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DIRITTO INTERNAZIONALE-Attila Tanzi

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PARTE PRIMAIL DIRITTO NELLA SOCIETA’ INTERNAZIONALE

1. INTRODUZIONE1.1. SUL DIRITTO INTERNAZIONALE E LE SUE CONFIGURAZIONINella sua configurazione moderna(intorno al 600) viene inteso come l’insieme delle regole giuridiche che riguardano i rapporti tra gli Stati e tra questi e le organizzazioni intergovernative. La maggior parte delle regole internazionali di condotta operano all’interno degli Stati,nel senso che riguardano i rapporti tra lo Stato e le persone fisiche e giuridiche all’interno di esso(Trattamento degli stranieri);analoghe regole sono a tutela degli organi stranieri. Ciò che accumuna entrambe il carattere bilaterale del loro funzionamento,in quanto basate sullo stretto principio di reciprocità;vale a dire che lo Stato A tratterà i cittadini e gli organi dello Stato B nella misura in cui lo Stato B tutela i cittadini e gli organi dello Stato A. Dai primi del ‘900 si è avuto un allontanamento della figura dello straniero,per comprendere,dapprima l’individua in quanto parte di una minoranza nazionale,poi in quanto persona umana,indipendentemente dal rapporto di cittadinanza;aggiungendosi così alla categoria delle regole sul trattamento degli stranieri quella sui diritti dell’uomo. Tale definizione sostenuta ovvero il diritto internazionale come un insieme di regole giuridiche è opposta a quella sostenuta dalla Scuola di pensiero giuridico americana c.d. di New Haven che sostiene che il diritto internazionale sia un processo normativo senza soluzione di continuità,costituito dal succedersi delle decisioni normative delle forze prevalenti della comunità internazionale. La distanza tra i due orientamenti(da un lato destabilizzante circa la prevedibilità della vigenza di regole giuridiche) dipenderà da quanto dinamica o rigida è la visione relativa alle modalità giuridico-formali del ricambio delle regole. E’ sufficiente constatare nella realtà sociale internazionale il generale riconoscimento dell’esistenza di un quadro concettuale e pratico entro il quale si svolge la dialettica per la formazione,la trasformazione,il ricambio,l’accertamento e l’esecuzione di regole di comportamento tra Stati ritenute di natura giuridica. Si tratterà quindi di un introduzione alle regole internazionali primariamente di tipo strutturale e procedurale,di organizzazione,e sulla produzione,mentre i contenuti delle regole di condotta,c.d. materiali o sostanziali che ne sono il risultato emergeranno a scopo esemplificativo.

1.1.1. …IN PROSPETTIVA STORICALa nascita del diritto internazionale va ricondotta all’epoca della nascita degli Stati nazionali,comunemente identificata con la fine della Guerra dei Trent’Anni,sancita dalla Pace di Westfalia nel 1648. Segnano al fine di una distribuzione gerarchica del potere(Impero o Papato) si è consolidato uno scenario di distribuzione del potere tra una pluralità di aggregati umani la cui sovranità nazionale non ammetteva autorità ad essi superiore. Il c.d. modello westfaliano della comunità internazionale non è una teoria delle relazioni internazionali,ma un espressione indicativa di una situazione di fatto di distribuzione pluralistica del potere sulla scena internazionale,o meglio europea,in una prospettiva eurocentrica del diritto internazionale;un diritto internazionale moderno basato sul principio della sovrana eguaglianza degli Stati e dotato delle caratteristiche di orizzontalità,o bilateralità,e scarsa istituzionalizzazione. Si può arrivare a sostenere che lo stesso Impero romano abbia prodotto un modello di diritto internazionale, di tipo egemonico e gerarchizzato,ma per quanto il modello westfaliano sia giustapposto a quello gerarchico-imperiale(o papale),larga parte dei principi di diritto internazionale materiale siano tutt’oggi ispirati a principi di diritto romano. Una delle regole base di tale costituzione materiale è costituita dal principio dell’eguaglianza sovrana tra comunità statali(anche se è da osservare che alcuni Stati sono più eguali di altri-vedi processo plurisecolare di colonizzazione). L’omogeneità di valori e modelli tra le potenze europee che hanno costruito il diritto internazionale moderno si è infranta durante la Prima Guerra Mondiale con la rivoluzione russa del 1917,introducendo una nuova forma di governo nazionale ed un modello di rapporti economici che negavano il diritto di proprietà privata e il libero commercio tra privati. Questo approccio giuspositivistico e ipervolontaristico(violando le

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tradizionali regole consuetudinarie sul trattamento degli stranieri e dei loro beni) bene si adattava all’atteggiamento ideologico del nuovo attore sovietico sulla scena internazionale(non condividendo tali regole). Rottura dei contenuti delle regole della società internazionale,sia di quelle materiali che di quelle sulla produzione,venne alimentata ulteriormente dall’avvento dei regimi nazifascisti. Durane lo svolgimento del II conflitto mondiale emerse la visione di un nuovo ordine internazionale di tipo universalistico basato sul principio della legalità e della eguaglianza sovrana degli Stati. Nell’agosto del 1941 F.D.Roosvelt e Winston Churchill suggellarono le linee fondanti di tale visione nella Carta Atlantica, e si articolavano: a)divieto dell’uso della forza, b)protezione e promozione dei diritti dell’uomo,liberalizzazione degli scambi commerciali e protezione degli investimenti stranieri. Tale visione rilanciava su scala mondiale il modello eurocentrico e multilaterali stico westfaliano aggiornando l’introduzione al divieto della forza e al perseguimento del faticoso tentativo di istituzionalizzare la gestione sovranazionale della funzione di polizia internazionale. Visione poi codificata nella Carta dell’Organizzazione delle Nazioni Unite nel 1945 dai 51 Stati fondatori. Tale omogeneità politica sostanzialmente antinazista si infranse con l’insorgere del bipolarismo e della Guerra Fredda. Un modello eurocentrico imposto sulla scena mondiale dai Paesi Occidentali dove d’altro canto l’Unione Sovietica e i paesi del c.d. socialismo reale assumevano una posizione di retroguardia ai margini di tale scenario conducendo sia rapporti finanziari con l’Occidente ma anche foraggiando molte istanze nazionali con la proliferazione degli Stati emergenti dal processo di decolonizzazione. Tale nuovo assetto di potere internazionale ,la questione del Terzo Mondo e gli stati Non-Allineati, fece scaturire una sorta di processo di rinegoziazione del diritto internazionale al fine di ritrascrivere il diritto consuetudinario(convenzioni di codificazione-confermati i fondamenti tradizionali del diritto internazionale,come il diritto diplomatico consolare e,soprattutto,il diritto dei Trattati). Il contrasto avente rilevo giuridico-internazionale tra il gruppo dei paesi industrializzati da un lato e quello dei paesi del Terzo Mondo e dei paesi Socialisti dall’altro riguardava in particolare(fu unanime la dichiarazione contro l’uso della forza) i rapporti economici e la regolamentazione giuridica internazionale degli stessi. Le delegazioni dei paesi del Terzo Mondo cercarono di instaurare un c.d. nuovo ordine economico internazionale. Questo doveva essere fondato sulla priorità del principio della sovranità permanente degli Stati sulle proprie risorse naturali e del diritto per gli Stati di regolamentare autonomamente le attività economiche sul proprio territorio,compresi i soggetti stranieri e le multinazionali. Uno dei punti maggiormente controversi di tale negoziato riguardava la tradizionale regola consuetudinaria sull’intangibilità della proprietà privata ed in generale dei diritti economici di privati stranieri. Un atto di espropriazione sarebbe risultato così un illecito internazionale ;da ciò l’obbligo di risarcimento pari al valore del bene(damnum emergens) e al mancato guadagno(lucrum cessans). Al fronte del disconoscimento di tale consuetudine,adducendo l’autodeterminazione economica,si introdussero la liceità di misure statali privative di diritti economici straneri( era previsto un indennizzo che di regola non arrivava alla metà del valore risarcitorio).Questa incertezza giuridica sugli investimenti stranieri scoraggio in quegli anni il movimento internazionale di capitali per investimenti diretti. Con la caduta del Muro di Berlino la posizione di numerosi paesi in via di sviluppo mutata,trasformandosi in un atteggiamento concorrenziali nell’attrarre investimenti stranieri. La recente giurisprudenza arbitrale internazionale ,anche nei casi in cui ha sostenuto l’ammissibilità di provvedimenti espropriativi ,ne ha condizionato la liceità alla corresponsione di un indennizzo la cui valutazione viene fatta coincidere con i criteri tradizionali di determinazione del risarcimento per fatto illecito. Un nuovo approccio comune è comunque nato, dalla fine della seconda guerra mondiale ,nella società internazionale sulla tutela di interessi collettivi di portata superiore rispetto a quelli individuali di tipo contrattualistico e quindi indivisibili.

1.1.2. …NELLA PROSPETTIVA EVOLUTIVA CONTEMPORANEASotto il profilo della regolamentazione dei rapporti economici internazionali, mentre nei primi anni ’90 proseguiva l’ampliamento del quadro giuridico della liberalizzazione del commercio

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internazionale con la trasformazione del GATT(general agreement on tariffs and trade)in WTO (world trade organization) e l’ingresso nella stessa organizzazione la Cina,nel 1994,,si segnala il fallimento dei negoziati MAI(multilateral investment agreement)per una regolamentazione generale degli investimenti stranieri. L’accantonamento poi nel paesi del Sud del mondo all’instaurazione di un nuovo ordine economico internazionale e l’adattamento delle loro economie al liberismo interno non ha ad oggi comportato una significativa ridistribuzione della ricchezza su scala mondiale,se non alimentando il divario tra Nord e Sud ,e nei paesi del Sud del mondo tra le classi dirigenti e il resto della popolazione. E’ anche in quest’ottica post colonialista che può essere letta la conflittualità di questi anni nei Paesi islamici tra governi moderati e movimenti integralisti. Le condizioni di povertà spingono i leader non governativi a sostituire i valori ideologici marxisti con quelli religiosi in termini massimalistici e rivoluzionari contro i governo moderati ed anche in chiave anti occidentale. Le proporzioni dell’attacco del 11 settembre 2001 , l’autolegittimazione morale contra legem conseguente all’invasione dell’Afghanistan ma culminata con l’invasione anglo-americana in Iraq del 2003 ha riportato ad un rinnovato unilateralismo; Autolegittimazione che potrà essere usata ad esempio da recenti potenze che stanno emergendo all’interno della comunità internazionale,sia a livello militare che economico finanziario. Vi è peraltro l’ipotesi secondo cui gli Stati Uniti potrebbero perseguire una sostituzione meramente cosmetica di una forma di egemonismo unilateralistico con un metodo che stato definito di egemonismo multilateralistico. L’ONU,indipendentemente dal funzionamento dei suoi poteri coercitivi,e in ragione della universalità della sua composizione e delle materie oggetto delle sue competenze,appare come foro principale nel quale cercare di ritrovare per il diritto internazionale la sua funzione di linguaggio condiviso non solo e non tanto tra rappresentanti di Stati tradizionalmente intesi ,ma tra rappresentanti tra diverse civiltà etnico-religiose.Un diritto internazionale considerato non solo come un insieme di regole di comportamenti che forniscono la soluzioni a problemi e contenziosi,ma anche come regole e codici di comunicazione e dialogo tra i rappresentanti degli Stati e delle civiltà e culture da essi,a loro volta, rappresentati. Un dibattito sicuramente più lungo e tortuoso rispetto a quello passato che ha coinvolto il pensiero liberale e l’ideologia comunista,sia per quanto riguarda gli attori coinvolti ,sia per la profonda radicalizzazione dei valori culturali che da millenni si vedono in conflitto .

1.1.3. DIRITTO INTERNAZIONALE E DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATOIl diritto internazionale non va confuso con il c.d. diritto internazionale privato. Ogni ordinamento giuridico nazionale ha le proprie regole di diritto internazionale privato,c.d. di conflitto o di rinvio,aventi natura strumentale. Esse ,infatti, servono ad indicare al giudice nazionale,investito di una controversia civile che abbia il carattere di estraneità(o internazionalità)rispetto al proprio ordinamento,un criterio per individuare la legge materiale-straniera o interna- da applicare alla controversia stessa. Analogamente le regole di diritto internazionale privato processuale sono quelle –anch’esse di carattere interno - che determinano la giurisdizione del giudice nazionale competente a conoscere e decidere di controversie aventi carattere di estraneità( a conferma del carattere interno si segala che le regole di diritto internazionale privato ,già contenute nel codice civile, sono state oggetto di riforma con la legge n.218 del 1995. Con le convenzioni di diritto internazionale privato e processuale si mira ,parallelamente,ad uniformare tale legislazione tra gli Stati. LE disposizioni contenute in tali convenzioni differiscono ,quanto ad oggetto, dalle c.d. convenzioni internazionali di diritto materiale uniforme. Queste ultime contengono le norme materiali volte a regolare direttamente,ed in modo uniforme,fattispecie aventi carattere di estraneità in specifici settori,senza sottoproli al meccanismo di rinvio da un ordinamento all’altro previsto dalle norme di diritto internazionale privato(un esempio viene dalla c.d. comunitarizzazione del diritto internazionale privato e processuale tra i Paesi membri dell’Unione Europea,essendo una potestà normativa di competenza ,in seguito al Trattato di Amsterdam del 1999,dell’Unione Europea_regolamento 44/2001 sulla competenza giurisdizionale,il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale)

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1.2. CHI USA E DEVE CONOSCERE IL DIRITTO INTERNAZIONALEA seguito della intervenuta comunitarizzazione e favorita dalla sempre più profonda globalizzazione ne è derivato un coinvolgimento sempre più crescente di attori sociali,governativi e non ad attività di tipo internazionalistico. Inizialmente ambito di lavoro del Ministero degl’Esteri ,nel nuovo secolo sempre più dicasteri ed apparati amministrativi accedono ed usufruiscono di tale competenza,spesso contribuendo all’elaborazione di nuove regole giuridiche internazionali,anche in riguardo all’attuazione delle decisioni internazionali a livello nazionale.

1.3. AFFINITA’ E DIFFERENZE TRA ORDINAMENTO INTERNAZIONALE ED INTERNOIn primo luogo manca nella società internazionale un foro legislativo di natura rappresentativa che adotti regole obbligatorie per tutti i membri della società internazionale,anche per quelli che non hanno partecipato al processo di formazione delle stesse,come avviene negli ordinamenti nazionali. In secondo luogo la funzione giudiziale internazionale non ha natura obbligatoria,ma può essere attività solo con il consenso di tutte le parti della controversia. In terzo luogo non vi sono organi di polizia internazionale indipendenti dagli Stati che possano esercitare funzioni coercitive o sanzionatorie.

1.4. INDICAZIONI PROGRAMMATICHELe parti del presente trattato saranno dedicate alle tre funzioni fondamentali dell’ordinamento giuridico;formazione,accertamento ed esecuzione forzata del diritto.

2. DIRITTO E CONTESTO SOCIALE2.1. LA POLITICA DEL DIRITTOLo studio del diritto internazionale deve rivolgersi al funzionamento del fenomeno giuridico nel contesto dei rispettivi sistemi sociali tenendo conto delle realtà sociali, politiche ed economiche esistenti al loro interno in una prospettiva principalmente storica(osservazione che prescinde dall’ottica giuridico centrica della realtà sociale,secondo la quale quando un atto o un fatto del reale sono contemplati o disciplinati da una regola giuridica,un fenomeno ad essi attinenti che non rientri direttamente nell’astratta valutazione della regola in questione non è rilevante ai fini dell’applicazione e quindi del funzionamento della regola stessa)

2.2. STUDIO DEL DIRITTO E ALTRE SCIENZE SOCIALIAlla luce di ciò un adeguato studio del diritto internazionale dovrà seguire un approccio multidisciplinare. Nel pensiero giuridico moderno la concezione storico-sociale del diritto non si limita a individuare nella società l’origine del diritto ,ma prevede altresì che il fenomeno giuridico possa essere rilevato esclusivamente nell’osservazione della società(e delle sue scienze).

2.3. IL CONTESTO SOCIALE DI RIFERIMENTO DEL DIRITTO INTERNAZIONALESi intende per dimensione macrosociale quella che si caratterizza nei rapporti tra i singoli soggetti e la collettività del corpo sociale cui essi appartengono, o soggetti che la rappresentano,mentre per dimensione micro sociale s’intende quella che si identifica nei rapporti tra i singoli soggetti o gruppi di essi. Nel caso del diritto internazionale tradizionalmente basato su rapporti di tipo contrattuale (do ut des),la dimensione di tipo micro sociale è prevalente. Va comunque osservato che le regole materiali relative all’evoluzione normativa degli ultimi cinquant’anni verso la protezione di interessi collettivi e indivisibili della Comunità Internazionale tendono ad instaurare rapporti di tipo macro sociale,peraltro incompleti in assenza di compiute regole per l’accertamento e l’esecuzione sovranazionale delle regole materiali in questione.

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3. LE REGOLE GIURIDICHE TRA NORMATIVITA’ E TERMINI DI RIFERIMENTO DI INTERAZIONI SOCIALI

Sono ora da attenuare alcuni preconcetti. Il primo di questi è stato individuato nella c.d. visione giuridicocentrica della realtà. In primo luogo si intende per tale visione quella per cui è irrilevante ogni fenomeno che,pur attinente ad un atto o un fatto della regola giuridica,non sia direttamente contemplato esso stesso dalla regola in questione o da altra regola appartenente all’ordinamento. In secondo luogo se un fatto della realtà,la c.d. fattispecie,che abbia natura controversa rientra nella sfera di applicazione di una o più regole giuridiche,esso deve essere valutato e risolto assolutamente ed esclusivamente in base ai precetti contenuti nella regola o nelle regole in questione(con probabile erosione dell’efficacia). Di qui l’importanza della sanzione come strumento coattivo di garanzia di efficacia della regola giuridica e il carattere meramente precettivo e di comando della regola stessa. Si ritiene che il verificarsi di un ipotesi di norma controversa o ambigua,nel senso dell’evoluzione di una situazioni in termini difformi della regola giuridica ,potrebbe,infatti,non comportare necessariamente un caso di disapplicazione della regola stessa,ma incidere sullo svolgimento della situazione in parola per l’uso negoziale che di essa viene fatto dai soggetti interessati(in ambito privato l’esempio classico il fenomeno della transazione). Dalla figura della transazione si ricava la considerazione che,anche se le situazioni e i comportamenti si evolvono discostandosi dai precetti giuridici rilevanti previsti in astratto,ciò non significa che la regola giuridica che li contiene non sia stata utilizzata. La rilevanza di valutazioni che in un ottica formalistica hanno natura metagiuridica è generalmente maggiore quanto più intensi sono i rapporti tra i soggetti interessati,e quindi quanto più stretto sarà il contesto sociale o sub sociale nel quale essi si instaurano. In tale visione micro sociale maggiori saranno le possibilità che la regola giuridica rilevante assuma il valore di uno tra tanti termini di riferimento delle interazioni sociali in questione e non quello esclusivo. Nello studio del diritto internazionale infatti non si può prescindere dal sottolineare l’esiguità del numero dei soggetti del suo ordinamento e l’inevitabile interdipendenza tra gli stessi quale fattore di incidenza sulla gran parte dei rapporti contemplati da regole giuridiche. Da ciò si acquisisce consapevolezza riguardo al significato e le implicazioni relative alla scarsa istituzionalizzazione delle tre funzioni dell’ordinamento giuridico internazionale(norme come termine di riferimento,come linguaggio di interazione sociale).

4. RELATIVITA’ E DIALETTICA DELLE INTERPRETAZIONI DELLE REGOLE GIURIDICHE

4.1. LA CERTEZZA DEL DIRITTOUn altro approccio giuridicocentrico che pare utile attenuare è quella secondo cui il diritto debba essere studiato per essere interpretato e fatto interpretare ed applicare dal giudice,in modo assolutamente univoco ed oggettivo. L’assunto che si intende attenuare è quello secondo cui tra gli elementi costitutivo di un ordinamento giuridico si dovrebbe annoverare assolutezza,oggettività,univocità e quindi certezza del diritto. In assenza di un sistema giudiziario obbligatorio universale nell’ordinamento internazionale,si verrebbe ad aggiungere un ulteriore tessera del mosaico della tesi della pretesa scarsa giuridicità,inefficacia,incertezza e ,quindi,scarsa utilità del diritto internazionale,in contrasto con la presunta certezza ed effettività degli ordinamenti interni.

4.2. LE INTERPRETAZIONI DEGLI INTERESSATI NELLA GESTIONE NEGOZIALE DELLE CONTROVERSIE

Dall’osservazione del reale si ricava che l’interpretazione che risulta affermarsi nel termine di un processo di soluzione di una controversia è generalmente diversa da quelle fatte valere inizialmente da ciascuna delle parti. Ciò conforme al carattere contraddittorio e dialettico del processo sociale e,quindi,di quello giuridico. E’ indicativo nei testi di diritto internazionale del tema della soluzione negoziale delle controversie(vero e proprio istituto di diritto)al primo posto tra i mezzi di soluzione pacifica delle controversie dell’art 33 della Carta delle Nazioni Unite. Va altresì tenuto conto che

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l’interpretazione della regola può variare anche nell’ambito di una stessa parte,quando si tratta di un attore complesso,come uno Stato o una persona giuridica di diritto interno. Diversità interpretative potranno dipendere anche in relazione ai diversi contesti in cui l’interpretazione viene fatta valere. Vi è poi da considerare l’ipotesi in cui deliberatamente non viene fatta valere una regola ,pur quando contempli interessi alla parte rinunciante,per vantaggi alternativi. Si è rilevato che in ambedue gli ordinamenti(interno e internazionale) la dimensione extragiudiziale convive accanto a quella giudiziale,e non per forza la secondo dimensione nell’ordinamento internazionale abbia una rilevanza prevalente.

4.3. RELATIVITA’ E IMPREVEDIBILITA’ DELL’APPLICAZIONE GIUDIZIALE DEL DIRITTO

L’applicazione da parte del giudice difficilmente può essere assolutamente oggettiva e quindi perfettamente prevedibile,soprattutto nel caso in cui la regola controversa sia caratterizzata da ampi margini di generalità ed imprecisione,spesso frutto di un compromesso tra divergenti interessi implicati al processo di produzione(frequente nell’ambito internazionale e di common law in relazione alle norme consuetudinarie). La scelta interpretativa che ne deriva comporta inevitabilmente un funzione in parte legislativa da parte del giudice.

4.4. RELATIVITA’ INTERTEMPORALE DEL DIRITTOAlla relatività delle regole giuridiche in una prospettiva contemporanea(sincronica) si aggiunge quella in prospettiva storica(diacronica). Da simili evoluzioni può ben giustificare una mutazione nel tempo delle interpretazioni del medesimo testo normativo anche in ordine ad analoghe fattispecie. Da ciò emerge che i c.d. principi della certezza del diritto e della prevedibilità(predictability) delle soluzioni giuridiche relative ai rapporti sociali contemplati dal diritto non sono e non possono essere elementi essenziali dell’ordinamento giuridico,ma costituiscono finalità -in termini di aspirazioni- essenziali dell’ordinamento,sia interno che internazionale.

5. SUL PROCESSO DI FORMAZIONE DELLE REGOLEVi la diffusa tendenza ad enfatizzare la natura politica del processo di produzione del diritto internazionale e si trascura in sostanza come tale procedimento costituisce un momento di mediazione tra forze sociali e rappresentanti di interessi divergenti. Il risultato di tale processo produrrà regole che potranno essere,o poco chiare perché frutto di compromessi difficili,o chiare nel testo ma rappresentative esclusivamente degli interessi del gruppo di maggioranza. Tale situazioni,piuttosto che una concezione teorica del fenomeno giuridico,comporteranno inevitabilmente una accentuazione della funzione normativa dell’interprete,e quindi del giudice, con conseguenti possibili situazioni di conflittualità tra legislatore e potere giudiziario(maggiori i margini di incertezza nel sistema internazionale per l’assenza di un generalizzato sistema di giurisdizione obbligatoria).

6. SULL’EFFETTIVITA’ DELLE REGOLE TRA OSSERVANZA SPONTANEA E ADEMPIMENTO FORZATO

6.1. SANZIONE E GIURIDICITA’ DELLE REGOLEIl convincimento più diffuso è quello della natura coercitiva dell’ordinamento giuridico. Tuttavia sarebbe errato sostenere che la regola giuridica operi efficacemente venendo rispettata esclusivamente in ragione dell’esistenza e del funzionamento di meccanismi sanzionatori;l’indicatore principale dell’effettività di un sistema i regole giuridiche è costituito dal tasso di osservanza spontanea delle stesse. Sarà alto se la regola rifletterà il comune denominatore tra gli interessi concreti e/o i valori culturali ed etici diversamente avvertiti dalle diverse componenti sociali. Inevitabilmente il tasso di osservanza sarà basso nei momenti di maggiori divergenze tra le componenti sociali.

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6.2. LA SANZIONE SOCIALENei casi in cui la regola giuridica rifletta in modo adeguato i valori diffusi nell’ambito sociale che la esprime(c.d. idem sentire) ,l’osservanza spontanea opera sotto almeno un duplice aspetto. Da un lato opera in modo diretto per il soggetto che continua a condividere i valori tutelati dalla regola. Dall’altro l’osservanza spontanea opererà in modo indiretto per quel soggetto che, pur attratto dalla violazione della regola, se ne astenga per evitare gli svantaggi di natura metagiuridica che potrebbero derivare dalla violazione. Tale sanzione sociale si può concretare in forme di emarginazione o penalizzazione nell’ambito sociale in cui opera il soggetto in questione. Se ci si sofferma sull’importanza della sanzione sociale,il fatto che la violazione di regole giuridiche possano non essere giuridicamente sanzionata in modo effettivo non comporta automaticamente un erosione dell’efficacia delle regole violate. Si tratterà di verificare la reazione sociale alla violazione. Se poi la scarsa reazione sociale rivela elementi di erosione dell’efficacia giuridica della regola violata ,tale eventualità può fornire un impulso al processo di ricambio della regola stessa.

7. CONCLUSIONISi ritiene che tali considerazioni si applichino comunemente sia all’ordinamento interno che internazionale,senza disconoscere con questo le importanti differenze strutturali tra gli stessi. Tra le valutazioni valide rispetto ad ambedue i tipi di ordinamento va sottolineata quella secondo cui la c.d. certezza del diritto e la prevedibilità delle soluzioni giuridiche rappresentano delle aspirazioni fondamentali tra quelle che la società si prefiggono nel momento in cui si danno un ordinamento giuridico.

PARTE SECONDALA FORMAZIONE E LA TRASFORMAZIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE

1. INTRODUZIONE: L’ASSENZA DI UN LEGISLATORE INTERNAZIONALEAllo stato attuale non esiste un organo internazionale permanente dotato di potere di adozione di regole giuridiche obbligatorie per tutti i soggetti secondo la regola della maggioranza. Infatti il procedimento di formazione delle regole scaturisce dalla partecipazione di tutti i soggetti destinatari delle stesse,diretta,nel caso degli accordi internazionali,o indiretta,nel caso della consuetudine. L’Assemblea generale delle Nazioni Unite è solo indirettamente foro di elaborazione di regole internazionali,realizzandosi attraverso le due tradizionali fonti principali del diritto internazionale:la consuetudine e i trattati. Con riferimento alla consuetudine,va evidenziato che gli atti tipici dell’Assemblea generale sono costituiti da risoluzioni che,in quanto tali ,non hanno valore giuridicamente vincolante. Essi hanno natura di semplice raccomandazioni,ai sensi dell’art 10 della Carta delle Nazioni Unite(elemento per il consolidamento,per la rilevazione e lo stimolo). Le risoluzioni dell’Assemblea generale possono essere indicative della c.d. opinio iuris sive necessitatis. Si tratterebbe del convincimento degli Stati che hanno contribuito all’adozione della risoluzione che una determinata condotta o certi principi raccomandati siano giuridicamente obbligatori(opinio iuris),o che sia necessario che lo divengano(sive necessitatis). Essendo la opinio iuris ritenuta tutt’oggi uno dei due elementi costitutivi della consuetudine –insieme alla prassi internazionale- l’adozione di una risoluzione che non sia accompagnata da una diffusa pratica degli Stati non può essere considerata dimostrativa o costitutiva di una consuetudine internazionale. Questo contraddice la tesi della c.d. consuetudine istantanea,secondo cui l’adozione di risoluzioni dell’Assemblea generale dell’ONU comporterebbe la formazione immediata di consuetudini,anche in assenza di prassi e spesso in conflitto con altre consuetudini a scapito dell’efficacia giuridica universale di tali regole(avrebbe favorito gli schieramenti dei Paesi di nuova formazione del Terzo Mondo che con la fine del processo di colonizzazione hanno acquistato una maggioranza in Assemblea generale). Neppure sotto il profilo del diritto dei trattati l’Assemblea generale può essere ricondotta ad un ruolo legislativo di tipo parlamentare. Anche in questa prospettiva è determinante la natura di raccomandazione degli atti tipici dell’Assemblea(risoluzione diversa dai trattati

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internazionali);va negata la presunzione che i rappresentanti governativi in Assemblea generale esprimano la volontà dei propri governi ad impegnarsi a rispettare i contenuti di una risoluzione alla stregua di un trattato internazionale. In primo luogo conduce a tale conclusione il semplice valore di raccomandazione delle risoluzioni dell’Assemblea ai sensi dell’art 10 della Carta delle Nazioni Unite. Inoltre la prassi degli Stati dimostra che essi non si ritengano vincolati a una risoluzione dell’assemblea generale alla stregua di un trattato internazionale solo per aver votato a favore dell’adozione.

2. LA SOCIETA’ INTERNAZIONALE MODERNA TRA UNIVERSALISMO E CONSENSUALISMO

2.1. L’Art. 38 DELLO STATUTO DELLA CORTE INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIASi è soliti iniziare la trattazione sulle fonti del dritto internazionale facendo riferimento all’art.38 della corte internazionale di giustizia annesso alla Carta delle Nazioni Unite. Esso infatti annuncia le fonti delle regole giuridiche applicabili dalla corte nell’esercizio della propria attività giurisdizionale. La disposizione può aiutare ad individuare i procedimenti di formazione delle regole giuridiche internazionali e a comprendere il diverso ruolo delle c.d. fonti formali. Le fonti formali possono essere definite come quei procedimenti giuridico - istituzionale attraverso cui le regole internazionali acquistano validità e forza giuridica. Le convenzioni,la consuetudine e i principi generali di diritto(categoria della consuetudine) costituiscono le fonti formali del diritto internazionale. Essa però non fornisce indicazioni sui complessi rapporti di prevalenza tra le fonti del diritto e tra le regole materiali o di organizzazione da esse prodotte in una stessa materia. In particolare non rende la complessità e la diversità dei rapporti tra consuetudine e trattati.

2.2. IL DIRITTO CONSUETUDINARIO TRADIZIONALEDall’epoca seicentesca sino agli inizi del Novecento la fonte principale delle regole giuridiche internazionali è stata la consuetudine. Ciò trova spiegazione nella sostanziale omogeneità dei valori degli Stati europei. Ciò ha portato ad una trasposizione a livello internazionale dello jus publicum europaeum,consentendo un ordinamento internazionale costituito da una serie di regole giuridiche materiali di natura non scritta generalmente condivise(peraltro un numero limitato basate sul principio di reciprocità-es trattamento degli stranieri,dei cittadini e delle società straniere ecc). A tale aree di diritto materiale(regole di condotta intermini di obblighi di fare o non fare) si aggiungono regole,o principi generali,di carattere strumentale o interpretativo,che regolano la formazione,validità e interpretazione delle regole materiali. Si tratta di principi di derivazione romanistica,quali i principi pacta sunt servanda,della buona fede o della proporzionalità(elemento della reciprocità di fatto catalizzatore principale del processo di formazione delle regole consuetudinarie in questione). Attraverso la legittima aspettativa di comportamenti reciproci,il ripetersi di simili comportamenti e la consapevolezza condivisa dell’utilità e necessità che tali comportamenti divengano giuridicamente obbligatori(opinio necessitatis) si formano le regole giuridiche consuetudinarie. La reciprocità a fronte della violazione di una aspettativa giuridicamente fondata sulla consuetudine si configurerà come rappresaglia ,o contromisura specifica. D’altro canto i c.d. e le regole di cortesia sono costituiti esclusivamente da una aspettativa di fatto di comportamenti reciproci,in assenza di obbligatorietà giuridica. In questa prospettiva,la reciprocità nel caso in cui venga disattesa una aspettativa basata su una regola di cortesia assume la qualificazione di ritorsione,consistente in un comportamento in amichevole meramente lecito. La prevalenza per secoli del diritto consuetudinario si accompagnata a una relativa fiducia negli strumenti giudiziali per la soluzione di controversie internazionali,basati sul consenso delle parti,e quindi di natura arbitrale(cultura giuridica omogenea).

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2.3. IL DIRITTO PATTIZIO TRA FUNZIONE INTEGRATIVA E ALTERNATIVA RISPETTO AL DIRITTO CONSUETUDINARIO

La natura non scritta delle regole consuetudinarie e la tendenza ad un contenuto generale e scarsamente definito ha determinato una diffusa esigenza di consolidamento,chiarificazione e specificazione del diritto non scritto,concretizzata nella conclusione di trattati in tal senso,prevalentemente a livello bilaterale. Tali convenzioni si richiamano al diritto delle genti. Tra gli anni ’60 e ’80 si è quindi prodotta una evoluzione antinomica della società internazionale,da un lato,verso una conflittualità su scala globale anche in ordine ai contenuti delle regole fondamentali,dall’altro,verso la crescita di rapporti di cooperazione in ragione dell’incremento dell’interdipendenza. Con la caduta del Muro di Berlino questi aspetti hanno portato a una prevalenza del diritto internazionale pattizio, sia bilaterale che multilaterale.

2.3.1.LA CODIFICAZIONE PROGRESSIVA DEL DIRITTO INTERNAZIONALECon particolare riferimento al diritto pattizio multilaterale speciale rilevanza assumono le convenzioni di codificazione promosse nell’ambito delle Nazioni Unite sulla base dell’art 13 della Carta. A tale scopo l’Assemblea generale ha istituito la Commissione di diritto internazionale(34 membri eletti dall’Assemblea rappresentanti le diverse culture giuridiche della Comunità) c.d. CID. Su richiesta dell’Assemblea la CID svolge lavori di studio su determinate aree tematiche presentando poi progetti da dibattere all’interno dell’Assemblea. L’Assemblea può decidere di negoziare ed adottare il testo in forma di convenzione o in forme diverse dalla convenzione,quali dichiarazioni,codici di condotta,annessi ad una risoluzione. In quest’ultimo caso atti giuridicamente non vincolanti ma non privi di rilevanza giuridica.(es Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969). Il rapporto tra convenzioni di codificazione e consuetudine è stato affrontato in modo analitico e sistematico dalla Corte internazionale ;essa ha elaborato tre differenti ipotesi attraverso cui una regola convenzionale possa essere obbligatoria per uno Stato terzo rispetto alla convenzione che la contiene,in quanto coincidente con una regola consuetudinaria: a)quando la regola convenzionale ha svolto una funzione dichiaratoria e ricognitiva di una consuetudine preesistente; b)quando la regola convenzionale ha svolto una funzione di cristallizzazione di una consuetudine la cui formazione era in stato avanzato al momento dell’adozione del testo convenzionale; c)quando la regola convenzionale ha svolto una funzione di promozione e generatrice della formazione di una regola consuetudinaria,coagulando opinio iuris e prassi ad essa conformi anche da parte di Stati non contraenti della Convenzione. Va ricordato che l’incremento del diritto convenzionale legato al fatto che tra gl’anni ’60 e ’80 nell’Assemblea generale si è svolto un braccio di ferro sulla revisione negoziale della gran parte delle regole internazionali consuetudinarie,promosse maggiormente dai Paesi socialisti e del Terzo Mondo.

2.3.2.LA TESI DELLA CONSUETUDINE COME ACCORDO TACITOGli schieramenti socialisti e dei Paesi in via di sviluppo avevano persino sostenuto una tesi che disconosceva la consuetudine come vera e propria fonte di regole giuridiche internazionali(nonostante molte erano fondamentali per quei Paesi). A sostegno logico-giuridico di un approccio selettivo alle regole consuetudinarie preesistenti,la teoria giuridica e diplomatica di quei Paesi ha introdotto una qualificazione al rigetto della consuetudine come fonte del diritto internazionale,riconducendola nell’ambito degli accordi,come accordo tacito. Un tentativo ,massimamente giusvolontaristico,per dare un originale fondamento logico-giuridico all’accettazione di certe regole consuetudinarie e al rigetto di altre. Il professor Tunkin,uno dei maggiori pensatori giuridici sovietici,assimilava consuetudine e accordo attraverso la tesi secondo cui in ambedue i casi l’elemento costitutivo necessario sarebbe stato comunque il consenso degli Stati.

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2.4. RECENTI TENDENZE IN TEMA DI FONTIDalla metà degl’anni ’80 si è verificata un attenuazione delle divergenze nell’approccio teorico-diplomatico al diritto internazionale nei rapporti Est-Ovest. In tale contesto(perestrojka,caduta del Muro) è gradualmente riemersa nella società una rinnovata fiducia nel diritto consuetudinario e nella soluzione giurisdizionale delle controversie(esempio sull’invasione del Kuwait dall’Iraq). Attenuazione della conflittualità anche tra Nord e Sud è parsa riflettersi sulla formazione di regole internazionali a tutela di interessi generali più vicine sia a i cittadini che hai governi(Diritti dell’uomo e Ambiente). Ma lo sviluppo del diritto internazionale consuetudinario in termini oggettivistici –addirittura universalistici- si presto attenuato a causa dell’atteggiamento del Governo degli Stati Uniti nei riguardi del diritto internazionale. Riguardo all’accertamento del diritto infatti sin dal 1985 gli usa hanno ritirato la dichiarazione di accettazione unilaterale della giurisdizione della corte internazionale di giustizia(e accordi bilaterali sul divieto di trasferimento). Per quanto riguarda l’attuazione coercitiva del diritto ,nel maggio 1994 il Governo americano affossava le speranze di una funzione di polizia internazionale sotto l’egida delle Nazioni Unite,con conseguente e crescente separazione ,all’interno dell’Occidente,delle rispettive visioni circa il concetto di legalità internazionale. Principio che tra il 2001 e il 2003 gli Stati Uniti viderono addirittura come sfavorevole ai propri interessi,rimarcando ulteriormente una visione unilateralistica e giusvolontaristica del diritto internazionale. Un approccio giusvolontaristico tende a disconoscere la fonte consuetudinaria del diritto internazionale,a vantaggio di quella pattizia,fondata,appunto sulla volontà;costituendo così un attacco ipervolontaristico all’ordinamento giuridico internazionale nel suo insieme. Mentre la fase di disconoscimento della legalità esistente si basa su rivendicazioni di tipo ipervolontarista,secondo cui la semplice volontà contraria a un determinato ordinamento giuridico ne dovrebbe determinare l’abrogazione,la fase affermativa di una nuova legalità si fonda su argomentazioni che si possono definire di tipo ipergiusnaturalistico. Secondo questo approccio la pretesa nuova legalità si fonderebbe,non certo su regole prodotte attraverso fonti giuridiche disconosciute,bensì su un fondamento di pretesa legittimazione etica universalmente benefico per la comunità internazionale secondo un auto accertamento unilaterale.

2.4.1.COINCIDENZE TRA OPPOSTI: LA RETORICA GIUSNATURALISTICA E QUELLA GIUSPOSITIVISTICA

Dalle considerazioni si può desumere che quando la società internazionale trova un assetto relativamente omogeneo la fonte consuetudinaria ha maggiore rilevanza,mentre nei periodi di maggiori divisioni e conflittualità prevale la fonte pattizia. Secondo un inquadramento teorico-dottrinale,la prima tendenza risponderebbe ad un approccio di tipo giusnaturalistico,mentre la seconda ad un approccio giuspositivistico-volontarista. Da un lato la pretesa esistenza di regole corrispondenti al c.d. diritto naturale conduce a una concezione di tipo oggettivistico e universalistico delle regole internazionali(in quanto naturali vincolanti tutti i membri,indipendentemente dall’esplicito consenso). Dall’altro,il c.d. giuspositivismo volontari sta subordina l’esistenza e l’obbligatorietà di ogni regola giuridica alla volontà dello Stato. Per quanto l’orientamento giuspositivista possa apparire quello più aderente alla realpolitik non va trascurato quanto soggettivistica possa essere l’utilizzazione ideologica di argomenti basati sul diritto naturale. Nel processo di formazione e trasformazione delle regole la differenza tra gli approcci teorici poco incide nella sostanza delle efficacia giuridica della regola stessa. L’approccio oggettivistico e quello volontaristico costituiscono anche una utile chiave di lettura del modo di essere dell’ordinamento internazionale con riferimento al grado di disponibilità degli Stati di sottoporre al giudice internazionale la soluzione delle controversie e quindi l’accertamento del diritto (nell’esprimere tale consenso si manifesta implicitamente un approccio di tipo giusnaturalistico). Sotto il profilo delle fonti che qui rileva,anche quando il diritto applicabile alla controversia dovesse essere esclusivamente quello pattizio,difficilmente il giudice potrà astenersi dal fare riferimento a regole consuetudinarie o principi generali,quantomeno di natura interpretativa. La natura non scritta del diritto consuetudinario comporta che il giudice svolga una funzione in qualche misura creativa del

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diritto nell’accertamento e interpretazione delle regole applicabili. Ciò inevitabilmente trascende la volontà delle parti in lite. Le due opposte tendenze tendono sempre di più a convivere(come disse JIMENEZ DE ARECHAGA;Il diritto convenzionale e quello consuetudinario non esistono in comportamenti stagni e il processo di interazione tra le due fonti ha acquisito un importanza sempre maggiore.

3. FORMAZIONE DELLE CONSUETUDINI3.1. CENNI INTRODUTTIVITradizionalmente si ritiene che le regole consuetudinarie si formino sulla base di comportamenti degli Stati ripetuti nel tempo con una certa regolarità(diuturnitas) e del convincimento da parte degli stessi che tali comportamenti siano giuridicamente dovuti o che sia necessario che lo divengano(opinio iuris sive necessitatis). Il riferimento a brani della Corte (la prassi giurisprudenziale internazionale non è vincolante ma tenuta di non poco conto) da parte di rappresentanti di governo terzi rispetto alle parti della causa come termini di riferimento per dimostrare lo stato della consuetudine in una determinata materia è spesso un mezzo per dare fondamento alle proprie pretese e,allo stesso tempo, una manifestazione di opinio iuris che corrobora la formazione o il consolidamento di una consuetudine.

3.2. Un caso di scuola in tema di USO DELLA FORZA: LA SENTENZA NICARAGUA C. STATI UNITI

La sentenza della Corte internazionale di giustizia del 1986 nella causa tra Nicaragua e Stati Uniti circa le attività militari e paramilitari in e contro il Nicaragua costituisce un caso di scuola sotto diversi profili,in particolare per l’individuazione degli elementi costitutivi della consuetudine. La specialità della sentenza deriva principalmente dal fatto che in quel frangente la Corte fosse vincolata ad applicare esclusivamente il diritto consuetudinario in base alla dichiarazione unilaterale di accettazione della sua giurisdizione da parte degli Stati Uniti;in essa il Governo americano aveva però dichiarati di accettare su base di reciprocità di essere citato in giudizio escludendo le controversie che richiedessero l’interpretazione o applicazione di trattati multilaterali(di portata politica),salvo il caso in cui tutti gli Stati parti del trattato fossero parti anche della controversia. L’oggetto della controversia in esame era costituito dal divieto dell’uso della forza e dal diritto di legittima difesa,disciplinati ambedue nella Carta delle Nazioni Unite e in quella dell’Organizzazione degli Stati Americani. La Corte è giunta alla conclusione di aver giurisdizione sulla controversia sostenendo che le norme internazionali in tema di uso della forza,sebbene contenute nei trattati in parola,mantengono la propria identità normativa di regola consuetudinarie.

3.2.1. IN TEMA DI PRASSIOltre alla reiterazione del principio generale per cui la consuetudine va ricercata nei due elementi costitutivi della prassi e della opinio juris,la prima considerazione di carattere generale a cui si presta la sentenza riguarda il rapporto tra consuetudine e trattati. La Corte,in particolare,ha evidenziato come la prassi convenzionale –indipendentemente dal fatto che si tratti convenzioni di codificazione- può costituire un importante strumento per la rilevazione di consuetudini internazionali e per la definizione del loro contenuto. Il carattere non scritto di una determinata consuetudine si conferma in relazione alla sua autonomia rispetto a ciascun singolo elemento scritto di prassi e/o opinio juris. Il carattere scritto e argomentativo nell’indicare ciò che l’organo nazionale ritiene circa il contenuto di una determinata consuetudine internazionale,fa coincidere l’elemento di prassi con una manifestazione di opinio juris(analoga considerazione per le risoluzioni dell’Assemblea generale). Una seconda considerazione di carattere generale emerge dalla sentenza. La Corte non si accontenta di constatare una concorrenza di vedute,o addirittura,l’accordo tra le parti in lite circa il contenuto di determinate regole ritenute di carattere consuetudinario. Essa infatti ritiene necessario poter accertare l’esistenza di una prassi che sia conforme a una determinata opinio iuris,sottolineando il requisito che si tratti della prassi della generalità degli Stati,e non solo di quelli

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in lite,in linea con la definizione di consuetudine contenuta nell’art 38 dello Statuto della Corte. Inoltre,l’affermazione secondo cui “la Corte deve giungere alla conclusione che l’esistenza di una determinata regola secondo la opinio juris degli Stati sia confermata dalla prassi” è un chiaro rigetto alla teoria della c.d. consuetudine istantanea. La terza considerazione riguarda i requisiti affinché il comportamento degli Stati possa costituire elemento adeguato alla formazione di una consuetudine internazionale,con riguardo al grado di conformità della prassi rispetto ai contenuti di una pretesa consuetudine o,comunque,alla opinio juris circa la sua esistenza od opportunità della sua esistenza(opinio necessitatis);ovvero la uniformità della prassi stessa tra gli Stati. In numerose sentenze è stata poi attenuata la rigidità di questo orientamento circa un preteso requisito di uniformità della prassi. Nella sentenza Nicaragua c. Stati Uniti la Corte ha ribadito in termini ampi l’orientamento di flessibilità circa il requisito di uniformità della prassi. Ciò che conta è come essa si sia soffermata sul requisito della prassi in termini integrati rispetto al requisito della opinio juris. La corte ha sostenuto in sostanza che l’impatto negativo del comportamento di uno Stato difforme rispetto ad una consuetudine viene neutralizzato dalla manifestazione del convincimento giuridico,da parte di chi adotta il comportamento in questione, nel senso di ritenere di non violare la regola in parola,ma invocando una eccezione alla regola stessa. Questa statuizione assume particolare importanza poiché oggi la formazione di una nuova consuetudine spesso coincide con il mutamento di una consuetudine precedente nella stessa materia. La Corte perciò riconosce che dalla violazione di una regola possa scaturire un indebolimento della stessa tale addirittura da portare un cambiamento della stessa. Per questo la Corte ha ritenuto di dovere indicare che un comportamento di fatto in violazione di una regola,ma accompagnato dall’invocazione di una eccezione,costituisce una conferma della regola stessa(come le regole sulla tortura o sulla schiavitù).

3.2.2. IN TEMA DI OPINIO JURISTornando alla sentenza Nicaragua c. Stati Uniti la Corte dopo aver elaborato che ambedue le parti in lite riconoscevano il divieto dell’uso della forza contenuto nell’art 2 della Carta delle Nazioni Unite –a causa dei limiti giurisdizionali- si è indirizzata all’accertamento della natura consuetudinaria di tale divieto rivolgendosi alla rilevazione in termini generali della opinio juris in materia. Tale orientamento porta a una prima considerazione generale riguardante la rilevanza che la Corte attribuisce a strumenti internazionali in sé giuridicamente non vincolanti,con particolare riguardo alle risoluzioni dell’Assemblea generale. E’ stato altresì indicato come tali atti,in una prospettiva cumulativa,possano costituire elementi evidenziatori di una consuetudine esistente o strumentali alla formazione di una nuova consuetudine,come espressione della opinio juris degli Stati. Così come l’opinio juris costituisce un elemento necessario ma non sufficiente della consuetudine,così una o più risoluzioni dell’Assemblea generale,anche se espressione del convincimento giuridico della generalità dei membri dell’ONU possono essere evidenziatrici di una consuetudine internazionale solo quando accompagnate da un prassi internazionale ad esse conferme. La seconda considerazione generale che scaturisce è che gli strumenti non vincolanti, oltre a poter indicare l’opinio juris degli Stati circa l’essere o non essere di una determinata consuetudine,possono costituire termini di riferimento per l’accertamento del contenuto di tale consuetudine. Da ciò, ed enucleando dalla Dichiarazione sui principi del diritto internazionale concernenti le relazioni amichevoli e la cooperazione fra gli Stati un divieto consuetudinario di organizzazione ed incoraggiamento di forze irregolari o di bande armate al fine di incursione in territorio estero,la Corte è giunta a determinare la natura consuetudinaria della legittima difesa individuale e collettiva,salvo negare alla luce dei fatti controversi il diritto di legittima difesa collettiva da parte degli USA a favore di El Salvador e Honduras. La terza considerazione riguarda la rilevanza di altre statuizione autorevoli per la ricostruzione di una norma consuetudinaria. In particolare la Corte si è riferita ad un brano della CDI nel quale veniva indicato che il divieto dell’uso della forza ha valore di diritto imperativo(jus cogens),nel senso che tale regola consuetudinaria è inderogabile per cui ogni trattato con essa incompatibile sarebbe nullo(per esempio della rilevanza delle statuizioni della CDI in quanto espressione dell’aquis internazionale

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vedere pag 119-120 sul caso Ungheria - Slovacchia). Si conclude facendo presente che i testi della CDI possono essere considerati in una certa misura il risultato di una sintesi delle diverse opinio juris governative espresse dalle diverse delegazioni in Sesta Commissione dell’Assemblea generale.

3.2.3.CONSIDERAZIONI RIEPILOGATIVE ATTRAVERSO UN ULTERIORE CASO DI SCUOLA IN TEMA DI DIRITTI DELL’UOMO

Le indicazioni emerse trovano conferma nella sentenza della United States Court of appeals for the Second Circuit del 1980,nella causa Filartiga c. Pena-Irala ,pietra miliare nella giurisprudenza statunitense in materia di tutela dei diritti dell’uomo. L’azione promossa aveva ad oggetto il risarcimento per danni subiti dal fatto criminoso,ancorando la giurisdizione civile del giudice americano sulla base di un atto legislativo del 1789, l’Alien Tort Claims Act che recita quanto segue “Le corti distrettuali eserciteranno la propria giurisdizione in materia extra-contrattuale in risposta ad azioni civili da parte di cittadini stranieri solo quando le presunte violazioni siano anche in violazione del diritto delle genti o di un trattato cui gli Stati Uniti sono parte”. Tenendo conto che il diritto delle genti corrisponde al diritto internazionale consuetudinario e poiché gli attori avevano basato l’azione in giudizio sulla consuetudine,per determinare la propria giurisdizione il giudice americano ha dovuto accertare la natura consuetudinaria del divieto della tortura. In primo luogo il giudice americano,in termini analoghi alla sentenza Nicaragua,si è rivolto alle risoluzioni dell’Assemblea generale per desumere l’opinio juris generali degli Stati in materia(servite come termine di riferimento per la determinazione del contenuto della regola). In secondo luogo nel procedimento di accertamento della consuetudine e dei suoi contenuti,il giudice si è rivolto a una pluralità di trattati considerati ad un tempo come prassi convenzionale e manifestazione generalizzata del convincimento giuridico degli Stati. In terzo luogo viene usata la medesima flessibilità espressa nella sentenza Nicaragua sul requisito della conformità della prassi. Gli elementi di prassi in contrasto con la opinio juris,o con una consuetudine,non vengono considerai incidere in modo negativo sull’esistenza della regola, o sul suo processo di formazione,se il comportamento difforme è accompagnato dal riconoscimento di validità del principio violato o dalla negazione della violazione su argomenti di fatto.

3.3. I PRINCIPI GENERALI DI DIRITTOSeguendo le indicazioni che provengono dall’art 38 dello Statuto della Corte internazionale di giustizia, “i principi generali del diritto riconosciuti dalle nazioni civili” costituirebbe una fonte del diritto internazionale autonoma rispetto a consuetudine e trattati. In chiave contemporanea si ritiene che i principi generali vadano considerati come assorbiti nella categoria del diritto consuetudinario. Quanto al loro contenuto,essi s’identificano per la maggior parte con regole di supporto all’applicazione di regole internazionali materiali(o di condotta),anche di tipo interpretativo. In sostanza,proprio come nella formazione delle regole consuetudinarie,si ritiene necessario che un principio giuridico venga invocato ed applicato nei rapporti internazionali nella convinzione di invocare e applicare un principio di diritto internazionale(e non interno). La tesi dell’assimilazione dei principi generali del diritto alla consuetudine trova conferma nel linguaggio della giurisprudenza italiana in tema di rilevazione ed applicazione del diritto internazionale generale trasformato in diritto interno per il tramite 10 della Costituzione italiana. In ogni caso,la classificazione dei principi generali,ora nell’ambito della consuetudine,ora come fonte autonoma,non incide in concreto sul fatto che tali principi facciano parte del c.d. diritto positivo internazionale non scritto. Certamente tali regole aggiungono elementi di discrezionalità al ruolo del giudice in considerazione dell’ampiezza dei loro contenuti. Ne consegue che tutti i motivi di avversione rivolti nei diversi periodi storici a alcuni schieramenti della comunità contro la consuetudine,a maggior ragione,sono stati rivolti contro i principi generali del diritto.

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4. FORMAZIONE E VALIDITA’ DEI TRATTATI4.1. CENNI INTRODUTTIVIPacta sunt servanda è il brocardo esplicativo del fondamento del carattere vincolante dei trattati internazionali,tanto quanto dei contratti regolati dal diritto interno(coincidenza di gran parte delle regole relative alla validità,estinzione,interpretazione e applicazione di ambedue le categorie). In ambedue i casi l’elemento costitutivo essenziale è la volontà delle parti di acquisire i diritti e il consenso delle stesse ad assumere gli obblighi oggetto dell’accordo. Le regole generali di diritto consuetudinario che presiedono alla validità,estinzione,interpretazione e applicazione dei trattati internazionali sono state codificate nella Convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei trattati,trattato che costituirà il parametro di riferimento in considerazione del fatto che :a)la gran parte delle sue disposizioni erano ricognitive del diritto consuetudinario al momento della sua adozione e b)buona parte delle disposizioni che a quell’epoca potevano avere natura innovativa sono oggi sedimentate nel diritto consuetudinari o generale. Da un punto di vista giuridico non vi è differenza tra accordi,trattati,protocolli o scambi di note;le diverse etichette possono avere un diverso valore descrittivo ma non certamente normativo(confermato all’art 2 par 1 lett a della Convenzione di Vienna(l’espressione trattato identifica un accordo internazionale concluso fra Stati in forma scritta e governata dal diritto internazionale,sia se incorporato in un singolo strumento,sia se in due o più strumenti tra loro collegati,e qualunque sia la sua denominazione).

4.2. ADOZIONE, AUTENTICAZIONE DEL TESTO E FIRMAL’adozione di un testo convenzionale multilaterale non costituisce il momento di entrata in vigore dello stesso. L’adozione è un atto non vincolante per questo definito di soft law,alla stregua delle risoluzioni dell’Assemblea generale o dell’atto finale di una conferenza internazionale. Circa l’adozione di una convenzione l’art 9 della Convenzione di Vienna ne indica le procedure da seguire (maggioranza dei due terzi,specificando che la modalità può essere cambiata per decisione sempr edie due terzi). All’adozione non può essere attribuito alcun consenso che non sia quello sulla effettiva chiusura del negoziato su di un testo concordato come definitivo. Successivamente,quel testo sarà aperto alla firma in una sede e per un periodo stabiliti nel testo negoziato. Nei trattati bilaterali la chiusura del negoziato avviene con la firma,o la parafa tura(initialling),del testo in termini di autenticazione dello stesso. Un interpretazione sistematica della Convenzione di Vienna conferma quanto sostenuto circa il fatto che l’adozione non costituisce il momento di espressione degli Stati a vincolarsi ai contenuti ;in primis ciò si ricava dall’art 11 in cui vengono elencate i modi di espressione del consenso ad essere vincolati ad un trattato senza includere l’adozione,alla stessa conclusione si perviene dalla lettura dell’art 7. Quest’ultimo abilita,senza il requisito dei pieni poteri,i Capi di Stato e di governo e i Ministri degli affari esteri a compiere qualsiasi atto relativo alla stipulazione di un trattato,compresa la manifestazione del consenso ad esserne vincolati. Di regola il consenso ad essere vincolati dal trattato non viene espresso con la firma,ma con il deposito della ratifica. In tal caso,la firma ha un limitato effetto giuridico legato al principio generale di buona fede,per cui si ritiene illecito il comportamento di uno Stato firmatario che sia incompatibile con l’oggetto e lo scopo del trattato,sino a che lo stesso Stato non abbia reso manifesta la volontà di non ratificare(art 18 Convenzione di Vienna - corroborata tale regola dalle dichiarazioni del portavoce del Presidente degli Stati Uniti l’intenzione di non divenire parte dello Statuto della corte Penale internazionale).

4.3. MANIFESTAZIONE DEL CONSENSO4.3.1.CHI LO PUO’ ESPRIMEREUna delle cause più frequenti circa la validità di un trattato riguarda la legittimazione a rappresentare lo Stato e impegnarlo internazionalmente da parte dell’organo che ha materialmente preso parte al processo di stipulazione o a una delle sue fasi:negoziazione,adozione,firma,ratifica,scambio di note. L’art 7 della Convenzione di Vienna richiede a tale proposito che la persona in questione produca i pieni poteri(ai sensi dell’art 2 si tratta

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di un documento emanato dall’autorità di uno Stato che designa una o più persone a rappresentare lo Stato per negoziare,adottare o autenticare il testo di un trattato,al fine di esprimere il consenso dello Stato ad essere vincolato dal trattato);la Convenzione lascia piena libertà interna sulla designazione dell’organo incaricato a tale nomina,nella prassi sono rilasciati dal Ministero degli esteri o dal Capo dello Stato. Una seconda indicazione attiene la fatto che il documento dei pieni poteri dovrà altresì specificare la legittimazione relativamente a una o più delle diverse fasi del procedimento,dalla negoziazione al eventuale manifestazione del consenso a essere vincolati dal trattato. Seguendo il principio del riconoscimento della effettività della organizzazione interna degli stati l’art 7 deroga anche al principio formale del rilascio del documento dei pieni poteri disponendo che una persona abilitata a partecipare al processo di stipulazione di un trattato quando la prassi degli Stati interessati evidenziano la loro intenzione di considerare quella persona quale rappresentante dello Stato investito di pieni poteri ai fini della negoziazione e conclusione(plenipotenziario di fatto). Inoltre l’art 7 indica gli organi dello Stato per i quali,in ragione delle loro funzioni,non sono richiesti i pieni poteri: I Capi di Stato e di governo,I Ministri degli Esteri,I Capi missione con riguardo ai trattati tra lo Stato d’invio e quello di accreditamento, e i rappresentanti accreditati presso una conferenza diplomatica,una organizzazione o organo internazionale con riguardo ai trattati negoziati e adottati in quelle sedi. Questi ultimi comunque per apporre validamente la firma successivamente all’adozione del testo dovranno produrre i pieni poteri specificamente indicativi del potere di firma(poteri impliciti di adozione del testo ma non poteri impliciti per impegnare la volontà dello Stato a vincolarsi). L’art 8 nel disporre la nullità di qualsiasi atto posto in essere da un soggetto non abilitato ai sensi dell’art 7 prevede altresì che l’invalidità possa essere sanata con conferma successiva da parte dello Stato in questione,con effetto retroattivo. Al quesito se la conferma possa considerarsi desumibile anche implicitamente da fatti concludenti,va data risposta affermativa alla luce del principio dell’affidamento dei terzi in buona fede attraverso una interpretazione sistematica della disposizione all’art 45. quest’ultimo infatti prevede che uno Stato non abbia titolo ad invocare una causa di invalidità del trattato non solo quando esso abbia manifestamente riconosciuto la validità del trattato,ma anche quando tale Stato in ragione del suo comportamento,si debba ritenere che abbia accettato la validità del trattato o il suo mantenimento in vigore od operatività,a seconda del caso.

4.3.2.LE FORME DI MANIFESTAZIONE DEL CONSENSOAi fini della manifestazione del consenso l’art 11 pone sullo stesso piano firma,scambio di strumenti(lettere,note verbali,ratifica),ratifica,accettazione,approvazione o adesione o qualsiasi altro modo concordato dalle parti. Dagli articoli successivi (12 a 16) non si evince una modalità prioritaria di manifestazione del consenso che operi in assenza di diversa volontà delle parti(leggere articolo 12 relativo alla firma e 14 relativo alla ratifica). Manca nella Convenzione di Vienna qualsiasi indicazione circa quale debba ritenersi la modalità di manifestazione del consenso di tipo residuale,in assenza di una specifica designazione di modalità nel testo negoziato. Problema frutto di un inevitabile compromesso tra le delegazioni che ritenevano che le modalità prevalente,o residuale,di manifestazione del consenso fosse quella c.d. solenne,cioè della ratifica(o accettazione o approvazione),da un lato,e le delegazioni che ritenere prevalente la c.d. forma semplificata di stipulazione,dall’altro. Quest’ultima si caratterizza per il fatto di evitare la procedura di ratifica e di autorizzazione parlamentare della stessa,consistendo, quindi,nella semplice firma,o nello scambio di lettere o di note verbali. Per quanto riguarda la procedura di ratifica,questa dipende dalle norme interne dei singoli Stati sulla competenza a stipulare i trattati internazionali. Di regola essa è di competenza del Capo dello Stato. Il problema sorge nel determinare quando l’esercizio di tale competenza sia subordinato alla previa autorizzazione parlamentare. Ciò ha comportato in molti Paesi l’adozione di regole costituzionali mirate a soddisfare esigenze di politica costituzionale circa il controllo parlamentare sulla politica estera. L’intervento parlamentare nel procedimento di conclusione soddisfa anche l’esigenza pratica di consentire al parlamento di predisporre le eventuali modifiche dell’ordinamento interno necessarie alla esecuzione degli obblighi e dei diritti derivanti.

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A fronte dei sempre maggiori trattati ed a causa della conseguente oberazione dei parlamenti si è diffusa la prassi della stipulazione dei trattati in forma semplificata ,consistenti in una procedura che prescinde dall’intervento del parlamento. Un ultima considerazione con riguardo alle modalità del consenso riguarda l’adesione(accession). Si tratta della modalità di manifestazione del consenso dello Stato ad essere vincolato da un trattato alla cui negoziazione non ha partecipato e di cui non è firmatario(possibile solo quando gli stati negoziatori lo hanno espressamente previsto nel testo,rendendolo così un trattato c.d. aperto).

4.3.3.IL CONSENSO CONDIZIONATO: LE RISERVENel momento della espressione del proprio consenso uno Stato può riservarsi di non accettare determinate disposizioni o di accettarle secondo una certa interpretazione(c.d. dichiarazione interpretativa). L’art 19 della Convenzione di Vienna prevede che un riserva possa essere formulata al momento della firma,ratifica,accettazione,approvazione o adesione ad un trattato. La Convenzione di Vienna all’art 2 definisce una riserva nei seguenti termini “una dichiarazione unilaterale fatta da uno Stato per mezzo del quale esso si propone di esclude reo modificare l’effetto giuridico di certe norme del trattato nella loro applicazione a quello Stato. Il problema principale sul tema delle riserve attiene alle condizioni della loro ammissibilità e ,successivamente,ai loro effetti. La Corte internazionale di giustizia ha introdotto(nel parere consultivo sulla Convenzione del 1948 per la prevenzione e repressione del genocidio)la flessibilità del principio dell’ammissibilità delle riserve non contemplate dal testo del trattato,purché compatibili con l’oggetto e lo scopo del trattato stesso,nei seguenti termini “uno Stato che ha apposto una riserva respinta da una o più parti ma non da altre,può essere considerato parte della convenzione se la riserva è compatibile con l’oggetto e lo scopo della convenzione”.La Convenzione di Vienna (art 19-23)ha recepito il principio espresso dalla Corte con riguardo alla generalità dei trattati. Il problema di fondo deriva dall’impossibilità di giungere alla Conferenza di Vienna a un accordo sulla previsione di un meccanismo imparziale di accertamento di tale compatibilità delle riserve apposte di volta in volta ai singoli trattati. Secondo l’attuale regime giuridico tale accertamento viene lasciato alla discrezione dei singoli stati contraenti. Questo approccio soggettivistico nella valutazione dell’ammissibilità delle riserve incoraggia la partecipazione ai trattati multilaterali, ma a scapito della integrità normativa degli stessi. Infatti,per quanto riguarda gli effetti delle riserve ne consegue che: a)il trattato si applica naturalmente nella sua interezza tra gli Stati parti che non hanno formulato alcuna riserva; b)le disposizioni oggetto della riserva si applicano secondo quanto previsto nella riserva tra lo Stato che l’ha formulata e quelli che l’hanno accettata; c)le disposizioni oggetto della riserva non si applicano nella misura prevista dalla riserva tra lo Stato riservante e quelli che hanno obiettato alla riserva senza opporsi all’entrata in vigore del trattato(art 21). Avremo quindi tre tipi di rapporti giuridici scaturenti dallo stesso trattato,mentre quest’ultimo non avrà alcun effetto tra lo Stato riservante e quegli Stati che,obiettando alla riserva per incompatibilità con l’oggetto e lo scopo del trattato,abbiano manifestato espressamente l’intenzione che esso non entri in vigore nei loro rapporti con lo Stato riservante. Il problema è avvertito con riguardo ai trattati che tutelano interessi superiori rispetto a quelli di ciascuno Stato,specialmente in materia di diritti umani. Nel 1993 l’Assemblea generale ha richiesto alla CDI di riprendere lo studio del diritto dei trattati con lo scopo di proporre un progetto di nuove regole in materia di riserve,facendo però fin da subito apparire difficile l’incontro per un accordo condiviso necessario a modificare il regime della Convenzione di Vienna in tema di accertamento della compatibilità delle riserve con l’oggetto e lo scopo del trattato.

4.4. L’ENTRATA IN VIGORE