile con nausea ed eruttazioni, singhiozzo,

rigurgito di alimenti fetidi.

La Complicanza più frequente è l’esofagite da RGE.

La Diagnosi si basa su:

Rx con m.d.c baritato che riempie il diverticolo consentendo la sua visualizzazione.

Endoscopia per valutare la sede, colletto del diverticolo e le eventuali lesioni tipiche

dell’esofagite da RGE.

Manometria e pHmetria esofagea per valutare le alterazioni del LES.

La Terapia è chirurgica con miotomia longitudinale del tratto esofageo inferiore associata ad una

plastica antireflusso per evitare le recidive e l’esofagite da RGE.

La resezione del diverticolo è indicata in caso di diverticoli voluminosi, con parete infiammata,

oppure in caso di diverticoli con colletto molto stretto.

Il Diverticolo Paratracheo-Bronchiale molto raro, è un diverticolo da trazione situato a livello

della biforcazione tracheale, dovuto ad una flogosi cronica a partenza polmonare, quasi sempre

tubercolare, con formazione di un pacchetto di linfonodi tra esofago e albero tracheo-bronchiale,

che aderiscono alla parete esofagea e vanno incontro ad un processo di necrosi caseosa cicatriziale

esercitando una trazione sulla parete esofagea, che si estroflette formando il diverticolo.

In genere, il diverticolo paratracheo-bronchiale ha una forma di cono, con colletto ampio non tende

ad aumentare di volume grazie alla presenza del tessuto cicatriziale circostante e alla reazione

infiammatoria periesofagea.

In alcuni casi si ha la suppurazione del linfonodo che si svuota nell’albero tracheo-bronchiale e nel

lume esofageo, con conseguente fistola esofago-tracheale che può guarire da sola con

cicatrizzazione, oppure mediante medicamenti eseguiti per via endoscopica tracheale ed esofagea,

mentre la terapia chirurgica è richiesta solo in caso di gravi complicanze cioè quando si crea una

comunicazione stabile tra apparato digerente e apparato respiratorio.

In genere è asintomatico perché è di piccole dimensioni, raramente è grande e con colletto stretto

tale da provocare diverticolite con disfagia e dolore toracico.

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In caso di fistola esofago-tracheale il pz presenta tosse violenta dopo ingestione di cibi liquidi e

broncopolmonite ab ingestis. In questo caso si posiziona un sondino naso-gastrico, si ripulisce

l’albero tracheo-bronchiale, si isola e si asporta la fistola, si chiude la breccia tracheale ed esofagea.

DISORDINI MOTORI o DISCINESIE ESOFAGEE

I Disordini Motori dell’Esofago o Discinesie Esofagee comprendono le alterazioni del tono,

della peristalsi e della coordinazione sfinterica dovute a diverse patologie, cioè acalasia esofagea,

spasmo esofageo diffuso e esofagiti da RGE.

L’ACALASIA ESOFAGEA è un’alterazione motoria congenita o acquisita dell’esofago,

caratterizzata da una incoordinazione motoria di natura funzionale del 3° distale dell’esofago fra

peristalsi e apertura del cardias o giunzione esofago-gastrica.

Infatti, si ha una stenosi funzionale con chiusura del 3° distale dell’esofago e riapertura a scatto, a

differenza della stenosi organica dove non si ha più la riapertura.

I SINTOMI della acalasia esofagea sono disfagia cioè difficoltà nel transito del bolo alimentare sia

per i cibi liquidi che solidi e spesso si tratta di una disfagia paradossa cioè maggiore per i liquidi

che per i cibi solidi: infatti, i cibi solidi per effetto della gravità possono favorire l’apertura a scatto

dell’esofago e riescono a passare nello stomaco, rispetto ai liquidi. Inoltre calo ponderale.

La DIAGNOSI si basa su:

Rx esofageo: evidenzia un notevole > del Ø esofageo, con parte terminale che assume un aspetto

a “coda di topo” ridotto ad un filo. Nelle forme gravi l’esofago presenta delle dimensioni notevoli

per cui si parla di “megaesofago cardiospastico” dovuta al restringimento a valle con difficoltà del

passaggio del cibo nello stomaco, con ipertensione endoluminale, per cui l’esofago terminale

assume un “aspetto a calzino” perché si ripiega su se stesso e si appoggia sul diaframma.

In alcuni casi l’ipertensione endoluminale provoca la formazione del diverticolo epifrenico.

Endoscopia dopo aver lavato bene l’esofago svuotandolo dai residui di cibo, osservando la

dilatazione del lume esofageo, l’entità dell’esofagite con eritema della mucosa, oppure ulcerazioni

ed emorragia. Inoltre, si può osservare il restringimento del tratto inferiore dell’esofago.

Manometria esofagea: per valutare le alterazioni dei movimenti dell’esofago acalasico e il

notevole > della P endoluminale.

L’onda peristaltica I è assente mentre ci sono delle onde III ripetitive insufficienti, il LES non si

rilascia e la P anziché scendere a zero, si riduce solo del 30%, impedendo il passaggio del cibo nello

stomaco.

La TERAPIA è chirurgica con esofagocardiomiotomia extramucosa longitudinale secondo Heller

per via toracica o laparotomica: si incide la tonaca muscolare del tratto inferiore dell’esofago per

4-5 cm e per 2-3 cm sulla parete gastrica. Bisogna stare attenti a non perforare la tonaca mucosa.

Si esegue una plastica antireflusso per evitare l’esofagite da RGE e si controlla la situazione con

una manometria esofagea intraoperatoria.

SPASMO ESOFAGEO DIFFUSO

Lo Spasmo Esofageo Diffuso è un disordine motorio dell’esofago caratterizzato da ipertono e

iperattività della muscolatura della metà inferiore dell’esofago, con onde peristaltiche III abnormi,

saltuarie, intermittenti alle onde peristaltiche I normali che avvengono simultaneamente in diversi

punti dell’esofago con onde a doppio picco, con P alta o bassa, la funzione del LES è normale.

I SINTOMI sono: dolore epigastrico o retrosternale, costante e violento durante la contrazione

alcune volte irradiato al dorso, disfagia.

La DIAGNOSI è utile durante l’attacco doloroso, altrimenti l’esofago appare normale: l’Rx

esofageo evidenzia un aspetto dell’esofago a cavatappi o a pila di piatti, mentre la manometria

esofagea evidenzia una serie di onde III simultanee e ripetitive in diversi punti dell’esofago.

La TERAPIA si basa sulla miotomia extramucosa longitudinale dei 2/3 inferiori dell’esofago per

via toracotomica sx senza interessare il LES per evitare una patologia iatrogena.

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ESOFAGITI da REFLUSSO GASTRO ESOFAGEO

L’Esofagite da Reflusso Gastro-Esofageo RGE si verifica in seguito a turbe della motilità

dell’esofago con reflusso del contenuto gastrico acido nell’esofago cioè HCl e pepsina, per cui si

parla di esofagite acida, più raramente si ha un reflusso alcalino cioè succo biliare e pancreatico,

per cui si parla di esofagite alcalina, spesso dovuta ad acloridria, gastrite atrofica, uso di H2-

antagonisti, piloroplastica, gastro-entero-anastomosi, resezione gastrica.

Queste sostanze vanno a provocare delle lesioni della mucosa esofagea, cioè l’esofagite da RGE.

In condizioni normali si ha l’intervento di alcuni Meccanismi Antireflusso, cioè tono del LES,

angolo di His, integrità dell’orifizio esofageo del diaframma tale da evitare l’ernia iatale da

scivolamento, mantenendo la giunzione esofago-gastrica in posizione sottodiaframmatica, integrità della membrana freno-esofagea, tessuto retro-esofageo, pars condensa del piccolo

omento e arteria gastrica sx.

Il reflusso è fisiologico nel neonato consentendo di difendersi dai pasti abbondanti, viene

considerato patologico quando il bambino rigurgita frequentemente ed abbondantemente, con

vomito ripetuto, anemia, calo ponderale, crisi asmatiche, broncopolmoniti recidivanti.

Il RGE è patologico quando è frequente e si ha il ristagno prolungato dei succhi gastroduodenali nel

lume esofageo.

La CAUSA principale del RGE è l’incontinenza del LES dovuta a:

cause esofagee: ipotonia del LES in caso di sclerodermia, fumo di sigaretta, esofagite e <

della resistenza della mucosa, farmaci calcio-antagonisti e colinergici, β-adrenergici, manovre

chirurgiche ed endoscopiche, < della clearance esofagea.

cause gastriche: ritardo dello svuotamento, reflusso duodeno-gastrico da asincronismo della

peristalsi gastro-duodenale, > volume gastrico da pasti abbondanti o altre cause, > della P

gastrica in caso di obesità, gravidanza, ascite, abiti stretti, ernia iatale da scivolamento o

rotolamento, gastrectomia...

ipotiroidismo, nevrosi.

forme idiopatiche nel 10% dei casi.

Quindi dal punto di vista PATOGENETICO si ha una < del tono LES, che normalmente è chiuso

con una P di 15-20 mmHg, mentre nel pz con reflusso la P è sempre < 10 mmHg.

I SINTOMI del RGE variano a seconda dell’entità della lesione, cioè frequenza e durata degli

episodi, quantità di materiale refluito e sue caratteristiche, capacità di clearance dell’esofago,

potere neutralizzante della saliva.

Mediante l’indagine endoscopica è possibile distinguere l’esofagite da RGE in 3 gradi (Grading

Endoscopico):

esofagite di I grado o esofagite eritemato-edematosa: la mucosa si presenta arrossata in toto o

a chiazze ed edematosa, cioè gonfia. Il pz presenta pirosi e dolore retrosternale irradiato al dorso,

spesso notturno o dopo ingestione di cibi irritanti, comparendo o accentuandosi in decubito

orizzontale. Questo stadio non ha corrispettivi radiologici.

esofagite di II grado o esofagite ulcero-emorragica: la mucosa presenta delle ulcerazioni

piccole e superficiali oppure estese e profonde, che all’Rx si presentano come immagini di plus

della parete esofagea, che tendono a sanguinare quando vengono in contatto con l’endoscopio,

per cui si ha sangue occulto nelle feci ed anemia ipocromica. E’ utile la biopsia per la diagnosi

differenziale con il carcinoma esofageo. Il pz presenta dolore epigastrico continuo, urente,

gravativo, irradiato in sede retrosternale fino alla base del collo, di durata variabile da qualche

secondo a qualche minuto, disfagia, anemia acuta da emorragie macroscopiche cioè melena ed

ematemesi, e in alcuni casi la situazione peggiora in seguito alla perforazione dell’ulcera esofagea.

esofagite di III grado o esofagite sclero-cicatriziale: dovuta alla riparazione delle ulcere da

parte di tessuto connettivale che va incontro alla sclerosi da retrazione cicatriziale, la zona

interessata diventa rigida, anelastica fino alla stenosi con dilatazione dell’esofago a monte che

viene confermata anche dall’Rx dell’esofago con pasto baritato. Il pz presenta disfagia continua,

ingravescente, scialorrea, rigurgito, dimagrimento, dolori scarsi.

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La DIAGNOSI del RGE oltre all’Endoscopia e all’Rx esofageo con m.d.c. si basa anche sulla

manometria e pH-metria esofagea consentono di valutare il n° dei reflussi e la loro durata, e il n°

di reflussi che hanno una durata > 5 minuti. Si applica il punteggio di De Meester: normalmente è

compreso tra 0 e 18, possono comparire anche 50 episodi di reflusso nelle 24 h, ma non più di 2 o 3

episodi con durata superiore a 5 minuti.

In caso di esofagite da RGE il punteggio di De Meester è nettamente superiore a quello normale.

Le COMPLICANZE del RGE sono:

L’emorragia si verifica in caso di ulcerazioni diffuse e profonde, con ematemesi, melena, shock

ipovolemico, anemia ipocromica.

La metaplasia della mucosa o esofago di Barrett è la sostituzione dell’epitelio pavimentoso del

segmento distale dell’esofago con epitelio cilindrico colonnare, tipico del corpo gastrico, cardias e

tenue, nel tentativo di riparare le lesioni ulcerose.

L’esofago di Barrett può favorire l’insorgenza di un’ernia iatale, una stenosi esofagea cicatriziale

con accorciamento dell’esofago e nel 5-6 % dei casi evolve in un adenocarcinoma essendo una

lesione precancerosa.

La stenosi è caratterizzata da un restringimento concentrico del lume esofageo e con disfagia

grave che richiede un trattamento chirurgico per favorire la comunicazione con lo stomaco.

La TERAPIA è medica nelle fasi iniziali: si somministrano farmaci bloccanti i recettori H2

dell’istamina, come la cimetidina, la ranitidina (Ranidil) e l’omeprazolo per ridurre l’acidità gastrica

e l’irritazione della mucosa esofagea.

Inoltre, si usano farmaci per > il tono del LES, come l’acido alginico ricavato dalle alghe,

carbenoxolone ricavato dalla liquirizia, e i procinetici che > la propulsione dell’onda peristaltica.

Il pz deve evitare di andare a letto a stomaco pieno, deve dormire tenendo la testa sollevata di 10-15

cm, evitare i pasti abbondanti, bere bevande gassate, alcool, limone, arance, cioccolata, succo di

pomodoro, grassi...

La stenosi viene eliminata con le dilatazioni usando le olive di Eder-Puestow o la sonda di Celestin

a calibro crescente oppure con un catetere a palloncino che viene gonfiato per dilatare la stenosi.

In caso di complicanze spesso sono necessarie le resezioni del tratto esofageo interessato.

Tumori dell’Esofago

I Tumori dell’esofago sono piuttosto rari, distinti in benigni come il leiomioma che origina dalla

muscolatura liscia esofagea, fibromi, lipomi, e tumori maligni come l’adenocarcinoma che

rappresenta il 60-70% di tutte le forme, mentre sarcomi, melanomi e linfomi sono rarissimi.

Il CARCINOMA ESOFAGEO è più diffuso in estremo oriente mentre in Italia è meno frequente

rispetto al cancro della mammella, polmone, colon-retto e stomaco, colpisce soprattutto soggetti di

sesso M con rapporto M/F = 3/1 ed età media di 60-70 aa. In genere interessa il 3° medio e inferiore

dell’esofago, raramente la parte cervicale, e possiamo fare una distinzione tra:

─ cancro stenosante: è la forma più frequente (43%), interessa il 3° inferiore o distale

dell’esofago, inizialmente ha uno sviluppo intraparietale, poi endoluminale, fino a provocare una

stenosi del lume esofageo che impedisce la comunicazione tra esofago e stomaco.

─ cancro vegetante (37%): interessa la parte intermedia o toracica dell’esofago, si sviluppa nel

lume esofageo con aspetto a cavolfiore, fino a provocare ostruzione esofagea.

─ cancro con placca ulcerata (20%) interessa la parte superiore o cervicale dell’esofago.

I Fattori Predisponenti sono:

─ assunzione di cibi e bevande bollenti soprattutto nei paesi tropicali, responsabili di ustioni

croniche che sono riparate da tessuto connettivale, per cui si ha displasia, metaplasia, fino alla

cancerizzazione; abuso di bevande alcoliche, tabacco, RGE persistente.

─ precancerosi: ulcerazioni croniche, esofagiti da caustici, membrane esofagee, metaplasia

cilindrica della mucosa esofagea o esofago di Barrett.

I SINTOMI nelle fasi iniziali sono assenti e spesso insorgono solo quando la neoplasia ha ostruito

più del 60% del lume esofageo provocando disfagia ingravescente prima per i cibi solidi, poi per i

liquidi, rapido calo ponderale, scialorrea, dolore epigastrico o retrosternale continuo da

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diffusione periesofagea del tumore con odinofagia (dolore al passaggio del bolo alimentare) e

sensazione di corpo estraneo, rigurgiti frequenti ad alto rischio di polmonite ad ingestis, sangue

occulto nelle feci e anemia ipocromica,

Le Vie di Diffusione del tumore sono:

- per continuità interessa tutta la parete esofagea fino al connettivo periesofageo.

- per contiguità si diffonde alla trachea, bronco principale di sx, laringe, tiroide, aorta, pericardio,

vene polmonari inferiori, colonna vertebrale, diaframma, lobo sx del fegato.

- per via linfatica alla ricca rete linfatica intraparietale, linfonodi latero-cervicali e sovraclaveari,

mediastinici periesofagei superiori, medi e inferiori, paratracheali e intratracheo-bronchiali,

linfonodi dell’ilo polmonare e del tronco celiaco.

- per via ematica provoca metastasi a distanza cioè epatiche, ossee, polmonari e cerebrali.

La DIAGNOSI si basa soprattutto sull’EGDS che consente di valutare la sede, l’ostruzione del

lume esofageo e soprattutto di eseguire delle biopsie multiple con esame istologico per valutare

la natura della neoplasia. L’Rx con pasto baritato è utile solo nelle fasi avanzate in presenza di

lesioni già sintomatiche, mentre per la stadiazione preoperatotia sono utili la TAC, RMN, Ecografia,

Laparoscopia utili per valutare la presenza di metastasi e lo stadio in cui si trova la neoplasia per

fare una scelta terapeutica opportuna. Abbiamo la Classificazione TNM:

─ Tis: tumore in situ, limitato alla tonaca mucosa.

─ T1: il tumore invade la sottomucosa.

─ T2: il tumore invade la muscolaris propria.

─ T3: il tumore invade l’avventizia.

─ T4: il tumore invade le strutture adiacenti cioè trachea, aorta, colonna vertebrale...

─ N0: nessuna metastasi linfonodale.

─ N1: metastasi ai linfonodi regionali cioè ai linfonodi cervicali, mediastinici, perigastrici.

─ M0: nessuna metastasi a distanza.

─ M1: metastasi a distanza.

La PROGNOSI in genere è sfavorevole: la diagnosi è tardiva e la diffusione della neoplasia alle

strutture adiacenti è immediata, dato che l’esofago non è rivestito da una tonaca sierosa.

Nelle fasi iniziali la sopravvivenza a 5 aa è del 60% mentre nelle fasi terminali è del 2%.

La TERAPIA chirurgica è il trattamento di prima scelta anche se raramente è possibile un

trattamento radicale poichè la diagnosi spesso è tardiva e perchè l’esofago dal punto di vista

anatomico si trova in sede intramediastinica, presenta un ricco drenaggio linfatico e vari rapporti

con le strutture adiacenti soprattutto con trachea, carena bronchiale, arco della vena azigos, aorta

discendente.

In caso di carcinoma del 3° medio o inferiore si ricorre alla esofago-gastroplastica per via

toraco-freno-laparotomica, tenendo conto che lo stomaco è riccamente vascolarizzato e presenta un

contenuto non settico: si isola l’esofago dalle strutture adiacenti e si esegue la resezione del tratto

esofageo interessato dal tumore più un lungo tratto a monte e a valle come limiti di sicurezza

oncologica, eventualmente associato alla asportazione dei linfonodi pericardiali, della piccola

curvatura gastrica, del tripode celiaco e arteria epatica comune.

Si scheletrizza lo stomaco cioè si lega l’arteria gastrica sx e lo stomaco viene tubulizzato cioè si

reseca la regione del cardias e il segmento craniale della piccola curva, costruendo un tubulo

costituito dalla regione antrale e grande curvatura gastrica, vascolarizzato dall’arteria gastrica dx e

gastroepiploica dx: il tubulo gastrico viene portato in alto attraverso l’orifizio esofageo del

diaframma, opportunamente dilatato, eseguendo un’anastomosi esofago-gastrica intratoracica

mediante la sutura meccanica con Stappler perchè la sutura manuale è ad alto rischio di deiscenza

in torace con mediastinite o in addome con peritonite e shock settico ad alto rischio di mortalità.

Spesso è necessaria la resezione di tutto l’esofago: si scolla l’esofago dalla parte membranosa o

posteriore della trachea, partendo dal basso verso l’alto, attraverso lo jatus esofageo del diaframma,

si scolla l’esofago dalla aorta discendente con le dita indice e pollice mediante la digito-plasia,

dopo aver dilatato lo sfintere esofageo del diaframma.

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Si lega l’arteria gastrica di sx, si esegue la manovra di Cocker o cocherizzazione cioè si libera

tutta la C duodenale e si esegue una piloroplastica incidendo longitudinalmente e suturando

trasversalmente il piloro che perde la fx sfinterica e garantisce il passaggio del contenuto

gastrointestinale. Si sfila l’esofago dal basso verso l’alto in modo che il tubulo gastrico avvolto da

una membrana di cellofan possa scivolare in alto prendendo il posto dell’esofago mentre il piloro

prende la posizione del cardias e lo stomaco viene anastomizzato alla faringe.

Il chirurgo può scegliere diverse vie per portare lo stomaco in alto, cioè:

- via sottocutanea davanti allo sterno, facile dal punto di vista chirurgico ma è molto fastidiosa per

il pz, esposta a tutti i traumi, brutta per l’estetica.

- via retrosternale attraverso un tunnel ricavato posteriormente allo sterno.

- via mediastinica: è la più valida perchè lo stomaco va ad occupare la sede naturale dell’esofago,

anche se perde la sua fx di serbatoio, per cui il pz dovrà fare dei pasti piccoli e frequenti, facili da

digerire.

Quando lo stomaco presenta dei problemi di vascolarizzazione, anomalie congenite o un tumore,

possiamo usare il colon trasverso e parte del colon sx, con peduncolo vascolare dato dall’arteria

colica sx, ramo dell’arteria mesenterica inferiore, eseguendo un’anastomosi laringo-colica in alto e

colo-gastrica in basso.

Spesso la terapia del carcinoma esofageo è solo palliativa-sintomatica per via endoscopica cioè

fotocoagulazione con laser, elettrocoagulazione, terapia fotodinamica, dilatazione e inserimento di

protesi metalliche espansibili, oppure si ricorre alla radioterapia che puó essere associata alla

polichemioterapia con cisplatino, 5FU, vindesina, con risoluzione della disfagia nei 2/3 dei pz.

STOMACO

Lo Stomaco è un viscere sacciforme posto tra esofago e duodeno, situato in cavità addominale al di

sotto del diaframma, occupando l’ipocondrio sx e parte dell’epigastrio, presenta parete anteriore,

parete posteriore, margine dx concavo o piccola curvatura, margine sx convesso o grande curvatura.

La parete anteriore è in rapporto col lobo sx del fegato, diaframma e muscolo trasverso

dell’addome. La parete posteriore è in rapporto col diaframma, faccia gastrica della milza,

ghiandola surrenale e rene sx, corpo del pancreas, colon trasverso e tramite l’interposizione del

mesocolon trasverso è in rapporto con la porzione ascendente del duodeno (4^ porzione), flessura

duodeno-digiunale e anse dell’intestino tenue mesenteriale.

La piccola curvatura dello stomaco abbraccia con la sua concavità l’aorta addominale, pilastri

mediali dx e sx del diaframma, tronco o tripode celiaco, plesso celiaco e colonna vertebrale.

La grande curvatura dello stomaco è in rapporto con il centro tendineo del diaframma (tramite

questo con il cuore), il muscolo trasverso dell’addome, la flessura sx del colon e il colon trasverso.

Inoltre, lo stomaco presenta 2 orifizi, cioè il cardias a livello della T10 che consente la

comunicazione tra l’esofago e lo stomaco, e il piloro a livello della L1 a dx della linea mediana che

permette la comunicazione tra stomaco e duodeno.

Lo stomaco può essere distinto in 3 parti cioè fondo, corpo e parte pilorica: il fondo è la parte

prossimale dello stomaco, ha una forma di cupola che si adatta alla concavità del diaframma, non è

mai occupato dal materiale gastrico ma da una grossa bolla d’aria detta “bolla gastrica”, il corpo è

la parte dilatata dello stomaco, la parte pilorica è costituita dall’antro pilorico e dal canale pilorico

che comunica col duodeno mediante lo sfintere pilorico.

Il fondo e il corpo rappresentano la parte acido-secernente, mentre l’antro pilorico la parte alcalino-

secernente e ormone secernente.

Il peritoneo riveste lo stomaco ad eccezione del cardias e una parte del fondo gastrico dove si

ripiega formando il legamento gastro-frenico. Poi abbiamo il legamento gastro-lienale che si porta

dalla faccia posteriore dello stomaco all’ilo splenico e in cui decorrono i vasi gastrici brevi,

collaterali dell’arteria gastro-lienale. Il peritoneo a livello della grande curvatura si ripiega a

formare il legamento gastro-colico che si porta dalla flessura sx del colon al colon trasverso, fino

alla flessura dx del colon e al duodeno, costituendo la radice anteriore del grande omento, mentre

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lungo la piccola curvatura il peritoneo forma il legamento epato-gastrico che si continua a dx col

legamento epato-duodenale formando il piccolo omento che si fissa al fegato.

La parete gastrica è costituita dalla tonaca mucosa, tonaca sottomucosa, tonaca muscolare e tonaca

sierosa peritoneale.

La superficie interna presenta le pieghe gastriche che tendono a scomparire con l’arrivo degli

alimenti perché si distendono, mentre a livello della piccola curvatura costituiscono il canale

gastrico o Magenstrasse che rappresenta la via che seguono i liquidi nello stomaco.

Lo stomaco presenta vari tipi di ghiandole:

ghiandole cardiali tubulari composte, a livello del cardias.

ghiandole gastriche p.d. o principali tubulari semplici, a livello del fondo e del corpo gastrico,

costituite da diversi tipi di cellule, cioè:

- cellule principali o adelomorfe: secernono il pepsinogeno, precursore della pepsina che è l’enzima

responsabile della digestione e scomposizione dei cibi in costituenti elementari.

- cellule di rivestimento o delomorfe: secernono l’HCl importante per la denaturazione delle

proteine in modo da portare il pH del succo gastrico a 2 consentendo la conversione da pepsinogeno

a pepsina, poi secernono il fattore intrinseco di Castle FI che è una glicoproteina legante la vit.B12

presente negli alimenti e che in caso di carenza è responsabile della anemia megaloblastica da

carenza di vit.B12.

- cellule enterocromaffini o argentaffini: secernono la serotonina che stimola la contrazione della

muscolatura liscia intestinale.

ghiandole piloriche a livello del piloro, sono costituite dalle cellule G secernenti la gastrina che

stimola la secrezione dell’HCl da parte delle cellule delomorfe delle ghiandole principali e dalle

cellule argentaffini secernenti la serotonina.

La Vascolarizzazione dello stomaco origina dal tronco o tripode celiaco che è costituito da 3 rami:

- arteria gastrica sx o coronaria dello stomaco.

- arteria epatica comune da cui nascono l’arteria gastrica dx o pilorica e l’arteria

gastroduodenale da cui origina l’arteria gastro-epiploica dx.

- arteria lienale o splenica da cui nascono l’arteria gastro-epiploica sx e i vasi gastrici brevi che

decorrono nello spessore del legamento gastro-lienale.

L’arteria gastrica sx si anastomizza con l’arteria gastrica dx lungo la piccola curvatura formando

un’arcata vascolare, mentre l’arteria gastro-epiploica dx e sx si anastomizzano lungo la grande

curvatura formando un’altra arcata.

Le due arcate si uniscono dietro al piloro dando origine ad una serie di vasi che penetrano nella

parete dello stomaco, formando un plesso muscolare e un plesso sottomucoso dando origine alle

arteriole per la mucosa.

Il drenaggio venoso dello stomaco si deve alla vena gastrica sx o coronaria dello stomaco e alla

vena gastrica dx o pilorica lungo la piccola curvatura, alle vene gastro-epiploiche dx e sx lungo

la grande curvatura, e alle vene gastriche brevi a livello del fondo, che sono affluenti della vena

vena mesenterica superiore e della vena lienale o splenica e cioè del sistema della vena porta.

Il drenaggio linfatico dello stomaco si deve ai linfonodi regionali dello stomaco di I livello o

perigastrici, linfonodi extragastrici di II livello, linfonodi di III livello, linfonodi di IV livello.

L’innervazione dello stomaco si deve a fibre parasimpatiche cioè ai tronchi vagali anteriore e

posteriore che innervano rispettivamente la parete anteriore e posteriore dello stomaco.

Dal tronco vagale anteriore origina un ramo discendente contiguo alla piccola curvatura, detto

nervo di Latarget da cui nascono numerosi filamenti che penetrano nella parete anteriore dello

stomaco. Inoltre, si deve ai rami dell’ortosimpatico che provengono dal 5-8° segmento toracico del

midollo spinale e si portano al plesso celiaco da cui originano i plessi gastrici superiore e inferiore

lungo la piccola e grande curvatura.

Le fibre para e ortosimpatiche formano il plesso mienterico di Auerbach nello spessore della

tonaca muscolare e il plesso di Meissner nello spessore della tonaca sottomucosa, regolando la fx

motoria e secretiva dello stomaco.

Il parasimpatico stimola l’attività secretiva e motoria mentre l’ortosimpatico la inibisce.

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Le Funzioni Gastriche sono diverse:

- funzione secretiva: muco ad azione protettiva e lubrificante, pepsinogeno, HCl e istamina.

- funzione motoria sia a stomaco vuoto (contrazioni da fame) ma soprattutto a stomaco pieno.

La peristalsi è sotto il controllo vagale e ormonale (gastrina e colecistochinina inibiscono la

contrazione dello stomaco prossimale e favoriscono quella della parte distale).

PATOLOGIE dello STOMACO

I DIVERTICOLI GASTRICI sono distinti in diverticolo vero e diverticolo falso o

pseudodiverticolo.

Il Diverticolo Vero in genere è un diverticolo congenito costituito da tutte e 3 le tonache della

parete gastrica che si verifica in seguito alla estroflessione per pulsione in un’area di debolezza

della parere stessa.

Il Diverticolo Falso o Pseudodiverticolo in genere è un diverticolo acquisito, dovuto alla trazione

esercitata sullo stomaco da aderenze di natura flogistica che si stabiliscono tra lo stomaco e la

cistifellea, linfonodi, pancreas, oppure sono dovuti alla epitelizzazione di un’ulcera penetrante con

estroflessione della mucosa e sottomucosa attraverso una zona di minore resistenza.

Nel 75% dei casi sono localizzati in sede sottocardiale a livello della parete posteriore dello

stomaco vicino alla piccola curva, nel 15% dei casi sono in sede prepilorica contigui alla piccola

curva, raramente sono localizzati a livello della grande curva, all’antro pilorico o al corpo.

I diverticoli gastrici sono asintomatici in 1/3 dei casi, negli altri casi provocano dolore epigastrico

post-prandiale, vomito, dispepsia, raramente emorragia di lieve entità in caso di complicanze, cioè

diverticolite, peridiverticolite, perforazione, ulcera peptica, cancerizzazione.

La Diagnosi si basa sull’Rx che evidenzia la presenza di un’immagine di plus a contorni regolari,

mentre l’esame endoscopico evidenzia il colletto del diverticolo e lo stato della mucosa gastrica.

La Terapia è medica antinfiammatoria, antispastici, H2-antagonisti, antibiotici in caso di necessità,

occorre seguire una dieta leggera, mentre la Terapia Chirurgica è necessaria in caso insuccesso

della terapia medica e soprattutto in presenza di complicanze.

La SINDROME da STENOSI PILORICA può essere causata da ulcera peptica e cancro antrale nei

soggetti adulti, stenosi pilorica ipertrofica nei lattanti dopo qualche settimana dalla nascita.

La stenosi pilorica impedisce lo svuotamento dello stomaco provocando vomito post-prandiale

tardivo o a digiuno, vomito alimentare abbondante, saltuario, cioè ad ogni pasto, dolore

addominale che migliora dopo il vomito, calo ponderale, disidratazione. Inoltre, a digiuno si può

osservare il segno dello sguazzamento da rimescolamento del liquido se esercitiamo delle scosse

sull’addome. La Diagnosi avviene mediante l’Rx e l’endoscopia.

La Terapia è chirurgica.

Il VOLVOLO GASTRICO è un’anomalia di posizione dovuta alla rotazione dello stomaco su uno

dei suoi assi, distinto in due tipi:

- volvolo organo-assiale (65%): la rotazione avviene lungo l’asse longitudinale dello stomaco per

cui grande curvatura e piccola curvatura invertono le proprie posizioni.

Il volvolo organo-assiale in genere è acuto con interessamento del meso e dei vasi portanti,

ostruzione delle vene e delle arterie con stasi e ischemia, fino alla necrosi viscerale, per cui si

manifesta con dolore epigastrico violento che si irradia posteriormente al dorso, nausea, vomito e

stato di shock, distensione addominale gassosa, turbe del ritmo con crisi anginosa.

- volvolo mesenterico-assiale (35%): la rotazione avviene lungo l’asse trasversale o orizzontale

dello stomaco per cui la porzione pilorica dello stomaco si pone a sx della porzione cardiale che è

tenuta fissa dalla giunzione esofago-gastrica.

Il volvolo mesenterico-assiale è di tipo cronico o intermittente e si manifesta con dolore epigastrico

vago, distensione addominale, vomito saltuario.

Il volvolo viene distinto in:

- volvolo primario o idiopatico da eccessiva motilità dello stomaco in seguito alla lassità delle

strutture di sostegno, come in caso di vomito o iperperistaltismo da eccessivo riempimento gastrico.

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- volvolo secondario: rappresenta il 75% dei casi da ernia dello jatus esofageo del diaframma, ernia

congenita o post-traumatica del diaframma, eventratio diaframmatica, risalita del diaframma dopo

resezione polmonare, ulcera peptica della piccola curva, neoplasia dell’antro pilorico.

L’Rx mette in evidenza la presenza di uno stomaco a cascata con due tasche sovrapposte.

La Terapia è chirurgica d’urgenza con resezione gastrica soprattutto nelle forme acute con parete

viscerale necrotica.

ULCERA PEPTICA

L’ULCERA PEPTICA è una malattia ad eziologia multifattoriale caratterizzata da una perdita di

sostanza che interessa la tonaca mucosa e alcune volte la muscolaris mucosae e la muscolare

propria con formazione di un cratere rotondo od ovale in genere localizzato a livello dell’antro

pilorico nell’ulcera gastrica o al bulbo duodenale nell’ulcera duodenale.

Spesso la lesione interessa contemporaneamente lo stomaco e il duodeno, oppure si diffonde da un

viscere all’altro, per cui si parla di ulcera gastro-duodenale.

L’ulcera duodenale spesso tende a guarire spontaneamente o con terapia medica, a meno che non ci

siano delle complicanze, ma rispetto all’ulcera gastrica non cancerizza mai.

Dal punto di vista Epidemiologico l’ulcera gastrica è più frequente in Giappone nei soggetti con

età compresa tra i 50 e i 65 aa, mentre l’ulcera duodenale è più frequente in Europa e USA nei

soggetti con età compresa tra i 40 e i 55 aa, con rapporto M/F di 3/1.

I Fattori Eziopatogenetici sono distinti in fattori aggressivi e deficit dei fattori difensivi.

- fattori aggressivi: ipersecrezione acida cloridro-peptica, farmaci ad azione gastrolesiva (FANS),

l’alcool, disordini psicomotori e dietetici...

- deficit dei fattori difensivi: deficit della secrezione alcalina e mucosa, deficit del meccanismo di

inibizione della secrezione gastrica, alterazione della barriera mucosa.

Normalmente la mucosa gastrica è resistente all’azione digestiva del succo gastrico grazie alla

secrezione del muco, alla superficie delle cellule epiteliali e alla stretta connessione tra le cellule,

che costituiscono una vera e propria barriera di protezione, impermeabile, così come la mucosa

duodenale non viene mai lesionata dal chimo che le giunge.

L’Ulcera Gastrica è dovuta al deficit dei fattori difensivi della mucosa, infatti spesso insorge nei pz

affetti da una gastrite cronica da reflusso duodenale di acidi biliari e succo pancreatico, causata da

< del tono dello sfintere pilorico e deficit degli ormoni enterici ad azione tonica cioè

colecistochinina e secretina con flusso retrogrado di HCl e pepsina, associati ad una < della

capacità riparativa della mucosa, per cui è un danno che si autoamplifica perchè si ha la

retrodiffusione degli idrogenioni che stimolano la secrezione acido-gastrica.

L’Ulcera Duodenale è dovuta ad una maggiore azione dei fattori aggressivi con ipersecrezione

acida associata o meno ad una riduzione della capacità di neutralizzazione a livello duodenale.

Altri fattori di rischio sono:

- accelerato svuotamento gastrico associato o meno ad un ritardato svuotamento duodenale.

- fumo di sigaretta: provoca una riduzione della secrezione dei bicarbonati a livello del pancreas che

rappresentano il tampone naturale dell’acido gastrico a livello duodenale.

- stress con intervento dell’ipotalamo che stimola la secrezione acido-peptica per via vagale.

- farmaci gastrolesivi, soprattutto i FANS cioè i farmaci antinfiammatori non steroidei, come

l’aspirina, indometacina, fenilbutazone, piroxicam..., cortisonici.

L’aspirina altera le proprietà chimico-fisiche del muco, < il flusso di sangue alla mucosa, < la

produzione dei bicarbonati, inibisce la ciclossigenasi essendo un farmaco antinfiammatorio

impedendo la conversione dell’acido arachidonico in prostaglandine che hanno azione

gastroprotettiva.

Comunque, negli ultimi anni è stato dimostrato che tra gli agenti eziologici più importanti

dell’ulcera peptica c’è l’Helicobacter pylori, cioè un batterio Gram¯, mobile perché dotato di

flagello, che viene trasmesso all’uomo mediante la carne di pollo, vitello, maiale, ovini, latte crudo,

raramente per via respiratoria o sessuale (rapporti oro-anali).

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La presenza dell’Helicobacter pylori è stata dimostrata nel 70-80% dei casi d' ulcera gastrica e nel

90-95% dei casi di ulcera duodenale.

L’infezione da Helicobacter pylori colpisce oltre il 50% della popolazione a livello mondiale,

provocando nella gran parte dei casi una gastrite cronica, soprattutto antrale, ma solo un

sottogruppo di questi pz è ad alto rischio di andare in contro ad un’ulcera peptica.

Dal punto di vista Anatomo Patologico l’ulcera peptica in genere è unica, rotondeggiante e si parla

di “ulcera solitaria”, raramente si tratta di un’ulcera duplice o multipla, di forma ovale, ellittica o

allungata, con la base ricoperta spesso da un essudato bianco-grigiastro.

L’ulcera gastrica in genere interessa l’antro pilorico e i 2/3 distali della piccola curva, a circa 6 cm

dal duodeno, raramente interessa il cardias e si presenta come una lesione escavata, rotonda od

ovale, con cratere di profondità variabile e con Ø di 1-2 cm che insorge su mucosa edematosa ed

iperemica, margini del cratere perpendicolari alla base, rilevati rispetto alla mucosa circostante.

L’ulcera duodenale in genere è localizzata a livello della parete anteriore del bulbo duodenale, a 2-

3 cm dal piloro: si presenta come una lesione unica, con Ø di ~ 1 cm, raramente > 3 cm per cui si

parla di ulcere giganti, raramente si tratta di ulcere combacianti, una sulla parete anteriore e una

sulla parete posteriore del bulbo, per cui si parla di kissing ulcers.

La morfologia è simile a quella dell’ulcera gastrica.

I SINTOMI dell’ulcera gastrica e duodenale differiscono fra di loro soprattutto per quanto riguarda

il tipo di dolore, raramente si tratta di forme asintomatiche.

L’ulcera gastrica si manifesta con dolore epigastrico crampiforme o puntorio postprandiale

precoce perché si manifesta nel giro di 30 minuti dopo i pasti associato a bruciore o pirosi, dura ~

1-2 h, per cui il pz si trova in uno stato di benessere a stomaco vuoto.

In alcuni casi il pz avverte una sensazione di gonfiore, oppure un dolore molto intenso che

s'irradia all’ipocondrio sx e alla colonna toraco-lombare, notturno o diurno.

Raramente il pz ha nausea e vomito da distensione gastrica o piloro-spasmo o da ulcera pilorica

stenosante, oppure si ha una emorragia occulta con anemia ipocromica sideropenica.

L’ulcera gastrica viene distinta in 3 tipi:

─ tipo I: tipica dei soggetti anziani, le lesioni ulcerose interessano la piccola curvatura con

gastrite cronica atrofica e < deficit dei meccanismi di difesa, con acidità ridotta o normale,

spesso con test + per Helicobacter pylori. E’ importante la diagnosi differenziale con il carcinoma

superficiale dello stomaco o early gastric cancer.

─ tipo II: più frequente in soggetti giovani-adulti, le lesioni ulcerose interessano la sede pre-

pilorica, con acidità gastrica elevata, spesso associata all’ulcera duodenale.

─ tipo III: le lesioni ulcerose sono localizzate in sede antrale, spesso associata a stenosi pilorica

o all’uso cronico di FANS.

L’ulcera duodenale si manifesta con dolore epigastrico urente, sordo o costrittivo, che insorge

dopo ~ 2-3 h dai pasti per cui è un dolore postprandiale tardivo definito come dolore da fame perchè

si manifesta a stomaco vuoto, in genere durante la notte, per cui il pz si trova in uno stato di

benessere a stomaco pieno o usando gli antiacidi, mentre non appena lo stomaco si svuota e il suo

contenuto diventa acido il dolore ricompare.

Raramente si ha vomito da spasmo o stenosi pilorica, nausea ed eruttazioni acide.

La DIAGNOSI dell’ulcera peptica si basa soprattutto sugli esami strumentali, mentre l’anamnesi e

l’esame obiettivo non forniscono dati sufficienti per una diagnosi di certezza.

Tra gli esami strumentali abbiamo:

Rx con tecnica a doppio contrasto: il pz deve essere a digiuno e l’esame deve essere eseguito nella

fase attiva della malattia.

L’ulcera gastrica si presenta come una nicchia cioè un’immagine di plus che sporge lungo la

piccola o grande curvatura dello stomaco, con aspetto a cono, a sperone, sacciforme, contorni

regolari e più o meno profonda a seconda del grado di penetrazione dell’ulcera nella parete gastrica.

Inoltre, si possono notare i processi infiammatori che accompagnano la lesione ulcerosa:

convergenza delle pliche della mucosa gastrica verso la nicchia, segno dell’indice da contrazione

spastica degli strati circolari e trasversali della muscolatura gastrica.

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Inoltre si possono osservare le deformazioni dello stomaco: a borsa di tabacco in caso di ulcera della

piccola curva, a clessidra in caso di ulcera della grande curva, a sacco in caso di ulcera stenosante

dell’antro pilorico.

L’ulcera duodenale si presentano come una nicchia a forma di coccarda.

esame endoscopico: consente di valutare la sede colpita, forma dell’ulcera, eventuali perdite di

sangue ed è possibile eseguire dei prelievi bioptici multipli a livello dei bordi e del fondo del cratere

ulceroso, perchè nel 2% dei casi l’ulcera peptica può evolvere verso il carcinoma gastrico, mentre

l’ulcera duodenale non cancerizza mai, tenendo presente che se la lesione è benigna bisogna sempre

tenere sottocontrollo la situazione mediante dei prelievi bioptici periodici, in modo da poter

intervenire tempestivamente, nelle fasi iniziali del carcinoma gastrico.

test rapido all’ureasi, urea breath test o test del respiro, esame istologico con colorazione Giemsa

o esame colturale per individuare l’Helicobacter pylori.

La TERAPIA dell’ulcera peptica in passato era solo chirurgica mentre oggi è possibile tenere

sottocontrollo la situazione mediante la terapia medica.

La Terapia Medica dell’ulcera peptica: evitare stress fisici e psichici, cibi stimolanti la secrezione

acida, cioè il brodo di carne, fritti, insaccati, caffè, bevande gassate, alcolici, evitare l’uso di farmaci

gastrolesivi (FANS e in particolare l’Aspirina).

Tra i farmaci abbiamo gli antiacidi, come il bicarbonato di calcio, il bicarbonato di sodio,

l’idrossido di alluminio e magnesio, ma soprattutto gli anti-H2 cioè farmaci antagonisti dei

recettori H2 dell’istamina (recettori situati nelle cellule parietali della mucosa gastrica produttrici

dell’HCl): ranitidina (Ranidil), cimetidina, famotidina, nixatidina, roxatidina, che hanno una

struttura simile a quella dell’istamina e agiscono per azione competitiva, inibendo la secrezione

acido-gastrica. Nel giro di 1 settimana si ha la scomparsa del dolore e nel giro di 1-2 mesi nel 90%

dei casi si ha la cicatrizzazione dell’ulcera.

La terapia deve essere personalizzata, facendo attenzione all’eventuale insorgenza di effetti

collaterali, cioè la < degli androgeni, sindromi neurologiche, disturbi del ritmo cardiaco.

A questi farmaci si può associare anche l’omeprazolo che agisce bloccando la produzione di

idrogenioni da parte delle cellule parietali per la sintesi di HCl.

Invece, per l’eradicazione dell’Helicobacter pylori si ricorre alla somministrazione di antibiotici per

7-10 gg: bismuto-metronidazolo-tetraciclina, bismuto-metronidazolo-amoxicillina, omeprazolo-

metronidazolo-claritromicina, omeprazolo-metronidazolo-amoxicillina.

La Terapia Chirurgica si basa su interventi non resettivi di tipo funzionale oppure interventi

resettivi di tipo organico.

Gli interventi non resettivi di tipo funzionale si basano sulla vagotomia utile per ripristinare la fx

gastrica, distinta in vagotomia tronculare doppia o selettiva anteriore e posteriore e vagotomia

superselettiva o gastrica prossimale o parietale.

Nella vagotomia tronculare doppia bisogna isolare e sezionare i due tronchi vagali, anteriore e

posteriore, determinando sia una < della secrezione gastrica sia la paralisi gastrica o gastroplegia

con conseguente pilorospasmo, impedendo lo svuotamento gastrico, per cui è necessaria una

piloroplastica cioè si incide longitudinalmente il piloro e si sutura trasversalmente, in modo da

impedire lo spasmo del piloro, poiché le fibre muscolari vengono interrotte, favorendo lo

svuotamento gastrico.

Per evitare questi inconvenienti si preferisce ricorrere alla vagotomia superselettiva o vagotomia

gastrica prossimale o parietale acido-secretiva, in cui non si sezionano i tronchi vagali ma si

sezionano tutte le terminazioni nervose anteriori e posteriori che vanno allo stomaco lungo la

piccola curva e che sono satelliti dei piccoli vasi che partono dall’arcata artero-venosa che sottende

la curva stessa: si sezionano solo i rami a direzione trasversale che sono acido-secernenti, fino a

livello dell’angolo cardiale, < la secrezione acida del 60-70%, risparmiando i rami antrali che sono

motori, evitando la piloroplastica.

Bisogna stare attenti perché basta trascurare un solo ramuscolo per rendere inefficace la vagotomia,

come ad esempio la mancata resezione del “nervo criminale o nervo assassino” situato dietro

l’angolo di His nella regione fundica che favorisce l’ipersecrezione acida.

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Invece, bisogna risparmiare la cosiddetta “zampa d’oca”, cioè l’ultima terminazione nervosa che

innerva l’antro pilorico, per salvare la motilità gastrica.

La Terapia Chirurgica è indicata per le ulcere che non rispondo alla terapia medica, recidive precoci

dopo sospensione della terapia farmacologica, tenendo presente che spesso il pz si rifiuta di

assumere i farmaci per lunghi periodi di tempo, in caso di complicanze cioè perforazione, stenosi,

emorragia massiva e cancerizzazione.

L’intervento resettivo di tipo organico prevede una fase demolitiva, cioè la resezione gastrica

distinta in resezione alta, polare o superiore se l’ulcera interessa la parte prossimale dello

stomaco e resezione bassa, distale o inferiore se interessa la parte distale dello stomaco.

Poi c’è la fase di ricostruzione per ristabilire la continuità del tubo digerente mediante la tecnica

di BILLROTH I o anastomosi gastro-duodenale termino-terminale oppure mediante la tecnica

di BILLROTH II o anastomosi gastro-digiunale antecolica o retrocolica, dopo resezione,

chiusura ed esclusione del duodeno dal transito alimentare (affondiamo il duodeno).

Nella Billroth I il chimo raggiunge il duodeno, stimolando la secrezione bilio-pancreatica e

l’increzione degli ormoni duodenali e procede normalmente nel digiuno, cioè si rispetta la fisiologia

gastro-duodenale (condizione di isosmolarità).

Nella Billroth II il chimo giunge direttamente al digiuno con iperosmolarità e edema

dell’anastomosi perché viene attirata acqua con conseguente sindrome dell’ansa afferente, per cui

bisogna riconvertire la Billroth II nella Billroth I, cioè si esegue una gastro-digiuno-

duodenoplastica con ansa digiunale in posizione antiperistaltica per evitare che lo stomaco si

svuoti rapidamente.

La sindrome dell’ansa afferente è una ostruzione cronica dell’ansa: il contenuto gastrico raggiunge

il digiuno causando la liberazione di colecistochinina e secretina che stimolano la secrezione bilio-

pancreatica, per cui l’ansa si distende provocando dolore epigastrico post-prandiale, lo stomaco si

svuota rapidamente e spesso si ha vomito biliare con sollievo per il pz.

Dopo l’intervento di resezione gastrica ci possono essere delle complicanze a breve termine cioè

emorragie post-operatorie, gastroplegia con ritardo della canalizzazione intestinale, deiscenza

dell’anastomosi con fistole ad alto rischio di mortalità, perforazione gastrica, pancreatite acuta post-

operatoria, oppure le complicanze a lungo termine cioè recidive, diarrea, malassorbimento e

malnutrizione, gastrite da reflusso biliare o alcalina, cancro del moncone gastrico, sindrome

dell’ansa afferente.

Le COMPLICANZE dell’ulcera peptica sono:

L’Emorragia Massiva è una complicanza molto grave con mortalità pari al 5-10% ed è più

frequente nell’ulcera gastrica in seguito all’erosione di un vaso di grosso calibro, come l’arteria

gastrica sx in caso di ulcera della piccola curva, oppure l’arteria gastro-duodenale in caso di ulcera

della parete posteriore del bulbo.

L’emorragia massiva si manifesta con ematemesi cioè l’emissione di sangue col vomito melena

cioè evacuazione di feci scure, nere, picee, posa di caffè, sintomi e segni di shock ipovolemico.

La DIAGNOSI si basa su:

Esofago-gastro-duodenoscopia EGDS che consente di escludere la presenza di varici esofagee e

la gastrite emorragica come fonte di sanguinamento, di valutare l’evoluzione dell’emorragia che se

è a getto richiede un intervento chirurgico d’urgenza.

Esami di Laboratorio consentono di valutare l’entità dell’anemia, l’HCT che è un indice diretto

della volemia.

La TERAPIA prevede l’applicazione di un sondino naso-gastrico in modo da aspirare il contenuto

gastrico e monitorare le perdite, eseguendo lavaggi gastrici con soluzione fisiologica ghiacciata e

iniettando H2 antagonisti. La nutrizione avviene per via parenterale.

Si somministrano sangue intero o emoderivati, plasma expanders, albumina plasmatica, H2O, Na+,

Ca++

, K+ per ripristinare la volemia, l’equilibrio idro-elettrolitico...

Se il sanguinamento persiste si esegue un’emostasi per via endoscopica con elettrocoagulazione o

termocoagulazione o fotocoagulazione col laser o con iniezione locale di sostanze sclerosanti,

altrimenti si ricorre alla resezione gastrica.

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La Penetrazione si verifica in caso di ulcere profonde e interessa il pancreas, il fegato, le vie biliari,

il colon trasverso, provocando dolore intenso e continuo che dall’epigastrio si irradia al dorso se la

penetrazione avviene nel pancreas, oppure si irradia all’arcata costale dx se la penetrazione avviene

nel fegato o nelle vie biliari, oppure si irradia ai quadranti addominali superiori se la penetrazione

avviene nel colon.

La TERAPIA è chirurgica con resezione gastrica associata alla vagotomia, con colecistectomia in

caso di fistole colecisto-gastrica o colecisto-duodenale.

La Perforazione può essere coperta o in peritoneo libero.

La perforazione coperta avviene lentamente e viene preceduta da processi aderenziali tra peritoneo

ed omento che tamponano la perforazione. Il pz presenta dolore continuo e profondo, senza

compromissione delle condizioni generali.

La perforazione in peritoneo libero avviene rapidamente con passaggio del contenuto gastro-

duodenale in cavità peritoneale, con peritonite e sepsi ad alto rischio di mortalità.

La perforazione può essere dovuta ad un pasto abbondante, ai FANS...

Il dolore è improvviso, violento, trafittivo, a colpo di pugnale, che dall’epigastrio si irradia in sede

precordiale, al dorso, alla spalla, a tutto l’addome, associato più o meno a vomito riflesso e chiusura

dell’alvo a feci e gas.

La Palpazione dell’addome provoca dolore e contrattura di difesa addominale, lignea.

La Percussione evidenzia una riduzione o scomparsa dell’aia di ottusità epatica dovuta al

pneumoperitoneo che all’Rx dell’addome senza m.d.c. si presenta come una bolla gassosa detta

“falce aerea sottodiaframmatica”, dovuta alla presenza di aria libera nel cavo peritoneale.

Nei casi dubbi è utile l’esplorazione laparotomica.

La Terapia è chirurgica d’urgenza: applicazione del sondino naso-gastrico, antibioticoterapia,

lavaggio peritoneale, sutura della lesione per via laparoscopica.

La Stenosi si verifica nel 3-4% dei casi di ulcera peptica, spesso localizzata al piloro o alla prima

porzione duodenale. La stenosi può essere:

- stenosi funzionale da edema e spasmo duodenale con ostacolo al transito, ristagno gastrico e

vomito, risolvibile con la terapia medica.

- stenosi organica più grave dovuta ad episodi ripetuti di cicatrizzazione dell’ulcera con alterazione

della parete e coartazione progressiva fino a impedire la comunicazione tra stomaco e duodeno, per

cui lo stomaco non si svuota più completamente, si ha un senso di tensione epigastrica, pirosi,

vomito di residui alimentari ingeriti da alcuni giorni prima.

Per cui si ha < appetito, calo ponderale, dolore crampiforme tardivo che cessa solo col vomito

abbondante, lenta disidratazione con alcalosi metabolica ipocloremica ed ipopotassiemica.

All’Rx dell’addome si nota una notevole dilatazione dello stomaco con iperperistaltismo nelle fasi

iniziali per cercare di superare l’ostacolo, poi si ha atonia gastrica con onde peristaltiche

insufficienti e volume gastrico enorme tale da occupare buona parte della cavità addominale.

L’Endoscopia è utile per confermare la dilatazione dello stomaco e perché grazie alla biopsia si

dimostra la natura cicatriziale o tumorale della stenosi.

La TERAPIA è chirurgica: si applica il sondino naso-gastrico per ripulire lo stomaco del suo

contenuto per evitare problemi di polmonite ad ingestis durante il vomito e si corregge lo squilibrio

idro-elettrolitico e calorico.

L’intervento si basa sulla vagotomia + drenaggio oppure vagotomia + resezione, mentre nei pz ad

alto rischio si ricorre alla gastro-entero-anastomosi.

La Cancerizzazione si verifica solo nel 2% circa dei casi di ulcera gastrica, mentre l’ulcera

duodenale non cancerizza mai.

La diagnosi di certezza è data dalla biopsia endoscopica multipla su vari frammenti prelevati dai

bordi e fondo dell’ulcera, associata alla citologia su spazzolato.

La TERAPIA è chirurgica, ampiamente demolitiva.

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L’ULCERA da STRESS è responsabile della gastrite acuta emorragica con < resistenza mucosa, <

flusso ematico a livello della mucosa e < dei fattori neutralizzanti gli H+, raramente si ha

ipersecrezione acida, nel 50% dei casi si ha alterazione della barriera mucosa con

retrodiffusione idrogenionica dovuta alla flogosi della parete.

Tra le Complicanze abbiamo l’emorragia digestiva per interessamento dei vasi parietali fino allo

shock ipovolemico. La Diagnosi avviene mediante l’esame endoscopico.

TUMORI dello STOMACO

I tumori dello stomaco sono distinti:

tumori benigni: il più frequente è il polipo o adenoma, mentre leiomioma, schwannoma,

mioma, fibroma, angioma sono più rari.

tumori maligni: il carcinoma gastrico è il più frequente mentre linfomi, sarcomi e maltomi

sono più rari.

I POLIPI o ADENOMI sono tumori benigni di natura epiteliale, spesso localizzati a livello

dell’antro pilorico, possono essere sessili cioè con base di impianto grande e peduncolo corto,

oppure peduncolati cioè con base di impianto piccola e peduncolo molto lungo.

Possono essere asintomatici, scoperti casualmente mediante un esame endoscopico richiesto per

altri motivi, oppure sintomatici soprattutto nel caso di polipi con peduncoli molto lunghi perchè

l’onda peristaltica spinge il polipo oltre il piloro, con difficoltà a ritornare indietro, provocando

un’ostruzione a livello del piloro. Raramente si tratta di tumori sanguinanti con melena ed

ematemesi. Si interviene chirurgicamente.

CARCINOMA GASTRICO

Il CARCINOMA GASTRICO è un tumore maligno dello stomaco di natura epiteliale che

colpisce soprattutto soggetti di sesso M con rapporto M/F = 3/1 ed età compresa tra i 50-70 aa, è più

diffuso in Giappone e altri paesi orientali, mentre è più raro nei Pesi Occidentali dove rappresenta la

35^ causa di morte per cancro nonostante la sua incidenza sia in costante declino.

In Italia l’incidenza è di ~ 32 nuovi casi/100000 abitanti/anno.

I FATTORI di RISCHIO sono:

fattori dietetici: eccessivo consumo di carne e pesce affumicati e conservati sotto sale, alimenti

ipoproteici e ricchi di grassi, dieta povera di frutta e verdura (antiossidanti).

probabile azione oncogena delle nitrosamine che si formano nello stomaco in seguito all’azione di

germi in ambiente acido a partire dai nitrati alimentari e nitriti usati come conservanti.

fattori ambientali: fumo di sigaretta, cancerogeni professionali cioè carbone, nichel, amianto.

fattori ereditari: anamnesi familiare + per carcinoma gastrico soprattutto nei soggetti che

presentano lesioni precancerose, maggiore insorgenza nei gemelli omozigoti, nei pz affetti da

sindrome di Linch tipo II, e presenza di alterazioni genetiche predisponenti come l’attivazione

del gene cMET e l’inattivazione del gene p53.

precancerosi gastriche distinte in lesioni precancerose e condizioni precancerose:

Le lesioni precancerose sono alterazioni tissutali più o meno evolute verso il cancro, come la

displasia che è un’alterazione citologica cioè della forma, dimensioni, rapporto nucleo/citoplasma,

attività mitotica, grado di differenziazione cellulare, distinta in displasia lieve e moderata che deve

essere tenuta sottocontrollo mediante una biopsia ogni 6 mesi, e displasia grave che deve essere

trattata subito chirurgicamente.

Le condizioni precancerose sono alterazioni tissutali che hanno maggiore tendenza a sviluppare

un cancro rispetto ad un tessuto sano, tra cui abbiamo:

─ ulcera peptica gastrica (2%), poliposi gastrica.

─ pz gastroresecati per ulcera peptica con tecnica di Billroth II sviluppano il cancro del moncone

residuo dopo 10-15 anni dal trattamento nel 6-10% dei casi, in seguito a reflusso biliare dall’ansa

afferente con gastrite cronica atrofica e displasia di grado variabile che sono precancerosi gastriche,

per cui i gastroresecati devono essere monitorati mediante endoscopia e biopsie 1 volta ogni 2-3 aa.

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─ gastrite cronica atrofica: flogosi cronica con scomparsa progressiva delle ghiandole presenti

nella mucosa gastrica che va in contro a metaplasia intestinale, displasia epiteliale fino alla

cancerizzazione. Si fa una distinzione tra gastrite cronica atrofica di tipo A che interessa la mucosa

acido-peptica del fondo-corpo gastrico determinando iposecrezione acida (ipoacloridria), anemia

perniciosa da deficit della sintesi del fattore intrinseco FI importante per l’assorbimento della vit-

B12 di natura autoimmune cioè da Ab anticellule parietali e Ab anti-FI e gastrite cronica

atrofica di tipo B che interessa l’antro favorita dal reflusso biliare alcalino e infezioni da

Helicobacter pylori con ipersecrezione acido-peptica.

L’Helicobacter pylori è un batterio Gram– che colonizza la mucosa gastrica provocando una

gastrite cronica superficiale fino all’atrofia della mucosa con metaplasia intestinale ad alto

rischio di cancerizzazione, per cui è importante il controllo con endoscopia ed esame istologico e

l’eradicazione dell’Helicobacter pylori con antibiotico terapia.

─ gastropatia ipertrofica o malattia di Menetriere: caratterizzata da ipertrofia della mucosa

gastrica, soprattutto a livello antrale, colpendo la componente ghiandolare o epiteliale, con

ipocloridria e proteino-dispersione, ha una degenerazione maligna nel 20 % dei casi.

Dal punto di vista ANATOMO PATOLOGICO (istopatologico) si tratta di un adenocarcinoma che

nel 51% dei casi interessa il piloro e antro pilorico, poi corpo gastrico, piccola curvatura, cardias

(7%) e raramente la grande curvatura e viene distinto in carcinoma precoce o Early Gastric Cancer

e carcinoma gastrico avanzato.

Il CARCINOMA GASTRICO PRECOCE o EARLY GASTRIC CANCER è una forma superficiale,

che interessa mucosa e sottomucosa gastrica e indipendentemente dalla presenza o meno di

metastasi linfonodali, ha una prognosi favorevole con sopravvivenza a 5 anni dopo trattamento

in oltre il 90% dei casi, infatti, la mucosa e sottomucosa gastrica presentano una ricca rete linfatica

e possiamo avere metastasi linfonodali sin dalle fasi iniziali rispettivamente nel 4% e 20% in caso di

interessamento della tonaca mucosa e sottomucosa.

E’ un tumore a crescita lenta, con tempo di raddoppiamento della massa tumorale che oscilla

tra i 2 e i 10 anni e recidive tardive rispetto al carcinoma gastrico avanzato.

Quindi è molto importante la Prevenzione Primaria evitando i fattori di rischio, soprattutto

dietetici, eradicazione dell’Helicobacter pylori, e la Prevenzione Secondaria come in Giappone

dove tutti i soggetti con età > 40 anni sono sottoposti a screening mediante un esame endoscopico,

biopsie con esame citologico e istologico, Rx a doppio contrasto, mentre in Italia lo screening è

riservato solo ai soggetti ad alto rischio cioè pz con età > 40 anni con sintomatologia gastrica,

gastroresecati per un’ulcera gastrica, pz affetti da ulcera gastrica, polipi adenomatosi, gastrite

cronica atrofica e soggetti predisposti con anamnesi familiare + per carcinoma gastrico.

L’early gastric cancer in genere ha un Ø < 2 cm, raramente si tratta di forme voluminose con 8-10

cm di Ø. Esistono 3 forme macroscopiche, cioè:

tipo I o esofitico: si sviluppa nel lume gastrico puó essere di aspetto polipoide, nodulare o villoso.

tipo II superficiale distinto nei sottotipi elevato, piano o depresso.

tipo III ulcerato o escavato: molto frequente con lesioni ulcerose spesso multiple.

I Sintomi spesso sono assenti, altre volte sono aspecifici cioè sensazione di peso epigastrico,

dolenzia, eruttazioni, difficoltà nella digestione.

La Diagnosi si basa sulla gastroscopia con biopsie multiple delle lesioni.

La Terapia si basa sulla Resezione Mucosa Endoscopica (EMR), resezione combinata

endoscopica-laparoscopica-laparotomica della parete dello stomaco, laserterapia.

Il CARCINOMA GASTRICO AVANZATO per definizione è un tumore che ha superato la

sottomucosa e infiltrato la tonaca muscolare, sottosierosa, sierosa e strutture adiacenti.

Dal punto di vista Anatomo Patologico macroscopico abbiamo Classificazione di Borrmann

con distinzione tra una forma ulcerata, vegetante e infiltrante:

─ forma ulcerata: si presenta come una massa fungoide più o meno voluminosa con ulcerazione

crateriforme a margini duri e rilevati, più o meno profonda nella parete gastrica, raramente

raggiunge la sierosa e i visceri contigui, come fegato e pancreas. E’ una forma friabile (si rompe in

tanti frammenti) responsabile di emorragia occulta, raramente massiva.

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─ forma vegetante: si presenta come una vegetazione superficiale di tipo polipoide, piccolo oppure

a cavolfiore, più voluminoso ma raramente interessa tutto lo stomaco.

─ forma infiltrante: tende ad infiltrare la parete gastrica che è ispessita e rigida.

Dal punto di vista Istologico abbiamo la Classificazione di Lauren con distinzione tra:

─ forma di tipo intestinale con cellule neoplastiche che crescono espandendosi nella mucosa

gastrica, corrispondente alla forma espansiva della classificazione di Ming, con prognosi buona.

─ forma di tipo diffusa costituito da cellule piccole ad anello con castone che infiltrano tutta la

parete gastrica, dotate di scarsa adesione cellulare per cui si diffondono a distanza dalla massa

tumorale primitiva, corrispondente alla forma infiltrativa secondo la classificazione di Ming, con

prognosi sfavorevole.

Il carcinoma gastrico può Diffondersi:

─ per continuità a tutta la parete gastrica.

─ per contiguità al pancreas, fegato, mesocolon trasverso... e per via transcelomatica al peritoneo

con conseguente carcinosi peritoneale, ascite più o meno evidente.

─ per via linfatica alle stazioni linfonodali di I, II, III, IV livello.

─ per via ematica: attraverso la vena porta si hanno metastasi epatiche e superando il filtro epatico

si hanno metastasi polmonari, ossee, cerebrali.

Dal punto di vista chirurgico le stazioni linfonodali sono distinte in 4 livelli:

linfonodi di I livello o perigastrici: linfonodi pericardiali, della piccola e grande curvatura, sovra

e infrapilorici.

linfonodi di II livello o extragastrici: linfonodi dell’ilo splenico, arteria gastrica sx, arteria

epatica comune, arteria splenica, pancreatico-duodenali anteriori e posteriori, periesofagei.

linfonodi di III livello: linfonodi della regione retropancreatica, arteria mesenterica superiore e

inferiore, tripode celiaco.

linfonodi di IV livello: linfonodi intra-aorto-cavali.

I SINTOMI sono molto vaghi e aspecifici cioè perdita di peso, digestione lunga e laboriosa con

senso di sazietà precoce, perdita di appetito, anoressia, senso di peso epigastrico. Inoltre,

singhiozzo per interessamento del nervo frenico in caso di neoplasia del fondo gastrico, disfagia in

caso di neoplasie del cardias, stenosi e vomito post-prandiale in caso di neoplasie del piloro,

mentre in caso di neoplasie di tipo ulcerative abbiamo soprattutto pirosi, anemia sideropenica da

sangue occulto, raramente emorragia massiva con ematemesi e melena. Spesso la diagnosi è

tardiva in presenza di metastasi con dolori alle ossa, comparsa del segno di Concato-Troisier cioè

palpazione di una tumefazione linfonodale dura in sede sovraclaveare sx, dolore addominale,

epatomegalia, ascite da carcinosi peritoneale e ittero.

La DIAGNOSI del carcinoma gastrico si basa su:

EGDS: per la diagnosi precoce del carcinoma gastrico sin dalle fasi iniziali, eseguendo delle

biopsie multiple con esame citologico e istologico per la diagnosi di certezza e nei centri

specializzati l’Ecografia endoscopica per la stadiazione locale della neoplasia.

Rx con pasto baritato con tecnica a doppio contrasto utile solo nelle fasi avanzate: rigidità e

deformazioni della parete gastrica, rottura delle pliche gastriche, difetti di riempimento nelle

forme vegetanti (immagini di minus), immagine di plus nelle forme ulcerate, incontinenza o

stenosi pilorica, stenosi cardiale.

Esami di Laboratorio: markers tumorali (CEA, AFP, Ca19.9) utili per il follow-up post-

operatorio per valutare la ripresa della neoplasia.

Per la stadiazione della neoplasia sono utili ETG addominale, TC torace, addome e cranio per

valutare la presenza di metastasi linfonodali e a distanza, esplorazione laparoscopica con

biopsie mirate a livello della sierosa peritoneale.

Per la stadiazione abbiamo la Classificazione TNM:

─ Tis: carcinoma intraepiteliale in situ.

─ T1: invasione della lamina propria della mucosa e/o sottomucosa (early gastric cancer).

─ T2: invasione della tonaca muscolare e la sottosierosa.

─ T3: invasione della sierosa senza interessare le strutture adiacenti.

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─ T4: infiltrazione delle strutture adiacenti cioè milza, colon trasverso, fegato, diaframma,

pancreas, tenue, retroperitoneo, reni e surreni.

─ N0: non ci sono metastasi ai linfonodi.

─ N1: metastasi ai linfonodi di I livello perigastrici entro 3 cm dai margini del tumore.

─ N2: metastasi ai linfonodi perigastrici oltre 3 cm dai margini del tumore, fino ai linfonodi di

II livello extragastrici.

─ M0: non ci sono metastasi a distanza.

─ M1: presenza di metastasi epatiche, polmonari, ossee, peritoneali, cerebrali...

La PROGNOSI dipende dalla sede del tumore, tipo istologico, stadio della neoplasia.

La TERAPIA è chirurgica radicale nelle forme localizzate associata a radio–chemioterapia

adiuvante con possibilità di sopravvivenza a 5 aa nel 70% dei casi.

La Chirurgia Radicale (laparotomia) prevede una fase demolitiva e una ricostruttiva.

Nella Fase Demolitiva si esegue la gastrectomia totale con linfoadenectomia estesa: è

necessaria la manovra di Kocker liberando la C duodenale dalla testa del pancreas, scheletrizzando

la 1^ porzione duodenale, asportando i linfonodi peripancreatici e retropilorici, si esegue la

transezione del duodeno ad un paio di cm dal piloro e la transezione dell’esofago ad un paio di cm

dal cardias.

La Fase Ricostruttiva è importante per la ricanalizzazione del tubo digerente:

anastomosi esofago-duodenale termino-terminale: non è più usata perché provoca l’esofagite

da reflusso alcalino.

anastomosi esofago-digiunale termino-laterale su ansa ad Ω con anastomosi latero-laterale

al piede dell’ansa secondo Hoffman-Sweet con esclusione del duodeno dalla ricanalizzazione.

esofago-digiuno-duodeno plastica secondo Longmire o plastica dell’ansa digiunale

interposta: si interpone un’ansa digiunale tra esofago e duodeno consentendo di ripristinare il

transito duodenale: è la tecnica migliore, cioè si tratta di un autotrapianto in cui si seziona l’ansa

digiunale lungo il peduncolo della 4^ arcata vascolare, perché è l’ansa più lunga (20-25 cm) che

arriva facilmente in alto, passando dalla sede sottomesocolica a quella sovramesocolica attraverso

un occhiello ricavato nel mesocolon, eseguendo l’anastomosi esofago-digiunale termino-terminale

a monte e l’anastomosi digiuno-duodenale termino-terminale a valle (Treitz).

Col passare del tempo si ha un > del Ø dell’ansa digiunale sostituendo in parte la fx di serbatoio

dello stomaco, mentre gli ingesti che giungono nel duodeno continuano a stimolare i meccanismi

neurormonali e i riflessi neurovegetativi, e la peristalsi impedisce l’esofagite da reflusso alcalino.

In caso di anomalie vascolari o altri problemi si ricorre all’anastomosi esofago-digiunale termino-

laterale su ansa alla roux con estremo prossimale collegato al duodeno, detta anastomosi ad Y:

una parte degli ingesti affluisce al duodeno percorrendo l’ansa digiunale in senso antiperistaltico,

mentre la maggior parte degli ingesti passa nel digiuno. Se almeno il 20-30% degli ingesti prende la

via del duodeno si ritiene accettabile la digestione e ciò viene dimostrato mediante un Rx con

m.d.c..

Le anastomosi si eseguono mediante le Suturatrici Meccaniche o Stappler realizzando una

corona di punti metallici, messi a distanza regolare, che è a basso rischio di deiscenza, rinforzata da

punti di sutura manuali o dal tissucol cioè una colla di fibrina umana per una maggiore sicurezza.

Per scegliere l’ansa intestinale migliore da poter anastomizzare all’esofago si ricorre alla tecnica

della transilluminazione: si spengono tutte le luci della sala operatoria ad eccezione della luce

mobile posta sul letto operatorio che viene messa contro l’intestino in modo da scegliere il

segmento di ansa digiunale che ha il miglior profilo vascolare.

In caso di tumori in fase avanzata, inoperabili, la terapia è palliativa sintomatica mediante

laserterapia o elettrofotocoagulazione con YAG laser e Argon laser o endoprotesi in caso di

stenosi, radio e chemioterapia.

Il Linfoma Gastrico è un tumore maligno di origine linfoide che origina dalla mucosa gastrica

ricca di tessuto linfatico e si diffonde a tutta la parete gastrica, ai linfonodi regionali, linfonodi sovra

e sottodiaframmatici, e si dissemina in altri visceri. Può essere di tipo polipoide, ulcerato o

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infiltrante. In genere si tratta di linfomi primitivi non Hodgkin, in particolare si tratta di un

maltoma cioè di un linfoma a grandi cellule B derivante dal tessuto linfoide associato alle

mucose (MALT Mucosa Associated Lymphoid Tissue) che rappresenta il 50% di tutti i linfomi

gastrici con picco di incidenza intorno ai 50 anni, spesso associato all’infezione da Helicobacter

pylori.

I Sintomi sono sovrapponibili al carcinoma gastrico per cui la diagnosi di certezza avviene solo

mediante Endoscopia con biopsia ed esame cito-istologico.

La Terapia è chirurgica con gastrectomia totale associato alla radio-chemioterapia.

DUODENO

Il Duodeno è quella parte dell’intestino, lunga ~ 30cm, Ø 47 mm, che origina a livello della L1 a dx

della linea mediana, facendo seguito al piloro, terminando a sx della L3 con la flessura duodeno-

digiunale, continuandosi con il digiuno.

Ha la forma di una C, cioè di un anello incompleto, aperto in alto che abbraccia con la sua concavità

la testa del pancreas.

Può essere suddiviso in 4 porzioni, cioè porzione superiore, discendente, orizzontale e ascendente.

La porzione superiore è la parte mobile del duodeno, origina con il bulbo duodenale e comunica

con la parte discendente mediante la flessura superiore del duodeno. E’ rivestita dal peritoneo ad

eccezione della zona dove si inserisce il legamento epato-duodenale.

Le altre porzioni del duodeno sono fisse e sono rivestite dal peritoneo solo sulla faccia anteriore.

Nella porzione discendente sboccano il dotto pancreatico accessorio del Santorini e più

caudalmente sboccano nella papilla di Vater il dotto coledoco e il dotto pancreatico principale di

Wirsung.

La porzione discendente è incrociata trasversalmente dalla radice del mesocolon trasverso, per cui si

ha un segmento sovramesocolico e uno sottomesocolico.

La porzione orizzontale incrocia l’aorta addominale e la vena cava inferiore ed è scavalcata dalla

vena e dalla arteria mesenterica superiore.

La porzione ascendente è l’ultima parte del digiuno che si porta dal basso verso l’alto

continuandosi con il digiuno mediante l’angolo duodeno-digiunale di Treitz.

I mezzi di fissità del duodeno sono: il peritoneo parietale, il dotto coledoco e i dotti pancreatici, i

vasi mesenterici superiori, il legamento di Treitz che fissa l’angolo duodeno-digiunale al

diaframma.

La parete del duodeno presenta la tonaca mucosa, muscolaris mucosae, tonaca sottomucosa

costituita da tessuto connettivo lasso, tonaca muscolare costituita da uno strato esterno

longitudinale e uno strato interno circolare, tonaca sierosa peritoneale riveste in parte il duodeno.

La vascolarizzazione arteriosa si deve all’arteria pancreatico-duodenale superiore, ramo

dell’arteria gastro-duodenale, all’arteria pancreatico-duodenale inferiore, ramo dell’arteria

mesenterica superiore.

Le vene pancreatico-duodenali superiore e inferiore sono tributarie della vena porta.

Il drenaggio linfatico spetta ai linfonodi pancreatico-duodenali, linfonodi dell’arteria epatica,

linfonodi dell’arteria mesenterica superiore e linfonodi periaortici.

Il duodeno ha il compito di accogliere il chimo acido che proviene dallo stomaco, il secreto biliare e

pancreatico.

Le cellule epiteliali secernono degli ormoni importanti per la regolazione della secrezione biliare e

pancreatica cioè nel duodeno viene regolato il processo digestivo:

- polipeptide inibitore gastrico GIP (enterogastrone) che inibisce la motilità e la secrezione acida a

livello gastrico.

- secretina che stimola la secrezione pancreatica dei bicarbonati.

- colecistochinina che stimola la secrezione enzimatica del pancreas ed eccita la contrazione della

cistifellea favorendone lo svuotamento.

- gastrina che stimola la secrezione gastrica.

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I Diverticoli del Duodeno sono molto frequenti dopo quelli del colon, distinti in congeniti e

acquisiti, spesso sono unici e localizzati a livello della parete mediale della porzione discendente,

raramente interessano le altre porzioni.

In genere, sono asintomatici, altre volte provocano dolore modesto, senso di peso post-prandiale,

nausea, meteorismo, diarrea saltuaria, ma si tratta di sintomi che si manifestano solo quando lo

svuotamento del diverticolo è difficoltoso e > di volume.

Altre volte si ha ittero ostruttivo, colangite, raramente pancreatite ostruttiva se il diverticolo è

localizzato alla papilla di Vater.

La sintomatologia diventa spiccata in caso di complicanze, come la diverticolite, la perforazione del

diverticolo con peritonite, shock settico, fistolizzazione nel colon o nella cistifellea, emorragia

microscopica o macroscopica più rara.

La DIAGNOSI si basa sull’Rx con clisma opaco osservando la presenza di una estroflessione della

parete, di dimensioni variabili e forma grossomodo rotondeggiante e sull’EGDS.

La TERAPIA dipende dalla sintomatologia che provoca il diverticolo e dalla presenza delle

complicanze che possono richiedere anche un trattamento chirurgico d’urgenza.

I Tumori del duodeno sono distinti in benigni e maligni.

Tra i Tumori Benigni abbiamo gli adenomi o polipi di natura epiteliale, unici o multipli, distinti in

tubulari o semplici, villosi e misti (lesioni precancerose), il leiomioma, il fibroma, il lipoma,

l’angioma di natura mesenchimale, ma rari.

Spesso sono asintomatici, raramente provocano dispepsia, dolore, emorragia macro o microscopica,

coliche biliari e ittero ostruttivo se il tumore è in sede peripapillare.

La DIAGNOSI si basa sull’Rx con clisma opaco osservando immagini di minus rotondeggianti, a

margini netti e regolari, ma soprattutto sull’endoscopia valutando sede, dimensioni, eseguendo

biopsie mirate.

Tra i Tumori Maligni il più importante e frequente è l’adenocarcinoma, meno frequenti sono i

linfomi non-Hodgkin. Spesso si tratta di tumori secondari cioè dovuti ad altre neoplasie, come il

carcinoma della testa del pancreas o del colon.

L’adenocarcinoma spesso è localizzato in sede sottopapillare (57%), altre volte in quella

peripapillare (32%)e soprapapillare (7%)

I SINTOMI sono dispepsia, anemia sideropenica, calo ponderale, mentre in caso di stenosi

duodenale si ha vomito biliare e dolore epigastrico crampiforme se il tumore è sottopapillare,

mentre nel caso del tumore peripapillare si ha ittero ostruttivo.

La DIAGNOSI si basa sull’Rx con clisma opaco immagini di minus a margini irregolari, pareti

duodenali rigide, endoscopia con biopsia mirata valutando sede, dimensioni e presenza di tumori di

piccole dimensioni sfuggiti alla radiografia, TAC e RMN per stabilire se il tumore è di origine

intestinale oppure se origina da altre sedi e per valutare la diffusione alle strutture circostanti.

La TERAPIA è chirurgica radicale con ampia resezione associata a linfoadenectomia estesa.

Se il tumore interessa il bulbo duodenale o l’inizio della porzione discendente si esegue la resezione

gastrica distale secondo Billroth II.

Se il tumore interessa la porzione orizzontale e ascendente si esegue una larga duodenostomia dopo

la derotazione intestinale (caratteristica della vita fetale).

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INTESTINO TENUE MESENTERIALE

L’intestino tenue mesenteriale è la parte più lunga dell’intestino (~ 7 m), inizia a livello

dell’angolo duodeno-digiunale e termina nella fossa iliaca dx dove sbocca nel cieco mediante la

valvola ileo-cecale. é costituito da 2 porzioni: il digiuno lungo 2-3 m e l’ileo lungo 3-4 m circa.

Si parla di piccolo intestino o intestino tenue mesenteriale perché è compreso nello spessore del

margine libero di un’ampia piega di peritoneo detta mesentere che si porta dalla parete posteriore

dell’addome al margine anteriore dell’intestino tenue, ecco perché il tenue è dotato di una certa

motilità con formazione di numerose anse o circonvoluzioni ad andamento flessuoso che formano la

matassa intestinale, al di sotto del colon trasverso e mesocolon trasverso fino alla pelvi.

La parete del tenue è costituita dalla tonaca mucosa, sottomucosa, muscolare e sierosa.

La tonaca mucosa è rivestita da epitelio cilindrico monostratificato con cellule caliciformi

mucipare, ha un aspetto vellutato perché è ricca di villi intestinali dove si aprono le ghiandole

intestinali tubulari semplici o cripte di Galeazzi.

La cellula enterica o enterocita ha 2 funzioni: assorbimento delle sostanze nutritive che avviene a

livello dei villi e secrezione di enzimi proteolitici, lipolitici, glicolitici, mucina...che avviene a

livello delle ghiandole. In ogni villo penetra un vaso linfatico che è deputato all’assorbimento dei

grassi digeriti o chilo, in modo che questi giungano al dotto toracico e al grande circolo.

Per cui la rete capillare sanguigna assorbe zuccheri, acqua, amminoacidi, il 30% dei grassi e li

trasporta al fegato mediante il sistema della vena porta, a partire dalla vena mesenterica superiore.

La mucosa presenta dei rilievi o pieghe circolari o valvole conniventi di Kerking, i noduli

linfatici solitari nel digiuno e i noduli linfatici aggregati o placche di Peyer nell’ileo, responsabili

della produzione delle IgA secretorie, importanti per la difesa antibatterica e antivirale.

La tonaca sottomucosa è costituita da connettivo lasso ricco di vasi sanguigni e di reti nervose.

La tonaca muscolare presenta uno strato esterno longitudinale e uno strato interno circolare,

responsabile della motilità del tenue per mescolare e far progredire le sostanze digerite.

La tonaca sierosa peritoneale è rappresentata dal mesotelio e da uno strato di connettivo

sottomesoteliale.

La vascolarizzazione arteriosa è data dalle arterie intestinali, rami collaterali dell’arteria

mesenterica superiore, che si anastomizzano formando 4-5 arcate.

Dall’ultima arcata nascono le arterie rette che sono terminali, vascolarizzano la parete intestinale

raggiungendo la tonaca mucosa dove formano i vasellini arteriosi che si distribuiscono alle

ghiandole intestinali, ai villi e ai noduli linfatici.

La vascolarizzazione venosa si deve alle vene intestinali che confluiscono nella vena mesenterica

superiore e da qui nella vena porta.

I vasi linfatici sono satelliti dei vasi sanguigni con ricca rete linfatica nelle varie tonache.

L’innervazione spetta alle fibre parasimpatiche provenienti dal nervo vago e alle fibre

ortosimpatiche provenienti dal 5-8° segmento toracico del midollo spinale.

Si portano al plesso celiaco raggiungendo l’intestino tenue mediante il plesso mesenterico superiore

che nello spessore della parete intestinale forma il plesso sottosieroso, il plesso sottomucoso di

Meissner e il plesso mienterico di Auerbach.

Il parasimpatico stimola la motilità intestinale e la secrezione, mentre l’ortosimpatico la inibisce,

così come avviene nello stomaco.

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92

DIVERTICOLI del TENUE

I diverticoli del tenue sono rappresentati dal DIVERTICOLO di MECKEL che è una malattia

congenita dovuta alla mancata involuzione del dotto vitellino o onfalo-mesenterico che

nell’embrione mette in comunicazione la parte intracelomatica dell’intestino con la vescicola

ombelicale.

Si tratta di un diverticolo unico che in genere si sviluppa sul bordo antimesenterico dell’ileo a circa

50-70 cm dalla valvola ileo-cecale, come un estroflessione a dito di guanto più o meno lunga e

fluttuante. Altre volte si presenta come una estroflessione a cuneo oppure si presenta come una

estroflessione molto estesa.

In genere, il diverticolo di Meckel è asintomatico ed è scoperto casualmente mediante un esame

radiologico richiesto per altri motivi, oppure in occasione di un intervento chirurgico per altre

patologie.

Nel 30-40% dei casi il diverticolo di Meckel va incontro ad alcune COMPLICANZE, cioè

diverticolite, ulcera peptica diverticolare, occlusione intestinale, strangolamento erniario, raramente

cancerizzazione.

La diverticolite è la complicanza più frequente dovuta all’infezione del diverticolo in seguito al

ristagno del materiale intestinale nella sacca diverticolare, che può essere di natura catarrale,

suppurativa, flemmonosa, gangrenosa, perforativa, come nel caso dell’appendicite, provocando

dolore periombelicale e sintomi sovrapponibili all’appendicite acuta, cioè nausea, vomito, ileo

paralitico e febbre.

L’occlusione intestinale si ha in seguito alla torsione del diverticolo lungo il proprio asse oppure

alla torsione dell’intestino sul diverticolo con occlusione di tipo meccanica o all’invaginazione del

diverticolo (ileo meccanico).

L’ulcera peptica diverticolare si deve alla presenza di isole eterotopiche di mucosa gastrica

acido-secernente e si manifesta con dolore post-prandiale in sede periombelicale ed epigastrica,

fino ad andare incontro ad emorragie o perforazione del diverticolo con addome acuto, peritonite e

morte del pz se non si interviene subito.

Lo strangolamento erniario si verifica se il diverticolo penetra in un sacco erniario inguinale con

conseguente strangolamento.

Le complicanze si verificano soprattutto se il diverticolo insorge sul versante antimesenterico dove

la parete è più sottile, può facilmente infiammarsi e perforarsi.

La DIAGNOSI si basa sull’Rx che evidenzia una estroflessione allungata a livello del margine

libero dell’ileo terminale.

La TERAPIA è chirurgica:

- in caso di estroflessione a dito di guanto si ricorre ad una semplice resezione con tecnica simile

alla appendicectomia: viene legato con un laccio alla base, tagliato e affondato, come se si trattasse

di una appendicite.

- in caso di estroflessione a cuneo si ricorre alla resezione con sezione cuneiforme del bordo

intestinale su cui è impiantato il diverticolo.

- in caso di estroflessione molto estesa e presenza di complicanze si ricorre alla resezione dell’ansa

intestinale con anastomosi termino-terminale.

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93

INSUFFICIENZA VASCOLARE CRONICA CELIACO MESENTERICA (claudicatio mesenterica)

L’Insufficienza vascolare cronica celiaco mesenterica è una sindrome causata da un insufficiente

apporto di sangue soprattutto alle prime anse digiunali che può essere dovuta:

cause estrinseche: tumori del pancreas o dello stomaco, metastasi linfonodali, tumori

retroperitoneali che comprimono i vasi provocando l’insufficienza vascolare.

cause intrinseche: sono più importanti, in particolare l’aterosclerosi del tronco o tripode celiaco,

arteria mesenterica superiore o inferiore, le arteriopatie non aterosclerotiche associate a Lupus

Eritematoso Sistemico (LES), artrite reumatoide, arteriti e aneurismi.

Un’altra causa è il cosiddetto “furto aorto-iliaco”: in presenza di una trombosi aorto-iliaca che

all’origine dell’arteria mesenterica inferiore o di una ostruzione dell’arteria mesenterica superiore,

si crea un circolo collaterale intermesenterico tra l’arcata di Riolano e l’arcata di Drummond che a

sua volta forma un circolo collaterale con il territorio delle arterie ipogastriche e delle arterie

femorali. Attraverso questo circolo collaterale avviene un furto o diversione di sangue agli arti

inferiori, soprattutto nella deambulazione (camminata) e in caso di coma, peggiorando l’ischemia

celiaco-mesenterica e i sintomi.

Il furto si può verificare anche dopo interventi chirurgici aorto-iliaci per il ripristino del circolo

periferico: in presenza di una ischemia celiaco-mesenterica compensata da un circolo collaterale, il

furto di sangue dall’aorta agli arti inferiori, può mettere in crisi il compenso idrodinamico

intestinale.

I SINTOMI sono: dolore epigastrico od ombelicale o iliaco, gravativo o crampiforme post-

prandiale, che dura 1-3 h, poi si attenua e scompare. Se l’ischemia peggiora si ha dolore continuo e

in caso di furto aorto-iliaco compare o si accentua con il movimento degli arti inferiori.

Inoltre, si ha dimagrimento, turbe dell’alvo con crisi diarroiche iniziali, poi stipsi ostinata e

fenomeni sub-occlusivi. La sindrome può restare stazionaria per molto tempo perché si creano i

circoli collaterali, poi si aggrava con notevole dimagrimento da malassorbimento fino alla entero-

colite-ischemica con ulcerazione della mucosa ed enterorragia, stenosi intestinale, infarto

intestinale.

La DIAGNOSI si basa sull’Eco-doppler, l’arteriografia selettiva con catetere arterioso secondo la

tecnica di Seldinger per evidenziare le stenosi, ostruzioni arteriose, estensione, diffusione e

sviluppo dei circoli collaterali.

La TERAPIA dietetica e farmacologica con anticoagulanti, fibrinolitici, antispastici, analgesici,

anti-aterosclerotici, dà scarsi risultati. La terapia chirurgica dipende dalla causa e dalla sede

dell’ostruzione arteriosa. Se l’ischemia è dovuta ad una arteriopatia intrinseca si ripristina la

circolazione mediante il reimpianto vasale, endoarteriectomia e by pass con materiale autologo

(vena safena) o sintetico (Dracon) anastomizzato prossimalmente all’aorta subito sotto il diaframma

per ottenere un flusso anterogrado. Nella stenosi isolata si ricorre ad angioplastica percutanea.

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INFARTO INTESTINALE

L’INFARTO INTESTINALE rappresenta la drammatica ed irreversibile conseguenza

dell’ischemia mesenterica acuta evoluta verso la necrosi della parete intestinale con rischio di

mortalità pari al 75-90% dei casi.

La CAUSA principale è l’Ischemia Intestinale da occlusione di natura embolica o trombotica

aterosclerotica di un’arteria principale tributaria dell’intestino con improvvisa interruzione

dell’afflusso di sangue, O2, sostanze nutrienti e notevoli danni dell’epitelio e della mucosa, fino a

fenomeni necrotico-emorragici e perforazione della parete intestinale.

L’infarto intestinale spesso si deve all'occlusione della arteria mesenterica superiore e questo

trova una giustificazione anatomica perché l’arteria mesenterica superiore nasce ad angolo acuto

dall’aorta addominale 2 cm al di sotto del tronco o tripode celiaco, passando dietro la testa del

pancreas, scavalcando la porzione orizzontale del duodeno, penetrando nella radice del mesentere e

raggiungendo la fossa iliaca dx dove si continua con l’arteria ileocolica che è un suo ramo

collaterale. Per cui anatomicamente è facile che un embolo partendo dal cuore (ventricolo sx) possa

imboccare e ostruire l’arteria mesenterica superiore, con ischemia e infarto nel territorio di

distribuzione della a.m.s. anche se una funzione vicariante può essere svolta dall’arteria colica

media, ramo collaterale dell’a.m.s. con infarto limitato ad una parte dell’emicolon dx.

L’a.m.s. è responsabile della vascolarizzazione del duodeno, tenue, colon ascendente, emicolon

trasverso dx, pancreas, attraverso i suoi rami collaterali, cioè:

- arteria pancreatico-duodenale inferiore: vascolarizza duodeno e testa del pancreas.

- arterie intestinali: rami digiunali e ileali, vascolarizzano il digiuno e l’ileo (tenue).

- arteria ileocolica: rami colici, rami cecali, arteria appendicolare e rami ileali.

- arteria colica dx.

- arteria colica media.

Alcune volte l’embolo ostruisce le arterie iliache comuni dx o sx, rami di divisione dell’aorta

addominale, fino a raggiungere i rami collaterali diretti agli arti inferiori (a. femorale), oppure

ostruisce le arterie carotidi (con interessamento del cervello), mentre è difficile che prenda la strada

delle arterie renali perché anatomicamente presentano una curva maggiore.

Altre volte interessa l’arteria mesenterica inferiore o il tronco o tripode celiaco.

L’arteria mesenterica inferiore nasce dall’aorta addominale 3-4 cm al di sopra dell’origine delle

arterie iliache comuni, terminando con l’arteria rettale o emorroidaria superiore.

L’a.m.i. è responsabile della vascolarizzazione dell’emicolon trasverso sx, colon discendente, colon

ileo-pelvico e intestino retto, attraverso i suoi rami collaterali, cioè: arteria colica sx, arterie

sigmoidee, arteria rettale o emorroidaria superiore.

Il tronco o tripode celiaco origina dalla parete anteriore dell’aorta addominale, sotto l’orifizio

aortico del diaframma, è costituito dalla arteria gastrica sx o coronaria stomacica, arteria epatica

comune e arteria lienale o splenica, per cui è responsabile della vascolarizzazione dell’esofago

inferiore, dello stomaco, duodeno, fegato, milza e pancreas.

Dal punto di vista EZIOPATOGENETICO possiamo fare una distinzione tra ischemia intestinale

occlusiva arteriosa o venosa e non occlusiva.

L’Ischemia Intestinale Occlusiva Arteriosa può essere:

- occlusione arteriosa di natura embolica tipica dei pz cardiopatici con fibrillazione, pre-IMA,

valvulopatie con stratificazioni trombotiche da cui possono staccarsi degli emboli che attraverso il

flusso sanguigno raggiungono e ostruiscono l’a.m.s... oppure dei pz diabetici, pz con ipertensione

arteriosa o patologia trombotica aterosclerotica con alterazioni dei vasi e della circolazione.

- occlusione arteriosa di natura iatrogena: arteriografia, interventi in cui si lega per sbaglio un vaso

arterioso.

- aneurisma dissecante dell’aorta di IV tipo esteso dall’arco aortico all’aorta addominale e a.m.s.

- arteriti, traumi...

L’Ischemia Intestinale Occlusiva Venosa spesso si deve ad una tromboflebite a carico della vena

mesenterica superiore, associata a flebiti del bacino e degli arti inferiori o a processi settici

addominali, oppure a trombosi della vena porta con ipertensione portale oppure dopo una

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splenectomia con trombosi della vena splenica e ipertensione portale da iperafflusso di sangue,

derivazioni spleno-renale secondo Warren, ipercoagulazione del sangue in gravidanza, abuso di

contraccettivi orali, neoplasie, deficit di antitrombina III, oppure processi infiammatori come la

peritonite, diverticolite, appendicite acuta, pancreatite, malattie infiammatorie croniche

dell’intestino, che rappresentano il 10% di tutti i casi di infarto intestinale.

L’Ischemia Intestinale Non Occlusiva o Funzionale a Basso Flusso in passato era quasi del tutto

sconosciuta, mentre oggi rappresenta oltre il 50% dei casi. Può essere di varia natura:

- natura cardiogena nei pz con gravi cardiopatie: insufficienza cardiaca, fibrillazione, pre-IMA.

- natura infettiva, come nei pz con setticemia (tifo).

- sindromi neurologiche come nei pz con meningite o mielite.

- shock ipovolemico, ipotensione arteriosa e insufficienza del circolo periferico.

Dal punto di vista ANATOMO PATOLOGICO l’infarto intestinale spesso interessa l’intestino

tenue in seguito all’occlusione dell’a.m.s.. che presenta un colore rosso-cianotico, pareti ispessite,

edematose, lucenti, contenuto intestinale è abbondante, semiliquido, più o meno emorragico da

danno dell’epitelio e dei vasi capillari, nelle fasi avanzate si va incontro alla necrosi con

perforazione della parete intestinale e passaggio del materiale emorragico-purulento nel cavo

peritoneale, con peritonite acuta e shock settico. In alcuni casi si va incontro alla coagulazione

intravascolare disseminata CID con gravi danni al cuore, polmoni, reni da ipoperfusione, fino allo

shock e alla morte se non si interviene tempestivamente.

La SINTOMATOLOGIA prevede 3 stadi:

Stadio Spastico: dolore addominale improvviso, violento da spasmi intestinali in sede epigastrica

o mesogastrica, di tipo colico, associato a vomito prima acquoso o alimentare, poi biliare e

fecaloide, diarrea da iperperistaltismo acquosa o sanguinolenta, tale da mascherare l’occlusione

paralitica delle anse colpite dall’infarto. Dopo circa 2-3 h il dolore si attenua, si ha una fase

stazionaria ma dopo circa 12 h la situazione tende a peggiorare.

Stadio Paralitico: dolore addominale diffuso, incoercibile, persistente, resistente a qualsiasi

tipo di terapia antalgica, chiusura dell’alvo a feci e gas da assenza della peristalsi, raramente

enterorragia.

Stadio Peritonitico da perforazione intestinale con peritonite, reazione di difesa addominale,

febbre alta, leucocitosi neutrofila, disidratazione, pessime condizioni generali del pz, morte nel giro

di 3 gg dall’inizio dei sintomi.

La DIAGNOSI prevede:

- Esame Emocromocitometrico: il pz è emoconcentrato (disidradato) con ematocrito HCT > 50-

55%. Inoltre, leucocitosi neutrofila, > VES da shock settico.

- Emogasanalisi: acidosi metabolica è l’unico segno precoce della malattia, con < pH e > pCO2 da

ipossia tissutale.

- Rx diretta addome: utile solo nelle fasi avanzate, evidenzia i livelli idro-aerei, distensione gassosa

delle anse intestinali di tipo paralitico, presenza di gas nella vena porta da necrosi intestinale.

- Arteriografia selettiva dell’a.m.s. con tecnica di Seldinger: indagine molto utile per stabilire se

l’ischemia è occlusiva o non occlusiva, valutando la gravità e la sede della lesione ischemica.

- TAC: > di volume delle anse intestinali con parete molto assottigliata, emorragia sottomucosa

con dissociazione dei tessuti, aria libera in addome.

In realtà, non c’è molto tempo a disposizione per studiare il pz perché si tratta di una situazione di

emergenza, infatti, la PROGNOSI spesso è sfavorevole con alto rischio di mortalità (75-90%) a

causa della diagnosi tardiva, uso di terapia medica inutile, lesioni irreversibili, presenza di aria nella

vena porta.

In presenza di un pz con arteriopatia nota, fibrillazione atriale e sintomi addominali evidenti,

dobbiamo subito sospettare un infarto intestinale.

La TERAPIA si basa sulla rivascolarizzazione intestinale se si interviene nella fase iniziale della

malattia che è reversibile entro 12 h dall’inizio dei sintomi: embolectomia dell’a.m.s. con catetere

di Fogarty per estrarre l’embolo, trombectomia, reimpianto delle arterie viscerali, tecniche di

by-pass aorto-mesenterico.

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Nelle fasi avanzate si ricorre a laparotomia d’urgenza con resezione del tratto intestinale colpito

(stomia temporanea e poi definitiva) associato a somministrazione di antibiotici ad ampio spettro,

ripristino delle perdite idro-elettrolitiche, eparina (anticoagulante).

Spesso è necessaria un’exeresi intestinale estesa fino al digiuno prossimale o all’ileo distale

compreso un tratto del colon dx, provocando la sindrome dell’intestino corto con grave squilibrio

metabolico da scarso assorbimento intestinale, incompatibile con la vita.

TUMORI del TENUE

I TUMORI del TENUE sono distinti in benigni e maligni, sono piuttosto rari, rappresentano

solo il 3-4% di tutte le neoplasie dell’apparato gastro-enterico.

Tra i Tumori Benigni del Tenue abbiamo gli adenomi cioè polipi e papillomi che sono i più

frequenti e importanti perché nel 7% dei casi possono andare incontro ad evoluzione carcinomatosa,

più rari sono mioma, fibroma, lipoma, angioma e neurinoma.

L’Adenoma o polipo adenomatoso si sviluppa nel lume intestinale con Ø variabile da pochi

mm ad alcuni cm, può essere peduncolato o sessile e viene distinto in tubulare o semplice,

villoso e misto, mentre più rara è la forma multipla da poliposi adenomatosa con grado di displasia

lieve, moderato o severa ad alto rischio di cancerizzazione.

In genere sono asintomatici, diventano sintomatici in caso di complicanze cioè stenosi o

ostruzione intestinale, invaginazione ileo-cecale nelle forme con peduncolo lungo, emorragia

soprattutto in caso di angiomi, adenomi e neurinomi, raramente si ha la perforazione.

I sintomi sono aspecifici cioè dolore addominale post-prandiale, melena o sangue occulto nelle

feci, anemia, alvo irregolare.

La Diagnosi non è semplice:

Rx con tecnica a doppio contrasto e il clisma ileale: difetti di riempimento e alterazioni della

parete intestinale.

Enteroscopia (endoscopia del tenue): consente la diagnosi del tumore solo se è localizzato nella

parte prossimale o distale del tenue, data la lunghezza del tenue.

Arteriografia selettiva dell’a.m.s.: può essere utile in caso di angiomi sanguinanti.

La Terapia è chirurgica con resezione del tratto intestinale e anastomosi tra i monconi opposti.

Tra i Tumori Maligni del Tenue abbiamo il carcinoma di natura epiteliale, linfosarcoma,

fibrosarcoma e leiomiosarcoma di natura mesenchimale (rari).

Spesso si tratta di forme secondarie a metastasi o diffusione di neoplasie a partire da altri organi,

come utero, ovaie, colon, retto, stomaco, pancreas, con prognosi infausta.

Il Carcinoma rappresenta il 10% ~ dei tumori maligni del tenue, colpendo soprattutto soggetti con

età compresa tra i 50 e 70 aa, in particolare a livello della parte prossimale del digiuno.

I Sintomi inizialmente sono molto vaghi cioè dolore modesto e incostante, stipsi, inappetenza,

calo ponderale e anemia, poi la sintomatologia diventa più evidente soprattutto per la presenza

delle complicanze, cioè l’occlusione intestinale, emorragia, perforazione (rara).

L’Rx con pasto opaco e clisma ileale evidenzia le alterazioni della parete intestinale, i

restringimenti del lume intestinale, anche se spesso la diagnosi avviene solo in sala operatoria.

La Terapia è chirurgica con ampia exeresi, asportazione del mesentere e dei linfonodi.

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COLON

Il Colon è quella parte dell’intestino che si estende dalla valvola ileo-cecale al retto, lunga circa

1.50 m, distinto in 4 porzioni: colon ascendente, trasverso, discendente, sigmoideo o ileopelvico.

Il colon ascendente si porta dal basso in alto, dal cieco alla flessura dx del colon, dalla fossa iliaca

dx all’ipocondrio dx (12-15 cm), rivestito dal peritoneo sulla parete anteriore, laterale e mediale,

mentre la parete posteriore non è rivestita dal peritoneo perché va a rivestire la parete addominale

posteriore.

La flessura dx del colon o epatica è quel tratto del colon ad angolo acuto, posto nell’ipocondrio dx

a cui segue il colon trasverso che presenta una curva con convessità rivolta in basso e in avanti, che

si porta dall’ipocondrio dx nella parte superiore della regione mesogastrica e poi risale

nell’ipocondrio sx. Il colon trasverso è rivestito completamente dal peritoneo ed è connesso alla

parete addominale posteriore mediante un’ampia piega peritoneale detta mesocolon trasverso che

divide la cavità peritoneale in un piano sovramesocolico e in un piano sottomesocolico.

La flessura sx del colon o splenica è posta nell’ipocondrio sx continua con il colon discendente

che si porta dall’alto in basso nella fossa iliaca sx, descrivendo una piccola curva con concavità

mediale. Il peritoneo riveste il colon discendente ad eccezione della parete posteriore.

Infine, il colon ileopelvico o sigma che passa dalla fossa iliaca sx nella piccola pelvi, per cui è

distinto in colon iliaco e colon pelvico.

Il colon ha un calibro maggiore rispetto al tenue, la parete è costituita da 4 tuniche, cioè mucosa,

sottomucosa, muscolare e sierosa.

Comunque, dal punto di vista chirurgico, tenendo conto della circolazione sanguigna e linfatica, si

fa una distinzione tra colon dx e colon sx.

Il COLON DX comprende il ceco che è la parte mobile del colon dx, presenta la valvola ileo-

cecale, colon ascendente, flessura dx del colon fino al 3° prossimale del colon trasverso, che sono

fisse ai piani posteriori retroperitoneali, per cui il colon dx corrisponde al territorio di

vascolarizzazione dell’arteria mesenterica superiore i cui rami collaterali sono arteria ileo-colica,

arteria colica dx e nel 40% dei casi dall’arteria colica media.

La vascolarizzazione venosa si deve alla vena colica dx e alla vena ileo-colica che confluiscono

nella vena mesenterica superiore e da qui nella vene porta.

Il drenaggio linfatico si deve ad una ricca rete linfatica presente nello spessore della parete

intestinale, ai linfonodi epicolici intraparietali e paracolici, linfonodi del mesocolon trasverso e

linfonodi della arteria mesenterica superiore.

L’innervazione del colon dx si deve al nervo vago e al plesso celiaco.

Il COLON SX comprende il 3° distale del colon trasverso, la flessura sx del colon, il colon

discendente che sono fissi ai piani posteriori retroperitoneali e il colon ileo-pelvico o sigma che è la

parte mobile del colon sx.

Per cui il colon sx corrisponde al territorio di distribuzione dell'arteria mesenterica inferiore i cui

rami collaterali sono l’arteria colica sx che si anastomizza con l’arteria colica dx superiore

formando l’arcata di Riolano, le arterie sigmoidee e l’arteria emorroidaria o rettale superiore

che è il ramo terminale dell’a.m.i.

Questi rami collaterali si anastomizzano formando l’arcata marginale di Drummond.

Inoltre, si realizza l’arcata di Villemin tra a.m.s. e a.m.i. e l’arcata di Rio Branco tra arteria epatica

e arteria mesenterica inferiore.

Il drenaggio venoso si deve alla vena mesenterica inferiore attraverso la vena emorroidaria o

rettale superiore le vene sigmoidee e la vena colica sx, poi risale lungo l’angolo duodeno-digiunale

e dietro la testa del pancreas sboccando nella vena splenica.

Il drenaggio linfatico si deve ai linfonodi marginali posti tra parete intestinale e arcata marginale di

Drummond, ai linfonodi intermedi posti tra i rami di divisione dell’a.m.i. e ai linfonodi centrali

posti all’origine dell’a.m.i.

L’innervazione del colon sx si deve al plesso mesenterico inferiore e alle fibre parasimpatiche del

plesso ipogastrico o presacrale.

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Le Funzioni del colon sono: assorbimento di H2O e Sali (colon dx), formazione di feci solide,

piccoli movimenti di segmentaziome che rallentano il transito favorendo il rimescolamento del

contenuto semiliquido, grandi movimenti propulsivi o peristaltici che favoriscono il transito delle

feci verso il retto per stimolare la defecazione.

In caso di alterazione della fx del colon si può andare incontro alla stipsi o alla diarrea tipiche della

Sindrome del Colon Irritabile cioè un disturbo funzionale del colon molto diffuso in tutto il

mondo, le cause non sono ancora chiare mentre i meccanismi patogenetici sono 3: ipermotilità del

colon, abbassamento della soglia di sensibilità della parete intestinale, intervento della componente

nervosa cerebrale, cioè stress, ansia…

I sintomi principali sono diarrea, stipsi e dolore addominale (non sempre presente), per la diagnosi

sono sufficienti l’anamnesi, esame obiettivo ed Rx addome a doppio contrasto.

La stipsi si deve ad un maggiore assorbimento di H2O per un’alterazione della motilità del colon,

con spasmo o atonia muscolare. In caso di stipsi grave con mancata defecazione per alcuni gg, si ha

malessere generale, senso di peso alla testa, cefalea, irrequietezza, svogliatezza, difficoltà di

concentrazione, spasmi dolorosi, ad alto rischio di complicanze cioè diverticolosi, formazione dei

fecalomi ed emorroidi. E’ importante l’uso di agenti formanti massa, fibre, crusca, bisogna evitare i

lassativi perché sono responsabili della melanosi aggravando la colite.

La diarrea si deve ad una < assorbimento dei liquidi, > secrezione intestinale per una spiccata

attività contrattile del colon, con n° evacuazioni da 3-4 scariche/gg fino a 25-30 scariche/gg nelle

forme più gravi con conseguente disidratazione, oliguria, calo ponderale, defedamento generale.

La flora batterica del colon è abbondante con ~ 1 miliardo di batteri in un frammento di feci ed ha

proprietà di difesa e di digestione di proteine e zuccheri non completamente digeriti.

RETTO COLITE ULCEROSA

La RETTO COLITE ULCEROSA è una malattia infiammatoria cronica caratterizzata da lesioni

confinate alla mucosa, tendenti all’emorragia che nel 40-50% dei casi interessa il retto e si estende

al sigma, nel 30-40% dei casi si estende a monte del sigma e nel 20% dei casi interessa tutto il

colon. E’ molto diffusa in Nord Europa, Nord America e Australia, soprattutto nei soggetti con età

compresa tra i 20 e i 40 aa, raramente colpisce i bambini e soggetti di razza negra, mentre è più

frequente negli ebrei.

L’EZIOLOGIA è sconosciuta, forse è legata alle allergie alimentari, reazioni autoimmuni,

alterazioni biologiche dell’epitelio, disturbi psicosomatici...

Nel 10% dei casi ha un carattere familiare cioè colpisce diversi membri della stessa famiglia.

Dal punto di vista ANATOMO PATOLOGICO le lesioni interessano il retto e si estendono

prossimalmente in modo uniforme e progressivo, non in maniera segmentaria cioè con tratti sani

alternati alle lesioni, come succede nel morbo di Crohn.

La mucosa è edematosa, di colore rosso-vivo, umida per eccesso di muco, con degenerazione

dell’epitelio superficiale e lesioni emorragiche, poi la mucosa viene ricoperta da essudato

fibrinoso-purulento al di sotto del quale si formano dei piccolissimi granuli giallastri, ricchi di

PMN, dovuti ad ascessi criptici, la cui rottura provoca la formazione di ulcere piccole e multiple

o ulcere estese e serpiginose, raramente profonde fino alla tonaca muscolare e sanguinanti.

Inoltre, si formano numerose vegetazioni polipoidi o pseudopolipi infiammatori nel tentativo di

riparare le lesioni della mucosa e che hanno scarsa tendenza a regredire.

Inoltre, nelle fasi iniziali la parete e il Ø dell’intestino sono normali, poi la parete si ispessisce per

ipertrofia della muscolatura fino a provocare una stenosi.

I SINTOMI sono:

─ diarrea a spruzzo incontenibile fino a 10-20 scariche diarroiche al giorno con espulsione di

sangue e soprattutto materiale muco-purulento, di cattivo odore, fino alla disidratazione. Alcune

volte si ha una dermite perianale, emorroidi, tenesmo rettale tra le scariche diarroiche.

─ dolore addominale crampiforme, soprattutto nella fossa iliaca sx, con meteorismo e reazione di

difesa della parete muscolare addominale che è indice di irritazione peritoneale.

─ febbre più o meno alta fino a 40°C nelle forme gravi, con > VES, leucocitosi neutrofila.

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─ aggravamento delle condizioni generali del pz con anemia sideropenica da perdita di sangue

con le feci, gravi alterazioni dell’assorbimento idro-salino e notevole perdita di proteine,

soprattutto dell’albumina e calo ponderale.

Possiamo distinguere 3 quadri clinici: forma remittente-recidivante, forma cronica e forma acuta.

forma remittente-recidivante: rappresenta il 95% dei casi, ha un esordio subdolo, i sintomi

durano alcune settimane e scompaiono spontaneamente con fase di remissione che può durare

alcune settimane o anni, favorendo il ripristino quasi totale della mucosa del colon, ma si possono

avere delle recidive con sintomi e lesioni di entità uguale, più lievi o più gravi di quelli precedenti.

forma cronica è caratterizzata da fenomeni di iperplasia della mucosa superstite al processo

infiammatorio e formazione di pseudopolipi costituiti da tessuto di granulazione e tessuto

connettivo, ricoperti da mucosa. Non si ha mai una completa remissione della malattia.

forma acuta può essere una forma acuta a se stante o è una riacutizzazione di una forma

remittente-recidivante, raramente di una forma cronica.

La DIAGNOSI si basa su:

Rx diretto dell’addome: dilatazione del colon notevole in caso di megacolon tossico,

pseudopolipi, alterazioni della parete, pneumoperitoneo da perforazione intestinale.

Il clisma opaco evidenzia la < del Ø intestinale, margini irregolari della parete del colon per la

presenza di pseudopolipi, immagini di plus di riempimento da ulcerazioni.

Il clisma opaco è controindicato nel megacolon tossico e in caso di perforazione.

Colonscopia: deve essere eseguita con cautela per la fragilità della parete intestinale, si osserva

l’edema della mucosa, ulcere sanguinanti, pseudopolipi. Si possono effettuare prelievi bioptici

per la diagnosi di conferma o per individuare una displasia grave o una eventuale cancerizzazione.

Le COMPLICANZE della retto-colite sono:

carcinoma del colon-retto nel 3-11% dei casi con rischio che > proporzionalmente alla

durata della malattia; in genere si tratta di neoplasie multifocali, piatte e difficili da

diagnosticare, metastatizzano rapidamente, per cui anche se il pz è asintomatico sono

necessarie delle colonscopie preventive con biopsie multiple ogni 15-20 cm.

perforazione nel 2-3% dei casi.

megacolon tossico nel 4% dei casi: è responsabile della colite ulcerosa acuta fulminante che è

una grave complicanza dovuta ad una riacutizzazione della malattia, raramente rappresenta la fase

iniziale della malattia, favorita dai medicamenti (antidiarroici), colonscopia e clisma opaco.

Il colon presenta una parete molto sottile e fragile. I sintomi sono dolori addominali intensi,

distensione addominale da meteorismo, alvo diarroico nelle fasi iniziali, poi chiuso a feci e a gas,

contrattura di difesa della muscolatura addominale, segni di shock settico fino alla morte del pz.

emorragia massiva nel 3-4% dei casi da vasculite necrotizzante della mucosa (colectomia).

stenosi benigna nel 6-11% dei casi.

pericolangite: infiammazione degli spazi portobiliari e flogosi concentrica attorno ai dotti

biliari intraepatici con assenza di manifestazioni cliniche e innalzamento della ALP.

colangite sclerosante: infiammazione cronica ad eziologia ignota che interessa i dotti intra

ed extraepatici che non risponde a terapia cortisonica, anzi > il rischio di colangiocarcinoma.

La TERAPIA della retto colite ulcerosa in genere è Medica, nel 20% dei casi è Chirurgica.

La Terapia Medica consente di ottenere la remissione della malattia nel 75-80% delle forme

remittenti-recidivanti:

− pz a riposo, dieta ipercalorica e ipolipidica, < l’apporto di fibre con la dieta.

− ripristino dell’equilibrio metabolico ed idro-elettrolitico, nutrizione parenterale temporanea.

− < della diarrea mediante anticolinergici, loperimide, difenossilato 2-3 volte/die.

− sulfasalazina alla dose di 500 mg 2 volte/die per os.

− corticosteroidi cioè prednisone 40-60 mg/die a scalare.

− immunomodulatori cioè azatiorpina e 6-mercaptopurina, ciclosporina.

La Terapia Chirurgica è indicata nelle forme acute, forme che non rispondono alla terapia medica,

complicanze emorragiche, recidive frequenti, cancerizzazione, presenza di displasia severa,

megacolon tossico che è una situazione di emergenza chirurgica.

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L’intervento consiste nella colectomia totale con anastomosi ileo-rettale; se le lesioni rettali sono

gravi si ricorre alla procto-colectomia totale, intervento più radicale, con pessime condizioni di vita

del pz perché la fx sfinteriale rettale viene persa. In caso di notevole interessamento del retto ma

con integrità della funzione sfinteriale si esegue una colectomia totale con proctectomia prossimale

fino a 6-8 cm dall’ano e ileostomia temporanea di scarico per migliorare la qualità di vita del pz.

MORBO di CROHN

Il MORBO di CROHN è una malattia infiammatoria cronica granulomatosa che può interessare

qualsiasi segmento del canale alimentare, dalla bocca all’ano, anche se colpisce l’ileo terminale e

colon nel 56 % dei casi e si parla di ileite terminale, nel 30 % dei casi interessa solo il tenue, nel

15 % il colon-retto, raramente colpisce altre sedi.

Spesso colpisce soggetti giovani con età di 20-30 aa, può interessare anche bambini e anziani di

qualsiasi razza.

L’EZIOLOGIA è sconosciuta, forse è legata a infezioni intestinali da Yersinia enterocolitica,

Campilobacter, Shigella, Salmonella, abitudini alimentari e predisposizione genetica.

E’ stata proposta la Teoria del Freddo: questa patologia è studiata da oltre 100 anni e col passare

del tempo si è visto che è molto diffusa nei paesi freddi e con l’avvento dei frigoriferi,

congelatori… l’incidenza della malattia è aumentata anche nei paesi più caldi. Gli alimenti

conservati a -2/-10°C consentono la sopravvivenza dei germi che poi si depositano a livello dei

follicoli intestinali favorendo l’infezione.

Dal punto di vista ANATOMO PATOLOGICO si fa una distinzione tra forme diffuse e forme

circoscritte stenosanti, che possono essere di tipo acuto, subacuto o cronico.

Le forme ad inizio acuto o subacuto interessano soprattutto l’ileo terminale simulando

un’appendicite acuta, ecco perché spesso il chirurgo interviene d’urgenza ma durante l’intervento si

rende conto che l’appendice è normale mentre l’ultima ansa ileale è dilatata, rosso-violacea,

edematosa, mesentere è ispessito, edematoso con linfonodi ingrossati, tumefatti e arrossati.

La fase cronica è quella di interesse chirurgico caratterizzata da parete intestinale ispessita,

edematosa, infiammata, rigida, sclerotica, accorciata con superficie sierosa arrossata, spesso con

restringimenti del lume intestinale fino alla stenosi e dilatazione dell’intestino a monte.

Si tratta di lesioni segmentarie cioè con tratti sani alternati a tratti lesionati, con netta differenza tra

il segmento lesionato e quello sano a monte e a valle, per cui si parla di ileite segmentaria.

Le lesioni della superficie interna sono:

- ulcere superficiali simil aftoidi da microascessi nella compagine di un aggregato linfocitario, alla

base delle cripte ghiandolari.

- ulcere sottomucose fissurali, longitudinali, serpiginose, a solco d’aratro o a lama di coltello,

unite da ulcere trasversali.

- aspetto ad acciottolato: formazione di papule tra le lesioni ulcerose, per edema e iperplasia della

sottomucosa cioè aree ipertrofico-edematose alternate ad aree atrofiche.

Le lesioni istologiche sono:

- infiammazione transmurale: infiltrato di linfociti e plasmacellule in tutti gli strati della parete.

- granulomi sarcoidi: accumuli di 3-5 cellule epitelioidi con o senza cellule giganti in un infiltrato

linfo-plasmocitario, limiti netti, spesso localizzati nella sottomucosa.

Per i SINTOMI abbiamo:

- fase prodromica : dura alcuni mesi o anni: < appetito, dispepsia e dimagrimento,

- fase acuta o subacuta: sintomi sovrapponibili a quelli dell’appendicite acuta, cioè dolore

addominale improvviso nella fossa iliaca dx o periombelicale, diarrea con 6-8 scariche/gg con feci

liquide talora miste a sangue, febbricola, nausea, vomito, tachicardia, leucocitosi, calo ponderale.

Raramente si ha una contrattura di difesa addominale con dolenzia alla palpazione profonda.

- fase cronica è quella più importante, si manifesta con dolore addominale continuo, urente,

pulsante in presenza di fistole o ascessi, oppure di tipo colico in caso di fenomeni subocclusivi. Il pz

presenta steatorrea intermittente, alcune volte sangue occulto nelle feci da ulcerazione della mucosa,

alcune volte stipsi e calo ponderale da malassorbimento, denutrizione e anemia.

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Le COMPLICANZE del morbo di Crohn sono:

─ ostruzione intestinale da ispessimento della parete intestinale e notevole restringimento del

lume fino alla stenosi e dilatazione delle anse a monte dell’ostruzione.

─ fistolizzazione: comunicazione anomala tra il segmento intestinale e un viscere contiguo o la

cute: fistole entero-enterica, entero-colica, entero-vescicale con passaggio di feci o gas nelle urine

cioè fecaluria o pneumaturia e grave infezione delle vie urinarie, inoltre fistole entero-cutanea,

colo-colica, colo-vescicale, colo-cutanea, fistole perianali molto gravi e difficili da trattare.

─ perforazione intestinale con ascesso peritoneale o retroperitoneale e sepsi, oppure perforazione

in peritoneo libero con peritonite.

─ emorragia massiva, megacolon tossico e cancerizzazione.

La DIAGNOSI del morbo di Crohn si basa su:

Esami di Laboratorio: aspecifici con ipoalbuminemia, > VES, leucocitosi, anemia sideropenica

da perdita di sangue occulto oppure anemia megaloblastica da malassorbimento di acido folico e

vit.B12, ipokaliemia, steatorrea da deplezione di sali biliari, esame batteriologico e parassitologico

delle feci.

Rx Addome con clisma opaco e tecnica del doppio contrasto importante perché consente di

individuare ispessimento della parete con < del Ø, lesioni ulcerose, fistole, stenosi, livelli idro-aerei

a scalinata da occlusione intestinale e dilatazioni a monte della stenosi, lesioni ad acciottolato.

Colonscopia e Rettosigmoidoscopia: lesioni superficiali della mucosa e consente di fare prelievi

bioptici. Consente la diagnosi differenziale con la retto colite ulcerosa.

Ecografia vie urinarie e Urografia: fistole entero-vescicali.

La PROGNOSI è riservata: la malattia ha carattere progressivo e tende a riaccendersi e ad

estendersi.

La TERAPIA Medica è utile nelle fasi iniziali della malattia:

− alleviamento della sintomatologia dei crampi intestinali: anticolinergici, difenossilato (2-5

mg), loperamide (2-4mg), codeina (15-30 mg) fino a 4 volte/die.

− sulfasalazina: acido 5-amminosalicilico retard a dosaggi minimi efficaci.

− terapia corticosteroidea: prednisone ad alte dosi (40-60 mg/die) a scalare; idrocortisone (200-

300 mg/die) a scalare.

− antibiotici a largo spettro d’azione contro Gram− e anaerobi (metronidazolo 1-1,5 gr/die);

ciprofloxacina.

− immunomodulanti: azatioprina (2-3.5 mg/Kg/die); 6-mercaptopurina (1.5-2.5 mg/die).

− terapia biologica con Ab monoclonali anti TNFα che è una citochina, cioè un mediatore flogistico

molto coinvolto nella patogenesi del morbo di Crohn.

Inoltre, dieta priva di lattosio specialmente se il pz ha la diarrea e dolori addominali, povera di lipidi

nei pz con steatorrea, povera di scorie per ridurre lo stimolo meccanico sulle pareti lesionate.

La TERAPIA Chirurgica è indicata in caso di fallimento della terapia medica e in caso di

complicanze: resezione del segmento intestinale colpito e anastomosi tra i segmenti sani.

La chirurgia migliora la qualità di vita del pz, ma le recidive hanno un’incidenza notevole: 10%

dopo 1 anno e 100% dopo 18 anni.

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DIVERTICOLI del COLON

I DIVERTICOLI del COLON sono estroflessioni sacculari, a dito di guanto della mucosa dovute

alla presenza di aree di debolezza della muscolatura o locus minoris resistenziae e all’ > della P

intraluminale, più frequenti nel colon discendente e sigma, poiché il calibro è minore rispetto al

colon dx, per cui la P intraluminale è maggiore e perché la muscolatura gioca un ruolo importante

per far progredire le feci. Per cui si tratta di diverticoli acquisiti da pulsione.

Si fa una distinzione tra diverticolosi, malattia diverticolare e diverticolite: la diverticolosi si

riferisce all’aspetto anatomico della patologia, mentre la malattia diverticolare si riferisce

all’aspetto clinico della patologia che è sintomatica solo nel 20% dei casi, in genere con sintomi

identici alla sindrome del colon irritabile, oppure con sintomi più gravi in caso di complicanze.

La DIVERTICOLOSI indica la presenza dei diverticoli, raramente unici, ma in media in n°

variabile da 10 a 30 e in qualche caso anche un centinaio, soprattutto a livello del colon sx, tra la

tenia mesenterica e le tenie laterali, senza alterare la fx colica, infatti, la diverticolosi è asintomatica

nell’80% dei casi e viene scoperta casualmente mediante un esame radiologico o endoscopico

richiesto per altri motivi. I diverticoli del colon sono molto frequenti nei soggetti anziani

ultraottantenni, raramente nei soggetti più giovani.

L’EZIOPATOGENESI è legata a 3 fattori:

- dieta povera di scorie, fibre, frutta e verdura, ricca di proteine, con < della massa fecale e dei

movimenti peristaltici e indebolimento della muscolatura della parete del colon.

- incoordinazione motoria tra sigma e retto con formazione di camere ad alta P endoluminale che

favoriscono la formazione dei diverticoli.

- processo di invecchiamento del tessuto connettivo e formazione di aree di debolezza della parete

intestinale.

La MALATTIA DIVERTICOLARE viene distinta in malattia diverticolare non complicata e

complicata.

La Malattia Diverticolare non complicata si manifesta con sintomi tipici della sindrome del colon

irritabile, cioè lievi dolori addominali nella fossa iliaca sx, stipsi oppure diarrea.

La Malattia Diverticolare complicata è caratterizzata da alcune complicanze: diverticolite e

l’emorragia.

La DIVERTICOLITE è l’infiammazione del diverticolo che si verifica in seguito al ristagno del

materiale fecale nel diverticolo con proliferazione batterica, edema, congestione, sviluppo di

microperforazione coperta del tessuto peridiverticolare, fino alla formazione di un ascesso, aderenze

ad organi vicini con o senza fistolizzazione o con perforazione nel cavo peritoneale, oppure fibrosi

con stenosi e subocclusione intestinale. La diverticolite può essere acuta o cronica.

La Diverticolite Acuta può essere di tipo catarrale, flemmonosa, perforativa con peritonite

circoscritta o generalizzata, oppure si ha fistolizzazione viscerale, soprattutto colo-vescicale con

pneumaturia cioè presenza di aria nelle urine, oppure fecaluria cioè presenza di feci nelle urine

mentre quelle colo-ileale, colo-uterina, colo-vaginali, colo-cutanea sono più rare.

I SINTOMI sono:

- dolore violento in fossa iliaca sx, continuo, spesso notturno, alvo irregolare e febbre, nausea e

vomito sono rari.

- alcune volte disturbi della minzione, cioè disuria e pollachiuria, perché l’uretere di sx decorre

posteriormente al sigma e può essere interessato dal processo infiammatorio.

- in caso di perforazione con peritonite acuta circoscritta o generalizzata si ha una reazione di difesa

della parete addominale con segni di sepsi, cioè febbre alta, leucocitosi neutrofila, > VES, > PCR.

- in caso di stenosi e subocclusione intestinale da pseudotumore infiammatorio o episodi aderenziali

abbiamo alterazioni del transito intestinale con meteorismo.

La Diverticolite Cronica può essere cronica ab inizio oppure può nascere come evoluzione della

forma acuta: si può formare uno pseudotumore infiammatorio stenosante, oppure delle membrane o

briglie aderenziali che possono provocare l’occlusione intestinale o le fistolizzazioni, con

emorragia lieve, controllabile, raramente massiva fino allo shock ipovolemico.

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L’Emorragia è complicanza della malattia diverticolare dovuta alla erosione dei vasi parietali ed è

la causa più frequente di emorragie digestive inferiori, spesso autolimitantesi, altre volte richiede

una terapia di supporto per ripristinare la volemia: il sangue è rosso vivo, alcune volte più scuro.

La DIAGNOSI si basa su:

Rx Diretto Addome: evidenzia il pneumoperitoneo con falce aerea sottodiaframmatica in caso di

perforazione del diverticolo.

Rx con clisma opaco e tecnica del doppio contrasto: evidenzia la morfologia dei diverticoli

rotondeggianti, restringimento o accorciamento a fisarmonica del sigma in seguito all’ispessimento

della muscolatura circolare, eccessiva segmentazione colica da ipermotilità oppure stenosi colica da

episodi ripetuti di peridiverticolite con flogosi cronica pericolica. Questa indagine deve essere

evitata in caso di perforazione perché è ad alto rischio di peritonite da bario.

Colonscopia: presenza del colletto del diverticolo, sede, presenza di emorragie, consente di

escludere la presenza di un carcinoma o del morbo di Crohn, ma è controindicata in caso di stenosi

o occlusione intestinale perché il passaggio dello strumento endoscopico è più difficoltoso e

potrebbe causare dei traumi intestinali.

Ecografia e TAC per individuare raccolte sottodiaframmatiche da perforazione intestinale e

ascessi paracolici con eventuale fistolizzazione.

La TERAPIA nelle forme asintomatiche scoperte casualmente si basa su una dieta ad alto residuo

cioè ricca di fibre, scorie naturali, pane integrale, frutta, verdura, crusca, per > la massa fecale,

accelerare il transito intestinale e favorire le evacuazioni, riducendola P endoluminale.

Nelle forme sintomatiche con segni di alterazione funzionale del colon, senza segni di flogosi, la

terapia è dietetica e medica con farmaci antispastici e procinetici.

In presenza di complicanze flogistiche si somministrano farmaci antibiotici ad ampio spettro

d’azione per via parenterale cioè metronidazolo e cefalosporine, antiinfiammatori, analgesici,

antispastici, dieta liquida e nei casi più gravi nutrizione parenterale totale.

La Terapia Chirurgica è indicata in presenza di complicanze: tecnica di Hartmann in due tempi

con resezione del segmento intestinale interessato, chiusura del moncone distale che viene

affondato nel cavo pelvico, il moncone prossimale viene portato all’esterno (stomia cutanea) e poi

si decide se eseguire la ricanalizzazione tra i 2 monconi, con stomia definitiva. In presenza di

peritonite purulenta o fecale è necessario il lavaggio peritoneale esteso con una soluzione

antisettica.

TUMORI del COLON

I Tumori del Colon sono distinti in tumori benigni e maligni, di natura epiteliale o connettivale.

Tumori benigni di natura epiteliale:

─ adenomi o polipi tubulari, villosi e misti, poliposi adenomatosa familiare (FAP).

─ amartomi: poliposi giovanile, sindrome di Peutz-Jeghers.

Tumori maligni di natura epiteliale: carcinoma del colon-retto.

Tumori benigni di natura connettivale: fibromi, lipomi, leiomiomi, angiomi.

Tumori maligni di natura connettivale: linfomi, leiomiosarcomi, fibrosarcomi, angiosarcomi.

Gli Adenomi o Polipi adenomatosi sono i tumori benigni epiteliali del colon più frequenti,

distinti in adenoma tubulare o semplice, villoso e misto o tubulo-villoso più raro.

Gli Adenomi semplici o tubulari sono i più frequenti (20-30%) colpiscono soprattutto soggetti

adulti di sesso M, spesso sono sessili con base di impianto larga e puduncolo corto, raramente

peduncolati con base di impianto stretta e peduncolo lungo, nel 70% dei casi sono solitari o unici,

le sedi più colpite sono il sigma e il retto, con Ø variabile da pochi mm a 7-8 cm.

Nel 50% dei casi sono asintomatici, altre volte provocano anemia da perdita cronica occulta di

sangue con le feci, oppure dolore e stipsi da subocclusione nelle forme più voluminose o da

trazione esercitata dal polipo sulla parete intestinale.

Gli Adenomi villosi o papillomi possono provocare anche mucorrea abbondante con emissione di

muco abbondante, chiaro, simile all’albume d’uovo.

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La Diagnosi si basa sulla ricerca del sangue occulto nelle feci, Rx con clisma opaco con tecnica

a doppio contrasto e Colonscopia o Retto-sigmoidoscopia eseguendo prelievi bioptici per la

diagnosi istologica tenendo conto che i polipi sono lesioni precancerose.

Il rischio di cancerizzazione dipende da vari fattori:

─ istotipo: l’adenoma semplice o tubulare cancerizza nel 5% dei casi, l’adenoma villoso nel 30-

40% dei casi, mentre l’adenoma misto nel 20% dei casi.

─ dimensioni del polipo: i polipi con Ø < 1 cm cancerizzano solo nell’1% dei casi, i polipi con Ø di

1-2 cm nel 10% dei casi, i polipi con Ø > 2 cm nel 20% dei casi.

─ numero dei polipi: in caso di polipi multipli o poliposi il rischio di cancerizzazione è più alto.

La Terapia si basa sulla polipectomia per via endoscopica, oppure resezione segmentaria del

colon se non è possibile raggiungere per via endoscopica l’adenoma, se l’adenoma è voluminoso,

oppure colectomia totale in caso di poliposi diffusa.

I risultatti sono favorevoli ma bisogna controllare la situazione mediante delle colonscopie

periodiche perché si possono formare nuovi polipi.

La Poliposi adenomatosa familiare (FAP) rappresenta solo l’1% di tutti i tumori del colon, è una

forma a trasmissione AD dovuta alla mutazione inattivante del gene oncosoppressore APC posto sul

braccio lungo del cromosoma 5, caratterizzata dalla formazione di un n° elevatissimo di polipi

adenomatosi, centinaia o migliaia, di varie dimensioni, peduncolati o sessili, localizzati nel colon-

retto, stomaco, duodeno, in genere non presenti sin dalla nascita ma si formano nei primi 10 aa di

vita, restando asintomatici per lungo tempo e solo intorno ai 30-35 anni si manifestano con diarrea,

dolori addominali, rettorragia, spesso associati a osteomi multipli della mandibola, ipertrofia

dell’epitelio pigmentato della retina.

E’ importante lo screening nei parenti di primo grado con età > 20 anni mediante test genetici per

valutare le mutazioni del gene APC che non è sempre presente, Rx con clisma opaco e tecnica

del doppio contrasto e Colonscopia con biopsia ed esame istologico tenendo conto che il rischio

di cancerizzazione è alto e bisogna intervenire subito chirurgicamente.

La Sindrome di Peutz-Jeghers è una sindrome molto rara a trasmissione AD, con polipi

amartomatosi diffusi nel tenue, stomaco e colon, colpisce soprattutto soggetti giovani, caratterizzata

da iperpigmentazione della cute e mucosa delle labbra, cavità orale, vaginale, faccia volare

delle dita delle mani e piedi, spesso è asintomatica oppure si manifesta con emorragia occulta,

dolore addominale, occlusione meccanica. Cancerizzano nel 50% dei casi per cui si ricorre a

polipectomia per via endoscopica o chirurgica, resezione dei segmenti intestinali contenenti

numerosi polipi.

La Poliposi familiare del colon è caratterizzata da polipi amartomatosi multipli a livello del

colon, stomaco e duodeno che vanno incontro a degenerazione neoplastica, associati a osteomi

multipli della mandibola, tumori desmoidi, ipertrofia dell’epitelio pigmentato della retina.

Infine, ricordiamo il Tumore ereditario del colon non poliposico HNPCC o sindrome di Lynch

malattia ereditaria AD da alterazione dei geni del mismatch repair hMLH1 e hMSH2, con alterazione

dei meccanismi di riparazione del DNA e instabilità dei microsatelliti, distinta in sindrome di Lynch

di tipo 1 con tumori del colon e di tipo 2 con tumore del colon, stomaco, tenue, vie biliari,

endometrio, uretere, pelvi renale.

Per la diagnosi è importante l’anamnesi familiare + con presenza della neoplasia in almeno 3

membri della famiglia di cui almeno 2 sono parenti di primo grado, presenza del tumore in

almeno 2 generazioni e in almeno un soggetto con età < 50 aa.

Il CARCINOMA del COLON rappresenta il 95% di tutti i tumori maligni del colon e la neoplasia

più frequente dell’apparato gastro-enterico, nel 70% dei casi colpisce il sigma e il retto per cui si

parla di carcinoma del colon-retto.

E’ molto diffuso nei paesi occidentali, colpisce M e F con età media di 60-70 anni e picco massimo

a 80 anni. Negli ultimi decenni si è registrato un notevole incremento dell’incidenza della neoplasia,

rappresentando la 2^ causa di morte dopo il carcinoma polmonare nei M e carcinoma mammario

nelle F. In Italia l’incidenza è di ~ 40 nuovi casi/100000 abitanti/anno.

Tra i Fattori di Rischio abbiamo:

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abitudini alimentari scorrette: dieta ricca di grassi animali e proteine, povera di fibre cereali,

frutta e verdura con riduzione della massa fecale, rallentamento del transito intestinale e contatto

più prolungato della massa fecale e dei fattori oncogeni con la superficie intestinale cioè nitrati e

nitriti alimentari, trasformati in nitrosamine dalla flora batterica intestinale.

In Italia il carcinoma del colon-retto è meno diffuso nelle regioni del Sud grazie alla dieta

mediterranea ricca di fibre. Il rischio è alto nei soggetti in sovrappeso o obesi e nei fumatori

soprattutto di pipa e sigaro che favoriscono lo sviluppo dei polipi.

malattie infiammatorie dell’intestino: retto-colite ulcerosa emorragica con rischio di

cancerizzazione nel 3-11% dei casi soprattutto per le forme estese pseudo-polipose e di vecchia

data. Il rischio è minore nel caso del morbo di Crohn.

lesioni precancerose:

─ polipi adenomatosi tubulari, villosi e misti.

─ poliposi adenomatosa familiare (FAP).

─ polipi amartomatosi distinti in polipi giovanili e sindrome di Peutz-Jeghers.

─ tumore ereditario del colon non poliposico HNPCC o sindrome di Lynch.

predisposizione familiare: anamnesi familiare + per il carcinoma del colon-retto, poliposi

adenomatosa familiare FAP, tumore ereditario del colon non poliposico HNPCC con rischio

elevato in caso di storia familiare + per carcinoma del colon in 2 o più parenti di I grado soprattutto

se la neoplasia è insorta prima dei 50 anni.

pz operati per cancro colo-rettale o in altra sede per persistenza di fattori cancerogeni.

Dal punto di vista ANATOMO PATOLOGICO si tratta di un’adenocarcinoma perché origina dalle

ghiandole mucose, distinto in carcinoma del colon dx di tipo vegetante o polipoide (11%) e

carcinoma del colon sx di tipo scirroso (33%), mentre il cancro ulcerato interessa il retto (50%).

Il CARCINOMA del COLON DX è una forma vegetante o polipoide che si sviluppa nel lume

intestinale con aspetto a fungo o a cavolfiore, consistenza friabile, superficie e margini irregolari.

In genere non provoca occlusione perché le feci che arrivano dall’ileo nel colon di dx sono liquide

e il loro transito non viene ostacolato dalla neoplasia e perché il tessuto neoplastico si accresce

nella parte interna della massa neoplastica e va in disfacimento necrotico nella parte periferica

poiché a tale livello non avviene il processo della neoangiogenesi, cioè la formazione di nuovi vasi

che irrorano la neoplasia (ipossia) mentre ciò avviene nella parte centrale.

I Sintomi sono molto tardivi cioè diarrea con emissione di feci poltacee, decadimento delle

condizioni generali del pz, astenia, calo ponderale, dolore ai quadranti addominali di dx, sangue

occulto nelle feci e anemia ingravescente.

Il CARCINOMA del COLON SX è una forma di cancro scirroso detto anche infiltrante, anulare-

stenosante perché prima infiltra la parete intestinale, poi si estende per tutta la sua

circonferenza, restringendo il lume intestinale con stenosi fino all’occlusione intestinale,

tenendo conto che il colon sx presenta un Ø < rispetto al colon dx e le feci sono dense. In caso di

occlusione si ha la dilatazione delle anse a monte, che cessa a livello della valvola ileo-cecale se

questa è continente, per cui si crea un’ansa chiusa con notevole > P endoluminale, che provoca

ischemia e perforazione della parete, spesso a livello del cieco (perforazione diastasica) con

peritonite generalizzata: la perforazione interessa soprattutto il cieco perché ha un Ø maggiore,

parete muscolare più sottile e l’ipertensione si ripercuote su di essa.

Se la valvola ileo-cecale è incontinente la dilatazione si estende al tenue.

I Sintomi sono disturbi dell’alvo con stipsi ingravescente oppure stipsi alternata a diarrea, con

senso di peso epigastrico e al fianco sx, poi insorge la Sindrome da stenosi intestinale di König

che si manifesta con dolore addominale crampiforme, meteorismo e iperperistalsi che consente di

osservare le anse intestinali sulla parete addominale, alterazioni dell’alvo con rettoragia cioè

emissione di sangue di colore rosso vivo dal retto da solo o frammisto a feci o diarrea muco-

sanguinolenta, tenesmo rettale cioè sensazione dolorosa a livello dello sfintere anale associato a

stimolo all’evacuazione, defecazione in più tempi ravvicinati, stipsi di recente insorgenza oppure

falsa defecazione con senso di evacuazione incompleta ed è possibile palpare una massa

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addominale in genere in fossa iliaca sx. La stenosi può evolvere verso l’occlusione intestinale fino

alla perforazione con peritonite generalizzata e aggravamento delle condizioni generali del pz.

Il Cancro Ulcerato interessa soprattutto il retto e si parla di carcinoma del retto, si presenta come

un cratere a margini rilevati, duri, irregolari, si manifesta con turbe dell’alvo ed emorragia con

emissione di sangue di colore rosso vivo, talvolta misto a muco nelle feci, evacuazione di feci

nastriformi, tenesmo rettale, dolore gravativo perineale.

Ricordiamo che il carcinoma del colon-retto può presentarsi sotto forme multiple distinte in

Sincrone se si manifestano contemporaneamente nello stesso segmento o in segmenti adiacenti ed

aventi la stessa area di drenaggio linfatico o Metacrone se si manifestano a distanza di mesi o anni

dall’asportazione del tumore primitivo.

Le Vie di Diffusione del carcinoma del colon sono:

─ per continuità: il tumore infiltra progressivamente tutta la parete intestinale fino al peritoneo con

carcinosi peritoneale diffusa e ascite emorragica.

─ per contiguità: il tumore infiltra gli organi adiacenti cioè vescica, ureteri, vagina, prostata e

vescicole seminali (dal retto).

─ per via linfatica: metastasi ai linfonodi regionali cioè linfonodi epicolici a livello della parete

intestinale, linfonodi pericolici ai linfonodi dell’arteria ileo-colica, arteria colica dx, sx e colica

media, mentre il carcinoma del retto provoca metastasi ai linfonodi dell’arteria emorroidaria

superiore fino ai linfonodi lombo-aortici, iliaci interni e ipogastrici.

─ per via ematica: metastasi epatiche, polmonari, cerebrali e ossee.

La Diagnosi precoce della neoplasia si basa su Test di Screening nei soggetti a rischio elevato cioè

soggetti con età > 50 anni, anamnesi familiare +, poliposi e malattie infiammatorie croniche

del colon-retto. Lo screening si basa su alcune indagini che consentono di fare diagnosi e terapia

precoce della neoplasia:

ricerca del sangue occulto nelle feci 1 volta/anno: è l’esame più semplice ma meno affidabile

da eseguire su almeno 3 campioni di feci prelevati in 3 gg consecutivi. Questo test può dare

risultati falsi + cioè può essere + per cause non tumorali come emorroidi, coliti, gastriti, ulcere...

esplorazione rettale.

colonscopia almeno 1 volta ogni 4-5 anni.

La Colonscopia con biopsie multiple consente di valutare l’istotipo e la presenza di un eventuale

secondo tumore sincrono detto polipo sentinella in evoluzione carcinomatosa.

L’Rx con clisma opaco e tecnica del doppio contrasto è utile solo in fase avanzata, osservando la

parete intestinale irregolare e rigida, difetti di riempimento, polipi sentinella, mentre la

valutazione sierica dei markers tumorali CEA e Ca19.9 è utile per il follow-up post-operatorio

valutando la ripresa della neoplasia con recidive e la presenza di metastasi.

L’Ecografia addome, TC.. sono utili per la stadiazione della neoplasia.

La PROGNOSI dipende dallo stadio in cui si trova la neoplasia, presenza o meno di metastasi

linfonodali e a distanza. A tal proposito è utile la Classificazione TNM:

─ Tis: carcinoma in situ, intraepiteliale, limitato alla tonaca mucosa.

─ T1: la neoplasia infiltra la tonaca sottomucosa.

─ T2: la neoplasia infiltra la tonaca muscolare propria.

─ T3: invade la sottosierosa, tessuti pericolici o perirettali non rivestiti dal peritoneo.

─ T4: la neoplasia supera il peritoneo viscerale e infiltra gli organi adiacenti per contiguità.

─ N0: non si hanno metastasi ai linfonodi regionali.

─ N1: metastasi in 1-3 linfonodi regionali.

─ N2: metastasi in 4 o più linfonodi regionali.

─ N3: metastasi ai linfonodi dell’arteria ileo-colica, colica dx, colica media, colica sx, arteria

mesenterica inferiore ed emorroidaria superiore.

─ M0: non si hanno metastasi a distanza.

─ M1: metastasi a distanza.

Molto importante è la Stadiazione di DUKES (carcinoma del colon-retto):

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stadio A: neoplasia limitata alla tonaca mucosa e sottomucosa, senza metastasi (T1, T2, N0,

M0) con sopravvivenza a 5 anni > 90%.

stadio B1: la neoplasia infiltra la tonaca muscolare propria, senza metastasi (T3, N0, M0)

con sopravvivenza a 5 anni pari all’85%.

stadio B2: la neoplasia infiltra la sierosa, senza dare metastasi (T4, N0, M0) con

sopravvivenza a 5 anni del 70-80%.

stadio C1: la neoplasia infiltra la tonaca muscolare propria e provoca metastasi ai linfonodi

regionali pericolici o perirettali (ogni T, N1) con sopravvivenza a 5 anni nel 25% dei casi.

stadio C2: la neoplasia infiltra la sierosa e provoca metastasi linfonodali regionali ed

extraregionali e a distanza con morte del pz dopo qualche mese o anno dalla terapia.

La TERAPIA è chirurgica radicale nelle fasi iniziali della malattia, senza metastasi, con exeresi del

tratto intestinale colpito dalla neoplasia più alcuni cm a monte e a valle come limiti di sicurezza

oncologica, associata a linfoadenectomia estesa.

In caso di carcinoma del colon dx si ricorre ad emicolectomia dx con anastomosi ileo-colica, in

caso di carcinoma del colon sx si esegue una emicolectomia sx con anastomosi termino-terminale

tra colon trasverso prossimale e retto ma in caso di occlusione intestinale, tumori sanguinanti o

perforati, si ricorre ad emicolectomia sx secondo Hartmann con colonstomia sx temporanea con

ricanalizzazione intestinale a distanza di almeno 3 mesi dal primo intervento.

In caso di carcinoma del colon-retto molto basso in passato si ricorreva all’amputazione

addomino-perineale secondo Miles ma la anastomosi era di tipo manuale e molto invalidante,

mentre oggi le anastomosi sono più sicure grazie alle suturatrici automatiche o Stappler

consentendo anastomosi più basse, fino a 3 cm dall’ano.

Il carcinoma del retto, rispetto a quello del colon, è più sensibile alla radioterapia preoperatoria e

postoperatoria per sterilizzare le micrometastasi residue, < il rischio di recidive e migliorare la

sopravvivenza, associata alla chemioterapia con infusione continua di 5-FU e acido folico (vitamina

che potenzia l’azione del 5-FU). Tra i chemioterapici di ultima generazione abbiamo l’oxaliplatino e

irinotecan per vie e.v., capecitabina e UFT per os.

Inoltre è possibile la terapia biologica con farmaci specifici per le cellule tumorali, senza

danneggiare le cellule sane, in genere associata alla chemioterapia, tra cui abbiamo:

─ cetuximab: Ab monoclonale diretto contro il recettore EGF (Epidermal Growth Factor) la cui

iperespressione sulla superficie delle cellule tumorali è indice di aggressività.

─ bevacizumad: Ab monoclonale diretto contro la VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor)

impedendo la formazione della rete vascolare che consente al tumore di alimentarsi, bloccando la

crescita della massa tumorale.

Nelle fasi avanzate in presenza di metastasi la terapia è palliativa-sintomatica.

Il follow-up postoperatorio si basa sulla valutazione dei markers tumorali, ricerca di sangue

occulto nelle feci, ecografia epatica, Rx torace, Rx con clisma opaco e colonscopia 1 volta/anno.

Inoltre si consiglia il pz una Terapia Dietetica idonea per evitare di sovraccaricare l’intestino:

─ evitare cibi ricchi di scorie perchè favoriscono una maggiore produzione di gas (meteorismo)

cioè asparagi, cipolla, aglio, funghi, pesce, uova, insaccati, salumi, birra, bevande gassate,

cavoli, cavolfiori, prugne, pesche, fichi, cachi, frutta secca, legumi, radici amare, rape, verdura

cruda, trippa...

Dopo 3 settimane dall’intervento è possibile introdurre nella dieta uno di questi alimenti alla volta,

gradualmente.

─ evitare cibi che favoriscono la stipsi (costipazione) cioè noci, noccioline, vino rosso, cioccolata,

grano, latte bollito, sedano, formaggi secchi, uva passa.

─ consumare frutta e verdura centrifugata, frullata e nei primi mesi si consigliano mele e carote

che sono astringenti.

─ bere molti liquidi, almeno 2-3 litri/die, preferibilmente tra i pasti per non accelerare il transito

intestinale, tra cui acqua, thè al limone, caffè leggero, spremute di agrumi filtrate, succhi di

frutta o verdure centrifugate.

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─ il succo di mirtilli, spremute filtrate di agrumi, prezzemolo, spinaci lessati e yogurt inibiscono il

maleodore e il meteorismo.

MALATTIE del Retto e dell’Ano

L’Intestino Retto è quella parte dell’intestino che fa seguito al sigma e si estende fino all’ano.

Presenta 3 porzioni: canale ano-rettale o retto perineale che ha la fx di continenza delle feci,

ampolla rettale o retto sottoperitoneale, retto soprampollare o peritoneale o alto retto.

E’ molto importante la vascolarizzazione arteriosa del retto perché si deve a 4 peduncoli:

- peduncolo superiore: arteria emorroidaria o rettale superiore, ramo terminale dell’a.m.i.,

vascolarizza l’ampolla rettale.

- peduncolo medio: arteria emorroidaria o rettale media, ramo dell’arteria pudenda interna o

dell’arteria ischiatica, rami collaterali dell’arteria ipogastrica, vascolarizza la parte media

dell’ampolla.

- peduncolo inferiore: arterie emorroidarie inferiori, rami dell’arteria pudenda interna,

vascolarizzano il canale ano-rettale, lo sfintere esterno e la cute anale.

- peduncolo posteriore: esili rami provenienti dall’arteria sacrale media, vascolarizzano la faccia

posteriore del retto.

Il drenaggio venoso si deve alle vene emorroidarie superiori che confluiscono nella vena

mesenterica inferiore e nella vena porta, alle vene emorroidarie medie e inferiori satelliti della

vena ipogastrica. Poi abbiamo il plesso emorroidario interno nella sottomucosa del 3° superiore del

canale ano-rettale, formato da dilatazioni sacculari che costituiscono 2 colonne a dx, antero-

laterale e postero-laterale e 1 colonna a sx, con possibili gavoccioli intermedi. Da queste colonne

originano dei vasi che si dirigono alle vene emorroidarie superiore, media e inferiore e si creano

anastomosi tra la vena porta e la vena cava inferiore, con possibili emorroidi sintomatiche di

ipertensione portale.

Il drenaggio linfatico si deve ai linfonodi emorroidari superiori, perirettali, ipogastrici, inguinali...

L’innervazione si deve al plesso pudendo che fornisce il nervo emorroidario inferiore importante

per i movimenti del muscolo elevatore dell’ano e dello sfintere esterno, poi si deve al plesso

lombare e al plesso sacrale che forniscono fibre ortosimpatiche e parasimpatiche per lo sfintere

lisci.

EMORROIDI

Le EMORROIDI sono dilatazioni ectasiche del plesso venoso emorroidario ano-rettale a livello

della zona delle valvole di Morgagni dove i rami delle vene emorroidarie superiori si

anastomizzano con i rami delle vene emorroidarie medie e inferiori.

Le emorroidi colpiscono entrambi i sessi, a partire dalla pubertà, raggiungendo il picco di incidenza

verso i 40-50 anni.

L’EZIOPATOGENESI non è molto chiara: secondo alcuni sono dovute a cause congenite con

debolezza delle pareti venose, a cui si sovrappongono delle cause acquisite come l’ipertensione

venosa distrettuale, secondo altri sono dovute ad un iperafflusso di sangue in seguito ad una

esagerata apertura delle anastomosi artero-venose del plesso emorroidario (contengono sangue

rosso-vivo), oppure ad un indebolimento delle strutture di sostegno, come il legamento di Parks, per

cui i gavoccioli sanguigni prolassano lentamente, con scivolamento anale, ostacolando il deflusso

venoso. Secondo altri queste teorie sono associate tra loro, per cui si parla di patologia ad eziologia

multifattoriale.

Tra i Fattori Predisponenti più importanti abbiamo:

- stipsi cronica in cui l’evacuazione richiede un notevole > della P addominale che però ostacola il

circolo venoso refluo, mentre le feci dure stirano in senso distale l’ano-derma.

- diarrea cronica e la gravidanza possono indebolire le strutture di sostegno, con lassità dei

legamenti e compressione delle vene nel distretto pelvico.

- ortostatismo statico prolungato, cioè il soggetto sta fermo e in piedi per molte ore, può favorire

l’insorgenza delle emorroidi poiché la P venosa emorroidaria passa da 25 cmH2O, tipica del

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decubito orizzontale, a 75-80 cmH2O nell’ortostatismo, salendo ulteriormente in caso di sforzi per

motivi professionali o sportivi.

- frequente associazione tra emorroidi ed ipertensione portale.

Possiamo fare una distinzione tra emorroidi esterne ed interne (sopra o sotto il legamento di Parks):

emorroidi esterne: sono sottocutanee o sottocuteneo-mucose, sono visibili, e sono dovute alla

iperplasia del plesso emorroidario esterno.

emorroidi interne: sono le più frequenti ed importanti, non sono visibili fino a quando non

prolassano al di fuori del canale ano-rettale, trascinando l’ano-derma. Sono dovute all’iperplasia del

plesso emorroidario interno.

In genere, le emorroidi interne si raccolgono in 3 colonne: 2 colonne a dx in posizione antero-

laterale e postero-laterale e 1 colonna a sx in posizione laterale, anche se ci possono essere dei

piccoli gavoccioli accessori. Il nodo emorroidario è costituito da un accumulo di vasi sanguigni

dilatati, con forma rotondeggiante, volume variabile da una nocciola ad una noce, peduncolo

vascolare al suo polo superiore, ricoperto dalla mucosa e sanguina facilmente.

I SINTOMI sono:

- emorragia o proctorragia in genere modesta, compare durante la defecazione o subito dopo la

defecazione sottoforma di un gocciolamento di sangue rosso-vivo (per le anastomosi artero-venose).

In genere, è saltuaria, raramente è frequente ed abbondante, come in caso di ipertensione portale.

- prolasso: è tipico delle emorroidi interne, interessando uno o tutti i gavoccioli in seguito allo

scivolamento dei nodi emorroidari all’esterno dell’orifizio anale.

A tal proposito le emorroidi interne sono distinte in 4 gradi:

I grado: si tratta di semplici ectasie venose visibili con l’endoscopio o con lo stiramento digitale

bilaterale del contorno anale in modo da rovesciare la mucosa e invitando il malato a spingere.

II grado: il prolasso compare durante la defecazione e si riduce subito dopo la defecazione.

III grado: il prolasso si ha in seguito a sforzi e sim riduce solo manualmente.

IV grado: il prolasso è stabile ed irriducibile.

Nei prolassi di III e IV grado spesso si ha la perdita di liquido sieroso, maleodorante per la presenza

di tracce fecali e compare una dermite perianale che provoca un prurito intenso, persistente,

fastidioso, difficile da controllare e recidivante.

- dolore: in genere di modesta entità, con senso di peso o corpo estraneo a livello ano-rettale, prurito

perianale, dolore all’atto della defecazione. Il dolore diventa molto intenso in caso di complicanze.

Le COMPLICANZE delle emorroidi sono: tromboflebite, strozzamento e ragade anale.

La Tromboflebite emorroidaria è la complicanza che spesso induce il pz a rivolgersi dal medico

perché provoca dolore intenso, tenesmo rettale, ingrossamento e indurimento di uno o più

gavoccioli interni o prolassati oppure di un nodo emorroidario esterno non più riducibile e

svuotabile con la pressione. Alcune volte la tromboflebite guarisce da sola con la organizzazione

del trombo ma può anche evolvere nella suppurazione con ascessi e fistole.

Lo Strozzamento emorroidario è causato da uno spasmo persistente dell’apparato sfinterico su un

prolasso emorroidario. I gavoccioli diventano duri per la trombosi, tesi, molto dolorosi, si ha

tenesmo rettale e vescicale.

Se lo strozzamento persiste i nodi vanno in gangrena e spesso si formano ascessi e fistole.

La Ragade anale è un’ulcera lineare della cute anale, spesso solitaria, localizzata sulla linea

mediana posteriore, lunga alcuni mm, al confine tra canale anale e cute, con disordine circolatorio

locale e stasi venosa, soprattutto nei pz con stipsi cronica con evacuazione di feci molto dure che

alterano la mucosa provocando spasmo sfinterico molto doloroso subito dopo il passaggio delle

feci, che può durare da alcuni minuti fino a 1-2 h, per cui il pz cerca di evitare la defecazione

aggravando la stipsi, creando così un circolo vizioso.

Alcune volte il pz presenta una semplice sensazione di fastidio e prurito, oppure si ha la perdita di

qualche goccia di sangue rosso-vivo durante la defecazione.

La Terapia delle ragadi anali può essere Medica usando delle pomate e supposte antispastiche,

antinfiammatorie ed anestetiche, blandi lassativi, bagni caldi.

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La Terapia Chirurgica è indicata per le ragadi di vecchia data e recidivanti, che non rispondono alla

terapia medica, ricorrendo alla sezione parziale dello sfintere interno o sfinterotomia interna.

La DIAGNOSI delle emorroidi si basa su:

- Anamnesi: è importante stabilire se la proctorragia avviene durante o subito dopo la defecazione

con gocciolamento di sangue rosso-vivo, di provenienza sfinterica o sottosfinterica.

Inoltre, se si tratta di sangue misto a feci, oppure se viene emesso sottoforma di coaguli ed ha un

colore rosso scuro, il che potrebbe far pensare ad una retto-colite ulcerosa o al morbo di Crohn,

oppure ad un tumore del retto, come un polipo o un carcinoma.

- Esplorazione digito-rettale: si notano i gavoccioli emorroidari ingrossati, di consistenza molliccia,

più o meno dolenti, escludendo la presenza di processi infiammatori o tumorali del retto.

- anoscopia e retto-sigmoidoscopia utili nei casi dubbi perché un polipo villoso o un cancro iniziale

del retto possono sfuggire all’esplorazione rettale.

La TERAPIA può essere medica o chirurgica.

La Terapia Medica è sia farmacologica che igienico-dietetica per correggere la stipsi con alimenti

ricchi di fibre, crusca, blandi lassativi, evitando le bevande alcoliche, eseguendo una maggiore

attività fisica, un’accurata igiene dopo la defecazione, bagni locali freddi per ridurre l’apporto di

sangue o caldi che agiscono come miorilassanti sfinterici.

Si possono usare delle supposte e pomate antiflogistiche, decongestionanti, analgesiche e

vasocostrittrici: sono utili per sedare il dolore, il prurito e migliorare la circolazione nei capillari che

irrorano l’ano.

Bisogna evitare la vita sedentaria e cercare di fare delle passeggiate o attività fisica sportiva, evitare

il sovrappeso perché incide sulla circolazione del sangue, occorre bere almeno 2 litri di acqua al

giorno, evitare le bevande alcoliche e limitare il consumo del vino soprattutto nel periodo in cui i

sintomi sono più forti.

Le donne devono evitare dei pantaloni troppo attillati perché possono provocare delle fastidiose

irritazioni. Se la terapia medica fallisce oppure ci troviamo di fronte ad emorroidi complicate si

ricorre alla rimozione delle emorroidi per via endoscopica soprattutto per quelle di I e II grado,

oppure per via chirurgica per quelle di III e IV grado.

La rimozione delle emorroidi per via endoscopica prevede diverse tecniche: iniezione di soluzioni

sclerosanti nella sottomucosa, legatura elastica, crioterapia con azoto liquido congelando i

gavoccioli, tecnica a raggi infrarossi cioè si sfrutta l’azione termica per provocare la coagulazione

intravascolare, oppure il raggio laser ad CO2 per distruggere i peduncoli emorroidari più

voluminosi.

La Terapia chirurgica si basa sulla emorroidectomia associata alla sfinterotomia interna in caso di

ipertono sfinterico.

MALATTIE dell’APPENDICE ILEO CECALE

L’Appendice ileo-cecale è un piccolo viscere di lunghezza variabile da 3 a 22 cm che s'impianta

sull’intestino cieco nel punto in cui confluiscono le 3 tenie, cioè la tenia anteriore, media e

posteriore, cioè sulla parete mediale del cieco, 2-3 cm al di sotto dell’orifizio ileo-ciecale,

terminando con una estremità libera che spesso occupa una posizione discendente nell’addome,

entrando in rapporto con il muscolo psoas e penetrando per un breve tratto nella piccola pelvi.

L’appendice vermiforme può occupare anche una posizione ascendente cioè è diretta in alto,

decorrendo lungo la faccia posteriore del cieco oppure supera il fondo portandosi sulla faccia

anteriore, risalendo anche fino al rene o al fegato.

In alcuni casi l’appendice ha una posizione mediale verso la cavità addominale, entrando in

rapporto con le anse intestinali, il che rappresenta una situazione molto pericolosa in caso di

appendicite acuta perché interessa precocemente la cavità peritoneale.

Infine, può assumere una posizione laterale fra cieco e parete addominale laterale a livello del

muscolo psoas.

La parete dell’appendice è costituita dalla tonaca sierosa, dalla tonaca muscolare che contiene il

plesso nervoso di Auerbach, dalla tonaca sottomucosa che contiene il plesso nervoso sottomucoso

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di Meissner, dalla muscolaris mucosae e dalla tonaca mucosa che è ricca di tessuto linfatico che

forma dei follicoli linfatici, abbondanti nell’infanzia e nell’adolescenza, separati da uno strato di

cellule epiteliali che costituiscono le cripte tubulari che hanno una disposizione simile a quella della

tonsilla palatina, ecco perché l’appendice è detta anche “tonsilla addominale”.

La vascolarizzazione arteriosa si deve alla arteria appendicolare ramo dell’arteria ileo-colica,

mentre quella venosa si deve alle vene appendicolari tributarie della vena ileo-colica e, a sua volta,

del sistema portale. Il drenaggio linfatico si deve ai linfonodi pericecali.

APPENDICITE ACUTA

L’Appendicite Acuta è un’infiammazione acuta dell’appendice ciecale, molto diffusa, con

incidenza pari a circa 1 caso ogni 500 abitanti e rappresenta la patologia che più frequentemente

richiede un intervento chirurgico d’urgenza. Il picco di incidenza si ha nell’infanzia e

nell’adolescenza, anche se può interessare qualsiasi fascia di età.

Il FATTORE EZIOPATOGENETICO più importante è l'ostruzione che si ha in seguito ad una

angolazione o torsione dell’appendice sul suo asse, oppure l’ostruzione è dovuta ad un corpo

estraneo o coprolito (frammento di feci tipico dei pz anziani) oppure ad una iperplasia del

tessuto linfatico specie nei soggetti giovani, oppure ad una retrazione sclerotica circoscritta

dovuta a precedenti infezioni nei pz più anziani.

Tenendo conto che l’appendice già presenta un lume piuttosto ristretto, succede che in seguito alla

ostruzione si ha il ristagno del materiale intestinale, dei corpi estranei o coproliti, nel lume

appendicolare favorendo la proliferazione dei batteri che abitualmente vivono nell’intestino, cioè

E.coli, Staphilococchi, Streptococchi, Bacteroides..., che provocano l’infiammazione.

Raramente l’infezione avviene per via ematogena a partire da una tonsillite, faringite, virosi, poiché

l’abbondante tessuto linfatico appendicolare fa da richiamo per i germi circolanti.

Dal punto di vista ANATOMO-PATOLOGICO abbiamo 4 forme che in genere rappresentano gli

stadi evolutivi ingravescenti della malattia:

appendicite acuta catarrale è caratterizzata da iperemia, edema, iperplasia linfatica ed

infiltrazione leucocitaria della mucosa e sottomucosa, con formazione di essudato siero-leucocitario

che distende il viscere con conseguente idrope appendicolare.

appendicite acuta purulenta è dovuta all’intervento dei germi della suppurazione, con

infiammazione di tutta la parete, formazione di materiale purulento che si accumula nell’appendice

provocando empiema appendicolare con appendice ingrossata, ispessimento parietale e punta a

forma di clava. La mucosa è congesta e può presentare delle ulcerazioni profonde fino alla sierosa

con conseguente perforazione.

appendicite acuta flemmonosa suppurativa interessa tutta la parete ed è caratterizzata dalla

formazione di ascessi con essudato fibrinoso-purulento abbondante sulla sierosa.

La flogosi interessa anche il peritoneo che riveste il cieco, l’ultima ansa ileale e il peritoneo

parietale contiguo, con conseguente peritonite circoscritta fibrinoso-purulenta (ascesso

appendicolare) nella fossa iliaca dx, con formazione del “piastrone ileo-ciecale”, cioè una

tumefazione a limiti indistinti, molto dolorosa, cute iperemica, febbre, stato tossico evidente, che

richiede un intervento chirurgico d’urgenza per evitare l’evacuazione dell’ascesso verso la cute ma

soprattutto verso il cavo peritoneale con conseguente peritonite generalizzata e shock settico.

appendicite acuta gangrenosa è dovuta all’> P endoluminale, stasi sanguigna, ischemia, necrosi

e gangrena, fino alla perforazione e peritonite generalizzata con shock settico, anche fatale.

La necrosi si deve alla trombosi vasale da grave appendicite ostruttiva, con azione necrosante

diretta da parte di germi anaerobi ed è favorita dal decubito di un corpo estraneo endoluminale.

I SINTOMI dell’appendicite acuta sono:

- dolore addominale: insorge in uno stato di pieno benessere per il pz o dopo 2-3 gg di disturbi

dispeptici cioè inappetenza, nausea, alvo irregolare, cefalea.

Il dolore è violento, inizialmente di tipo colico, parossistico, poi continuo, localizzato nella fossa

iliaca dx e che tende ad irradiarsi verso la coscia dx oppure verso la regione lombare o glutea.

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In alcuni casi il dolore è localizzato all’epigastrio o in sede periombelicale, dovuto all’irritazione

del ganglio celiaco da parte delle strutture simpatiche dell’appendice che sono compresse

dall’essudato. Tutto ciò può indurre ad una diagnosi sbagliata di ulcera gastro-duodenale o di

colecistite.

- nausea e vomito da eccitamento del ganglio celiaco: il vomito inizialmente è di tipo alimentare,

poi diventa di tipo biliare e infine di tipo fecaloide nella fase peritonitica.

- alvo chiuso a gas da ileo paralitico, raramente alle feci, infatti, si può avere diarrea.

- febbre fino a 38-39°C con notevole discrepanza retto-ascellare.

- polso piccolo e frequente pari a 80-90 bat/min, leucocitosi con globuli bianchi > 10000/mm³.

La DIAGNOSI si basa su:

Anamnesi valutando sintomi e segni.

Esame Obiettivo: all’Ispezione si nota una < dell’espansione respiratoria dell’addome

specialmente nelle fasi avanzate, i colpi di tosse possono accentuare il dolore nella fossa iliaca dx.

La Palpazione evidenzia una contrattura di difesa muscolare nella fossa iliaca dx o più diffusa e

consente di individuare i punti dolorosi, cioè:

- punto di Mc Burney che corrisponde al punto medio della linea che unisce la spina iliaca antero-

superiore all’ombelico.

- punto di Lanz posto tra il terzo laterale sx e il terzo medio della linea bispino-iliaca che unisce la

spina iliaca antero-superiore dx e sx.

Inoltre, si valuta la presenza del segno di Blumberg cioè si preme con la mano a livello della fossa

iliaca dx e poi sollevando la mano il pz avverte un dolore (“da rimbalzo”) oppure si valuta la

presenza del segno di Rovsing cioè si esegue una palpazione profonda nella fossa iliaca sx e,

paradossalmente, si ottiene la comparsa o l’accentuazione del dolore nella fossa iliaca dx, forse in

seguito allo spostamento dell’aria intracolica che distende il cieco e alla compressione della zona

infiammata per lo spostamento dei visceri.

All’Auscultazione dell’addome si può notare l’assenza dei movimenti peristaltici intestinali.

Ecografia addome: piastrone ileo-ciecale in fossa iliaca dx e ascesso appendicolare.

Rx diretta senza m.d.c.: corpi estranei o coproliti.

La Diagnosi Differenziale è con la:

- colica epatica caratterizzata da dolore e reazione di difesa addominale nell’ipocondrio dx che

tende ad irradiarsi verso la spalla dx (colecistite acuta).

- colica renale dx: dolore intenso in fossa iliaca dx-regione lombare e tende ad irradiarsi verso i

genitali esterni, la reazione di difesa addominale è modesta o assente. Il pz è molto agitato, si

muove continuamente cercando di trovare una posizione antalgica, per ridurre il dolore; ematuria

mentre il pz con appendicite acuta resta fermo perché qualsiasi movimento accentua il dolore.

- pancreatite acuta (iperamilasemia), ulcera peptica perforata (dolore più violento).

- prostatite o vescicolite individuata con l’esplorazione digito-rettale.

- cistite o pielonefrite individuata con l’esame delle urine.

- ileite terminale acuta (Morbo di Crohn pa anziani), diverticolo di Meckel (pz giovani).

- salpingite o salpingo-ovarite (malattia infiammatoria pelvica, soggetti di sesso F).

Inoltre, ricordiamo che la diagnosi di appendicite acuta è difficile nel caso delle forme atipiche

dovute alla sede anomala dell’appendice con appendicite retrociecale, pelvica, sottoepatica,

appendicite sx in caso di situs viscerum inversus.

La TERAPIA: somministrare antibiotici ad ampio spettro d’azione cioè metronidazolo e

cefalosporine (contro Gram+ e gram

-), associati ad antinfiammatori; chirurgica d’urgenza con

appendicectomia (incisione secondo McBurney o pararettale in fossa iliaca dx): si esegue una

piccola incisione addominale trasversale per evitare di lesionare i nervi diretti al muscolo retto di

dx, oppure si esegue un’ampia laparotomia longitudinale dx o mediana nei soggetti obesi, adiposi,

oppure nel caso di dubbi diagnostici.

I rischi più elevati si hanno in caso di perforazione appendicolare con peritonite e shock settico.

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113

APPENDICITE CRONICA

L’Appendicite Cronica è un’infiammazione cronica dell’appendice che può nascere come

evoluzione di un’appendicite acuta oppure può nascere come una forma cronica ab inizio.

L’appendicite cronicizzata è la conseguenza di processi aderenziali, sclerosi dell’appendice,

infezioni latenti nel ricco tessuto linfatico.

L’appendice cronica ad inizio o cronica p.d. secondo molti anatomo-patologici non esiste o è una

situazione eccezionale ed è attribuita a pregressi episodi acuti banali non diagnosticati.

L’incidenza è più alta nell’infanzia e nella pubertà, soprattutto nel sesso femminile.

L’appendicite cronica può essere di tipo filiforme, sclerotica, aderente al cieco, al mesentere,

all’epiploon, agli annessi femminili, oppure può essere voluminosa, libera, con mesentere ispessito

e adenopatia satellite. Nel lume possono essere presenti coproliti o corpi estranei (semi d’uva,

noccioli di ciliegia...).

I SINTOMI dell’appendicite cronica sono:

- dolore saltuario, intermittente nella fossa iliaca dx, irradiato alla radice della coscia dx, raramente

alla regione glutea o lombare, che tende ad accentuarsi dopo pasti abbondanti oppure cibi indigesti.

- dispepsia con < appetito, nausea, stipsi, diarrea e febbricola.

In alcuni casi i sintomi sono atipici con dolore epigastrico associato a nausea, inappetenza, pirosi,

orientando verso una gastrite, ulcera gastro-duodenale...

Nel sesso femminile l’appendice si accompagna spesso a processi patologici ginecologici, come la

salpingite, ovarite, retroversione uterina, perché ci sono estesi collegamenti linfatici tra organi

genitali interni e l’appendice. In alcuni casi si hanno alterazioni del ciclo mestruale, cioè

dismenorrea, ipo o ipermenorrea, e disuria.

La DIAGNOSI avviene con:

- Rx con pasto baritato o con clisma opaco: consente di individuare i segni di una probabile flogosi

cronica, come la mancata o parziale iniezione dell’appendice, arresto temporaneo del bario per

transito rallentato, stasi ileale prolungata delle ultime anse.

La TERAPIA è Chirurgica nelle forme cronicizzate, mentre nelle forme ab inizio spesso si ricorre a

Terapia medico-dietetica con antispastici, lassativi blandi, crusca, dieta leggera, soprattutto

nell’adulto, mentre nel bambino si ricorre alla Chirurgia perché c’è sempre il rischio di un attacco

acuto.

INVAGINAZIONE ILEO CIECALE

L’Invaginazione ileo-ciecale si verifica quando la parte terminale dell’ileo penetra attraverso la

valvola ileo-ciecale nel cieco.

Le cause possono essere predisponenti, come un polipo intestinale con peduncolo lungo che può

essere spinto dai movimenti peristaltici al di la della valvola ileo-ciecale trascinandosi una parte

dell’intestino tenue nel colon, fino a provocare occlusione intestinale, per cui si ricorre

all’intervento di disinvaginazione riportando il tenue nella sua posizione naturale dove viene fissato

con alcuni punti.

PERITONEO

Il Peritoneo è una membrana sierosa che riveste la cavità addominale e buona parte dei visceri in

essa contenuti.

E’ costituita da un foglietto parietale e da un foglietto viscerale che sono in continuità tra loro,

formando la cavità peritoneale, cioè una cavità virtuale che nell’uomo è chiusa mentre nella donna

comunica con l’esterno mediante gli orifizi tubarici.

Il peritoneo parietale riveste tutta la parete anteriore dell’addome, le pareti laterali dell’addome,

parete posteriore e le pareti laterali della vescica e a vescica piena il peritoneo costituisce la tasca

peritoneale prevescicale.

Il peritoneo riveste la parete anteriore del retto, costituendo la cavità vescico-rettale, mentre nella

donna riveste la faccia anteriore del corpo e del fondo uterino, costituendo lo sfondato vescico-

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uterino, faccia posteriore del corpo uterino e faccia posteriore-superiore della vagina, riflettendosi

in alto per ricoprire la parete anteriore del retto, costituendo lo sfondato utero-vagino-rettale e

quindi la tasca di Douglas.

Inoltre, riveste gli ureteri, vasi spermatici, vena cava inferiore, aorta addominale, reni, surreni, 3°

distale della porzione discendente del duodeno, terza e quarta porzione duodenale e il pancreas,

tranne la coda.

Il peritoneo viscerale riveste tutti i visceri sovramesocolici, cioè fegato, stomaco, bulbo duodenale

e milza, e tutti i visceri sottomesocolici, cioè tenue, colon e retto.

Il tenue è completamente rivestito dal peritoneo viscerale che lo fissa posteriormente all’addome

mediante il mesentere, mentre il colon dx e sx sono rivestiti solo sulla parete anteriore ed il retto

solo nella porzione inferiore.

Il grande omento è una lamina di peritoneo che come una specie di grembiule è teso tra lo stomaco

e il colon.

La borsa omentale o retrocavità degli epiploon è un ampio recesso peritoneale del compartimento

sovramesocolico, compreso tra il fegato in alto e a dx, lo stomaco in avanti, il peritoneo parietale

indietro, la milza a sx, e che comunica con la cavità peritoneale mediante il forame epiploico di

Winslow.

Il peritoneo ha diverse funzioni:

- meccaniche: consente lo scivolamento dei visceri e il loro adattamento in base all’alimentazione,

allo stato di deplezione e replezione.

- secerne 20-30 cc di liquido peritoneale nelle 24 h.

- assorbe eventuali liquidi attraverso la via portale, cavale e linfatica.

- rappresenta una barriera di protezione contro le infezioni grazie agli istiociti della membrana

peritoneale e alla formazione di aderenze.

PERITONITE ACUTA

La Peritonite Acuta è un processo infiammatorio del peritoneo distinta in peritonite acuta diffusa e

peritonite acuta circoscritta.

La Peritonite Acuta diffusa è un'infiammazione molto grave, ad alto rischio per la vita del pz, per

cui richiede un trattamento d’urgenza, dovuta ad una invasione batterica o un insulto chimico del

peritoneo a partire da un organo addominale e si fa una distinzione tra Peritonite Acuta Secondaria

Settica e Asettica.

La Peritonite Acuta Secondaria Settica può essere dovuta a batteri aerobi come E. coli,

Streptocchi, Enterobacter, Klebsiella, Enterococchi, Proteus e batteri anaerobi come Bacteroides,

Clostridium, Bacterium fragilis.

Le Cause sono diverse:

- Diffusione da un focolaio infiammatorio addominale, come in caso di appendicite acuta, colecistite

acuta, diverticolite, ascesso epatico.

- Perforazione di un viscere cavo, come in caso di un’ulcera peptica perforata, perforazione di

diverticolo, perforazione diastasica a monte di occlusione, perforazione di colecisti, appendice o

altri organi addominali flogosati, perforazione di megacolon tossico, perforazione della vescica

perforazioni iatrogene in corso di esami endoscopici o radiologici.

- Ischemia con gangrena di un viscere cavo, come in caso di infarto intestinale, occlusione

intestinale con strozzamento, volvolo, invaginazione.

- Complicanze dopo interventi chirurgici: deiscenza di un’anastomosi, pancreatite post-operatoria,

contaminazione batterica intraoperatoria, ischemia e gangrena dei visceri cavi.

Le Peritoniti Acute Secondarie Asettiche sono dovute all’invasione della cavità peritoneale da

parte di sostanze chimico-tossiche irritanti, cioè:

- succo acido gastrico in caso di ulcera peptica perforata, ma ricordiamo che il succo gastrico è

contaminato da batteri aerobi e anaerobi provenienti dalla flora del cavo orale.

- secreto pancreatico in caso di pancreatite acuta o traumi del parenchima pancreatico.

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- bile con conseguente coleperitoneo da colecistite acuta perforata, neoplasia della colecisti con

perforazione, perforazione patologica o iatrogena delle vie biliari.

La bile è sterile ed è un irritante chimico molto potente, ma può essere contaminata da batteri in

corso di varie patologie provocando una peritonite settica biliare.

- urina: la contaminazione peritoneale da parte dell’urina con conseguente uroperitoneo si verifica

in caso di rottura intraperitoneale traumatica o spontanea della vescica.

- sangue in genere non è irritante per il peritoneo ma dalla lisi dei globuli rossi con liberazione

dell’Hb e del ferro ferroso si ha una lieve irritazione del peritoneo, favorendo l’insorgenza di una

infezione batterica secondaria.

L’emoperitoneo si deve ad una rottura spontanea di un’arteria viscerale, spesso l’arteria splenica,

ad una rottura spontanea o traumatica del fegato o della milza, ad una rottura di una gravidanza

extrauterina.

- materiale fecale: in seguito a perforazione dell’intestino passa nel cavo peritoneale, va incontro a

fenomeni putrefattivi e si parla di peritonite stercoracea.

- bario: usato come m.d.c. per esami radiologici, può riversarsi in cavità peritoneale in caso di

perforazioni di un viscere cavo ed essendo molto irritante genera una reazione peritoneale

granulomatosa o peritonite da bario. Per cui in caso di sospetta perforazione viscerale, l'esame

radiologico deve essere eseguito con mezzi di contrasto idrosolubili.

Dal punto di vista Anatomo Patologico inizialmente la peritonite si presenta come un’infezione di

natura sierosa, con superficie peritoneale iperemica, congesta e ricoperta da un sottile velo di

essudato, poi l’essudato diventa siero-fibrinoso o siero-purulento e si deposita sulle anse intestinali

con conseguente ileo paralitico riflesso, cioè occlusione intestinale, meteorismo e dilatazione delle

anse intestinali.

L’essudato siero-emorragico o emorragico è tipico della peritonite da pancreatite acuta, infarto

intestinale, occlusione intestinale da strangolamento, invaginazione intestinale o volvolo.

I Sintomi nelle fasi iniziali sono:

- dolore acuto, brusco, violento, continuo, localizzato prima a livello della sede colpita, cioè

epigastrio in caso di perforazione di un’ulcera gastro-duodenale, fossa iliaca dx in caso di

appendicite acuta, fossa iliaca sx in caso di diverticolite sigmoidea perforata, poi il dolore si

diffonde più o meno a tutto l’addome.

- chiusura dell’alvo a feci e gas (ileo paralitico riflesso da peritonite acuta).

- vomito riflesso, singhiozzo.

- polso piccolo e frequente, febbre alta, tachicardia e ipotensione arteriosa, che indicano uno stato

di shock.

Nelle fasi terminali il pz presenta:

- pallore, cute fredda e sudata, occhi infossati, labbra secche, lingua asciutta, cute anelastica, sete

persistente, fame d’aria, oliguria, polso debole, che indicano uno stato di disidratazione del pz.

L’ESAME OBIETTIVO è molto utile:

- Ispezione: il pz è immobile nel letto in posizione supina con le ginocchia flesse, qualsiasi

movimento accentua il dolore, anche un colpo di tosse. Per cui la respirazione è prevalentemente

toracica, rapida e superficiale mentre l’addome è fermo e non da alcun contributo alla respirazione.

- Palpazione superficiale e profonda evidenziano la presenza di dolore e la reazione di difesa

dell’addome, lignea, prima circoscritta, poi diffusa più o meno a tutto l’addome, il che consente di

escludere la presenza di un’occlusione meccanica dell’intestino dove la contrattura di difesa

addominale è assente e il dolore si accentua progressivamente ed è associato a borborigmi ad alta

tonalità.

Inoltre, la contrattura di difesa è assente o modesta in caso di coliche epatiche, mentre è assente nel

caso delle coliche renali dove il pz è agitato, in continuo movimento nel tentativo di trovare una

posizione più o meno antalgica, cioè capace di far ridurre il dolore.

Inoltre, alla palpazione si nota la presenza del segno di Blumberg cioè si esegue la palpazione e

sollevando la mano dall’addome si ha un’accentuazione del dolore, per cui si parla di “dolore da

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rimbalzo”, oppure il segno di Murphy in caso di colecistite acuta perforata (palpazione e blocco

della respirazione).

- Percussione: < o scomparsa dell’aia di ottusità epatica da pneumoperitoneo in seguito alla

perforazione dei visceri contenenti gas che si interpone tra fegato e parete toraco-addominale.

- Auscultazione: assenza della peristalsi e dei borborigmi intestinali da ileo paralitico riflesso.

- Esplorazione digito-rettale: dolore intenso se si preme sulla tasca di Douglas, dove si raccoglie

l’essudato.

La DIAGNOSI si basa su:

- Indagini di laboratorio: leucocitosi, disidratazione con > HCT, > azotemia, > creatininemia,

alterazioni biochimiche legate alla reazione catabolica cioè iperglicemia da resistenza periferica

all’insulina, iperazotemia, ipoalbuminemia, oppure alterazioni secondarie ad insufficienza d’organo,

cioè epatica, renale e respiratoria.

Ricordiamo che nei soggetti anergici (immunodepressi) e nelle fasi tardive la febbre e la leucocitosi

possono essere assenti.

- Emogasanalisi: alcalosi respiratoria per iperventilazione da stimolo sul centro del respiro da

ipossiemia, acidosi metabolica da shock ipovolemico e settico, ipossiemia da ARDS.

- Rx diretta dell’addome senza m.d.c.: evidenzia la presenza di gas libero nelle parti più alte

dell’addome, cioè la “falce aerea sottodiaframmatica” che è indice di perforazione di un viscere

cavo con pneumoperitoneo, la presenza di ileo paralitico riflesso con anse intestinali dilatate e

immobili e i livelli idro-aerei (ansa sentinella), la scomparsa del profilo dei muscoli ileo-psoas.

- Ecografia: evidenzia la presenza di versamento libero in addome, processi flogistici epato-bilio-

pancreatici, presenza di ascessi, inoltre sotto guida ecografica possiamo eseguire una puntura

esplorativa percutanea con esame colturale, biochimico e citologico del materiale aspirato.

In caso di dubbio diagnostico possiamo ricorrere a:

- puntura o puntura-lavaggio peritoneale esplorativa con esame chimico-fisico, citologico e

colturale del liquido aspirato: la presenza di più di 500 globuli bianchi/ml dopo lavaggio con 1 litro

di soluzione fisiologica è strettamente correlato con la presenza di una infezione intraddominale.

- Laparoscopia: è utile per la diagnosi e la scelta terapeutica, riducendo il margine di errore di

laparotomie inutili dal 40 al 10%. Si fa una piccola incisione sulla parete addominale e si introduce

un endoscopio nella cavità peritoneale, osservando lo stato della sierosa peritoneale ed eseguendo

prelievi bioptici per valutare la natura dell’infezione e ricercare i batteri responsabili, in modo da

ricorrere ad una terapia antibiotica mirata. In attesa dei risultati si ricorre ad antibiotici ad ampio

spettro d’azione.

E’ importante la diagnosi precoce della peritonite per intervenire tempestivamente con terapia

medico-chirurgica adeguata e salvare la vita del pz.

La PROGNOSI è molto grave con alto rischio di mortalità in presenza di sepsi e insufficienza

multiorgano (80%).

La TERAPIA prevede di monitorare accuratamente il pz, controllando HCT, PVC, diuresi oraria

che è utile per monitorare le perdite e ci dice se la terapia di reidratazione del pz è efficace con

ripresa della minzione, P arteriosa, frequenza cardiaca, polso, frequenza respiratoria.

Bisogna correggere le alterazioni metaboliche e idroelettrolitiche reinfondendo liquidi,

elettroliti, plasma expanders, albumina plasmatica, ringer lattato.. si applica un sondino naso-

gastrico soprattutto in presenza di vomito utile per monitorare le perdite ed evitare la polmonite ab

ingestis.

Si ricorre alla terapia antibiotica ad ampio spettro, cioè contro i Gram+ e Gram

–, aerobi e

anaerobi cioè cefalosporine, aminoglicosidi, metronidazolo o clindamicina.

In presenza di insufficienza respiratoria si ricorre alla somministrazione di O2 con catetere nasale o

alla ventilazione meccanica assistita nelle forme più gravi.

Dopo questa prima fase che deve essere rapida si ricorre all’intervento chirurgico d’urgenza con

incisione laparotomica mediana per accedere facilmente a tutti i quadranti addominali.

L’intervento chirurgico varia a seconda della patologia che ha causato la peritonite.

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E’ importante il lavaggio della cavità peritoneale mediante una soluzione fisiologica, antibiotici ad

azione locale e soluzioni antisettiche (povidone-iodio) associato all’inserimento di drenaggi

multipli sia a caduta che in aspirazione (entrata-uscita). Monitoraggio post-operatorio.

La Peritonite Acuta Circoscritta è un processo infiammatorio sieroso, siero-fibrinoso o purulento

localizzato in un’area circoscritta della sierosa peritoneale perché viene bloccata dai visceri e

organi circostanti, come succede in caso di un’appendicite acuta retrociecale, perforazione coperta

di un’ulcera duodenale o un diverticolo del colon o di una pseudocisti pancreatica, pelviperitonite.

Infine, possiamo fare una distinzione tra:

La Peritonite preoperatoria da appendicite perforata con peritonite localizzata o generalizzata o

da necrosi pancreatica infetta. La sorgente dell’infezione spesso viene rimossa solo parzialmente.

La Peritonite Intraoperatoria da contaminazione batterica esterna, spesso di natura iatrogena da

cateteri o drenaggi, oppure da contaminazione batterica interna, come in caso di apertura di un

organo cavo non sterile, oppure in caso di occlusione intestinale, carcinoma gastrico, con infezioni

particolarmente resistenti agli antibiotici.

La Peritonite Postoperatoria si deve a complicanze che si verificano dopo un intervento

chirurgico, come succede in caso di deiscenza di un’anastomosi intestinale, rottura di un moncone,

lesione a carico di organi cavi non individuata, come il distacco di aderenze peritoneali eseguite in

condizioni di scarsa visibilità, oppure infezione di un coagulo.

Inoltre, abbiamo la peritonite postoperatoria da malattie secondarie come da colecistite acuta e

appendicite acuta.

TUMORI RETROPERITONEALI

Lo Spazio retroperitoneale è quella zona occupata da tessuto connettivo lasso compreso tra il

peritoneo parietale e lo strato muscolo fasciale a livello della parete addominale posteriore contenente diversi organi: pancreas, duodeno, reni, surreni, ureteri, aorta addominale, vena cava

inferiore, arteria e vena iliaca comune dx e sx, tripode celiaco, arteria e vena renale dx e sx, vene

mesenteriche superiore e inferiore, linfonodi lombo-aortici, plesso celiaco...

I TUMORI RETROPERITONEALI sono rarissimi, rappresentano solo lo 0,01-0,2 % di tutti i

tumori, appartenenti al gruppo dei tumori delle parti molli che interessano il retroperitoneo nel

12% dei casi, ma soprattutto gli arti superiori e inferiori nel 53% dei casi, il tronco nel 20% e il

distretto cervico-facciale.

Possono essere benigni o maligni a prognosi sfavorevole perché i sintomi sono aspecifici, sfumati

o assenti nelle fasi iniziali, per cui la diagnosi e la terapia sono tardive.

I tumori retroperitoneali nel 75% dei casi sono di origine mesenchimale, negli altri casi sono di

origine neuroectodermica ed embrionali.

Tra i tumori mesenchimali benigni abbiamo i fibromi, lipomi, rabdomiomi.

Tra i tumori mesenchimali maligni abbiamo i fibrosarcomi, liposarcomi che sono i più frequenti e i

rabdomiosarcomi che sono molto aggressivi, si accrescono rapidamente infiltrando gli organi vicini.

I tumori retroperitoneali di origine neuroectodermica o tumori nervosi sono più frequenti

nell’infanzia, originano dalla guaina nervosa e sono rappresentati dal neurinoma o schwannoma

benigno o maligno (nervi), oppure originano dal simpatico o parasimpatico, come il

ganglioneuroblastoma benigno e maligno.

I tumori di origine embrionale o vestigiale rappresentano solo l’1% dei tumori retroperitoneali e

sono rappresentati dai teratomi benigni e maligni.

I SINTOMI possono essere assenti per lunghi periodi di tempo e si manifestano solo quando il

tumore ha raggiunto delle notevoli dimensioni comprimendo le strutture adiacenti: in questi casi si

può anche palpare una tumefazione, che provoca dolore di diversa intensità, nausea, stipsi,

senso di peso in regione lombare, disturbi urinari, ematuria, disuria, pollachiuria.

In caso di compressione della vena cava inferiore e delle vie linfatiche, si possono avere edemi agli

arti inferiori, dilatazione dei vasi addominali superficiali e varicocele.

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Si ha una rapida compromissione delle condizioni generali del pz, perdita di peso, anche 10-20

kg in pochi mesi, febbricola per lunghi periodi di tempo.

La DIAGNOSI si basa su:

TAC, RMN, ecografia: consentono di stabilire la sede del tumore, i rapporti con le strutture

adiacenti, la natura cistica o solida del tumore.

Rx con clisma opaco consente di valutare la presenza di compressioni, spostamenti dello stomaco

e dell’intestino.

Urografia consente di evidenziare la compressione o lo spostamento dei reni e ureteri.

Aortografia e arteriografia selettiva addominale e cavografia inferiore a partire dai vasi

femorali, consentono di evidenziare gli spostamenti e le stenosi dei vasi, fornendo utili informazioni

al chirurgo sulla vascolarizzazione del tumore.

Laparoscopia: consente di valutare l’integrità dei visceri addominali e indirettamente di

confermare la sede del tumore in seguito allo spostamento del peritoneo parietale posteriore verso le

parti anteriori dell’addome.

Biopsia con ago sottile sottoguida ecografica prevede di asportare un frammento di tessuto e di

valutare la natura istologica del tumore.

A tal proposito esiste il grading istologico secondo Russel con distinzione tra 3 gradi: grado G1

ben differenziato, grado G2 moderatamente differenziato, grado G3 scarsamente differenziato ad

alto grado di malignità e con prognosi sfavorevole.

La Prognosi dipende dallo stadio in cui si trova la neoplasia. Ricordiamo la classificazione TNM:

- T1: neoplasia con Ø < 5 cm.

- T2: neoplasia con Ø > 5 cm.

- T3: neoplasia interessa le strutture adiacenti.

- N0: nessuna metastasi linfonodale.

- N1: presenza di metastasi linfonodali.

- M0: nessuna metastasi a distanza.

- M1: presenza di metastasi a distanza.

La TERAPIA è chirurgica per via laparotomia mediana xifopubica o per via toraco-freno-

laparotomica oppure lombotomia antero-laterale extraperitoneale o posteriore transcoccigea a

seconda della sede interessata con exeresi parziale o totale degli organi e vasi colpiti.

VARICI ARTI INFERIORI

Le VARICI degli Arti Inferiori o Vene Varicose sono dilatazioni patologiche permanenti di una

o più vene degli arti inferiori che si allungano ed assumono un decorso serpiginoso.

Ricordiamo anche le varici del retto o emorroidi interessano il plesso emorroidario, le varici dello

scroto o varicocele interessano il plesso pampiniforme, le varici gastro-esofagee nei pz con

ipertensione portale, le varici del plesso pelvico con interessamento delle vene uterine e vescicali, le

varici del collo con interessamento delle vene giugulari e le varici dell’arto superiore.

Dal punto di vista ANATOMICO le vene degli arti inferiori sono distinte in:

- vene superficiali: vena grande e piccola safena.

- vene profonde: vene tibiali anteriori e posteriori, vena poplitea, vena peronica, vena femorale.

- vene perforanti o comunicanti: collegano il sistema venoso superficiale a quello profondo.

La Vena Grande Safena (safena interna) origina davanti al malleolo mediale o interno o tibiale

come continuazione della vena marginale mediale del piede, decorre lungo la faccia mediale della

gamba, fino al ginocchio, lungo la faccia antero-mediale della coscia a livello del margine mediale

del muscolo sartorio, fino al triangolo femorale dove sbocca nella vena femorale.

I rami collaterali della vena grande safena sono: vena epigastrica superficiale, vena safena anteriore,

vena safena accessoria, vene pudende esterne, vena circonflessa iliaca superficiale, vena grande

anastomotica che consente l’anastomosi con la vena piccola safena.

La Vena Piccola Safena (safena esterna) origina dietro il malleolo esterno o laterale o fibulare

come continuazione della vena marginale laterale del piede, sale lungo il margine laterale del

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tendine calcaneale e lungo la faccia postero-mediale della gamba fino a raggiungere il cavo popliteo

dove sbocca nella vena poplitea.

I rami collaterali della vena piccola safena sono: vene sottocutanee della regione posteriore della

gamba e del cavo popliteo, vena femoro-poplitea.

Si tratta di vene provviste di valvole che dirigono il flusso sanguigno dagli arti inferiori verso il

cuore, impedendo il flusso retrogrado: se queste valvole sono inefficienti il sangue refluisce verso le

gambe, provocando la dilatazione delle vene con stasi venosa periferica, edema e disturbi trofici.

Le varici degli arti inferiori sono distinte in varici primitive, idiopatiche o essenziali e varici

secondarie o sintomatiche.

Le VARICI PRIMITIVE, IDIOPATICHE o ESSENZIALI originano nel sistema venoso

superficiale. I soggetti a rischio sono: soggetti che per motivi di lavoro devono stare in piedi per

gran parte della giornata, donne in gravidanza, anziani e soggetti obesi.

L’insorgenza delle vene varicose durante la gravidanza si deve allo squilibrio ormonale, cioè

all’iperestrogenismo che provoca una < del tono della parete venosa con ipertensione venosa in

seguito alla apertura di shunt artero-venosi, notevole > della portata arteriosa nel distretto utero-

pelvico e passaggio di una certa quantità di sangue arterioso ad alta P nelle vene con dilatazione o

ectasia delle vene superficiali, cioè piccola e grande safena, che decorrono nel tessuto sottocutaneo,

sono meno protette rispetto alle vene profonde, cioè vena femorale, vena poplitea e vene tibiali, che

sono protette da muscoli volontari.

Spesso le vene varicose sono già presenti nelle donne prima della gravidanza e durante la

gravidanza si può avere un’infiammazione detta flebite caratterizzata da crampi dolorosi, prurito,

sensazione di pesantezza alle gambe, formazione di lesioni ulcerose.

Inoltre, esiste una predisposizione familiare cioè le varici possono interessare vari membri della

stessa famiglia.

Dal punto di vista ANATOMO-PATOLOGICO spesso le varici interessano la vena grande safena,

altre volte la vena piccola safena o i vasi comunicanti e possiamo fare una distinzione tra:

- varici serpiginose: sono le più frequenti, caratterizzate da un > del Ø e lunghezza delle vene.

- varici sacculari: la dilatazione interessa solo una parte della circonferenza della vena.

- varici cilindriche: la dilatazione interessa tutta la circonferenza della vena.

- varici ampollari: la dilatazione interessa piccoli segmenti sovrapposti della vena.

Si ha un ispessimento della parete della vena, atrofia delle fibre muscolari ed elastiche, la parete

diventa sempre più debole, ipoelastica, si sfianca progressivamente e in caso di flebite si notano

anche delle calcificazioni.

I SINTOMI delle varici primitive sono:

- senso di pesantezza o affaticamento degli arti inferiori che si accentua durante la giornata

soprattutto se si sta in piedi per molte h, si attenua col riposo e tenendo gli arti leggermente

sollevati.

- edema malleolare con gonfiore alle caviglie, soprattutto nelle ore serali, scompare col riposo a

letto.

- turgore doloroso alle vene.

All’Esame Obiettivo le vene varicose si presentano come dei cordoni bluastri e si parla di ectasie

venose superficiali, che alla Palpazione presentano una consistenza molle, elastica, sono riducibili e

indolenti. Nelle fasi avanzate si notano delle discromie cutanee emosideremiche cioè alterazioni

della pigmentazione della cute, lesioni eczematose con prurito intenso e ulcere al terzo distale delle

gambe. Si tratta di disturbi che tendono ad accentuarsi durante l’estate perché il caldo provoca

vasodilatazione.

Inoltre, possiamo eseguire alcune Manovre Semeiologiche:

Manovra di Rima Trendelenburg per la vena grande safena per valutare l’insufficienza della

vena grande safena: il pz sta in decubito supino, si solleva l’arto inferiore di 60° per favorire lo

svuotamento delle varici, si applica un laccio elastico alla radice della coscia per chiudere le vene

superficiali, poi il pz si alza dal letto, si rimuove il laccio e se le varici si riempiono rapidamente

dall’alto verso il basso significa che le valvole della vena grande safena sono insufficienti, se

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invece le varici si riempiono in seguito a sforzi che vengono fatti compiere al pz significa che c’è

un’insufficienza dei vasi comunicanti, se invece pur non rimuovendo il laccio elastico le varici si

riempiono rapidamente è probabile che ci sia un’insufficienza della vena piccola safena poiché non

c’è alcun laccio che blocca l’afflusso di sangue nella vena poplitea.

Manovra di Rima Trendelenburg per la vena piccola safena per valutare l’insufficienza della

vena piccola safena: il pz inizialmente in decubito supino, si solleva l’arto inferiore, si applica un

laccio alla radice della coscia per bloccare la vena grande safena e un laccio al di sotto del

ginocchio per bloccare la vena piccola safena.

Poi il pz si alza e il medico comprime con un dito lo sbocco della piccola safena nella vena poplitea

e toglie il laccio a livello del ginocchio: inizialmente i vasi della gamba restano vuoti, mentre non

appena si toglie il dito se le varici si riempiono rapidamente dall’alto in basso significa che c’è

un’insufficienza della piccola safena, se invece togliendo il dito le varici non si riempiono ma solo

dopo aver rimosso il laccio a livello della coscia significa che c’è un’insufficienza della vena

grande safena.

Manovra di Pratt per valutare l’insufficienza dei rami comunicanti: si solleva l’arto inferiore per

svuotare le varici, si mette un laccio elastico alla radice della coscia, si comprime tutto l’arto

inferiore con una fascia elastica molto stretta, il pz si alza e si toglie lentamente la fascia dall’alto in

basso in modo che dopo la decompressione si ha il riempimento rapido delle varici e si contrassegna

la cute con una matita dermografica perché questa zona corrisponde ad una perforante insufficiente.

Si sposta il laccio elastico dalla radice della coscia al di sotto della zona contrassegnata e si rimuove

un altro tratto di fascia per ricercare anche le altre perforanti insufficienti.

Per la Diagnosi Differenziale tra varici primitive e secondarie è utile la manovra di Rima

Trendelenburg, la fono-varicografia secondo Martorell o prova del soffio da reflusso, cioè si

applica il fonendoscopio a livello delle varici e si toglie il laccio elastico: nel caso delle varici

primitive o essenziali si percepisce un soffio modesto, nel caso delle varici secondarie ad una

fistole artero-venosa il soffio è più intenso, nelle varici secondarie post-flebitiche il soffio non si

apprezza. E’ molto utile l’Eco-Doppler per studiare l’emodinamica del circolo profondo.

La TERAPIA delle varici degli arti inferiori può essere medica o chirurgica.

La Terapia Medica può essere Palliativa mediante la compressione con calza elastica, oppure

Curativa farmacologica somministrando farmaci flebotrofici, come i flavonoidi (diasmina,

esperidina) oppure gli estratti della centella asiatica per migliorare il microcircolo favorendo gli

scambi tra sangue e interstizio.

Molto utile è la Terapia Sclerosante cioè si iniettano delle sostanze sclerosanti in vena (salicilato di

sodio, soluzioni saline ipertoniche) che provocano una chiusura dei vasi e si applica un bendaggio

per comprimere la zona e favorire la scomparsa della varice.

Non bisogna iniettare la sostanza sclerosante in un’arteria per evitare l’ischemia dell’arto con

gangrena e in caso di errore bisogna lasciare l’ago in arteria e iniettare una soluzione fisiologica +

eparina.

Il pz deve evitare di stare in piedi a lungo e deve riposarsi frequentemente, tenendo le gambe

leggermente sollevate rispetto al tronco, le calze elastiche evitano il gonfiore controbilanciando la

pressione venosa, mentre la marcia stimola la circolazione sanguigna nelle gambe.

La Terapia Chirurgica si basa sull’escissione della grande e/o della piccola safena per estrazione o

stripping mediante una sonda flessibile, munita di una testina metallica a margini taglienti. Si

esegue prima la crossectomia sezionando e legando le collaterali che sboccano nella safena.

Tra le COMPLICANZE delle varici degli arti inferiori abbiamo: rottura, flebite e ulcera varicosa.

La Rottura delle Varici si deve all’eccessivo sfiancamento delle vene e ai processi degenerativi

delle pareti venose con emorragia esterna abbondante se il vaso è beante, per cui si deve ricorrere

subito alla compressione della vena con una fasciatura o alla legatura della vena.

Raramente si ha un’emorragia interstiziale con ecchimosi ed ematomi sottocutanei, dolore vivo che

impedisce qualsiasi tipo di movimento, che in genere si riassorbe spontaneamente con il riposo,

oppure mediante impacchi caldo-umidi e pomate a base di eparina.

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La Flebite e Tromboflebite si hanno in caso di varici di vecchia data, nei soggetti anziani,

diabetici, abrasioni o ferite superficiali a livello delle varici o malattie infettive.

Il trombo si forma come risposta all’infiammazione della parete vasale (flebite): il trombo

inizialmente è costituito da piastrine e fibrina, poi anche dai globuli rossi.

I fattori di rischio della trombosi sono: stasi di sangue venoso agli arti inferiori, lesioni vascolari,

ipercoagulabilità del sangue.

I SINTOMI sono eritema cutaneo, gonfiore, dolore, calore, comparsa di un cordone duro, dolente

lungo il decorso della vena varicosa.

In genere, le tromboflebiti distali non sono di natura emboligena per cui sono sufficienti calze

elastiche e calciparina, oppure la trombectomia in anestesia locale.

La tromboflebite prossimale a livello dello sbocco safenico è ad alto rischio di embolia polmonare

perché la trombosi si estende facilmente alla vena femorale, per cui si deve ricorrere alla chirurgia

d’urgenza.

L’Ulcera Varicosa interessa la faccia mediale o laterale del terzo inferiore della gamba con edema

e infiammazione, senso di peso, prurito intenso e si forma un’ulcera rotonda o ovale, che tende

progressivamente a circondare tutta la gamba, con margini netti e regolari, oppure irregolari e

frastagliati, con fondo grigiastro, secernente un liquido siero-purulento, spesso fetido.

E’ utile la Profilassi: riposo a letto per alcuni gg, gambe sollevate, uso di soluzioni locali

epitelizzanti e antisettiche per facilitare la riparazione delle lesioni, fino alla compressione elastica,

mobilizzazione attiva dell’arto, ricoprendo l’ulcera con sostituti cutanei che consentono gli scambi

gassosi con l’esterno e si oppongono alla contaminazione batterica e dopo la riparazione delle

lesioni si esegue la legatura e asportazione delle safene o “stripping”.

Se l’ulcera non guarisce completamente e i tessuti periulcerosi sono molto compromessi è

indispensabile asportare la regione interessata, ricoprendola con un innesto cutaneo.

Le VARICI SECONDARIE o SINTOMATICHE sono più rare, originano nel sistema venoso

profondo in seguito ad una insufficienza valvolare o ad una occlusione congenita o acquisita con

conseguente dilatazione delle vene superficiali.

Dal punto di vista clinico abbiamo varie forme:

Varici Secondarie alla sindrome post-flebitica dovuta ad una trombosi venosa profonda di

vecchia data che nel 50% dei casi interessa l’arto inferiore sx, per una trombosi del segmento

iliaco-femorale, popliteo-femorale.. e a causa dell’ostruzione il sangue prende la via delle vene

comunicanti, dilatandole, si formano dei circoli collaterali, per cui il sangue raggiunge e

sovraccarica il circolo venoso superficiale con conseguente formazione delle varici sintomatiche.

I SINTOMI sono senso di peso all’arto, tensione dolorosa in posizione eretta o prolungata

deambulazione (camminata), edema duro-fibrotico, varici sintomatiche, placche dermo-

ipodermiche, vaste chiazze cutanee discromiche, eczema, ulcerazioni cutanee.

Inoltre, sintomi osteo-articolari: dolore osseo spontaneo o alla palpazione, rigidità e dolore

articolare della caviglia e del ginocchio, e segni radiologici come la decalcificazione dei capi

articolari tibio-tarsici.

L’Eco-Doppler consente di valutare il flusso venoso localizzando i vasi perforanti incontinenti.

La Terapia Medica nelle fasi iniziali prevede la compressione con calze elastiche, somministrando

farmaci antiflogistici e vaso-protettivi, mentre nelle fasi avanzate si ricorre alla Terapia Chirurgica

cioè stripping delle vene varicose quando all’Eco-Doppler il sistema venoso profondo risulta pervio

e con valvole efficienti, mentre la grande safena è dilatata e con valvole inefficienti.

Negli altri casi si ricorre alla legatura dei punti di fuga delle perforanti incontinenti, costringendo il

sangue a defluire attraverso il circolo venoso profondo.

La Complicanza più grave è il distacco del trombo con embolia polmonare: l’embolo attraverso il

flusso ematico raggiunge e ostruisce il tronco principale dell’arteria polmonare o i suoi rami

collaterali provocando uno shock cardiogeno da notevole < gittata cardiaca ed exitus in pochi

minuti, nei casi più fortunati solo problemi respiratori ed emodinamici: insufficienza respiratoria

con dispnea, tosse, emottisi, collasso alveolare da riduzione del surfactant e atelectasia, ipertensione

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polmonare con insufficienza ventricolare dx, tachicardia e < gittata cardiaca, tumefazione delle vene

giugulari al collo, pallore, per cui si parla di cuore polmonare acuto.

Varici Secondarie di natura iatrogena da legatura chirurgica sbagliata delle vene del circolo

venoso profondo.

Varici Secondarie a comunicazioni artero-venose anomale (fistole artero-venose) con passaggio

di una notevole quantità di sangue arterioso ad alta P a quello venoso con formazione delle varici.

PANCREAS

Il Pancreas è una ghiandola posta in posizione retroperitoneale, trasversalmente e davanti alle

prime due vertebre lombari, presenta una parte esocrina a secrezione esterna e una parte endocrina

a secrezione interna.

La Parte Esocrina secerne il succo pancreatico, ~ 1500-2000 ml/24 h, ricco di enzimi digestivi:

─ enzimi proteolitici: tripsina, chimotripsina, carbossipeptidasi continuano la digestione delle

proteine iniziata dalla pepsina.

─ enzimi glicolitici: amilasi scinde l’amido e il glicogeno in destrina e maltosio.

─ enzima lipolitici: lipasi, attivata dai sali biliari, scinde i grassi neutri in acidi grassi e glicerina.

Il succo pancreatico è chiaro, incolore, alcalino (pH = 8.5 ~), ricco di H2O, elettroliti soprattutto il

bicarbonato che ha lo scopo di portare l’ambiente duodenale ad un pH ottimale, cioè ~ 6.8 per

favorire l’azione degli enzimi digestivi.

La Parte Endocrina è rappresentata dalle isole pancreatiche di Langherans costituite da diversi

tipi di cellule deputate alla secrezione di vari ormoni, cioè:

- cellule β: producono l’insulina.

- cellule α: distinte in cellule A che producono il glucagone, cellule D che producono la

somatostatina e cellule PP che producono il polipeptide pancreatico che inibisce la secrezione della

tripsina e della bile, inducendone l’accumulo nella cistifellea.

L’insulina favorisce la polimerizzazione del glucosio nel fegato e nei muscoli e la combustione del

glucosio liberato da questi serbatoi, cioè regola la glicemia o tasso di glucosio nel sangue.

In caso di carenza di insulina si va incontro al diabete pancreatico in cui il fegato converte gli a.a.

e altri substrati in glucosio, con conseguente perdita proteica, il glucosio viene metabolizzato di

meno e si ha l’> glicemia. Se l’insulina viene prodotta in eccesso si va incontro alla sindrome

ipoglicemica. Il glucagone ha azione iperglicemizzante grazie alla mobilizzazione del glucosio dal

fegato.

Il pancreas è annesso al duodeno per mezzo del dotto pancreatico principale o maggiore di

Wirsung che si apre nella papilla duodenale maggiore e del dotto pancreatico accessorio di

Santorini che si apre nella papilla duodenale minore.

Il pancreas presenta 3 parti, cioè testa, corpo e coda.

La testa è accolta nella concavità della C duodenale, è incrociata anteriormente dalla radice del

mesocolon trasverso che delimita una porzione sovramesocolica e una porzione sottomesocolica da

cui origina il processo uncinato incrociato dalla arteria e dalla vena mesenterica superiore.

Posteriormente alla testa del pancreas c’è la vena cava inferiore, mentre l’aorta addominale si trova

dietro al corpo del pancreas.

La coda del pancreas sottile e piatta o arrotondata e tozza, è in rapporto con l’ilo della milza

mediante il legamento pancreatico-duodenale che rappresenta un mezzo di fissità del pancreas

insieme alla C duodenale e al peritoneo parietale posteriore.

La vascolarizzazione arteriosa si deve alle 2 arcate pancreatico-duodenali una sulla faccia anteriore

e una sulla faccia posteriore della testa del pancreas in seguito all’anastomosi tra arteria

pancreatico-duodenale superiore (ramo dell’arteria gastro-duodenale) e arteria pancreatico-

duodenale inferiore (ramo dell’arteria mesenterica superiore) da cui origina anche l’arteria

pancreatica inferiore che percorre il margine inferiore del corpo del pancreas.

L’arteria splenica decorre lungo il margine supero-posteriore del pancreas, dando origine a diversi

rami arteriosi che penetrano nella ghiandola pancreatica e si anastomizzano tra loro.

Le vene sono tributarie della vena splenica e delle vene mesenteriche, cioè della vena porta.

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A livello della testa del pancreas si formano delle arcate venose che corrispondono a quelle

arteriose.

Il drenaggio linfatico spetta ai linfonodi pancreatico-duodenali, linfonodi mesenterici superiori,

linfonodi splenici, linfonodi retropancreatici, linfonodi preaortici e iuxtacavali.

L’innervazione spetta al plesso celiaco o ai plessi perivasali che originano da quello celiaco: si

tratta di fibre ortosimpatiche e parasimpatiche vagali che stimolano la fx secretiva e sensitiva del

pancreas.

PANCREATITE ACUTA AUTODIGESTIVA

La Pancreatite Acuta è una malattia infiammatoria acuta del pancreas e dei tessuti

peripancreatici, detta autodigestiva perché è caratterizzata dall’autodigestione della ghiandola da

parte degli enzimi proteolitici e altri enzimi secreti dal pancreas esocrino.

Nell’80% dei casi ~ si tratta di una patologia di entità lieve-moderata tenuta sottocontrollo con la

stabilizzazione emodinamica con infusione di liquidi, elettroliti e farmaci analgesici per controllare

il dolore, mentre nel 20% dei casi si tratta di una patologia di entità grave con mortalità pari al 60%

dei casi: la mortalità può essere precoce, entro la prima settimana, in caso di insufficienza

multiorgano, con al primo posto l’ARDS, oppure mortalità tardiva, dopo la prima settimana, in

caso di complicanze settiche.

In genere, insorge verso i 40-50 anni con rapporto M/F pari a 2/1, in Italia l’incidenza è di 5-6 nuovi

casi/100000 abitanti/anno.

Dal punto di vista EZIOLOGICO abbiamo varie cause:

calcolosi biliare: è responsabile del 50-60% dei casi di pancreatite acuta soprattutto nei pz

anziani con anamnesi + per colelitiasi, legata al passaggio dei calcoli dalle vie biliari nel dotto

pancreatico di Wirsung ostacolando il deflusso pancreatico, per cui si ha la retrodiffusione degli

enzimi pancreatici già attivi nel parenchima pancreatico e si parla di Teoria della Retrodiffusione

degli enzimi pancreatici con autodigestione del parenchima pancreatico da parte di vari enzimi cioè

─ tripsina provoca la colliquazione dei tessuti o necrosi colliquativa.

─ fosfolipasi A2 provoca la distruzione dello strato polipeptidico delle membrane cellulari con

necrosi coagulativa.

─ elastasi provoca la distruzione delle fibre elastiche (elastina) presente nei vasi con pancreatite

acuta emorragica.

abuso di alcol: è responsabile del 30% dei casi la pancreatite acuta, infatti l’alcool altera la

composizione del secreto pancreatico e attiva gli enzimi pancreatici direttamente nel parenchima

pancreatico prima che questi raggiungano i dotti pancreatici, con formazione di coaguli o tappi

proteici nei dotti pancreatici, ostruzione e ipersecrezione (Teoria dell’ostruzione-secrezione), fino

allo spasmo dello sfintere di Oddi.

La Pancreatite Acuta Alcolica spesso colpisce soggetti giovani verso i 30 anni con consumo di alcol

giornaliero pari a circa 150 gr., ma è stato dimostrato che anche un consumo di alcol pari a 50

gr./die protratto per un arco di tempo variabile da 4 a 6 anni può provocare la pancreatite acuta.

Nel 10% dei casi la pancreatite acuta è Idiopatica cioè ad eziologia sconosciuta.

Nel restante 10% dei casi è dovuta ad altre cause:

- tumori periampollari: provocano l’ostruzione al flusso biliare e pancreatico.

- ulcera peptica duodenale penetrante in pancreas.

- cause iatrogene l’ERCP nel 3% dei casi può provocare la pancreatite acuta.

- farmaci: corticosteroidi, estrogeni (contracettivi orali), tetracicline...

- traumi addominali, interventi chirurgici (gastrectomia, chirurgia biliare, splenectomia).

- pz obesi e forti mangiatori.

- iperparatiroidismo con ipercalcemia e > [Ca2+] nel secreto pancreatico che provoca

un’attivazione prematura delle proteasi.

Dal punto di vista ANATOMO-PATOLOGICO si fa una distinzione tra pancreatite acuta

eritematosa, edematosa, emorragica e pancreatite acuta necrotico-emorragica detta P.A.N.E. o

fulminante che è la più grave perché provoca delle gravi manifestazioni sistemiche.

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124

Nelle fasi iniziali si ha edema con > parziale o totale del volume della ghiandola pancreatica,

mentre nelle fasi avanzate la ghiandola appare tumefatta, infarcita di sangue, si ha l’infiltrazione del

retroperitoneo da parte di materiale siero-ematico che in alcuni casi si riassorbe, mentre in altri casi

evolve nelle pseudocisti, per cui il pancreas diventa palpabile e, inoltre, il liquido può infettarsi con

conseguente formazione di ascessi pancreatici.

Inoltre, il liquido siero-ematico può infiltrare gli interstizi muscolari fino al tessuto sottocutaneo a

livello dei fianchi, mentre anteriormente si diffonde tra le pagine del meso.

I SINTOMI della pancreatite acuta sono: dolore epigastrico di intensità variabile da moderato a

severo, definito a sbarra o a cintura perché si irradia ai fianchi, vertebre lombari e regione

sottoscapolare sx, è continuo, trafittivo, crampiforme, peggiora in clinostatismo mentre viene

alleviato dalla posizione seduta o dalla posizione fetale (gambe e tronco piegati verso il bacino).

Il dolore è provocato dalla distensione della capsula pancreatica in seguito all’edema, irritazione

delle terminazioni nervose simpatiche intraparenchimali e del plesso celiaco da parte dell’essudato

contenente enzimi attivi. Il dolore spesso è associato a nausea, vomito, prima alimentare poi

biliare, improvviso, abbondante, distensione addominale da meteorismo che è segno di ileo paralitico riflesso da peritonite e all’Rx addominale in posizione ortostatica si osserva l’ansa

sentinella con un piccolo livello idro-aereo.

All’Esame obiettivo il pz si presenta sofferente, sudato, con estremità fredde e cianotiche,

respiro superficiale, polso rapido ma debole, ipotensione arteriosa, tachicardia, febbricola dopo

alcuni gg dall’evento acuto in seguito alla compressione del coledoco intrapancreatico da edema o

infarcimento emorragico della testa del pancreas.

Alla Palpazione si osserva un dolore diffuso con contrattura di difesa addominale che è indice di

peritonite. Solo quando il pancreas è voluminoso si può palpare una tumefazione profonda o

superficiale se l’epiploon è ingrossato e granuloso.

Un segno tardivo è il segno di Grey Turner cioè ecchimosi o soffusioni emorragiche ai fianchi

che è indice di necrosi pancreatica retroperitoneale con emorragia (prognosi sfavorevole).

La pancreatite acuta edematosa nell’80% dei casi ha un decorso favorevole, tende a guarire senza

dare complicanze, risolvendosi nell’arco di 2 settimane, bisogna stare attenti però alle frequenti

recidive con conseguente Pancreatite Subacuta Recidivante responsabile di lesioni necrotiche.

Se la lesione necrotica interessa una piccola zona del parenchima pancreatico si ha la formazione di

cicatrici con progressiva scomparsa dei sintomi, ma alcune volte la cicatrizzazione dell’area

necrotica può ostacolare il deflusso del secreto pancreatico in seguito alla compressione del dotto di

Wirsung, favorendo le recidive con riacutizzazione della pancreatite e creazione di un circolo

vizioso che può essere interrotto solo chirurgicamente.

In caso di lesioni necrotiche estese e multiple si possono avere COMPLICANZE locali:

formazione di pseudocisti in seguito alla colliquazione delle necrosi del parenchima pancreatico

con materiale necrotico-emorragico, circoscritte da una pseudoparete di tipo infiammatorio.

raccolte fluide peripancreatiche e ascite pancreatica da comunicazione tra sistema duttale e cavità

peritoneale o da rottura delle pseudocisti in peritoneo.

ittero ostruttivo da compressione del coledoco intrapancreatico da edema della testa del pancreas.

ascessi pancreatici da infezione delle necrosi: raccolta di pus delimitata da una parete flogistica.

Inoltre, possiamo avere delle COMPLICANZE sistemiche in seguito al passaggio in circolo di varie

sostanze tossiche, enzimi attivati (proteasi), istamina, sostanze vasoattive, fino all’insufficienza

multiorgano con manifestazioni di vari tipo:

apparato cardiovascolare: tachicardia, disidratazione, ipovolemia, ipotensione arteriosa e shock.

apparato respiratorio: versamento pleurico, atelettasie, insufficienza respiratoria e ARDS (Adult

Respiratory Distress Syndrome).

apparato urinario: alterazione della perfusione renale, necrosi tubulare acuta, oliguria e

insufficienza renale acuta.

alterazioni metaboliche: iperglicemia, ipocalcemia dovuta al rilascio di acidi grassi da parte delle

lipasi che sequestrano calcio e formano saponi insolubili e irritazione neuromuscolare fino alla

tetania ipocalcemica e acidosi metabolica.

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La DIAGNOSI si basa su:

Indagini di Laboratorio:

- valutazione dell’amilasi sierica: > amilasi sierica oltre 1000 µ/l, anche se l’amilasemia ha una

sensibilità dell’80%, specificità del 20-60% perché l’amilasi è un enzima prodotto dal pancreas,

ghiandole salivari, fegato, tenue, reni e ovaie, viene eliminato soprattutto mediante le urine, i valori

normali sono di 35-115 U/l di sangue e l’> amilasi sierica avviene in caso di pancreatite acuta e per

altre patologie, cioè ascessi pancreatici, traumi pancreatici, colecistite acuta, ulcera peptica

perforata, occlusione intestinale, tumori del polmone, esofago, ovaie, insufficienza renale, ustioni

gravi ed estese…

Inoltre, l’iperlipidemia può interferire con il dosaggio dell’amilasemia, la [ ] dell’amilasi sierica non

è proporzionale con la gravità della malattia e la persistenza di iperamilasemia dopo un episodio di

pancreatite acuta suggerisce lo sviluppo di una pseudocisti.

In genere, nelle forme non complicate i livelli di amilasi sierica > dopo 2-12 h dall’inizio dei

sintomi con un picco intorno alle 12-72 h e ritornano normali dopo circa 1 settimana.

- valutazione della lipasi sierica: in genere > dopo 4-8 h dall’esordio clinico, con picco dopo 24 h

ed una graduale < dopo 14 gg. La sensibilità e la specificità sono più alte rispetto all’amilasi sierica,

soprattutto nel caso delle pancreatiti acute alcoliche.

- > bilirubina, transaminasi, fosfatasi alcalina sono indice di pancreatite acuta litiasica.

Ecografia: in condizioni normali fornisce una sensibilità del 95% ma in presenza di pancreatite

acuta la sensibilità si < notevolmente a causa del meteorismo intestinale che impedisce di valutare

la morfovolumetria del fegato, pancreas e vie biliari intra ed extraepatiche, le alterazioni dovute alla

pancreatite cioè l’edema con zona ipoecogena omogenea, la necrosi con alternanza di aree ipo e

iperecogene, presenza di calcoli nelle vie biliari, raccolte fluide peripancreatiche, pseudocisti.

TAC addome con m.d.c.: da eseguire almeno 24 h dopo la comparsa dei sintomi, evidenzia un

ingrandimento diffuso o segmentario della ghiandola, presenza di contorni regolari o meno, necrosi

pancreatica e grado di distruzione del parenchima, presenza di pseudocisti, quindi è utile per

valutare se intervenire o meno con intervento chirurgico ed escludere una neoplasia tra le cause

dell’attacco di pancreatite acuta.

Colangio-RMN: utile in caso di dubbio diagnostico sull’etiologia biliare della pancreatite.

ERCP: deve essere eseguita entro 24 h dall’esordio dei sintomi soprattutto se si sospetta una

pancreatite acuta biliare, eseguendo direttamente una sfinterotomia per rimuovere il calcolo.

Rx diretto addome senza m.d.c. in ortostasi: presenza di un’ansa sentinella con un piccolo

livello idro-aereo dovuta alla distensione gassosa del duodeno da occlusione intestinale, consente di

escludere una perforazione viscerale e un’ischemia intestinale.

Rx Torace eseguita entro 24 h dal ricovero è utile per evidenziare un versamento pleurico

soprattutto sx da reazione infiammatoria all’essudato che dal pancreas perviene alla pleura

attraverso i linfatici del diaframma.

La Diagnosi Differenziale è con la colecistite acuta e colica biliare, colangite, ischemia

mesenterica, occlusione intestinale, aneurisma aorta addominale.

La PROGNOSI dipende dall’entità della pancreatite: le forme lievi-moderate in genere tendono ad

autorisolversi in 10-15 gg, senza alterazioni funzionali-morfologiche del pancreas, mortalità pari

allo 0%, mentre le forme severe sono caratterizzate da estesa distruzione della ghiandola con lesioni

necrotiche-emorragiche, mortalità del 10% in caso di necrosi sterile, oppure 25% in caso di necrosi

infetta.

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126

Nella pratica clinica si usano una serie di parametri per classificare i pz con pancreatite acuta, di cui

i più usati sono i Criteri di Ramson, soprattutto in America anche se ha lo svantaggio di richiedere

almeno 48 h di osservazione clinica del pz prima di poter essere applicati.

In pratica il chirurgo americano Ramson studiando 100 pz con pancreatite acuta ha individuato 11

fattori prognostici sfavorevoli ed ha stabilito che la gravità della pancreatite acuta dipende dalla

presenza di 3 o più di 3 di questi fattori valutati all’ingresso del pz in ospedale e dopo 48 h, cioè:

All’Ingresso (al momento del ricovero):

1) Età > 55 anni.

2) Leucociti > 16000/mm³ sangue.

3) Glicemia > 200 mg/dl sangue.

4) LDH sierica > 350 U/l.

5) Transaminasi AST (GOT) > 250 U/l sangue.

Entro 48 h:

6) Decremento dell’Ematocrito HCT > 10%.

7) Incremento Azotemia (urea plasmatica) > 5 mg/dl.

8) Calcemia < 8 mg/dl.

9) PaO2 < 60 mmHg (ipossiemia).

10) Deficit basi equivalenti BE > 4 mEq/l.

11) Ipoalbuminemia con albumina plasmatica <32 g/l e perdita di liquidi > 6 litri.

Dalla valutazione di questi criteri si ottiene che:

- in presenza di 0-2 criteri la mortalità è < 1%.

- in presenza di 3-5 criteri la mortalità è del 10-20%.

- in presenza di un n° criteri > 5 la mortalità è > 50%.

Ricordiamo che in Inghilterra si usano i Criteri di Glasgow valutando solo 8 parametri entro le 48

h ed abbiamo anche i Criteri di APACHE II (Acute Physiology and Chronic Health Evaluation)

che seppur scomodo da calcolare ha il vantaggio di essere attuato immediatamente all’atto del

ricovero del pz, può essere ripetuto giornalmente per monitorizzare la progressione della malattia,

fornendo una predittività di gravità similare a quella fornita dai criteri di Ranson.

Inoltre, per valutare la gravità della malattia sono utili alcuni Test Biochimici, soprattutto il

dosaggio della Proteina C reattiva in 2^-3^ giornata dove se i livelli sierici sono > 120mg/l sangue

ci troviamo di fronte ad una forma grave di pancreatite.

La TERAPIA in passato era quasi sempre chirurgica mentre oggi la Terapia Medica consente di

ottenere dei risultati molto soddisfacenti monitorando il pz in un reparto di terapia intensiva.

Il trattamento delle forme lievi-moderate si basa soprattutto sulla idratazione e controllo del dolore.

Il pz deve essere tenuto a riposo a letto, sottoposto a nutrizione parenterale totale (digiuno per ~ 7

gg) e si ricorre alla infusione di liquidi e analgesici.

L’applicazione del sondino naso-gastrico è utile per il trattamento sintomatico della nausea,

vomito e distensione addominale da ileo duodenale e ipersecrezione: si aspira il secreto acido

gastrico e si somministrano farmaci H2-antagonisti dell’istamina per via parenterale (ranitidina)

utili per la prevenzione dell’ulcera peptica.

Possiamo somministrare farmaci che inibiscono la secrezione pancreatica come la somatostatina

nativa per via e.v., oppure l’octreotide che ha una emivita lunga e in alcuni casi consente di

bloccare l’emorragia, favorire il riassorbimento della pseudocisti, riducendo il rischio di sepsi e

riducendo la degenza ospedaliera in caso di pancreatite acuta severa. I risultati non sono sempre

buoni, alcune volte apportano solo un lieve miglioramento.

Per ristabilire l’equilibrio idro-elettrolitico si ricorre alla infusione di 2-6 litri/die di liquidi ed

elettroliti, plasma expanders, albumina plasmatica, sangue intero, monitorando HCT, PVC e diuresi

che deve rimanere al di sopra dei 30 ml urine/h, monitorare e correggere la ipocalcemia presente nel

30% dei casi e l’ipopotassiemia.

Per controllare il dolore si somministrano analgesici, come la Meperidina o la Pentazocina alla dose

di 100-150 mg ogni 4 h per via i.m., bisogna evitare gli oppiacei perché spesso provocano lo

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spasmo dello sfintere di Oddi con > della lipasemia e gli antispastici specie in presenza di

occlusione intestinale per non aggravare la situazione.

La nutrizione del pz avviene per via parenterale totale (NPT) soprattutto se si prevede che il pz

non riprenderà l’alimentazione entro 7 giorni dall’ospedalizzazione.

Il problema medico è quello di stabilire quando il pz potrà riprendere l’alimentazione per os, dato

che non esistono studi controllati a tal riguardo. Nella pratica clinica si tiene conto della presenza

dei sintomi: se il pz non ha più dolore da molto tempo, si riprende l’alimentazione per os, ma deve

essere prontamente sospesa se la sintomatologia dolorosa ricompare.

E’ importante la Terapia delle Complicanze: durante la prima settimana le complicanze più

temibili sono l’insufficienza respiratoria e lo shock in seguito al rilascio in circolo di citochine come

l’interleuchina-6, l’interleuchina-8 e del fattore attivatore delle piastrine PAF che producono effetti

sistemici con ipotensione e trasudazione di fluidi dai capillari polmonari agli alveoli e insufficienza

respiratoria, fino all’insufficienza cardiocircolatoria, oliguria.

Ecco perchè è importante tenere sottocontrollo il pz in un reparto di Unità Intensiva.

In presenza di insufficienza respiratoria con PaO2 < 60 mmHg si ricorre alla ossigenoterapia.

Per la Prevenzione delle infezioni e ridurre il rischio di mortalità si somministrano antibiotici ad

ampio spettro d’azione, tenendo presente che dopo la prima settimana la causa più frequente di

morte del pz con pancreatite acuta è la sepsi pancreatica per la presenza di aree necrotiche infette in

seguito alla migrazione di batteri dal tratto gastrointestinale (colon): possiamo somministrare la

Ciprofloxacina e il Metronidazolo per 7-14 giorni che hanno una buona capacità di penetrazione nel

tessuto pancreatico e sono molto efficaci contro i gram-.

Nei pz con pancreatite acuta necrotica emoraggica si ricorre alla somministrazione di antibiotici per

via e.v., cioè Imipeman-cilastatina, Cefuroxime e Ceftazidime, oppure di antibiotici attivi per via

orale sulla flora batterica intestinale.

In caso di pancreatite acuta di natura biliare si ricorre alla ERCP d’urgenza con papillo-

sfinterotomia endoscopica entro 24 h, soprattutto se si sospetta una colangite, con estrazione del

calcolo biliare, fino alla colecistectomia laparoscopica o laparotomica in caso di notevole

compromissione dello stato generale del pz e drenaggio biliare esterno con tubo di Kehr.

Se la TAC evidenzia la presenza di focolai necrotici o il pz presenta segni clinici come febbre alta,

tachicardia, leucocitosi, si ricorre alla laparotomia e necrosectomia evitando eccessive exeresi in

presenza di un pancreas passibile di una guarigione spontanea, oppure evitando delle exeresi

insufficienti in presenza di un pancreas ancora in preda a fenomeni autodigestivi ad alto rischio di

mortalità: se la lesione interessa il corpo-coda del pancreas si ricorre alla pancreasectomia sx, se

interessa la testa del pancreas senza interessare la C duodenale si ricorre ad una pancreasectomia

subtotale, se interessa la testa e l’istmo si ricorre alla necrosectomia e a drenaggi multipli cioè

drenaggi con entrata-uscita per il lavaggio peritoneale e drenaggi nei punti di deflusso del materiale

necrotico soprattutto lungo le docce parieto-coliche, radice del mesentere e tasca di Douglas, mentre

la pancreasectomia totale è ad alto rischio di mortalità.

Le Pseudocisti si sviluppano nel 10-15% dei casi di pancreatite acuta grave, nel 40% dei casi si

risolvono nell’arco di 6 settimane, mentre nel 20% dei casi possono dare delle complicanze,

possono aumentare di volume e dare sintomi, per cui si interviene chirurgicamente.

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PANCREATITE CRONICA

La Pancreatite Cronica è un processo infiammatorio cronico ad evoluzione progressiva

scleroatrofica diffusa o limitata ad un settore ghiandolare.

Una recente classificazione proposta dalla Scuola di Verona distingue 3 forme: pancreatite cronica

primitiva, pancreatite cronica secondaria od ostruttiva, pancreatite cronica ereditaria.

La Pancreatite Cronica Primitiva è una forma ad eziologia sconosciuta, a patogenesi immunitaria,

i “fattori di rischio” sono: abuso cronico di alcool, dieta ricca di proteine e grassi...

La pancreatite cronica primitiva ha un’alta incidenza sia nei Paesi sviluppati, soprattutto nei soggetti

di sesso M con età media di 40 anni, sia nei Paesi Tropicali asiatici o africani, nonostante la dieta

povera di proteine e di grassi, con esordio verso i 12 anni in entrambi i sessi, per cui si parla di

Pancreatite Cronica Tropicale Giovanile.

La Pancreatite Cronica Secondaria o Ostruttiva è considerata come l’evoluzione di una

pancreatite acuta soprattutto se recidivante, il fattore eziologico principale è la colelitiasi biliare.

Spesso le lesioni colpiscono la testa del pancreas con microcalcificazioni, raramente calcoli duttali.

La Pancreatite Cronica Ereditaria colpisce soggetti molto giovani, verso i 10 anni, di entrambi i

sessi, caratterizzata dal fatto che almeno altri due membri della stessa famiglia presentano la stessa

malattia.

Dal punto di vista ANATOMO-PATOLOGICO si nota un lieve ingrossamento del pancreas,

consistenza lignea a focolai disseminati, cioè non è uniforme, che in genere interessa solo la testa,

raramente tutta la ghiandola. Si tratta di una lesione scleroatrofica che compromette prima la

funzione esocrina e poi quella endocrina del pancreas.

I SINTOMI sono: dolore da pasti abbondanti e abuso di alcol, dovuto alla compressione del plesso

celiaco e delle fibre nervose intrapancreatiche: dolore intenso difficile da trattare, ricorrente,

profondo, in sede epigastrica o periombelicale, si irradia al dorso e al fianco sx.

La palpazione tende ad esacerbare il dolore che presenta una intensità variabile dalla sensazione di

peso epigastrico al dolore atroce. Durante la crisi dolorosa il pz assume una posizione antalgica.

Inoltre, il pz presenta dispepsia con inappetenza, nausea, meteorismo e diarrea.

L’Insufficienza Esocrina si manifesta con steatorrea e creatorrea da malassorbimento intestinale, e

dimagrimento rapido ed evidente.

Se viene colpita la testa del pancreas si ha stenosi duodenale con ristagno gastrico e vomito biliare,

aggravando la situazione.

L’ittero ostruttivo può essere progressivo da compressione del coledoco, simulando un tumore con

dilatazione della cistifellea (legge di Courvoisier-Terrier) oppure con intensità oscillante e

doloroso, simulando una calcolosi epato-coledocica.

Inoltre, nel 50% dei casi di pancreatite di lunga durata può insorgere la Sindrome Diabetica che si

manifesta con dolore, malassorbimento, intolleranza glucidica e diabete mellito insulino-dipendente

da ridotta produzione di insulina e maggiore resistenza periferica all’insulina stessa.

In alcuni casi si ha un’emorragia gastro-esofagea dovuta alla rottura delle varici gastro-esofagee da

ipertensione portale in seguito alla compressione o trombosi della vena splenica e ascite.

Raramente si apprezza una tumefazione epigastrica dovuta alla formazione di pseudocisti oppure si

ha una pleurite reattiva.

La DIAGNOSI si basa su:

Anamnesi ed Esame Obiettivo: si valutano segni e sintomi, decadimento delle condizioni generali

del pz, presenza del dolore addominale e le sue caratteristiche.

Indagini di Laboratorio: si esegue il prelievo del sangue nella fase acuta dolorosa perché solo in

questa fase si osserva l’> degli enzimi pancreatici nel siero, soprattutto amilasi e lipasi, che rispetto

alle pancreatiti acute è modesto. Inoltre, si ha un > bilirubina, > fosfatasi alcalina, > transaminasi

che spesso sono espressione di una colestasi extraepatica da compressione del coledoco.

Poi si ha iperglicemia a digiuno con glicosuria in caso di recidiva dolorosa, e iperglicemia dopo

prova da carico di glucosio che è indice di scompenso glico-metabolico.

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Nelle fasi avanzate si ricorre al test al glucagone per valutare la riserva funzionale endocrina del

pancreas e al test di tolleranza all’insulina per valutare un’eventuale insulino-resistenza nel pz con

diabete, utili per la scelta terapeutica, valutando se somministrare insulina e/o antidiabetici orali.

Inoltre, si valuta la riserva funzionale esocrina in base alla quantità di grassi eliminati con le feci: in

caso di valori > 7 gr/24 h significa che la fx esocrina del pancreas si è ridotta del 10% rispetto al

normale, per cui il pz avrà la steatorrea, cioè si ha un’abbondante evacuazione di feci ricche di

grassi, di colore grigio chiaro, tipo alluminio, il che è indice di deficit della secrezione esocrina,

cioè deficit della secrezione della lipasi. Inoltre, il deficit della secrezione esocrina può manifestarsi

con la creatorrea da deficit della tripsina, cioè si ha il deficit della digestione delle proteine con

conseguente evacuazione di feci ricche di fibre muscolari indigerite.

Rx diretto dell’addome: evidenzia le calcificazioni pancreatiche radiopache più o meno diffuse.

Ecografia: mette in evidenza una struttura disomogenea, la dilatazione del dotto di Wirsung, le

calcificazioni e la presenza di cisti o pseudocisti da cui si può aspirare anche il loro contenuto.

TAC: consente di escludere la presenza di masse neoplastiche.

ERCP: consente di osservare il sistema duttale pancreatico e le vie biliari che in caso di

pancreatite cronica presentano un decorso anomalo con alternanza tra segmenti dilatati e stenotici,

lesioni da calcoli... L’ERCP fornisce informazioni utili per il trattamento chirurgico.

La PROGNOSI dipende dalla gravità della malattia, dall’entità dell’insufficienza esocrina del

pancreas, del malassorbimento, presenza di ittero, diabete, ipertensione portale...

La TERAPIA Medica prevede di abolire l’uso dell’alcool, evitare le diete iperlipidiche e

iperproteiche, eventualmente si somministra l’insulina, analgesici, antispastici per le forme molto

dolorose, il glucagone per inibire la secrezione pancreatica, la cimetidina e ranitidina per inibire la

secrezione acido-gastrica ed evitare di stimolare la secrezione pancreatica.

La Terapia Chirurgica è indicata per le forme resistenti alla terapia medica, in presenza di ittero e

ipertensione portale e se si sospetta la natura maligna della pancreatite cronica.

La papillo-sfinterotomia per via endoscopica consente di estrarre i calcoli presenti nel Wirsung

con un catetere a palloncino, posizionando uno stent o un cateterino naso-pancreatico. I calcoli più

grossi possono essere frammentati con le onde d’urto (ultrasuoni).

Se le lesioni hanno interessato il corpo e la coda del pancreas si ricorre alla pancreasectomia sx,

mentre se hanno interessato la testa senza colpire il duodeno, si ricorre alla pancreasectomia

subtotale, ricordando che la DCP è ad alto rischio di mortalità.

TUMORI del PANCREAS Esocrino

Il CARCINOMA PANCREATICO rappresenta il 93% ~ dei tumori maligni del pancreas, con alta

incidenza nei Paesi industrializzati, costituendo la 5^ causa di morte per tumore nel mondo

occidentale, dopo il carcinoma polmonare, colon-retto, stomaco e prostata, colpisce soprattutto

soggetti di sesso M con rapporto M/F = 4/1 con età media di 60-70 anni.

L’EZIOLOGIA non è molto chiara mentre tra i Fattori di Rischio abbiamo il fumo di sigaretta,

abuso di alcool, dieta ricca di grassi e proteine, povera di vegetali, carcinogeni professionali,

variante ereditaria-familiare della pancreatite cronica...

Dal punto di vista ISTOLOGICO nel 90% dei casi si tratta di un adenocarcinoma duttale cioè

origina dalle cellule epiteliali del dotto di Wirsung, raramente si tratta di un carcinoma giganto-

cellulare, adenocarcinoma squamoso, carcinoma mucinoso, carcinoma a cellule acinari, carcinoma

anaplastico indifferenziato, nell’1% dei casi si tratta di forme cistiche, cioè di un adenocistoma o di

un cistoadenocarcinoma.

Il carcinoma del pancreas nel 70% dei casi colpisce la testa, nel 30% dei casi colpisce il corpo-coda.

Si diffonde per contiguità alle vie biliari, duodeno, stomaco, vasi mesenterici superiori e vasi

splenici (ipertensione portale distrettuale da trombosi neoplastica della vena splenica), per via

linfatica ai linfonodi peripancreatici e retropancreatici, linfonodi pericoledocici, para-aortici, per

via ematica provoca metastasi epatiche, polmonari e ossee. Inoltre, può interessare il peritoneo

per via linfatica o per innesto tumorale con carcinosi peritoneale e ascite maligna.

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Dal punto di vista CLINICO i sintomi e segni sono aspecifici e tardivi, per cui la diagnosi è

tardiva, avviene quando il tumore ha già un Ø > 5 cm con presenza di metastasi nell’80% dei casi.

In genere i sintomi d’esordio sono anoressia e calo ponderale che possono precedere la diagnosi

anche di molti mesi, mentre nelle fasi avanzate compaiono ittero, dolore e rapido decadimento

delle condizioni generali del pz. L’ittero e il dolore sono più precoci nel carcinoma della testa del

pancreas rispetto alle forme del corpo-coda, consentendo una diagnosi e un trattamento più precoci

e maggiori possibilità di soprvvivenza.

In caso di carcinoma della testa del pancreas o cefalo-rachidiano si ha ittero da stasi,

ingravescente a iperbilirubinemia diretta, senza il dolore tipico della colica epatica, dovuto allo

sviluppo della neoplasia prima nel lume del coledoco intrapancreatico e poi nella parete, fino a

provocare ostruzione, con segno di Courvaisier-Terrier + nel 40% dei pz con carcinoma

pancreatico, cioè colecisti distesa, non dolente, palpabile per la stasi biliare in assenza di

colangite e senza colica biliare, mentre nell’ittero di origine litiasica in genere la colecisti non è

palpabile perché l’ostruzione con stasi biliare provoca l’infiammazione e ispessimento della parete

della colecisti con sclero-atrofia, per cui la colecisti perde la sua elasticità, non si distende e non

può essere palpata. Inoltre il pz presenta urine ipercromiche color marsala, feci acoliche e prurito.

In caso di carcinoma del corpo-coda l’ittero è tardivo e si ha solo in seguito a metastasi epatiche o a

compressione delle vie biliari da parte dei linfonodi ingrossati in seguito alla metastasi.

Il dolore è in sede epigastrica, sordo, a cintura perchè si irradia ai fianchi, al dorso, in seguito

alla infiltrazione del plesso celiaco, spesso è notturno, esacerbato dal cibo, si attenua in posizione

seduta o fetale con flessione delle gambe sul bacino.

Se il tumore comprime il dotto di Wirsung impedisce il deflusso del succo pancreatico nel duodeno,

con conseguente dispepsia, perdita dell’appetito, anoressia con repulsione per la carne e cibi

grassi, astenia, malassorbimento intestinale e decadimento rapido delle condizioni generali del

pz con calo ponderale, nausea, vomito, diarrea, steatorrea cioè evacuazione abbondante di feci

ricche di grassi indigeriti, creatorrea, cioè evacuazione di feci ricche di proteine non digerite.

La DIAGNOSI si basa su:

Ecografia Addome (ETG): è l’esame di prima scelta nel pz itterico per valutare la presenza di

calcoli nelle vie biliari, dilatazione delle vie biliari intra ed extraepatiche, oppure si osserva una

massa ipoecogena e l’eventuale presenza di metastasi epatiche o carcinosi peritoneale con ascite.

Spesso le immagini fornite dall’ecografia sono mascherate dal meteorismo intestinale per cui si

ricorre alla TC addome con m.d.c. valutando sede e dimensioni della neoplasia, presenza di

metastasi, interessamento di strutture vascolari.

Spesso la diagnosi avviene solo in sala operatoria mediante Esplorazione Laparoscopica utile per

la stadiazione e la scelta terapeutica perchè in caso di metastasi epatiche e carcinosi peritoneale il

tumore è definito inoperabile, per cui si ricorre a terapia palliativa-sintomatica mediante

drenaggio delle bile con posizionamento di una protesi biliare attraverso ERCP o PTC se la

papilla di Vater non può essere incannulata. L’ERCP può essere utile anche per il drenaggio

preoperatorio della bile.

Le Indagini di Laboratorio mostrano parametri aspecifici cioè iperamilasemia, iperamilasuria,

iperglicemia, steatorrea, creatorrea, > fosfatasi alcalina, > transaminasi, > bilirubina, markers

tumorali CA 19.9 utili nel follow-up post-operatorio.

La PROGNOSI in genere è infausta perchè la diagnosi avviene quando il tumore è inoperabile.

La Classificazione TNM è molto importante per la scelta terapeutica e la prognosi:

─ T1: tumore con Ø ≤ 2 cm.

─ T2: tumore con Ø compreso tra 2 e 6 cm.

─ T3: tumore con Ø > 6 cm che invade per contiguità le strutture adiacenti.

─ N0: non ci sono metastasi linfonodali.

─ N1: metastasi ai linfonodi peripancreatici anteriori, posteriori, superiori e inferiori, distinto

in N1a con focolaio microscopico in un linfonodo, N1b con focolaio macroscopico in un linfonodo

N1c con focolai multipli micro e macroscopici.

─ N2: interessamento dei linfonodi periaortici e mesenterici superiori distali.

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─ M0: assenza di metastasi a distanza.

─ M1: presenza di metastasi epatiche e altre metastasi intraddominali, soprattutto peritoneali,

e metastasi extraaddominali cioè polmonari e ossee.

La TERAPIA dipende dallo stadio in cui si trova la neoplasia: in caso di carcinoma del corpo-coda

raramente è possibile un trattamento radicale con pancreasectomia sx e splenectomia perchè

spesso la diagnosi avviene quando il tumore è inoperabile.

In caso di tumore della testa del pancreas, di piccole dimensioni, senza metastasi, si ricorre alla

Duodeno-cefalo-pancreasectomia DCP secondo Whipple e Child per via laparotomica

mediana, caratterizzata da una Fase Demolitiva asportando in blocco il duodeno, 1^-2^ ansa

digiunale, testa del pancreas, colecisti e vie biliari distali, 2/3 distali dello stomaco associato a

linfoadenectomia estesa. Nella Fase Ricostruttiva si esegue l’anastomosi gastro-digiunale e

sull’ansa digiunale stessa si eseguono l’anastomosi del dotto epatico per favorire il drenaggio

della bile e l’anastomosi pancreatico-digiunale per conservare la fx esocrina detta a telescopio

poichè il moncone pancreatico viene infilato o incappucciato nel moncone digiunale.

Tra le Complicanze della DCP abbiamo la deiscenza dell’anastomosi con fistolizzazione,

digestione enzimatica retroperitoneale, emorragia, fino allo shock settico e morte del pz.

Inoltre bisogna valutare se il tumore ha infiltrato la vena mesenterica superiore: se ha infiltratato un

tratto di lunghezza < 1,5 cm si può resecare questo tratto e si esegue un’anastomosi termino-

terminale dei monconi opposti (end-to-end), mentre se ha infiltratato un tratto > 1,5 cm non si deve

resecare perché è impossibile avvicinare i due monconi opposti per l’anastomosi, per cui si esegue

la splenectomia, cioè si asporta la milza, tutto il pancreas, mentre la vena splenica viene girata e

anastomizzata al moncone terminale della v.m.s. (by-pass) consentendo di operare un tumore

ritenuto inoperabile ma solo se ha dato metastasi locali.

La Pancreasectomia Totale PT è più efficace perché la linfoadenectomia è più estesa e completa

con maggiore radicalità oncologica. Nella Fase Demolitiva si asportano in blocco il pancreas, milza,

duodeno, 1^-2^ ansa digiunale, 1/3 distale stomaco e la cistifellea, mentre nella Fase Ricostruttiva

si esegue la anastomosi bilio-digestiva e gastro-digiunale evitando l’anastomosi pancreatica.

Tra le Complicanze della PT abbiamo il diabete mellito difficile da controllare mediante la

terapia insulinica e dietetica, con crisi ipoglicemiche gravi, retinopatia e nefropatia diabetica.

Alla chirurgia si associano la radio-chemioterapia (5FU) neoadiuvante e adiuvante, ma in genere la

sopravvivenza a 5 anni è < 5%. In caso di tumore inoperabile si ricorre a terapia palliativa-

sintomatica contro il dolore e l’ittero mediante anastomosi bilio-digestiva o posizionando una

protesi biliare mediante ERCP o PTC.

Tumori del Pancreas Endocrino

I Tumori del pancreas endocrino sono neoplasie secernenti ormoni ed hanno in comune la

proprietà di produrre la serotonina, l’istamina e la dopamina a partire dalle ammine endogene

(APUD ammine precursor uptake & decarbossilation).

Si tratta di tumori a cellule insulari rappresentati dall’insulinoma (70-75%) che deriva dalle cellule β

secernenti l’insulina, glucagonoma dalle cellule A secernenti il glucagone, somatostatinoma dalle

cellule D secernenti la somatostatina, PPoma dalle cellule PP secernenti il polipeptide pancreatico.

Queste cellule sono in grado di secernere altri peptidi regolatori, come la gastrina, VIP e si parla di

gastrinoma a VIPoma. Le neoplasie del pancreas endocrino si riscontrano nell’80% dei pz affetti

dalla sindrome endocrina multipla multipla di tipo neoplastica MEN-1 o sindrome di Wermer,

di natura ereditaria, a trasmissione autosomica dominante, caratterizzata dall’associazione tra

iperparatiroidismo, tumori dell’ipofisi (adenoma), tumori del pancreas endocrino, raramente

adenoma tossico della tiroide da morbo di Basedow, tiroidite di Hashimoto, e adenoma

corticosurrenalico.

L’INSULINOMA nel 95% dei casi è benigno, nell’80% dei casi è singolo, Ø compreso tra 1-5 cm,

colpendo soprattutto i soggetti di sesso F con età media di 50 anni.

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Può colpire qualsiasi settore del pancreas, dal punto di vista ISTOLOGICO è un adenoma ben

capsulato, facile da enucleare soprattutto se benigno e superficiale, mentre le forme maligne e

profonde nella testa del pancreas sono più difficili da individuare ed enucleare.

E’ caratterizzato da un’eccessiva produzione di insulina da parte delle cellule β con Triade di

Whipple cioè > insulinemia, coma ipoglicemico a digiuno o dopo attività fisica con glicemia <

40 mg/dl e reversibilità dei sintomi dopo la infusione e.v. di glucosio (fino a provocare obesità),

altrimenti il coma ipoglicemico può provocare danni al SNC, convulsioni e morte. La crisi

ipoglicemica può essere preceduta da segni nervosi cioè disorientamento temporo-spaziale,

afasia, convulsioni, paralisi, perdita della coscienza e coma; segni digestivi cioè dolori

addominali crampiformi, vomito, diarrea; segni cardiovascolari cioè crisi anginose, aritmie,

tachicardia, ipo o ipertensione.

La Diagnosi si basa sul dosaggio della glicemia in caso di digiuno prolungato nelle 24 h,

valutando l’entità dell’ipoglicemia e l’insorgenza dei sintomi tipici dell’insulinoma, tendenti a

regredire con l’assunzione del glucosio; dosaggio radioimmunologico dell’insulina, rapporto

insulina/glicemia > 0,3 a digiuno e si valuta l’> del peptide C associato all’iperinsulinismo.

La TAC e la RMN forniscono utili informazioni sulla sede, dimensioni del tumore.

E’ utile l’Ecografia intraoperatoria per la Terapia chirurgica:

- se il tumore è localizzato al corpo-coda si ricorre alla pancreasectomia sx.

- se il tumore è localizzato alla testa, è piccolo, superficiale e benigno si ricorre alla enucleazione.

- se il tumore è maligno si ricorre alla DCP.

Ricordiamo la resezione secondo Deman: si affetta il pancreas a partire dalla coda e si monitorizza

la glicemia. Quando la glicemia > e l’insulinemia <, ci fermiamo con la resezione perché abbiamo

ottenuto un buon risultato.

Il GASTRINOMA nell’85% dei casi interessa il pancreas, altre volte il duodeno, nel 70% dei casi è

multiplo, nel 60% dei casi è maligno, Ø compreso tra 2-10 cm, spesso associato alla sindrome di

Zollinger-Ellison, e nel 25-50% dei casi alla sindrome di MEN-1.

La sindrome di Zollinger Ellison è caratterizzata dall’associazione di ulcere gastro-duodeno-

digiunali, spesso multiple con ipersecrezione acido-gastrica, dolore, dispepsia, diarrea profusa

da malassorbimento. E’ dovuta ad una iperplasia delle cellule non-β delle isole pancreatiche o al

gastrinoma con ipersecrezione della gastrina.

L’ulcera peptica da gastrinoma è più grave di quella tipica, con frequenti emorragie e perforazioni.

La Diagnosi si basa sulla valutazione quantitativa della secrezione gastrica basale di HCl,

dosaggio radioimmunologico della gastrinemia (> 300 pg/ml), TAC, RMN, arteriografia

selettiva e il cateterismo portale, anche se spesso solo con l’esplorazione operatoria o

ecografica si riesce ad individuare il tumore.

La Terapia si basa sulla DCP per le forme cefaliche e Pancreasectomia sx o totale per le forme

del corpo-coda, associate ad una estesa linfoadenectomia. In caso di metastasi epatiche o in altre

sedi si ricorre alla chemioterapia con 5-fluorouracile e streptozotocina.

La terapia medica con cimetidina, ranitidina, inibitori della pompa protonica, consente di <

l’ipersecrezione acida e limitare le lesioni ulcerose, ma non è tollerata per lunghi periodi di tempo e

può provocare degli effetti collaterali gravi.

Il VIPoma è caratterizzato da un’eccessiva secrezione del polipeptide intestinale vasoattivo VIP

da parte delle cellule non-β, benigno nel 40% dei casi, maligno nel 35%, negli altri casi si tratta di

una semplice iperplasia. Spesso è responsabile della Sindrome di Verner-Morrison dove il VIP

stimola la secrezione di elelettroliti ed acqua soprattutto nell’intestino tenue, colon, a livello

pancreatico ed epatobiliare, con conseguente diarrea acquosa profusa, ipopotassiemia grave

(perdita di K+), ipovolemia, acloridria e disidratazione, fino al quadro dell’acidosi metabolica

ipokaliemica-ipercloremica perché il VIP inibisce la secrezione della gastrina da parte delle

cellule gastrino-secernenti e stimola la glicogenolisi epatica con conseguente iperglicemia.

La Terapia si basa sulla correzzione dell’equilibrio idroelettrolitico, acido-basico e glucidico,

enucleazione chirurgica per le forme cefaliche, pancreasectomia sx per le forme del corpo-coda.

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Il GLUCAGONOMA, molto raro, è caratterizzato da un’eccessiva secrezione del glucagone e si

manifesta con eritema necrotico migrante o rush cutanei localizzati al perineo, ai contorni della

bocca, con formazione di papule e bolle che si rompono ed evolvono in croste, diabete in genere

lieve e controllabile con la dieta, dimagrimento, anemia, diarrea, turbe psichiche.

Il SOMATOSTATINOMA è un tumore maligno caratterizzato da un’eccessiva secrezione della

somatostatina, in genere la diagnosi è tardiva con presenza di metastasi nei 3/4 dei casi a causa di

sintomi tardivi e aspecifici, legati all’azione della somatostatina che inibisce la secrezione

dell’insulina con diabete mellito di lieve entità, inibisce la secrezione pancreatica con diarrea e

steatorrea, inibisce la contrazione della colecisti favorendo la litiasi biliare, provoca dispepsia da

ritardato svuotamento gastrico e ipocloridria da inibizione della secrezione acido-gastrica.

Il PPoma è caratterizzato da un’eccessiva produzione del polipeptide pancreatico PP.

IPERTENSIONE ARTERIOSA di Interesse Chirurgico

L’Ipertensione Arteriosa di interesse chirurgico può essere dovuta a diverse cause:

La COARTAZIONE AORTICA è una stenosi congenita dell’aorta nel punto di congiunzione tra

arco e aorta discendente, subito dopo l’impianto dell’arteria succlavia di sx, dovuta ad un difetto

che si ha a tale livello, nel 10% dei casi associata alla pervietà del dotto arterioso di Botallo.

Il dotto arterioso di Botallo prima della nascita consente il collegamento tra l’arteria polmonare e

l’arco aortico, mentre dopo la nascita si chiude perchè si ha l’attivazione della respirazione e

l’arteria polmonare deve portare sangue ai polmoni. La mancata obliterazione del dotto di Botallo

determina uno shunt sx-dx dall’aorta (ad alta P) verso l’arteria polmonare (a bassa P), per cui si ha

un > lavoro ventricolare sx, sovraccarico del circolo polmonare, tachicardia, dispnea, soffio

continuo sistolico e diastolico (treno che passa in un tunnel), danza dei vasi ilari da pulsazione

abnorme dell’arteria polmonare valutabile all’Rx, fino ad andare incontro a endocardite, grave

insufficienza cardiaca, ipertensione polmonare, morte del pz prima dei 30 anni.

Il pz con coartazione aortica presenta ipertensione cefalo-brachiale con cefalea, disturbi visivi,

epistassi, sensazione di freddo agli arti inferiori.

La DIAGNOSI si basa sull’angiografia per via arteriosa o venosa per definire la sede e lunghezza

della stenosi, presenza di altre malformazioni, Eco-color Doppler, cateterismo cardiaco.

La TERAPIA è chirurgica con resezione del tratto stenotico e anastomosi termino-terminale, oppure

aortoplastica con patch e ripristino del normale lume aortico, legatura del dotto di Botallo con

doppio laccio usando materiale non riassorbibile.

L’intervento può essere eseguito tra gli 8 e 15 anni tranne che in presenza di scompenso

nell’infanzia dove il trattamento è precoce.

Poi ci sono patologie surrenali responsabili di ipertensione arteriosa di interesse chirurgico.

Le ghiandole surrenali sono ghiandole endocrine, poste in posizione retroperitoneale che

poggiano sul polo superiore dei reni dx e sx e presentano una parte corticale e una parte midollare:

Nella parte corticale o corteccia surrenale avviene la secrezione di 3 gruppi di ormoni regolata dalla

corticotropina ipofisaria ACTH o ormone adrenocorticotropo: mineralcorticoidi, glicocorticoidi e

corticoidi ad attività sessuale (androgena ed estrogena).

- mineralcorticoidi abbiamo l’aldosterone e il dessossicorticosterone che controllano il ricambio

idroelettrolitico: a livello del tubulo renale > il riassorbimento del Na+

e favoriscono l’escrezione

del K+. Tutto ciò è regolato dal sistema renina-angiotensina.

- glicocorticoidi abbiamo cortisolo, corticosterone, 11-deidro-corticosterone che controllano il

ricambio glucidico provocando iperglicemia ed aumento del glicogeno epatico per neoglicogenosi

proteica (ricava glucosio dalle proteine), controllano il ricambio proteico cioè inibiscono la sintesi

proteica e favoriscono il catabolismo delle proteine, inoltre, controllano il ricambio lipidico cioè

mobilizzano i lipidi aumentando il tessuto adiposo.

Inoltre, riducono i fenomeni reattivi della flogosi, cioè riducono la permeabilità capillare, reazione

fagocitaria e fibroblastica, riducono il n° eosinofili in circolo, regolano l’omeostasi, superando

aggressioni esterne ed interne.

Nella parte midollare si ha la secrezione di 2 catecolamine, cioè la adrenalina e la noradrenalina.

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134

La noradrenalina è il mediatore fisiologico dell’ortosimpatico, agisce sui recettori ά causando

vasocostrizione e quindi un rapido > resistenze periferiche.

Se viene prodotta in eccesso si ha un > P massima e minima e un lieve > gittata cardiaca.

L’adrenalina agisce sui recettori β ed esercita un’azione antagonista, cioè vasodilatazione e un

forte > gittata cardiaca con tachicardia.

Se viene prodotta in eccesso provoca ipertensione arteriosa accessionale, con agitazione, angoscia,

> metabolismo basale, > T°C corporea e > glicemia.

Le lesioni surrenaliche responsabili di ipertensione arteriosa di interesse chirurgico sono: sindrome

di Conn, sindrome di Cushing e feocromocitoma.

La SINDROME di CONN è una sindrome da iperfunzione della corticale del surrene con

iperaldosteronismo primitivo che nell’85% dei casi è causato da un adenoma surrenalico, mentre

negli altri casi si deve ad una semplice iperplasia.

I SINTOMI sono astenia muscolare, paralisi periodiche, tetania intermittente, poliuria e

soprattutto ipertensione arteriosa, ipopotassiemia con alterazioni dell’ECG cioè

sottoslivellamento del tratto ST, onda T appiattita o negativa, comparsa di onde U.

Le Indagini di Laboratorio evidenziano una eccessiva escrezione urinaria di K+ (ipopotassiemia)

e una ridotta escrezione di Na+ (ipersodiemia), > dell’aldosterone plasmatico e < della renina,

enzima prodotto dalle cellule iuxtaglomerulari renali che trasforma l’angiotensinogeno (proteina

prodotta dal fegato), in angiotensina, ha azione vasocostrittrice e stimola la secrezione

dell’aldosterone. Se il sangue che affluisce al rene è scarso si ha un > angiotensina e di aldosterone

con ipertensione nefrogena da iperaldosteronismo secondario, con > della renina plasmatica, mentre

in caso di iperaldosteronismo primitivo la renina <.

La TAC consente di individuare anche la presenza di adenomi di piccole dimensioni.

La TERAPIA è chirurgica con asportazione del surrene, mentre quella medica si basa sulla dieta

iposodica, somministrazione di potassio e spironolattone, ma è utile solo nelle forme iperplastiche.

La SINDROME di CUSHING è caratterizzata da un’eccessiva produzione di cortisolo e steroidi

glicoattivi dovuta:

- tumore benigno o maligno del surrene: adenoma o adenocarcinoma.

- eccessiva increzione ipofisaria di ACTH (corticotropina ipofisaria) con iperplasia surrenale

bilaterale in presenza o meno di un tumore basofilo dell’ipofisi.

- eccessiva e prolungata somministrazione di cortisone (forme iatrogene).

Il pz subisce un cambiamento del suo aspetto, assume un volto a luna piena, accumulo di grassi alla

nuca, si parla di collo di bufalo, irsutismo, comparsa di strie violacee sulle mammelle, addome e

natiche, comparsa di acne, dolori ossei dorso-lombari per osteoporosi, depressione, scomparsa

attività sessuale, turbe caratteriali fino a vere e proprie psicosi.

Il pz presenta ipertensione arteriosa, iperglicemia fino al diabete, > cortisolo plasmatico,

ipopotassiemia (< K+) e ipersodiemia (> Na

+).

La DIAGNOSI si basa sull’Rx, TAC e RMN per osservare l’ingrossamento della sella turcica da

grossi adenomi, ma anche quelli più piccoli di 5 mm di diametro, la TAC consente di osservare

bene i surreni.

Il pz va incontro a morte nel giro di pochi anni se viene lasciato a se.

La TERAPIA nelle forme tumorali è chirurgica con surrenectomia unilaterale per via lombotomica o

laparotomica nelle forme voluminose. Nelle forme iperplastiche da iperincrezione ipofisaria di

ACTH si ricorre alla telecobalto-terapia ipofisaria nei casi meno gravi, mentre per quelli più gravi

alla surrenectomia bilaterale totale con conseguente iposurrenalismo acuto che richiede la terapia

sostitutiva endocrinologica.

Il FEOCROMOCITOMA è un tumore benigno della midollare del surrene, solo nel 10% dei casi si

tratta di un tumore maligno o feocromoblastoma con metastasi linfonodali e a distanza.

In genere, colpisce i soggetti adulti con incidenza leggermente superiore nel sesso femminile,

spesso associato ad altri tumori di origine neuroectodermica, cioè che originano da cellule

provenienti dalla cresta neurale, costituendo la sindrome endocrina multipla di tipo neoplastica

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di Sipple o di MEN-II con feocromocitoma, carcinoma della midollare della tiroide,

neurofibromatosi...

I SINTOMI sono: ipertensione arteriosa da iperincrezione di catecolamine, cioè adrenalina e

noradrenalina. La noradrenalina provoca vasocostrizione con ipertensione che in genere non viene

avvertita dal pz, anche se è una ipertensione permanente, mentre la adrenalina provoca una crisi

ipertensiva parossistica, grave e resistente ai comuni farmaci anti-ipertensivi, con malessere, dolore

toracico improvviso, tachicardia, cardiopalmo, cefalea, ansia, tremori, nausea, P altissima fino a

300/150 mmHg, convulsioni e insufficienza cardiaca.

La crisi ipertensiva può essere scatenata dall’alcol, farmaci (metoclopramide, cloropromazina,

antidepressivi triciclici, caffeina, teofillina), sforzi fisici, cambi di postura, tosse, defecazione,

minzione, attività sessuale, ansia, pasto abbondante…

La crisi ipertensiva può manifestarsi peridocamente varie volte durante la settimana, dura da pochi

minuti ad alcune h, terminando con la < P arteriosa, sudorazione profusa, iperglicemia e glicosuria.

L’evoluzione è grave perché l’ipertensione col passare del tempo provoca danni cerebrali, retinici,

renali e cardiaci.

La DIAGNOSI si basa sulla valutazione dell’escrezione urinaria dell’acido vanilmandelico che è

un metabolita delle 2 catecolamine (>10 mg/24 h).

La TAC Addome è utile per le forme voluminose, la scintigrafia con I131 per evidenziare aree di

ipercaptazione da aumentato funzionamento, RMN è utile in caso di feocromocitoma in gravidanza

e in età pediatrica.

La TERAPIA è medica antiipertensiva preoperatoria con propanololo e chirurgica con

surrenectomia laparoscopica o laparotomica, legando la vena surrenalica per evitare la crisi

ipertensiva intraoperatoria e una brusca < P postoperatoria da improvvisa cessazione del

vasospasmo.

L’Ipertensione Arteriosa di interesse chirurgico secondaria a patologie renali viene distinta in

Ipertensione nefrovascolare e Ipertensione nefroparenchimale:

L’Ipertensione Arteriosa Nefrovascolare è pre-renale, spesso dovuta all’aterosclerosi dell’arteria

renale, oppure ad aneurismi, arteriti.., lesione estrinseca all’arteria, come una cisti, tumore dell’ilo

renale, tumore retroperitoneale cioè renale, surrenale...

Se il rene riceve una scarsa quantità di sangue con ipoperfusione renale e < della funzione di

filtrazione glomerulare plasmatica, si ha l’intervento del meccanismo di compenso renina-

angiotensina-aldosterone con > produzione della renina e trasformazione dell’angiotensinogeno in

angiotensina con vasocostrizione delle arteriole afferenti ed efferenti al glomerulo nel tentativo di

favorire la perfusione del glomerulo, ma l’angiotensina stimola la corticale del surrene a produrre

una maggiore quantità di aldosterone responsabile di ipertensione arteriosa sistemica. Inizialmente

questo meccanismo è protettivo perché favorisce un maggiore afflusso di sangue al rene ischemico

e l’ > Pa, renina e > escrezione sodica, poi lo stato ipertensivo provoca sclerosi con rene grinzo,

aggravando la situazione.

L’Ipertensione Arteriosa Nefroparenchimale è intra-renale, dovuta a cisti renali, pielonefrite,

TBC, tumori (Willms), cause iatrogene come la legatura anomala di un vaso.

I SINTOMI dell’ipertensione arteriosa nefrogena sono gli stessi ma più gravi di quelli

dell’ipertensione essenziale, cioè cefalea, vertigini, ansia, segni cardiaci e retinici.

Comunque, nella maggior parte dei casi l’ipertensione essenziale è di tipo familiare, ha un decorso

lento e progressivo e si manifesta soprattutto nei soggetti adulto-anziani, mentre l’ipertensione

nefrogena ha un decorso più rapido e grave colpendo soprattutto soggetti giovani.

Gli Esami di Laboratorio evidenziano una ipopotassiemia, > reninemia, catecolamine urinarie e

metaboliti sono normali. L’Eco-Doppler consente di valutare se il flusso di sangue nelle arterie

renali è normale o meno, l’aortografia e l’arteriografia selettiva dell’arteria renale con tecnica di

Seldinger sono utili per valutare la presenza di placche aterosclerotiche con stenosi del lume

arterioso, la presenza di iperplasie fibro-muscolari della tonaca media, aneurismi a valle della

stenosi, fistole artero-venose, compressioni estrinseche da parte di cisti, tumori...

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La TERAPIA è chirurgica nell’ipertensione nefroparenchimale con interventi più o meno

conservativi nel caso di lesioni benigne, altrimenti si ricorre alla nefrectomia.

Nell’ipertensione nefrovascolare si ricorre alla rivascolarizzazione del rene ischemico avvalendosi

di varie tecniche: disostruzione arteriosa, resezione del segmento stenotico con anastomosi

termino-terminale tra i monconi arteriosi, sostituzione del segmento stenotico con trapianto di una

vena autologa (vena safena) o con una protesi, reimpianto aortico dell’arteria renale post-stenotica,

by-pass aorto- renale post-stenotica con autotrapianto venoso o protesi.

La nefrectomia è indicata quando non è possibile ricorrere alle tecniche di rivascolarizzazione

oppure quando il flusso renale è completamente assente.

In caso di aterosclerosi dell’arteria renale e stenosi fibromuscolari possiamo ricorrere alla

dilatazione del vaso con un palloncino gonfiabile collegato ad un cateterino introdotto per via

retrograda attraverso l’arteria femorale e collocato nel segmento ristretto, con notevoli vantaggi per

il pz e il chirurgo, ottimi risultati e scarse complicanze, come l’embolizzazione, emorragie da

cateterino, trombosi..

TIROIDE

(vedi dispensa Endocrinologia)

MAMMELLA

La Mammella è una ghiandola tubulo acinosa distinta in dx e sx, occupa lo spazio compreso tra lo

sterno e una linea verticale tangente al margine antero-mediale dell’ascella, estendendosi dalla 3^

alla 6^ costa. Descriviamo il capezzolo con superficie irregolare e pigmentata, 10-12 minuscoli pori

che rappresentano gli orifizi di sbocco dei dotti galattofori.

Il capezzolo è circondato da un’areola circolare di 4-5 cm di Ø, con superficie pigmentata e con

lievi protuberanze dette tubercoli di Morgagni, corrispondenti alle sottostanti ghiandole sebacee che

durante la gravidanza vanno incontro ad ipertrofia con formazione dei tubercoli di Montgomery.

Al di sotto della cute c’è lo strato adiposo anteriore o preghiandolare organizzato in piccole logge

adipose separate da creste fibrose, mentre posteriormente c’è lo strato adiposo retromammario più

sottile e non suddiviso in logge adipose.

La ghiandola mammaria è ricoperta da una capsula di tessuto fibroso ed è formata da 10-20 lobi

indipendenti, suddivisi in lobuli e acini, caratterizzati da un canale escretore o dotto galattoforo.

La vascolarizzazione arteriosa spetta ai rami perforanti dell’arteria mammaria interna a livello

mediale, mentre a livello laterale e inferiore abbiamo i rami dell’arteria mammaria esterna o

toracica laterale, l’arteria scapolare inferiore e superiore e i rami delle arterie intercostali. Le

arterie mammarie sono rami dell’arteria succlavia.

La vascolarizzazione venosa si deve alle vene superficiali che drenano nella vena giugulare esterna,

alla vena cefalica, alle vene sottocutanee addominali e alle vene profonde che drenano nella vena

mammaria interna ed esterna. Dai quadranti inferiori della mammella il sangue defluisce nelle vene

epigastriche superiori e nelle vene toraco-epigastriche, satelliti delle vene femorali.

Il drenaggio linfatico si deve al plesso linfatico superficiale o subareolare che raccoglie la linfa da

gran parte della mammella, areola e cute, raggiungendo i linfonodi del cavo ascellare e al plesso

linfatico profondo o fasciale che raccoglie la linfa dalla parete posteriore della mammella,

attraverso dei collettori che affluiscono ai linfonodi ascellari decorrendo nella fascia del muscolo

grande pettorale, mentre altri collettori si portano ai linfonodi interpettorali di Rotter posti tra

muscolo grande e piccolo pettorale.

La conoscenza dei linfonodi è molto importante per la terapia chirurgica del carcinoma mammario

perché la prognosi dipende dalla presenza o meno di metastasi linfonodali.

Possiamo fare una distinzione tra 3 livelli di linfonodi in rapporto al muscolo piccolo pettorale:

linfonodi ascellari di I livello o inferiori, linfonodi ascellari di II livello o intermedi, linfonodi

ascellari di III livello o superiori.

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L’innervazione della mammella spetta ai rami perforanti dei nervi intercostali IV, V e VI, poi

abbiamo dei nervi più superficiali che originano dal plesso cervicale superficiale e dai nervi

perforanti anteriori del II, III, IV, V e VI nervo intercostale.

La mammella è bersagliata da vari ormoni che interagiscono con dei recettori specifici:

─ estrogeni: stimolano la proliferazione delle cellule della ghiandola mammaria.

─ progesterone: prodotto dai corpi lutei delle ovaie, al menarca, con la prima ovulazione, influenza

la morfologia ghiandolare, la proliferazione del connettivo mammario e la suddivisione della

mammella in lobuli, durante la gravidanza provoca un > di volume della mammella nella fase

proliferativa, mentre negli ultimi mesi di gestazione stimola la fase secretoria con produzione del

colostro, mentre dopo il parto stimola la produzione del latte materno.

Al termine dell’allattamento, oppure dopo un parto senza allattamento o dopo un aborto, inizia la

fase di regressione della mammella che < di volume.

─ androgeni surrenali: vengono metabolizzati ad estrogeni e sembrano essere i responsabili della

metaplasia apocrina dell’epitelio.

─ prolattina PRL: inibisce la secrezione di progesterone da parte del corpo luteo e stimola i recettori

per gli estrogeni.

Lo squilibrio ormonale può provocare un’alterazione dei processi evolutivi e regressivi, involuzione

senile della mammella, con displasie ghiandolari e notevole sensibilità degli epiteli agli stimoli

oncogeni.

Tumori Mammari

I Tumori Mammari sono distinti in benigni e maligni.

Tumori Benigni: il fibroadenoma mammario è la forma più frequente, mentre sono più rari il

papilloma intraduttale, tumore filloide, fibroma puro, lipoma, angiomi, tumori misti da metaplasia

dei tessuti mammari o da inclusione di germi embrionali, cioè condromi, osteomi, cisti dermoidi...

Tumori Maligni: carcinoma mammario, sarcoma, angiosarcoma, tumore carcinoide, linfoma,

plasmocitoma, melanoblastoma, endotelioma, peritelioma e l’istiocitoma maligno.

Il Fibroadenoma Mammario è un tumore benigno di natura epiteliale che colpisce soggetti di età

compresa tra i 20 e 30 anni. In genere è unico, circoscritto, raramente multiplo e bilaterale. E’

delimitato da una capsula che spesso è incompleta consentendo la comunicazione con la ghiandola

mammaria. Può essere anche di tipo cistico e si parla di adenoma cistico.

Il fibroadenoma spesso viene individuato dalla pz come un nodulo piccolo (1-2 cm) e indolente,

sferico o ovale, di consistenza teso-elastica e non duro-lignea come il carcinoma mammario,

spesso localizzato nel quadrante superiore esterno della mammella, ricoperto da cute sana, non

aderente alla cute, muscoli e alla ghiandola mammaria circostante, per cui è mobile alla

palpazione e non si apprezzano tumefazioni dei linfonodi ascellari. L’evoluzione è molto lenta,

resta stazionario per molti anni e può > di volume durante il ciclo mestruale o la gravidanza.

La mammografia evidenzia la struttura omogenea con margini netti e regolari della tumefazione.

La Terapia è chirurgica conservativa con enucleazione del nodulo.

Il Tumore Filloide è una forma giganto-cellulare cosi detta perché può raggiungere dimensioni tali

da interessare tutta la ghiandola mammaria per cui richiede la mastectomia radicale ma non è una

forma benigna vera e propria perché tende a recidivare localmente anche per più di 10 volte dopo

terapia.

Il CARCINOMA MAMMARIO è il tumore più frequente nella donna, rappresentando la 1^ causa di

morte per tumore, a cui seguono il carcinoma polmonare, utero, colon-retto e gastrico,

rappresentando la 2^ causa di morte dopo le malattie cardiovascolari.

E’ molto diffuso nei Paesi industrializzati, in Italia sono diagnosticati 31000 nuovi casi/anno, raro

tra i 20-30 anni mentre l’incidenza > progressivamente con l’età, raggiungendo il picco tra i 40-70

anni, probabilmente per cause di natura ormonale, poiché il carcinoma mammario è un tumore

ormone-dipendente con stretta relazione tra secrezione ormonale e insorgenza del tumore.

I Fattori di Rischio più importanti sono:

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138

familiarità: anamnesi familiare + cioè si tratta di soggetti predisposti dove il carcinoma può

interessare mamme, figlie e sorelle della stessa generazione e di quelle successive, con rischio

maggiore nelle sorelle di donne colpite da carcinoma prima della menopausa e con probabilità di

sviluppare il carcinoma tanto elevata quanto più precoce è stata l’età d’insorgenza del carcinoma

nella mamma. Il carcinoma familiare della mammella (e ovaio) è legato a mutazioni dei geni

oncosoppressori BRCA1 e 2, normalmente deputati alla riparazione dei danni del DNA, sono

espressi durante la fase M del ciclo cellulare e bloccano il ciclo in caso di danno genetico attraverso

l’intervento della proteina p21 (inibitore delle chinasi ciclino-dipendenti). E’ stato dimostrato che

nell’80% dei casi si ha solo la mutazione del gene BRCA1 ma le mutazioni del gene BRCA2 nelle

cellule germinali > il rischio di sviluppare il tumore del 50%.

Nelle donne con mutazioni del gene BRCA1 questi tumori insorgono più precocemente e c’è un >

rischio di sviluppare il tumore controlaterale.

stato nubile cioè donne che non hanno mai avuto una gravidanza (nullipare) o che hanno avuto

la prima gravidanza dopo i 35 anni con mancata azione protettiva da parte del progesterone.

mancanza di allattamento: l’allattamento rappresenta un fattore di protezione, infatti il

carcinoma mammario è più frequente nelle nubili e nelle donne che pur avendo portato a termine

delle gravidanze hanno rinunciato all’allattamento al seno per il neonato, preferendo quello

artificiale oppure non hanno potuto allattare.

Altri fattori di rischio di media e piccola importanza sono:

età > 40 anni: tutte le donne devono sottoporsi periodicamente ad alcuni esami importanti per la

diagnosi precoce del carcinoma mammario, come la mammografia ed è utile l’autopalpazione.

fattori ormonali: gli ormoni sessuali giocano un ruolo importante, infatti, si è visto che nelle

donne ovariectomizzate il carcinoma mammario è meno frequente, mentre le donne che assumono

gli ormoni estrogeni in post-menopausa o contraccettivi orali in età fertile hanno un rischio

maggiore di sviluppare il carcinoma.

neoplasia benigna della mammella, come la mastopatia fibrocistica e il fibroadenoma:

rappresentano un fattore predisponente, associate a squilibri ormonali e caratterizzate da ristagno

intraduttale di secrezioni e di epitelio desquamato.

menarca precoce, menopausa tardiva, gravidanza: se la vita fertile della donna è lunga il

rischio di sviluppare il carcinoma mammario è maggiore perché la stimolazione ormonale è più

lunga nel tempo. Le gravidanze non portate a termine con aborti ripetuti spontanei o provocati sono

a rischio di carcinoma perché alla tempesta ormonale tipica delle fasi iniziali della gravidanza non

segue l’intervento progestinico della seconda fase della gravidanza.

esposizione ripetuta alle radiazioni ionizzanti soprattutto nelle donne portatrici di mutazioni

del gene dell’atassia-teleangectasia con deficit dei sistemi di riparazione del DNA.

stile di vita: abuso di bevande alcoliche, dieta povera di vegetali, frutta e fibre, fumo di

sigaretta che inibisce l’enzima aromatasi alterando l’increzione di estrogeni, vita sedentaria.

obesità, diabete, ipotiroidismo, malattie autoimmuni raramente associati al cr. mammario.

L’obesità è un fattore di rischio perché nel tessuto adiposo c’è l’enzima aromatasi che, soprattutto

in menopausa trasforma le catene alifatiche dei grassi in estrogeni, con rischio più alto di sviluppare

il carcinoma mammario.

Inoltre, le donne che già hanno avuto il carcinoma mammario in un seno hanno un rischio di 5-10

volte maggiore di svilupparlo nel seno controlaterale rispetto alle donne che non l’hanno mai avuto.

Spesso il carcinoma mammario è associato al carcinoma del colon e delle ovaie.

Se una donna giunge all’osservazione con un nodulo palpabile di circa 1 cm di Ø, probabilmente ha

già una storia preclinica di 8 anni di carcinoma e nel 35% dei casi possiamo osservare delle

micrometastasi.

Dal punto di vista ANATOMO PATOLOGICO possiamo distinguere 4 forme cioè carcinoma

scirroso o scirro, carcinoma solido, mastite carcinomatosa, carcinoma di Paget.

Ricordiamo che la mammella viene suddivisa in 4 quadranti: supero-esterno, supero-interno, infero-

esterno e infero-interno. Il quadrante più colpito è quello supero-esterno, probabilmente perché è

ricco di parenchima mammario. Spesso si notano dei focolai neoplastici multipli nello stesso

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quadrante e si parla di Carcinoma Multifocale, oppure in quadranti diversi rispetto al nodulo

principale e si parla di Carcinoma Multicentrico.

Il CARCINOMA SCIRROSO è la forma più frequente, rappresenta il 75% dei casi, di consistenza

molto dura, dal punto di vista istologico viene distinto in carcinoma duttale infiltrante e

carcinoma lobulare infiltrante:

carcinoma duttale infiltrante: rappresenta l’80% di tutte le forme, si presenta in forma nodulare

che infiltra la membrana basale.

carcinoma lobulare infiltrante: rappresenta il 20% di tutte le forme, non è nodulare ma spesso è

multifocale e bilaterale.

Il CARCINOMA SOLIDO viene distinto in carcinoma encefaloide e carcinoma gelatinoso:

carcinoma encefaloide: ha una consistenza molle e può raggiungere dimensioni tali da

deformare il profilo mammario, al taglio presenta delle zone centrali necrotico-emorragiche e

istologicamente si fa una distinzione tra carcinoma midollare costituito da cordoni di cellule

epiteliali voluminose e carcinoma papillare raro, costituito da formazioni papillari ben evidenti.

carcinoma gelatinoso o colloide: presenta un liquido gelatinoso, translucido e istologicamente

corrisponde al carcinoma muciparo con cellule ad anello incastonato secernenti muco.

La MASTITE CARCINOMATOSA o carcinoma infiammatorio: caratterizzata da un > di

volume della mammella, che si presenta arrossata con ipertermia locale, edema, aspetto a

buccia d’arancia, lieve dolore, ma al taglio non si osserva suppurazione o segni di flogosi

corrispondenti ai segni esterni. Istologicamente corrisponde al carcinoma duttale nel 92% dei casi

oppure al carcinoma lobulare infiltrante nell’8% dei casi.

Il CARCINOMA di PAGET rappresenta il 2% ~ dei carcinomi mammari nelle donne con età

compresa tra 50-60 anni. Inizialmente si localizza al capezzolo e all’areola che si presenta

arrossata, granulosa o eczematosa, talora si formano delle croste e delle piccole ulcerazioni da

cui fuoriesce siero o sangue, mentre dopo alcuni mesi o anni si nota un nodulo retroareolare

palpabile che infiltra i dotti galattofori.

Istologicamente il carcinoma di Paget nelle fasi iniziali è caratterizzato dalle cosiddette cellule a

gocce di cera nell’epidermide, mentre nella fase di nodo palpabile si notano cellule atipiche che

superano la membrana basale dell’epidermide e dei dotti galattofori.

Dal punto di vista CLINICO il carcinoma mammario (forma scirrosa) nelle fasi iniziali si presenta

sottoforma di un nodulo di consistenza duro-lignea, spesso localizzato nel quadrante supero-

esterno della mammella, di forma rotondeggiante e irregolare, volume variabile in base al

momento della diagnosi (autopalpazione), superficie irregolare, indolente, immobile perché fa

corpo con il parenchima ghiandolare circostante.

Inoltre, possiamo osservare edema in seguito all’infiltrazione dei vasi linfatici presenti nel derma e

le alterazioni della cute che riveste il nodulo o tutta la mammella, con rossore, appiattimento

di un tratto della curvatura della mammella o segno della smorfia, oppure l’aspetto a buccia

d’arancia in seguito all’infiltrazione dei vasi linfatici o linfangite.

Altri segni di allarme sono la secrezione siero-ematica o ematica dal capezzolo o la retrazione

della mammella con asimmetria, retrazione del capezzolo o retrazione della ghiandola in toto.

Il carcinoma provoca linfoadenopatia ascellare cioè si nota un > di volume dei linfonodi ascellari

di consistenza dura, inizialmente mobili, poi confluiscono tra loro e si fissano ai piani profondi e

alla cute, per cui sono immobili, il che è un indice prognostico negativo.

La DIAGNOSI si basa su:

Anamnesi: bisogna stabilire l’inizio del menarca o della menopausa, regolarità del ciclo

mestruale, età della prima gravidanza e n° delle gravidanze, allattamento al seno del neonato,

anamnesi familiare + per carcinoma mammario, presenza di patologie ovariche, uso di

contraccettivi orali.

Esame Obiettivo: deve essere eseguito in periodi lontani dal flusso mestruale perché può

provocare edema e ingrossamento della mammella. La pz viene esaminata a torace nudo,

confrontando le due mammelle.

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─ Ispezione: si valuta la simmetria tenendo presenti come punti di repere il giugulo dello sterno e

le clavicole, volume, forma, colore della cute, cute increspata a buccia d’arancia, retrazioni

cutanee, appiattimento della curva del profilo mammario, eritema cutaneo, eczema e

ulcerazioni (carcinoma di Paget), presenza di retrazioni o lesioni del capezzolo, secrezione

spontanea o dopo compressione del capezzolo.

Le secrezioni possono essere di vario tipo: siero-ematiche o ematiche (monolaterale) in caso di

neoplasie, soprattutto un papilloma dei dotti galattofori e Carcinoma di Paget, verdastre o bianco-

grigiastre in caso di mastopatia fibrocistica o ectasia duttale, lattescenti in caso di iperprolattinemia,

purulente in caso di mastite o galattoforite, limpide e abbondanti in caso di ectasia duttale.

─ Palpazione: la pz deve stare sdraiata sul lettino tenendo la mano omolaterale al seno da palpare

sulla testa in modo da far rilasciare i muscoli pettorali. Possiamo ricorrere alla palpazione per prensione cioè si afferra la mammella tra il pollice e le

altre dita facendo scorrere fra di loro la massa ghiandolare, in modo da riconoscere tutte le

formazioni presenti nello spessore della ghiandola, ma dobbiamo ricordare che spesso gli acini ghiandolari sono duri e ingrossati, ecco perché si preferisce la palpazione a piatto cioè la

palpazione della mammella con le mani a piatto quadrante per quadrante, compreso il

prolungamento ascellare, valutando la presenza di masse sospette, dimensioni, contorni,

consistenza che è duro lignea in caso di carcinoma mammario, l’eventuale aderenza alla cute ed

ai tessuti profondi, superficie della massa, presenza del dolore tenendo presente che il carcinoma

mammario non provoca dolore, mentre le neoplasie benigne e i processi infiammatori della

mammella provocano dolore.

Poi si invita la pz ad appoggiare le mani sui fianchi esercitando una certa forza in modo da far

contrarre i muscoli pettorali, spostando la ghiandola sul torace in ogni direzione per stabilire se il

nodulo è mobile o immobile.

Per verificare se c’è un’aderenza tra il nodulo e i dotti galattofori si afferra il capezzolo tra indice

e pollice, si tira in avanti, mentre con l’altra mano si verifica se la massa si sposta, il che potrebbe

indicare la presenza di un carcinoma o di un papilloma dei dotti galattofori.

Poi si passa alla palpazione della mammella controlaterale eseguendo le stesse manovre. Inoltre, è molto importante la Palpazione dei linfonodi ascellari e sovraclaveari: ci mettiamo

di fronte alla pz che deve tenere l’arto rilasciato, lungo i fianchi, si introducono le punte delle dita

tese in profondità nel cavo ascellare, tenendo il palmo della mano rivolto verso il torace (mano dx

per il lato sx e viceversa), e si procede alla palpazione dei linfonodi esaminando prima il pilastro

anteriore dell’ascella, poi l’apice e il pilastro posteriore.

La palpazione dei linfonodi sovraclaveari è più facile soprattutto durante uno sforzo perché

diventano più superficiali.

In caso di interessamento dei linfonodi avremo un > di volume e di consistenza dei linfonodi, che

tendono a confluire tra loro formando dei pacchetti linfonodali in caso di metastasi.

Tra le indagini strumentali per valutare la natura del nodulo abbiamo:

Ecografia: è l’indagine di prima scelta prima dei 40 anni; il carcinoma mammario si presenta

sottoforma di noduli solidi, iperecogeni, rispetto ai noduli liquidi, ipoecogeni, ma bisogna stare

attenti perchè anche il fibroadenoma è iperecogeno.

Mammografia: indagine radiologica di prima scelta dopo i 40 anni mentre prima dei 40 anni non

è molto utile perché il tessuto mammario è più denso, fornisce la stessa opacità del nodulo,

rendendo difficile la distinzione tra tessuto neoplastico e parenchima sano circostante, per cui si

ricorre all’ecografia. Alla mammografia i noduli sono radiopachi, con margini irregolari,

sfumati, spesso con diramazioni a stella. E’ possibile osservare anche le forme microscopiche,

non palpabili con presenza di microcalcificazioni a contorni irregolari, distribuite irregolarmente

in aree circoscritte dovute alla formazione di piccoli depositi di calcio nelle aree necrotiche, che è

indice di malignità: le microcalcificazioni si osservano mediante lenti di ingrandimento speciali.

Duttogalattografia: indicata in presenza di secrezioni ematiche o siero-ematiche del capezzolo, si

introduce una cannula sottile nel capezzolo, si perfonde il dotto galattoforo con m.d.c. radio-opaco e

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si esegue una mammografia evidenziando i difetti di riempimento del dotto dovute a vegetazioni

intraduttali.

Agoaspirato con ago sottile sottoguida ecografica con esame citologico FNAB: pre-operatorio,

fornisce diversi risultati cioè materiale inadeguato alla diagnosi, nodulo benigno, nodulo

atipico/probabilmente benigno, nodulo sospetto/probabilmente maligno, nodulo maligno.

Microbiopsia percutanea con aghi tranciati da 14-18 gauge (G): ad alta sensibilità e specificità

per la diagnosi di carcinoma invasivo ma è più costosa, traumatica per la pz e più suscettibile di

errori di campionamento rispetto alla citologia.

Agobiopsia con aspirazione forzata o Mammotome: in anestesia locale si esegue mediante il

bisturi una piccola incisione locale attraverso cui si introduce un ago da 11 gauge aspirando 20

frustoli di 20 mm di lunghezza e 3 mm di Ø. La biopsia può essere eseguita su noduli palpabili o

non palpabili sottoguida ecografica o stereotassica, più sensibile e specifica rispetto alla citologia e

microistologia convenzionali ma è più costosa. Esistono anche altre tecniche di Biopsia definite

ABBI, SITE SELECT con cannule di 20 mm di Ø introdotte attraverso un’incisione cutanea di 3 cm,

asportando materiale più voluminoso di 5-20 mm di Ø e 20 mm di lunghezza, ma è eseguita a cielo

aperto per cui bisogna agire in ambiente sterile.

Biopsia escissionale intraoperatoria con esame estemporaneo al congelatore: durante

l’intervento si asporta il nodulo e l’anatomo patologo esegue una indagine istologica al congelatore

per valutare la natura del nodulo e può fornire al chirurgo 3 tipi di risposta:

─ positiva: il nodulo presenta le cellule neoplastiche: il chirurgo può continuare l’intervento.

─ negativa: il nodulo non presenta le cellule neoplastiche.

─ materiale inadeguato per la diagnosi MID se il prelievo non è stato eseguito correttamente o in

caso di neoplasie con cellule neoplastiche scarse (carcinoma scirroso).

In questo modo si decide se ricorrere ad una terapia chirurgica radicale o palliativa.

Le Vie di Diffusione del carcinoma mammario sono:

per contiguità con infiltrazione delle vie linfatiche adiacenti al tumore.

per continuità con infiltrazione della cute, fascia del muscolo pettorale, muscolo pettorale e

strutture più profonde.

per via linfatica: gli emboli neoplastici si staccano dalla massa primitiva e attraverso le vie

linfatiche raggiungono le stazioni linfonodali ascellari, distinte in :

─ linfonodi ascellari di I livello o inferiori posti all’esterno del margine inferiore del muscolo

piccolo pettorale, sono circa 12-16 linfonodi, cioè il 45% circa dei linfonodi ascellari. Si tratta dei

linfonodi dell’arteria mammaria esterna.

─ linfonodi ascellari di II livello o intermedi compresi tra il margine laterale e mediale del

muscolo piccolo pettorale (35%) e linfonodi interpettorali di Rotter.

─ linfonodi ascellari di III livello o superiori posti a livello del margine supero-mediale del

muscolo piccolo pettorale, dove la vena ascellare diventa succlavia (15%).

per via ematica: si ha l’infiltrazione delle vene nel cui lume si staccano degli emboli neoplastici

che, mediante il flusso ematico, giungono al cuore dx, ai polmoni, superano il filtro polmonare

diffondendosi attraverso la circolazione sistemica nell’organismo, soprattutto alla colonna

vertebrale, femore, bacino, cranio, coste, fegato, ovaie e cervello.

diffusione per via linfo-ematica: gli emboli neoplastici attraverso la corrente linfatica giungono al

dotto toracico, che drena nella vena succlavia, consentendo la diffusione del tumore per via ematica.

L’Ecografia è utile per evidenziare le metastasi epatiche, la Scintigrafia ossea per evidenziare le

metastasi ossee, l’Rx del torace per individuare le metastasi polmonari, la TAC cranica per le

metastasi cerebrali, RMN a contrasto dinamico per la stadiazione loco-regionale valutando la

presenza di un tumore multifocale o multicentrico, ristadiazione locale delle neoplasie dopo

chemioterapia adiuvante, diagnosi di recidive dopo terapia chirurgica e radioterapica,

metastasi da carcinoma primitivo misconosciuto, controllo dell’integrità delle protesi

mammarie e studio del parenchima nelle pz con protesi.

La Classificazione TNM consente di stadiare la neoplasia e di dare un giudizio prognostico:

─ Tx: il tumore primitivo non può essere definito.

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─ Tis: carcinoma in situ intraduttale o intralobulare o carcinoma di Paget non ancora

individuato all’esame obiettivo e con le indagini strumentali.

─ T1: tumore con Ø ≤ 2cm.

─ T2: tumore con Ø 2–5 cm.

─ T3: tumore con Ø > 5 cm.

─ T4: tumore di qualsiasi dimensione che ha infiltrato la cute con edema, cute a buccia

d’arancia, piccole ulcerazioni oppure tumore che ha infiltrato la parete toracica (coste e muscolo

dentato anteriore), oppure tumore con caratteri della mastite carcinomatosa cioè infiammazione

della mammella con infiltrazione dei vasi linfatici da parte delle cellule neoplastiche, con

conseguente edema, cute a buccia d’arancia, arrossamento, segno dello scalino cioè tra cute

interessata dalla neoplasia edematosa e cute sana circostante si nota un avvallamento netto.

─ N0: nessuna metastasi linfonodale.

─ N1: presenza di metastasi ai linfonodi ascellari omolaterali con linfonodi mobili.

─ N2: presenza di metastasi ai linfonodi ascellari omolaterali con linfonodi fissi.

─ N3: presenza di metastasi ai linfonodi mammari interni omolaterali.

─ M0: non ci sono metastasi a distanza.

─ M1: presenza di metastasi a distanza e metastasi ai linfonodi sopraclaveari.

La prognosi dipende da vari fattori:

dimensioni del tumore: tumori con Ø > 2 cm hanno una prognosi peggiore rispetto ai più piccoli.

aggressività del tumore: abbiamo il Grading Istologico che fornisce il grado di differenziazione

cellulare, cioè grado G1 o tumore ben differenziato a prognosi favorevole, grado G2 o tumore

moderatamente differenziato, grado G3 o tumore scarsamente differenziato o anaplastico con

prognosi sfavorevole perché sono molto aggressivi, provocando metastasi linfonodali e a distanza,

con morte in tempi brevi.

età del pz > 45 anni.

stato dei recettori ormonali: le cellule che presentano recettori specifici per gli ormoni sono più

differenziate, per cui la neoplasia sarà meno aggressiva, con possibilità di sfruttare la terapia ormonale.

cinetica cellulare: velocità di proliferazione delle cellule neoplastiche e di crescita della massa tumorale.

aderenza tra tumore e cute o piano costale con prognosi peggiore.

metastasi ai linfonodi ascellari: bisogna considerare il n° dei linfonodi interessati, che può essere <

= > 3, se si ha l’interessamento dei linfonodi ascellari di III livello il rischio di ripresa neoplastica

dopo l’intervento chirurgico è notevole. Bisogna controllare bene tutte le stazioni linfonodali perché

spesso si verifica il salto di livello cioè il I livello viene saltato, colpendo direttamente i linfonodi

ascellari di II e III livello. Se il tumore ha interessato anche i linfonodi sovraclaveari e i linfonodi

mammari interni con metastasi mediastinica, è inutile ricorrere ad un intervento radicale,

demolitivo, perché il tumore si trova in una fase molto avanzata (tumore incontrollabile).

La TERAPIA è Chirurgica: inizialmente (1920-1960) si ricorreva alla Mastectomia radicale

secondo Halsted (1894) asportando tutta la mammella, muscoli grande e piccolo pettorale, tutti i

linfonodi del cavo ascellare, fino ai linfonodi della catena mammaria interna, cioè si trattava di un

trattamento ampiamente demolitivo, poi si è passati alla Mastectomia radicale secondo Madden

con asportazione della mammella, cute e fascia del muscolo grande pettorale, tutti i linfonodi del

cavo ascellare, risparmiando i muscoli grande e piccolo pettorale, ottenendo buoni risultati nella

fase ricostruttiva e per l’estetica della pz, anche se il problema non è di natura estetica ma è quello

di garantire una certa sicurezza oncologica, evitando la ripresa della neoplasia.

Poi si è passati alla Mastectomia radicale secondo Patey con asportazione della mammella, cute

e muscolo piccolo pettorale, risparmiando il grande pettorale cioè il pilastro anteriore dell’ascella

per evitare grossi danni estetici, la deformazione della gabbia toracica, danni funzionali con

limitazione dell’adduzione del braccio, consentendo una buona ricostruzione della mammella.

La linfoadenectomia prevede l’asportazione dei linfonodi ascellari fino a quelli di III livello,

compresi i linfonodi interpettorali di Rotter proprio perché si asporta il muscolo piccolo pettorale.

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Dopo la mastectomia si esegue la Radioterapia adiuvante per ridurre il rischio di recidive,

irradiando la sede del tumore primitivo, la parete toracica e i linfonodi sovraclaveari, associata a

Chemioterapia e Ormonoterapia adiuvante.

Nel 1975 nell’Istituto dei tumori di Milano è stato presentato lo studio di Chirurgia Conservativa

cioè l’Intervento di Quadrantectomia associata alla linfoadenectomia e alla radioterapia della

mammella residua o QUART e la tumorectomia o TART (ancora in fase di studio) dove la sigla

RT sta per radioterapia che viene usata dopo l’intervento per evitare la ripresa locale della

neoplasia. La QUART è indicata per le neoplasie con Ø max 2 cm oppure di 3 cm ma non aderenti

alla fascia del muscolo grande pettorale e in assenza di linfonodi ascellari palpabili, mentre la

TART è indicata per le neoplasie fino ad 1 cm di Ø, asportando solo il nodulo.

La QUART consiste nell’asportare il quadrante mammario interessato, la cute sovrastante, una

parte dell’areola, la fascia del muscolo grande pettorale nella sede colpita e poi si esegue lo

svuotamento ascellare in blocco con exeresi ghiandolare.

Dopo l’exeresi si ricorre alla Radioterapia con sorgenti ad alta energia (45-50 Gy) cioè telecobalto,

acceleratore lineare, sterilizzando eventuali foci neoplastiche microscopiche ed evitando le recidive.

Le sequele della radioterapia sono la comparsa di fibrosi, < del volume e della consistenza del

parenchima mammario residuo, fibrosi del parenchima dell’apice polmonare, raramente

fratture, paralisi da lesione del plesso brachiale, pericarditi, necrosi dello sterno.

Nella QUART è importante il rapporto tra dimensioni del tumore e della mammella per 2 motivi:

- motivo oncologico: se la neoplasia si trova nello stadio T3, cioè tumore con Ø > 5 cm, è

necessario avere un quadrante grande per poter asportare la neoplasia e almeno 2 cm di margine

sano intorno alla neoplasia, cosa non possibile per le mammelle piccole.

- motivo estetico: nel caso di mammelle piccole i risultati estetici sono scarsi, per cui occorre

evitare delle exeresi allargate, molto demolitive.

Per quanto riguarda la Linfoadenectomia bisogna considerare 2 tecniche:

Biopsia del linfonodo sentinella: consente di valutare lo stato del primo linfonodo di drenaggio

linfatico del tumore primitivo detto linfonodo sentinella LS, basandosi sulla teoria che in caso di

metastasi del linfonodo sentinella è possibile presagire l’interessamento degli altri linfonodi

locoregionali. Si tratta di una tecnica radioimmunologica intraoperatoria: si inietta un tracciante

colloidale radioattivo (99m

Tc) in sede peritumorale e dopo qualche minuto si osserva mediante una

sonda scintigrafica per localizzare il segnale del radiocolloide sul letto operatorio. Se il linfonodo

sentinella è privo di cellule neoplastiche è possibile evitare l’asportazione degli altri linfonodi,

altrimenti si ricorre a linfadenectomia ascellare.

Tecnica del salto linfonodale: la prima stazione linfonodale più vicina alla neoplasia viene

saltata, mentre la metastasi interessa le stazioni linfonodali più lontane che devono essere asportate.

In genere, la ripresa della neoplasia si verifica nel giro di 2 anni, periodo di tempo in cui la pz viene

sottoposta a follow-up con mammografia dopo 6 mesi dall’intervento e poi dopo 1 anno.

La ricostruzione plastica della mammella prevede l’uso degli espansori cutanei o skin

expanders, cioè protesi di silicone.

La Chemioterapia neoadiuvante o preoperatoria è indicata nel caso di tumori voluminosi,

cercando di < le dimensioni del tumore, per facilitare la quadrantectomia ed evitare la mastectomia,

valutando se il pz risponde alla chemioterapia: in caso di pz responders possiamo usare lo stesso

ciclo polichemioterapico nel periodo postoperatorio mentre in caso di pz non responders è

necessario cambiare il ciclo polichemioterapico.

La chemioterapia adiuvante viene usata dopo ~ 1 mese dall’intervento chirurgico (QUART) per

distruggere eventuali micrometastasi, ricorrendo a cicli di polichemioterapia con Ciclofosfamide,

Methotrexate, 5FU (CMF) oppure Ciclofosfamide, Adriamicina e 5FU, Taxani, Vinorelbina,

Gemcitabina, con dosaggio personalizzato a seconda che si tratti di un pz in menopausa o meno.

L’endocrinoterapia si basa sulla terapia ormonale competitiva con SERM cioè modulatori

selettivi per i recettori degli estrogeni come il tamoxifene che agisce legandosi ai recettori specifici

per gli estrogeni, anche se si possono verificare casi di resistenza al farmaco soprattutto se le cellule

neoplastiche presentano dei recettori anomali, oppure si ha la selezione di cloni cellulari recettori

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ormono-indipendenti. Inoltre si ricorre a terapia ormonale inibente con inibitori dell’enzima

aromatasi (formestano, examestano, anastrozolo, letrozolo) e con agonisti LH-RH (leuprolide) per

avere il blocco estrogenico totale.

La scelta della terapia ormonale dipende da alcuni fattori:

- espressione dei recettori ormonali (≥ 10 Fmol/l).

- donne in post-menopausa: sono più sensibili alla terapia ormonale, anche se ci sono delle pz con

recettori ormonali positivi non responders e pz con recettori ormonali negativi responders.

- intervallo libero da malattia: pz con recettori ormonali + (R+) hanno una neoplasia più

differenziata e meno aggressiva, a lenta evoluzione, per cui hanno un lungo intervallo libero da

malattia, con possibilità di agire con la terapia ormonale, mentre un intervallo libero da malattia

breve indica una neoplasia più aggressiva, con recettori ormonali – (R-) o scarsamente +, per cui si

ricorre alla chemioterapia.

- trattamenti precedenti: se la pz è già stata trattata con la terapia ormonale e non ha risposto, è

inutile passare ad una terapia ormonale più forte o diversa.

- metastasi ossee, tessuti molli, polmone ed epatiche dopo un lungo intervallo libero da malattia.

Il Follow-Up post-terapia medico-chirurgica si basa sull’esame clinico e mammografia,

raramente Ecografia epatica, TC addome, Scintigrafia ossea, Markers tumorali sierici.

Addome Acuto

Per ADDOME ACUTO si intende una sindrome addominale a rapida insorgenza dominata da

dolore addominale acuto che spesso richiede un trattamento di chirurgia d’urgenza.

Le Cause sono:

perforazioni viscerali: ulcera peptica, colecistite acuta, diverticolite acuta, appendicite acuta,

pancreatite acuta, occlusione intestinale, ischemia intestinale, traumi chiusi, aperti, iatrogeni,

emoperitoneo da gravidanza ectopica, rottura aneurisma aortico, rottura splenica o epatica,

patologie ginecologiche (rottura di gravidanza ectopica, salpingite acuta, torsione di una cisti

ovarica, rottura di una cisti endometriosica).

addome acuto non chirurgico:

─ cause endoaddominali: infezioni virali o batteriche intestinali, epatite acuta, colica biliare,

colica renale, pielonefrite acuta, cistite acuta.

─ toraciche: IMA, pericardite acuta, embolia polmonare.

─ metaboliche: diabete mellito scompensato o chetoacidosi diabetica, uremia, porfiria acuta

intermittente, intossicazione da piombo, allergie.

─ nervose: herpes zoster addominale, tumori o traumi vertebro-midollari.

In presenza di un pz con dolore addominale acuto spesso non c’è molto tempo da perdere per le

indagini di laboratorio e strumentali, nella maggior parte dei casi la diagnosi avviene solo in

sala operatoria, bisogna intervenire tempestivamente per salvare la vita del pz.

La Diagnosi prevede:

Esame Obiettivo:

─ dolore intenso ad insorgenza acuta, sede e irradiazione, effetti del dolore sulla respirazione,

alimentazione, defecazione, variazione del dolore con il decubito, movimento o posizione

seduta.

─ nausea, vomito, alterazioni dell’alvo con diarrea, stipsi, chiusura dell’alvo a feci e gas.

─ presenza di febbre preceduta o meno da brividi (sepsi).

─ valutare la facies, posizione o decubito assunto dal pz.

─ segni vitali: respiro, polso, P arteriosa, T°C.

─ esame fisico del torace: segni di flogosi.

─ Esame fisico dell’addome: cicatrici, peristalsi visibile, zone erniarie..., presenza di

contratture di difesa localizzata o diffusa alla palpazione superficiale, segno di Rovsing, segno

di Blumberg, segno di Murphy... Alla Percussione si valuta la scomparsa dell’aia di ottusità

epatica (pneumoperitoneo con versamento libero da valutare con Rx diretto addome con falce aerea

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sottodiaframmatica, presenza di livelli idro-aerei intestinali). All’Auscultazione si valuta la

peristalsi in caso di sospetto di occlusione intestinale.

─ esplorazione digito-rettale e vaginale: utile in caso di flogosi pelvica con dolore.

Indagini di Laboratorio: esame emocromocitometrico con formula leucocitaria, HCT, elettroliti,

amilasi, esame urine...

Indagini Strumentali: Rx standard addome, Ecografia addominale, TAC, angiografia

(emorragie), Laparoscopia esplorativa.