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BIBLIOTECA STORICA DI DIODORO SICULO VOLGARIZZATA DAL CAV. COMPAGNONI TOMO SETTIMO ED ULTIMO MILANO DALLA TIPOGAFIA DE* FRATELLI SONZOGNO l822

Diodoro Siculo - Biblioteca Storica Vol. 7

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BIBLIOTECA STORICA

DI

DIODORO SICULOVOLGARIZZATA

DAL CAV. COMPAGNONI

TOMO SETTIM O ED ULTIMO

M I L A N ODALLA TIPOGAFIA DE* FRATELLI SONZOGNO

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Tav. /.

Diodoro nel corso della sna Biblioteca Storioa rammenta in più luoghi 1* aso delle antiche testuggini militari, che for­mando coi loro scadi i soldati, ne riparavano la prepria per» sonà procedendo alla scalata d'nna città. Non riuscirà quindi discaro ai possessori della presente edizione di esso storico 1* averne sett’ occhio nn modello in rame onde più distinta** mente conoscerne la forma, l ' uso ed t vantaggi.

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7W. T Va.Tnt’.n.

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Tav. Il

Il Gronovio nella sua elastica opera : Thesaurus Gracarum mtiquitàiumi da cui venne accuratamente tratto il modello della testuggine militare riportato nella Tav. I , un altro ne aggingne che per la sua elegante ed artifiziosa costruitone , e per gli ottimi effetti* i quali derivar ne potevano in moltissi­me circo» tanse, si è creduto espediente di renderlo argomento d’ una seconda Tavola.

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BIBLIOTECA STORICADI

D I O D O R O S I C U L O

LIBRO VENTESIMO

C a p i t o l o P r i m o

Considerazioni delV Autore sulle troppo spesse > e troppo prolisse allocuzioni inserite da taluni nelle storie 5 e proposta del tempo che comprenderanno gli avvenimenti narrali in questo libro.

G i u s t i s s i m à è la riprensione che da taluni si fa a fcoloro ? i quali le storie riempiono di troppo prò* lisse concioni, o troppo spesse declamazioni mettonvi. Imperciocché lasciando stare che coll’importunamente introdurre nelle storie tante dicerie vengono ad in­terrompere il filo del racconto , certo è che con ciò quelli che bramano seguirlo, e desiderano di cono­scere la serie delle cose, per quelle digressioni si

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arrestano. Ògnunò può a talento suo, èe vtiòle , far mostra della sua eloquenza , e comporre arringhe fatte da ambasciadori, e così pure discorsi sia di laude sia di biasimo, e simili cose: chè quando con ben acconcio stile abbiano trattato a parte il loro argomento, possono meritare approvazione. Ma non cosi quelli, che soverchiando in ornamenti rettorici, della .storia fanno piuttosto un’appendice di concioni. Ghè non dispiace soltanto uno scriver cattivo ; ma dispiace eziandio quello scrivere, il quale quantun­que per sè stesso corrispondente allo scopo suo na­turale , non corrisponde poi all’ ordine domandato dai luoghi e dai tempi. Ed è per questo che chi legge storie scritte con tali infarcimenti, o trapassa quelle artifiziate orazioni, tutto che pur sembrino poste in appropriato sito; od annojato dalla lungag­gine fastidiosa dello scrittore getta il libro da sò. Chè della storia la natura è semplice, ed ha le parti sue tutte proporzionate tra loro, simile per avven­tura al corpo umano, il quale, se gli togli un mem­bro, perde ogni sua grazia. Ond’è al contrario, che quella scrittura sola , la quale è ben composta, ed Jia al proprio luogo le varie sue parti, per l’armo­nico andamento suo fatta chiara, leggesi gioconda­mente.

Ciò dicendo però non infeudiamo sbandire dalla storia ogni retorico artifizio. Vuoisi la storia ornare di bella varietà ; e per questo si rende talora ne­cessario interporvi siffatte orazioni ; nè di questo intendo ? ove ben cada in acconcio , privare l’opera

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feiia. È di fatti, se le circostanza di ùn ambasciado- re j o di un consigliere , o di tale altro simile il traggono a dover parlare, certo è che non meriterà rimprovero, se cosi parli che affettazione d’eloquenza non macchii il suo discorso : chè non poche ragioni possono addursi per giustificare una ornati orazione. Oltreciò• poi, perchè di molte cose dette con felice accorgimento e grande animo, trascurare le più degne di rimanere nella memoria degli uomini, quando elie colla utilità della storia singolarmente congiun- gansi ? No, che dove i fatti e i sensi sono per sè medesimi magnifici e splendidi , non dee patirsi che dalla grandezza dell7 argomento apparisca vinta l1 ora­zione. Occorre ancora ? che ove alcun avvertimento presentisi di spiegazione difficile ? per renderne piane le cagioni siamo obbligati a fare conveniènte discorso. Ma bastino al proposto nostro le cose dette fin qui (i).

Ora tirando innanzi la storia che abbiamo preso

\i) Sè alcun Pedante preìade in ftiano il compasso grammaticale, e va a brani a brani paragonando il lesto e la mia tradottone, gri­derà forse che io no* sono stalo fedele. Nè la fedeltà della mia traduzione sta in riferire parola per parola. Io confesso che Del di­sborso di 'Diodoro ho tTovato ttn certo dilagamento nella esposizione del suo pensiere, che pii» che altrove mi ha data pena. 1 Greci dilettantisi di sonore circonlocuzioni serrano parecchie volte i con­cetti della mente come un secretò sotto ^invoglio voluminoso di parole , e tìoi mettono in fatica se vogliamo afferrarne la connes­sione logica. Noi abbiamo diverso guslo. E j>er giustificare il mio fallo non avrei che a mettere qui a sommo rigor letterale (a tradu­zione che farebbe il Pedante: ma stimo V opera vana. Se chi legge là mià traduzione afferra tosto il senso di Dicfdoro , ho fatto xjuod erat demùnscrandum, E vaglia quest* osservatone per altri casi.

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a «crivere, noteremo i tempi clic vogliamo nella narrazione nostra comprendere. Ne’libri antecedenti abbiam detto quanto i Greci e i Barbari fecero* in- cominciando dalle più vetuste età sino all* anno che prossimamente precedette la passata di Àgatocle in Africa, la quale accadde ottocento ottantatrè anni dopo T eccidio di Troja. In questo volume diremo le cose avvenute per lo spazio di nove auni, pren­dendo il filo da quella passata ; e termineremo in quello j in cui i re collegati insieme di volontà e di forze con comune accordo fecero la guerra ad An­tigono di Filippo.

C a p i t o l o II.

Àgatocle vuole passare in Africa. Suoi preparativi per tale impresa. Come la eseguisse: quai pericoli superasse. Primi suoi fa tti dopo aver messo a terraV esercito.

Essendo arconte In Atene Jeromnemone, e in Ro­ma consoli G. Giunio e Q. Emilio, Àgatocle sbara­gliato ad Imera dai Cartaginesi, dove perdette la massima parte dell’esercito che formava il più delle sue forze, erasi rifuggito in Siracusa. E vedendo egli che tutti i suoi alleati P avevano abbandonato , che i Barbari avellisi assoggettata quasi tutta intera la Sicilia , salva Siracusa ; e che in forze terrestri e marittime di gran lunga soprastavangli , formò seco •tesso un disegno che nissuno avrebbe preveduto

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mai, e soprà ogni altro temerario. Imperocché men­tre tutti pensavano eh1 egli fosse per fare ogni sforzo onde resistere ai Cartaginesi, egli deliberò in vece di lasciare in Siracusa un valido presidio, e col fiore de’ suoi passare in Africa. Faceva egli il suo con* to , che i Cartaginesi per la lunga pace colà go­duta 'abituati a vita molle, e in niuna maniera av» vezzi ai rischi delle battaglie , facilmente dalla sua gente esercitata alle fatiche d’ogni sòrte sarebbero vinti. Aggiungevasi ancora la speranza , che gli al­leati de1 Cartaginesi in Africa da tanto tempo disgu­stati acerbamente del prepotente imperio di coloro , colta avrebbero 1’ occasione di sottrarsene. £ quello, che sopra ogni altra considerazione valeva nell’ ani­mo suo, era che avrebbe potuto ampiamente ed utilmente abbottinare con quellà inaspettata invasione in una terra che fino allora non avea sofferto sac- cheggiamento, e piena altronde. per la prosperità dello stato cartaginese d’ogni ottima* cosa. In fine poi con tale impresa egli avrebbe tolti i Barbari dal suo nativo paese , e da tutta la Sicilia, e trasportato il forte della guerra in Africa, siccome di fatto succe­dette.

Senza confidare il suo pensiero a veruno degli amici ,"e dipendenti, costituì governatore della città suo fratello Antandro, datogli buon presidio: ordinò ai più atti , coscritti già nella milizia a piedi, che stessero pronti ad ogni ordine , ben provveduti di ar­mi; a quelli che servivano a cavallo, che oltre l’ar­matura loro portassero seco anche le bardature op«

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loportane per quando potesse trovar cavalli al bisogno* E da notarsi che nell7 ultima rotta sofferta la massi* ma parte de7 fanti era morta ; e quasi tutti quelli di cavalleria s’eran salvati ; ma allora non potevansi trasportare cavalli in Africa. Perchè poi durante la sua assenza i Siracusani non potessero tentar no­vità , separò l’uno dall7 altro i parenti , e massima* mente i fratelli dai fratelli, e i figliuoli da1 genitori j altri lasciando in città , altri conducendo seco : es­sendo per tal modo sicuro, che quelli che rimane­vano in Siracusa , ancorché di pessimo umore verso lui 9 non avrebbero fatto verun tentativo a suo dan­no, ritenuti dalla carità pe1 figliuoli e congiunti. Sic­come poi scarseggiava di denaro obbligò i tutori a dargli i valsenti de7 loro pupilli, dicendo che meglio d7 essi assai tenuto avrebbe la cura e tutela de7 me* desimi, e con maggior fedeltà , quando que7 pupilli fossero diventati maggiori, avrebbe loro restituiti i loro capitali. Anche da mercatanti si fece dare som­me a mutuo ; e levò dai templi alcune ricche sup* pellettili ed offerte ; e alle donne tolse i loro orna* menti. £ perchè vide che i più ricchi mal soffrivano queste sue misure, ed erano di •mal cuore contra di lui , convocò l7 assemblea generale, in cui deplorata la rotta dianzi toccata , e le calamità che ne sareb* bero sopraggiunte, dichiarò che avvezzo già a sof­frir le disgrazie egli avrebbe facilmente sostenuti gli incomodi dell7 assedio ; ma dargli gravissima pena i pensiero di quanto potrebbero soffrire i cittadini stretti in città dai nemici, se gli avvenimenti portassero un*

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11tal caso, berciò ordinò’ che provvedesse alla pro­pria salvezza e alla sua facoltà ognuno d’ essi, il quale non si sentisse in istato di sostenere la mala fortuna. Ond’ è che poscia si videro uscir di città tutti i più ricchi, e i più accaniti contro di lui ; ed egli mandati loro dietro soldati stipendiati li fece ammazzare, e ne confiscò le sostanze. E così con «in colpo solo scelleratissimo ebbe un tesoro, e purgò la città dei suoi nemici. 11 che fatto manomise i servi atti a portare le armi.

Allestite per tanto tutte le occorrenti cose, e messe in ordine sessanta navi, andava aspettando oppor­tuno tempo di navigare ; e come sempre il suo di­segno era secreto, dicevano altri che voleva fare l’im­presa d’ Italia *, altri che intendeva di andare a dar guasto alla Sicilia soggetta ai Cartaginesi ; e tutti disperavano della salute di coloro che doveano par­tire y e riprendevano la pazza idea del principe. 1 nemici intanto stavano presso con un numero di tri­remi assai maggiore: laonde per alquanti giorni Aga- tocle si vide costretto a tenere imbarcata la sua gen­te ? non avendo comodità di porre alla vela. Ora accadde, che andando alla città in gran fretta certi bastimenti che portavano frumento , i Cartaginesi si mossero dietro a quelli con tutta l’armata ; e allora Àgatocley che d’altronde non avea ornai più speranza di eseguire il disegno suo , vedute le acque vicine al porto libere dalla stazione de’ nemici ? con grande celerità facendo dare de’remi uscì fuori. I Cartaginesi che giunti erano già presso a que’bastimenti da trasporr

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1210 ; veduto con quelle tante navi i nemici in al mare , da prima credettero , che volessero accorre; in soccorso de’bastimenti inseguiti; e ritornati ind, ’tro si misero in ordine di battaglia. Poi osservane che quelle navi tiravan di lungo , e che già avea.< preso assai bene il davanti, si mossero ad inseguir' E le raggiunsero infatti, ed attaccarono battaglia : intanto que’ bastimenti carichi di vettuaglia , cont ogni speranza sfuggito il pericolo , corsero alla c tà , la quale dianzi scarseggiando di viveri n’ efc per essi buona provvigione. Àgatocle poi, dalle foi maggiori de’ Cartaginesi ornai oppresso, sopraggiui. la notte, pel favore di questa fortunatamente scapp11 giorno dopo seguì una eclissi del scie sì fort<~ che dappertutto si videro le stelle , come se foi* stata profonda notte. Il che i soldati cTÀgatocle prr. dendo per un prenunzio di grande difficoltà dei. impresa sua fatto dal nume, in maggiore esitazio' si misero sopra le cose future (i).

Avendo egli navigato sei giorni e sei notti con nue , all1 alzarsi dell’ alba improvvisamente compn non molto lontana la flotta cartaginese. Da una ban». c dall’altra gran forza di remi facevasi a gara. I P< ? pensavano , che rotte le navi di Àgatocle , o pres­te fatti padroni di Siracusa , tolta avrebbero la lo«

(i) Abbiamo però da Giustino t che Àgatocle spiegò quetla ecl • S’ suoi soidali 4 e che conchiuse essere essa piuttosto sfavorevole nemici. Frontino sbagliò dicendo essere quella stala un* ecS della luna. Il Calvi sto * e il Pttauio ci hanno saputo-di^e ch’ c- Accadde visibile in Siracusa il dì 25 d’ agosto a otto ore.

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i 3patria a’ grandi pericoli soprastanti. I Greci vedevano che ove non fossero stati i primi a prender terra , doveano aspettarsi di perir tutti , e a durissima schia- vitù venir tratti quelli che lasciati aveano a casa. Ed era già P Africa a vista } e da ambe le parti un gridare, un esortare, uno sforzare incredibile. IBar­bari erano svelti in navigare perchè di luugo tratto esercitati 5 e le navi loro aveano, sebbene di poco, preso vantaggio sopra quelle -de’ Greci. Giunte esse adunque prestissimamente presso terra , quasi aves­sero a combattere fra loro, sollecitava!)si a gara per approdare. Le ultime di Àgatocle trovavansi sotto il tiro dei dardi de1 Cartaginesi : ond’ è che dopo es­sersi bersagliati a vicenda colle frecce e le frombole , poche essendo le navi de’ Barbari*, che sos tennero il conflitto , Àgatocle prevalente per la moltitudine rimase superiore } e i Cartaginesi dando addietro si fermarono fuori di tiro. Egli allora messe a terra lo sue truppe presso le Latomie , tratto da un punto del mare all’altro un vallo, ivi le sue navi assicurò..

Nè si attenne Àgatocle ad un fatto sì temerario : thè un altro n’ eseguì più temerario ancora, e più pericoloso. Egli consultati i capitani ed altri uffi- ziali, che nella impresa sua avea consenzientifatto sacrifizio a Cerere ed a Proserpina , chiamò lei sua gente in conclone ; e volendole parlare si mise la corona in testa , e si vestì di reai manto , e in tale magnifica pompa premesse poche parole convenienti al caso , aggiunse aver fatto voto alle Dee proleggi- trici della Sicilia, Cerere e Proserpina, di convertir^

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tutte cibante le navi in fiaccole ad esse Dee cense* era te $ e giusta cosa essere che salvati pel patroci- nia delle medesime eglino pure concorressero al rito , promettendo loro che valorosamente compor­tandosi avrebbero da lui navi in assai maggior nu­mero ; è dalle vittime sacrificate le Dee avergli già 'pre- niniziata vittoria. Nell’alto che cosi parlava, uno dei suoi gli reca una fiaccala accesa; ed egli presala, e dat’ ordine che una pure fosse prestata a ciaschedun capitano delle triremi, invoca le Dee; e salito sull’am­miraglia pel primo, fermo sulla poppa di quella ordina che seguasi l’esempio suo. Tutti nel medesi­mo tempo que’capitani delle triremi attaccano il' fuoco, ciascheduno alla sua, e al subito alzarsi delle fiamme i trombettieri intuonano l’inno della batta­glia : 1’ esercito grida ed applaude ; e tutti pregano pel felice ritorno alla patria. Ciò fece Àgatocle pria* cipalmente per obbligare i suoi a non pensare a fug­gire dai pericoli : perciocché tolta la speranza di ripararsi alle navi > chiaro è che non potevano im­maginare scampo che nella vittoria. Un’altra consi­derazione ancora aggiungevasi, ed era che avendo» poche truppe, se avesse voluto difendere la flotta, avrebbe dovuto dividere l’esercito : nel qual casa non avrebbe avute forze bastanti per combattere. Che se poi l’avesse lasciata senza presidio , essa sarebbe caduta nelle mani de’ Cartaginesi.

Non é però, che a tanto incendio , le cui fiamme occupavano grande spazio di cielo, i Siculi suoi non si sentissero presi da paura. Da principia abbacinati

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dai prestigli di Àgatocle, e dalla rapidità eh1 egìi mise nel fatto, non avendo avuto tempo da riflettere, tutti acconsentirono. Ma quando v’ ebbero pensato sopra #lcun poco , incominciarono a pentirsene ; e misurando colla mente la vastità del mare , ebe di- videvali dal loro paese, tennero per disperata la loro salvezza. Ma volendo Àgatocle togliere presto dall’a­nimo loro tale perplessità, incontinente li condusse verso Megale ( i) , città del dominio cartaginese. Il paese che doveasi attraversare per giungervi, era pieno d’orti e di terreni d’ ogni ottima cosa colti­vati; e tutto irrigato da ruscelli e da canali, abbon­dando T acqua d’ ogni intorno. Ivi numerose erano le villette , belle per edifizii coperti di tegole, ma­nifesto indizio della opidenza de’padroni. I casamenti erano provveduti di quanto mai può ricercarsi pei piaceri della vita , avendo una lunga pace messi gli abitanti in agiatissimo stato. La campagna poi parte era piantata di viti, parte di olivi , e d1 ogni albero fruttifero ; e v’ erano in oltre praterie a pascolo di armenti e di gregge; e nelle vicine paludi numerose razze allevavansi di cavalli. JVè porrebbesi fine a dire di quel meraviglioso territorio, ov’era pienissima ab­bondanza di tuUi mai i comodi che poteansi desi­derare , essendone i fondi ai più nobili de’ Cartagi-

( i) Così scrive Diodoro , e inopportunamente il Bodoniano tra­sduce Magna* perciocché altrimente si camberebbero da lingua a lin­gua latti i nomi proprii a non Capire più nulla. Alcuni Eruditi non hanno saputo in che provincia romana dell1 Africa collocare questa città , perchè non aveano avvertito a questo passo del nostro Autore.

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nesi prediletti ; ne1 quali essi nè cura , nè denarct aveano risparmiato per renderli eleganti, e dilette* voli. Laonde i Siculi incantati dall’amenità del paese, e dall’aspetto di tante care cose, incomincin.ono a montare in isperanza, veggendo che veramente eravi di che dare degni premii a chi finisse col vincere. Àgatocle conosciuto come gli animi de’suoi soldati cran mutati in meglio, e che abbandonati i tristi pensieri mostravansi pronti a sostenere i pericoli, immanti* nente li condusse ad assaltare le mura della città. E tra che l’assalto fu improvviso, e tra che gli abitanti non aveano uso di guerra, breve fu la resistenza di questi ; ed egli si fece padrone di Megale ; e datala in preda all' esercito , questo di roba e di fiducia riempì* Si volse di poi ad Albo-Tuneto (*); distante due mila stadii da Cartagine; e parimente l’ebbe in sua podestà. 1 soldati credevano che fosse per met­tere presidio in queste due città; éd aveano già de­posto in esse il lor<> bottino: ma Àgatocle, pensando in sua mente quanto allo stato delle sue cose con» veniva, fatto intendere a’ suoi non potersi contare stanza sicura in fino a tanto che non si fosse vinto il nemico in giusta battaglia , demolì quelle città, -e collocò in aperta campagna l’esercito.

(i) Albo-Tuneto era città distinta da Taoeto ( Tunisi) ? ed erròt P Ottetto a confonderle insieme. La differensa è provata dalla di-, versa diuanza dell' una e dell* altra da Cartagine. Poscia appare * che mentre Diodoro dice Albo-TunHo demolita , pone alcun poco dopo 9 coape si vedrà * Tune(,o presa da Àgatocle , e presidiata ♦

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C a p i t o l o i n.*7

Pensieri de1 Cartaginesi sullo sbarco di Àgatocle. Misure da essi prese. Battàgliay e vittoria di Ago- tocle facilitata dalle trame di Bomilcare. Cartagine investita dal nemico : rimorsi, e superstizioni cru­deli de9 Cartaginesi.

Intanto i Cartaginesi che s’erano tenuti vicini al luogo, in . cui i Siculi avevano approdato, veduto T incendio della flotta di questi dapprima rallegra* ronsi y credendo che per paura di loro i nimici fossero .Stati costretti a quel passo. Ma poiché videro che il nimico esercito marciava in aperta campagna, con- getturando ciò che era per succedere , capirono che a pregiudizio loro quelle navi erano state distriate. Per lo che stesero sulle loro prore le pelli ; cosa che usayasi fare da loro ogni volta che qualche disgrazia fosse succeduta alla repubblica (i). Poi andarono a levare le ferramenta rimaste nelle navi abbruciate di Àgatocle, e le portarono sulle loro triremi ; e man­darono a riferire a Cartagine quanto era occorso. Ma prima che codesti messi fossero giunti alla città, alcuni della campagna, i quali veduto aveano ap­prossimarsi la flotta di Àgatocle, erano corsi a darneV avviso ai Cartaginesi. I quali colti da sì inopinato

(i) Abbiamo veduto altrove che i Cartaginesi aveano per disastrosopraggiunto alla loro repubblica stesi sulle mura drappi neri ; e lepelli, di coi qui si parla , erano anch’ esse o nere 5 o tiranti alnero, e simbolo di lutto.

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i8fatto , incominciarono a credere che le loro forze di mare e di terra fossero state distrutte , ragionando che Àgatocle giammai, se non fosse stato vittorioso, noti avrebbe ardito di abbandonare vuota di presidio Siracusa ; nè giammai avrebbe avuto il coraggio di passare con truppe in Africa, tenendo il nimico Firn* peno del mare. Tumultuóssi adunque e si trepidò in città; e il popolo accorse al foro, e il Senato si ra­dunò , deliberando cosa fosse a farsi. Non aveasi esercito pronto che potesse affrontare i nimici ; e la moltitudine incapace a trattare le armi, era perdute d’animo, tenendo per certo ché i nimici a momenti comparirebbero sotto le mura della città. Quindi pro­ponevano alcuni che si mandassero ad Àgatocle le­gati per trattare di pace , dovendo questi nel tempo stesso esplorare cosa egli facesse : altri volevano che prima si avesse sicura notizia di quanto era avve­nuto. Mentre sfavasi in questa perplessità giunsero i messi spediti dal comandante della flotta, i quali diedero giusto ragguaglio delle cose.

Fattosi da tutti aniiho, il Senato accusò i pre­fetti della flotta, perchè lenendo la signorìa del mare avevano permesse che truppe nemiche pones­sero piede in Africa 3 e nel tèmpo stesso éréò co­mandanti Supremi delia milizia Annone e Bomil- care, tutto che per le paterne discordie fossero tra loro nemici : stimando quei senatori che la diffi­denza , e dissensione, in cui que’ due vivevano , assicurerebbe la salvezza della Repubblica. Ma in ciò sbagliaronsi non poco : imperciocché Bomilcare, che

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da assai tempo mirava alla tirannide ,. nè fino allora aveva trovate circostanze favorevoli alle sue trame ,

. in questa occasione vedutosi investito del comando ebbe per acconcia a’ suoi fini P avventura. U motivo poi principale di sì mal umore in Bomilcare era la soverchia acerbità che i Cartaginesi mettevano nella inflizione delle pene. Usavano essi in tempo di guerra dare il comando supremo ai più distinti soggetti per la ragione che più di tutti gli altri questi doveano avere interesse a gagliardamente combattere per la somma delle cose ; ma quando poi s’ era fatta pace j trovavano calunnie per accusarli, e con inique sentenze per sola invidia traevanli a crudeli supplizii Quindi avveniva che alcuni chiamati al comando , per la paura di siffatti giudizii, vi rinunciavano, oppure cer­cavano di farsi signori. £ questo fu appunto ciò che fece allora Bomilcare , uno dei due comandanti su­premi , siccome diremo in appresso.

Intanto codesti due comandanti, vedendo che non bisognava metter ritardo nelle cose, invece di aspet­tare che dalle campagne e dalle città alleate venis­sero soldati, feeero leva de* cittadini stessi 5 e con­dussero fuori non meno di quaranta mila fanti , e mille cavalli, e due mila carri ; ed occupato un certa colle non molto distante dai nemici, spiegarono le loro truppe in ordine di battaglia. Cra nel destro corno Annone , a cui faceva spalla la così detta coorte sacra (i). 11 sinistro era condotto da Bomilcare, il

(i) Questo battaglione sacro era formato di due mila cinquecento de* più notabili e ricchi Cartaginesi. Yeggasi Dtodoro al libro xvi.

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quale avea condensata assai la sua gente , non per­mettendogli la natura del luogo di darle ampio svi­luppamelo* Erano poi stati messi alla fronte la ca­valleria e i carri coll’ idea di fare sopra i Greci con questa parte di forze il primo assalto.

Àgatocle considerato 1’ ordine , in cui i Barbari si erano posti, diede il destro corno a suo figliuolo &t- cagato (i) con due mila cinquecento fanti. Poi schierò da circa tre mila cinquecento Siracusani., tre mila stipendiati di Grecia, e tre mila tra Sanniti, Tir­reni e Celti. Egli colle sue guardie, e con mille uomini, formando l’altro corno si piantò all’incontro della coorte sacra de’ Cartaginesi. 1 saettieri po i, e i frombolieri, i quali erano cinquecento, distribuì nel- l’un corno e,nell’altro. Non eravi per tutti i suoi soldati bastante provvigione d’armi ; c vedutine molti senza, quelli che mancavano di scudo, fece che supplissero stendendo sopra bastoncelli le coperte di scudi, con che, sebbene di fatto non servissero al­l’uopo , ingannavasi però il nemico, il quale da lon­tano non poteva conoscere la verità, e dall’ appa­renza era condotto a credere che fossero armati bene. Osservando poi, che i suoi mettevansi in costerna­zione per la grande moltitudine de’ Barbari che aveano contro , e spezialmente per la, cavalleria, da molte bande fece uscir fuori civette, dianzi già al*

(r) Co»i Diodoro il chiama costantemente , e con esso lui Giu­stino* Però Polibio lo chiama in vece Agasarco. II Valeno siegue

.Polibio 5 ma Diodoro, nativo di Sicilia, potrebbe per avventura pa­rere autore più attendibile.

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V uopo preparate, per togliere la paura a* suol. Chè tali augelli svolazzando per quella gente, e po* dandosi quale sugli scudi, quale sugli elmi', venivano ad infondere coraggio ai soldati , poiché ognuno 1« teneva di buon augurio , sapendosi che quell1 uc­cello era consacrato a Minerva. Godeste invenzioni , quantunque per avventura vane , spesso hanno con­tribuito a grandi avvenimenti ; e così vi contribuì* rono allora, poiché infusasi fidanza nella ’moltitu* dine, e córsa voce che il nume apertamente mo- strasse vittoria, con più coraggio presentavansi ai pericoli. *

E infetti tosto che i carri corsero contro di loro, una parte ne arrestarono con un nembo di frecce man* date sopra essi , una parte lasciarono passare ] e il maggior numero poi di questi obbligàrono a ritor­nare indietro , e a dare addosso alla infanteria ne­mica. Così pur fecero de’ cavalli, che mentre trae* vansi con'impeto'contro d’ essi, molti ne uccisero, e gli altri volsero iti fuga. Poiché di tal maniera andava il primo attacco, tuttaTinfanteria de’Barbari si mosse, e incominciò a menare le mani. 11 Combattimento fu aspro quanto mai dir si possa. Annone, avendo in* torno a sé la coorte di gente scelta, che dicèvasi sacra , cercando col suo valore di ottenere vittoria, colla mole di tanta forza buttòssi sopra i Greci, ed assaissimi ne ammazzò. E quantunque fosse da ogni parte coperto di frecce, pur non cedeva ) ed anche piagato di molte ferite seguitò a fare strage de’ ne­mici : se non che in fine perdute le forze cadde. Al*

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lora i Cartaginesi eh’ erano a quella parte , e r i ­derò il caso di lui , perdettero animo. All’ opposto i soldati di Àgatocle , già pieni ' di speranza , molto più confortaroasi.

Or venuto in cognizione di quanto ad Annone era seguito Bomilcare ? ch’era l’altro comandante, pen­sando dallo stesso nume presentargli 1’ occasione di farsi signore di Cartagine , incominciò seco a pensare ehe se V esercito di Àgatocle rimanesse distrutto , egli non potrebbe invadere il principato , poiché la po­tenza de’ cittadini avrebbe prevaluto. Ma se Àgatocle rimanesse vittorioso, gli animi de’ Cartaginesi reste­rebbero abbattuti ; ed egli con facilità sottometterebbe un popolo già vinto j e debellerebbe poscia, quando Volesse, anche Àgatocle. Con queste idee in testa egli incominciò a ritirarsi co’ suoi antesignani. dando a’ nemici così tacitamente un vantaggio ; e fatta an­nunziare a’ suoi la morte di Annone , ordinò che in buon ordine si riparassero sopra cert’ altura : chè così giovava. Siccome poi il nemico incalzava, poiché quella ritirata avea tutta l’apparenza di fuga, gli Africani più vicini pensando che i primi squadroni tasserò già sbaragliati, si misero in fuga anch1 essi. Quelli intanto che componevano la coorte sacra , dopo la morte di Annone da principio gagliardamente resistettero, e passando a traverso de’ cadaveri dei loro , sostennero tutto il peso del combattimento ; ma quandò ■ videro che la massima parte dell’ eser­cito era in piena fuga, e si accorsero che il nemico li circondava alle spalle, furono obbligati a cedere.

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Così sbandandosi tutto l’ esercito cartaginese, i Bar­bari s incamminarono verso Cartagine, e Àgatocle dopo averli alcun poco inseguiti, ritornò indietro , e diec(« il sacco al campo nemico.

De1 Greci in quella battaglia morirono dugento no­mini } de1 Cartaginesi non pia di mille : però alcuni hanno detto che questi furono più di milleseicento (i)» Nel campo de’ Cartaginesi, oltre le altre cose, tro- varousi parecchi carri carichi di più di venti mila paja di ceppi ; e ciò perchè stimando quei Barbari di superare facilmente i Greci, s’erano accordati fra loro di prenderne vivi quanti più potessero , e ben legati chiuderli negli ergastoli. Ma il celeste nume , siccome pare a me, quasi espressamente volge in con­trario il successo di chi con superbo animo ardisce fare i conti , e ne rompe le speranze (a). Àgatocle, poscia che ebbe contro 1’ aspettazione sua vinti i Cartaginesi, li chiuse entro le loro mura} e la for­tuna , ia quale alternatamente è solita dopo le stragi recare felici successi , umiliò i vincitori come i vinti» Imperciocché i Cartaginesi in Sicilia, dopo avere vinto Àgatocle in una grande battaglia, assediavano Siracusa j e in Africa rimasto egli in quel grande combattimento superiore ? assediava Cartagine. E ciò,

( 1) Giustino dice , die in (petia battaglia i 'Siculi perdettero da* mila uomini, e tre mila i Cartaginesi.

(2) La storia presenta parecchi latti simili ; ed .è bello il «350 de* superbi Spartani, ai quali, essendo stali battuti contro loro aspettacione , toccò d’ essere incatenai i con quelle stesse catene » che «roano portale seco per legare que’di Tegea»' Vedi Erodoto lib, k

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che è più mirabile , si è che questo principe nella sua isola , avendo intere le sue truppe , avea soc­combuto ai Barbari * e sul continente con una por­zione del suo esercito prodigato rimaneva superiore.

Per la quale cosa i Cartaginesi stimando che tanta calamità venisse loro dagli Dei, si rivolsero al nume con ogni specie di rogazioni * é primieramente ad Ercole, protettore della loro colonia, pensando che fosse in collera con loro. Onde mandarono a Tiro gran somma di denaro, e non poca copia di arredi pre­ziosissimi, perchè come tratti da Tiro ne’tempi passati erano soliti a mandare colà ad 'onore di quel Dio la decima parte di quanto raccoglievano o guada­gnavano ; ma dappoiché s1 erano grandemente arric­chiti, messa in non cale la religione verso quel dio, non mandavamo più che assai poche cose. Ora toccata quella rotta , e caduti in afflizione, vennero a ricor­darsi di tutti gli dei di Tiro ; e tolsero da1 templi i tabernacoli' d’ero mandandoli colà ad onore delle statue di quegli dei per implorare perdono, sti­mando che placata avrebbero più facilmente l’ ira dei numi, se mandato avessero più cospicui doni Do- levansi pure che loro fosse avverso Saturno, dap­poiché invece dei più distinti loro figliuoli che in addietro sacrificavangli, aveano preso a sacrifi­cargli fanciulli compri di nascosto, e di nascosto allevati ; ed infatti esaminata la cosa trovaronsi di questi ultimi alcuni eh’erano già destinati ad es­sere immolati. Adunque percossi da queste coflteide- razioni; reggendo i nemici accampati davanti alla

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città venne loro gran rimorso d’avere in certo modo abbandonati i riti coi quali i loro padri aveano ono­rati gli dei. Per lo che a correggere immantinente l’errore, fecero un grande sagrifizio di dugento fan­ciulli tolti dalle più nobili famiglie ; e non meno di trecento nomini , soggetti a criminali processure , spontaneamente si offrirono alla morte. Avevano i Cartaginesi una statua di bronzo di Saturno, la quale le braccia stendeva sì piegate a terra, che metten­dovi sopra un fanciullo, questo ne rotolava giù piom­bando in una sottoposta voragine di fuoco. Il perchè pare che da questo loro rito prendesse Euripide quanto nella tragedia sua egli ricorda del' sagrifizio della Tauride là ove introduce Ifigenia a rispondere ad Oreste. Egli le domanda :

Poscia cK io sia ucciso, ove aver deggio La tomba ?

Ed essa risponde :

............V*ha caverna ampia sotterra,Che divampa di fuoco ai numi sacro.

E pare inoltre che prèsso i Cartaginesi si confermi con questo rito la tradizione divulgata da antichis­simi tempi presso i Greci, che Saturno toglie di mezzo i proprii figliuoli.

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C a p i t o l o IV.

Astuzia di Amilcare cogli abitanti di Siracusa. Mi­sure che prendono i governatori di 'quella città» Arrivo colà de*messi apportatori della nuova della vittoria di Àgatocle. Amilcare approfittando dell& circostanza fa scalare da suoi le mura di Sira­cusa, ma senza frutto. Nuovi acquisti e nuove vit­torie di Àgatocle in Africa.

Del rimanente seguita in Africa tal mutazione di cose, i Cartaginesi spedirono in Sicilia ad Amilcare perchè al più presto mandasse loro ajuti; ed ebbero l’avvertenza di fargli avere le ferramenta delle navi di Àgatocle. Amilcare accolti ch’egli ebbe i messi, or­dinò che tacendosi della. rotta avuta da’ suoi , si spargesse voce tra i soldati che Àgatocle avea perduto tutto affatto e la flotta e V esercito \ e mandati al­cuni a Siracusa con quelle ferramenta, intimò la resa della città, dicendo che le truppe di Àgatocle erano state esterminate , e le navi incendiate 5 e se vi fosse chi a ciò non prestasse fede, n’ avrebb’ egli data la prova mostrando i rostri. La più parte di quelli eh’ «raoio in città, udito il disastro di Àgatocle, vi pcestò fede : ma i Governanti cercarono di tenere la cosa nascosta, come dubbia, onde non nascesse tumulto, e sbrigarono presto i legati africani ; e in­tanto i parenti, e gli amici degli esuli, e quanti di mal occhio guardavano il Governo cacciarono di città; nè questi furono meno di otto mila. £ per tanta

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moltitudine di gente così all1 improvviso obbligata a sloggiare , è incredibile la confusione , il tumulto e il piagnisteo delle donne ? che si eccitò : nè v’ era casa che in quel tempo non fosse piena di pianto, poiché i fautori della signoria di Àgatocle deplora- vano P infortunio suo e de1 suoi figliuoli*, altri fra i particolari piangevano quelli che dicevansi periti con esso lui; altri erano tristi per quelli che dai focolari loro e dagli dei patrii venivano allontanati : tanto più, che trovavansi nell1 angustia da una parte di non po­ter rimanere pel comando avuto in città , e dal-V altra di non poter restare atteso 1’ assedio che i Barbari ne facevano. E diveniva anche più crudele un tale stato, poiché erano obbligati a condur seco nella fuga i teneri bambini e le mogli. Amilcare però, essendosi volti a lui que1 miseri fuggitivi 3 li ebbe salvi ; indi messo in ordine l’esercito si mosse verso Siracusa, sperando di averla presto in suo potere, contando sullo scarso numero di quelli che v’ erano rimasti dentro , e sull’ effetto che dovea fare ai ri­masti V accennata funesta nuova.

Con tutto ciò mandò prima legati ad Antandro, e a9 suoi aderenti ; offerendo loro sicurezza, se conse­gnassero la città. Allora si radunarono a consiglio tutti i capitani e principali autorevoli : dove dettesi varie opinioni dagli uni e dagli altri, quella di An­tan dro , -uomo di natura effeminato , e tutto fatto al rovescio di suo fratello per quel che fosse ardimento e capacità , fu. di cedere la città a’ nemici. Ma Eri- mnone etolo, datogli per consigliere da Àgatocle, so­

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stenendo un parere contrario persuase a tutti di te­ner fermo' sin tanto clie si fossero avute nuove più accertate. Allora Amilcare informato della risoluzione in cui erano gli oppidani, deliberato di dar P assalto alla città fece mettere ai luoghi opportuni le macchine.

Intanto Àgatocle, dopo la battaglia guadagnata, avea fatto costruire due navi da trenta remi; ed una di esse avea mandata a Siracusa, postivi valentissimi remiganti e Nearco , uno de’ suoi più fidati, incari­

candolo di portare alla città la nuova della sua vit« toria. Avendo essi favorevoli i venti, il quinto giorno alla notte furono a Siracusa, e appena fatto giorno con corone in testa , e cantando il peana, accostarònsi alla città. Le navi cartaginesi, che facevano la ronda, accortesene , prestamente si mossero addosso a co­loro ; e come erano alquanto indietro, nacque gara nel vogare ; sicché mentre gli uni e gli altri forza- valisi, e cittadini e assedienti, veduto il caso , ac­corsero al porto, solleciti gli uni e gli altri de’lo­ro , e colle grida vicendevolmente incoraggiandoli. Ed erano ornai que’ della nave mandata da Àgatocle per soccombere, e ne giubilavano i Barbari, mentre i Siracusani non potendo dar soccorso ai loro, fa- ceano voti agli Dei perchè li salvassero. Erano i Car­taginesi per afferrare l’inseguita nave, quando questa, essendo vicina a terra a un tiro di dardo, toccò ; e coll’ ajuto de1 Siracusani salvòssi. Amilcare veduti gli abitanti accorsi in folla al porto , per la curiosità m che metteali 1’arrivo improvviso di quei messi , pensò che una parte delle mura fosse rimasta senza guardia;

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ed ordinò ai più risoluti de’ suoi che andassero a scalarle. Andarono essi in fatti; e trovatele vuote di guardie, senza che nessuno se ne accorgesse salirono sopra. E aveano già occupato uno spazio frapposto a due torri, quando una ronda di quelle eh’ erano solite a visitare i posti, sopraggiunta in quel luogo vide il fatto. E quindi un combattimento incominciò assai vivo per la folla de’ cittadini che accorsero, i quali impedendo che gl’invasori ricevessero rinforzi, parte d’ essi uccisero, parte precipitarono giù delle mura. E fu di tanta gravità il fatto che Amilcare contristato ritrasse l’esercito dalla città, e settecento uomini mandò in ajuto a Cartagine.

Mentre tali cose succedevauo a Siracusa ? Àgatocle padrone già della campagna andò sottomettendo le castella yicine a Cartagine, e delle città parte gli di diedero per paura, parte unironsi a lui per odio ai Cartaginesi; e messo buon presidio a Tuneto, s’in­camminò verso le città prossime al mare. La prima, che colla forza ebbe , fu Neapoli, a’cui abitanti non­dimeno si mostrò clemente : di là passò ad assediare Adrumeto; e fece alleanza di guerra con Elima, re africano. Udite le quali cose i Cartaginesi portarono tutte le loro forze sopra Tuneto, e preso il campo di Àgatocle, con grande apparecchio di macchine si posero a stringerla fortemente. Àgatocle informato da messi speditigli da non si sa chi della disfatta de’ suoi, lasciò la più parte delle truppe sotto Àdru- meto ; e presa seco la sua guardia, e poca altra partita, andò tacitamente a piantarsi sopra un certo

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tnoote ? dal quale facilmente poteva essere veduto tanto dagli Adrumetini assediati 7 quanto dai Cartai ginesi assedianti Tuneto ; ed avendo fatto alla notte accendere ampii fuochi, diede grande sospetto ai Cartaginesi che volesse muovere contro loro, e agli Adrumetini fece pensare quelle essere nuove truppe destinate a rinforzare l’ assedio da cui erano già stretti. Con tale stratagemma ingannati gli uni e gli a ltri, ebbero gagliardissima rotta : imperciocché gli assediatori di Tuneto ? abbandonate le loro macchine corsero per rifuggirsi in Cartagine 5 e gli Adrumetini sopraffatti da patira si arresero. La cui città con certi patti avuta, Àgatocle andò a Tapso, e colla forza la prese : indi ebbe su quella costa le a ltre , od espugnandole ? o a sé traendole col maneggio. Finalmente fatto padrone di oltre dugento c ittà , de­liberò di fare l’ impresa delle terre della Libia su­periore.

Postosi danqne egli in marcia } mentre già cam­minato avea per parecchi giorni, i Cartaginesi, messe a canapo di nuovo le loro truppe ? ed aggiunte quelle che di Sicilia erano andate ? ritornarono all’ assedio di Tuneto ; e molti popoli, caduti in dominazione de’ nemici, ricuperarono. Laonde giunti ad Agatocle corrieri con lettere di quelli eh’ erano a Tuneto, i quali lo informavano dello stato delle cose di quelle parti, egli subitamente diede addietro ; e giunto a dugento stadii lontano dai nemici, accampato ch’ebbe l’esercito , ordinò* a’ soldati di non accendere fuoco $ anzi postosi nella notte stessa in cammino, sul far

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del giorno diede addosso a quanti de9 nemici fuori del campo sparsi senz’ ordine andavano mettendo a ruba la campagna ; e il fece con tale imjpeto e forza , cbe j i’ ammazzò più di due mila, e molti prese vivi, e con ciò si pose nel caso di fare colpi maggiori in tempo che i Cartaginesi rinforzati dalla truppa giunta loro dalla Sicilia, e dagli ajuti decloro confederati in Africa, riputavansi superiori a lui. Ma dopo quest' ultimo fatto a lui andato si bene, i Barbari si sconfortarono di nuovo : tanto più che riusci ad Àgatocle di vincere in battaglia il re degli Africani, Elima, che lo avea abbandonato ; e lui insieme con grande moltitudine de’ suoi Barbari uo cise. Questo erà allora lo stato delle cose di Sicilia e d’Africa.

C a p i t o l o V.

Imprese di Cassandro. Ostilità, di Tolornmeo contri Antigono. Tentativi di Polisperconte per introdurrà in Macèdonia Ercole figlio di Alessandro. Assas­sinio di JVicocle 3 re de Pqfj in Cipro > ordinato da Tolornmeo, e catastrofe orrenda della famiglia di quél re.

Intanto in Macedonia Cas sandro avendo dato ajuto ad Àtttoìeonte, re de1 Peonii, che faceva guerra co­gli Autariati ; lui tolse dì pericolo, e gli Autariati collocò coi loro figliuoli e le loro mogli, che condii* cevano seco , presso il monte Orbelo 3 e fa quella

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gente in numero di venti mil1 anime (i). P^rò mcn- tr1 egli era occupato in quella impresa, nel Pelopon­neso Tolommeo, capitano d’Antigono , a cui questi avea affidato un esercito, irritato contro il suo prin­cipe perchè noi premiasse a proporzione del suo inerito , gli si ribellò, e fece lega con Cassandro. Avea Tolommeo per vicegerente nella sua satrapia sull1 Ellesponto un fedele amico di nome Fenice; e a costui mandò soldati, e gli ordinò di tener ferme le castellai e città del paese , e sopra tutto di non riconoscere più V autorità di Antigono. Erasi dianzi nella lega fatta tra i grandi capitani di comune ac­cordo stabilito che le città greche si lasciassero li­bere ; e perciò Tolommeo dominante in Egitto , ac­cusando Antigono d1aver messo presidio in varie città greche , per questo motivo gli faceva guerra ; ed avea mandata gente sotto il comando di Leonida nella Gilicia montuosa a4 impadronirsi delle città soggette ad Antigono. Oltre ciò avea spedito alle città dominate da Cassandro e da Lisimaco, acciò mettendosi dal suo partito impedissero che la po­tenza d’Antigono crescesse. Dal canto suo Antigono mandò all1 Ellesponto il suo figliuolo minore, Filippo, onde facesse guerra a1 Fenici, e a quanti altri s’erano

(i) Alcuni hanno scritto, che gli Autariati furono costretti ad abbandonare il loro paese molestali da nna strabocchevole quantità di rane. Bisogna dire che Diódoro riguardasse tale tradizione per favolosa. Però, considerata la popolasione degli Autariati, & da so­spettare che avessero nna buona e particolar ragione per abbandonar» senza contrastq il loro paese nativo.

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ribellati £ e Demetrio mandò in Cilicia. Questi con gran valore eseguendo gli ordini del padre , vinse i capitani di Tolòmmeo, e ricuperò le città che aveano prese.

Nel tempo in cui succedevano queste còse, Polisper- conté , che era nel Peloponneso , accusato di fellonia Cassandro, cercò di ritornare al comando di Mace­donia, e chiamò a sé da Pergamo Ercole, nato di Barsine. Era questi figliuolo di Alessandro, il quale educavasi in Pergamo , ed avea già diciassette anni.

\ Andava adunque Polisperconte tentando con frequenti messi i suoi amici , e quelli che odiavano Cassan­dro , onde introducessero quel giovinetto nel regno paterno ; e scrisse anche alla repubblica degli Etoli, affinchè ponendosi in armi si unissero a lui, pro­mettendo che se lo ajutassero a stabilire nel paterno regno quel principe, avrebbe loro tenuto conto efi tale benemerenza a larga misura. E li persuase di fatto , e cogli Etoli molti altri popoli si mossero per la stessa causa ; così che si mise insieme un esercito di venti mila fanti e più, e di uomini a cavallo non meno di mille. Ai quali apparecchi di guerra Polisperconte aggiunse la raccolta di denaro, e nuovi offìcii ai Macedoni a lui bene affetti, chiedendo che il soccorressero.

Intanto Tolommeo, già divenuto padrone delle città di Cipro, avendo saputo che Nicocl (i) re de’ Pafii avea secreta amicizia con Antigono, spedì

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(i) Questo Nicocle viene chiamato anche JVìcocreonte.

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in Cipro Argeo e Caliicrate, suoi capitani , .con or­dine di togliere Nicocle di mezzo : imperciocché egli temea fortemente che sull’ esempio di colui altri ancora voltassero bandiera. Que’ due capitani giunti nell’ isola, fattasi dare una partita di soldati da Me­nelao , che ivi era generai comandante, circondarono l’abitazione di Nicocle, e comunicatogli l’ordine di Tolommeo , gl’ intimarono cbe avesse a morire. Si mise egli a cercar di purgarsi dall’ accusa 5 ma non essendo ascoltato, finì coll’uccidersi di propria mano. La cui morte intesa da Assiotea sua moglie, essa le sue figlie ancor vergini strozzò perchè non cadessero schiave de1 nemici, e persuase le mogli de’fratelli di Nicocle a morire insieme con lei, tutto che To­lommeo niun ordine contro le donne avesse dato ; ed anzi le avesse dichiarate salve (i). Di tante stragi, e disgrazie così all’improvviso riempiutasi la reggia, i fratelli di Nicocle chiusene tutte le porte, ed attac­cato fuoco al palazzo, si uccisero anch’ essi ; e di tale maniera finì la famiglia de’re Patii, oppressa da codeste tragiche sventure. Esposta la serie di queste cose , siccome avevamo promesso, ora diremo i fatti, che dipoi seguirono.

(i) Pòlieno narra pi& difFusamenle quanto appartiene a questo tratto di storia. Alcuni hanno confusa Assiotea con Brotea. Il di­ligentissimo Vesselingio dà le ragioni di questo scambio. '

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C a p i t o l o VI.35

Guerra nel Ponto tra i figliuoli del re Paris oda.Eumelo ricambia i delitti delt ambizione con ungoverno liberale.

Circa quel tempo, morto nel Ponto Parisada, stato re del Bosforo cimmerio , verniero per la suc­cessione in discordia tra loro i suoi figli, Eumelo , Satiro, e Pritani. Satiro , eh1 era il maggiore di età, avea avuto il comando dal padre , il quale avea re­gnato trent’otto anni. Eumelo si collegò con alcuni Barbari del confine per muover guerra al fratello Del ebe avvisato Satiro, andò contro lui con grosso corpo di gente , e passato il fiume Tapsi, poiché fit vicino all’accampamento nemico, coi carri delle prov­vigioni cinto il suo campo, e messo in ordine di bat­taglia V esercito, si pose alla testa dello squadrone di mezzo, come gli Sciti usano fare. Con lui milita­vano non più di due mila stipendiati reclutati dalla Grecia, ed' altrettanti Traci, ed avea ausiliari più di venti mila fanti, nè meno di dieci mila a cavallo, ed erano tutti Sciti. In ajuto di Eumelo era Àrio- farne, re de9 Traci, con venti mila uomini a ca­vallo , e ventidue mila a piedi. La battaglia, a cui si venne, fu impetuosissima. Satiro che avea seco la più scelta gente , attaccò il combattimento della cavalleria con Ariofame , che gli stava di fronte nel mezzo deir esercito } e dopo che da una parte e dal- T altra molti erano già stati morti, egli facendo vio­

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lentissimo impeto, mise in fuga il re dei Barbari ; e spintosi addosso ai nemici, incominciò a trucidare chiunque se gli faceva d‘ avanti. Poi saputo che suo fratello Eumelo era vincitore nel destro corno, e che i suoi stipendiati s’erano volti in fuga, cessò dall’ inseguire il nemico , e soccorrendo a’ suoi, già sbaragliati , anche da quella parte ebbe vittoria, e tutto l’esercito nemico ruppe e fugò: così che in fine ebbero tutti a vedere che di diritto spettava a lui Ja successione al regno, tanto a cagione d'essere il più attempato , quanto per 1’ egregio suo valore.

Ariofarne ed Eumelo yinti in battaglia andarono a rifuggirsi nella reggia. Era questa situata sul fiume Tapsi (i), il quale girandole intorno , ed essendo ivi assai profondo, ne rendeva l’accesso difficilissimo» Era poi anche circondata da grandi precipizii e da foltissimi boschi; e due soli ingressi v’erano praticati dall’arte ; uno de’quali, che menava dritto alla reggia, era fortificato con alte torri, e con altri propugna­coli; l’altro dalla opposta parte era fra paludi, mu­nito di torri di legno , e di chiostri ; e questi ed altri edifizii ivi piantati sorreggevansi da colonne sorgenti dal fondo dell’ acque. Di tanta fortezza es­sendo il luogo , Satiro da prima si pose a devastare le campagne nemiche, ne incendiò i borghi, e mise insieme gran numero di prigionieri. Poi cercò di pe­netrare pel primo ingresso j ma perduta molta gente nell’ assalto delle torri, e delle altre fortificazioni,

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(i) Alenai più voloalieri leggono Psanti.

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ritirossi ; e Toltosi all’ altro ingresso per le paludi,V impadronì de’castelli di legno ivi eretti. Presi i quali, e passato il fiume, si mise ad atterrare i boschi pe’ quali era mestieri passare per giungere alla reggia. Mentr’egli faceva queste cose il re Ariofarne temendo che' la rocca fosse presa a forza, deliberò di venire al fatto d' armi, non altro che la vittoria potendolo salvare. Distribuì quindi da ambi i lati del passaggio Saettieri, dai quali faceva ferire quelli che tagliavano gli alberi, atteso che questi per la troppo fitta bosca­glia erano in tale condizione che nè poteano vedere le saette tirate contro loro, nè respingere i feritori, nè vendicarsi. In tre giorni ad onta di tanti svantaggi i soldati di Satiro demolirono il bosco , e si aprirono la strada; e nel quarto giunsero sotto le mura dèlia rocca. Però ebbero gran danno per la continua piog­gia di dardi, che cadevano loro addosso, e per 1’ angustia de1 luoghi ; e Menisco , capitano degli sti­pendiati , quantunque fosse uomo di molta intelli­genza e di gran coraggio , spintosi per quell’ingresso gagliardamente sotto le mura, e combattendo co’suoi, da un corpo di nemici che sbucò fuori di gran lunga superiore a quello de1 soldati eh’ egli conduceva, fu obbligato a retrocedere. Tosto però che Satiro il vide in pericolo , fu sollecito ad accorrere in suo ajuto : ma nel mentre che teneva petto a’ nemici che F assaltavano , un colpo d’ asta gli traforò un brac­cio ; e fu la ferita sì grave, che dovette ritirarsi nell’ accampamento 5 e nella susseguente notte morì, tenuto avendo il regno appena nove mesi dalla morte

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di suo padre. Menisco , capitano degli stipendiati, sciolto Passedio della rocca, condusse l'esercito nella città di Gargaza ; e di là portò pel fiume il cada* vere del re a Panticapeo, ov’era Pritani fratello del medesimo.

Questi fattigli funerali magnifici, e depostene le mortali spoglie nel sepolcro dei re , senza perder tempo passò a Gargaza, ov’ebbe e l’ esercito e il principato. Eumelo gli spedì legati proponendo una divisione del regno ; ma egli non l’ascoltò; e lasciato in Gargaza presidio, ritornò a Panticapeo, onde rassodare le cose del regno. Eumelo però assistito dalle forze de'Barbari occupò Gargaza, nè poche altre città e castella ; ed essendosi Pritani mosso coll' esercito contro di lui , venuto a battaglia, vinse il fratello ; ed avendolo stretto entro l 'istmo vicino alla palude Meotide , l’obbligò ad arrendersi, col patto di consegnare tutti i soldati che avea, e colla promessa di parare dal regno. Ma ritornato Pritani a Panticapeo, stata sempre la residenza di tutti i re del Bosforo, ebbe a sostenere col fratello nuova lotta, nella quale essendo rimasto soccombente, mentre cercava di ripararsi fuggendo a certi orti, ivi restò ucciso. Allora Eumelo, morti i fratelli, per assicurarsi meglio sul trono , tolse di mezzo gli amici di Satiro e di Pri­tani, e fino le loro mogli e i figliuoli. Però gli scappò di mano Parisada , figliuolo di Satiro, ch’era ancora giovinetto ; il quale montato a cavallo potè per la somma velocità di questo rifuggirsi ad Agaro, re degli Sciti, Siccome poi i cittadini assai male sof­

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fri vano la strage che Eumelo avea fatta de’ loro pa­renti, egli radunata la moltitudine si’ giustificò dello cose ' commesse , e restituì loro la repubblica dianzi avuta , e dichiarò liberi, com’erano stati in addietro, gli abitanti di Panticapeo , promettendo inoltre di rimettere loro anche tutti i tributi, e per conciliarsi il favore del popolo disse loro le più belle cose del mondo. Di tale m^piera coi benefizii richiamati tutti all’ antica benevolenza, poscia governò giustamente , osservando le leggi ; e riuscì uno specchiò mirabile di virtù.

Imperciocché fu costantemente largo d* ogni con­cessione a1 Bizantini, ai Sinopesi, e ad altri Greci domiciliati sul Ponto. Quando i Callanziani erano strettamente assediati da Lisimaco, e trovavansi in somma angustia delle cose più necessarie, egli ac­colse mille di loro , eh’ erano scappati dalla città per la fame ; e non solo diede loro asilo , ma case an­cora in città: indi concedette loro il borgo di Psoa, e tra essi divise a sorte la campagna. Così ancora a comodo di quelli che navigavano il Ponto, prese a far guerra ai barbari Enochii, e Tauri 3 e agli Achei usi a corseggiare'; e il mare purgò da quanti lo in­festavano. Onde -non solamente nel regno suo , ma, per dir così, per tutto il mondo, ebbe fama gloriosa di re beneficentissimo, perciocché la magnanimità sua dappertutto predicavasi, e si commendava dai mercatanti. Aggiunse poi al suo stato un ampio tratto di paese tenuto prima dai Barbari confinanti ; e diede al suo regtìo uno splendore, che non aveva mai avuto.

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Avea egli stabilito di' debellare tutte le nazioni vi­cine *, e vi sarebbe riuscito in breve, se non fosse prematuramente mancato di yita. Mori egli per im­provviso accidente dopo aver regnato cinque anni e cinque mesi ; e l’accidente per cui morì fu quale siegue. Ritornava egli dalla Scizia al suo regno per fare certo solenne sacrifizio ; ed era portato da una quadriga fornita di quattro ruote, e coperta di una tenda. Era ornai presso la reggia, quando i cavalli spaventati presero violentissimo corso ; e non valendo l’auriga a trattenerli, temendo Eumelo d’essere tra­sportato in certi precipizii, tentò di saltar giù del carro ; ma implicatasi la sua spada in una ruota, per queir impeto medesimo, con cui fa strascinato

'a terra,.fu anche morto.Della fine di Eumelo e di Satiro , alcuni oracoli,

per avventura vani, ma però creduti dagli abitanti 4el paese , sono rimasti nella memoria degli uomini Dicesi, che a Satiro un dio rispondesse di guardarsi da un sorcio, onde non gli desse morte ; e perciò non volle mai seco nè servo , nè alcun uomo libero tra’ suoi sudditi, che portasse tal nome. Avea poi gran paura de’sorci e domestici e campagnuoli ; e a famigli continuamente rinnovava l’ordine, che aves­sero ad ammazzarne quanti più potevano, e a chiu­dere i buchi, da cui sogliono venir fuori. Dopo tutte queste diligenze , per le quali sperava di vincere il destino , terminò la vita per la piaga eh’ ebbe in un muscolo del braccio : dovendosi avvertire che con simile vocabolo si esprìme e il sorcio e il musco­

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lo (i). L’oracolo detto ad Eumelo portava, ancora che si guardasse da casa portatile. Perciò non entrava mai in veruna casa, se prima non ne avea dai famigli fiotto visitare e fondamenti e tetto; Ma quando si vide, che il coperto del carro avea contribuito alla sua morte , ognuno si avvisò che, si fosse veri­ficato l1 oracolo. Ma basti questo per le cose av* venute al Bosforo.

In Italia i consoli de’Romani entrati coll’ esercito nell’Apulia vinsero i Sanniti in una battaglia se* guita presso il così detto Talio} ed avendo i vinti preso posto sopra un colle , da essi detto sacro, i Romani, sopraggiunta la notte , ritiraronsi ne’ loro steccati. Ma il giorno dopo rinnovatasi la. battaglia, assai numero di Sanniti perì, e più di due mila e dugento rimasero prigionieri. Dopo tali vantaggi i Romani erano padroni della campagna, e sottomet- tevansi le città ribelli. Quindi misero presidii in Ca­taratta , e in Ceraunilia, dopo che Y ebbero espu­gnate.

(i) Nella nostra lingua non risalta bene P equivoco , su coi si fonda la verificazione dell*oracolo. Perciò bo creduto necessario in­serire nel testo le parole: dovendosi avvertire che con simile voca­bolo si esprime e il sorcio e il muscolo. Diodoro non avrebbe omessa «ma tale dichiarazione » se in vece di scrivere greco avesse scritto italiano.

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C a p i t o l o VII.4*

Campagna di Tolommeo in Cilicia, e in altre parti. Polisperconte si acconcia con Cassandro, togliendo di vita Ercole d? Alessandro che prima voleva met­tere sul trono di Macedonia. I Cartaginesi vanno per assaltare Siracusa, e sono disfatti còlla presa e morte di Amilcare. Gli Agrigentini si fanno i campioni della indipendenza dei Siculi. Affari dei Siracusani.

Del rimanente venuta arconte in Atene Demetrio Falereo , e consoli creati in Roma Quinto Fabio per la seconda volta, e Gajo Marcio , Tolommeo che regnava nell’ Egitto , avendo veduto come i suoi ca­pitani aveano perdute le città in Cilicia, fatte tra­sportare truppe con unà flotta presso Faselide, espu­gnò quella città. Quindi passato nella Lteia prese a forza la città di Xantó tenuta da un presidio di Antigono ; ed approdato a Catino ? ebbe la città per ispontanea dedizione , e i castelli ben presidiati con­quistò colle armi, avendo abbattuto V Eraclio , e il Persico essendosi arreso. Di poi ito a Gò, chiamò colà Tolommeo , figlio di un fratello di Antigono, che gli avea affidato un esercito, e che non per tanto abbandonato lo zio, erasi messo in lega con Tolommeo. Adunque da Calcide , ove era allora, andato a Cò, da prima Tolommeo P accolse graziosamente ; ma poi osservando in lui un contegno insolente, e come cercava di obbligarsi con regali, e con parole cor*

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tesi gli ufBziali} per la paura che ordisse qualche tradimento il fece mettere in arresto $ indi il co­strinse a ber- la cicuta. In quanto ai soldati che avea , con promesse li trasse a sè , e li mischiò colle altré sue truppe.

In mezzo a questi avvenimenti Polisperconte, ra­dunato, un grosso esercito, conduceva al regno pa­terno Ercole , che abbiam detto figliuolo di Alessan­dro e di Barsine * e mentre egli era accampato presso la città di Stimfea, gli venne addosso col suo eser­cito Cassandro. Come poi i due campi non erano molto lontani l’uno dall’altro, nè i Macedoni erano indifferenti al ritorno del loro re, Cassandro temendo che proclivi per naturale a nuove cose fuggissero ad Ercole, mandò ambasceria a Polisperconte, pres­sandolo a ben informarlo intorno al re , dichiaran­dogli che se veramente intendeva d’installare il r e , egli era pronto a fare quanto gli venisse comandato; che se poi mettendosi dal partito suo avesse tolto di mezzo quel giovinetto, in Macedonia avrebbe avuto lo stato di prima ; e di più con accrescimento di truppe sarebbe stato fatto comandante supremo d’armi nel Peloponneso, e sopra tutti nel principato di Cas* sandro onorato e distinto. E tanto disse, poi e tanto promise, che trasse Polisperconte a fare se creta lega con esso lu i, e lo indusse a far morire proditoria­mente il re. Tolto adunque di mezzo il giovinetto, Polisperconte apertamente trattò con Cassandro di tutti gli affari ; ebbe in Macedonia grandi tenimenti, e giusta i patti stipulati quattro mila fanti macedoni,

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e cinquecento Tessali a cavallo. Ed avendo costui reclutati altri volontari! , tentò di passare per la Beozia nel Peloponneso. Ma gli si fecero contro Beozii é Peloponnesii, e dovette retrocedere,'andando poscia a svernare presso i Locrii.

Mentre succedevano queste cose Lisimaco edificò nel Gbersoneso una città dal nome suo chiamata Lisimàchia. Morì poi Cleomene re de’ Lacedemoni, stato in carica sessant’ anni e dieci mesi ; al quale succedette Areo, suo figliuolo, che tenne il posto quarantaquattro anni.

In questo stesso tempo Amilcare, comandante delle truppe in Sicilia, ridotti sotto la signoria cartaginese gli altri luoghi dell1 isola , mosse verso Siracusa come se volesse espugnarla per forza. Ed in vero le im- pedi l’ introduzione dei viveri, essendo da lungo tempo padrone del mare , ed avendo devastate tutte le messi del territorio. Adunque si mise ad occupare i luoghi posti intorno airOlimpio in faccia alla città; ed avea stabilito di spingere a primo tratto le sue truppe presso le mura, fidato nella predizione di un indovino , il quale osservate le viscere delle vit­time lo avea assicurato che il giorno appresso senza alcun dubbio avrebbe cenato in Siracusa. Ma gli abitanti, penetrato il disegno del nemico , • manda­rono fuori la notte tré mila fanti e circa quattrocento cavalli, con ordine che occupassero l’Eurielo : il quale ordine prestamente fu eseguito. I Cartaginesi intanto tenendo che il nemico nulla sapesse del loro disegno, uscirono a prima notte dal campo.

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I}ra alla testa di tutti. Amilcare con tutta la sua guardia : dietro gli veniva Dinocrate , comandante della cavalleria 5 tutta l’infanteria era divisa in due falangi 7 una composta di Barbari , 1’ altra di Greci che, aveano unite le armi a quelle de’ Cartaginesi : veniva poi senza alcun ordine una moltitudine di varie genti ingorde di preda, le quali non avendo alcuna disciplina, sogliono spessissimo non far altro che suscitare tumulto, .e mettere paura nell’esercito: d’ónde nascono gravissimi inconvenienti e danni. E in quella occasione , in mezzo a strade anguste ed aspre, i bagaglioni e 1’ altra ciurmaglia che seguiva 1’ esercito alla rinfusa , incominciarono a contendere per avere il passo; e per gl’intoppi recati dalla folla alcuni vennero anche tra loro alle mani. In quel trambusto per tutto 1’ esercito s’alzò grido e tumulto assai forte ; e i Siracusani , che già erano appostati all’ Eurielo , veduto in che confusione i Barbari cam­minavano ? siccome. teneano luoghi alti, assaltarono impetuosamente i nemici, chi da quelle alture man­dando loro addosso nembi di dardi, chi collocatisi nelle gota della strada serrando loro il passo , chi obbligando i fuggiaschi a precipitarsi dalle rupi. La not­turna nebbia ancora, e l’ignoranza del sito facevano che si credessero ivi i Siracusani venuti con gran forza per sorprendere 1’ esercito. Per la qual cosa i Cai*- taginesi, stretti dal tumulto de’ loro , e dalla pre­senza de’nemici , e più ancora dal non conoscere le strade, e dall’ angustia di esse , dopo alcuna esita­zione finalmente si posero in aperta fuga. E perchè

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lo spazio per uscire di quelle strette era poco, una parte ben numerosa venne schiacciata dalla propria cavallerìa, una parte, in mezzo alle tenebre della notte , prendendo i suoi per nemici, combatteva coi medesimi, e per conseguenza si ammazzavano e si ferivano tra loro medesimi. Amilcare in sulle prime facea fronte gagliardamente all’ assalto, e andava esortando le sue guardie a sostener con valore il comune perìcolo. Ma poscia abbandonato dai soldati presi da troppo turbamento e da paura , fu anche assai che cadesse vivo tuttora nelle mani de’Sira­cusani.\ E qui non senza ragione potrà notarsi 1’ inegua­

glianza della fortuna, e i bizzarri casi che succedono agli uomini, in tutto contrarii a quanto essi s’aspet­tano. Imperciocché Àgatocle, uomo per maschio va* lore a nissuno secondo, fornito di grand’esercito che combatteva per esso lui ad Intera, non solamente ebbe a succumbere al paragone dei Barbari, ma a perder pur anco colla massima parte dell’ esercito il maggior nerbo di sua possanza. Qui per lo contrario un pugno di uomini già vinti, i quali erano stati da lui lasciati in Siracusa, non solo vinsero P eser­cito de’ Cartaginesi, che li assediavano ; ma presero vivo Amilcare , supremo comandante , riputatissimo presso i suoi. £ ciò che sopra ogni altra cosa fa meraviglia, ai è che Con uno stratagemma ajutato dalla natura del luogo un piccolissimo numero di pernici interamente sbaragliò quaranta mila uomini a piedi, e seicento a cavallo ) onde fia giustificata

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il volgar detto ; clic la guelfa ha i suoi capricci* Dopo quella fuga i Cartaginesi che si erano sparsi qua e là , a grande stento poterono riunirsi il di vegnente. 1 Siracusani intanto ritornati in città con inerosissime spoglie d’ogni sorta ? consegnarono A* milcare a quelli eh’ erano bramosi di martoriarlo ; tanto più che andavasi ripetendo la predizione fa­mosa dell’ indovino , il quale gli avea detto che al- l’indomani avrebbe cenato in Siracusa ; e la verità del presagio sarebbe dal nume comprovata. Adunque*, i' parenti di tanti Siracusani uccisi condussero per tutta la città, carico di catene , Amilcare ; e dopo averlo con ogni maniera di crudelissime pene tor­mentato , .con estrema contumèlia il trucidarono. I Governatori poi della città, fattogli tagliare la testa , per alcuni messi la spedirono ad Àgatocle, e man- darongli la nuova della vittoria (i).

Dopo quella rotta 1’ esercito de’Cartaginesi, anche quando ebbe saputo come avvenuto gli fosse tanto disastro , potè appena finalmente riaversi dallo spa­vento. £ come mancava il comandante supremo,

(i) Cicerone nel libro x della divinazione parla di questo fatto cosi : Sta scritto nella storia che ad Amilcare cartaginese, mentre assaltava Siracusa parve di udire una voce, la quale gli diceva che la sera appresso avrebbe cenato in Siracusa. ■Ma giunto giorno nacque nel suo campo gran sedizione tra i soldati Peni e Siculi : del che accortisi i Siracusani alT improvviso piombarono sul campo nemico , e portarono via vivo Amilcare. Così il fatto giustificò il sogno. Valerio Massimo ba ripetuto il raccoulo di Cicerone- Ma quello di Diodoro ha maggior probabilità; ed ognuno sa conte negli eserciti degli Antichi gl’ indovini ebbero sempre gran posto.

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nacque lite tra i Barbari e i Greci j e questi unita­mente ai fuorusciti diedero il comando a Dino era te; e i Cartaginesi ebbero a capi quelli , che in grado venivano dietro al comandante supremo. Fu in quel tempo j che veggendo gli Agrigentini, dallo stato nel quale erano le cose di Sicilia , come fosse facile alzar la testa? presero ad attribuirsi il p rincipato dell’isola. Facevano essi il conto che i Cartaginesi non erano in caso di sostenere la guerra contro Àgatocle ; . che Dinocrate non avendo seco che una ciurma, di fuggitivi, agevolmente soggiogherebbesi e che i Siracusani oppressi da gravissima carestia , meno d’ogni altro sarebbero stati tentati a preten­dere di soprastare. Finalmente lusingavansi che pren­dendo eglino le armi per liberare le città, tutte di buona voglia sarebbonsi acconciate con essi e per F odio che portavano ai Barbari, e pel naturai de­siderio d’indipendenza , che si. potentemente parla a tutti. Così ragionando si creano per capitano Seno- dico j e datogli un buon esercito, il mandano fuori. Egli si portò immediatamente a Gela, ed accoltovi di notte da varii suoi amici , si fece padrone della città , delle forze militari e delle casse pubbliche. Messi pertanto per quel fatto i Geloi in libertà, con quanti avevano cittadini istrutti nelle armi si colle­garono con esso lui, e gli si unirpno per liberare senz’ altro indugio le rimanenti città. Ed infatti sa­putosi appena1 il disegno degli Agrigentini nell’iso­la , incontinente in tutte le città entrò la smania di essere libere ; e gli Ennei, pei primi, spedirono le*

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gali agli Agrigentini, mettendo la loro città a devo­zione di questi ; e dichiarati liberi gli Ennei, anda­rono ad Erbesso presidiata da notabile forza, e ve­nutosi alle mani coi soldati che la tenevano, nel che furono utili gli oppidani che agli Agrigentini si unirono, la guarnigione fu vinta, e molti d’essa ri­masero morti : i rimanenti eh’ erano da cinquecento , messe giù le armi si arresero.

Mentre gli Agrigentini erano occupati in questa im­presa , alcuni di que’ soldati, che Àgatocle avea la­sciati in Siracusa, presa Echetla misero a ruba i territorii leontino e camarinese. E fu gravissimo questo danno per gli abitanti, grande essendo statoil saccheggiamento, e tutte le messi guaste. Perciò andato a quella volta Senodico, cacciò quanti erano nemici in que’ territorii, e preso il castello d’ Ef chetla , quantunque : ben fortificato e presidiato, il governo popolare restituì ai cittadini de’ due paesi, e mise in forte pensiero i Siracusani. Oltre ciò pei varii luoghi scorrendo , quante guarnigioni e quante città aveano magistrati cartaginesi, tutte sollevò , e fece libere.

I Siracusani intanto continuavano ad avere gran penuria di viveri; ed avendo saputo che alcune navi piene,di frumento cercavano di approdare alla loro città, allestirono venti triremi, giovandosi della negli­genza dei Barbari, i quali posti in istazione nelle viciqe acque poco stavano all’ erta ; e non accorgendosene questi, quelle triremi uscirono , e giunte presso i Me­garesi, ivi stettero aspettando l’arrivo de’mercatanti.

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Non rimasero però a lungo cheti i Cartaginesi: chè an­darono con trenta navi addosso a quelle triremi. Que­ste da principio presero a misurarsi co’nemici; se non che poi spinte a terra , gli uomini che le montavano salvaronsi a nuoto ad un certo tempio di Giunone. Ma i Cartaginési inseguivano quelle triremi, e vio­lentemente assaltandole , - e cercando d’ afferrarle , quantunque fossero già messe a terra, uè presero dieci ; nè le altre furono salve se non perchè venne gente di città in ajuto» E questo era allora Io stato delle cose in Sicilia.

C a p i n o l o VOI.

Costernazione de’ Cartaginesi per la rotta e morte di Amilcare. Grave rischiò in cui tròvasi Àgatocle messo in arresto dal suo esercito. Ma se ne libe­ra, e batte i Cartaginesi. Guerra de' Romani cogli Etruschi éd i Sanniti. Imprese del censore Appio Claudio.

Nell’Africa Àgatocle , giuntivi coloro che gli re­cavano la testa di Amilcare, egli ricévuta che l’ebbe, postosi a cavallo corse sì presso l’accampamento dei nemici, che poteva la sua voce intendersi ; e mo­strata quella testa (i) annunciò come le truppe loro erano state rotte. Dolore acerbissimo arrecò ai Car-

(») Ad imitazione di Àgatocle, secondo che riferisce Tito Livio il console Claudio fece gittare inoaazi agli accampamenti de* nemici la testa di Asdt-ubale » che con assai cara ì&vea conservata.

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«tagincsi tal fatto ; e secondo l’ uso de9 Barbari ado­rata quella testa, e tenendo per calamità propria la morte del re, niuna lena .sentironsi per continuar* la guerra. Per lo contrario incoraggiato Àgatocle dai successi avuti, per tanta prosperità di cose alzavasi a grandi speranze, quasi vinti già avesse tutti i rischi possibili. Ma la fortuna non permise che durasse tal ordine di favorevoli cose; e dal canto de’proprii suoi soldati creò a quel principe nuovi e sommi pericoli. E incominciò il rovescio dal fatto di un certo Licisco, uno de’capitani che avea seco, il quale invitato da lui a cena, ove fu riscaldato dal vino, incominciò a dire mille vituperii di lui. Àgatocle tenendolo in gran conto per gli affari di guerra, cercò di mettere in ischerzo la cosa : ma non così fu di Arcagato suo fi­gliuolo , il quale alle contumeliose parole di colui ri­spose con altrettante contumelie, e con minacce. Or finita la cena , e ciascheduno tornando alla sua tenda , Licisco prese Arcagato a parole , ed ingiuriosamente gli rinfacciò l’incestuoso adulterio colla madrigna: cor­rendo infatti voce eh’ egli avesse nascosti intrighi colla moglie del padre, chiamata Alcia. Allora il giovane tanto più si riscaldò , sicché presa un9 ala­barda di mano d’ una delle guardie, gli diè tal colpo in un fianco, che Licisco cadde subito estinto. 11 morto da que’ che gli stavano intorno fu portato nella sua tenda; e la mattina appresso gli amici suoi, e molti soldati presi da sdegno, misero a ru* more tutto il campo ; e molti tra i capitani , i quali trovavansi avere pulì’ anima non pochi delitti, presi

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da timore per loro medesimi , colta 1’ occasione, chef presentavasi , eccitarono grande sollevazione ; cos\ che istigato tutto 1’ esercito per 1’ odio al commesso fatto , ciascheduno, prese le armi, e si mise a do­mandare la morte dell’omicida. E fu difatti comune deliberazione quella di toglierlo di vita., dichiaran­dosi , che se Àgatocle non avesse consegnato il fi­gliuolo , pagherebbe la pena egli medesimo : indi ag-- giunsero la domanda delle paghe dovute ; nomina­rono capitani che dovessero comandare nel campo ; e infine occuparono le mura di Tuneto , e misero guardie dappertutto intorno ai principi.

Venuta a’ nemici la notizia di questa sedizione, i Cartaginesi mandarono alcuni de’loro a tentare quei soldati sicché volessero passare alla loro parte, pro­mettendo più grosse paghe, e regali cospicui; e molti tra i capitani diedero parola di condurre a loro l’e­sercito. Àgatocle vedendo ridotta a un filo la sua salvezza, e temendo d’essere dato vivo in mano dei nemici, e d’ avere a finire ignominiosamente, deli­berò secò stesso che se avesse a perire, meno male sarebbe perire per mano de’ suoi soldati. Per la quale cosa deposta la pórpora, e vestitosi di plebeo e vile abito, presentossi alla turba, e per la novità stessa della cosa tacendo tutti, e da ogni parte accorrendo, egli tenne un discorso qual con­veniva alla circostanza ; in cui ricordato quanto sina allora avea fatto , disse' essere pronto a morire, se a* suoi commilitoni ciò paresse dover essere : per ti­midità non essere egli mai per f a r e n è per amore

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aeiia vita soffrire cosa indegna di sé. Ed aggiungendo che della verità di tale proposto suo ne sarebbero eglino stessi testimoni > sguainò la spada in atto di trafìggersi. Ed era già sul punto di farlo ? quando. una .voce generale s’ alzò dall’ esercito , perchè ciò non facesse , dichiarandosi lui assoluto dall’ occorso caso. Ed avendogli la moltitudine imposto che rive­stisse il regio abito ? egli con grandi lagrime rin­graziò tutti y e si coprì ancora delle convenienti vesti j e la moltitudine il consolò col lieto applauso con cui il rimise nel pieno suo stato di prima.

Intanto i Cartaginesi stavano in aspettazione che da un momento all’altro i Greci passassero a loro 5 e Àgatocle , non perdendo 1’ occasione propizia , trasse contro loro l’esercitò. Fidati essi nello spe­rato passaggio di quell’ esercito alla loro parte, non pensarono, a quanto allora di fatto accadeva 3 ond’è, che Àgatocle all’ avvicinarsi ai nemici ? fatto suonare l’inno della battaglia, e spintosi contro di loro , di essi fece grandissima strage. Oppressi da questo im* pensato accidente i Cartaginesi ? lasciati molti def loro sul campo , rifuggironsi negli steccati. Di tale maniera Àgatocle per la inconsideratezza del figliuolo caduto in estremo pericolo, colla virtù sua non so­lamente salvò se stesso dalla mina, ma sbaragliò anche i nemici. Coloro intanto, che eccitata aveano la sedizione, e quelli eh’ erano di mal animo versoil principe (e furono più di dugento) vituperosamente disertarono passando ai Cartaginesi. Noi spedite le cose d’Africa e di Sicilia, diremo quanto seguì in Italia.

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I Tirreni aveano coll' esercito assaltata Su tr i, co­lonia de' Romani * ed essendo i consoli accorsi per difenderla con un grosso corpo di truppe , vinsero i Tirreni in battaglia, e gl1 inseguirono fino ai loro trincieramenti. Intorno al qual tempo i Sanniti , ve­duto l’esercito romano assai lontano dal loro paese, andarono senza alcun timore a guerreggiare 1 Japigii devoti ai Romani. Per lo che i consoli furono co­stretti a dividere l'esercito. Fabio adunque restò a far fronte ai Tirreni ; e Marcio ito contro i Sanniti , prese la* città di Alifa, e liberò gli alleati dalla in- vasione nemica. Fabio frattanto, veduta la gran mol­titudine dei Tirreni accorsa contra Sutri , senza che

y 7i nemici se ne accorgessero , passando per le terre de’ vicini popoli, fece una gagliarda irruzione nella Etruria superiore, paese da lunghissimo tèmpo non stato travagliato da incursioni nemiche ; e giunto colà improvviso tutto il territorio saccheggiò quanto era. lungo e largo, sbaragliò gli abitanti che gli si fecero incontro , e molti ne uccise, e molti pure ne fece prigionieri. Indi in una seconda battaglia battuti ancora gli Etruschi, e molti uccisine, quella na­zione spaventò; e fu il primo fra i Romani che con esercito s’ inoltrò in que1 luoghi. Fece poi tregua co­gli Aretini^-coi Cortonesi, e coi Perugini; ed espu­gnata Fiesole, obbligò i Tirreni ad abbandonare 1* assedio di Sutri*

In quell1 anno furono creati in Roma i Censori, uno <e’ quali, Ap^io Claudio , secondato ,dal suo collega Gajo Plausi©, molte istituzioni antiche abro»

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gò ; assai favorendo la plebe , e mun riguardo fa­cendosi del Senato. Costui primieramente Vacqua d a . lui detta Àppia condusse sino a Roma per- un tratto di ottanta stadii, togliendo per questa spesa una gran somma di denaro dall’ erario 3 senza alcun ordine del Senato. Indi il tratto maggiore della strada, simil­mente detta Àppia da èssò lui, selciò di pietra viva da Roma fino a Capua per la lunghezza d’oltre mille stadii, con grandissima spesa demolendo tutte le al« tu re , che vi s’ incontravano, e chiudendone tutte 1» cavità, e^ li scavi. Così vuotò l’ erario ; e per opere di comune benefìzio lasciò di sè memoria immortale. Temperò anche l’ordine senatorio in quanto non so­lamente scelse a formarlo le persone nobili, e per dignità distinte , com" era l’ uso ; ma introducendovi ancora plebei e libertini : cosa, che coloro , i quali vantavano nobiltà patrizia, soffrivano di mal cuore. Oltre ciò diede libertà a' cittadini di farsi mettere nel censo ovunque loro piacesse p iù , e di farsi ag­gregare a quella tribù che volessero. Pel qual fatto veggendosi presso i nobili venuto in grande odiosità, contro questi si premunì col favor della plebe ; nè incontrò biasimo per parte degli altri cittadini. Nella rassegna de* cavalieri non levò il cavallo a nessuno: in quella de’ senatori non tolse di posto nessuno degl’ indegni, come gli altri Censori ebbero costume di fare. Però i consoli per mal animo , e volendo rendersi grati alla nobiltà, convocando il Senato, non aveano riguardo alcuno a quelli eh’ egli avea scelto, ma sivvéro a quelli, che seelto aveano i

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Censori passati ; e la plebe intanto a quelli opponen­dosi 9 spalleggiava la causa di Appio. Egli poi per dar più peso alle novità introdotte y alla carica d1e- dile y la quale era la più illustre di tu tte , inalzò certo Gneo Flavio y figliuolo di un liberto ; e fu co­lui il primo tra Romani y che nato di liberto conse­guì quella dignità. Finalmente rinunciato al magi­strato , temendo l7 odiosità del Senato, e fingendosi cieco si teneva chiuso in casa.

C a p i t o l o IX.

Escursione di Tolommeo sulle coste del Peloponneso. Assassinio di Cleopatra. Nuova vittoria di Aga- tocle sui Cartaginesi. Sua lega con O ff ella , re di Cirene. Marcia di questo principe. Serpenti delle Sitti, e caverna di Lamia. Unione dei due eserciti. Ma Àgatocle assalta Ojfella che perde la vita , e fa suo V esercito di lui.

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Era fatto arconte in Atene Carino 9 e il consolato romano era stato conferito a Pubblio Decio , e a Quinto Fabio \ e presso gli Elei celebravasi la cento- diciottesima olimpiade , in cui fu vincitore Apollo- nide tegeate, quando Tolommeo navigando da Mindo coll1 armala per le isole, nel passar suo liberò An­dro y toltone via il presidio che la teneva ; indi ito all1 istmo, da Cratesipoli si ridusse a Sicione, ed a Corinto. U perchè quelle illustri città si assoggettas- serOj da noi è stato detto ne1 libri passati ; nè giova

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ripeterlo. Tolommeo s’avea proposto di restituire la lTfeèrtà anche alle altre eittà della Grecia, sperando che la benivolenza de’ Greci avrebbe molto avvantag­giate le cose sue : ma essendo accaduto , che ordi* nato avendo egli ai Peloponnesii di somministrargli frumento e denaro , nulla fecero di ciò } quel pria» cipe del loro contegno sdegnato scese a far paee con Cassandro col patto che ognuno di loro ritenesse in poter suo le città che avesse. Quindi ben presi- diate Sicione e Corinto , passò in Egitto.

Mentre accadevano queste cose, Cleopatra, nemica ad Antigono , piegòssi verso Tolommeo , e parti da S ard i, onde trarsi a lui. Era essa sorella di Ales­sandro debellatore de7 Persiani, figlia di Filippo di Aminta , e moglie di quell’Alessandro, che avea fetta r impresa d’Italia. Ond’ è che rimasta vedova, a ca­gione della nobiltà sua ambivano d’averla in isposa Cassandro, Lisimaco , e Antigono, e Tolommeo, ed ogni più illustre capitano. Imperciocché siccome ognuno sperava che i Macedoni avrebbero avuto pel matrimonio di lei un grande riguardo , e chi la spo­sasse sarebbesi in certo modo innestata nella famiglia reale ) così per tal modo lusingavansi di trarre a sé le ragioni dell’ imperio. Ma il governatore di Sardi, a cui Antigono avea commesso di ritener ivi quella principessa, si opponeva alla partenza sua ; e per ordine dello stesso Antigono , servendosi dell7 opera di alcune donne, fraudolentemente la fece morire. Però Antigono non volendo rimanere macchiato di quella morte, alcune di quelle donne fece ammazzare

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coirle ibsidiatrici della vita di Cleopatra, e a questa fece celebrare splendidi funerali con regia magniti- cenza. Tal fine ebbe quella principessa, a gara am­bita in isposa da tanti nobilissimi capitani, prima che le nozze sue si conchiudessero. Noi Esposte le cose dell'Asia e della Grecia, diremo quelle, che riguar­dano le altre parti del mondo.

In Africa i Cartaginesi aveano mandato un esercito nel paese dei Numidi per richiamarli alla loro signo­ria , dalla quale s’erano sottratti. Laonde Àgatocle, lasciato il figliuolo Arcagato con una porzione del­l’esercito presso Tuneto, con un corpo de7 più valo­rosi de’ suoi, composto di tre mila seicento fanti, ed ottocento cavalli, e con cinquanta carri africani a marcie sforzate inseguì il nemico. I Cartaginesi intanto giunti presso que’ Numidi che chiamansi Sufoni y unirono a sè molti di quegli abitanti ; ed alcuni an­che de9 ribellatisi poterono richiamare alla primiera devozione. Udito poi, che il nemico appressavasi, essi si accamparono sopra un’ altura chiusa da canali di acque, profondi e difficilissimi da passare ; e così trincierati si ppposero all1 improvvise scorrerie che potesse fare, ed ordinarono che i più svelti tra iNu­midi si mettessero alle spalle de.’ Greci, e col continuo pizzicarli ne ritardassero la marcia. Ai quali ubbidienti agli ordini, Àgatocle oppose i suoi saettieri e frofn- bolieri ; ed egli colle altre sue truppe andò diretta- mente al campo de’nemici. I Cartaginesi veduto il partito* eh’ egli prendeva, uscirono fuori del cafnpo, e postisi in ordine di battaglia 3 si mostrarono prónti

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ài combattimento. Veduto però che i soldati di lui stavano passando il fiume,con un ben ordinato squa- droné li assaltarono ; e nel sì difficile passaggio co­gliendoli , ne fecero grande strage. Somma valentìa mostravano i Greci insistendo nel passaggio ; e i Bar»

«bari aveano il vantaggio a cagione della moltitudine, in tan to } mentre da una parte e dall’ altra assai vi*

. vamente e per lungo tempo si combatte , i Numidi si arrestano, aspettando di vedere quale fia l’ esito della battaglia per correre al campo de1 vinti , e far bottino. Finalmente Àgatocle con quelli che aveva presso di sè valorosissimi sopra tutti , pel primo pe­netrò entro gli squadroni oppostigli, e colla fuga di questi fece che anche gli altri Barbari volgessero la schiena. I soli Greci a cavallo, militanti coi Caiv ta^inesi sotto la condotta di Glinone , sostenevano F impeto gagliardissimo de’ soldati d’ Àgatocle ; e fie­ramente combattendo , per la maggior parte ebbero a restare sul campo, e gli altri non si salvarono che per miracolo.

Allora Àgatocle desistendo dall1 incalzar questi r si voltò con furia contro i Barbari, che si erano ripa* rati ne? loro trincieramenti ; e mentre tentava d1 a- vanzarsi per luoghi aspri e di difficilissimo accesso, egli ebbe tanta perdita d’ uomini, quanta per avven­tura ne cagionava ai Cartaginesi. Non per questo peraltro temperò l’ardor suo; chè anzi animato dalla vittoria riportata, vie più vivamente incalzò il ne­mico , sperando di espugnare gli steccati. Trattanto i Numidi j che stavano a vedere qual fosse il fine

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della battaglia,non poterono gittarsi addosso alle ba­vaglie de’ Cartaginesi perchè 1’ uno e F altro * esercito combàtteva troppo vicino al proprio campo. Presero adunque Y occasione , in cui Àgatocle erasi distac­cato dal suo avanzandosi olire ) e sapendo che questo non aveva difensori, vi si cacciarono dentro con im­provviso assalto, e con somma facilità uccisero quanti pur vollero fare resistenza , e fecero schiavi e bot­tino enormemente. U che saputosi da Àgatocle, presto diede indietro, e molte cose delle rubate ricuperò : nondimeno i Numidi portarono via il p iù , e col fa­vore della notte si sottrassero, allontanandosi. Aga- tocle, alzato il trofeo, le spoglie de’ nimici divise tra i suoi soldati , onde con minor dolore ognuno sopportasse il danno di quanto aveva perduto ; e i prigionieri greci, i quali aveano combattuto coi Car­taginesi , serrò in un castello, dove essi temendo che quel principe si vendicasse , di notte assaltarono la guarnigione : ma nel combattimento rimasero su­perati } e ritiraronsi in un certo lubgo forte in nu­mero non meno di mille, fra i quali erano cinque­cento Siracusani. Àgatocle andò coll1 esercito colà ; e dopo una convenzione giurata, traendoli t di quel luogo , li fece trucidar tutti.

Sbrigatosi di questa battaglia, veggendo che altre misure voleanvi per giungere a soggiogare i : Carta­ginesi , mandò suo ambasciadore ad Offella in Ci­rene Ortone siracusano. Era Offella uno di quelli, che militato aveano con Alessandro, e padrone già di Cirene, e delle prossime città ; avendo, un buon

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esercito , mirava a farsi un più esteso principato. Es­sendo adunque pieno di questi pensieri gli capitò T ambasciadore di Àgatocle, dicendogli, che ove u- nire volesse le sue forse per debellare i Cartaginesi, in ricompensa avrebbe avuto il dominio dell’ Africa j di che Àgatocle lo assicurava, tenendosi egli con­tento della Sicilia, poiché libero da’pericoli prove- mentigli per la parte de’ Cartaginesi, non dubitava di averla tutta in suo dominio. Che se amasie di ampliare di più la sua signoria,l’Italia eragli presso, e in ogni caso sarebbesi volto a questa : tanto più che l’Àfrica era dalla Sicilia separata per un mare vasto e difficile j n è , se v’ era allora venuto , cupi­digia di Stato lo ( ave va a ciò indotto , ma sola ne­cessità. Offella, poiché tale prpferta acconciavasi pie­namente alle sue idee , volentieri annuii j e mandò per far léga cogli Ateniesi, attesoché aveva sposata Eutidica ( i ) , figliuola di un Milziade, che il nome suo diceva trarre da quello si rinomato capitano de’ vincitori a Maratona. E per le relazioni di questo matrimonio, e per molte prove date di benevolenza, egli- era sempre stato ben accetto agli Ateniesi in ge­nerale , e parecchi d’essi propendevano a prendere parte in quella guerra. Non pochi ancora degli altri Greci cercavano d’ unirsi a lui in questa impresa, pieni di speranza di potere dividersi una porzione floridissima d’Africa, e guadagnare le ricche spoglie de’ Cartaginesi : tanto più che allora in Grecia sta­

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ti) Plutarco chiama questa donna Euridice.

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vasi assai male per le tante guerre e discordie dei principi, per le quali ih paese eraridotto in miseria. Combina vasi adunque ad un tempo V occasione tanto di fare fortuna, quanto di togliersi dalle angustie presenti.

Offella, messo in ordine quanto alla spedizione occorreva, entrò in campagna con più di dieci mila fanti e con seicento uomini a cavallo j ed avea cento carri provveduti d*oltre trecento tra guidatori e sol­dati combattenti sui carri. Altri dieci mila uomini ancora avea di straordinarii ; e molti fra questi con­ducevano seco figliuoli e mogli e grandi bagagli, a modo che quell' esercito avea V aspetto di una co­lonia. In diciotto giorni questa massa di gente fece tre mila stadii di strada ; e andò a mettere il campo presso Automala. Ivi incontravasi dna "montagna da ambe le parti scoscesa, ed avente in mezzo una pro­fonda valle , dalla quale vedeasi sorgere in forma di acuminato ed ertissimo scoglio una pietra, alla cui radice fuvvi una spaziosa caverna ombreggiata da ellera e da' fogliami di tasso ; e raccontasi, che in quella facesse suo soggiorno la regina Lamia, donna di egregia bellezza 5 il cui volto però per la ferocia sua in appresso vuoisi che fosse trasformato in sembianze di bestia. £ della ferocia di lei raccon­tasi questo, che mortile tutti i figliuoli, fu presa da inesplicabil dolore- ed invidiando alle altre donne la felicità, di cui essa era stata privata, ne faceva dalle loro braccia strappare i bambini, ed ammaz­zare. Ond’è che anche a tempo nostro rimane presso

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i ragazzi la memoria di quella donna ; e il nome di lei mette in essi terrore (i). Aggiuntesi poi che avendo contratto Fuso di ubbriacarsi, avea data fa*, colta a ciascheduno di fare checché mai volesse, senza timore d’averne processo : laonde non ponendo attenzione veruna a quanto nel paese facevasi, fu creduto eh’ essa non vedesse j e perciò favoleggiavano alcuni che gittati avesse gli occhi m un cofano] cosi dalla negligenza sua, per l’abuso del vino, nelle cose del governo , prendendo occasione di simboleggiare nna specie di ideale cecità. Ohe poi in Africa fosse stata costei9 potrebbe citarsi in autorità Euripide, il quale dice :

, Chi fia che il detestato dai mortali Infamissimo nome 9 e t empia stirpe D eir africana Lamia non conosca ?

Del resto Offella postosi alla testa dell’ esercito con grande stento marciava per una strada priva d’ac­que ed infestata da fiere $ e come il paese era privò non solo d’ acqua ? ma di ogni genere di alimento secco (a), fu in pericolo di vedersi perire tutto l’e­sercito. Aggiungevasi, che i deserti, pei quali pas* sava vicino alle sirti 9 pieni erano d’ ogni specie

(1) Nulla è più comune presso gli antichi scrittori greci » che la menzione di questa Lamia , che i nostri padri credenzoni avrebbero detta la regina delle streghe.

(a.) Teofratto conferma il fatto parlando del loto di que* tooghi JT quest* albero , die* egli, ivi frequentissimo 9 e d i motto fru ito : del quale dicesi eke per più giorni alimentasse il suo esercito O f­fella » mancando & ogni vetiuagUa , tn occasione che marciava verso

_ Cartagine*

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di feroci bestie, e innanzi a tutto di serpenti, alle morsicature della maggior parte de’quali, essendo esse mortifere, niuno ajuto prestar potea l’arte de’medici,o Ja cura degli amici. E massimamente alcuni ser­penti essendo del colore della te rra , ciò faceva che non si conoscessero, nè per conseguenza si evitas­sero : onde venendo casualmente calcati da chi non li distingueva, questi. ne restava miseramente morso. In fine dopo un cammino travagliatissimo d’ oltre due mesi a gran pena giunsero all’ accampamento di Àgatocle, e presero luogo a poca distanza dal me-, desimo. I Cartaginesi avuta notizia del loro arrivo, n’ ebbero gran paura, vedendo tanta forza contro di loro. Dal canto suo Àgatocle ito ad incontrare Of* fella , benignamente somministratogli il bisogno, 1’ a- nimò a confortare il suo esercito dai passati travagli*. In d i, fatti passare alcuni giorni, avendo ben osser­vato quanto ne9 vicini .accampamenti succedeva, e come la maggior parte de9 soldati era spàrsa per la campagna a procacciare pascolo e vettovaglia, ed Of­fella starsi senza sospetti, radunati in concione i suoi, querelò quel re dicendo che venuto come alleato suo ora gli tramava insidie ; e con ciò esa­cerbata avendo contro il medesimo la moltitudine, immantinente mosse F esercito addosso ai Cirenei. Colpito da si inaspettato assalto Offella cercò di difendersi ; ma oppresso dalla rapidità dell’ assalto , non bastando gli avanzi della sua gente a resistere, combattendo perdette la vita. Àgatocle obbligò la ri­manente turba a metter giù le armi : indi con larghe

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promesse confortatine gli animi, li ebbe per sè. Così Offella finì nell* atto che volgeva in mente grandi acquisti , stato troppo facile a credere.

C a p i t o l o X.

Bomilcare tenta di farsi signore in Cartagine nel tempo che Agatocle opprimeva Offella; ma rimane oppresso. Agatocle manda a Siracusa le spoglie ne­miche , e i Cirenei non atti alle armi. Cose d’ /- talia.

Intanto Bomilcare in Cartagine da un pezzo inteso al come giungere ad occuparne il principato , cer­cava occasione a ciò propizia. Veramente più volte’ seglie n’ era presentata alcuna} ma qualche piccolo accidente l’avea sempre arrestato. Sogliono coloro che grandi ed ampie imprese tramano, essere pieni di agitazioni e di rimorsi : ond’ è che inchinano più al temporeggiare che all’operare,più al differire che all’ eseguire} e così fu di costui. Però quando cre­dette giunto il tempo opportuno alle sue mire, quellr che aveva intorno a sè cittadini' p iù . distinti mandò alla impresa contro i Numidi, onde non avere con- irario alcuno de’ nobili: ma poi preso da paura non ardiva comunicare a nissuno il suo disegno. Nel tempo poi in cui Agatocle oppresse Offella j accadde» che costui invase in Cartagine H principato j sicché nissuno di questi due ebbe notizia di quello che presso i nemici succedeva: Imperciocché nè Agatocle

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avea cognizione veruna del colpo tentato da Bomil- care, e del tumulto eccitatosi nella città , il quale data gli airebbe facile occasione di soggiogarla , poiché Bomilcare sorpreso nel suo attentato avrebbe piuttosto favorito lu i, che esporsi al certo supplizio soprastantegli} né i Cartaginesi ebbero notizia del­l'assalto da Àgatocle dato ad Offella ; ché sapendolo, uniti alle truppe di Cirene facilmente lo avrebbero conquiso, lo penso però che non fosse tale ignoranza di cose nell’ uno e negli altri senza giusta cagione , quantunque si trattasse di affari pieni di grandi dif­ficoltà , e quantunque fossero assai vicini tra loro quelli che gFintraprendevano. Àgatocle infatti, mentre pensava di levar di mezzo Puomo che gli era amico, non dovea curar di sapere cosa presso i nemici ac­cadesse } e Bomilcare , intento a togliere alla sua patria la libertà, ben altro avea allora a cuore che cercare cosa i nemici facessero ne’loro accampamenti: ché non coi nemici, ma co’ suoi avea in quel tempo da misurarsi. Ora così stando le cose , qui forse al-* cuno riprenderà la storia, veggendo molte imprese , e d’ indole diversa, farsi in un medesimo tempo ; e gli scrittori intanto costretti ad interromperne la nar­razione , e contro natura dalla necessità condotti a dividere fatti contemporanei. Così che la verità dei fatti produce, è vero, il suo senso ; ma la descri­zione d’essi, che non può tanto , comunque imiti le cose, é costretta a venire assai dopo P eccitamento di quel senso.

Adunque Bomilcare fatta deva di soldati nella città

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detta nuova, che non però è lontana dall’ antica Cartagine , gli altri allora licenziò. Ed implorata la assistenza di cinquecento cittadini messi a parte dei suoi disegni, e di quattro mila stipendiati, si di­chiarò principe ; e divisa in cinque corpi codesta sua gente invase la c ittà , trucidando quanti incontrava. Incredibile é il fuggire, e il tremare di tutti. 1 Car­taginesi da principio sospettarono che fosse entrato in città il nemico per tradimento : ma quando la cosa fu saputa qual1 era, la gioventù accorse pronta, e messasi in buon ordine, andò contra al tiranno. Costui immolando nelle piazze tutti quelli che incon­trava , corse al fo ro , ed ivi pur fece macella di quanti trovò disarmati. Ma avendo i Cartaginesi oc­cupate le alte case al foro prossime, ed ivi lavorando di saette e di dardi, i congiurati, essendo il luogo troppo esposto, venivano bersagliati: laonde di quella maniera mal accolti, strettisi insieme, e prendendo le vie più anguste scapparono alla città nuova, sem­pre ben tempestati dalle case, presso le quali pas­savano , con nembi di frecce, di sassi, o di checché altro. Avendo poi in fine occupata un9 altura, postasi già tutta la città in armi, i Cartaginesi andarono ad accamparsi innanzi a loro ; e mandata una deputa­zione de’più savii ed accreditati seniori con dichia­razione di perdono, tutta quella turba si sciolse pacificamente. I troppo gravi pericoli soprastanti alla città inclinarono gli animi a porre in dimenticanza il fallo di tutta quella gente ; ma non già quello di' Bomilcare, il quale, non ostante che gli si fosse

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copie agli altri data sicurtà g iu n ta , messo ignomi- niosamente ai più crudeli tormenti fu in fine tolto di vita (i). In tal m odai Cartaginesi, mossi in estre­mo pericolo dello stato lo ro , ricuperarono P antece­dente forma della patria libertà.

Àgatocle intanto empì delle spoglie nemiche al­quante navi da trasporto , e messivi: sopra i meno atti alle archi fra i Cirenei, le mandò a Siracusa. Ma d’esse navi per tempesta insorta una parte s1 af­fondò , un’ altra fu gittata presso le isole Pitecusie d’Italia ; e poche giunsero a Siracusa salve.

In Italia i consoli romani, accorsi in ajuto de’Mar- si , a cui i Sanniti facevano guerra, vinti questi in battaglia ne fecero gran macello. Indi passando pel territorio degli Umbri invasero l’Etruria, che ardeva di spiriti ostili ; ed. espugnarono un castello detto Capria. Avendo poi gli abitanti del paese mandati ambasciadori per trattare di tregua, i Romani ne stabilirono una di quarant’ anni coi Tarquiniesi, e cogli altri Tirreni di un anno solo.

(t) Pel qual delitto, dice di lai Giustino, in mezzo al foro venne crocifisso, affinchè quel medesimo luogo che dianzi era stato per lui un trionfo d* onore, fosse allora un monumento d i sup­plizio.

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C a p i t o l ò XI.6 9

Spedizione di Demetrio ad Atene > eli1 egli mette in libertà. Onori dagli Ateniesi decretati a lui e ad Antigono. Altra spedizione di Demetrio a Cipro, ove assedia Salamina. Sua vittoria navale contro Tolommeo. Per essa Antigono assume il titolo di re y e lo conferisce a Demetrio. Gli altri principilo imitano.

Finito T anno in Atene fù creato arconte Anassi- crate, e Àppio Claudio e Lucio Volunnio furono in Roma fatti consoli. In quel tempo Demetrio, figliuolo di Autigono , avute dal padre grosse forze terrestri e navali, e provvigione d1 armi e di macchine da as­sedio assai cospicua, partì da Efeso. Eragli ingiunto di ristabilire in libertà tutte le città della Grecia , « per prima Atene, in cui Cassandro continuava a mantenere présidio. Demetrio adunque approdò col* Pesercito al Pireo ; e a prima giunta, pubblicato un proclama conforme alle accennate intenzioni, inco­minciò le operazioni militari. Ma Dionigi, coman­dante della guarnigione della rocca, e Demetrio Fa- lereo da Cassandro posto curatore della c ittà , colla molta soldatesca che aveano , respinsero il nemico dalle mura. Però alquanti soldati di Antigono avendo violentemente fatta forza , dal lido le valicarono, e diedero mezzo ai loro compagni d’ armi d’ entrarvi anch’ essi ; e di questa maniera il Pireo fu preso, Dionigi, che comandava la guarnigione, rifuggissi

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allora nella Munichia; e Demetrio Falereo in città. Il giorno andò dopo questi con altri deputati del popola al figliuolo di Antigono, il quale ragionato avendo della libera giurisdizione spettante alla citta, e della incolumità sua personale , ottenne eh’ egli insieme colla sua comitiva se n’andasse (1)5 e dappoiché ve­deva non potersi più ritenere Atene com’ erasi te­nuta sino allora, fuggì a Tebe 5 indi poi a Tolom­meo in Egitto. Così dopo aver governata per dieci anni la città nel modo che per noi si è già esposto, k fu cacciato dalla patria ; e il popolo Ateniese ad onore di chi gli restituiva la libertà fece poi ampio decreto. Intanto Demetrio , figliuolo di Antigono ? con baliste ed altre macchine appressate alla rocca la combatteva per terra e per mare 3 e mentre gli assediati assai valorosamente difendevansi dalle mura, in grazia della difficoltà ed altezza del luogo rima­nevano superiori, poiché la Munichia é assai forte, non tanto per la situazione sua, quanto per la strut­tura delle sue mura. Prevaleva non pertanto De­metrio e pel ‘numero de’ soldati, e per l’ apparato; delle macchine. Durando l’ assalto da due giorni, siccome que’ del presidio, feriti dalle baliste e ca­tapulte, non aveano chi loro supplisse, soccombeva­no: intanto che la gente di Demetrio si dava la mu­

ti) Avea infatti bisogno di buona comitiva che il salvasse dalla fùria del popolo* Perciocché gli Ateniesi che aveano a lui solo al­iate tante statue, quante forse non aveano alzate a cento insieme de1 loro p ii illustri uomini » e le statue di lui immantinente rove­sciarono , e mille querele gli fecero.

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ta , e scambiava le fatiche e i pericoli. Ond’ è che dai colpi delle baliste rovesciato il muro, poterono entrar nella rocca ; ed obbligata la guarnigione a depcrre le arm i, presero vivo il comandante.'

Mandata cosi in breve termine al suo fine V im­presa , Demetrio demolì la Munichia, e restituì al popolo 1’ antica libertà, e con esso stipulò un trat­tato d’amicizia e di alleanza: laonde per comune de­creto scritto da Stratocle (i) il popolo ordinò che s’ ergessero presso Àrmodio ed Àristogitone assise sopra un carro le statile di Antigono e di Demetrio, e queste fossero d’oro; e all’uno .e all’altro si desse una corona di dugento talenti, e che l’altare ad essi consacrato si chiamasse 1’ altare de’ Salvadori ; ed in oltre che alle dieci tribù altre due si aggiungessero, l’Anligonide e la Demetriana ; ed in fine che ogni anno si celebrassero giuochi, solennità e sacrifizio; ed ambedue que’ principi fossero ornati col peplo di

< Minerva. Così quel popolo, fino dalla guerra lamiaca spogliato del poter suo, dopo venticinque anni riac­quistò l’ antico stato di repubblica.

Era pure soggetta a guarnigione forestiera la città di Megara; e Demetrio andò a cacciare anche quel­la (2), e al popolo restituì la libertà : onde n’ ebbe dagli abitanti grandi onori, e presenti.

(1) Il Vesse litigio va in collera eoo questo Stratocle e cogli Ate­niesi per 1* esagerazione data al sentimento loro di gratitudine verso Demetrio ed A n co n a . Gli Ateniesi misero esagerazione in ogni loro cosa ; ed è naturale , che molto più si abbandonassero alla esage* razione a quell1 epoca / in cui la loro potenza era svanita.

(2) Filieoto racconta che 1’ impresa di Megara precedette la resa

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Antigono poi, essendo andata un’ ambasceria de­gli Ateniesi a presentargli il decreto onorifico , che abbiam detto, udito che quel popolo avea /bisogno di frumento e di legname per fabbricar navi, gli donò cento cinquanta mila medinni di grano, e tutto il materiale necessario per fabbricare cento navi. Quindi tolto via il presidio da Imbro restituì agl1 indigeni la città ; e scritte lettere a Demetrio , gli ordinò^ che stabilisse un1 assemblea composta di deputati delle città confederate , la quale avesse a trattare le cose di comune utilità della Grecia; e eh1 egli trasportando le truppe in Cipro dovesse sollecitamente far la guerra ai capitani di Tolommeo. Fu Demcìfio ubbidiente esecutore degli ordini del padre, e senza indùgio passò in Caria; e nel frattempo invitò i Rodii a far guerra a Tolommeo. Ma essi a ciò rifiutaronsi , pre­ferendo di stare in pace egualmente con tutti. E questo fu il principio della inimicizia che nacque tra quel popolo ed Antigono.

Sbarcato adunque Demetrio in Cilicia ed ivi avute truppe e navi, passò a Cipro, avendo seco dieci mila e seicento fanti, quattrocento cavalli, cento e dieci triremi sottili, e cinquantatrè di più gravi, ma atte alle fazioni militari ; e zatteroni inoltre d’ ogni ge­nere, quanti a tanta moltitudine di fanti e di cavalli occorrevano. 11 primo alloggiamento suo fu colà sul

della Municchìa. Egli h probabile, che Demetrio mandasse alcune sue truppe colà mentr* egli assisteva all’ assedio della rocca d* A- tene. Siffatte diversità sono interamente indifferenti nel complesso delle grandi cose che la slori? abbraccia.

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lido di Carpasia , ove tratte a terra le navi, si forti­ficò con vallo, e fossa profonda. Poi voltosi ad espu­gnare le vicine città , prese a forza Urania e Car­pasia ; e lasciata buona custodia alle navi, andò col- T esercito a Salamina. Era in quella città Menelao , governatore generale dell1 isola, messovi da Tolom­meo ) ed aveva chiamati a sé i soldati eh’ erano di presidio ne’ varii castelli. Costui, mentre' i nemici non èrano distanti più di quaranta stadii, uscì in cam­pagna con dodici mila fanti e ottocento cavalli. Ma appena s’ impegnò il combattimento , incalzato dai nemici, colla sua gente voltò la schiena ; e Demetrio avendolo inseguito sino nella città, non meno di tre mila uomini fece prigionieri, e ne uccise da mille. I prigionieri, assolti dai loro delitti, distribuì egli ne1 suoi corpi ! ma perché lasciate avevano in Egitto le loro bagaglie presso Tolommeo, costoro diserta­vano a Menelao: ond’ è che vedutili perseverare con­tumaci in quella idea, Demetrio, poiché li ebbe an- cora nelle mani, li fece imbarcare, e mandolli ad Antigono.

Era allora Antigono nella Siria superiore, dove fabbricava sul fiume Oronte una città chiamata dal suo nome Antigonia ( i) , facendovi intorno magni­

ti) Qnesta città , se credesi a Maiala , era situata tra un fiume dai Strabane detto Archeuù, ed un lago , da cui quel fiume usciva} e Liba»io la suppone quaranta stadii distante da Auùochia. Antigono vi avea chiamati ad abitarla molti Ateniesi. Del regio il yesselingio promove dubbii assai fondati sul punto, che Seleuco trasportasse a óeleucia gli abitanti di Antigonia. Egli pretende ? che se Diodoro

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fiche spese , poiché essa avea un circuito di settanta stadii : essendo la situazione sua opportunissima per assaltare la Babilonide , e le provincie superiori, ed anche la Satrapia inferiore e le prefetture fino àl- l’Egitto.* Ma questa città non sussistette gran tempo; poiché Seleuco la distrusse , e ne trasportò gli abi­tanti in altra edificata da lu i, e dal suo nome chia­mata Seleucia. Ma queste cose individueremo dili­gentemente quando saremo giunti ai tempi, in cui accaddero.

Del rimanente Menelao sbaragliato in battaglia, fece portare sulle mura della città le macchine, e ogni altra cosa all9uso d’ esse occorrente; e disposti nelle varie fortificazioni i suoi soldati , si accinse a far fronte a Demetrio, ch’egli vedeva mirare già ad assaltarlo. Mandò pure a Tolommeo , notificandogli la rotta sofferta, e domandando ajuto, giacché le còse di Cipro erano in grave pericolo.

Demetrio intanto vedendo che Salamina era città da non disprezzare, e molto ben munita pet ogni verso e presidiata , pensò di costruire macchine di singolare grandezza, e catapulte e baliste d’ ogni sorta, e quanto mai potesse incutere timore ai di­fensori. A tale effetto chiamò dall’ Asia artefici con ferramenta,e legnami in abbondanza,e con tutt’altro materiale che fosse necessario ; e con somma pre­stezza preparate tutte queste cose costruì una mac-

toon ha sbagliato, il suo testo sia stato corrotto j e vorrebbe leg­gere Antiochia invece di Seleucia*

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china detta Elepoli (i) , così chiamata perchè fatta per espugnare le città , in ciascheduno de’cui lati veniva ad essere di qnattrocento cinque cubiti, ed alta novanta , divisa in nove solai, e che movevasi con quattro ben salde ruote , alte otto cubiti. Fece pure arieti Smisurati, e due testuggini atte a portare quegli arieti. Ner solai inferiori della Elepoli mise ▼arie petriere, le maggiori delle quali erano della' portata di tre talenti : ne1 solai di mezzo stavano le catapulte massime , che doveano lanciare i dardi ; e negli alti mise le catapulte più piccole, e gran quan­tità di petriere , e più di dugento uomini intelligenti nel maneggio di queste cose. Avendo pertanto fatto appressare alla città codeste macchine , tempestan­dola continuamente, dove pei colpi delle baliste i merli rompe, dove coll’impeto degli arieti conquassa le muraglie. Ma gli assediati coraggiosamente resiste­vano , anch’ essi macchine’ a macchine opponendo j così che per alquanti giorni incerto era 1’ esito delle cose ; e ne9 travagli e nelle ferite le parti erano pari. Finalmente stando la muraglia per rovesciarsi, ed imminente essendo il pericolo che la ci$tà fosse presa, la battaglia, che presso il muro facevasi, sul far della notte cessò. Allora Menelao chiaramente

f i ) Di questa macchina, a cui manifestamente vedesi dato per eccellenta un nome affatto genetico, hanno copiosamente parlato molti Eruditi di primo nome. E sarebbe certamente meraviglia se non ne avessero parlato. Non è meraviglia però, se da tanta massa di loro dottrina non siamo avanzati in alcuna utile cognizione. Cosi per lo più saccede nelle cose degli Eruditi.

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prevedendo, che se non ricorrevasi a qualche nuovo ripiego , la città sarebbe stata presa, immaginò di radunare ivi una grande quantità di materia arida, e sulla inezza notte gittarla sulle macchine de1 ne­mici ? e poi dall’ alto delle mura con quante fiaccole si avessero attaccarvi fuoco. E così fu fatto ; e le macchine principali vennero incendiate. Alzatesi im­provvisamente pel vento che soffiava le vampe , i soldati di Demetrio cercavano in ogni maniera di ri­parare al danno \ ma piti spedito essendo nel suo operare il fuoco, le macchine abbruciavansi , e in­sieme con esse perivano parecchi di quelli, che erano nelle medesime. Però Demetrio non per questo de­sistette dalla impresa, malgrado quel rovescio; ed incalzando gli assalti per terra e per mare, collo perseverare sperava di debellare i nemici.

Tolommeo intanto udita la già sofferta strage dei suoi, con grosso esercito e molta forza navale partì dalF Egitto ; e recatosi a Pafo, città di Cipro , prese varie navi dalle diverse città, e andò ad approdare a Cizio, distante da Salamina dugento stadii. La sua armata era composta di cento quaranta navi lunghe, le maggiori delle quali erano a cinque ordini di remi, e le minori a quattro. Dietro a queste venivano più di dugento pontoni militari, portanti non meno di dieci mila fanti. Spediti quindi alcuni per terra a Menelao, gli mandò a dire , che se fosse possibile f gl’ inviasse subito da Salamina le navi che avea, ed erano sessanta di numero ; sperando egli che se di queste aumentasse la sua annata ? in una battaglia

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JBied. TiVHTai\UT, 77*

c/t yeéfe sem e d etti?

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Nomi corrispondènti alle lettere majuscùfo espresse nella tavola di contro.

A Gaggia (corhis) da cui trasse origine la voce corbita : grossa nave mercantile.

BB Le due estremità delle antenne (cornua antennarum ).CC Alterine, Ksp«.<«.DDD Àlbero , UE Calcese , estremità superiore dell* albero per cni ti trapas*

sa vano le corde , K.etp%v<rt«r.F Collo o sia parte media di esso albero , Tp*%n\or.G Estremità inferiore o sia piede d«U* albero.HHffff Corde di soccorso (funes opiferi)./ / Scala di corda.K Sarte ( rudenles). Plauto distingue con questo nome i ca­

napi coi quali solevansi assicurare le navi giunte a terra detti comunemente dai latini ora, e dai greci jrfvpnr*»»

L Iosegna della nave ( dirimpetto alla prora ) rappresentante qualche animale od altra cosa in rilievo, che dava il nome ad essa nave, Arma del re (dalla parte delmare ) del principe o della repubblica sotto il cui patrocU n io , o per eui ordine la nave veleggiava»

M Poppa.NN Torri.0 Prora.P. Occhio della nave, presso il quale apponevasi una cartella^

contenente il nome di essa,Q. Sprone della nave.RR R ostri : travi armati di ferro o d i. bronao con cni urta-*

vansi le navi nemiche.555 Epotidi : legni sporgenti in faori, a guisa di due pic­

cole orecchie , da ambe le parti della prora onde fortificarla* contro i rostri de* nemici, e renderla anche più férma al* 1* u rto .

T Cassero con ala e spalliera ( rejectum) Notisiche anticamente solo da poppa e da prora coprivansi le navi.

VVV Remi.X X X X Carena, o sia il ventre della nave, rfxt f»y Luogo dove si poneva il paliscalmo (piccola nave inventata

Fenici ) cymÒa ,Z Manubrio del timone.E T Timone ( guberuaculum

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data con dugento navi avrebbe ottenuta vittoria. Ma Demetrio, penetrato il disegno di lu i, lasciò una parte del suo esercito all’ assedio , e tutte le sue navi riempi de’ più valorosi che avesse} e sulle prore delle medesime collocò petriere, e catapulte, e dardi e sassi ed ogni materia da lanciare, quanta potesse occorrere ; e di tal modo la sua flotta allestita al combattimento, navigò intorno alla città ; e gittate le ancore alla bocca del porto poco più che a un tiro di freccia, pernottò, iv i, tanto per impedire che le navi della città andassero ad unirsi colle altre, quanto per aspettare l1 arrivo del nemico , già essendo pre­parato alla battaglia. Tolommeo infatti recavasi a Sa­lamina ; e perchè avea seco, le navi da trasporto 7 che chiamano iperetichè, la sua armata veduta da lungi pareva immensa.

Demetrio veduto V arrivo del nemico , ordinò ad Antistene, ammiraglio, di badare , che le navi della città non potessero venir fuori a combattere 5 e a tal effetto gli lasciò dieci quinqueremi ; poiché T uscita del porto essendo angusta, quelle dieci quinqueremi bastavano. Intanto poi ordinò alla cavalleria di star pronta sul lido onde dar soccorso a chi per avven­tura nuotasse, ove accadesse alcun sinistro. Egli intanto schierò in ordine le navi dell1 armata, le quali erano non. più di cento o tto , con quelle che nelle dar­sene de’ castelli ivi presi avea trovato armate; e le maggiori erano eptere , ma pentere le più. Così poi era tutta la flotta distribuita. Formavano il sinistro corno, sette eptere de’ Fenicii, e trenta quadriremi degli A te-

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niesi sotto il comando di Medio. Dietro queste eranvi dieci essere , ed altrettante pentere, per la conside­razione di ben fortificare il posto in cui Demetrio stesso combatterebbe. Nel corpo di battaglia furono messe le navi più piccole , comandate da Tecuisone samio, e da Marsia (i) scrittore delle cose macedoniche. Tenevano il corno destro Egesippo d’ Alicarnasso , e Pleistio Coo , governatore di tutta la flotta.

Tolommeo da principio, fattasi notte, navigava con prospero vento verso Salamina, intento a pre­venire, com’egli sperava, il nemico nell’ ingresso del porto. Ma fatto giorno veduta P armata di Demetrio non lungi di là, e posta in ordine di battaglia, anche egli si accinse al combattimento navale. Ordina egli adunque agli pontoni, che il seguano da lontano , e messe in bell’ ordine tutte le altre navi si pone egli nel sinistro corno, ov’ erano le navi più grosse. Gosì disposte le cose , dall’ una parte e dall’ altra, secondo il costume il Celeusti (a) intuonarono la

(i) Giova notare che due furono i M arsia, scrittori delle cose macedoniche, uno dì Pella , figlio dì Periandro , l* altro di Filippi „ figlio di Cristoforo. Cercasi quale dei due sia l’ indicato in questo lupgo da Diodoro. Secondo Svida il primo era stato educato eoa Alessandro, ed era fratello di Antigono che poi regnò. Del secondoiSvida non acceuna 1* età. Il primo adunque pare dovere dirsi quello che ebbe parte in questa memorabile battaglia. Don si comprenda come il Vossio abbia potuto dire .che fosse il secondo , ch'egli chiama funtore.

( i ) Codesti Celeusti, detti anche Pertiscoli, aveano un certo ca­rattere religioso , appunto per la natura del loro officio. Noi li di­remmo i cappellani dell’ armata. È curiosa -cosa che Io ScAligero ,

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prece agli Dei , e la moltitudine venne loro dietro colla voce.

Erano intanto in grande apprensione i principi a dovere arrischiare vita e fortuna. Demetrio, ch’ era lontano tre stadii dal nemico , dà il segnale della battaglia, alzando com’ era concertato, il suo scudo d’oro a varie riprese, onde tutti il vedessero. E co­me l’ istessa cosa pur fece Tolommeo, immantinente si vide occupato lo spazio, pel quale entrambe le flotte dianzi erano separate. Suonarono dunque le trombe : da una parte e dall’ altra alzòssi un grido, e le navi corsero con terribile furia all’ attacco. Da prima si fece uso degli archi e delle baliste gittanti pietre ; poi più da vicino dei dardi, e parecchi dei più esposti ai colpi rimasero feriti. Indi, le navi con grande impeto correndo ad urtarsi, quelli eh’ erano sul labbro delle medesime presentarono basse le aste, e i remiganti, eccitati dai Celeusti, con maggior violenza dieder de’ remi. E già da sì gran forza erano le navi spinte le une contro le altre, che una parte di esse vennero a spezzarsi reciprocamente i rem i, onde rendersi incapaci alla fuga, ed inabili all’ inse­guimento; e se i combattenti durassero a gagliarda- mente difendersi, l’ impeto loro nella zuffa sì tempe­rasse; ed una parte a colpi di rostri nella prora fra­cassandoti , erano poi obbligati a ripetere l’assalto

e lo Scheffero hanno a lungo parlati de' Celeusti e delle loro fun­iioni, senza dire più di quello che noi qui accenniamo. Ed & il VeuctinpQ che fa questa osservasene ! !

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rivolgendosi colle poppe. Posti pertanto i combattenti vicinissimi ferivansi con vigoroso scambio di colpi. Alcuni de’ trierarchi ferivano di sbiescio ; ed attac­candosi rostri a rostri, gli uni saltavano sulle navi degli altri 3 ed era la strage reciproca. Alcuni altri afferrati i fianchi delle navi, andando in fallo il loro tentativo di passarvi sopra precipitavano in mare, e dalle aste de7 soprastanti venivano uccisi. Altri avendo potuto salire, chi i nemici trucidava, chi stretti alla persona li gittava in mare. E in ogni an­golo vedevasi una zuffa , un combattimento, una bat­taglia a parte 5 e fu frequente il caso , che i vinti restarono vincitori perchè in alte navi e i vincitori restarono vinti perchè in navi basse ? o per alcun altra disparità di condizione ? qual suole darsi in questa sorte di pericoli. Ghè ne’ combattimenti di terra il va­lore manifestamente apparisce y e se niun accidente casuase l’ intromette ? esso ha il naturale suo effetto: ma ne’combattimenti navali moltissime cagioni con­corrono , e in cento modi divèrsi , a fare che chi pel suo valore dovrebbe averle vittoria 9 impensata­mente soccomba.

Fra tutti gli altri valorosamente combatteva Demetrio stando sulla poppa della sua eptéra : e come i ne­mici se gli erano conglobati intorno ? egli or da lon­tano li uccideva coi dard i, or da vicino coll’ asta.' 4Ei medesimo invero veniva bersagliato in varie ma­niere ma si salvava dai colpi ? ora declinandoli, ora ricevendoli innocuamente sull’ armatura che il copriva. Avea tre combattenti a’ fianchi, uno de’ quali cadde

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trapassalo da un colpo di lancia, e gli altri due fu­rono feriti gravemente : ma infine quelli che sta vaigli contro , essendo stati «respinti 5 potè Demetrio met­tere in fuga il destro corno nemico , che trasse in fuga subitamente anche i vicini.

Dal canto suo Tolommeo , che avea seco e le navi maggiori* e i combattenti più robusti, con poca fa* tica sbaragliò e mise in fuga quelli che gli stavano contro : alcunfe navi affondando , altre prendendo in* sieme co’ soldati. £ già pieno di questa vittoria spe­rava di facilmente superare anche le a ltre , quando vide rotto il sinistro corno, e tutte le vicine navi volle in fuga ? e Demetrio gagliardamente farglisi contro j ond’ è che retrocedette a Cizio. £ così ri­mase vincitore Demetrio , il quale consegnate le navi militari a Neone e a Bulico ? ordinò loro d’ inseguire il nemico , e di raccogliere i nuotanti nel .mare : ad­dobbando intanto le navi sue a,trionfo, e le prese al nemico facendo rimurchiare : indi ritornòssi agli Steccati ? e al porto ? ond’ era venuto.

Ma intanto che seguiva ìjuella battaglia navale, Menelao, che comandava in Salamina , le sessanta navi ben provvedute d’ uomini e d’ armi mandò in ajuto a Tolommeo sotto la condotta di Menoesio navarco (i). Ebbe costui a combattere colle navi da

( i ) Polieno dice, che Menelao stesso uscì colle sessanta navi per unirsi a Tolommeo , suo fratello, e che con esso lui fuggì. Ma vieu disdetto. Plutarco riferisce che -Demetrio dopo la vittoria ri­portata sopra Tolommeo voltòssi a Salamina , ed obbligò Menelao a rendergli città e navi.

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Demetrio lasciate alla bocca del porto in istazione 5 e gli riuscì, iti fuggendo quelli che glie la contrasta­vano , di farsi Jibera strada ad unirsi alle truppe ter­restri che assediavano la città. Ma Menoezio, che pur s’ era spinto in alto mare , essendo giunto più tardi di quello che comportasse il bisogno , diè di volta y e ritornò a Salamina.

Andata là battaglia , siccome si è narrato , vennero in potere de1 vincitori cento e più pontoni, ne’ quali erano tremila e seicento soldati incirca. Quaranta navi lunghe furono presele circa ottanta furono fra­cassate ; le quali poi piene d’ acqua i vincitori stra­scinarono al loro campo presso la città. Delle navi di Demetrio venti restarono guaste 5 ma ristaurate di poi servirono ancora a varii usi.

Tolommeo, veggendo per tal modo disperate le cose di C ipro, veleggiò verso Egitto 5 e Demetrio tratte a divozione sua tutte le città dell’ isola, i pre- sidii che v1 erano prima, aggiunse all’ esercito suo : consistevano questi in undici mila e seicento fanti, e all’ incirca in seicento cavalli. Della ottenuta vit­toria mandato avviso (1) per mezzo di una delle mag­giori sue navi al genitore * Antigono , insuperbito di tanto felice avvenimento, si mise sulla testa il dia- dem a, si attribuì il titola di re 5 e lo stesso tito la, e l’ onore stesso concedette a Demetrio. La stessa cosa pur fece Tolommeo , niente sull’ alto suo anima influendo la rotta toccata ;e cinse diadema anch’egli,

(1) L'apportatore della nuova fu. Aristodemo milesio , che dicevi gran cortigiano di Demetrio, e di Amigona^

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e in tutte le sue lettere s’ intitolò re (i). Aircsempio di questi due anche' .gli altri principi, Seleuco che si «ra fatto signore delle provincie superiori ? e Lisi- maco , e Cassandro, che ritenevano i paesi da prin- cipio dati loro in governo, si proclamarono re egual* mente. Delle quali cose avendo noi detto ornai ab­bastanza , or diremo a parte quanto accadde in Africa ed in Sicilia,

C a p i t o l o XII.

Àgatocle assume ancK egli il titolo di re; e fa Firn* presa di Ulica. Terribile sventura degli abitanti di quella città. Altre conquiste di Àgatocle. Genera­zioni di popoli allora noti in Africa. Àgatocle la­scia ivi l* esercito, e va in Sicilia♦

Àgatocle avendo inteso che i principi, de’quali abbiamo ragionato, aveano preso il diadema, consi­derando di non essere da meno d’ essi nè per forze m ilitari, nè per ampiezza di terre, nè per imprese fatte , chiamossi re anch1 egli ; ma però non prese il diadema (a) ; imperciocché dal tempo, in cui af­

fi) Egli impegnò astutamente l’esercito a servire alla propria am­bizione ; e fu l’ esercito, che lo salutò re al suo ritorno > onde al­lontanare da sè la macchia d'essere stato vinto. Veggasi Appiano, e Plutarco.• (a) Si è fatta fino dalla metà del secolo scorso quistione, se la storia sia comprovata dai monumenti, o i monumenti sieno com­provati dalla storia. Il senso comune abbastanza avvisa ognuno, che qnesta è una tesi mal piantata » la verità portando che talora

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fettò la tirannide 3 egli a tenore del rito di non so qual sacerdozio, sempre portava la corona, che poi non depose contendendo del principato. V’ ha però chi ha detto che da principio egli si mise a portarla per la ragione che aveva pochi capelli. Intanto poi volendo fare qualche impresa dégna del magnifico nome assunto , condusse 1’ esercito contro gli Uticesi eh1 eransi ribellati ) ed avendo improvvisamente as­sediata la loro città , trecento di que’ cittadini, che trovò nella campagna , e i quali non ebbero tempo di entrare in città , fece prigionieri. Poi stretta più da vicino Utica ? dichiarò perdonare agli abitanti purché s’ arrendessero ; e come gli assediati non ac­cettarono il partito j costruì una macchina , a cui attaccò que’ prigionieri 7 e la fece appressare alle mura. Grande pietà per l’ infortunio di que’ miseri sentirono gli Uticesi j ma stimando più del caso di quelli la li* berta comune, disposero soldati sulle mura ) e fu­rono pronti a sostenere i travagli dell’assedio. Allora Àgatocle all’ accennata macchina aggiunse e cata-

si verifica uno , e talora 1* altro dei due casi accennati. Se la sto** ria dovesse -comprovarsi coi monumenti , nel presente caso riprove- rebbesi quanto qui si dice di Àgatocle , che non fece mai uso del diadema* E la ragione desumerebbesi da una vecchia medaglia, che vedesj presso il Paruta, nella quale egli è rappresentato col diadema in testa. Ma quella medaglia , che d1 altronde il fa ben capelluto , quando da certe parti sappiamo eh4 egli era calvo , nè V sincroua , nè è veritiera. Ècco dunque un caso» In cui i monu­menti , lungi dal comprovare essi la storia, debbono dalla storia essere comprovati. Farebbesi un grosso volume, se si volesse trat­tare l’argomento in quistione, che noi intendiamo di 3vere soliani* indicato.

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pulte , e frombolieri, e saettieri * e da quella inco* minciando le operazioni, diede principio alT assalto, a tremenda prova ponendo gli animi degli abitanti. Perciocché quelli cbe stavano sulle mura, ben ebbero a ristarsi dal bersagliare i nemici, vedendo cbe ai colpi loro erano fatti scopo i loro concittadini, al­cuni de1 quali erano della primaria nobiltà. Ma come gli assedianti gagliardamente continuavano 1’ assalto, gli Uticesi vidersi costretti a non aver più riguardo a quelli eh’ erano sospesi alla macchina ; e quindi toccò loro la dura prova di una inevitabile necessità, posti in mezzo ad una strage impensata, e al ludi­brio della fortuna : chè di tal maniera appostati loro contro que1 cittadini caduti in mano de’ Greci, o do- veano risparmiando ad essi la vita lasciare che la città cadesse in mano del nemico , oppure volendo salvarla doveano trucidare senza misericordia colle loro stesse armi tanti loro concittadini sventuratis­simi. £ così accadde di fatto : imperciocché data manò ad ogni sorta d’ armi per allontanare i nemici, parte degli attaccati alla macchina colle loro frecce ven­nero a piagare , pafte ne trafissero, ed alcuni colle catapulte, còme con altrettanti chiodi, in qualunque parte de’loro corpi colpiti, secondo che il caso voleva, infissero alla macchina a modo che que’ miserabili ebbero a un tratto a patire e l’ignominia é l’atrocità dell’orribile supplizio della croce. £ questo toccò ad alcuni per la mano degl’ istessi loro parenti ed amici y così il caso* volendo, e la necessità, la quale non permetteva che le ragioni si udissero della pietà umana.

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Àgatocle vedendo come gli oppidanì affrontavano tanto pericolo , sordo ad ógni umano affetto cinse tutta all’ intorno la c ittà , e dove ne trovò parte non abbastanza munita, datovi un violento assalto j vi sbucò dentro impetuosamente; e allora, gli Uti* cesi corsero a rifuggirsi chi nelle case, e chi nei templi. Onde pieno d’ ira tutta la città egli empì di strage, parte degli abitanti trucidando nella zuffa j parte facendo impiccare ; rendendo vana anche la speranza di quelli , che s' erano rifuggiti ne’ santua­r i , e presso gli altari degli Dei. Quindi saccheggiata ogni cosa , e lasciato un presidio presso la città , egli portò il suo campo ad Ippoacra (i) città dalla natura stessa munita con uu vicino lago ; la quale dopo vivissimi assalii, e dopo avere vinti gli indigeni anche in una battaglia navale, finalmente egli prese*

In questo modo quelle città sottomesse, la maggior parte de’ popoli abitanti sulla marina , e molti che tenevansi ne’ paesi interni, mise in suo dominio, ec­cettuatine i Numidi, una parte de’ quali si fece sua amica , e l’altra volle aspettare il fine delle sue im­prese.

Era a que1 tempi l’Àfrica divisa fra quattro gene­razioni d’ uomini ; cioè, in Peni che abitavano Carta­gine ; in Libo-Peni, così chiamati, perchè tenevano molte città marittime , e si erano imparentati per via di matrimonii coi Cartaginesi 5 la parte maggiore

. (i) Questa h Jpponc , la quale ad Àgatocle dovette ampliazioue , « fortezza singolare. Si farebbe uà grosso volume delle dotte chiac* •biere degli Eruditi sopra I* Ippoacra , di dui qui parla Diodoro,

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degli abitanti , ed antichissima, era quella che chia- mavasi • degli Africani, che guardavano con mortale odio i Cartaginesi a cagione dell1 aspro loro governo 5 e gli ultimi erano i Numidi, che occupavano vastis­simo tratto di paese fino ai deserti. AgatocJe però , quantunque per gli ajuti de9 suoi alleati, e per la forza del suo esercito fosse supcriore ai Cartaginesi, essendo assai sollecito delle cose di Sicilia, costruì varie navi aperte, e di cinquanta remi ; pose in esse due mila soldati ; e lasciato al figliuolo Arcagato il comando nella Libia, coll1 armata si diresse verso la Sicilia.

C a p i n o l o XIII.

Sertodoco comandante degli Agrigentini è rotto dai luogotenenti di Agatocle. Arrivo di questo in Si­cilia ; e varie sue imprese contro le città sicule. Diriocrate gli tien fronte con grosso esercito. Bell* spedizioni in Africa di Eumaco. Le Pitecusse.

In mezzo a questi avvenimenti Senodoco, coman­dante degli Agrigentini, dopo avere rimesse molte città nel loro stato libera, ed infusa negli animi der Siculi grande speranza di potere tutta 1* isola ricu­perare la facoltà di vivere colle proprie leggi, rivolse le sue forze contro i luogotenenti di Agatocle, avendo più di dieci mila uomini a piedi, e quasi mille a ca­vallo. A lui essi • opponevano ottomila e dugento dei primi, e mille: e dugento de7 secondi, che era il più

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che avessero potuto levare in Siracusa e uè1 castelli vicini Leptine e Demofilo. Vennero adunque a bat­taglia fra loro questi due eserciti ; e Senodoco vinto andò a rifuggirsi in Agrigento, perduti avendo da mille e cinquecento uomini. Da questa sconfitta per* cossi gli Agrigentini diffidarono ornai di tirare in­nanzi la bellissima loro impresa, e di vedere realiz* zarsi la speranza di libertà data da essi ai loro al­leati.

Era di fresco succeduta quella battaglia quando Àgatocle approdò a Selinunte5 ed immantinente ob­bligò gli Eracleoti , che s’ erano messi in libertà , a subire di nuovo il giogo : indi in altra parte dell’ 1- sola passato, soggiogò i Termiti, la cui città avea pre­sidio cartaginese3 e quel presidio rimandò. Poi espu­gnata Cefaledio, vi pose governatore Leptine. Quindi internatosi nel paese tentò di entrare nascostamente di notte nella città de’ Genturipini coll’ ajuto di al­cuni abitanti d’ essa che tenevano le parti sue j ma scopertasi la tram a, col braccio del presidio che v’ era, fu cacciato ; e vi perdette più di cinquecento nomini. Di là si portò verso la città degli Apollo- n ia tj, chiama lavi da alcuni degli abitanti , che dice* vansi dispósti a dargli in mano la loro patria': ma presi questi, e capitalmente puniti, pel primo giorno in cui si presentò per combatterla, non avvantaggiò per nulla ;■ e il giorno dopo a stento s’ impadronì d’Apollonia, ma con assai perdita della sua gente. Molti però degli Apoiloniati fece egli perite j e ne abbandonò al saccheggiamento le sostanze.

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Mentr’ egli era occupato in queste imprese , Dino­crate, capo de1 fuorusciti, messosi in testa di prose* girne il disegno degli Agrigentini, e fattosi campione della comune libertà, da ogni parte ebbe gran con­corso- di gente a secondarlo. Alcuni erano a ciò tratti dall innato amore di libertà ; altri dalla paura di Àgatocle; e per queste loro disposizioni volentieri mettevansi sotto la condotta di Dinocrate. Ora costui messo insieme quasi venti mila fanti , e mille e cin­quecento cavalli i quali tutti erano già avvezzi a tutte le miserie, e ai lunghissimi travagli dell1 esilio, si pose in campagna ; e provocò Àgatocle a batta­glia ; e come questi vedendosi inferiore di forze noni accettò. di far giornata, Dinocrate si mise ad inse» guirloj e standogli sempre ai fianchi, spesso riportò r come si dice, la palma senza avere avuto l1 incomodo della polvere.

Da questo tempo le cose di Àgatocle incomincia­rono a voltar m ale, non tanto in Sicilia , quanto in Africa. Arcagato , lasciato da lui comandante supre­mo j dopo chr1 egli ne p artì, ebbe molti vantaggi da principio , avendo spinta una porzione delle truppe so tto la condotta di Eumaco nell1 interno del paese. Aveva questi espugnata Tocca (i), città grandissima,

(f) Tocca t o Tacca fi» città di Numidia; ed altre ancora di questo nome furono in Africa. Noi non poniamo qui questa nota se non per dire ai nostri lettori ehe un grande erudito * Jacopo Jseo , ha cercata 1’ etimologia di Tucca nella parola ebraica Tucciim , che egli crede significare Sciatte, portate la prima volta in Palestina al tempo di Salomone. Bisogoa però eh’ essi sappiano ancora, che il «lotto Pesselingi» trova incerta la dottrina dall* eruditissimo Asto ! I

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e molti Numidi sottomessi nelle vicinanze della me­desima : similmente prese dopo molti assalti la città chiamata Fettina; e gli abitanti della circonvicina con­trada , detti Asfodelodi, e dagli Etiopi nulla diversi pel colore, avea obbligati a riconoscere 1’ imperio di Àgatocle. Una terza città ancora ebbe in suo potere, assai grande, e chiamata Meschela, la quale antica» mente fu abitata dai Greci, colà andati da Troja 9 siccome noi raccontammo neMìbro in.

Poscia soggiogò Ippoacra, del nome stesso di quella che avea espugnata Àgatocle ; e l1 ultima fra queste fu Acri , città che reggevasi da sè , la quale diede in preda ai soldati, vendutine gli abitanti all’incanto. E cosi onusto di bottino Eumaco ritornò ad Arca­gato. Laonde acquistatosi grande rinomanza prese a fare un’ altra spedizione ne7 paesi dell’ Africa supe«

■ rio re , e trapassate le città già dianzi occupate, im- prpvvisamente piombò sopra Miltine. Ma i Barbari concentratisi contro di lui ne’ viottoli interni, pre­valsero , c contro ogni sua aspettativa con grande perdita de’ suoi ne fu cacciato. Andò quindi a riti­rarsi sopra un alto m onte, che si estende per du- gento stadii, e eh’ era pieno di gatti silvestri. Ivi nè sugli alberi, nè dentro le caverne fa nido alcun uc« cello per l’ inimicizia che hanno con quella specie di bestie. Valicata quella montagna entrò in un paese pieno di scimie ; mdi giunse a tre città che chia- znansicon nome tradotto in greca lingua Pitecusse (i),

(i) Poche ed incerte cose ha potato accamolare il f^essclingio in­um o alle varie città qui nominate ; « in quanti» a queste Pincuta*

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le cui insti tu zioni però erano assai differenti da quelle degli uòmini di nostra nazione. Abitano insieme sci- mie ed uomini; e gli uomini tengono quelle scimie per sacre , coinè per sacri si tengono dagli Egizii i cani ; e quelle bestie trovano in camere a ciò desti­nate preparati i cibi, e se ne prevalgono a lor pia­cimento senza che alcuno le impedisca ; e a’ figliuoli i genitori mettono per lo più i nomi tolti dalle- sci- mie, come noi i tolti dagli Dei; e chi uccide uno di quegli animali, vien ucciso come reo di sacrilegio. Perciò presso alcuni cadde in proverbio ciò che di- cesi di chi viene impunemente ucciso : hai pagato il sangue della scimia. Eumaco prese a forza una di quelle città, e la saccheggiò; e le altre due indusse ad assoggettarvisi. Saputo poi che dai Barbari con­finanti radunavansi contro lui numerose truppe, a marcie sforzate partì di là , risoluto di ritornare verso" i luoghi marittimi.

dopo aver citato Sottace, Possidonio , e Strabone , per far vedere i vaneggiamenti degli Eruditi cita un passo dell* Aseo, concernente queste Pilecusse* Il passo h questo : È probàbile , che queste tre non fossero veramente città , ma luoghi abitati dalle scimie* Nè v' i da dubitare che non fossero pure caverne , poiché dalle scimie città vere nè sogliono , nè possono fabbricarsi. Dopo le quali parole il P'esselìngio soggiunge : Che ne pensi, lettor mio ? Leggi H resto nella biblioteca bretnese, « meravigliati.

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92C a p i t o l o XIV.

I Cartaginési in Africa mettono in campagna tre esercitij e sconfiggono Arcagato. Àgatocle che non può soccorrerlo, sconfigge V armata cartaginese che bloccava Sira&usa; e Leptine sbaraglia Seno do co , obbligato poi a fuggire da Agrigento.

Fino a questo tempo in Libia le cose andavano .tutte prosperamente ad Arcagato. Ma intanto presosi dal Senato di Cartagine miglior consiglio intorno al condurre la guerra, tre corpi di truppa si fecero uscire di città; uno diretto alla marina,. uno a’luoghi mediterranei , e il terzo a’ paesi superiori. Con ciò speravano primieramente che sarebbesi liberata la città tanto dall’ assedio, quanto dalla carestia d?’ vi­veri. Perciocché essendosi da tutti i luoghi rifuggita in Cartagine una immensa turba di gente, s’ erano consumate le provvigioni 7 ché altramente sarebbero state per un certo tempo bastanti. Nè v’era pericolo, che la città si potesse espugnare , avendo essa il mare vicino , e saldissime le mura. Stimavano po i, che i loro alleati sarebbonsi tenuti fermi/se si aves­sero in campagna parecchi eserciti, pronti a portar soccorso ove il bisogno richiedesse. E quello che valeva di p iù , era che con ciò avrebbero obbligati i nemici a dividere le loro forze, e a condurle lungi da Cartagine. Ed in fatti così , come sagacemente pensavano , accadde. Mandati fuori di città trenta mila soldati, e lasciativi i mercatanti ; non solo re­

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stava quanto era d’uopo , ma rimaneva anche ab­bondanza di cose j e gli alleati cbe jper paura dei nemici prima di questo tempo erano costretti a mettersi con loro , fatto al * presente . coraggio ac­costar o usi di nuovo ad essi secondo 1’ antecedente amicizia.

Arcagato vedendo tutta 1’ Africa occupata da eser- citi nimici ; anch’ egli divise 1’ esercito suo ; e parte ne spedi ai paesi marittimi , parte assegnò ad E- scrione, e V altra tenne per sè , lasciato a Tuneto un presidio. Mentre sì numerosi e potenti eserciti andavano qua e là movendo per la campagna, e soprastava gran mutamento di cose , tutti trepi­danti stavano aspettando di vedere quali avvenimenti fossero per nascere. Incominciò Annone, cbe avea il comando ne’paesi mediterranei , il quale tese insidie ad Escrione, mentre questi non s’ aspettava nulla di ciò ; e gli diede addosso, gli uccise quattro mila fanti, e dugento uomini a cavallo , e con questi quel co­mandante medesimo. I rimanenti di quell7esercito in parte caddero vivi in mano de1 nemici, e in parte salvaronsi andando a raggiungere Arcagato, cbe era di là lontano cinquecento stadii. Indi Imilcone messo al comando ne’ paesi superiori , primieramente si piantò in una certa città contro Eumaco , cbe con­duceva un esercito troppo carico de1 bottini fatti so* pra molti luoghi ; indi provocandolo i Greci a far giornata , lasciò in quella città buona guarnigione, con ordine che vedendo lui , che finto avrebbe di fuggire ; tosto essa desse addosso ai nemici che lo

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inseguirebbero. Il cbe disposto., colla metà de1 suoi trattosi fuori , andò ad assaltare i nemici presso ai loro accampamenti ; ed improvvisamente r come se fosse stato preso da terrore , si diede a fuggire. I soldati di Eumaco gotifii della vittoria , rotto ogni ordine di buona disciplina, si misero ad inseguire i fuggenti , confusamente correndo loro dietro. Ma quando furono presso la città , ecco all’ improvviso uscirne in eccellente ordine grosso squadrone, cbel1 aria assorda con gran clamore ; ed essi come at­toniti s1 arrestano. E perché i Barbari li coglievano disordinatissimi, atterriti dalla novità del fatto i Greci voltarono tosto le spalle, dirigendosi ai loro accampamenti. Ma i nemici aveano loro precluso il ritorno ; onde furono obbligati a rifuggirsi in un7 al­tura disgraziatamente priva d’ acqua : per lo cbe circondati dai P en i, parte di sete , parte pel ferro de’nemici perirono, poiché di tre mila seicento fanti trenta soli poterono salvarsi , e di ottocento uomini a cavallo, quaranta soli fuggirono.

Arcagato colpito da sì grande disastro retrocedette a Tuneto , e chiamò a sè da ogni parte tutti i sol* dati che rimanevangli, ed inoltre mandò in Sicilia a dar nuova al padre dell’ avvenuto , e a domandare prontissimo soccorso. Ma oltre le disgrazie a’ Greci accadute nelle mentovate sconfìtto , altro danno sue-, cedette loro, e fu che tu tti, eccettuati ben pochi, gli alleati che aveano, voltarono ad essi le spalle ; e presso a quelli eziandio i nemici radunavano truppe, ed erano poi giunti ad accamparsi loro in faccia in

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minacciosissima positura. Imperciocché Imilcone da una parte àvea prese certe strette , e i Greci, distanti di là cento stadii, impediva dallo scorrere la cam­pagna; e/ dall1 altra parte Adberbale erasi accampato a quaranta stadii da Tuneto ; così che dominando \ Cartaginesi non solo il mare, ma eziandio la terra, vessavano i Greci tenendoli in penuria di viveri, e spargevano il terrore dappertutto.

Stando adunque i Greci in tanto travaglio nell’A* frica , Àgatocle, poiché ne seppe le sconfitte patite, avea fatte preparare diciassette navi lunghe , colle quali soccorrere Arcagato ; ma andategli male in Sicilia le cose ove cresceva ognora più il numero de7fuorusciti che aveano Dinocrate alla testa, lasciò la guerra dell’isola in cura di Leptine, e degli altri luogotenenti; ed egli, messe già in tutto punto quelle navi, stava aspettando Poccasione di potere far vela, perciocché non avea libero il mare : ché contro lui stavano appostate trenta navi cartaginesi. Fortunata- mènte in quel tempo gli giunsero d’ Etruria diciotto navi in ajuto , le quali, senza che i Cartaginesi se ne accorgessero , entrarono in porto ; ed egli prese questo contrattempo per deludere con militare astuzia i nemici Ordinò egli adunque agli alleati di fermarsi alcun poco , fino a tanto che uscito egli abbia tratto i Peni ad inseguirlo. E di fatti usci subito colle di­ciassette navi; e i Cartaginesi, eh’ erano presso in guardia, gli corsero dietro. Ma egli, veduti gli Etru* schi usciti anch’ essi, prestamente voltò le prore, e fattosi contro ai: Barbavi attaccò la battaglia : ond1 ?

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che i Cartaginesi e per la novità del fatto , e per vederci messi in mezzo da’ nemici, presero la fuga. I Greci guadagnarono cinque navi con tutti gli uo­mini che v’ erano sopra ; e il comandante supremo de' Cartaginesi, veduta la sua nave in procinto di cadere in mano de'nimici, piuttosto che la schiavitù 7 scelse la morte ; e s1 ammazzò da sè medesimo. Non fu per altro in ciò prudente ; dappoiché la nave > secondata dal vento, alzato il trinchetto, si salvò.

Così Àgatocle che niuna speranza avea prima di vincere i Cartaginesi per mare , fuori dell' aspettativa di tutti li vinse , rimase padrone del mare 7 e diede ai mercatanti sicuro passaggio. D’ onde nacque, che i Siracusani, dianzi afflitti da grande carestia, eb­bero improvvisamente abbondanza di tutte cose per la folla degli speculatori che accorsero a portar loro ogni genere di vettuaglia. Animato Àgatocle da questo buon successo , mandò Leptine a saccheggiare le campagne de7 nemici , e spezialmente quelle degli Agrigentini, massime che allora Senodoco soffriva in Agrigento molte contraddizioni, e s’ erano alzate a danno della sua riputazione dicerie e fazioni, tol­tone r incontro della rotta di recente patita. Àgatocle dunque commise, che insieme col guasto che dato si fosse al paese, si provocasse Senodoco a venire a battaglia, tenendo per cosa molto probabile che fa** cilmente si sconfìggerebbe un esercito diviso in par­titi, e dianzi già rotto. £ così accadde : imperciocché mentre Senodoco da principio non si movea, an­corché Leptine saccheggiasse tutti i contorni, bei*

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veggendo di non avere forze ugiìali, i cittadini gli fecero querela di timidità ; e in fine dovette uscir fuori con un esercito invero pel numero eguale ' a quello de7nemici, ma assai a quello inferiore per fortezza d’animo ; e la ragione si è che i cittadini d’ Agrigento erano avvezzi a vivere nell’ ozio e nella mollezza, e gli altri esercitati alle fazioni militari in piena campagna, ed abituati ad ogni fatica. Perciò venutosi alle mani gli Agrigentini furono cacciati in fuga dai soldati di Leptine , i quali gl’- inseguirono sino alla città. Gli Agrigentini ebbero morti cinque* cento fanti all’ incirca, e cinquanta uomini a cavallo. Di questa sconfitta, come dell’altra, querelarono Se­nodoco 9 quasi ne fosse egli la cagione : onde questi temendo le 'conseguenze di un processo per Pammi* lustrazione della repubblica, andò a Gela.

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Astuzia di Àgatocle per conoscere i mal affetti a lu i, e misure che prende prima di partire per V A -

frica. Cattivo stato in cui trova colà il suo esercito. Assalta i Cartaginesi, ed è obbligato a ritirarsi nel suo campo. Singoiar caso > che scompiglia i Car­taginesi , e ruma lui. Vuol fuggire in Sicilia , ed è arrestato ; indi messo in libertà abbandona V Africa 9 ove i suoi figli sono dai soldati uccisi 9 e gli avanzi delH esercito distrutti.

Àgatocle che in pochi giorni avea vinti per terra e per mare i nemici, faceva agli Dei «acrifìzii, e splendidamente banchettava gli amici ; e tra le tazze deposta la regia maestà teneva un contegno, da meno di qualunque uomo privato : il che egli faceva pri­mieramente per conciliarsi la benevolenza del volgo, cbe di questa maniera cercava ; indi, dando ad ognuno libertà di dire checché volesse, facilmente così esploravane F animo, sapendosi che nel vino trapela sempre la verità. Ed avea egli assai garbo per destar confidenza in tali incontri, estendo uomo faceto, e gesticolatore ; e nelle pubbliche assem­blee stesse non lasciava di pungere con sottili detti taluni, e di contraffarne i modi e gli a tti , in guisa che soventi volte faceva ridere la plebe, pa­rendole di vedere in quel fare un saltimbanco, od un istrione. Usava egli poi di recarsi alle assemblee pubbliche solo e con non altro accompagnamento

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die quello del popolo, diversamente da quanto fa* «era Dionigi, il quale tanto diffidava di tu tti, che spesso lasciatasi crescere la chioma e la-barba, peu non essere costretto ad esporre le principali parti del corpo al rasojo del • barbiere ; e se alcune volte avea bisogno di tagliarsi la zazzera , l’ abbruciava ? così comprovando che 1- utìica salvaguardia della ti» rannideè la diffidenza. .Del testo Àgatocle data in mézzo al banchetto mano ad una grande fiala «Toro gloriatasi di non avere abbandonato il parimo suo mestiere prima d’avere ben imparato a far vasi si­mili. Ghè non celava egli d’ aver fatto il vasajo; anzi se he dava vanto, onde poi dimo&trarè come da quel abbietto stato era pervenuto ad altissimo. Ed essendo una volta accaduto, che assediando non ignobile città i difensori della medesima gli grida* rono dalle mura : o vasajo, cammario , quando par gberai tu gli stipendii ai soldati? egli senza sconcer­ta c i per nulla tranquillamente rispose : quando avrò presa questa città. Adunque poiché ebbe pptnto nel calore della convivale letizia conoscere quài fissero quelli ohe aveano avversione alla dominazione, «pelli egli altra volta banchettò a parte, ed alcuni altri §&* racusani di alti spiriti con essi, in numero di cinque­cento; poi fattili circondare dai più gagliardi de’suoi stipendiati, tutti ad «no per tino li fece uccidere : temendo egli fortemente che quaado fosse ito in Africa , richiamato Dincerate insieme coi fuorusciti, abrogassero il principato. Provveduto di tal maniera alle cose del regno, parti coll’armata da * Siracusa.

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IO O

Ove poi fa giunto in Africa, trovò negli accampa* menti de9 suoi disperazione e miseria : così che per rimediare alla cosa giudicò dover condurre i soldati in faccia ai nemici ; e cercò d’ incoraggiarli a com­battere : nel tempo stesso sfidando i Barbari onde venissero a giornata. Res&svangli in tutto di (and mille seicento Greci, ed altrettanti a un di prèsso tra C elti, Sanniti j ed Efrtischi ; e verso dieci mila di Africani : ma erano questi razza d’uomini insidio* sa , e ad ogni occasione portata a passare dra un servigio all’ altro. Oltre questa gente area mille cin* quecento uòmini a cavallo , e più di sei mila carri africani. I Cartaginesi intanto, accampati in erto luo­go , a .cui era difficile 1’ accesso •, non volevano ar­rischiar vita e fortuna, venendo a battaglia con gente disperata y e speravano che tenendosi nel loro ac*- campamento, ove abbondavano di: tutte le cose op­portune , colla carestia, e col temporeggiare avreb­bero debella to i l nemico. Laonde' Àgatocle vedendò di non ; pptere far calare i nemici al piano, e che intanto le circostanze volevano eh1 egli tentasse tm colpo, e la necessità gliene faceva una legge , con*- dtisse la sua gente all’ accampamento de1 Barbari. E vennero essi.fuori;.e quantunque per numero, e pel svantaggio de’ luoghi fossero di gran lunga superiori , Àgatocle per uri certo tempo sostenne l’ impeto dei nemici che l’incalzavano da ogni, pàrté : ma aVendb i suoi m ercenari, e gli altri ceduto, fu costretto a ritirarsi ned suo campo. Allora i Barbari gli vennero addosso, con più violenza ; e non toccando gli Àfriv

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«ani , onde rendersègli amici, sui Greci e sili mer­cenani , che al modo con cui erano armati y cono- seevansi, fecero man hassa finché li ebbero obbli­gati ad intanarsi negli alloggiamenti. Tre mila furono gli uomini che in quel fatto Àgatocle perdette. Nella' seguente notte poi venne contro ogni aspettativa ad opprimere l’ uno e l ’altro esercito uno strano ed im­provviso disastro.

Accadde adunque che mentre i Cartaginesi della riportata vittoria rendendo grazie agli Dei immola» vano i più belli de’prigionieri fatti, e una gran fiam­ma investiva già i corpi di questi * di repènte alzossi un furioso vento, il quale portò le fiamme prima sul* tabernacolo sacro , vicino all1 altare, sicché s1 abbru­ciò ; indi P incendio passò alla tenda del comandante supremo , e poi a quelle de’ capitani. Facile è imma­ginare lo spavento, che in tutto- il campo si sparse, mentre e quelli che tentavano di estinguere il fuo­co y e quelli che cercavano di porre in salvo armi e suppellettili, venivano colti dalle fiamme.1 Brano i tabernacoli dell1 accampamento fatti di canne e di strame ; onde apparisce come al guasto che in quella materia faceva il fuoco per l’ impeto del vento ,y ag­giunge vasi a rendere l’ incendio più spedito e più. esteso P opera stessa de9 soldati nel muovere intorno qufi’ tabernacoli. Per lo che mentre tutto il campo» abbruciavay quelli che trovavansi ne.’ viottoli praticati tra le file delle tende, presi in dnezzo dalle fiamme venivano abbruciati vivi, puniti di tal maniera per T empietà commessa nel crudel macello che fatte.

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IO *aveano de’ prigionieri. Quelli poi che tumultuari amen- te , e a grandi strida fuggivansi dagli accampamenti, ivano incontro ad altro pericolo, e maggiore.• Moveansi allora quegli Africani , eh1 erano stati

nell’esercito di .Àgatocle , ed abbandonati i seicento Greci intendevano passare ai Barbari, Or quelli che dal campo de’ Cartaginesi erano mandati a far ron­da , veduta quella massa di gente , credettero che tutti i Greci in ordine di battaglia si avanzassero ; e andarono a portarne la nuova ai loro. A tale an­nunzio sbigottimento altissimo e confusione infinita nacque per tutto il campo ; ed ognuno non pensò più che a salvarsi fuggendo , nissun conto facendosi de­gli ordini proclamati dai comandanti. E nella fuga uno incalzando l’altro, parte per cagione della oscu­rità della notte, parte per la paura , tutti immagi­nandosi d’ avere alle spalle il nemico , contro i loro usavano le armi credendo di respingere quello» San­guinosa 6trage di tal maniera facevasi durando l’er­rore; e mentre tanti à petto a petto combattendo rimanevano m orti, altri senz’ armi scappando spro- fondavansi in precipizii, la paura accrescendo 'le te* nebre. Più di cinque mila uomini perirono per que­sto caso ; e la rimanente moltitudine andò a ripa­rarsi a Cartagine. Gli abitanti della città ingannati dal racconto de’ loro credevano che fossero stati vinti in battaglia, e che la massima parte dell’ eser­cito fosse perita^ e in mezzo alla trepidazione natu­ralmente eccitata da tale credenza, aprirono le porte, e. costernati accolsero i fuggenti; ma però timida­

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mente ; badando che cogli ultimi di quelli non s’ in­troducessero i nemici. Fatto poi giorno , anche cono­sciuta la cosa com’era , stentarono a de porre la paura de9 mali che aveano creduti imminenti.

Ma nel tempo stesso un eguale disastro soffrì Aga- toele, cagionato da vana paura. Gli Africani disertori, veduto abbruciate il campo cartaginese, ed alzatosi in esso tanto tumulto , non avendo ardimento d’inol­trarsi pensarono meglio ritornare d1 oncT erano venuti. Ma alcuni de’ Greci che n’ ebbero sentore 3 s’ imma­ginarono chp quello fosse 1’ esercito de1 Cartaginesi y e corsero ad avvisarne Àgatocle. Died’ egli ordine im­mediatamente che si chiamasse all’ armi ; e i soldati con gran trambusto uscirono dell’ accampamento. Ve­dendo poi* salire a gran vortici in alto le fiamme dal campo de’ Cartaginesi , e udendo i loro schiamazzi, tanto più si confermarono nella idea , che venissero ad assaltarli; e come la paura avea tolto loro di ben ragionare, si misero tutti in aperta fuga. Quindi ad essi essendosi mescolati gli Africani, i quali detto abbiamo che ritornavano indietro, traendo tutti l’o­scurità della notte ih errore , ognuno si mise a dare addossò a chiunque in cui s’ abbatteva, te­nendolo per nemico. E così accadde, che da ter­rore panico per tutta quella notte trasportati qua e là confusamente, più di quattro mila rimasero morti} e gli altri a stento , conosciuta poi la verità , si ri­dussero agli steccati. E in questa maniera l’ uno e 1’ altro esercito , siccome dicemmo, per una di quelle casualità che in guerra succedono, ebbe sì grancfe scacco.

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Dopo un tale disastro, Àgatocle essendo già da tutti gli Africani abbandonato , e non potendo colle truppe che gli rimanevano, far fronte ai Cartaginesi , pensò di lasciare l’ Àfrica. Ma come trasportare i sol­dati ch’ egli avea? Nè si erano preparate navi a ciò atte ; e i Cartaginesi, i quali aveano già ricuperato 1’ imperio del m are, non gliel1 avrebbero permesso». Ed inoltre prevedeva che i Barbari non -sarebbero venuti seco lui ad accordo, intenti a volere estermi- nare tutti quelli che stati erano i primi a passare in Àfrica, onde dare un terribile esempio a chi vo­lesse mai tentare simile impresa. Adunque pensò di imbarcarsi nascostamente con alcuni pochi ; tra’ quali prese il suo minore figliuolo Eraclide. Chè di Arca­gato avea paura, sospettando che per l’intelligenza che passava tra lui e la madrigna, essendo di carat­tere arditissimo gli tendesse insidie. Ma questi , pe­netrato avendo i disegni del padre , deliberò di farne avvertiti i principali dell’ èsercito eh’ erano atti ad im­pedirgli di partire, tenendo per iniqua cosa ch’egli,il quale tanti pericoli avea corso guerreggiando pel genitore e pel fratello , fosse abbandonato solo, onde poi venisse in mano de’ nemici, e perdesse la vita. Siccome adunque teneva d’ occhio il padre., e stava all’erta onde sapere quando fosse per eseguire il me­ditato disegno, giunto il tempo, andò a trovare alcuni dè’ capitani, ed espose loro come nella notte seguente' Àgatocle era per partire colla poca compagnia scel­tasi. A tale annunzio si mettono tutti in soqquadro, ed espongono alla moltitudine de’ soldati quel tratto

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di perfidia ; i quali aspramente punti mettono le mani sopra il principe , il legano, e lo cacciano in pri­gione.

Ma come per tal fatto mancava' chi comandasse, tutto il campo fu. pieno di tumulto e di confusione; ed essendo imminente la notte si sparse vooe che si, approssimasse il nemico: il che empi di paura tu tti; ed ognuno balzò fuori armàto senza intanto che vi fosse chi d&se gli ordini opportuni. In mezzo a quel trambusto coloro che facevano la sentinella al prin­cipe , non meno attoniti degli a ltri, credendo d’es­sere da alcuni chiamati presero Agatocle così le­gato com’ e ra , e il portarono fuori. Ma la molti­tudine quando l’ ebbe veduto in quello stato, cam­biata Tira in pietà, gridò che fosse lasciato libero; ed egli intanto sciolto dalle catene con piccola comitiva salì sopra una barca, e senza che nissuno sapesse nu lla , tramontando allora le plejadi, ed essendo prossimo l1 inverno partì : della salvezza sua solle­cito , e abbandonando i figli, i quali, poiché la fuga del padre fu cognita, dai soldati vennero trucidati immantinente, Questi poi creatisi de7 capitani ven­nero ad accordo coi Cartaginesi a quéste condizioni, che ricevendo trecento talenti consegnassero le città che tenevano; e che quelli, i quali volessero mili­tare coi Cartaginesi, ne fdssero presi a stipendio ; e gli altri, trasportati in Sicilia, avessero per abitarvi Solunte. La maggior parte de9 soldati che stettero fermi nella capitolazione, ebbero quanto era stato promesso : quelli., qhe^-vollerù star fòrmi nelle guar*

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nigioni delle /eittà, in cni erano, sperando dT aver rin« forzi da Àgatocle , furono espugnati j e i Cartaginesi ne crucifissero gli uffiziali, e miserò in catene i sol­dati semplici, obbligandoli a coltivare di nuovo eoi loro sudore le campagne dianzi da essi devastate,. Così i Cartaginesi per qnattro anni afflitti dalla guer­ra ricuperarono la pristina tranquillità.

In questa spedizione di Àgatocle in Africa non senza ragione noterai eventi meravigliosi, e il sup­plizio sopra i figli di lui preso dalla divina Provvi­denza. Egli vinto in Sicilia , aveva perduta la mas­sima parte del suo esercito ; e in . Africa con nna mano d’ uomini avea poco prima sconfitti i vincitori, in Sicilia spogliato di tutte le città aveva sofferto P assedio in Siracusa ; e in Àfrica fattosi padrone di tutte le altre città , assediò i Cartaginesi. Con cbe la fortuna venne a dimostrare che forte abbia essa anche nelle cose più disperate. Ma dappoiché Aga- tocle alzato a tanta auge ebbe ucciso Offella , a cui dovea amicizia ed ospitalità, Dio manifestamente di­mostrò , che il nume dispose quanto in pena di quel misfatto di poi gli accadde. Imperciocché in quel mese stesso, ed in quel giorno, in cui avea ammaz­zato Offella, e trattone a sè P esercito, nel girare del tempo egli perdette e figli e truppe ; e quello a che principalmente dee badarsi, è che D io, come ottimo legislatore, il punì doppiamente, perchè per un amico solo , che iniquamente fece morire, egli fu privato di due figliuoli a un tratto 3 così che questi diedero mano ai giovani venuti con Offella. £ ciò

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sla detto per coloro che questo genere di code di­sprezzano.

C i P i T O L a XVL

Agatocle sbarcató in Sicilia va m Egestc . Crudeltà sue verso gli abitanti di quella città per averne de­nari. Crudeltà commesse ad Antandro contro i pa­renti de* soldati dell, esercito £ Africa in vendetta de9figliuoli colà uccisi.

Agatocle essendo rapidamente ginnto in Sicilia, chiamata a sè una porzione delle sue truppe andò ad Egesta y città sua alleata ; e come gli mancava denaro , volle da’ ricchi la massima parte delle loro facoltà: ed avea Egesta dieci mila abitanti. Di mal animo parecchi di questi sostennero tale angheria', e si misero a fare insieme conventicole : il che poi preso a pretesto di trame contro Ini ordite, gittò la città in grandi disgrazie. Imperciocché i più po­veri abitanti, tratti di c ittà , fece scannare sulle rive del fiume Scamandro} e quelli che presumevansi più r ic c h i, fece tormentare crudelmente perchè dicessero quanto denaro avessero. E cacciava alcuni legati ai raggi delle ruote ; alcuni attaccati alle catapulte faceva slanciare come si fa de1 sassi e dei dardi ; ad altri venivano tagliati i talloni, e ciò non bastando ? erano con altri orrendi tormenti martoriati. Ed immaginò ancora un alEro genere di supplizio non dissimile dal toro di Fai aride' e fu questo un letto di brónzo y che

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aveva un9 imposta di figura di un corpo umano , e fatto in modo che dall’ una e dall’ altra parte si po­teva serrare. In questo adunque mise egli le persone che voleva tormentare, e fattovi por sotto il fuoco , le abbruciava vive. Codesta macchina da quella del toro veniva ad essere differente solo in questo, che le persone poste in questo letto vedevansi da tutti. Ad alcune ricche matrone i malleoli de’piedi spez­zava stringendoli con alcune tenaglie, o forbici : ad alcune faceva tagliare le mammelle : a quelle eh’ e- rano incinte, faceva porre sassi sui lom bi, onde pel peso compresse n’ uscissero i feti. Mentre con questi crudelissimi mezzi quel tiranno cercava le .ric­chezze , e tutta la città palpitava di terrore, alcuni presero il partito d’ attaccar fuoco alle proprie case, e d’ abbruciarsi in esse : altri si levarono la vita im­piccandosi. Così Egesta infelicissima colla pressura di un giorno solo peri es terminata con tutto il fiore dei suoi uomini. Chè in quanto alle vergini, e ai ragazzi, Àgatocle li fece portare in Italia, e li vendette ai Bruzii j e la città , onde non rimanesse più nemméno la memoria del nome, sotto quellb di Diceopoli die­de da abitare a’ disertori.

Avendo poi saputa la morte infausta de’ figliuoli, adirato contro tutti quelli ch’ egli avea lasciati in Africa, mandò alcuni confidenti a Siracusa a suo. fratello Antandro, ordinandogli che tutti i pa­renti di quelli, che militato aveano in Africa, truci­dasse. £ colui prontamente eseguendo tale ordine venne a commettere tante stragi, quante per lo pas-

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lo gtato non erano state commesse mài. Imperciocché fece ammazzare non le sole persone di florida età , fratelli, padri, figliuoli, ma fin’ anco gli avi , •i padri di questi, se per avventura ne restassero nell’ ultima decrepitezza , tratti già pdr gli anni a non avere più Paso de7 sensi} e i bambini pare nella crudele esecuzione furono compresi , che portavansi in braccio per nulla consapevoli della imminente ca­lamità. Ed anche le donne per ‘qualunque grado di parentela congiunte agP infelici abbandonati in Afnctf} e finalmente ognuno , il cui supplizio a quelli recar potesse tristezza , tutti venivano messi a morte. In* tanto che sì grande , e sì varia moltitudine di gente strascinavàsi al supplizio sul lido del mare , e gli uccisori li scannavano , lagrime, preghiere , lamenti udivansi dappertutto , uscenti e da quélli che fenza pietà si ammazzavano, e dagli altri che colpiti dalle miserie de9 vicini , pel supplizio a loto stessi immi­nente , di nulla, in quanto ai sentimenti, differivano dagli ammazzati. E quel che fu peggio sopra tu tto , è che in mezzo a tanta strage , giacendo i cadaveri a mucchi sul lido, nè parente, nè amico azzardavasi di dar loro sepoltura , temendo ognuno di essere p e r tale pio atto riputato stretto di parentela qua­lunque con essi. La moltitudine poi degli uccisi su quel lido faceva che per lungo tratto- il mare si vedesse tosso di sangue: la grandezza di quella or­renda crudeltà anche da lungi così manifestandoci.

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Ì IOGi. F I T 0 2 . 0 XVII.

Grande spedizione di Antigono contro V Egitto, Ma trovata troppa resistenza per parte di Tolommeo > egli ritorna in Siria,

Jfel seguente anno presero possesso dell’arconitato in Atene Cprebo, del consolato in Roma Quinto. Marcio, e Pubblio Cornelio. In quel tempo il re Antigono., essendogli morto P ultimo de’suoi figli, Fenice <U nome, gli fece fare mortorio reale} e chia* mato a sè da.Cippo Demetrio, ordinò cbe si vado* nassero truppe in Antìgonia, volendo fare una spe­dizione . in Egitto, Prese egli'il comando delle forze terrestri * e passò nella Siria cava y «vendo nell1 eser­cito più di ottanta mila fanti, otto mila cavalli, e ot tanta tré elefanti. L’ armata diede da condurre a Demetrio, a cui ordinò di levare sulla «piaggia schiere di terra ; e questi ebbe in 4mto cento cinquanta navi lunghe, ben allestite, e cento da trasporto. per le eobe militóri, nelle quali era provvigione amplis­sima d’oggi, genere d’armi. Perchè pòi i piloti ere** devapio taecesaario l’aver riguardo» al tramonto delle plejadi, il, quale parpa dover succedere fra otto gior* n i, li rimproverò coinè gente tròppo timorosa} e intanto .andò>ad accamparsi a Gaza} e desiderando di prevenire ogni preparativo di Tolommeo , ordinò ai soldati die avessero a provvedersi di vettu&glia per dieci giorni. Caricò poi sopra cavalli tratti dal- P Arabia cinquanta mila medinni di frumento, e

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I Hgrande quantità di fieno sopra altri giumenti, cd armi sopra carri} e con tal convoglio marciò pel deserto non senza travagli, perciocché per la più parte quei luoghi erano paludosi e fangosi, spezialmente presso quello che chiamasi Baratro.

I Demetriani dopo che sul far della notte .salpar rono da Gasa, per alcuni giorni ebbero il mar tran­quillo , e le navi più spedile potevano facilmente rimurchiare le altre. Ma caduti sotto l’ influsso delle piej ad ì, ed essendosi alzato il vento borea , tool te quadriremi, improvvisamente e con pericolo per forza della tempesta furono trasportate presso la città di Raffia , difficile d i . approdamento , e mareinmoaa. Delle itavi poi che trasportavano arm i, alcune rimar sero sommerse, altre furono portate a rovescio della loro destinazione verso Gaza. Però le più, fatto grande sforzo , giunsero a Casio : non distante invero dal Nilo , ma luogo senza porto j e die non dà veruno accesso, quando il mare sia travagliato da tempesta. Esse non ostante ciò , gittate le ancore a due stadi! all1 incirca da ferra tentavano di tenersi ivi ferme ; quantunque in quella parte incalzandosi troppo vio­lentemente i flutti v9 era gran pericolo che si perdes­sero e navi ed uomini ; aè di là potea legno in a l­cuna maniera salpare, nè uomo andare a nuoto, senza gravissimo timore di perder». Quello poi, ohe più di tutto riusciva grave , era che stilla flotta man­cava T aequa da bersi ; ed erano ridotti al punto, che se la tempesta fosse durata anepra un sólo gior­no ; sarebbero tutti periti di sete. Ma nel mentre che

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•tarasi in codesta angoscia di morte, il vento oewòy e Antigono capitato colà insieme coll’ esercito , ai accampò non'lungi dall’armata. Ond’è, <fche la gente dalle navi passata a terra si rifocillò nell’ accampa^ m ento, e intanto si stette aspettando quelle navi, che si erano distaccate dalla flotta. In quella com­mozione però del mare perirono tre quinqueren* ; onde alcuni che erano in esse, nuotarono sino al lido. Antigono da quel luogo levando poscia il csm« po, lo trasportò vicino al Nilo, alla distanza di due soli stadii.

Tolommeo intanto avendo con buoni presidii oc* cupato tutti i luoghi più opportuni, mandò alcuni de’ suoi in navicelli di quelli che reggonsi con ba­stoni , i quali navigando vicino alla, riva dicessero , eh’ egli a quelli die abbandonassero, Antigono, da* rebbe due m ine, se soldato comune, e un,talento a chi fosse' uffiziale ; e tale , invito portò' nel euòre de’ mercenarii di Antigono il desiderio di disertare 5 e tra questi «ora la più parte, de’ càpitani , per ra­gioni particolari a eiò tentati. Or come molti diser­tavano di fatto , Antigono mi$e suda viva del fiume saettieri e frombolieri, ed anche parecchie catapulte sicché que’ gridatori de’ navicelli accennati fossero fatti allontanare} ed essendo stati presi alcuni disep* tori , egli li fece morire - con orrendi tormenti • onde togliere agli altri il pensiere d’ imitarli. Avute poi le navi, che giunte erano più tardi, andò al.così detta Pseusostomo ( i) , pensando di poter ivi distender»

(x) Falsa bocca del Nilo.

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tina parte’ dèi suo esercito : riia veduto cbe v’ era forte presidio, e che con catapulte , e con ogni al­tro mezzo veniva impedito d1 accostarsi a te rra , av­vicinandosi la no tte , ne partì. Quindi ai piloti or­dinò , che tenendo dietro alle fiaccole della nave ammiraglia, seguissero il corso di essa , e portassi alla bocca del N ilo, chiamato fatnitica ; e venuto giorno vedendo che molte navi s’erano smarrite', fu obbligato ad aspettarle 7 e a mandare a cercarle per mezzo de’ legni più spediti che avesse»

Mentre egli in queste operazioni perdeva più tem­po che non si doveva, Tolommeo avvisato dell’ ar­rivo de’ nimici incontanente andò in ajuto de’ suoi; e messe in buon ordine le sue truppe si piantò sul lido. Allora Demetrio vedendosi impedito Io sbarcò da quella parte , e udendo die la spiaggia attigua era dalla natura fortificata con paludi e stagni 7 ri­tornò indietro con tutta Tarmata. Ma intanto s’ alzò un fierissimo borea, e per l’ agitamento tempestoso de’ flutti tre quadriremi, e alcune navi da trasporto violentemente cacciate al lido 3 vennero in podere di Tolotnmeo : le altre mercè l’ industria somma dei nocchieri? salve giunsero ove Antigono avea il campo.

Tolommeo avea messe a tutti gli sbocchi del Nilo grossissime partite di soldati, ed avea in pronto grande quantità di barche da fiume, piene d’ ogni genere d’armi, e provvedute d’ uomini capaci a ma­neggiarle : così che Antigono si trovò non poco im­barazzato; perciocché avendo i nemici occupata pri­ma la bocca peluftiaca , nè le forze sue navali potè-

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vano far nulla , nè le terrestri , avendo larghissimo il fiume di fronte, procedere oltre : intanto che poi, essendosi in questo stato di cose passati parecchi giorni, gli uomini non aveano più frumento, nè più pascoli aveano gli animali: inconveniente gravissimo* Per le quali cose vedendo i soldati disanimati, An­tigono tenne consiglio co9 suoi capitani, mettendo in deliberazione, se s’avesse a restar fermi, e guerreg­giare ov’ erasi 3 oppure ritornare in Siria, e con mi­gliori misure di poi rinnovare l’ impresa in tempo in cui l’acqua del Nilo fosse nella sua maggiore bas­sezza. A questo partito inclinarono tu tti, e si deli* berò che al più presto s’ avesse ad andare : laonde si diede ordine che i soldati prendessero le loro ba* gaglie. In fatti così si fece, e radendo tutta la flotta la spiaggia, con molta celerità si fu in Siria.

Listo sopra modo Tolommeo dell’andata de’ ne* m ici, celebrò in ringraziamento agli Dei un solenne sacrifizio, e lautissimo banchetto diede agli amici. Quindi scrisse a Seleuco, a Lisimaco, ed a Gassan* dro informandoli del prospero successo , e del gran numero dei disertori venuti a lui. E con questà se­conda guerra assicurato dai tentativi de’ nemici Y E- gitto , e parendogli d’ avere quel paese di sì giusto diritto, come se lo avesse comperato all’ asta , ri­tornò ad Alessandria.

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C a p i t o l o XVUI.

Agatocle caduto in trista fortuna rinuncia per accordo con Dinocrate a l regno lasciando Siracusa in li­bertà. Ma il trattato non si eseguisce per secreti

fin i di Dinocrate. Agatocle si accóncia coi Carta­ginesi. Il paese dei Sanniti è rumato dai Romani.

Nel mezzo di queste cose Dionigi, signore di Era­clea del Ponto, cessò di vivere dopo aver tenuto il principato trentadue anni. Furongli successori in esso i suoi figliuoli, Ossatre e Clearco , i .quali re­gnarono diciassette anni.

Agatocle intanto iva giràndo per le città soggette al suo imperio ? mettendovi buoni presidii, ed ^stor­cendone denaro; perciocché era entrato in fortissima paura che andategli male le sue imprese , prendes­sero le armi per mettersi in libertà. -

Circa poi quel tempo medesimo Pàsifilo, udita la morte de9 figliuoli di Agatocle7 e la grande sconfitta avuta in L ibia, sprezzando quel principe passò ad unirsi a Dinocrate, ed occupate le città commesse alla sua fede corrompeva con grandi promesse F e- sercito , di cui aveva il comando, e lo distaccava dalla divozione del re. Laonde veggendosi Agatocle in tante angustie, nè sapendo ornai più - ove rivol­gersi , tanto disperò di sè , che mandò ambasciada a Dinocrate, invitandolo a pacificarsi con queste con­dizioni j eh1 egli rinuncerebbe al regno; che darebbe Siracusa a1 cittadini; nè più Dinocrate sarebbe esule:

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però che a lui si consegnassero 1 due castelli Ter- ma, e Cefaledio coi loro territorii

E qui certamente saravvi chi si maravigli che - Àgatocle j il quale in tutti gli altri casi di sua vita sempre fu fermo, e nel proposto suo costantissimo, nè mai per qualunque estremo pericolo , in cui si trovasse, perdette animo, allora in tanto avvilimento fosse caduto da voler cedere ai nemici il principato, pel quale tante e sì acerbe guerre avea sostenute. E quello che è più., che essendo ancora padrone di Siracusa, ed a sua disposizione avendo navi e de­naro , e non mediocre esercito , sì debole di mente fbsse divenuto da non ricordarsi menomamente di quanto avea fatto Dionigi. Sapea egli pure, che questi caduto manifestamente in sì deplorabili strette, che non avendo più speranza di conservare il principato avea deliberato di fuggire da Siracusa, e già già stava jzv *montare a cavallo; Glori, il più vecchio de’suoi amici, arrestatolo gli avea detto : sul sepolcro , Dio* nigi, è la signoria. E a questo simile fu il detto pure allora di suo parente Megacle ( i ) , che chi si spoglia

(i) Crede il Fesse tingio , ohe qui Diodoro abbi* errato , paren­dogli in aperta contraddisione con qoanto scrisse nel lib. xivs Ma se 1* un passo e 1* altro si considera , facile sarà il vedere , «he ciò eh* egli ha messo in bocca a Polisseno allora, è alquanto differente da quello che qui rammenta detto da Megacle. Errò il Rodomano chiamando Megacle snocero di D ionigi, non badando , che la parola da Ini oosì tradotta indica egualmente affitte, genero, a suocero e dee applicarsi secondo la verità de* casi. Così abbiamo data ragione, perché in luogo di Megacle non abbiamo sostituito Polisseno : il che sensa la notata differensa avremmo potuto fare , e sarebbe stato effetto di diligenza , purgando il tasto da m erroro introdottovi per qualche copista*

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della signorìa dee andarsene di modo > che lo atra* sminino le gambe, non che si parta egli volontaria­mente. Dai quali avvisi colpito Dionigi, con forte animo resistette alle più terribili avversità che allora H contrariavano : indi amplificò il suo imperio ; ed invecchiato nella potenza e nelle ricchezze, lasciò ai figliuoli il maggior principato che a que’ tempi fosse in Europa. Ora Àgatocle da nessuna di queste cose mosso, nò dalla esperienza sua sapendo cogliere frutto per tentare miglior fortuna, un tanto imperio, che pure avea ancora , contrattò a miserabilissimi patti. Ciò però non ebbe effetto. Perciocché qua»*

' tunqne nelle sue proferte egli fosse fermo, 1’ ambi­zione di Dinocrate guastò tutto» isp irav a costui a farsi monarca;* perciò nulla il toccala della demo* oraria di Siracusa ; e godeasi del' magistrato di etti era investito, avendo a disposizione sua più di venti mila fanti, e tre mila cavalli, e molte grandi città i di modo ché quantunque fosse chiamato, il generale de’, fuorusciti, avea tutto lo splendere della reai maestà, avendo in mano il sommo potere. Che se fi)ss’egli ritornato a Siracusa, aarebbegli toccato.di vivere vita privata, e di confondersi tra plebei, pop chè la libertà vuole eguaglianza, e nelle, pubbliche votaztoui da ogni adulatore del popolo sarebbe' po­tuto èssere tolto di posto) sapendofii.oMe.il popolo «empire affronta chi in vicinanza di grado parla alia* avente. Dirassi adunque con cagione che . Àgatocle abbandonò la dignità della signoria ; ma avrà Rmo- crate la colpa delle felici imprese di poi fatte da In i

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Àgatocle con ripetuti messi Y andava sollecitando "sulla esecuzione del trattato , e domandava i due castelli per sostenere la vita ; e Dinocrate trovava ognora pretesti per non venire all’ adempimento dei patti, ora dicendo che Àgatocle dovea partire onni«- namente da tutta l’ isola, ora chiedendo che desse per ostaggi: i figliuoli che rimanevangli. Ond’ è che Àgatocle conosciute le intenzioni di colui, mandò ai fuorusciti persone che il querelassero come uomo il quale oppone vasi al ristabilimento della pristina li-* berta. E Inandò pure ai Cartaginesi ; e stipulò pace eon essi a patto , die i Peni ricuperassero le città che dianzi in Sicilia possedevano ; per le quali egli ebbe trecento talenti d’ orò , valutati a ragione del talento d’ argento , o cento cinquanta, oome scrisse Timeo; e di più ebbe -quaranta mila mediani di. frt*- meato* In questo stato adunque erano allora le cose di Sicilia.

In Italia i Sanniti espugnarono Sora ed Asta d ttà alleate de’Romani, e ne vendettero i prigionieri. Perlo che i consoli invasa coll’ esercito la Japigia, an­darono a metter campo presso la d ttà di Silyio, la quale avendo buon presidio di Sanniti; i Romani as­sediarono , e combatterono per alquanti giorni, ed in£ne presero per assalto, facendovi più di ernque mila prigionieri, e 'traendone gran bottino. Indi scoi* «ero Iti campagne de’Sanniti/ spiantandone gli alberi, fe facendovi - dappertutto orribil guasto : perciocché avendo Ronca con q ael - pofròlo combattuto tanti e tanti anni* per speravano i Romani ohe

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quando que7 formidabili nemici fossero rimasti spogli di quanto dà la campagna, per necessità avrebbero dovuto j cedere a’ più potenti. Cinque mesi impiega­rono in minare in ogni parte il paese nemico : ab­bruciarono i villaggi , estirparono quante piante po- teano dar frutto qualunque, e ridussero la campagna un vero deserto. Poi andarono a far guerra a quei d’ Anagni per certi torti cbe nr aveano avuti 3 ed espugnata Fresinone , ne vendettero il territorio.

C a p i t o l o XIX.

Antigono fa guerra a Rodi , e pèr qual motivo. Grande armata che Demetrio conduce ai danni di quella città. Macchine 9 che costruisce e adopera. Misure di difesa , che i Rodii allestiscono. As~ salti e combattimenti.

Passato quell7anno ebbe Parcontato in Atene Eus« senippo , e Lucio Postumio, e Tiberio Miniido fu* rono consoli in Roma. In quel tempo fu guerra tra i Rodii ed Antigono per le seguenti ragioni. Avea allora la città di Rodi grandi forze marittime , e fra Greci reggeasi molto bene. Quindi i re , e i varii si­gnori a gara desideravano di partecipare della-buona fortuna di essa, ed ognuno cercava tutti i mezzi di farsela. artica. Essa però prevedendo da lungi quanto poteva esserle, ùtile ; con tutti in paitic'éiare era ami­ca, ma non volle mesdbiarsi nelle guerre» ette aveano tra lóro ciò faceva , efe? da ciasohedutjto fosse

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inoonorata con regie largizioni : ond’ è cbe da lungo tempo godendo pace , aveano le * cose sue preso un grande incremento. £ bisogna dir veramente eh1 essa fosse in assai potenza, posciachè a sue proprie spe­se per comodo de’ Greci assunse guerra coi Pirati, e purgò il mare da’ladri. Alessandro, sì celebre nella, memoria degli uomini, avea sopra tutte le altre città distinta qnesta, poiché in essa avea deposto il testa* mento , in cui disponeva di tutto il regno : con che pare cbe avendola in grande considerazione inten­desse di darle una certa magnificenza. I Rodii poi y tenendosi amici di tutti i potenti, guardavansi dal dare a veruno occasione di lamentarsi di loro : però una certa inclinazione in sostanza aveano verso To­lommeo ; e ciò perché in Egitto i loro mercatanti trovavano buon accoglimento , e facevano utili nè* gozii; così che può dirsi che tutta la loro città si alimentasse delle ricchezze di quel regno.

Consideratosi ciò da Antigono, egli cercò con ogni mezzo di distaccare i Rodii dall’ amicizia di Tolom­meo. E già dianzi , in occasione che guerreggiava con Tolommeo a cagione di Cipro , avea mandata ad essi per averne a ju ti, e chieste navi per Deme* trio.' E siccome essi le ricusarono, Antigono avea ordinato ad uno de’ suoi luogotenenti che andasse loro addosso coll’ arm ata, e che predasse quanti da Rodi navigassero verso l’ Egitto. Ma avendo i Rodii cacciata quell’-armata , Antigono gridando ch’eglino erano autóri di una ingiusta guerra, avea minacciato di assediate co& grosso esercito la lóro città. A llori

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i RodK decretarongH onori magnificentissimi, e spe* di tigli legati il pregarono che non volesse forzare la città ad immischiarsi , violando la fede dei trattati, dèlia guerra contro Tofarnmeo. £ quando, male Ac­colti q»e’ legati y il re mandò 'Demetrio colP esercito e con ogni treno d'assedio contro loro, temendo essi la * soverchia sua forza,, fecero dire a Demetrio qual* mente* sarebbero andati in .ajuto di Antigono contro Tolommeo. Ma domandando egK cento ostaggi fra i più nobili-tra essi, e che inoltre accettassero nel loro porto la sua armata, credendo che con ciò vo* lesse tendere itvsidie alla loro città , si prepararono alfó guerra* Intuito dalla parte sua Demetrio raditi ■nate tutte le sue truppe nel porto di Lorima allestì la dotta per la spedizione contro .Rodi. Avea egli dugento navi lunghe di diversa grandezza, cenato set-, tanta da trasporto, • nelle quali avea imbarcati circa quaranta mila nomini ; ed avea inoltre uomini a co* vajlo, e corsari ; ed immensa provvigione cl’ armi-, <li munizioni, e di macchine opportune per un asr* sedio ; e seguivalo in non meno di mille pontoni una infinita turba di vivandieri* e d'altra skoil genie^ perciocché siccome da molti anni le campagne di Rodi «on aveano sofferto guasto, una gran molti tu» dine da ogni luògo s’era mossa di quella ciurmaglia che nelle disgrazie di chi soffice la guerra cerca la sua fortuna.

Demetrio adunque allestita Tannata con tutto quel treno formidabile che usato avrebbe andando » dqr battaglia-, róse iuuaati Je 9»ri lunghe am ate «ielle

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prore di catapulte di tre spitami , e quelle che trasportavano soldati e cavalli ; fece andar dietro alle prim e, tirate a remurchio da legni che andavano a noni; e in ultimo pose i pontoni de’.pirati, * ba­stimenti de1 mercatanti, e quelli che portavano la vettuaglia, come si è detto , numerosissima : ond’ è che tutto lo spazio di mare che dall’ isola si \ stenda «Ila sp o s ta spiaggia, cjra pieno del naviglio» e met­teva a chi la riguardava dalla città r spavento insieme © stupore. I soldati de1 Rodii,'distribuiti*sulle mura^ aspettavano l’arrivo de1 nemici; e i vecchi e le donne dalle case, ( che la città era piantata in forma di -teatro ) riguardando al m are, del destino della lóro patria erano in forse , colpiti da - sì grande arm ata, e percossi dal bagliore di tante anni lucenti. Deme­trio approdò all7isola, e messi a terra i suoi soldati w accampò sotto la c ittà , in modo però d7 essere fuori di tiro delle balestre. I corsari po i, « T altra •siffatta gente che avea seco, mandò: fuori, onde per mare e per terra devastassero l’isola*, ed egli il tei> ritorio circonvicino 'disalberò tutto , e distrutti i vil­laggi l’ accampamento suo fortificò, cingendolo di •tre fossi, e di grossi e grandi argini^ onde colla ca­lamità stessa de7 nemici assicurare se medesimo. Indi còli7opera di tutto l7esercito, e degli alleati che avea nell7 arm ata, tutto lo spazio oh7 era tra la città e il luogo dello sbarco , empì di un grande rialto*; ed allargò il porto , sicché potesse contenere maggior inumerò di navi.

J Rodii incominciarono a mandar deputati , pré-

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gando che non si volesse imparabilmesete. distrug­gere la città ; e vedendo ogni preghiera rana , per­duta la speranza di venire ad accordo, spedirono a Tolommeo, a Lisimaco, ed a Cassandro doman­dando . ajuto, trovandosi la loro città con ai gran, guerra addosso. Proposero poi agl’inquilini , oberano iti c ittà , e a forestieri tu t t i , di poter concórrere «eco loro , volendo, alia difesa comqne ; e tutta la turba inutile mandarono fuori, tanto per non consti* mare invano' le vettuagKe, quanto per impedire tra tanta gente , a cui l7 assedio riuscirebbe » grave, di pensare a tradimenti. Quindi fatta la rassegna di quelli, eh7 erano atti alle an n i, trovarono esservi mille seicento cittadini, e circa mille tra inquilini ed ■ospiti. Fu pur fatto un decreto, che i servì, i quali ne7 pencoli si fossero comportati da bravi uomini, avrebbero avuta la libertà, pagatone dal comune il prezzo ai padroni ; ed inoltre sarebbero inscritti tra i cittadini. Più: che quelli, i quali fossero morti nella guerra, avrebbero avuta sepoltura pubblica, e i loro genitori e figliuoli dall7 erario del comune sa­rebbero stati' alimentati ; siccome pure , che l7 erario , ne avrebbe dotate le figlie, e che i figliuoli già adulti sarebbero stati incoronati in teatro nella solen­nità de7 Baccanali, armati da capo a piedi. Con tali promesse eccitati gli* animi di tutti a valorosamente incontrare i pericoli ; passarono i Rodii a provvedere anche per le altrie cose. I ricchi mettevano fuori il denaro , giacché il popolo ne faceva sicurtà : gli ar­tefici .si dichiaravano pronti ad impiegare i lorc .me-

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ftieri per la costruzione delle armi, e di quant’altro potesse abbisognare ; nè v’era alcuno che non gareg* giasse in mostrarsi impegnato nella difesa comune. Perciò chi lavorava intorno alle catapulte, e baliste, chi in allestire ogni altra cosa. Ed alcuni s’ erano messi a ristauvare le mura nelle parti, che potevano richiedere questa diligenza ; e i più portavano sulle mura sassi e p ietre, e ne facevano de7 mucchii. Mi­sero pure in acqua tre navi speditissime per inqnie» tare i nemici, e i mercatanti «he ai nemici portassero vettuaglie *7 l e . quali navi, molti bastimenti che cor* seggiavano per depredare la te rra , mandarono tosto a fondo { e molti tratti al lido abbruciarono , me­nando poi in città quelli de9 fatti prigionieri, che potevano riscattarsi : tanto p iù , che i Rodii aveano pattuito con Demetrio il prezzo del riscatto recipro­co, che era di mille dramme per ogni uomo libero , e di cinquecento per. ogni servo.

Intanto Demetrio fornito abbondantemente d* ogni sorta di materiali per costruzione di macchine, in­cominciò a far fabbricare due testuggini, una contro le petriere e V altra contro le catapulte ; ed entrambe egli collocò ben ritte , ed unite sopra due navi da trasporto. Poi fece due torri a quattro solai, pià alte di quelle che i Rodii aveano nel loro porto , ognuna delle quali era portata dà due bastimenti legati insi/eme , e sì bene equilibrati, che a qualun­que peso , e movimento stessero fermi. Costruì an­cora un grande argine mobile sopra travi quadrate^ di quattro piedi di grosseaza, ben legate insieme co*

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chiodi j . col quale intenderà Impedire ai nemici di avvicinarsi alle nari portanti le macchine.

Mentre faceransi questi lavori, radunati i più grossi lem bi, li fortificò con taro le, e vi fece finestre che potessero chiudersi ; e tra le catapulte di tre spitami scelse quelle che tirarano più lontano di tu tte , con uomini attissimi a farne uso $ e vi pose ancora dei saettieri cretesi ; e spinti i legni entro tiro , si mise a bersagliare gli oppidani, che conducevano a mag­giore altezza le muraglie del porto. Questi poi ve* dendo che Demetrio metteva ogni sua cura in occu­pare il porto j a difenderlo posero ogni possibile in* gegno. Perciò collocarono due macchine sull’argine, è tre altre sopra navi da trasporto alla bocca del porto minore , con catapulte e petriere di diversa grandezza, affinchè con tal presidio, quando espo­nessero soldati su quelP argine , o vi mettessero mac­chine , potessero respingere gli assalti nemici. Poi in altre navi da trasporto, che stanziavano nel porto , grande provvisione posero di dardi per le catapulte.

Erano di questa maniera pronti da una parte e dall’ a ltra , quando volendo Demetrio avvicinare le sue macchine ai porti 9 una furiosa tempesta sorse ad impedirlo. Ma poi approfittando della calma so­praggiunta nella notte, mosse chetamente , ed occu­pato P argine del porto maggiore , tosto circonvallò il luogo , e con tavole e sassi il colmò ; indi vi pose sopra quattrocento soldati con ogni genere eT armi. Quel luogo non era distante dalle mura che cinque jdettr). Venuto poi giorno, a suono di trombe, e

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con grande schiamazzo recarsi al porto le macchine , e coi piccoli dardi volanti dalle catapulte cacciansi quelli che lavorano intorno al muro nel porto ; e colle baliste le macchine degli assediati e il muro condotto sali’ argine vengono ove conquassati, ove atterrati ; tanto più che quel muro allora era debole e basso. £ difendendosi gli oppidani valorosamente, tutta la giornata si passò a fare ed a ricever danno. Al- l'appressarsi poi della notte Demetrio accostò le mac­chine a forza di remurchii, però tenendole fuori di tiro. I Rodii allora con battelli pieni di materia secca, e di fiaccole accostatisi alle macchine, a quella secca materia diedero fuoco: ma con queir argine natante, che abbiamo già accennato , e con frecce e dardi respinti, furono costretti a dare indietro ; e poiché P incendio in que1 battelli durava, alcuni che pote­rono estinguerlo , ritornarono con essi ; ma la mag­gior parte , essendosi i battelli abbruciati, non si salvò che a nuoto. Nella stessa maniera il giorno dopo Demetrio diede un assalto dalla parte del mare; e diede ordine che con ischiamazzo e con trombe si desse Passalto anche dalla parte di te rra , onde incutere ne1 Rodii paura ed ansietà, distratti a un tempo a più luoghi.

Con questo genere di oppugnazione per otto giorni le macchine degli assediati piantate sull’argine Deme­trio spezzò e distrusse colle baliste che gittavano sassi del peso di un talento ; e rovesciò il m\iro frapposto alle to rri, e le torri medesime ; e di più i suoi sol­dati occuparono una parte del muro che stendevasi sul

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porto: dorè i Rodii accorsi reimero alle mani col nemico : ed essendo superiori di numero , parte degli assalitori ammazzarono , e parte obbligarono a riti* rarsi. Fu di Vantaggio agli oppidani l’asperità del luogo giacente innanzi alla città , poiché facevano una specie di parapetto al muto sassi grandissimi iri ammucchiati ) e siccome non pochi battelli , che aveano portato i soldati, nel sofferto trepidam elo erano stati balzati a quella parte , gli ' assediati con gran prestezza afferravangli, e con fiaccole e fasci* nelle che gittavano nelle navi, le incendiavano. Ma nel mentre che i Rodii occupavansi di queste cose, i soldati di Demetrio colle navi portati da ogni parte, appoggiarono le scale al muro, e con maggior ardore, ajutati da quelli de’ loro eh’ erano in te rra , lo sehia* mazzo, c il trom bettamelo ripetevano. Ivi molti essendo che arditamente esponevansi ai peritoli , e già gran turba avendo preso a salire sul muro , nacque vivissimo combattimento , facendo gran forza al di fuori gli assalitori, e eop gran forza accorrendo' di den» tro gli assediati a difendersi ; e finalmente* gagliar­damente adoperando i Rodii, di quelli che salivano il muro , una porzione fu m orta, un’ altra , per le ferite perdute le forze , venne in mano degli oppi* dani ; e vi si contarono alcuni de9 capitani primarii* Per questa sconfitta avuta Demetrio fece trasferire al porto , eh’ egli occupava , le macchine ; e tanto queste, quanto le navi fece riparare in ciò che aveano sofferto. Ai loro morti i Rodi fecero solenni funerali j e le spoglie de’ nemici, e i rostri delle navi tolte a

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questi consacrarono agli Dei ; e riattaronp quelle parti delle m ura, che dalle petriere de?nemici erano «tate guaste.

Demetrio, finito in sette giorni di ristaurare mac­chine e navi, posto tutto all’ ordine per 1’ assalto, di nuovo si voìse al porto ; e metteva ogni sua cura per impadronirsene, e per fare che gli oppidani non potessero ricevere vettuaglia. Or tosto che si fa a tiro , egli fece gittare fiaccole nelle navi qua e là poste de’ Rodii, avendo fatta di quelle gran provvigione ; e colle baliste tormentava il muro , e colle catapulte feriva qualunque persona si presen­tasse alla vista de’ nemici. Continuando con gran terrore sì fiero assalto , i piloti de’Rodii, pieni di paura dell’esterminio delle navi, estinsero le fiaccole, e andarono al magistrato della città , detto dei Pii- tan i, dicendo, che soprastando imminente il pericola che il porto fosse preso dai nfemici, era d’uopo, che ogni buon cittadino volesse esporsi per la salute comune. E a tale proposta jcon ardito animo offe­rendosi m olti, tré navi le più forti di tutte s’ em­piono d’uomini sceltissimi, i quali hanno ordine di cercare ad ogni costo di dare coi rostri di cozzo tanto gagliardamente alle navi nemiche, le quali portavano ìè macchine, che quelle abbiano a som* mergersi. Niun caso acbinque fanno que’ prodi del denso nembo di strali, che loro piove addosso; e con violentissimo impeto giungono a spezzare il valla tutto ch’è ben guarnito di ferro, e fanno che le navi da molti colpi rotte s’ empiano d’acqua; e due mac-

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chine rovesciano e mandano a fondo. E come la terza dalla gente di Demetrio veniva tratta indietro coi canapi, i Rodii, animati dal buon esito de' primi loro sforzi, con più audacia che occorresse , si mi­sero alla nuova prova. Ond’è, che molte delle grandi navi nemiche intorno sparse movendosi a rompere coi loro rostri i fianchi di quelle de’ Rodii, Esse- cesto , ammiraglio, ed alcuni altri rimasti feriti, caddero in potere de’nemici 3 e mentre I* altra mol­titudine gittatasi in acqua nuotava verso i suoi, una nave fu presa dalla gente di Demetrio: le altre però scapparono.

Dopo questo combattimento Demetrio fece fabbri­care un’ altra macchina, la quale superava del triplo la prima , sì in altezza che in larghezza ; e già so­prastava essa al porto , Quando improvviso sofHo di austro , rompendo le nubi, con tale/-forza-in vestì le navi che la trasportavano , che queste furono som­merse , • e la macchina restò tutta guasta. Del qual contrattempo ben prevalendosi i Rodii, aperte le porte, assalirono quelli che stavano in quella gran mole 5 onde nacque sanguinosissima è lunga zuffa , nella quale non potendo accorrere Demetrio in ajuto dei suoi a cagione della tempesta, e i Rodii dandosi gli uni gli altri la muta, i loro nemici, poste giù le ar- m i, in numero di quattrocento furono costretti ad ar­rendersi. Ottenuta i Rodii tale vittoria, videro appro­dare alla loro città alquanti ausiliari , centocinquanta Gnossii, e più di cinquecento altri soldati mandati da Tolommeo, fra quali alcuni di Rodi stessa, eh’erano

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allo stipendio di quel re. Cosi allora andava l’as­sedio di Rodi

C a p i t o l o XX.

Àgatocle assalta Dinocrate e i suoi fuorusciti, e lo sbaraglia. Indi viene ad accordo ; e si fa amico Dinocrate che guerreggia utilmente per lui. Cam­pagna de Romani nel Sannio.

In Sicilia ? Àgatocle, veduto che non avea potuto accordarsi con Dinocrate e i suoi fuorusciti, mosse contro coloro le truppe eh’ egli aveva, riputando conveniente un tal passo, e necessario che là sorte infine si decidesse. Non avea egli che seicento fanti al più , e ottocento cavalli. Dinocrate e i suoi, alle mosse de’nemici furono lieti di dover venire a bat­taglia , essendo superiori di numero ; giacché aveano più di venti mila e seicento fanti, né meno di tre mila cavalli. Quindi postisi a campo presso il Gor- gio , non si tardò il fatto d’armi ; e il combattimento fu alquanto vivo per 1’ ardore ond’ erasi animato dal- l’una e dall’ altra parte. Ma poco dopo alcuni di mal umore verso Dinocrate 7 ed erano questi più di due m ila, passarono alla parte di Àgatocle , e furono, cagione che i fuorusciti soccombessero : perciocché per quel fatto quelli eh* erano con Àgatocle presero più animo, e i seguaci di Dinocrate sospettando che i disertori fossero in maggior quantità} si diedero alla fuga. Àgatocle dopo averli alcun poco inseguiti,

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ordinò' che si sospendesse la strage\ e mandò apro* porre ai vinti , che posto fine alle discordie ognuno ritornasse alla sua patria : avere già i fuorusciti per propria esperienza dovuto conoscere che contendendo con esso lui colle armi non possono^ essergli supe­riori nemmeno quando abbiano soldati più valenti. Tutti gli uomini a cavallo erano scappati rifuggendosi nel castello di Ambica 5 ed alcuni de’ fanti nella sus­seguente notte pur si sottrassero. Ma la maggior parte avea occupato un colle 3 e disperando di vincere in battaglia, altronde bramosi di rivedere i parenti , e gli amici, e di godere della patria , e de’ suoi bene- fìzii, vennero con Àgatocle a trattato di pace : i quali però j sulla fede della stipulazione fatta essendo di­scesi dal colle ben m unito, egli spogliò delle armi y e fatti circondare dalle truppe , tutti ? senza eccet­tuarne uno solo ? fece saettare, e distruggere in nu­mero ? secondo che narra Timeo , di due mila sei­cento , e secondo altri di circa quattro mila. Imper­ciocché codesto tiranno costantemente spregiò fede e giuramenti \ e s’ acquistò forze non colle truppe che il seguivano, ma prevalendosi della debolezza dei sudditi : paventando egli più gli alleati, che i nemici.

Distrutto di tal modo l’ esercito nemico, gli avanzi d e ’ fuorusciti accolse } e Dinocrate prese per capitano d i una parte del suo esercito ; e per guiderdonarlo in appresso alla fede sua commise le maggiori sue imprese. Nel che ben fi a che alcuno ammiri Agato- cle j poiché mentre sospettò sempre di tutti a modo clic a nessuno mai prestò fede, al «olo Dinocrate

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sino al fine di sua vita conservò amicizia. Adunque Dinocrate , traditi i suoi compagni, avendo sorpreso Pasifilo in G ela, 1’ ammazzò ; e le castella e città mise a divozione di Àgatocle , consumando due anni in sottomettere i nemici al dominio di lui.

In Italia i Romani debellato avéndo i Palinii, tol­sero loro le terre 3 e ad alcuni , che aveano seguite le parti romane , diedero il diritto di cittadinanza. Dipoi i consoli andarono contro i Sanniti , i quali saccheggiavano il territorio di Falera ; e fatta batta­glia la vinsero , prendendo venti bandiere , e più di due mila soldati. Ma poiché ebbero espugnata Boia, venne fuori improvvisamente Gajo-Gellio , co­mandante supremo de’Sanniti, con mille seicento uo­mini; e si fece battaglia più fiera della prima, nella quale però e Gellio fu fatto prigioniero , e la mag­gior parte degli altri Sanniti fu uccisa: gli altri ven­nero vivi nelle mani de’nemici. Andata così bene at consoli quella campagna, delle città alleate, che dai Sanniti erano sfate prese, ricuperarono Sora, Arpi* n o , e Serenia (1).

(1) Pare che Tito Livio intenda la stessa città , dicendo, che in quell* anno furono ricuperate Sora , Arpino e Censenna» ehe è €osen*a. Alcuni però leggono piuttosto Ceserna} e v* è anche chi mette Cersenna. Veggasi l1 utilità di queste miserie degli Eruditi.

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C a p i t o l o XXI.i33

Descrizione di una Elepoli di mirabil grandezza fa tta costruire insieme con altre macchine da Demetrio per espugnar Rodi. Ingegno e carattere di questo Principe. Sforzi de’ Rodii per difendersi. Terribile assalto dato alla città.

Nel seguente anno Teretle fu arconte in Atene, ed ebbero in Roma il consolato Pubblio Sempronio e Pubblio Sulpizio. Correa poi l’olimpiade diciannove­sima sopra le cento: e in essa riportò la palma nello stadio Andromene di Corinto.

In quel tempo Demetrio che assediava Rodi, ve­dendo che gli assalti che dava dalla parte del mare non corrispondevano a’ suoi tentativi, stabilì di as­saltare la città dalla parte di terra. Onde apparec­chiata quantità di legnami d’ogni sorta, fabbricò una di quelle macchine , che dal prendere le città , al qual effetto si adopera, vien detta Elepoli j e la fece di gran lunga maggiore delle prime. Aveva essa la base quadrata, ciascuno de’ cui lati correva lungo cinquanta cubiti; ed era fatta di legni riquadrati, e stretti l’ un l’altro a forza di spranghe di ferro. Nel mezzo essa avea un campo fatto con travi poste a un cubito di distanza tra loro , onde vi si allogas­sero quelli che dovevano spingerla ; e tutta questa mole veniva strascinata sopra ptto grandi ruote , la grossezza delle cui apsidi era di due cubiti, ed esse apsidi erano cerchiate fortemente di ferro. Per tirarla

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poi secondo l’oecorrenza avea alquanti timoni, fatti a modo da poter essere facilmente maneggiati per tutti i versi. Dagli angoli sorgevano colonne poco meno di cento cubiti alte , e tra loro collegate in maniera, che venendo ad avere nove ordini di tra­vatura , il primo presentava^ quarantatre aperture , l’ultimo nove. Tre lati della macchina al di fuori erano coperti di lastre di ferro ben inchiodate , sic­ché non potesse aver nocumento per qualunque ma­teria combustibile vi venisse lanciata contro ; e alla fronte i tavolati aveano alcune feritoje di forma e grandezza proporzionate ai dardi, ed altre simili cose che si volevano lanciare ; e v’ erano appiccati certi ripari a modo di porte , per cui rimaner doveano coperti quelli che da’solai avessero dardeggiato; ed insieme eran apposti sacchi di pelli, ripieni di lana, i quali temperassero i colpi procedenti dalle baliste nemiche. Ogni solajo poi avea due scale assai lar­ghe , per una delle quali si trasportava quanto ma­teriale per combattere occorreva , e per 1’ altra po­tevano senza confusione discendere all’ uopo quelli,' che davano gli ordini. A tirar quella macchina, ovunque si riputasse necessario eransi scelti da tutto 1’esercito in numero di tre mila quattrocento i più robusti uomini, i quali, parte stando dentro alla medesima, parte di fuori alla schiena d’essa, aveako a spingerla con giusta intelligenza , onde venisse mossa opportunamente.

Demetrio costrusse anche testuggini, alcune per fare scavamenti, altre per maneggiare gli arieti; e

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ffeee insieme de’ porticati, a coperto de* quali stes* sero quelli che operando aveano da andare e venire. Cóli’ ajuto poi della ciurma delle navi appianò imo spazio di quattro stadii, pel quale dovevansi condurre le macchine ; e l’ azione di queste stendevasi a tanto, ehe corrispondeva a sette torri della città, e a sei bastioni a quelle torri interposti. Gli artefici ed operai impiegati in questi lavori, non erano in numero mi­nore di trenta mila uomini.

Era dùnque fatto ai Rodii terribile Demetrio mercé sì numerosa moltitudine di operai, e tanto apparec­chio di lavori eondotti a fine con una' incredibile prestezza. Nè erano essi colpiti solo dalla grandio* sita di quelle macchine , e dalla moltitudine ond’era composto il nemico esercito ; ma più ancora dalla insistenza, e dall’ ingegno , che quel Principe met­teva negli assedii intrapresi. Imperciocché nell’ imma* ginare ogni più sottil mezzo egli era acutissimo , ed oltre quanto sapevano fare i suoi architetti, molte cose egli medesimo sapeva inventare; così che.ebbe il titolo di Poliorceta , che è quanto dire di oppugna­tore di città. Ed era egli veramente ili questa parte di guerra potentissimo e gagliardissimo, a segno che non si dava muraglia, o fortificazione qualunque, che a chi egli assediava potesse prestare difesa. Era poi anche di grande e bella persona a m odo, che tutta dimostrava la dignità dell’eroe, e faceva meraviglia a v quanti forestieri il vedeano, presentandosi a tutti pieno del decoro della maestà reale ; e quante volte usciva, gli correvano dietro non sazii mai di contemplarlo.

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A queste eminenti qualità univa egli alto animo e magnifico, non che del volgo , de’ principi ancora spruzzatore ; ed in esso lui vedeasi la singolarità tutta sua propria, che in tempo di pace si dava tutto alla ebrietà ed ai banchetti, e . alle danze , e ad ogni tri­pudio j e per dir breve , imitava il viver di Bacco , secondo che le favole cel rappresentano quando con­versò coi mortali ; e questo stesso uomo in tempo di guerra era svelto e sobrio, e tale , che fra quanti avevano a moversi, e ad operare , sopra tutti e di persona e di mente vedeasi travagliatore instanca* bile \ e sotto il comando e la direzione sua furono fabbricate armi e macchine d’ ogni genere, e d’ogni portata, che superarono di gran lunga tutte quelle, che V erano mai fabbricate altrove. Così dopo 1’ as­sedio , di cui parliamo, e dopo la morte del padre, egli mise in mare le maggiori navi che si fossero ve­dute giammai.* Intanto i Rodii , vedute le opere costrutte dai ne­mici , alzarono nell’ interno della città un muro cor­rispondente a quello, che Demetrio era per combatte­re j avendo in tale opera impiegate le pietre che era­no nel circuito del teatro, il quale andavano distrug­g ev o insieme coi vicini palagii e templi, fatto voto ?gli Dei di riedificarne de7 nuovi assai più belli, se la pittà rimanesse salva. Misero pur fuori nove navi , ordinando ai comandanti delle medesime , che isserò scorrendo dappertutto, e con improvvisi assalti i legni presi o affondassero, o conducessero alla città# £ questi salparono in tre distinte partite. Demofilo^

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uno di que’ comandanti / con navi che i Rodii chia­mano filacidi ( i) , navigò sino a Garpanto j e dando addosso a molti bastimenti di Demetrio, alcuni ne ruppe a colpi di rostri, molti cacciati al lido incen­diò, ritenuti delle ciurme i prigionieri, da’ quali po- tevasi cavare miglior servizio 3 nè pochi bastimenti poi condusse in città di quelli che portavano via biade dall’ isola. Menedemo, che comandava a tre di quelle navi, che chiamavansi trieremiolie (3), an­dato a Patara, città della Licia, abbruciò una nave sorpresa all’ancora, mentre le ciurme erano sbarcate a terra 3 e molte , che poetavano viveri al campo , catturate, mandò a Rodi. Catturò pure una quadrire­me che navigava dalla Cilicia , ed era carica di tutte le vesti, e suppellettili reali, da Fila , moglie di Demetrio, a grandi spese allestita, e spedita al consorte. 11 predatore mandò questo bottino in Egit-v t o , perciocché si ricchi e superbi abiti di porpora non convenivano che al re. Tutti poi i marinaj di quella quadrireme, e delle altre navi prese, vendette» Aminta ,\ capitano delle altre tre navi, passò alle isole ; e trovate parecchie navi cariche di quanto occorreva per le macchine , alcune ne affondò , altre condusse alla città ; e con esse gli capitarono

(1) Così chiamavansi le navi mandate a scoprire.(a)' Per quanto può trarsi da Ateneo queste navi erano minori di

una quadrireme. Ma 'con ciò sappiamo poco. Però dopo avere ben considerato ciò che ne dicono il Bai/io , lo Scaligero, il Salmasio» il Palmiero , il Vesselingio , ed altri, dobbiamo confessare, che non ne sappiamo di più. Nè questa infine è la maggiore disgrazia «he possa avvenirci.

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in mano undici distintissimi artefici, sommamente abili in fabbricare armi e macchine.

In città poi fattasi pubblica assemblea, fu da al­cuni proposto che si demolissero le statue di Anti­gono e di Demetrio, ragionando «he non si avea da tollerare che quelli che combattevano la c ittà , par­tecipassero degli onori attribuiti ai benefattori della medesima. La quale proposta fu mal’ accolta dal po­polo j il quale rimproverò chi l’ avea fa tta , come persone inconsiderate ed improvvide : sicché né tolse minimamente ad Antigono F onore che dianzi avea avuto in Rodi ; ed assai bene provvide alla sua glo­ria , e al suo vantaggio. Imperciocché codesta ma­gnanimità } e codesto fermo e buon giudizio mante» nuto nello stato popolare furono presso tutti gli al­tri grandemente lodati } e crearono poi pentimento negli assedianti. Ed in vero appariva assai strana cosa, che quelli i quali restituivano la libertà alle città della Grecia, le quali niun titolo aveano a tanta benevolenza, a questa poi volessero porre il giogo della servitù ? mentre essa dava si chiaro argomento di costante stima e devozione. E la condotta de’ Ro­dii poteva poi giovare in alcun inopiuato caso di fortuna, poiché se mai fosse avvenuto che la città restasse presa, rimaneva ancora qualche speranza d’impetrar salute in quella certa prova che sarebbe apparsa, d’aver tenuta memoria dell’antica amicizia. Così, guidati da singolare prudenza si comportarono i Rodii (i).

(i) Cicerone ha notato, che di tal« maniera i Rodii si comporta-

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Demetrio avea già traforata con mine la c ittà , quando un disertore indicò agli assediati come i mi­natori erano già entro i pomerii. Per lo che i Rodii scavata una profonda fossa di rimpetto al muro che stava per cadere, altre mine con somma prestezza fecero anch’ essi ; ed incontratisi sotto terra coi ne­mici , a questi levarono i mezzi d’ inoltrarsi di più. £ mentre da ambe le parti custodivansi questi scavi sotterranei ? alcuni di quelli di Demetrio cercarono di corrompere con denaro Atenagora, messo dai Ro- dii alla custodia del luogo. Era costui milesio di nazione, e mandato da Tolommeo capitano di mer- cenarii. Ora egli promise di tradire la città ; e fissò il giorno j in cui dovea Demetrio mandare alcuni de’ suoi capitani principali a penetrare di notte pel sotterraneo nella città ; e a rilevare il luogo più op« portuno da fare investire ai soldati. La quale avven­tura avendo messo Demetrio in grande speranza , egli radunato il consiglio, gli annunciò il fatto; indi incaricò della impresa un certo Alessandro macedo­ne , eh7 era uno de’ suoi più distinti famiglia» ed amici. Ma appena dal sotterraneo fu colui per isbu- care in c ittà , i Rodii gli misero le mani addosso ; e Atenagora intanto che sì bel colpo ad essi procu-

rono anche con M itridate in circostanze simili. Dione Grisostomo ha rimproverato i Rodii del suo tempo , i quali le statue 9 e le la- picU dai loro maggiori innalzate a4 grandi uomini, mutate le iscri­zioni , e gli abiti, dedicavano a persone di basso stato e di niun me­rito. Ma allora i Rodii non erano più uomini liberi: la romana tirannide da lungo tempo li aveà corrotti assoggettandoli alla co­mune servitù.

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iò opportunamente avvisandoli, guiderdonarono con una corona d’ oro ) e per onorario gli diedero cin­que talenti dr argento ; nè omisero alcuna cosa per rendere benevoli verso il popolo i mercenarii e gli ospiti.

Frattanto avendo Demetrio terminate le macchine tu tte , e ben appianato sotto le mura il te r r e n o , mise in mezzo la Elepoli, e distribuì all’ intorno le testuggini in numero d i . otto , quattro da un canto della macchina, e quattro dall’ altro ; e ad ognuna d’esse aggiunse un porticato, affinchè quelli che vi entravano, o ne uscivano, potessero con sicurezza eseguire quanto loro veniva ordinato. Due altre te­stuggini poi alzòy più grandi delle altre, come quelle che coprir doveano gli arieti. Era ognuna d’esse ta­le che stendeVasi a dugento venti cubiti, ben ar­mata di ferro , ed avente la fronte simile al rostro di una nave ; e poteasi facilmente muovere essendo piantata sopra ruote , e spinta nell’ atto dell’ azione con efficace impulso da. non meno di mille uomini. Essendosi adunque sul punto d’ apprestare tutti co- desti ordigni alle mura, sopra ogni solajo della Ele­poli furono portate baliste e catapulte quante oc­correvano: poi si ordinò che truppe navali si schie­rassero sul porto, e ne’luoghi vicini; e l’ esercito terrestre si distribuì presso la rimanente parte del m uro, che poteva permettere l’ assalto. Finalmente essendo già ciascheduno al suo posto , al segnale dato s’alza il grido della battaglia, e con sommo im­peto da ogui parte la città viene assalita. E già da­

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gli arieti, e dalle petriere le mura scotevansi, quando sopraggiunti' i legati de1 Gnidii, chiesero che si so­prassedesse , promettendo di persuadere ai Rodii di cedere , per quanto fosse possibile, alle domande del re. E questi soprastette in vero ; ma dopo molti discorsi da una parte e dall’ altra non si potè ve­nire ad accordo ; e allora l’ assalto gagliardamente di nuovo incominciò ; e Demetrio gittò a terra una fortissima to rre , fabbricata con lastroni quadri di pietra ; e di tal modo sconquassò tutto il muro in­terposto, che non ebbero più i Rodii mezzo di pas­sare agli altri propugnacoli.

C a p i t o l o XXII.

I l re Tolommeo manda ajuto ai Rodii, Essi resistono meravigliosamente ad un grande assalto , che De­metrio fa dare alla città. Finalmente V assedio ces­sa > e si fa la pace.

In questo frattempo il re Tolommeo mandò a Rodi grande quantità di bastimenti carichi di vettua- glia, essendo in essi trecento mila artabe (i) di fru­mento, e molti legumi. Ora accadde , che preso avendo il dritto corso verso la c ittà , Demetrio spedi

(i) Era 1* arlaba una misura usata dai Persiani, dai Medi, e dagli Egìzii.Presso i Persiani, secondo che dice Erodoto * veniva a comprendere tre chenicii attiri più del medinno attico. Presso i Medi, se si dà mente a Sfida e ad Epifanio , era eguale al me­diano attico. Presso gli Egizii, secondo Remnio Fannio, equiva­leva a tra modii e «a terzo.

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alla Tolta di que’ bastimenti navi sue perchè al suo campo trasportassero quella vettuaglia ; ma quelli approfittando di vento favorevole ? a piene vele ap­prodarono al porto a cui tendevano ; e la gente di Demetrio ritornò senza essere riuscita nel colpo ten­tato. Anche Cassandro mandò a Rodi dieci mila me» dinni d’ orzo, e Lisimaco quaranta mila di frumen­to } ed altrettanti d’ orzo ancora : ai quali soccorsi la città si confortò, e gli assediati che ornai erano scoraggiati, presero animo. E pensando che sarebbe loro giovato assai, se avessero assaltate le macchine de’ nemici, si provvidero di una grande quantità di frecce incendiarie ? misero sulle mura tutte le bali’* stc e catapulte che avevano, e nella susseguente notte , circa la seconda vigilia ? improvvisamente at­taccarono con un iìteessante nembo di pietre le sen­tinelle ; ed altri adoperando dard i, ed ogni genere di frecce ignifere , quanti de1 nemici accorrevano, ferivano da tutte le parti. La genté di Demetrio, cosi contro ogni aspettazione assaltata ebbe per suo primo pensiero quello di salvare le macchine ; ma non ^splendendo in quella notte la luna, la sola luce vedeasi delle fiaccole violentemente scagliate, e nel turbine delle saette' tratte dalle catapulte, e dei sassi uscenti dalle baliste, sèntivasi ferita senza co­noscere il come. Ed erano già dalla macchina cadute alcune lastre , e sullo scoperto legname incomincia­vano a lavorare Ite fiaccole ; laonde Demetrio , per paura che crescendo il fuoèo quella gran mole ve­nisse tutta consumata ; corse più che potè presso al

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riparo, e fatta recare ne’ solai d’essa quantità d’ac­qua cercò d’estinguere le fiamme; e per ultima mi- aura, fatti a suou di tromba chiamare artigiani ed operai destinati al servizio delle macchine , le fece trasportare fuori di tiro.

Venuto poi giorno, ai bagaglioni ordinò che racco­ntassero le frecce e i dardi tratti dai Rodii, volendo da ciò estimare l’industria con cui gli oppidani aveano proceduto ; e di frecce ignifere, diverse nella gran­dezza, se ne contarono più d’ ottocento , nè meno di mille cinquecento erano stati i dqrdi scagliati dalle catapulte : così che al cqnsidejrare tanta quantità di projettili usati in poche ore della notte , ebbe a ri­manere meravigliato delle tante provvisioni di cose di guerra, che la città avea, e della spesa enorme che per queste essa sosteneva. Riparò egli intanto il guasto sofferto, fece dare sepoltura agli uccisi, e ai feriti i soccorsi convenienti. Il che fatto avendo che rimanesse sospeso V uso delle macchine, gli oppidani ebbero tempo di alzare un terzo muro in forma di mezza luna, comprendendo nel giro del medesimo quelle parti di muraglie che trovavansi in pericolo. La parte poi dì mupaglia, eh’ era caduta, cinsero di un fosso profondo , onde il re mettendo pure in moto quella sua gran mole , non potesse per qua­lunque gagliardo assalto entrare in città. Mandarono inoltre fuori alquante navi delle più veloci, datone il comando ad Aminta , il quale ito al continente più lontano dell1 Asia piombò improvvisamente sopra ad alcuni -corsari mandati da Demetrio con tre navi

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aperte, e tenuti pei più valorosi che militassero per quel re. Nel quale incontro non fu lungo il combat­timento seguitone ? e i Rodii presero quelle navi in­sieme cogli uomini che v’ erano sopra, fra i -quali trovavasi anche Timocle capo de’ medesimi. Assaltò pure Aminta vani mercatanti, a cui levò non poche barche cariche di frumento j e tanto poi queste 3 quanto quelle de’ corsari, di notte tempo3 . e senza che i nemici se ne avvedessero 7 condusse in Rodi.

Demetrio poi , messo che ebbe in buon ordine le sue macchine , le avvicinò ancora alle mura ; e fa­cendo scialacquo d’ ogni sorta di dardi , e di frecce 7 e di sassi , cacciò dai propugnacoli i difensori ? e il vicin muro conquassando cogli arieti , rovesciò due bastioni ? nel mezzo de’quali gli oppidani difendendo con ogni loro sforzo una torre ? fierissimi oltre ogni dire si fecero gli azzuffamenti , gli uni succedendo agli altri senza intermissione , di modo che anche Aminta, comandante dei Rodii, mentre con grande fiducia c ombatteva, rimase m orto, e con esso pa­recchi altri soldati.

Mentre succedevano questi fatti , Tolommeo re fece una spedizione di frumento 5 e d’ altri/comme­stibili } in quantità non minore dell’ antecedente , e vi aggiunse mille cinquecento soldati 7 capitanati da Antigono macedone. Nel qual tempo andarono a trovare Demetrio legati degli Ateniesi e d’altri Gre­ci ? in numero d’ oltre cinquanta, i quali tutti pre­gavamo a finire quella guerra. Laonde fu fatta tre­gua ) e molti e diversi parlari s’ interposero e col

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popolo rodio , e con Demetrio ; mp nemmeno questa volta si potè venire ad accordo: sicché que’ legati partirono senza aver fatto milla.

Demetrio pensò di poi di dare un assalto di notte alla città r cercando d’ entrarvi dalla parte in cui il muro era rovesciato» Al quale intento scelse mille cinquecento de9 più risoluti e capaci. A questi aduuque ordinò d’appressarsi quietamente al muro verso la seconda vigilia ; e tenendo disposti tutti gli altri soldati suoi, a’ comandanti delle varie schiere ordinò che subito che da lui fosse dato il segno tutti alzato grande schiamazzo assaltassero la città per terra e per mare. Fu da ognuno eseguito 1’ or­dine y ed itfunantinente molti recatisi ove il muro era minato , immantinente , uccise le sentinelle che stavano al fossoy entraron dentro la città, ed occupa­rono i luoghi intorno al teatro. I capitani de’ Rodii, inteso quanto era seguito , ai difensori del porto e delle mura ordinarono , che ognuno stesse fermo e difendesse il suo posto , >e respingesse il nemico che assaltava al di fuori ; ed essi intanto con uno squa- drone di sceltissima gente, e coi soldati venuti di recente da Alessandria , andarono addosso a quelli eh’erano penetrati in città. Venuto poi giorno, avendo Demetrio alzato il suo stendardo , tanto quelli che aveano invaso il porto y quànto gli altri che circon­dato aveano il m uro, con gran clamore cercarono di animare coloro, i quali s’ erano appostati ne* con­torni del teatro. Perciò ragazzi e donne y scorrendo a turbe la città , tremanti facevano gran piagnisteo ,

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credendo che la patria fosse presa. Ma venutosi alle mani tra quelli eh1 erano entrati nella c ittà , e i Ro­dii , quantunque molti da una banda e dall’altra restassero uccisi, durava sul principio ognuno a te­nersi fermo nel suo posto : se non che cresciuti es­sendo i Rodii pel concorso di molti che venivano a rinforzare i loro , tutti risoluti d'incontrare ógni pericolo , poiché combattevano per la patria , e per tutto ciò che avevano di più caro al mondo y quelli di Demetrio incominciarono ad essere gagliardamente incalzati; ed Alciino e Man zia caporioni degli altri, furono uccisi ; e de’ rimanenti parte peri combatten­do , parte cadde prigioniera de' nemici ; e pochi sai* varonsi fuggendo verso il re. Anche de’ Rodii perdet­tero la vita parecchi, fra i qupli fu Damotele Pritanio , che si era grandemente segnalato pel suo coraggio.

Non ostante però che a Demetrio paresse dalla fortuna levarglisi di mano il soggiogamento di quella città j preparavasi ad assaltarla di nuovo. Ma aven­dogli suo padre scritto che a qualunque patto facesse pace coi Rodii, egli aspettava un incontro òppor* tuno onde parlare di pace con certa dignità. Anche per parte de’ Rodii incominciava a nàscere una in* clinazione alla pace, dappoiché Tolommeo, il quale avea scritto loro alquanto prima come era per soc­correrli una terza volta con grosso convoglio di fru­mento e con tre mila uomini, di poi li esortava ad un aggiustamento , se fosse stato possibile , di* screto* Erano pure in quel tempo venuti per parte della nazione degli Etoli legati a cercare d'insinuare

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la pace (i). Adunque la pace si stipulò tra i Rodii e Demetrio a questi p a tti, che la città de’ Rodii fosse libera, senza presidio alcuno, e padrona as« eoluta delle sue rendite ; che fosse alleata con An­tigono , e comuni con esso avesse le arm i, eccetto il caso di guerra con Tolommeo , che desse ostaggi cento de’ suoi cittadini a scelta di Demetrio , .fuori però di quelli 'i quali avessero magistrato (a).

(x) Plutarco servendo a<l una sua prevenzione dà tatto ìt merita della mediazione agli Ateniesi, e toglie agli Etoli la parte loro do­vuta , e 1* influenza assai maggiore eh* ebbero nella oosa. Vero è che agli Ateniesi allora in guerra con Cassandro premeva di ve­dere liberi dall* assedio i Rodii, che forse speravano d’ avere ausi­liari : ma è più vero che Demetrio contava sugli Etoli , coi quali più abbassò dicesi che fece lega, per le forse maggiori con cui, secondati dalla situazione, potevano essergli di vantaggio volendo portare la guerra in Macedonia,

(a) Non saprebbesi dire su qual fondamento V itrw io lasciasse scritto che 1* architetto Diognclo mettesse tale impediménto alla Elepoli di Demetrio , eh* essa non potè nè procedere , nè retroce­dere. Nè similmente si può intendere quanto, dice Phuareo » non ve­ramente nella vita di Demetrio , ma soltanto ne’ suoi Apoftegmi, cbe Demetrio, fatta la pace co* Rodii a lasciasse loro quella macchina* Quest* ultima supposizione è assurda, poiché la dignità di quél re , che pur diede le condizioni della pace, n'avrebbe sofferto. La prima sarebbe di tal caraUere da non potere assolutamente essere •tata ignorata da Diodoro , che tante parliqolarità diligentemente ha raccolte intorno a questo assedio. Se il fatto di Diogneta fosse vero, converrebbe tenere per romanzo una gran parte delle cose da Dio~ doro esposte, le quali però hanno per sè l* autorità di scritteti con* temporanei > o di posteriori di poco agli avvenimenti narrati*

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C a p i t o l o XXIII.148

/ Rodii rimeritano ampiamente quanti aveano loro prestata opera per la salvezza della città. Demetrio si volge a dare la libertà alle città greche tenute in soggezione da Cassandro. Angherie di Àgatocle contro gli abitanti di Lipari, e tristi casi a lui occorsi. 1 Ronfani fanno pace coi Sanniti.

Di tale maniera dopo l’assedio di. un anno 1 Rodii riebbero la pace, e furono grati, e con degni premii rimeritarono quanti si erano comportati da valenti uomini ) e dichiararono cittadini, fatti in prima li­beri , gli schiavi y che si erano nel servigio pubblico distinti. Alzarono parimente statue ai re Cassandro e Lisimaco e a quanti di mene glorioso grado aveano assai fatto per salvare la città. Rispetto poi a To­lommeo per rendergli ampio guiderdone, siccome desideravano, mandarono teori in Libia ad interro** gare 1* oracolo di Àmmone sul punto , se pensasse esso che quel re si dovesse venerare come un diQ. Ed avendo l’oracolo risposto affermativamente, essi a Tolommeo consacrarono dentro la città un bosco quadrato, ad ogm lato del quale costruirono un portico lungo uno stadio > e chiamato il Tolom­meo. Ristaurarono pure il teatro , e quelle porzioni di m ura, eh1 erano state abbattute, e gli altri luoghi dalla guerra o per cagione d’ essa ruinati ; e con eleganza tutte queste cose ristabilironsi maggiore di quella cqn cui fossero state dianzi fatte.

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Demetrio ratificata coi Rodii la pace , a seconda degli ordini del padre salpò con tutta la sua gente; e fatto il giro, delle isole andò ad Aulide in Reo-* s ia , mettendo in libertà i Greci ; giacché Cassandre è Polisperconte sciolti da ogni timore per la lonta­nanza del nemico, da aleuti tempo aveano messo a ruba parecchi cantoni di Grecia. Ora Dente trio prn mieramentè pose .in. libertà la città de'Calcidesi, in cui tenevano presidio i Beozii; e messo ne’Beozii un grande spavento -, li obbligò ad abbandonare 1’ atni« ci zi a di Cassandro. Poi fatta lega cogli Etoli, si pre-* parò, alla guerra contro Polisperconte e Cassandro* Le .quali cosè mentre andavano succedendo, ac* cadde che morì dopo sei anni di regno Eumelo re del Ponto ; ed ebbe per successore Spartaco suo fi* .gliuolo, il quale ne regnò venti»

Or dette per noi le cose riguardanti la Grecia e r Asia , aggiungeremo quelle delle altre, parti del .mondo. In Sicilia Àgatocle improvvisamente audò sopra i Liparini, che viveansi in piena pace; e senza averne avuta ingiuria alcuna, volle da essi cinquanta talenti d’ argento. Nella quale Occasione da molti s’ebbe per miracolo quanto diremo in appresso; pò*- scia chiarissimamente si vide punita la malvagità scellerata. Pregavano, i Liparini, che fosse loro data un respiro pel pagamento di tanta somma, non aven­dola essi tu tta , nè , come dicevano, stati Usi mai A porre le mani sulle preziose cose consacrate àgli Dei. Ma Àgatocle volle a tutta forza il denaro eh* trovavasi nel Pritaneo, porzioni dei <juale} cetM

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dalla iscrizione appariva, ersi consacrato ad Eolo j e porzione a Vulcano (i). Avuto adunque in sì fetta maniera il denaro fece vela , e partì. Ma sorto un v^nto gagliardissimo undici navi cariche di quel de­naro furono spezzate. Così quegli, che in que’luoghi dicesi comandare ai venti, parve a molti essersi ven« dicato della ingiuria ricevuta* Vulcano p o i, sul fine della vita di Àgatocle, mediante la stretta unione del suo nome col fuoco, abbruciandolo vivo sopra ardenti carboni, diede al tiranno nella stessa - sua patria il supplizio alla di lui empietà dovuto. Ed apparve aver voluta eguale giustizia e quando salvò dall’ incendio quelli che i loro genitori ricoveravano alle falde del Etna , e quando la, sua forza esercitò contro gli empii verso il nume. Ciò che intorno al fine di Àgatocle si è qui accennato, vedrassi con­fermato quando saremo giunti al tempo conveniente.

Del resto dovendo restringere in breve gli avve­nimenti succeduti nelle attigue parti d’ Italia, diremo che i Romani e i Sanniti, dopo avere fatta guerra in­sieme pel corso continuato di ventidu# anni e sei mesi, per mezzo di legati fecero pace. P. Sempronio p o i, uno de’ consoli, ito ad assaltare il paese degli Equi, in cinquanta giorni al più prese quaranta borgate di quel popolo ; e forzatolo alla sudditanza di Roma,

(i) Il Vcsulin&io vuole, che qui non si trattasse di danaro, come Diodoro suppone, ma di statue consacrate a Vulcano e ad Eoloy che in Lipari aveano speziai culto. Fa più meraviglia, che quel valentuomo solito a mettere nelle sue opinioni grande circospezione, abbia avanzata questa , di «ui non allega alcun minimo fondamento.

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al suo ritorno trionfo con grande solennità. I Romani poi fecero lega coi Marsi , coi Peligni, e coi Ma* ruccini.

C a p i t o l o XXIV.

ItnpreSe di Demetrio nell* Acaja. I Tartntini otten- gono dagli Spartani per comandante Cleonimo y il quale 'empie tutto di rapine e di scandali. Vicende di costui. ,

Essendo passato queir anno} venne fatto arconte in Atene Leostrato, e in Roma furono creati consoli Servio Cornelio, e Lucio Genucio. Tenendo pertanto questi il governo della repubblica, Demetriorprese p far guerra a Cassandro, a restituire ai Greci la lib ertà , e più di tutto a porre le cose della Grecia iu buono stato : la quale impresa egli pigliò tanto perchè stimava molta gloria dovergli provenire dalla libertà data a que1 popoli, quanto per la speranza che avea di distruggere i capitani di Cassandro che .erano uniti con Prepelao. 11 che fatto, sarebbesi pqi rivolto contro Cassandro stesso, e al centro del- r imperio. Era allora la città di Sicione presidiata dalla gente del re Tolommeo $ e vi comandava Fi­lippo j che godeva di grande e splendida rino­manza. Andò adunque Demetrio a darle un9 as­salto improvviso di notte ) e penetratovi dentro j il presidio si ritirò tosto nella rocca. A llora, padrone della c ittà , Demetrio si appostò tra la rocca e le

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case ; ed era per piantare le macchine onde combat­tere la rocca , quando atterriti dall1 apparecchio quelli che v’ eran dentro , vennero a p a tti, la consegna­rono , e partirono condotti in Egitto. Quindi avendo Demetrio persuaso ai Sicionii di portarsi ad abitare nella rocca, quella porzione della città che stende- vasi verso il porto , la quale era molto fortificata , spianò. Nella quale opera egli fu ajutatò dagli oppi­dani istessi, i quali , essendo stati da lui restituiti all* antica loro libertà f onori divini tributarongli per F insigne beneficio ricevutone. Quindi è che e la città loro chiamarono Demetriade, e decretarono che ogni anno gli si dovessero fare sàcrifizii e radunanze festive, e giuochi, ed altri onori, come a fondatore: ma ttRte codeste cose, per le mutazioni indotte dai tem pi, rimasero abolite. Intanto i Sicionii ottenuto sito per abitare migliore Assai di quello di prima , ivi stettero continuamente 'sino all’età nostra. E in­fatti il sito della rocca è piano e spazioso, ed è d’ogni intorno di difficile accesso pei precipizii che il circondano ; nè macchine possono apprestarvisi per travagliarlo. Nè poi vi manca 1’ acqua ) e perciò po­terono formarvisi degli orti fertilissimi : sicché appa­risce la sagacità di quel r é , il quale egregiamente provvide ai Sicionii per quanto in pace può deside­rarsi di piacevole , e di difesa è sicurezza in occa* sione di guerra.

Demetrio così composte le cose de1 Sicionii, con tutto l’ esercito suo'mosse verso Corinto , tenuta al­lora con presidio da Prepelao, luogotenente di Gas-

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sandro.’ Ivi subitamente per una porticella di notte tempo introdotto da alcuni cittadini, s1impadronì delia città e dei porti ; cd essendosi il presidio ri­coverato parte nel così detto Sisifìo ( i) , parte nel- T Acro-Corinto , col mezzo delle macchine di guerra , dopo molti stenti, di viva forza prese il Sisifìo. Quelli, che presidiàvano quel luogo forte , non potendo di­fenderlo p iù , erano iti ad unirsi agli a ltr i, che sta­vano nell1 Acro-Coritoto ; ma Demetrio seppe strin­gere anche questi a modo, che li sfottò ad arren­dersi imperciocché a questo principe, quando asse-

• diava alcun luogo, non poteasi in alcun modo resi­stere : essendo valentissimo in'trovare ogni più effi­cace mezzo di espugnare qualunque fortificazione. Quantunque-poi egli desse ai Corintii la libertà, pur tenne guarnigione nell1 Ae?o-Corinto •, e ciò £1 ad istanza de1 cittadini medesimi, i quali desiderarono di stare .sotto la protezione del re fino a tanto che durasse la guerra con Cassandro. Cacciato adunque vergognosamente di Corinto Prepelao, costui andò ad unirsi a Cassandro. Demetrio dal canto suo ito in Acaja s1 impadronì a viva forza di Bura (2) ; e mise in Kbertà anche i cittadini di questa : così pochi giorni dopo fece di Sciro , avuta che P ebbe in suo

(1) E ra questo tra monumento consacrato alla memoria di ' Sisifo 9 re aniichisnmo di Conato.

(») Ricorderannosi i nostri leggitori, che altrote Diodoro ha raccon­tato come questa città fu orribilmente sommersa. È d' uopo dunque supporre , che un' altra delle «lesse aoaae fesse stala di poi fenduta nelle Tteinanae^

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potere, cacciatone il présidio $ e di tale mahiera li­berò tutte le altre città dell’ Acaja ; e mosso il campo verso Egio> lo assediò, intimando a Strombico , co­mandante del presidio , cbe gli consegnasse la città. Costui però non volle cederla; ed anzi dalle mura .ardì gridare contro Demetrio con ogni genere <T in­giurie ignominiose. Per lo che Demetrio fatte appres­sare le macchine , e rovesciate le mura della c ittà , •F ebbe poi per assalto ; è fece crocifiggere in faccia della città tànto quello Strombico, che ivi era stato posto per comandante da Polisperconte, quanto gli altri suoi nemici, i quali furono ottanta : gli stipen­diati p o i, eh’ erano circa due mila , «adati prigio­nieri di guerra, arruolò nelle sue schiere. Espugnata questa c ittà , le castella del contorno, conoscendo essere impossibile il sostenersi contro il re, per isfug- girne.lo sdegno,, si misero di buon garbo a sua devozione. E fecero poi lo stesso tutti quelli che presidiavano le altre c ittà , veggendo che non rice­vevano rinforzi nè da Polisperconte, nè da Cassan­dro ; e che Demetrio poteva ad ogni momento piom­bar loro addosso con tanta forza d’arm i, e di mac­chine eccedenti ogni ordinaria misura. Così andavano allora le imprese di Demetrio.

In Italia i Tarentini, guerreggiando coi Lucani e Romani, mandati ambasciadori a Sparta, chiedevano ajuti , e Cleonimo per capitano supremo. Gli Spar­tani volentièri accordarono Cleonimo ; e i Tarentini misero insieme denari e navi : ond’ è che Cleonimo radunati al Tenaro di Lacònia cinque mila soldati s

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rapidamente navigò a Tarento , ove presi a soldo avventurieri in numero non inferiore ai prim i, e fatta leva anche di oppidani, ebb? venti mila fanti , e due mila cavalli. A questi aggiunse pure Greci ed Itali parecchi, e la nazione de’ Messapii. Per sì nu­meroso esercito postisi in gran paura i Lucani , si riconciliarono coi Tarentini > e fecero amicizia di ■nuovo. I soli Meiapontmi non vollero abbassarsi; e quindi nacque che Gleònimo incitò i Lucani ad an*- dare insieme con esso lui a dare il guasto alle cam­pagne di quelli; ed assalitili li gittò in gran terrore; « di più entrato nella loro città come amico , levò Joro più di seicento talenti d’ argento, e volle in ostaggio dugento vergini, non tanto a sicurtà di loro fede, quanto a satollamente di sua libidine. Imper­ciocché colui, gettato via il sacco laconico , consu­mava il tempo in delizie , e rendeva schiavi quelli, che s’ erano commessi a lui: e mentre poi avea sì bello esercito e provveduto d’ogni cosa opportuna, egli non fece alcuna cosa degna del nome spartano. Vero è che avea ideato di fare una spedizione in Sicilia, , quasi, rovesciata la tirannide di Àgatocle, mirasse a restituire ai Siciliani l’ antica libertà; ma abbandonato poi quel pensiero passò a Corcira, ed impadronitosi della città , volle per forza una gros­sissima somma , e vi pose presidio , meditando di prevalersi di quella città come di una rocca di guer­r a , e di là dar la legge ai Greci.

Non tardarono a presentargli*! legati di Demento Poliorceta, e di Cassandro , p tr trarlo in lega eoa

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essoloro : ma non si urti con nessuno. Qòindi atfett* do inteso che i Tarentini, ed alcuni altri popoli aveanlo abbandonato, lasciato in Corcira un suffi* ciente presidio, colle altre sue truppe passò in Italia con disegno di punire que’ contumaci}. ed approdato ad Ora, dò v’era guarnigione di Barbari, prese quella città , ne vendette gli uomini all’ asta , e ne devastò con ampio saccheggiamento la campagna. Così espu- -gnata anche Triòpio fece da tre mila prigionieri. Circa il qual tempo i Barbari di quel paese raduna* tisi in un buon corpo investirono di notte il suo a o campamento, e più di' dugento soldati gli ammazzai rono , e presso a mille ne presero vivi ; e a questo disastro T altro ancora si aggiunse , che nel tempo •medesimo una tempesta suscitatasi gli fracassò venti navi , le' quali ‘stanziavano quasi presso il suo ac* campamento. Travagliato da tutti questi rovesci Gleo* nimo navigò'di nuovo cóli’ esercito a Corcira*

C a p i t o l o XXV.

Cassandro non potendo aver pace da Antigono, fa lega contro di lui con Tolommeo, con Seleuco, e con Lisimaco. Spedizione di Lisimaco in Asia. Antigono muove contro di lui y e chiama a sè dalla Grecia Demetrio.

Nicocle fu nell’ anno dopo arconte, ih Atene j e in Roma furono consoli M. Livio, e M. Emilio. In quel texnpp da gravi pensieri era preso Cassandro re di

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Macedonia, vedendo come ]e forze de1 Greci cresce­vano , e che tutto il peso della guerra tendeva a piombare sopra di lui : nè sapea come le cose pdr tessero finire. L’ espediente che immaginò, fu di mandare in Asia legati ad Antigono onde, aver pace, E poiché Antigono rispose non conoscere via di pa« ce , a meno che Cassandro non si rimettesse totale mente a discrezione sua , preso da terrore chiamò dalla Tracia Lisimaco per comunicargli un tale stato di cose. Era egli stato sempre solito nelle maggiori sue angustie a ricorrere a lui e per la somma esti­mazione in che il teneva, e per essere confinante alla Macedonia. Intrattenutisi questi due principi in­sieme intorno a ciò che potesse essere di comune vantaggio , mandarono legati a Tolommeo re d’ E- gitto , e a Seleuco che dominava nelle prpvincie superiori dell’ Asia , esponendo .le superbe risposte di Antigono, e come comune era a tutti il pericolo di quella guerra. Imperciocché se Antigono diveniva padrone della Macedonia, presto avrebbe spogliati gli altri de’regni loro. Avere già altre volte mostrato a che tenda : ché avuto uno stato aspira ad averne un altro; ed in sostanza s’ arroga l’imperio intero senza volere compagni. Essere dunque conveniente che tutti gli altri si uniscano insieme ; e tutti fac­ciano in comune la guerra contro di lui. Tolommeo e Seleuco, trovando giusto i( ragionamento , aderii yono volentieri, e deliberarono di concorrere con numerose truppe all’ impresa.

Ca^s^ndro intanto pen?ò non dovere aspettare

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Farrivo del nemico, ma entrar primo in -campagna, e anticipare le operazioni ohe si credessero conve­nienti. Perciò nna porzione del suo esercito e il ca­pitanato generale con esso consegnò a Lisimaco; ed egli col rimanente mosse verso Tessaglia per affron­tare Demetrio e i Greci. Lisimaco adunque con quelle truppe dall’ Europa passò in Asia , dichiarò liberi i Lampsaceni e i Parii postisi spontaneamente nel suo partito ; ed espugnato il Sigeo vi pose presidio. Indi consegnati a Prepelao mille seicento fanti, e mille cavalli, lo mandò a prendere possesso delle città della Eolide e della Jonia; ed egli volendo an­dar sopra Abido, mise insieme quantità d’ arm i, di macchine, e d’ altre cose occorrenti. Ma al soprag­giungere per la via di mare nna moltitudine d’ ar­mati atti a difendere quella città , che li mandava Demetrio, egli abbandonò quel pensiero ; ed assog­gettata la Frigia fino all’ Ellesponto, cinse d’assedio la città di Sinada, nella quale erano i magazzini da guerra del re. Era allora ivi Docimo, luogotenente di Antigono ; e potè indurlo a mettersi nel suo par­tito , e per mezzo suo ad avere Sinada, e alcune castella, nelle quali erano nascosi i tesori reali.

In quel frattempo Prepelao, mandato da Lisimaco nella Eolide e nella Jonia, di passaggio prese Adra- m ittio, assediò Efeso , e messo spavento negli abi­tanti di questa città, l'ebbe a devozione, rimandando alla loro patria cento ostaggi de’Rodii ivi trovati. Gli Efesii però lasciò liberi; ma ne incendiò tutte le pavi ch’eran nel porto., a cagione che allora tenevano

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al dominio del mare 1 nemici , e P esito della guerra era totalmente njcerto. Di là passò a Teja e a Co* lofone ; e le sottomise anch’ esse. Essendo giunti per la via di mare soccorsi agli E ritrei, e ai ClazQjne* n ii, non potè prenderne le città ; ma ne devastò i territori; e s’iboltrò a Sardi, dove lusingato Fenice, luogotenente di Antigono, ad abbandonare il par* tito di quel re , n’ ebbe la città , ma non la rocca y la quale era tenuta da Filippo , uno de9 parenti di Antigono, il quale grato alla fede, clie il re poneva in lu i , colla fede sua il ricambiò; In questo stato erano allora le cose di Lisimaco.

Antigono in quel tempo solenni feste, e un grande concorso di gare avea aperto in Antigonia , e prò** posti splendidissimi premii e mercedi, da tutte parti chiamava atleti ed artefici. Ha udita la passata di Lisimaco , e .la diserzione de’ soldati, interruppe i giuochi, e agli atleti ed artefici pagò una somma non minore di dugento talenti. Poi prese seco le truppe dalla Siria a marcie sforzate andò contro i nemici. Giunto a Tarso di Cilicia pagò l’ esercito per tre mesi col denaro che trasportato avea dal castello di Quindi; ed oltre quella somma avea por» tato colP esercito tre mila talenti, onde venendo bi« sogno avesse con che fare ogni spesa. Valicato poi il monte T auro , s’ avviò verso la Cappàdocia, e i ribelli nella Frigia superiore e nella Lacaonia obbli* gò a ritornare a1 suoi stendardi. Nel qual tempo Li­simaco avuta la nuova delP arrivo di lu i, fatto eoo* «iglio co1 suoi venne a ccrcarc che cosa nella ureo*

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stanza dovesse farsi; e fa unanime opinione che nonr si avesse a venire a battaglia fino a tanto che Se-, leuco non fosse giunto dalle provincie superiori; m a che si occupassero i luoghi più fo rti, e ben muniti con isteccati e con fossa , s’ aspettassero i nemici. Così fec’ egli, diligentemente eseguendo quanto era stato deliberato. Ma Antigono venuto vicinissimo ai nemici, mise in ordine di battaglia le sue truppe, e andava provocando alla pugna; e non uscendo fuori nissuno, egli andò ad appostarsi in alcuni luoghi, da quali per necessità i nemici traevano la vettua- glia : così che Lisimaco temendo che gli fossero in­tercettati i viveri, ed egli venisse obbligato a cadere nelle mani dell7emulo, di notte tempo si levò di là , e fatti quattrocento stadii si accampò presso Dorileo ; luogo abbondante di frumento e d’ ogni altro com ­mestibile , e in cui scorreva anche un fiume, che serviva di baluardo al campo. Ivi adunque mise gli alloggiamenti, alzato intorno Un vallo, e scavata una* fossa profonda, e tutto coperto intorno con tre or­dini di steccati.

Udita Antigono la partenza de’ nemici si pose ad inseguirli ; ed avvicinatosi al loro, campo, vedendo che nissuno volea venire alle m ani, incominciò a circondarlo con una fossa, e volendo porvi in torno l’assedio fece trasportare catapulte e dardi, ed ogni cosa occorrente. E come poi intorno alla fossa g ira ­vano volteggiatori, e que’ di Lisimaco cercavano d i tener lontani colle frecce e i dardi i nemici, in tu t t i que’ fatti U vantaggio era sempre dalla„parte di Ai*-»

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tigono. Ed era già passato qualche tempo quando i lavori che Arftigono faceva farey erano giunti a ter- mine, e gli assediati incominciavano a mancare di viveri: sicehè Lisimacor colta l’occasione di una prò* cellosissima notte y si levò da que’ luoghi, e andò a certe alture per isvernarvi. Appena fatto giorno es­sendosi Antigono accorto della partenza del nemico, gli andò dietro y ma siccome cadevano allora grosse piogge , e il paese per cui marciava , era bassissimo e pantanoso, gli morivano giumenti e uòmini non pochi y e l’ esercito era costretto a lottare con,ogni genere di difficoltà : ond’ è che tanto per dare alle sue truppe un sollievoy quanto perchè già si appros­simava T inverno , Antigono lasciò d’ inseguirlo ; e scelti opportuni luoghi , < per essi distribuì le su? schiere. Avvisato poi che dalle Satrapte ulteriori con numerosa gente scendeva Seleuco , mandò alcuni in Grecia a Demetrio y onde questi al più presto an­dasse a lui coll’ esercito y temendo egli soprattutto , nel caso che si unissero a combatterlo tutti insieme colle loro forze i re confederati , d’ essere costretto a venire con essi a battaglia decisiva di tutto prima che gli giungessero le truppe d'Europa. Anche Lisi* maco poi mise a svernare il suo esercito nelle terre di Salmonia , essendosi procurata copiosa vettuaglia da Eraclea, cogli abitanti della quale egli avea con­tratta affinità per la ragione che sposata avea Ame- stri ? figliuola di Ossiarta 3 e nipote per parte di fra­tello del re Dario, stata data dianzi da Alessandro in moglie a Cratero y ed avente a quel tempo in do­

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minio suo quella città. Così andavano allora le cose dell’Asia.

C a p i t o l o XXVI.«*

Demetrio si fa iniziare estraordinariamente in Atene nei misterii eleusini. Libera moke città greche , e dovendo partire per V Asia fa un accordo con Cas*

• sandro. Sua -campagna in Asia . Sventurata spedi* wione ili Pleistarco verso Lisimaco. Seleuco in Cap* pqdocia. Tutti a quartieri d’ inverno•

In Grecia intanto Demetrio , stando in A tene, era desideroso di farsi iniziare ne’ mister) cF Eleusina ' « come molto tempo v’ era ancora prima cbe giun­gesse il giorno y in cui secondo le leggi gli Ateniesi erano soliti a celebrare le iniziazioni, domandò cbe a riguardo suo volesse il popolo cambiare il patrio costume. Il che essendo stato accordato, egli pre- sentòssi inerme ai sacerdoti , ed estraordinariamente iniziato , partì poi di quella città , fatte già radu­nare e la flotta e le truppe di terra presso Calcide nella Eubea (i). Avendo poi inteso, che Cassandro

(i) Questo finto è illustrato egregiamente dal Vesselingio. Deme­trio , die' egli, era andato ia Alene nel mese di munichione, e i piccoli misterii eleusini si erano celebrati nel mese di auteslerione, e i maggiori rimanevano a celebrarsi in quell* dì boedromione. Vo­lendo dunque Demetrio essere iniziato n#gli uni e negli a ltr i, per un decreto del popolo , suggerito da Stratocle, fu ordinalo che il mese di munichioQe fosse chiamalo anieslerione ; e in esso Dente- trio fosse inizialo ne* piccoli misterii 5 iniziato poi di questa manie-

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avea occupati tutti i passi, non pensò di andare in Tessaglia per te rra , ma condottosi coli1 esercito ai porto di Larissa, e messe le truppe a terra , al primo suo presentarsi ebbe quella città ; indi espu­gnò la rocca , e fece prigioniero il presidio , dando agli abitanti la facoltà di reggersi colle proprie leggi. Poi ebbe ancora Proua ? e Pteleo. Cassandro avea ordinato ai presidii di Dio e di Orcomeno di recarsi a Tebe 5 e Demetrio tagliò loro la strada. Per lo cbe Cassandro veggendo come tutte le imprese a Demetrio riuscivano bene, guarnì* di più numerosi presidii Fera e T ebe, e raccolto in un .luogo solo tutto il suo esercito j si accampò in faccia dell7 e- mulo. Ayeva egli in tutto ventiquattro mila e sei­cento fanti j e due mila cavalli. Le forze di Deme­trio consistevano in mille cinquecento cavalli, in tre mila seicento Macedoni, e in quindici mila stipen­diati. Oltre ciò avea venti mila e seicento uomini tolti dalle città greche , e ferentarii , e una massa di pirati d’ ogni generazione soliti ad accorrere ovunque sia guerra ed occasione di rapine ; e tutta questa ciurmaglia non formava meno di ottomila per­sone. Erano già da molti giorni i due eserciti, V uno in presenza dell1 altro , e mèssi in ordine di batta­glia ; ma nissuno voleva venire alle mani, aspettando F esito di ciò cbe farebbesi in Asia. In quel frattempo

n , il mese di munichioiie stato dichiarato essere quello di ante- •lenone, ebbe anche la denotniuaaione di boedromione ; e qon quel titolo potè in esso Demetrio iniziarsi ne’ mieterli maggiori* Così la politica seppe guidare la religione.

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Demetrio a riehiesta de’ Ferei avendo mandata «n£ porzione del suo esercito alla loro città , ebbe que** sta in sue mani ; ed espugnatane poscia la rocca , lasciò andare per capitolazione i soldati di Cassan- dro ; e restituì la libertà ai Ferei..

Erano in questa situazione le cose in Tessaglia, quando giunsero a Demetrio altri- messi di Antigono, per dirgli cbe sollecitamente trasportasse in Asia le truppe. Vedendo egli adunque la necessità di con­fo rmarsi agli ordini- del padre, venne ad accordo con Cassandro , 'salva 1’ approvazione di Antigono , punto però non dubitando che questi non fosse per disapprovar tutto , poiché, avea stabilito di defi­nire la contesa colle armi • ma egli veniva ad un accordo , perchè voleva che il suo partire di Grecia avesse tutta la dignità di un capitano che muove liberamente, e non F umile apparenza di uno che •fugge. Ne’capitoli dell’ accordo avea però speziai* mente stipulato , che le città di greco nome, non solo'di Grecia, ma eziandio dvAsia 7 fossero libere. Ciò fatto , allestite navi di trasporto pe’ soldati, e i convogli militari , mise alla vela con tutta Tarmata, e passando per le isole a dirittura andò, ad Efeso, ove messo 1’ esercito a campo 7 la città ridusse al pristino reggimento ; e ne lasciò andare tranquillo il presidio , di cui Lisimaco avea dato il comando a Prestelao. Quindi messa nella rocca Una guarnigione di suoi ? portossi sull’ Ellesponto ? ove . ricuperò i Lampsaceni e i Parii ; e insieme con essi le altre città y clic dianzi aveano voltata bandiera. Dipoi ito

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ftìle bocche del Ponto, si trincierò presso il tempio de’» Calcedonii ; e a difesa del luogo lasciò tre mila fanti, e trenta navi lunghe ; e le altre sue schiere distribuì per le varie città onde in esse svernassero.

Circa quel tempo , Mitridate , soggetto al)’ impe- rio di Antigono, credutosi passato alle parti di Cas­sandro , fu ammazzato in Ciò di M isia, di cu i, co­me pure di Arrina, avea avuta la signoria per tren- tacinque anni. Succedette a lui nel principato suo figlio , di nome anch’ egli Mitridate, il quale avendo il suo dominio accresciuto d’ assai , governò poi per treatasei anni la Cappadocia, e la Paflagonia.

In que’medesimi giorni Cassandro, dopo la partenza di Demetrio, pose eli nuovo sotto l’ imperio suo le città .marittime ; e mandò in Asia a rinforzo di Lisi­maco Pleistarco con un esercito. Gli si erano aggiunti dodici mila fanti , e cinquecento cavalli. Pleistarco poi giunto alla bocca del Ponto, vedendo , che tutti i luoghi erano occupati dai nemici, ed impossibilis- s i U il passaggio, voltò verso O-lesso, la quale città è situata tra Apollonia, e Galazia , in faccia ad Era­clea j in cui era una qualche porzione delle truppe di Lisimaco. E siccome egli ivi non avéa navi atte a, trasportare i soldati, divise l9 esercito in tre corpi.11 primo arrivò sano e salvo ad Eraclea. Il secondo fu preso dalle navi, che guardavano T ingresso del. Ponto ; e il terzo condotto da Pleistarco medesimo 9 fu colto da sì -furiosa tempesta, che la massima parte de’ vascelli, e degli uomini perì. Imperciocché restò sommersa Tessera, su cui era il comandante

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supremo ; e di cinquecento nomini, c(ie per lo meno in essa erano, trentanove soli poterono salvarsi, tra ì quali fu Pleistarco , il quale abbrancato un rottame di nave , per esso fu gittata mezzo morto alla riva* Trasportato poi ad Eraclea , e rifocillatosi da tanto disastro, andò a Lisimaco, il quale era a’ quartieri d* inverno ; ma avea perduta la maggior parte dell* e- sercito.

Nel tempo medesimo Tolommeo uscito d* Egitto con buon esercito, tutte alla ubbidienza sua ridusse le città nella Siria Cava. Or mentre egli faceva F as­sedio di Sidone, alcuni fallacemente riferirono , cbe venuti i re a battaglia , Lisimaco e Seleuco , vinti, cransi ricoverati in Eraclea ; e cbe Antigono vittorioso marciava verso la Siria. Da tale ‘relazione adunque ingannato Tolommeo, poiché vi prestò fede , stipulò coi Sidonii una tregua di quattro mesi; e posta guar­nigione nella, città che avea sottomessa, ritornò col suo esercito in Egitto.

Mentre così andavano da quelle parti le cose , al­cuni soldati di Lisimaco, dai luoghi ove svernavano, passarono ad Antigono ; e furono due mila Antarieti7 e circa ottocento tra Licii e Pamfìlii. Ed Antigono li accolse cortesemente , e pagati loro gli stipendi?, dei quali dissero essere creditori di Lisimaco, v1 aggiunse anche alcuna somma di gratificazione.

In quel tempo anche Seleuco col numeroso eser« cito che traeva dalle provincie superiori , giunse in Gappadocia ; e mise i suoi soldati a’ quartieri d* in­verno. Avea egli sotto le sue bandiere d* infanteria

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ventimila uomini, e di cavalleria dodici mila : poi quattrocento ottanta elefanti} e più di cento carri falcati. Tali erano dunque le forze dei re , che tutte nella estate prossima doveano venire a battaglia. £ noi y come da principiò ci proponemmo *, faremo pri*« mo argomento del seguente libro la guerra che i re $i fecero per la somma delle cose.

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V INE DEL LIBRO XX.

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C onforme abbiamo {atto a ltro v e , qui anco ra , coma

in opportuno luogo, aggiungeremo quanto intorno ai Re macedoni e predecessori e successori di Alessandro il gratide vedesi notato da Eusebio nel suo primo libro, de’ Canoni cronici, seguendo l’edizione già accennata de* signori Mai e Zorhab; non meno che quanto Fau­tore medesimo ha scritto dei Me tessali, e dei Re asiatici, e sirj.

C A P I T O L O XXXVH.

Re de* Macedoni•

tc Poiehè cadde là potenza degli Assirj per la morte di Sardanapallo ultimo loro re , presentaci i tempi de*Macedo­ni ( 1 ). Iooansi al (a prima olimpiade bramoso, d* imperio C a -,

(1) Come venga in Usta ad Eusebio di d ire, afre dopo la caduta dell* imperio degli Assirj preaentansi i tempi de1 Macedoni, è diffi­cile intenderlo, perciocché fino ad Alessandro il grande i Macedoni non ebbero nè filma nè potensa da contrapporre alla fama e potenia degli Assirj, e furono di messo i Persiani ; per lo che vi si oppone anche la ragione de* tempi non congiungendosi in veruna maniera Sardanapallo e Corano , siccome Eusebio stesso ammette nel sua aeoondo libro. Del rimanente per ciò che spetta ai primi tempi del regno macedonico è d 'uopo consultare Giustino, e Solinoì quando non si sia contenti di ciò che ne ha accennate Diodoro^

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r en o mise insieme un esercito, raccogliendo soldati dal paese degli A r g iv i r da altre parti del P e lo p o n n e s o , e portòssi 91

confioi della M a c e d o n ia . Diedesi in quel frattempo il caro , che il re degli Q re s ta r i avendo gnerra co’ suoi vicini, gli M o r d e n ti, domandò ajnto a C a v a n o , proferendogli la metà del «do regno acconciate che avesse le cose sue. £ cosi dì fatto fece secondo la promessa; e di tal maniera ebbe Corani il paese, e per trent* anni il signoreggiò. Morto poi attempa* tissimo gli fn successore sno figlinolo chiamato C e n o , il qdal regnò ventotto anni : indi T ir im m a , che ne regnò quaranta- tré; poscia P e r d ic c a , che ne regnò quarantadue. Costui de­sideroso d* ingrandire il dominio mandò a D e lfo gente a con* saltare 1* oracolo. L* autor che seguiamo (tj , dopo poche al­tre parole soggiunges cbe P e r d ic c a regnò quarantotto anni* e che da lui lo scettro passò ad A r g e o , che lo tenne trent'un anni ; e poi 1* ebbe F ilip p o -, che regnò anni trentatrè. Succe­dette a questo E r o p a , il quale regoò venti anni : poi regnò per diciotto A lc e ta : poi A n d n ta per quarantanove : indi per quarantaquattro A le s s a n d r o : indi P e r d ic c a per ventidue ; A r ­

c h e la o per diciassette; E r o p a per sei; P a u sa n ia per uno; To- lo m m eo per tre ; P e r d ic c a per cinque ; F ilip p o p*r ventiquat­tro. A le s s a n d r o guerreggiò più di dodici anni co* P e r s ia n i. »

« La sohiatta de* R e m a c e d o n i da Storici accreditati si ri* porta ad E r c o le . Ora da C o ra n o , ohe fondò pel primo , e

(1) Gli Editori della traduzione del testo armeno suppongono cbe qui Eusebio alluda a Diodora , od a Dessippo , e credono, non senza ragione, questo capitolo mutilato. Sarebbe anche guasto oro Eusebio dà quarantadue anni di regoo a Perdicca. II complesso del discorso vieta di crederlo j ma ci obbliga a crederlo il ca­talogo che siegue. Non è questo il solò caso, in cui trovisi diffe­renza d’ anni tra il testo , e il catalogo. Noi siamo contenti d1 avere notata la cosa sul principio, così risparmiandoci di ripeterne 1’ av­vertimento.

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tenne il regno macedonico , fino ad A le s s a n d r o , cbe soggiogò Y A s i a , contansi xxiv Re, ed suini ccccliu. Ed eccone par- litameute il catalogo. »

1 7 1

ìe r s ia .

I. C ARANO regnò ann n . CENO . .

III. TIRIMMA .IV. PERDICCAV. AHGEO .

VI. FILIPPO .TU. EROP A .

VIII. ALCETA .JlI tempo di costai C iro regnò in

IX. AMINTA .X. ALESSANDRO

XI. PERDICCAXII. ARCHELAO

XIII. ORESTE .XIV. ARCHELAO XV. AMINTA .

XVI PAUSANIA XVII. AMINTA .

XVIII. ARGEO , tXIX. AMINTA . .XX. ALESSANDROXXI. TOLOMMEO ALOR1TE

XXII. PERDICCAXXIII. FILIPPO .XXIV. ALESSANDRO di F ilip p o

XXX.XXVIII.

XU1I.XLVJII.

XXXVIII.

XXXI li.

XX.

XVIII.

XLIL XLIY.

XXIU.

XXIV.

III.

ir.i.

i.vi.li.x v m . ,

1.III.VI.

XXVII.

XII.

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17 2C A P I T O L O XXXVIII.

Re macedoni dopo Alessandro (1).

ce Dopo A le s s a n d r o , figlinolo di F i l ip p o , i seguenti sone quelli cbe hanno dominato nella M a c e d o n ia * e nell* E l ia d e ;

e del regno macedonico , prima che i Romani' lo distrugges­sero , questo è it quadro. »

a A r r id e a di F i l ip p o , e di F ilin a tessala, eh* i M a c e d o n i

per 1* attaccamento loro alla famiglia filippica dissero F i lip p o , e dopo A le s s a n d r o fecero re , quantunque fosse nato di altra donna, e sapessero esser matto. Questi succedette nel regno il secondo anno della olimpiade exiv. Se gli danno sette anni di regno, poiché tenne il trono fino al quarto anno della olimpiade cxv. A le s s a n d r o avea avuto un figliuolo di nomo E r c o le da M a r s in e (2) , figliuola di F a rn a b a zo ; poi un altro chiamato A le s s a n d r o da R o ssa n e figliuola di O ss ia r te re dei S a t t r ia n i (3) : il quale A le s sa n d r o nacque snl punto che A r r ìd e o

incominciò a regnare. »O lim p ia .y madre di A le s s a n d r o, ammazzò A r r id e o , Lei po­

scia , che regnava sui M a c e d o n i, ed entrambi i figliuoli di A le s s a n d r o levò di mezzo C a ssa n d ro di A n tip a tìa , uno ucci­dendo di sua propria mano, 1* altro , che fu il figliuolo di M ar*

s in e , facendo ammazzare da P o lis p e r c o n te . O lim p ia lasciò io- sepolta ; e fortemente rassicurassi nel regno di M a c e d o n ia . Da qnel tempo gli altri capitani, estinta la schiatta di A le s s a n -

(1) Eusebio avvisa di avere tratte le notizie comprese in questo e nei susseguenti capitoli dai libri di Porfirio filosofo, suo eguale ed avversario .

(a) Comunemente chiamasi S to r tin e .(3) Si è veduto altrove, che quest’ Ossiarte non fu mai re dei

Battriani» ma semplice governatore.

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dfro, si procacoiaron regni. C a ssa n d ro prese a moglie T e ssa -r

Io n ic a di F ilip p o „• e regnò diciannove anni, morto poi di c o »

sanzione. I tempi del tao regno estendoosi , computato Tana* in cai dopo A r r id e o regnò O lim p ia , dall* anno primo della olimpiade cxvi fino- al terzo della cxx. »

«c A qaesto succedono i suoi figliuoli F i l ip p o , A le s s a n d r o -, e A n t ip a tr o ; e regnarono dopo il padre loro tre anni , e sei mesi. F i l ip p o , eh* era il primo, morì in Elazia ; e allora A n *

t ip a tr o accise T e s s a lo n ic a , che sosteneva «no figlinolo A le s *

s a n d r o anoor fanciullo ; e rifngiossi presso L is im a c o , dal qua­le , quantunque ne avesse per moglie una figlinola, fa noci» so ( i ) . A le s s a n d r o poi, presa .in isposa L is a n d r a figlinola di T o lo m m e o , venuto a guerra col minor fratello T o lo m m e o (2 ), chiamò in ajnto D e m e tr io di A n tig o n o , soprannominato 1* A s ­

s e d ia i o re (3) , da coi fu ucciso ; e così regnò sui M a c e d o n i

D e m e tr io . Di tal maniera gli anni, ne* qaali i figlinoli di C a ss a n d ro regnarono , si contano dal quarto della olimpiade cxx fino al terzo della cxxi. r>

«e D e m e tr io dopo aver regnato sei anni, dal quarto, cioè della olimpiade cxxi fino al primo della cxxm fu cacciato per opera di P ir r o , re degli E p ir o t i. Regnava costui il ventesime terzo dopo A c h i l l e s figliuolo di T e l i ; e teneva cbe dalla schiatta di F ilip p o provenisse a lui l'imperio della M a c e d o n ia

in considerazione di O lim p ia madre di A le s s a n d r o , figliuola di N e o t to le m o , e zia sua. P ir r o tenne il regno di M a c e d o n ia

«ette mesi,, nell* anno primo della olimpiade cxxm. Nell* ot­tano mese di quell* anso succedette a lui L is im a c o , figliuolo

(1) Vedremo altrove, che Diodoro il fa morire per mano di Demetrio.

(a) Non è ben certo questo nome, dagli Editori , com* essi con­fessano , trasportato nel teste dai margine del Codice armeno.

(3) Poliarceta.

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di À g a to c le , di G ra n o n e teisalo, e guardia del corpe io ar!3£e- tro di A le ssa n d ro * Questi essendo già re di T r a c ia • del C h e r -

to n e s o con subita irruzione invase la M a c e d o n ia , e se ne fece •ignore. Ad istigazione della moglie A r s in o e fece morire suo figliuolo À g a to c le ; e regnò dagli ultimi cinque mesi dell*anno primo della olimpiade cxxm fino al terso anno della cxxiv cioè cinque anni e sei mesi, fino a tanto cbe nelle pianori di C o ro venne ucciso in battaglia da S e le u c o , re d e liz ia , ■oprannominato N ic à n o r e , »

a Ma subito dopo quella vittoria T o lo m m eo ^ nato da L a g o , e da E u r id ic e , figliuola di A n t ip a tr o , detto C e r a tin e , ( cioè .fulmine) levò di mezzo S e l e u c o da cui era stato beneficato, .e presso il quale rammingo erasi riparato ; e si fece padrone della M a c e d o n ia . Costui però perdette la vita combattendo contro i G a l l i , dopo aver regnato un anno e cinque mesi. Ond* è , cbe i tempi del suo regno corrono dall* anno quarto della cxxiv olimpiade fino al quinto mese del primo anno della cxxv. w

et A T o lo m m e o venne dietro M e le a g r o «no fratello, a cui i M a c e d o n i levarono la podestà dopo due mesi, essendone loro paruto indegno , chiamato al treno A n tip a tr o , nato da un fratello «li C a s s a n d r o , cioè figliuolo di F ilip p o (i) ; e ciò perobè non si trovò alcun altro di regia stirpe. Questo A n ti­

p a tr o tenne il regno quaranta giorni, finché fu cacciato da oerto S o s te n e perche si foce conoscere per incapace di con- dorre l'esercito, venendo .allora con grandi (orze verso il paese B r e n n e gallo. I M a c e d o n i lo chiamarono E fe s ia ( 2 ) per

(1) Questo Filippo, se si erede e Giustino, avea propinato il telino ad Alessandro il grande.

(a) Non vogliamo defraudare i nostri leggitori di eoa erudiiione regalataci dai signori M ai, e Zorhab. L'interprete armeno aves tradotto a n ìu to in Teca di e te s ia 3 e giustamente, quantunque essi

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la ragione, che i venti così detti spirano solamente per altret­tanto tempo. S o s te n e poi sbaragliò li ren n o ; e tenute le redini del governo dne anni in ponto, morì, »

« £ allora in M a c e d o n ia mancava il r e m e n t r e , gover­nando A n t ip a t to , T o lo m m e o , ed A r r id e o il paese, nissan di loro avea la podestà au'prema ; cioè da T o lo m m e o sino al fiore dell* interregno, cbe è quanto dire dal quarto anno delta «xxiv olimpiade fino alla cxxvr. Quindi veggiamo aver regnalo

. *T o lo m m e o C ercam o tra anno e cinque mesi, M e le a g r o due m esi, A n tip a tr o quarantacinque giorni , S o s te n e due anni ; e

il rimanente tempo appartenere all* interregno. »« Essendo poi accadato cbe A n tip a tr o tendeva a minare

lo stato, A n tig o n o , figlinolo di D e m e tr io Tassediatore, e di F i la

figlinola di A n tip a tr o , prese le- redini del governo. A cestai educato in G ona di T e s s a g U a , e perciò detto G o n a ta , si at­tribuiscono quarantatre anni di regno. Regnava egli* già dieci anni innanzi cbe si facesse padrone della M a c e d o n ia , ’èbiamato re il secondo anno della olimpiade cxxm ; divenuto re delta M a c e d o n ia 1* anno primo della cxxvi. Cosini è qnegli cbe con grosso esercito sottomise l ' E l ia d e ; e visse fino agli ottantatrò anni, e morì 1' anno primo della olimpiade cxxxv. »

u A Ini succedette il figliuolo D e m e tr io , cbe soggiogò tutta la L ib ia , ed occopò C ire n e : i quali paesi aggiunti al domi­nio paterno, venne a fondare nna noova monarchia, e regnò dieci anni, presa in moglie una certa schiava, a cni mise

dicano di no. £ lo comprova il passo d*Igino , ch’ eglino mede­simi hanno riportato. "Aristco, dice Igino 9 figliuolo d i Apòllo e di Cirene , domandò a suo padre ec. e il padre lo mandò a pregar Giove , che dai sorgere della Canicola desse per quaranta giorni un. vènto 3 il quale ne temperasse gli ardori. Cosi Aristea fece ; ed ot­tenne da Giove che soffiassero le etesie , dette cosi da taluni perchè ogni anno spirano in un tempo prescritto. E ciò che in greca si dice etos , in latino è annus.

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nome A u r e o la ; e da lei ebbe mi figlinolo, cbe fa F ilip p o ,9

quegli cioè, cbe pel primo.renne a guerra coi R o m a n i, e f« cagione della ruma di M a c e d o n ia . »

te Di F i l ip p o , rimasto privo del padre, prèse con assai ■elo la tutela uno di stirpe regia , sopranoominato il F o sc o (i^, il quale appunto per la eccellente condotta avuta come tutore fu fatto r e , datagli inoltre in matrimonio A u r e o la . Però non •enne in vita i figlinoli avuti da A u r e o la ; e oiò per conser­vare intatto il regno a F i l ip p o , come infatti gliel trasmise morendo. D e m e tr io (2 ) , sopranoominato il B e llo 9 mori nel secondo anno della olimpiade cxxxm. Cosi infine cadeva il regno in F ilip p o , di cui era curatore e custode il predetto A n tig o n o ( il Fosco ) , che mori 1* anno quarto della olimpiade cxxxix dopo avere tenuta la reggenza dodici anni; ed esserne vissuto quarantadue. F ilip p o , allontanato il custode, assunse il regno nella cx l olimpiade, e il tenne quarantadne anni. Fi­nalmente mancò di vita Tanno secondo della olimpiade c l in età di cinquant* otto anni. »

« P e r se o , figliuolo di F i l ip p o , avendo ucciso suo fratello D e m e tr io (3), regnò, dieci anni e otto mesi : perciocché L u c io

(1) Vedremo eh’ egli avea nome Antigono.(a) Gli Editori a questo passo si contentano di dire, che il Co­

dice armeno ha in margine il figlio di Demetrio, e nulla più. Noi avremmo desiderato che ci dicessero come entra qui un Demetrio » ed un Jiglip di Demetrio , se di sopra è detto che Antigono il Fosco lasciò morendo il regno a Filippo. Dalle espressioni di Eusebio pare che per la morie di questo Demetrio,9 o del figliuolo di Demetrio 9 Filippo avesse il regno , non per quella del Fosco. Aggiungasi, che dopo aver detto che il Fosjco lasciò il regno morendo a - Filippo , dice , che Filippo assunse il regno allontanato il custode, frase, la quale certamente non equivaleva a morto il custode. Tale k l ' Eusebio tratto dalle vecchie carte degli Armeni !

{3) Ognuno sa che Filippo, e non Perseo, féce ammassare De~> metrio, comunque Perseo a ciò contribuisse, come si vede in Tito Livio.

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E m il io nel quarto anno delta olimpiade c lii disfece la potenza

macedonica a P i dn a ; e P e r s e o , cbe si era prima rifuggito

in S a m o tr a c ia , volontariamente si diede in mano de* nim ici,

• trasferito ad A lb a , ivi visse prigione fin tanto cbe cinque

anni dopo moti. ??

« Il regno macedonico terminò «otto di Ini, quantunque i R o m a n i concedessero a * M a c e d o n i di reggersi liberi e colle proprie leggi : il che fu ip considerazione della tanta celebrità, a cui per le gloriole vittorie sne era salito l ' imperio mace~ donico. 99

* Però diciannove anni dopo, che fu il terzo della ci<vii olimpiade , un certo À n d r is c o bellamente disseti figliuolo di P e r s e o , prese il nome di F i l i p p o , onde poi fa detto .il f a l s o

F ilip p o . Costai sostenuto dalle forze dei T r a c i occupò la si­gnoria della M à c e d o n ia , e la tenne un anno , finché vinto iu battaglia rifuggissi presso- i T r a c i , dai quali essendo stato tradito, fu in catene condotto a R o m a . »

«c E allora i R o m a n i a non avuto piò riguardo verono pei M a c e d o n i, poiché essi •' erano posti dalla parte di F ilip p o , li fecero loro tributari! ; il che avveune 1’ anno quarto della olimpiade clvii. Pertanto dopo A le s s a n d r o la durata del regno macedonico, fissatone il termine quando fu assoggettato al tributo, e al dominio de R o m a n i, va dall'anno secondo della exiv olimpiade fino al quarto anno della clvh , e comprende quarantatré olimpiadi, e due anni j e sono in tntto anniCLXX1V.

Ecco adunque i Re macedoni dopo Alessandro figliuolo di Filippo.

*77

I. ARRIDEO, detto anche FILIPPO anni vii.

II. CASSANDRO xix.

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1 7 8

IH. I FIGLIUOLI di C n ts a n è to . anni III. mesi n .

IV. DEMETRIO V a s se d ia to r e . . . 99 VI. » • • ' ♦

|V. PIRRO . » • • • • • • 99 • • « • » VII.

VI. LISIMACO. . . . . . . 99 V. 9» V#VII. TOLOMMEO CERAUNO . . 99 I. 9» V.

V ili. MELE\GRO............................. 99 • • • • 99 IleIX ANTIPATRO di L is im a c o . . 99 . . . .jgiorni xlv.

X. SOSTENE................................. 99 11. mesi t • •XI. INTERREGN O..................... 4» li. 99 • • •

XII. ANTIGONO GONATA . . . . 99 XXXIV. 99 • • éXIII. DEMETRIO . . . . . . 99 X. 99 • • «

XIV. ANTIGONO il FOSCO . . . 99 XII. 9 t • • «XV. F IL IP P O ............................... 99 XL11. 9» • ♦ •

XVI. PERSEO . .......................... 99 X. 99 Vili»XVII. Di stato libero con leggi proprie. 99 x ir . 99 » s •XVIII. FILIPPO i l f a l s o ..................... 99 i . 99 • • ♦

« Dopo i quali dominarono i R o m a n i* »

C A P I T O L O XXXIX.

Re dei Tessali*

« I T e s s a li e gli E p ì r o t i lungo tempo ubbidirono a quegli stessi ohe dominavano in M a c e d o n ia . Essi poi dopo che F ilip p o

dalle armi di T ito , capitano de* R o m a n i, fu rotto io T e s sa g lia , ebbero dai R o m a n i medesimi la libertà, e il diritto di vivere colle proprie leggi. Ma io seguito furono fatti tributari! per la cagione stessa, ohe lo furono i M a c e d o n i. Diciamo adun­que A che dopo la morte di A le s s a n d r o regnò anche sopra loro A ,r i d e o s detto pure F i l ip p o ; e ciò per sette anni, A lui succedette C a s s a n d r a , re degli E p ir o t i e dei T e s s a l i; e tenue U regno diciannove anni. Poscia veoue F ilip p o suo figliuolo

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per quattro mési; Indi i fratelli di questo, A n tip a tr o ed A le s ­

s a n d ro per due anni e mesi sei ; e D e m e tr io di A n tig o n o per anni sei, e sei mesi. Poi P ir r o per quattro anni, e quattro mesi : iodi L is im a c o di A g a td b le per sei anni ; e T o lo m m e o

C e n tu n o per un anno e cinque mesi: per due mesi M e lè a g ro $

A n tip a tr o di L is im a c o per quarantaoinque giorni ; e S o s te n e

per nn anno. Fa dopo costai interregno per due anni e duo mesi : quindi per trentaqoattro anni e due mesi dominò An+

tig o n o di D e m e tr io . In qnesto giro d'anni P ir r o avuto a di­vozione sna le truppe di A n tig o n o , ed impadronitosi di pochi luoghi 4 da Ù e m e tr io , figliuolo di A n tig o n o > fu rotto in batta* glia ad Argo » ed ucciso* Poco dopo , mancato A n tig o n o » re**

gnò per dieci anni D e m e tr io suo figliuolo; e dopo questo per nove anni A n tig o n o di qnel D e m e tr io che andò a C ir e n e ,

e di O lim p ia , figliuola di P o lic le to di L a r is s a . Questi recando grosso ajuto fegli. A c h e i vinse C le o m e n e , tiranno de* L a c e d e ­

m o n i 3 diede la libertà agli S p a r ta n i , e presso la gente degli A c h e i si meritò onori quasi divini» Dopo lui regnò per venti­tré anni e nove mesi F ilip p o di D e m e tr io , che venóe vinto in battaglia da T i to , capitano del romano esercito. I T e s s a l i ,

e gli altri .G r e c i , che pagavano tributo a F i l i p p o , ebbero dai R o m a n i la libertà, e il diritto di vivere secondo le proprie

leggi* »« E nel primo anno dopo queste mutazioni di ofese in

T e s s a g lia non furono Principi di nessuna sorte : ma in se­guito incominciaronsi ad eleggere a pubblici voti Principi an­nuali. Primo di questi ad essere creato fa P a u s a n ia di E c h e - c r a te , fereo poi A m in ta di C r a t i , pierio, sotto il cui governo T ito ritornò a Roma. In Ji E a c id a di C a llia metropolitano : poi E p id r o m o di A n d r o m a c o , larisseo> per otto mesi ; poi P r a -

v ila di F a s s ia , scotuseo : poi E u n o m o di P o l ic le to , larisseo ,

per un secondo anno. In seguito venne A n d r o s te n e d* J d a lio ,

*79

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girtooio t T r a s im a c o di A le s s a n d r o , atraoid : L a o n to in e n e di D a /n o ta n e s fereo : P a u sa tiia di B a in o te n e : T e o d o r o di A le t»

sa n d ro , argivo : N ic o c r a te di F a s s in o , scotaseo : T p p o lo co di A le s s ip p o t lari ateo : C le o m a c h id e di E n e o t laris»eo ; e F ir m o

di A r is to m e n e , gomfe«e. »« In quell* aouo morì in M a c e d o n ia il re F ilip p o s lasciato

il regoo a soo figlinolo P e r s e o . Egli area regnalo sai T e s s a l i , còme si è detto, tre anni, e Dove mesi, e sai M a c e d o n i

quarantadue anni , e mesi nove. Ora dal secondo anno della olimpiade cxiv io cui fu fatto re F ilip p o ( A r r i d e o ) , fino alla morte di F ilip p o di D e m e tr io , la quale cade nel secondo aooo• cinque mesi della olimpiade gl , si contano anni cxjliv * mesi v. 99

i 8 o

Ecco dunque la somma dei te Tessati.

I. ARftIDEO detto anche FILIPPO anni VII. mesi • • •

II. CASSANDRO.......................... 99 »X| • * »III. F IL IP P O ................................ 99 • . • • 99 IV*IV. ANTIPATRO ed ALESSANDRO * Ile 99 VI.V. DEMETRIO. . . . . . . 99 VI. 99 vi*

VI. PIRRO. .................................... 99 HI. 99 ir.VIL LISIMACO............................... 99 VI. 99 • • •

VITI. TOLOMMEO CERAUNO . . 99 L 99 vii*IX. MELEAGRO . . . . . . 99 • * # • 99 li.X. A N T IP A T R O ..................... 9* é • • • gior. XLV*

XI. SOSTENE............................... 99 I. mesi *V # »XII. INTERREGNO..................... 99 II. 99 IX»

XIII. ANTIGONO.......................... 99 XXXUI. 99 II.XIV. DEM ETRIO.......................... 99 X. 99 • * •XV. ANTIGONO.......................... 99 IX. 99 • • •

XVI. F IL IP P O ............................... XX111. »

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x i Seguono i CAPITANI delle troppe. »

i8x

PAUSANIA. TRASIMACO. AMINTA. LAONTOMENE. EACIDA. PAUSANIA. EPIDROMO. TEODORO, t EUNOMO. NICOCRATE. EACIDA IL IP PO LOCO. PRAVILAr CLEOMACHIDE. EUNOMO II. FIRINO. ANDROSTENE. FILIPPO (i).

C A P I T O L O XL.

Re degli Asiatici e de -Sirii.

« Correndo il sesto anno 3 da che F ilip p o A r r id e o regnava., l'anno terzo della olimpiade cxv A n tig o n o regnò pel primo sogli A s ia t ic i ; e dorò per diciotto anni, finché nell'ottan­tesimo di sna età cessò di vivere. Qaesti in confronto di tatti i re di qael tempo fa orrendissimo 3 e perì in F r ig ia per ir­razione .che fecero contro di lui da ogai parte gli eserciti efae il temevano : il che segai 1* anno quarto della olimpia* de cxix. »• « D e m e tr io , sno figliuolo, salvòssi scappando ad E fe s o 3

mentre tutta 1* A s ia era in aperta ribellione. Costai fa tra tatti i re acerrimo in assediare le città ; e perciò ebbe il so­prannome di a s s e d ia to r e . Regnò diciassette anni , e ne visse cinqaantaqaattro. Nel primo anno della olimpiade cxx avea regnato per an biennio col padre : il quale spazio di tempo

(1) Perchè di questo Filippo non si è parlato nel testo ?

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•i compaia ne’ diciassette anni del tao regno. Preso da S e ­

le u c o , fa coadotto ia Cilicia I’ anno quarto della c x x olim­piade ; e elettesi presso di lai trattato da re , sotto liberale cattodia ( i) , fio tanto che nel quarto anno della olimpiade cxxiv morì. Q (testo fa il fine di A n tig o n o e di D e m e tr io . »

» L is im a c o regaò sai paesi de' Lidii acoostaatisi alla T r a ­

c ia ; e S e le u c o aelle parti superiori della S ir ia (*) ; e 1' ano• l'altro prese a regaare colà 1’ anno primo della olimpiade cxiv. Ma noi abbandoneremo ^ imprese di L is im a c o ; e nar­reremo i fatti di S e le u c o . v»

« T o lo m m e o primo re & t\Y E g i t to , portatosi all' antica Gaza ivi viose ia battaglia D e m e tr io figliuolo . di A n tig o n o : il che avvenuto pose S e le u c o per re alla S ir ia , e ti paesi su­periori. S e le u c o poi spiatosi tra i Barbari rassodò colla vitto­ria il sao regno; e da oiò fa detto N ic à n o r e , ossia vincitore; e tenne lo scettro trentadae anni ; avendo incominciato nel primo anno della cxvii olimpiade (3) , e finito nel quarto della cxxiv morto di settantacinqae anni per macchi nazione di T o lo m m e o soprannominato il C e r a m i » eh' era suo fami­gliare. »

a Gli fu successore sao figliuolo A n tio c o , nato di A p a m e

persiana , chiamato poscia S o l e r e , cioè salvatore, il quale morì l'anno primo della olimpiade exux j dopo aver vissuto sessantaquattro anni. Egli avea regnato diciannove unni , co­minciando dall' anoo primo della olimpiade cxxv fino al terzo della cxxìx. Da S tr a to n ic a 3 figliuola di D e m e tr io , ebbe an figli noi maschio, che fu D e m e tr io , e due. figliuole » S lr a to n i-

( i ) Plutarco dice che fu deportato nel Chersoneso.(a) Cioè da Babilonia oltre.(3) 11 principio dei regno di N ic à n o re , cioè l’ anno I della olim­

piade cxvìi, è tl principio della famosa era dei Seleucidi* È ri­putato di-molta importanza quanto ne ha scritto il J S o ris sotto il titolo di Epoche S ir o ^ M a c c d o n ic h c .

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o n ed A p a m e ; A p a m e data in ispoia a M a g a to ( 1) ; S t r a -

to n ic a a D e m e tr io re di M a c e d o n ia .

Morto A n tio c o detto il S o t e r e , ebbe il regno A n tio c o di

soprannome D io (2). Cominciò a regnare \* anno qnarto delia

olimpiade cx x ix ,ed n rò per quindici anni. Caduto poi amma­

lato morì in E fe s o nel terzo anno della olimpiade gxxxt dopo

aver vissuto quarant* anni. Ebbe due figliuoli, S e le u c o sopran-

nomato C a llin ic o , e A n tig o n o ; ed ebbe due figlinole da L a o -

d ic e di Acheo ( 3) , nna delle qnali fa sposata a M it r id a t e ,

l 'a ltra a A r ia r a te . 99 1a Mancato lui prese il regno il maggiore de* suoi figlinoli,

S e le u c o , soprannominato C a llin ic o ; e ciò fa V anno terzo

dèlia c ixx in olimpiade ; e darò a regnare fino al secondo

della cxxxviii. Stette adunque in trooo ventun anno. A lai

succedette il figliuolo S e le u c o , detto C e r a u n o .............(4) E

questi sono i fatti ohe li riguardano. 99

<c Ma vivente ancora S e le u c o il C a llin ic o , A n tig o n o ( 5) fra­

tello minore , non soffrendo nè la qaiete , nè la condizione

in cui vedevasi, trovò in A le s s a n d r ia favoreggiatore cbe 1* aju*

tasse, uno cbe teneva la città di S a r d i , ed era fratello di

L a o d ic e sua madre. Si prevalse pare del braccio de* G a lli. l a , due battaglie S e le u c o restò vincitore nella L id i a ; ma però,

non potè prendere nè S a r d i ; nè E f e s o , la qaale ultima p re - ,

sidi ava T o lo m m e o . Poscia sacceduta naova battaglia nella C a p p a -

d o c ia contro M it r id a t e , gli furono uccisi venti mila soldati dai

(1) Questi fu fratello di Tolommeo FUadelfo , e re o governa** tore di Cirene.

(a) A questo re dedirò Ber oso, seéondo alcuni, la sua storia.(3) Costui poscia si qualificò per re.(4) Giustamente hanno qui gli Editori osservato non sussister^

quanto alcuni'dotti moderni aveano spacciato intorno al Callinico 3 supponendolo caduto prigioniere dei Parti.

(5) Questi è da tutti gli altri chiamato Antioco Strace $ e dee dirsi essere corso un errore nella traduzione armena.

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Barbari ; « S e le u c o sbaragliato faggi. T ò lo m th è o poi, cbe chiamasi anche T r i fo n e , oocapò D a m a sc o e i paesi della n a , e cinse d* assedio O rto sk i , la qaale fa liberata il terzo anno della olimpiade cxxxiv essendo colà approdato S e l e u -

CO. 99

« Intanto Antigono, fratello del Callinico, scorrendo per là Frigia grande gravava di tributi gli abitanti. Ed ohre ciò mandava capitani con troppe contro Seleuco : nel qoal frat­tempo essendosi aocorto che stava per essere tradito da* suoi stessi stipendiati * eh' erano Barbari ( i ) , scappato dalle loro ibani con piccola comitiva andò a Magnesia ; e il giorno dopo fornito degli ajuti di Tolommeo diede battaglia con baon sue— desso , indi sposò la figliaola di Ziela : ma nell* anno quarto della olimpiade cxxxvii venato due volte al fatto d*armi niella Lidia fu debellato. Nondimeno pugnò ancora presso Coloe con Aitalo. Finalmente nel primo anno della cxxxvm olimpiade fuggendo da Alialo sino nella Tracia dopo una battaglia data nella Caria , fini di vivere. Seleuco chiamato Callinico, fra­tello di Antigono, moti 1* anno dopo. »

«i A lui succedette il figliuolo Alessandro, il quale amò meglio chiamarsi Seleuco anch'egli, e dall'esercito fu nomi», nato Centuno. Egli ebbe uu fratello di nome Antioco ; e dopo che per tre anni avea governati gli stati paterni, da un certo Nicànore gallo fa ucciso a tradimento nella Frigia circa 1* anno primo della olimpiade cxxxix. »

« Egli ebbe per successore Antioco , suo fratello j che chia­mato da Babilonia dichiarò re dell* esercito , e eh* ebbe il so­prannome di Grande. Costui regnò trentasei anni , cioè dal secondo anno della olimpiade cxxxix fino al secondo della cxlviii. Andato in Susa 9 e nelle Satrapie superiori , e venuto

(*) Si presume « che questi fossero i Galli, eh’ erano al suosoldo.

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i battaglia cogli' E l im e i , rimase ucciso, lasciando due fi­glinoli , S e le u c o ed A n tio c o . »

« S e le u c o prese il posto del padre il terso anno della olim­piade cxlvjh, e regnò dodici anni4 fino, cioè, all’ anno pri­mo della olimpiade cli essendo vissuto sessant* anni. 99

« A Ini saccedette il (rateile A n t io c o , soprannominato 1* E »

jt ifa n e ; e regnò undici anni, cioè dal terzo della ctx olim­piade fino al primo della olimpiade cuv. 9»

« Vivente ancora A n tio c o E p i fa n e prendea parte nel regno «no figlinolo A n tio c o * avente dodici anni, chiamato E iip a te r e , il quale visse regnando col padre un anno, e sei mesi* Poscia D e m e tr io 3 che S e le u c o padre avea dato in ostaggio ai Ro­mani j fuggitosi di R o m a sbarcò a T r i p o l i , città di F e n ic ia ,

accise L is ia tutore del ragazzo, e il ragazzo stesso A n t io c o , ed invase il regno l'anno quarto della olimpiade c u v , e il teone fino al quarto della clvii. A costui fa dato il sopran- nome di S o te r e ; e darò dodici anni ; ma poi avendo dovuto a cagione del regno venire a battaglia contro A le s s a n d r o , che sostenevano i soldati tolti a stipendio s come pare le truppe di T o lo m m e o , e del re A i t a l o , rimase ucciso, »

« Ora A le s s a n d r o s'impadronì della S ir ia 1* anno terzo della olimpiade c lv ii, e regnò cinque anni* finché nel quarto della CLvm perdette la vita combattendo con T o lo m m e o , che recava soccorsi a D e m e tr io 3 figlinolo di D e m e tr io 3 presso la città di A n tio c h ia ; essendosi ivi combattuto, ed essendovi morto nel trambusto dell4 azione anche T o lo m m e o . 99

«e Di poi sostenne la guerra D e m e tr io , che abbiam detto figlinolo di D e m e tr io . Ed essendo venuti a battaglia D e m e tr io

Che giùngeva da S e le u c ia , ed A n tio c o figliuolo di A le s s a n d r o

ohe veniva dalla S ir ia , e dalla città di A n tio c h ia , restò vin­citore D e m e tr io s e prese le redini del regno l ' anno primo

della olimpiade clx. Nèll* anno successivo andò contro ad A r -

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sace a Babilonia , e nelle provinole superiori ; e nelt* altro , che era il terzo della olimpìade ch x $ Arsace il fece prigionie­re 5 ed ordinò che fosse trasportato nel paese de' P arti, e lennto in prigione. Fa chiamato Nicànore , ( cioè vincitore ) per aver vinto Antioco , figlinolo di Alessandro ; e fa detto anche Siripide , perchè stretto da catene di ferro fa condotto via , e tenuto in carcere. »

« 11 fratello minore di Demetrio, di nome Antioco, edu­cato nella città di Sida j onde fa detto Sidete 9 avvisato della rotta e prigionia di lai * abbandonato il soggiorno di quella città , andò ad occupare la Siria 1J anno quarto della olim­piade c lx , e tenne il regno nove anni. Questi soggiogò i Giudei 3 diroccò le mura della loro città 3 ed uccise i mag­giorenti della nazione : il ohe fa 1* anno secondo' della olim­piade clxii. Nel quarto anno poi della olimpiade medesima con cento venti mila uomini venne sopra di lai Arsace f il quale per istratagemma mandava in Siria sciolto dalla schia­vitù Demetrio fratello di Antioco. Antioco mentre nel faror dell' inverno insegne in uno stretto luogo i Barbari, nel tram­busto della zuffa vien ferito „ e muore nella età di trentaòin- que anni. Arsace ne fece prigioniere il figliuolo Seleuco, ra­gazzo di tenèra età che accompagnava il padre £ e il tenne sotto custodia 9 però trattandolo da re *>•

a Antioco avea avuti cinque figliuoli 9 tre maschi e due femmine. La prima e la seconda ebbero comune il nome di Laodice. Il terzo fa Antioco 9 cbe come le due sorelle morì di malattia. Il quarto fu Seleuco caduto in mano di Arsace. Il quinto finalmente fu Antioco 9 detto il Ciziceno , perchè essendo in cura dell'eunuco Cratero, per paura di Demetrio fuggì in Cizico con Cratero stesso, e con altri famigli suoi

cc Ora essendo l'altro fratello insieme colle sorelle morto» e rimanendo solo il più piccolo di tatti questo Antioco 9 che

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a cagione di quella fuga ti chiamò C iz ic e n o i di nuovo D e ­

m e tr io fu da A r s a c e lasciato libero 1* anno secondo della olim­piade clxii , e cominciò a governare, dopo aver trascorsi dieci anni in (schiavitù. Prima sua impresa fu di volgersi al-V E g i t t o 9 e mosse verso P e h s io \ ma trovata resistenza per parte di T o lo m m e o F is c o n e ritornò indietro ; perciocché avea un esercito non troppo ben disposto per lui , ché anzi gli era odioso. T o lo m m e o sdegnato di essersi veduto assaltato, mandò per re agli A s ia t ic i A le s s a n d r o figliuolo di A le s s a n d r o , o per d ir meglio supposto figliuolo di A le s s a n d r o , il quale ripu­tandosi comprato da T o lo m m e o presso i S i r i i , venne chiamato di soprannome Z a b in a ( 1). Fattasi adunque giornata presso D a m a s c o y D e m e tr io vinto fuggì a T ir o ; e mentre, venendogli negato l ' ingresso, cercava d'entrare in una nave per fuggire o ltre , fu ucciso l'anno primo della olimpiade clxiv. Egli regnò prima della schiavitù tre anni, e quattro dopo ».

« A D e m e tr io succedette suo figliuolo S e le u c o * il quale p e r le calunnie della madre fu quasi subito ucciso. Il regno adunque toccò al minor fratello A n tio c o 1* anno secondo della olimpiade clxiv. Egli l’anjio terzo debellò Z a b in a , il quale p e r non sopravvivere alla rotta si avvelenò. Regnò poi A n tio c o

nudici anni, cioè fino al quarto della olimpiade clxvi ; e in questo numero va compreso anche Tanno solo, in cui tenne

autorità suo fratello S e le u c o . Egli fu chiamato G r ip o , cioè a d u n c o , ed anche F ilo m é to r e . Questi, venendo A n t io c o , il qu a le gli era fratello per parte della madre, e cugino per p a r te del padre ( 2 ) , e come si è detto, di soprannome C/- z i c e n o , abdicato il potere, ritirossi ad A s p e n d o ; onde fu detto anche A s p e n d io , come G rip o e F ilo m e to r e . »

(1) Che nella lingua siriaca vuole appunto dire comprato.(a) 11 Gripo , e il Ciziceno erano entrambi figli di Cleopatra , la

quale ebbe il primo da Demetrio II , e il secondo da Antioco Si- d e te* Questo 3 s Dentàrio l i erano fratelli.

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m Andata dunque Antioco ( il Gripo ) ad Aspendo, Antioco Ciziceno tenne il regno ; ed era l’anno primo della c l x v i i

olimpiade. Ma nel secondo anno della stessa olimpiade Antioco ritornò da Aspendo, ed occupò la Siria , eccettuatane nna certa parte soggetta ancora al Ciziceno. Ond* è che l’imperio restò diviso in due ; e il Gripo stette fermo sino al quarto anno della olimpiade c l x x ; e per quindici anni dopo il sno ritorno regnò : così cbe poi venne in tatto a regnare anni ventisei , cioè ondici sa tatto lo stato , e quindici sopra nna parte del medesimo. 99

u II CiziceRo poi regnò dall’ anno primo della c l x v i i olim­piade , • morì nel primo della c l x x i , dopo aver tenuto il trono diciotto anni, e vissutine cinquanta. Egli morì di qaesta maniera. Mancato di vita Anùoco Gripo nel tempo da noi in­dicato , Seleuco 3 figlinolo di Ini si pose coll' esercito a sotto­mettere assaissime città ; ed avendo voluto Antioco Ciziceno, messo insieme in Antiochia anch* egli an esercito , combatterlo , la cosa gli riuscì male, a modo che spinto col cavallo tra le schiere nemiche, reggendosi sai panto d* essere preso, di propria mano sgnaioata la spada si accise. 11 cbe accadato tutto il regno colla stessa città di ^Antiochia fa all* arbitrio di Seleuco.

Però contro quest’ ultimo continuò la guerra il superstite figliuolo del Ciziceno, Antioco. Ed in fatti datasi battaglia ia Ciiicia presso la città di Mopsuestia , ebbe vittoria Antioco ; e Seleuco rifuggitosi in quella città, e domandando agli abi* tanti se lo conoscessero ; reggendo che lo conoscevano , per non essere abbruciato v,ivo , si ammazzò da «e stesso. »

Allora i suoi fratelli, chiamati i Gemelli, Antioco • Fi* lippo , venendo coll'* esercito presero la città per forza, e per vendetta del fratello la distrassero. Ma poi giunse loro addosso il figlino^ del Ciziceno, e li debellò ; nella quale occasione

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Antioco ,, fratello di Seleuco, perdalo qel combattimento il cavallo , volendo mettersi in salvo , inconsideratamente cacciossi nell* Oroute , e vi si affogò.

Rimanevansi a disputare del regno Filippo, fratello di Se­leuco 0 figlinolo di Antioco Gripo , ed Antioco , figlinolo del Ciziceno. Questi incominciarono nell* anno primo della c l x x i

olimpiade a regnare non senza scelti eserciti,. tenendo ognano una par{e della Siria , e guerreggiando per averla tutta , fin tanto che Antioco essendo stato vinto foggi ritirandosi presso i Parti. Di là poscia si mise a tentar Pompeo perchè il ri­conducesse nella Siria ; se non che Pompeo gaadagoato dal denaro degli Antiocheni s non si prese alcun pensiero di la i, e concedette alU città di viver libera. Intanto gli abitanti di Alessandria, spediti a lui ( Antioco) ambasciadori Menelao, Lampone s e Colimandro , il pregavano » che essendo uscito di quella città Tolommeo, figlinolo del Dionisio , andasse a procacciarsi il regno di Egitto , e li figlinola di Tolommeo * ma caduto gravemente ammalato , nel frattempo morì.

Perdette pare il regno Filippo, di coi parlammo di sopra, figlinolo del Gripo , e di Trifonea, il coi padre era Tolom­meo Vili. Desiderava anch’ egli d* acquistare 1* Egitto , giac­ché Ini pure i cittadini d* Alessandri? chiamarono. Ma ruppe tal maneggio il proconsole Gabinio , legato di Pompeo. Così ebbe fine la serie dei Re sirii esposta fin qoi. »

Ecco uno ad uno i Re degli Asiatici e de* Sirii.

I. Sagli Asìatic? regnò ANTIGONO anni xvin. mesi * . \II. DEMETRIO r ASSEDI ATORE

sulle regiooi superiori e sullaSiria regnò . « • . . • » m i. 99 . . .

III. SELEUCO NICÀNORE . . » xxxii. « . . .

*3$

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IV. ANTIOCO SOTERB» . anni xix. mesi . •*9°

V. ANTIOCO DIO . . . 99 XV. 99

VI. SELEUCO CALLINICO y> XXI» 99 .VII. SELEUCO CERAUNO . 95 III. 99 .

VIII. ANTIOCO il GRANDE. 99 XXXVI, 99 •IX. SELEUCO (il Filopaton) 99 XII. 99 .X. ANTIOCO EPIFANE . 99 XI. 99 .

XI. ANTIOCO, figlinolo di qoc-8ÌO# . . « • « . 99 I. 99

XII. DEMETRIO SOTERE . 99 XII. 99 .XIII. ALESSANDRO . . . 99 XV. 99 .XIV. DEMETRIO di D e m e tr io 99 III. 99 * •

XV. ANTIOCO SIDETE. . 99 IX. 99 •

XVI. DEMETRIO o n ’a l t r a volta 99 IV. 99 •

XVII. ANTIOCO GRIPO. . . 39 XXVI. 99

XVIII. ANTIOCO CIZICENO . 99 x v u . 99 •

XIX. FILIPPO del G rip o ( i) .Sotto il quale ebbe fine il regno siro ; e poscia dominarono

i R o m a n i.

Ma poiché veduta abbiamo la serie de* varii Re sucJ ceduti ad Alessandro il grande nei diversi paesi da lui dominati in Asia ed in Europa , ragion vuole che quella ancora veggi amo di coloro, i quali regnarono in Egitto, egualmente giovandoci di ciò che si vede nel li­bro primo de’ Canoni cronici dell * Eusebio tratto dal già

(i) Il testo greco porta anni II.

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accennato codice armeno ; ed avvertendo, che ciò che intorno ad essi Eusebio ci ha lasciato, il trasse dalle opere di Porfirio. Eccone adunque il suo testo.

C A P I T O L O XXII.

« A questo Alessandro macedone l'anno secondo della olimpiade cxiv «accedette nel regno (d'Egitto e d* Alessan­dria ) ArrideOy detto anche Filippo 3 fratello di Alessandro , ma non dal canto di madre , perciocché Filippo k» area arato da Filina di Larissa. Costui regnò sette anni, finché fa ucciso in Macedonia da Polisperconte figliuolo di Antipatro » .

« Tolommeo, figliuolo di Arsinoe e <fi Lago, l'anno dopo ohe Filippo area preso l'imperio , renne mandato alla prefet­tura d* Egitto } e la tenne per diciassette anni ; poi se ne fece re ; e in tale dignità darò ventitré anni : così che poi innanzi alle saa morte passarono qaarant* anni. Però egli rirente an­cora trasferì V imperio in silo figlinolo Tolommeo , detto il Filadeìfo ; e per due anni regnò insieme con esso lui. Onde non reramente quaranta, ma trent’ otto anni soli si compu­tavano gli anni del primo. Tolommeo , cognominato il Solere n .

« F u dnnqae successor suo il figliuolo T olommeo Filadeìfo , che rivente il padre regnò per dne anni ; e lui morto per ftrentasei (1) : così cbe dee dirsi , come di suo padre, aver egli regnato trent* otto anni ?%

« Terzo nella successione fa Tolommeo denominato Y L Wer* gele, cbe regnò venticinque anni (2) 99.

(1) E osservisi che nel testo greco dicesi treni* otto j e che CU* mente Alessandrino scrire ventisette. Tanto sono fermi i punti della cronologia !

(a) E nel secondo libro Eusebio lo fa regnare ventiquattro anni.

r 9 r

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k A lai succedette il quarto Tolommeo, chiamato il jFV/o- fatare a cbe regnò diciassette «ani ».

« Poi il quinto Tolommeo , di soprannome VEpifanes tenne il regno per ventiquattro' anni ».

« Succedettero poi a qoesto i suoi dae figlinoli, Tolommei anch* essi * il maggiore detto il Filometore e 1* Emergete se­condo il più giovine Gli anni d* entrambi presi in complesso contansi sessant* uno (i). E noi abbiamo sommati insieme gli anni d* entrambi, poiché essendosi fatta la guerra, ed alter­nativamente cacciati Tuo l'altro del regno, i loro tempi Ten­

gono ad essersi insieme confusi. Il Filometore regnò pel primo ondici anni. Poi Antioco, invaso colle armi l'Egitto, lo spo­gliò del diadema* Indi gli Alessandrini diedero la regia di­gnità al fratello; e cacciato Antioco rimisero il Filometore, così che dissero dodicesimo anno del Filometore l’anno primo dell’ Evergète. Regnarono poi del pari 1' uno 1* altro sino a!- l'anno diciassettesimo. .Ma dal diciottesime in poi notossi il nome del solo Filometore : perciocché avendo il minor fra­tello cacciato dall'imperio il maggiore , questi vi venne rista­bilito dai Romani: il quale preso il dominio dell’Egitto., ac­cordò al fratello il regno della Libia. Rimas’ egli dunque solo regnatore dell'Egitto; e ciò fa per diciotto anni. Egli morì ia Siria, che oltre l'Egitto signoreggiava; ed allora V Emergete chiamato da Cirene, fa gridato re; ed avendo incominciato a contare i suoi anni dal punto cbe fa tenato per re* sì stimò che alla morte del fratello avesse già regnato per venticinque anni , e che in complesso poi regnasse per cinquanta quattro (2);

(i) Così il codice armeno: però tanto il testo greco5 quanto il ;ait)logo che siegue segnano sessantaquaUró anni.

(a) il calcolo è questo. Regnò sei anni in Alessandria ce! fratello, diciotto anni solo in Cirene » e solo in Alessandria dopo la morte del fratello irenC anni, o per dir meglio ventinovc anni, ed alcuni mesi.

*92

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per la ragione che l'anno trentèlimo sesto del F i lo m e to r e , che dove* dirsi il primo di lai, egli volle ohe si dicesse il •ao rigesimo qainjo. E così presi in complesso gli anni di entrambi ., vengono ad essere sessant* ano ; cioè trentacinque del F ilo m e to r e ( i) , e ì rimanenti d e l i * S i c c h é appa­risce cbe quando vogliasi fare una supputazione separata, il conto diventa erroneo ».

* Al T o lo m m e o E v e r r e te secondo nacquero da C le o p a tra

due figliuolientrambi chiamati T o lo m m e i, ma il maggioro ebbe il soprannome di S o le r e , e il minore fu detto A le s s a n ­

d r o . 11 maggiore regnò primo 9 avendogli la madre procacciale il trono. Verso la quale vedatosi ossequioso, fa tenuto per cosa certa eh* egli per alcun tempo T avesse per innamorata. Ma nel sedicesimo (2 ) anno del suo regno per crudeltà;, d'a* nimo uccise i famigliar! del padre e della madre: per lo che d’ ordine della madre fu deposto> ed ebbe a scappare in Cipro. La madre chiamò da Pelusio il minore , e lo fece re in sua compagnia. Il minore adunque regnò colla madre # avendo ogrinno ,d’ essi del pari il nome di, regnanti; e perciò 1* anno in cui accadde questo, fu detto 1* anno nndecimo del regno di C le o p a tra (3) , ed. ottavo di T o lo m m e o Y A le s s a n d r o *

poiché anche questi prese epoca ne* tempi del fratello sino dal quarto anno del medesimo, quando appunta egli (C *AleSr>

sa n d ro ) avea incominciato a regnare s?i Cipriotti. £ quest’oso

(1) Il calcolo di questi trentacinque si fà di questa maniera. Egli regnò undici anni solo : poscia sci col fratello : indi dicioao sola un1 alita rolla , poiché F Emergete notò per sè il treptesimo sesto del Filometore.

(a) Cosi nel margine dei codice armeno: nel testo è detto quin­dicesimo j e nel lesto greco decimo «

(3) S’ intende che Cieopatra area regnato dieci anni coll’ altro fi­gliuolo. E quest’ uttdecimo anno di lei mostra l’ errore del sedice*- simo e del quindicesimo notati di sopra.

i 93

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dorò finché C le o p a tra visse x morta la cfuale i segni onori fin comiociaronsi ad applicare al eolo A le s s a n d r o . Questi teone 1* imperio per diciotto anni daocbè fo venato ad Alessandria * ma noodinseno veniva detto regnare da anni ventisei. Nel di» eiannovetimo anno sdegnatoli contro i prefetti delle troppe,

jpdò loro addosso colle sae forse ; e qaesti gli fecero fronte avendo alla testa T i r r o n e , nomo de) aeogue reale : per la ohe venutosi a battaglia navale, egli si trovò in tanto peri-, colo , cbe dovette colla moglie e coi figli rifuggirsi io Wira, voiità della Licia; e di là fuggendo in Cipro, assaltato da C h e r e a , ammiraglio, perì ».

9» Intanto dopo la fuga di loi gli Alessandrini, mandati aonbasciadorr a T o lo m m e o S è t e r e , fratello dell4 A le s s a n d r o , 1* invitarono a montare di nuovo sol trooo ; ed egli ritornò da Cipro; e quindi scorrono sette anni e sette mesi: cbè per tanti rimase re dopo il ritorno. Tutto il tempo poi, tolto dalla morte del padre , contasi per esjselui ; e s* hanno tren- tacmque anni e sei mesi. Però è da osservarsi, cbe a To** lo m m e o S o ie re i dovrebbonsi attribuire interpolati diciassette .anni e sei mesi , e ali* A le s sa n d r o diciotto , interpolati an- ob* essi, avuto riguardo a quelli, ne4 quali il maggiore regnò,0 0 0 potendosi questi diciotto levare dal catalogo, quantunque pur sì levassero a forza , malgrado gli studi# che vi presta* rono anche i Giudei ( 1). Ma non ai tien conto degli anai de ir A le s s a n d r o » e ai contano tutti i trentasei del fratello maggiore ».

» I sei mesi cbe avanzano dalla morte del fratello «nag» giore, e cbe compiono 1* anno trentesimo sesto , non vengono calcolati per C le o p a tr a , figlinola del maggiore, e moglie del

(1) Ad intelligenza di questo passo reggasi G iu sep p e F la tn o nel lìb. u contro A p p io n e , e il *it libro S ib illin o pubblicalo in Mila* no nel 1817 .

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i <j £>minore, Ia quale dopo la morte del padre tenne lé redini del regno ; nè si calcolano per 1* A le s sa n d r o i diciannove giorni, in coi regnò con essolei. Questo A le s s a n d r o era figlinolo del minor T o lo m m e o detto 1* A le s s a n d r o , figliastro di C le o p a tra , ed abitava ia Roma ; e mancando in quel tempo in Egitto maschi della stirpe reale , chiamato andò in Alessandria, o prete in moglie C le o p a tra che dicemmo ; e contro voglia di lei si mise alla testa del governo. Poi diciannove giorni dopo la accise ; e per quell' infame suo parricidio fa ucciso an- eh* egli 5 assaltato da nna turba* d* armati nel ginnasio ».

« A questo A le s s a n d r o saccedette T o lo m m e o detto il n u o v o

D io n is io ( i ) , figliuolo di T o lo m m e o S o te r c , fratello della predetta C le o p a tra . Del regno di oostui si contano ventinove anni. C le o p a tra , figliuola di Ini , fa 1* ultima della stirpe dei h a f j t i i i e al regno di lei dannosi ventidue anni. Ma è d* uopo avvertire cbe le durale di questi regni non contengono una serie continuata di tempi dal principio al fine ; ma che sono alternate, e tra esse a vicenda interposte. Imperciocché sotto il n u o vo D io n is io sono attribuiti tre anni di regno alle figliuole del medesimo* C le o p a tra , detta aoohe T r ifo n e a , e B e r e n ic e 4

cioè un anno ad entrambe unite, e due anni alla sola B e re *

n ic e depo la morte di C le o p a tra , o vogliaci dire T r ifo n e a .

E ciò perchè essendo T o lo m m e o aodato a Roma, ed ivi fer-

(1) Gli Editori dell* Eusebio armeno riferendo 11 parere del V a il-

imnt • dell’ E ckelt, i quali attribuiscono a para adulazione il so­prannome di nuovo Dionisio dato a questo Tolommeo, preferiscono attribuirne T origine alla supposizione che i Talommei prevenissero da B acco , siccome avea sostenuto un certo S a tiro , di cui parla Teofilo. Ma e non sarebbe stata una più smaccata adulazione co­desta? Non"hanno dunque que9 dotti uomini guadagnalo nulla cer­cando 4* infirmare 1’ opinione corrente , la quale ebbe, o potè avere per probabile motivo la bellezza, e le graziose maniere di questo Tolom m eo, appunto per queste assomiglialo a Bacco $ ohe Bacco a Dionisio fu bellissimo.

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mitosi alenn tempo s le sue figliuole, non vedendo ritornareil padre, presero le redini del governo : poi alcuni parenti assistettero B e r e n i c e , «Q ebbero parte nel governo» fin taoto che fa ritornato T o lo m m e o da Roma: il quale poscia messa In non cale la pietà t l'affetto verso la figlinola « e riguar­dando di mal cuore quanto essa avea operato, la feoe morire »,

« Regnando C le o p a tr a , i primi anni del regno Vennero attribuiti a lei e a eoo fratello maggiore T o lo m m e o ; e di poi agli altri per la cagione medesima. Il nuo vo D io n is io morì lasciando quattro figlinoli, cioè due T o lo m m e i, C le o p a tra ed A r iin o e . Egli lasciò il regno ai due di maggiore età , ordi­nando eh# T o lo m m e o e C le o p a tra regnassero insieme. Cosà passarono quattro anni ; e la cosa sarebbe durata3 se T o lo m ­

m eo , il quale non avuta riguardo alla disposisìone del padre volle regnar solo , non avesse perduta la vita in una battaglia navale sostenuta contro G iu lio C e s a r e , che diede ajuto a C le o p a tra ».

« Dopo la morte di T o lo m m e o , il fratello minore 5 detto T o lo m m e o anch' egli j fa colla sorella C le o p a tr a , per ordine di C e s a r e , a parte del regno: ond'è che si notava l'anno quinto di C le o p a tra , e il primo di T o lo m m e o ; e quindi se­guirono altri due anni sino alla morte di qoest' ultimo ».

« Il quale fatto per insidie ammassare da C le o p a tra nel- 1' anno quarto del suo regno , e ottavo del regno di lei, il rimanente tempo attribuito a C le o p a tra sola va fino al quin­dicesimo tao. Ma il sedicesimo vien anche detto il primo; e ciò perchè morto in Siria L is im a c o , re della Calcide., Mar->

e a n to n io , comandante supremo (delle forze romane) diede a C le o p a tra e la Calcide e le provincia adiacenti. E così po­scia colla stessa norma netaronsi i susseguenti anni fino al vigesimo secondo, che fa l'ultimo di C le o p a tr a 9 per modo che il veotidaesimo sao anno fa anche il settimo »t

1 9 6

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O tta v ia n o C esa re poi, detto anche A n g u s to , per la bat-* taglia d’ Azio levò il regno d* Egitto a C le o p a tra 1* anno se­condo della olimpiade cLxxxiv. Onde . tra. lVanno primo della cxi ia coi A r r ìd e o F ilip p o succedette oell* imperio, o 1* anno secondo della c l x x x i v , contanti settanta tré olimpiadi o un anno; cioè dugento novantatrè anni ( i) ; ed altrettanti anni si com­putano dei re d' Alessapdria sino alla morte di C le o p a tra

Ecco adunque come si contano i tempi dèi Toìommei*

ALESSANDRO macedone incominciò il regno l'anno primo della centesima nndecima olimpiade. Egli edificò in Egitto Alessandria s la dorata del suo regno fu di dodici anni e sette mesi. Dopo di lai regnarono in Alessandria, e sopra tatto 1' Egitto i seguenti :

*97

TOLOMMEO di L a g o . . . anni X I tóesi • é *

TOLOMMEO F ila d e ìfo . . . 99 xxxvm 39 4 * *

TOLOMMEO E m e rg e te . • . 99 x x i v v * • 1

TOLOMMEO F ilo p a to r e . . 99 X X I » • . .

'TOLOMMEO E p ifa n e . . • . * XXIV (2) 59 • A •

TOLOMMEO F ilo m e to r e . < • 99 xxx (3) 99 • • è

TOLOMMEO j.uniore , detto anche ' -

E m e rg e te . . . . . . . 99 X X IX 99 é • *

TOLOMMEO F ìs c o n e , detto S o te r e 99 xvii P YLTOLOMMEO, ì* A le s sa n d r o , che

dalla madre (4) di suo padre fa ' cacciato del regno. . . . . * ili ai . i 4

(i) Epifanio dal primo Tolommeo * figliaci© di Lago, fiao a Cleo­patra ue conta treoentm te i*

(a) Così nel margine del codiée armeno * e nel testo greco. Ma nel lesto del codice armeuo xxii.

(3) Nel testo greco xxxi.(4) Questa ara Cleopatra, mogli* AéV Eptfane. i l Ale tsandro era

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TOLOMMEO Filadeìfo, redace da

ehi era stato cacciato da Ales­

sandria . . ....................... ..... anni ' vili ‘ mesi

TOLOMMEO il Dionisiot detto

• anche F ila d e ìfo ....................... » xxx » . . .

CLEOPATRA figlia di Tolommeo » xx » . . .

Regnante lei 6 . Giulio Cesare invase il sommo imperio de'Ro-

mani. Dopo di lai Cesare Sebasto Ottaviano, detto anche Au­

gusto , uccisa Cleopatra s distraste il regno de4 Tolommei, che

era dorato dagentonovantacinque anni (i)-

figliuolo deir Everrete , e questi fratello dot Filometore , e figliuolo dell* Epifane 5 e il passo si tiene per erroaeo ; e i dotti Editori lo corregono così. Tolommeo , detto P Alessandro, cacciato per ordine delta madre. . . . ee. Poi. aggiungono la giusta osservazione, che non è fondato il numero dei tre anni cbe aWAlessandro qui si at­tribuiscono .

(1) Tutto questo catalogo è pieno di «rrori , e di contraddizioni. Si dà al Tolommeo Filadeìfo reduce un regno di otto anni e qui e nel secondo libro di Eusebio $ e intanto poco sopra Eusebio area detto che al Tolommeo CAlessandro era succeduto il Sotere reduce dall’ esigilo ; e che a questo era succeduto ì1 Alessandro secondo fi­gliuolo del primo Alessandro, trucidato a cagione del commesso parricidio , poiché avea uccisa sul bel principio del suo regno la moglie. A questo Alessandro poi era succeduto il nuovo Dionisio. Qui Eusebio cambia le cose. A questo cambiamento però sembrano dare la loro approvazione i dotti Editóri. Ed ecco com* essi ragio­nano. È certo che il predecessore del nuovo Dionisio morì m esi­gilo in Tiro, lasciando il regno ai Romani. Or come potrebbe adun­que il nuovo Dionisio essere succeduto al secondo Alessandro m che fu ucciso in Alessandria? È questo un grande imbroglio che tro- Tasi nella successione dei Laghi, su cui i Critici hanno detto e ri­detto senza persuadere nè altri, nè sè medesimi. Il Petavio andò a supporre un terzo Alessandro segnato dai Manutii : il Visconti pen­sava che questo Filadeìfo fosse 1' ottavo Tolommeo regnante la se­conda volta 5 e poneva poi che VAlessandro secondo non fossé già , st*io ucciso in Alessaudci»; qui «oUmeatt cacciato ia esigilo 5 nè è

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da dubitare, che col fat risuscitare ì motti moltissime coté possono aggiustarsi, come con far venire al mondo gente che non vi fu mai. ^Tale si è stata la logica dei dottissimi Petavio e Visconti, umiliante in vero per ohi sa , e per chi non sa egualmente. Opportunamente |>oi i detti Editori dell’ Eusebio armeno osservanp % cbe in questo catalogò non è nominato VAlessandro secondo perchè avendo re­gnato solamente diciannove giorni, gli JEgtsii non lo riputarono sog­getto da inserire nel catalogo cronologico dei loro He. Con ciò, a parer nostro» èssi hanno modestamente accusati d’ inesattezza e gli Egizii ed Eusebio ad ttn tempo.

Ma non crediamo noi inesattezza di Eusebio il sumero de’ Penti anni in questo catalogo attribuiti al regu® di Cleopatra » a cui per molte clhsiderasioni competono ventidue, come a lei dà il testo greco, • com* è notato net margine del testo armeno. Il perché gli Editori e qui e in tanti altri luoghi abbiano conservati gli errori di codesto loro testo armeno, è cosa che la debole nostra intelligenza don ci dà di potere comprendere. Noi abbiamo riguardato per no guadagno' delle lettere il disseppellimento della prima parte dell* o- pera euscbiana, giacché non ne avevamo che de1 frammenti. Essa non poteva essere cara e a noi e a quanti hanno in pregio i buoni jrtudii, se non per l1 incremento delle utili cognizioni. E v’ era co­modità di presentarla netta da grossolane inesattezze » attesa la so­lida erudizione de* valentissimi Editori, ai quali potea bastare che noi soffrissimo gli scandali originali, che per le sue prevenzioni, e per quelle del suo tempo, Eusvbio non ha potuto risparmiarci. Di-

. ranno gli Editori d’ averci nelle loro Note prestato il cerotto, da mettere su codeste piaghe esotiche : ma noi saremmo loro obbligati assai più, se ci avessero dispensati dalla noja di veder quelle pia­ghe ; e magnificheremmo di buon cuore la loro prudente economia 9 se avessero tenuto il loro cerotto ad altra bisogna. Ma ritorniamo al testo.

i dotti Editori sulla somma dei dugento novantacinque anni, qui assegnali alla durata del regno dei Tolommei, ci avvisano della in­coerenza che havvi tra questo passo , e 1* antecedente , ove essa b ristretta a’ dugento novantatrè, con di più che questa , e non I* ul­tra , trovasi tanto nel margine del testo armeno, quanto nel testo greco. Dal che hanno tratta la facile conclusione , che tutto questo passo è pieno >1’ errori* Ma sono essi questi errocL_4Ì Eusebio t o

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de* copisti f Noi non crediamo che quando ano scrittore ci ha di proposito delio che tal cosa è dieci, se poscia ci avvenga d* intoppare in un passo di lui ove leggasi tredici, dobbiamo dire' essere P uno e 1* altro numero pensatamente da lui espresso. Uopo è dunque purgarlo quando vogliasi esporlo al mondo onorevolmente. Se no , di errori e antichi e moderai avendone noi bastante dovizia , perchè farci traboccarne 7 chè tale dovizia ognuno sa essere miseria. I dotti Editori pefò ci avvertono , che volendo noi sapere qualche cesa in­torno alla cronologia dei Tolommei possiamo consultare Clemente Alessandrino , Tertulliano , Epifanio , i quali molto si dise ostano da Eusebio ; e potevano dire che di poco sono concordi tra loro. Ci mandano anche all* Cronografia del Maiala , aggiungendo però di buona fede eh1 essa è piena di non mediocri errori, t perchè dunque siamo noi mandali o»’ è certo che non troveremo'verità P È erudizione , è dottrina 1* empirci la memoria- d* incertezze e di eri ori P

Ad onta di tutte queste umilianti considerazióni noi siamo contentiavere in questa edizione nostra del Diodoro aggiunti anche questi

ultimi squarci d’Eusebio, perchè ci hanno risparmiate «Icone itìo- atrazioui che avremmo dovuto apporre a vani passi de’ Frammenti che sieguono, per conoscere spezjalmente varii ile o «icir, o egisii» «he in qjit? .Frammenti vengono nominali.

200

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E S T R A T T I

CHE RIMANGONO DEGLI ULTIMI VENTI LIBRI

DELLA BIBLIOTECA STORICA

DI

DIODORO SICULO

QUALI SI HANNO NELLA EDIZIONE DEL VESSELZHfGIO

ESEGUITA 1« AMSTERDAM HEL I j f ó

p«i* le stampe di Jacopo Ycstenio.

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a l l ’ o r n a t is s im o s ig n o r e

D. STEFANO PIRAZZOLI

DOTTORE IH TEOLOGIA

IL CAV. COMPAGNONI

D o p o avere felicemente navigato per que­sto ampio e tranquillissimo mare di rara e squisita erudizione d’ogni genere, chè tale credo io potersi giustamente chiamare la parte della Biblioteca Storica di D i o d o r o

Siculo per me fin qui volgarizzata, or toc­caci entrare in basse secche, le quali di quel magnifico e sovrano mare non hanno più nemmeno l’apparenza: e così io non dubito di chiamare codesti rottami degli ultimi venti libri della medesima. In quella prima navigazione, trapassata una quarta parie di sì splendido mare, avemmo a trovarci in bassi fondi e paludosi per al-

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trettanto cammino, ove non vedemmo clie poche punte di terra, d’alcun cespuglio coperte, ed appena mostrantici qualche pregevol fiore ; ma in fine quello squal­lido tratto ci condusse al bel largo, ove la nave nostra dispiegò lieta le vele, e un orizzonte ognor crescente ci fece correre vago d’ ogni maniera di gravi e belle cose. Or fa d’uopo rinunziare ad ogni speranza di simil compenso; nè più c’è dato che di navigare in rotte acque palustri, e far nostro tesoro di alquante disordinate punte di terra, dal caso seminate qua e là infra pozze limacciose, anzi che in belle acque. Nè a compiere il viaggio nostro 1* ardita nave di prima può più condurci, chè la stretta e guasta via cel vieta; ma è me­stieri che usiamo d’umile schifo : tanta è la condizione miserabile, in cui ci hanno lasciati le ingrate età trascorse!

Ed è meraviglia veramente, mio caris­simo Amico, che dal cominciàmento del Basso Imperio in poi, tempi infelici invero per gli uomini e pter le lettere, essendoci

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pur conservati moltissimi vecchi libri, od essendosene composti tanti, che niun sus­sidio danno all’ intelletto umano, anzi pa­recchi d’essi lo umiliano piuttosto e lo pervertono, i più splendidi ed utili sieno stati posti in dimenticanza, o di$trutti! Fra i quali j mentre di parecchi singolar­mente ci rattristiamo, che tal .ventura si ebbero, di questi di Diodoro gravemente avrà a rattristarsi per certo ognuno, che quelli, che dall’ unnica ruina si sono sal­vati, abbia alcun poco scorsi. E disse bene il Rodomano, quando nell’ accennare il senso eccitato in lui dai primi frammenti che dei perduti libri di Diodoro gli ca* pitarono sotto gli occhi, lo assiniigliò a quello che ad assetato uomo recano al­cune poche stille d’ acqua che gusti.

Della gràvità degli argomenti, de’ quali Diodoro avea trattato necinque, che for­mavano l’ultima metà della prima sua de­cade, ho già altrove parlato; nè dissimulo, che posto io a scegliere tra il sacrifizio di que’ cinque , e quello degli ultimi venti,

io5

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darei il mio voto per salvar quelli a pre* ferenza di questi, siccome bo già dichia­rato altrove : imperciocché per altri sussi­dii può comporsi, siccome di vero si è composta, la storia de’ tempi ragionati* in questi ultimi venti libri; e per lo contra­rio qual supplimento possiamo noi dire di avere per le cose trattate in que’ primi cin­que? Ma nondiméno gravissima è la pena che soffrasi, quando, finita ia lettura del libro ventesimo, ci veggiamo rotta d’in- nanzi, e tolta affatto la serie de’ gravissimi avvenimenti, de’ quali in quel ventesimo libro da ogni parte veggonsi pullulare i semi. Ed avvezzi noi alla diligenza di Dio- doro , alla sua cura di notare tante parti­colarità, e tanti casi singolari, che emi­nentemente dimostrano il carattere degli uomini, l’ indole de’ popoli, e le cagioni speciali de’ tempi, appena speriamo di tro­varne compenso in Autori pure celebratis­simi.

Ma nella sfortunata combinazione, a cui sono ridotte le cose per la perdita deplo­

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rabile di que1 venti libri, di qualche con­forto debbono esserci i varii frammenti $ che d'essi ci restano, quantunque per sè stessi sieno rispetto al tutto scarsissima cosaj e ci sieno giunti assai disordinati, e inon- chi per la più parteé

È adunque di questi, che nelle varie partite, in cui veggonsi pubblicati ' nella bella edizione del TVesterno, mi sono in ultimo luogo occupato. Rispetto ai quali, quantunque per avventura mi paresse da principio che in miglior ordine si potes­sero presentare; singolarmente ponendo in serie quanto alle gesta di alcuni partico­lari uomini appartiene, od alle vicende di alcune città, e d’alcuni popoli, onde averle tutte ad un tempo sott’ occhio, gravando il leggerle troppo sconnesse > coni’ elleno qui appajono; pure me ne sono astenuto, senza però, a dirvi il vero, assolvermene. Imperciocché non avendo esse più l’origi­nai corredo, che ne’ libri suoi avea Dio­doro dato alle medesime, che ragione di diminuirne il pregio con tanto sparpaglia­

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mento? E ciò principalmente può appli­carsi a quella parte, che il Falesia ha intitolata delle Virtù e de* V izii; poiché al senso di chi lègge nulla giovando la seguita da lui classificazione de’particolari libri, a cui in origine quei varii tratti ap­partenevano , e potendosene agevolmente far nota in fine d’ogni articolo, o para­grafo che vogliam dire ; Y ordine, di cheio ragiono, e che la natura delle cose ri- guardava, potea richiedere nna preferenza. Ma ciò ché non ho avuto il coraggio io di fare, il farà forse altri ad una nuova edizione, che della Biblioteca Storica d i Diodoro si faccia , nella quale principal­mente emenderannosi anche gli errori, in cui io possa essere caduto: ché non sono io lontano dal credere d’averne commessi pa­recchi. Per essi però dalle dotte e discrete persone io non dispero indulgenza: imper­ciocché se sovente accade che i valentissimi illustratori di Diodoro fra loro contendano ora sulla intelligenza di un passo, ora su quella di un altro; ed erano essi uomini

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consumati nello studio della greca filolo­gi#, e lungo, tempo aveano speso in esami e confronti » d’ogni maniera ; sarà egli da fare le meraviglie * se con assai minore dottrina, e minor tempo ho potuto io er­rare, sia più alla sentenza di uno di quei valentuomini accostandomi, che a .quella dell’altro, sia da quella d’ essi allontanane domi per seguitare l’impulso del panico-* lare mio senso?

À buon conto starammi, io spero, ir* luogo .di merito l ’avere avuto l’ardimento di pormi a questa impresa ; e 1’ aver dato alla Gioventù italiana^D/oéforo a leggere nella nativa loro favella senza oscurità e senza stento; e parmi anche con certa gra­vità di stile, quale di pieno diritto potea un tale scrittore richiedere. Nè voglio dis­simulare, che se a lavoro intrapreso molto animo la qualità eminente dell’ opera mi diede, ad intraprenderlo molto contribuì l’importanza e la bellezza della idea con­cepita da Giambattista Sonèogno, di dare àgi’Italiani la Collana degli antichi Storici

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greci volgaritzàti. Era Giambattista Son* zogno uomo di acuta mente, e di assai giusto criterio, che il merito de’ libri , e la, esigenza de’ tempi ottimamente conob­be; e che le speculazioni dei suo mestiere congiunse sempre colla utilità de’ suoi con­cittadini , più al piacere donando di soc­correre agli studiosi, che a quello di gua­dagnare. E certamente chiunque osservò il modo suo di vivere, dovette facilmente vedere come ingordigia d’avere in lui non fu mai, essendo egli stato sì temperato nel vivere, che più astinente uomo potè dirsi che continente; nè se alcuna cosa nocque, a’ suoi affari, altra fu questa cheil lasciarsi alcune vòlte sorprendere da certi pappagalli di létteratura, i quali cor­rompendone il giudizio, che la natura gli avea dato sicuro, il traevano ad. imprese che poi gli furono fatali. Questo buon uo­mo, che l’angoscia del cuore strascinò senza necessità a fine che non avea al certo me­ritato , m’ ebbe principale nell’ intraprendi- mento generoso; nè voglio negare a me la

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a i i

giusta soddisfazione di rammemorare, che se il nome di alcun chiaro uomo e inco-

raggiò lui nella esecuzione del suo divisa­mente, e gli procacciò fautori; il mio vol­garizzamento del D itti, e del D arete, e quelLò de’ primi volumi del Diodoro fe­cero abbastanza fede y che non era ciarla­tano il libraj o che annunziavasi in trapren­ditore di sì beiropera, qual'è quella della Collana, oggi con assai amore proseguita dai figliuoli di lui.

Dovendo per certa convenienza premet­tere queste cose, ho voluto indirizzare il discorso a Voi, ottimo mio Amico, per darvi palesemente una testimonianza del tenero affetto, che conservo per la degna vostra persona. Imperciocché in trentasei anni, dacché ci separammo, un momento solo non mi uscì di memoria nè la ciò- stante benevolenza vostra, nè l’amenità di quegli anni che in compagnia vostra io vissi; e mi sono ognora presenti i generosi sensi del vostro animo, e i prudenti con­sigli coi quali dirigevate la inesperta gio-.

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vinezza mia, e i solidi studii a’ quali col* r esempio vostrò voi mi guidavate. Sicché io non credo che in cuore umano giam­mai più dolcemente possano ribollire tanto dolci reminiscenze, congiunte a candida riconoscenza, come nel mio ribollono ri­spetto a Voi, ultimo restatomi de’ miei an­tichi amici, e primo di tutti nell’ ordine de’ tempi, sènza che nel paragone di quelli* di che la mia buona sorte nel placido corso della vita in tanti diversi luoghi condótta, ini graziò, Voi abbiate perduto alcun pre­gio. Accogliete adunque benignamente la espressione de’ sinceri miei sensi di stima, di riconoscenza, d’amicizia; e continuate a valermi bene come io ne voglio a Voi*

Dal Giardino di petio li 21 Luglio 1822.

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ar3

ESTRATTI DEL LIBRO XXI.

I.

^ C hiunque abbia sano intelletto dee sentire coma egli abbia a fuggire ogni vizio 5 e spezialmente la cu­pidigia di aver molto;perciocché mentre per la spe­ranza di utilità questa passione strascina molti ad essere ingiusti, diviene agli uomini cagione di mas­simi mali ; e perciò fatta essa emporio, per dir così, d’ ogni genere .d? ingiustizie , molte e gravissime ca­lamità versa poi non solamente sui plebei, ma ezian- dio sui più grandi monarchi.

Così Antigono re d’Asia,facendo guerra ai quattro re fra loro confederali, cioè a Tolommeo di Lago , re degli Egizii, a Seleuco de’ Babilonesi, a Lisimaco de’ T raci, ed a Gassandro di Antipatro, re di Ma* cedonia, venuto a giornata con essi, e trafitto da molti dardi, restò morto : però fu seppellito con reai pompa, Demetrio , suo figliuolo, tolta seco sua ma­dre Strabonica, la quale allora soggiornava in Ci- licia , con tutti i .suoi tesovi ? navigò a Salamina città d i Cipro, poiché egli 1’ avea a sua devozione.

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II.

Àgatocle , re di Sicilia, incendiate tutte le navi de'’ Macedoni ? liberò Corcira con forze di mare e di terra assediata da Cassandro re de’ Macedoni ? je già sul punto d’ essere presa.

In guerra molte imprese riescono vane ? poiché l’ ignoranza e la fraude sovente contribuiscono sugli avvenimenti ? quanto possa contribuirvi il valore. '

III.

Àgatocle restituitosi, dopo il suo ritorno da Cor­cira all’ esercito ? avendo udito come i Liguri e i Tirreni in tempo di sua lontananza aveano doman­dato con baldanza ad Arcagato suo figliuolo (i) le paghe f li fece trucidar tutti in numero non mi­nore di due mila. Per lo che essendosi i Bruzii messi di male umore contro di lu i, egli prese ad assediare la loro città nominata Età (a) ; ma aven­dolo que’ Barbari assaltato improvvisamente di notte con grandi, forze , egli perdette quattro mila uomini; e fu obbligato a ritornarsi a Siracusa.

(1) Polrebbesi facilmente pensare, cbe dovesse con più ragione leggersi nipote anzi che figliuolo , a meno che codesti Liguri e Tir­reni non si supponessero ritornali d* Africa. Ma in questa supposi-, zione come c’ entrerebbe il mal umore de$ Bruiti f

(i) Il Vesselìngio non trovando ne’ Bruiti la città di questo nome , dubita che debbasi leggere Clatupeùa.

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IV.2 l5

Agàtocle radunate le sue truppe di mare passò m Italia , ed avendo in animo di andare con tra Cro­tone , mandò a dire a Menedemó , suo amico , di non mettersi in apprensione 5 e volendo assediar la città insidiosamente diceva di mandare a nozze in Epiro Lanassa (1) sua figlia, accompagnata da una armata reale : colla quale frode sorprese gli abitanti di quella città , non preparatisi a quel caso. Quindi investitala la circondò di mura da una parte del mare all’ altra } ed avendo coll’ ajuto di una petriera } e di una fossa diroccata * la maggiore delle case , 1 Cro­ton iati spaventatisi aprirono le porte ? e presero den­tro Agatocle e 'l ’ esercito. I quali fattisi padroni della città ne misero a ruba le case , e ne trucidarono gli abitanti. Il re poscia fece lega di guerra coi confinanti Barbari ? i Japigii ? e i Peucezii, e dati loro legni da andare in corso ? >ebbe la sua parte delle prede. fatte. Finalmente lasciato presidio in Crotone , ve­leggiò a Siracusa.

V.

Diillo (2), scrittore ateniese , compose ventisei li­

ft) Codesta Lanassa fu data sposa a Pirro , ed ebbe dal padr6 in dote Corcira , che Agatocle avea fatta di suo dominio. Pirro poi non piacque a Lanassa, ed essa l’abbandonò attaccandosi a De-> metrio , cbe ben valeva di più.

(a) Di lui si è parlato al libro XVI. Qui vien nominato nei testo' Dialto, non iscorrettamente. Di Psaone. parlano >1 Jousio, e ilVdesio.

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bri di storie ? comprendenti quanto era seguito per tutto il mondo. Psaone poi di Platea descrisse in trenta libri le cose medesime.

VI.

Nella guerra degli Etruschi, de1 Galli, de’ Sanniti, e degli altri alleati, Duri attesta essersi dai Romani sotto il consolato di Fabio uccisi cento mila uomini.

VII.

Àntipatro per invidia tolse di mezzo sua madre} ed insidiosamente ammazzò Alessandro suo fratello, che avea chiamato in ajuto il re Demetrio, non vo- lendo averlo compagno nel regno (i).

VIIL

Agatocle con buon esercito passò in Italia ; avendo in tutto trenta mila fanti e tre mila cavalli ; e date a Stilpone truppe da sbarco? gli ordinò di mettere a gua­sto il territorio de’ Bruzii. Ma costui mentre saccheg­giava il paese della costa, ebbe tale tempesta, che perdette la maggior parte delle navi. Agatocle intanto avendo posto 1’ assedio ' intorno alla città degl’ Ippo- niati y a forza di petriere* la prese, e se ne fece pa-

(i) Questo Àntipatro fu figliuolo di Cassan&ro , c sua madte tra Tcssalonica . Ved. Plui. e Giusi. Noi abbiamo letto i l test» p iù -copvenienleroenle di quello > che ù presenti.

!2l6

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drone. Pel quale fatto spaventati i Brunii mandarono legati per trattare di pace : ond' è che avuti seicento ostaggi, e lasciato ivi presidio , ritornò a Siracusa. Ma i Bruzii non istando al giuramento, con tutto il nerbo della loro città piombarono addosso ai soldati, li misero in pezzi, e ricuperati avendo gli ostaggi » si liberarono dall’ imperio di Àgatocle.

Debbesi al vigor del supplizio preferire la dolcezza del perdono.

IX.

Per la massima parte quelli che conducono gli eserciti, quando si trovano nelle strettezze di avversa fortuna lasciansi trasportare dagli stessi affetti del volgo , e ne partecipano i timori.

X.

Il re Demetrio, essendosi i Tebani per la seconda volta ribellati a lui y rovesciate le mura della loro città 9 si fece d’ essa padrona per assalto ; e dieci individui soli, autori della ribellione, mise a motte.

XI.

Àgatocle mandò Àgatocle suo figliuolo al re De­metrio per fare lega con esso lui ; e Demetrio molto cordialmente accolse quel giovane, lo vesti di stola reale , gli fece magnifici doni ; e con esso lu i, ri­

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mandandolo, spedì Ossitemi uno de1 suoi fidati, itt apparenza per confermare la lega, ma realmente per esplorare le cose della Sicilia.

XIL*

Il re Àgatocle f dopo aver mantenuta lungo tempo la pace coi Cartaginesi, si mise a fare grandi pre­parativi di cose navali ; ed avea in animo di passare un7altra Tolta coll’ esercito in Libia, e d’impedire ai Peni il trasporto di frumento dalla Sardegna e dalla Sicilia, giacché per la passata guerra d’ Africa i Car­taginesi fattisi padroni del mare ; aveano assicurato. la loro patria da ogni pericolo. Però , quantunque Àgatocle avesse allestito di tutto punto dugento tra quadriremi ed essere, non mandò ad effetto quel suo disegno; ed ecco il perchè. Stava presso lui un certo Menone , egestano di patria ? il quale fatto prigio­niere nell’ eccidio della sua città , per la bella sua persona era stato preso al servizio del re. Costui per del tempo faceva vista d’ essere contento dello stato suo a modo che egli era uno de1 favoriti , e confi­denti del Principe. Ma come tanto per la ruma della sua patria , quanto per P abuso ingiurioso clie il re faceva della sua persona, in cuor suo l1 odiava, prese l1 incontro che gli si presentò , per vendicarsi*. Era il re già ridotto alla decrepitezza; ed avea com­messe le truppe che teneva, in campagna, ad Arcagato ? figliuolo di Arcagato* stato sacrificato nella Libia } e perciò nipote di Àgatocle ; d’altronde ^opra i più

2i8

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scelti di gran lunga distinto per virile bravura, e per generoso ardimento. Mentre questi era a campo nelle vicinanze dell’ E tna, il re desiderando di fare suo suc­cessore al regno il figlio Agatocle , primieramente rac­comandò il giovane ai Siracusani , dichiarando che, a lui avrebbe ‘ lasciato il comando 5 poscia lo mandò al campo con lettere, per, le quali ordinava ad Ar- cagato, che gli consegnasse tutte le truppe terrestri e marittime. Per la qual cosa vedendo Arcagato che -si voleva far passare ad altri il regno, tese insidie ad entrambi y e per mezzo d’un suo confidente eccitò Menóne a far morire il re di veleno. Egli intanto ce­lebrando alcuni sacrifizii in certa isola , avendo ivi ac­colto Agatocle, che andò ad approdarvi, ed invitatolo a cena , poscia che iL vide pieno di vino, alla notte lo scannò. Il cadavere di lui gittato in mare ., fu dai flutti buttato a terra ; e dagli abitanti che il riconob­bero , portato a Siracusa. Avea poi il re 1’ uso ogni volta che avesse cenato , di nettarsi i* denti con. una penna ; ed alzatosi appunto da mensa, ne domandò allora una. Menone che .ne. teneva una intinta in ve­leno potentissimo , gliela presentò ; e Agatocle non consapevole dell’ inganno , adoperandola con molta insistenza, andò tanto cacciando la carne frappostasi ai denti, che ne toccò le gengive. Il che da prin­cipio gli cagionò un lento 'malore, poscia, doglie ogni dì più gagliardi j e in fine venne fuori per tutta la bocca una marcia immedicabile. Vedendosi per­tanto prossimo a. morire , chiamato il popolo in con- cione si mise ad accusare d’empietà Arcagato, e ad

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eccitare la moltitudine a voler far vendetta per In i, affermando eh’ egli aveva fatto pensiero di ridonare al popolo la libertà. Dopo di cbe quelFOssitemi, già mandato dal re Demetrio, vedutolo agli estremi della v ita, il fece porre sopra un rogo ; e l’ abbruciò spi­rante ancora, non potendo egli pel gran male, ond’ era preso nella gola, alzar la voce.' Tal fine , degno delle scelleratezze sue ebbe Aga-

tocle j cbe tante e si strane stragi regnando com­mise , e alla crudeltà usata cogli uomini di sua na­zione , unì F empietà verso gli Dei. Avea egli regnato vent’otto anni, e n’avea vissuti settantadue , secondo cbe riferiscono Timeo siracusano , e Gallia, siracu­sano anch’ egli, autore di venti due libri, e Antan* d ro , fratello di Àgatocle , che parimente scrisse storie. I Siracusani acquistato di nuovo lo stato po­polare , confiscarono i beni di Àgatocle , e ne git« tarono a terra le statue. Menone frattanto , che avea usata al re l’ insidia da noi esposta, trovavasi nel campo di Arcagato, essendo fuggito di Siracusa j e dandosi vanto del fatto , come quegli, che veniva ad aver abrogato il regno, in confermazione di ciò uccise a tradimento Arcagato \ e fattosi padrone del- T esercito , essendosi con. belle parole conciliato il favore della moltitudine , prese a far guerra ai Sira­cusani , ed usurpò il principato.

XIII.

I Siracusani mandarono fuori Iceta, loro coman-

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dante, perchè andasse contro a Menone. Iceta tenne la campagna per alcun tempo ; ma non potè mai co« stringere i nimici a venire a giornata \ chè continua* mente vi si rifiutarono. Accadde poi che a Menone si unirono i Cartaginesi ; onde allora prevalendo di forze ? i Siracusani furono obbligati, ' dati quattro­cento ostaggi, a desistere dalla guerra, ed a rice­vere i fuorusciti. Nacque poi in città gran sedizione a motivo, che nella elezione de’ magistrati a1 merce* narii non s’ ebbe il dovuto riguardo ( i ) , sicché' e questi, e i Siracusani presero le armi ; ed a stentp i seniori ; frappostivi inviati, dopo molte preghiere ottennero , che si desistesse dal tumulto a patto, che i mercenarii a certa epoca, trasportano** auanto ave** vano , partissero di Sicilia. Le quali cose dalle parti ratificate, quelli uscirono di Siracusa, ed incanunfc* natisi allo stretto , vennero dai Messenii introdotte in città come amici e compagni d’ armi i se non che dov’ erano stati cortesemente accolti nelle case, co* loro alla notte trucidarono i loro ospiti, e presene per loro le mogli, si fecero padroni della città 7 eh© chiamarono Mamertina (a) da M arte, il quale Ma* merle dicevasi in loro lingua*

(1) Debbesi intendere che que* mercenarii erano già siati fatti citladini , pel qual titolo pfti pretendevano <T aver parte ne* magi­strati. In Siracusa altre volta era succeduta sommossa per la stessa cagione.

(a) Negasi dagli Eruditi contro questo passo di Diodoro , e contro Eusebio, che Mussanti siasi mai chiamata Mamertim , ed am aah tono però che MaruerUni ne fossero delti ( dopo questo fatto ak><*» ramente) gli abilitali. Il giudizio di codesti Eruditi, aìmeo*. per

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Quelli che non sono a parte del reggimento po­polare } dal tribuno della plebe non vengono am­messi a votare.

XIV.

• A’ nemici. essere terribile quanto mai si possa * questa è conveniente cosaJ ed è pur conveniente del pari conservarsi contantemente benevolo verso gli amici.

XV.i

Poiché in quel tempo non sapevate che cosa con­venisse fare, vi piegaste a fare secondo che con gra­zioso. ragionamento foste persuasi. Ora altra cosa vi si dice, dacché vedete la provincia immersa in di­sgrazie.■ Ignorare alcuna volta ciò che accade nella vita è cosa da, uomo : ma sulle stesse cose errare più volte , è lo stesso che non aver lume di ragione. E quanti siamo più che cademmo in errore, di mag­gior pena siamo meritevoli.

A tale cupidigia alcuni sono tra tti, che non dubi­tano punto di rendere più splendide le loro famiglie a costo della ruina della patria.

E quelli che sì turpe , azione commisero contro le

ciò che riguarda Diodoro, b inconsiderato : chè non die' egli già Messana chiamata Mamcrzia, ma Mamcrtina appunto comt gli abitanti.

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persone che ajutarono gli a ltri, come li avrebbero essi mai trattati ?

XVI.

Debbesi concedere perdono ai peccati ; e non pen* sare più a quello che è stato.

XYIL

Sono da punirsi non quei che fallarono, ma «ib- bene quelli che de’ commessi falli non si pentono.

XVIII.

L ’ equità e la clemenza fra gli uomini è più antica dell7 ira e del supplizio.

XIX.

È onesta cosa , ed opportuna il mettere fine alle inimicizie *e ripristiii&re in luogo loro P amicizia. Per­ciocché quando 1’ uomo è ridotto alla miseria ; suole di sbalzo volgersi all1 amico.

XX.

P e r natura insita essendo negli uomini la cupidigia d’ acquistare molte 6ose? da tale -effetto non suole essa mai astenersi affatto.

323

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L’ albagia superba, e il contegno tirannico ruolsi lasciare a casa} e chi entra in città libera dee nella sua condotta conformarsi alle leggi del paese.

Quando uno ebbe per eredità nascita e regno , dee volere succedere anche nella gloria che v’è con- giunte. Ed in fatti sarebbe turpe, cosa portare il nome di P irro , figliuolo d’Achille, e nelle azioni rassomigliarsi poi a Tersite.

Quanta j iù gloria alcuno acquistò, tanto maggior obbligo dee avere a quelli, che lo ajutarono ad ot­tenerla. Laonde le cose che con gloria, e col favóre altrui uno può conseguire , dee guardarci del non voler godere con ingiustizia e con obbrobrio.

È adunque, o uomini, bella cosa degli errori al- trui trar documento per la salvezza propria.

XXI.

Non è permesso ad ale turo preferire alla propria cognazione il riguardo agli estranei; nè l’odio de’ne* ■ mcì alla benevolenza degli alleali.

224

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ESTRATTI DEL LIBRO XXII.2 2 %

I.

• È massima propria degli Epiroti non solo combat» tere per la sua patria 3 ma porsi anche a parte dei pericoli> in cui possono essere e gli amici, « gli alleati nostri.

IL

Decio tribuno de* soldati di Roma , essendo co­mandante del presidio posto in Reggio y in grazia del re Pirro ne trucidò i cittadini, e se ne appropriò i beni e le donne. Erano quei di quel presidio Cam­pani , e fecero con quelli di Reggio ciò che fatto aveano i Mamertini trucidando i Messenii. Dopo che colui ebbe iniquamente diviso il peculio di que’ mi­seri , perdette Reggio , e da’ suoi Campani stessi fu mandato in esilio. Aveanlo all7impresa ajutato i Ma- ^nertini, i quali trovandosi ancora in denaro , sei fecero loro capitano. Accadde poi che fu preso da nialattia d’ occhi * e chiamato a sè un medico di grande rinomanza , costui per vendicare la sua pa­tria ? gli mise sugli occhi un empiastro di cantaridi, e lo acciecò interamente, salvandosi col fuggir ratto da Messenia.

Intanto tiranneggiavano la Sicilia ìceta in Siracusa, Finzia in Agrigento', Tindarione in Tauromenio, ed altri in città minori.. Finzia ed Ice ta , guerreggian­

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dosi, vennero al fatto d’ anni all’ Ibleo ; ed* ebbe vittoria Iceta. Empiendo poi costoro tutto il paese di scorrerie , rapivano quanto veniva loro sotto le m ani, e per tal maniera rendevano le contrade in­colte. Iceta gonfio dèlia sua vittoria, affrontò i Car­taginesi % e vinto presso il fiume Teria fepe gran perdita d1 uomini. Finzia fabbricò una città 7 da esso lui chiamata Finziade } e fatti uscire della loro pa^ tria i Geloi , li pose ad abitare in quella. Essa è situata sul mare. Avea distrutte le mura e le case di Gela * e in Finziade inalzò m ura, e templi , ed un foro degno di essere rammemorato.

. . . Onde fattosi reo di strage cadde in odio di tutte le città a lui soggette, le quali ne cacciarono anche i soldati che vi teneva a presidio* E la prima 4 far questo fu quella degli AgirioU (i).

n i.

H ve Tolommeo fu trucidato da’ Galli 3 e tutte le truppe macedoni vennero estermiu#te.

IV.

. La vittoria cadmea è caduta in proverbio ; e si applica all’occasione clje chi vince ha sofferta grande strage ; nè i vinti corrono pericolo d’ essere rumati > ritenendo un grande imperio.

2 2 6

(») Questo fytot troppo iarero tronco, si riferisce i Fimi« .

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V.

Finzia, fondatore di Finziàde , e tiranno d’ Agri­gento, ebbe un sogno, che gli dimostrò come dove* finir di vivere.

Parvegli , che mentre cacciava un cinghiale , gli venisse addosso un porco , lo ferisse co7 denti in ua fianco y e per la gravità della piaga egli morisse»

VI.

Iceta dopo aver tenuto per nove anni il principato di Siracusa, ne fu caociato da Tinio&e figliuolo di Mammeo.

VII.

Tinione e Rostrato furono successori d’ Iceta ; e questi chiamarono un7 altra volta in Sicilia il re Pirro.

VUL

I Mamertini ohe proditoriamente uccisero i Mes­semi , stipulata alleanza coi Cartaginesi, stabilirono con pubblico decreto di vietare a Pirro il passaggio in Sicilia. Ma Tindarione, tiranno di Taurameoio, inclinava a lu i , ed era disposto di ricevere nella città le truppe che Pirro conduceva.

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IX.

I Cartaginesi, fatta alleanza coi Romani 7 presero nelle loro navi cinquecento uomini, e passati a Reg­gio , ne incominciarono l’ assedio ; ma dovettero ab­bandonarlo ) ed abbruciando quanti materiali aveano ivi per fabbricar navi, non si arrestarono colà che per guardare lo stretto, e per invigilare sul passag­gio di Pirro.

X.

Nel tempo che Timone dominava l’ isola , e. So­strato Siracusa , guerreggiavano fra loro , avendo dieci mila uomini in armi. Ma stanchi poi della guerra ambedue, mandarono legati a Jirro.

XI.

Pirro fece guerra in Italia due anni e . quattro mesi. Nel mentre eh’ egli accingevasi a partirne , i Cartaginesi stringevano Siracusa con assedio per mare e per terra, avendo in istazione nel porto maggiore cento navi, e cinquanta mila uomini del- l’ esercito terrestre sotto le mura di quella città : sicché chiudevano i Siracusani a non potere uscire , e devastavano il paese all’ intorno colle loro scorre­rie. Per lo che stanchi i Siracusani di quella guerra, ogni loro speranza ponevano in Pirro 7 a cagione di Lanassa consorte di lui, figlia di Agatocle, e che a Pirro dato avea un figliuolo, di nome Alessandro.

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A lui dunque andavano ' essi mandando ogni gior­no uno dietro V altro legati per sollecitarlo. Sicché egli imbarcati soldati, elefanti, ed ogni attrezzo di guerra 3 salpò da Tarento, e prese terra il decimo giorno a Locri : di dove, passato lo stretto, essendo approdato nell’ isola si portò a Tanromenio. Ivi poi essendosi alleato con Tindarione principe ’ di Tauro- menio , ed avuti da lui soldati, andò a Catania ? ove dagli abitanti magnificamente accolto, e fregiato di auree corone schierò le sue truppe, s’ incamminò verso Siracusa, dalla sua armata pronta a combat­tere fiancheggiato. All’approssimarsi di queste forze a Siracusa, i Cartaginesi, avendo dianzi spedite al­trove per servizio trenta navi, con quelle , che tro- vavansi allora avere , non ardivano di tentare la for­tuna delle armi. £ ciò fu cagione che Pirro , senza esporsi a cimento veruno , giunse a Siracusa } e ne fu padrone , poiché Tinione gli cedette V isola 3 e la rimanente città gli cedettero gli abitanti stessi, e So­sia tra to. Avea già in dominio suo Agrigento, e molte altre città, ed un esercito di oltre dieci mila uomini. In quella occasione egli rappacificò tra loro Tinione, Sosistrato e i Siracusani 7 e li ridusse a concordia : cosa che gli acquistò molto favore. Ebbe con Sira­cusa armi d’ ogni genere , e macchine , e provvigioni j e furono centoventi le navi coperte ? e le scoperte venti j che trovò in quella città} ed oltre ad es*e la nave reale. Così adunque compresi i bastimenti che ùvea condotti seco ? tutta I* armata sua era d1 oltre dugento legni. Mentre occupavasi nell’ ordinamento

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di queste pose , giunsero depistati de’’ Leontini spe­diti da Eraclida loro signore , i quali annunziarono essere disposti a consegnargli la c ittà , i presidii, e quattro mila fanti con cinquecento cavalli : ed in Siracusa erano allora parecchi altri, che promette­vano a Pirro di dare a divozione sua la c ittà , e pre­stargli ajuti. Egli accolse tutti con molta cortesia , e rimandolii alle loro patrie, Sperando di potersi far signore anche dell1 Africa*

XII.

Il porto di Corinto chiamasi Lecheo.!

XIII.

Brenno, re de7 Galazi, ito con cento cinquanta mila uomini armati di scudo , con dieci mila a ca­vallo , e con molta altra turba unitaglisi per v ia , e moltissimi mercatanti, e con di più due mila carri, in Macedonia, attaccò guerra con que’ popoli ; e fece sì grande perdita di gente, che niuna forza con­veniente rimanevagli più nell'invadere che fece la Grecia , e 1’ oracolo di Delfo, che pure bramava di mettere a ruba. Imperciocché pei,frequenti combatti­menti che dovette sostenere a migliaja rimanevangli morti gli uomini 3 ed egli stesso rimase in più parti del suo corpo ferito. Trovandosi adunque sul punto di morire, convocati i suoi Galati, li consigliò ad uccidere tanto lu i, quanto tutti gli altri de’ loro ,

aSo

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cliVran feriti, ed abbruciati i carri a ritornarsi sciolti da ogn7 imbarazzo al paese , ed a togliersi per suo re Gicorio. Poscia Brenno empiutosi ben bene di vino si ammazzò da sè stesso 5 e come Cicorio gli ebbe data sepoltura, quanti erano nell7 esercito o feriti, o dalla intemperie , o dalla fame estenuati, fece uccidere ; e questi furono da venti mila : dopo di che con quelli, che gli rimanevano , voltò verso il suo paese per la stessa strada, che aveano fatta prima. Se non che a7 luoghi di difficil passaggio appostatisi i Greci, e dandogli, addosso all’ improvviso , la gente che gli rimaneva, di molto gli decimarono, e gli tolsero tutto il bagaglio* Giunto poi alle Termopili, ed, essendo privo d7 ogni vettuaglia, ivi lasciò altri venti mila uomini ; e finalmente inoltratosi nel paese dei Dar* dan i, egli e tutti gli altri perirono a modo che uno solo non rimase, che portasse a casa la nuova di quanto era avvenuto (1).

XIV.

Del rimanente Pirro, dato ordine alle cose di Si~ racusa, e de7 Leontini andò verso Agrigento; e men- tre era in cammino gli vennero incontro per la via del mare uomini di quella c ittà , dicendogli d7 aver caccialo il presidio postovi dai Cartaginesi, onde non

(1) Giustino ha esagerato dicendo, che di tanto esercito noti restò nemmeno uno che contar potesse la storia d i tarilo eécidio. Imperciocché è certo , che molti furono traili in Asia 9 e molti In Egitto. Onde la verità è quella, che espone Diodoro che uno soU non rimase che portasse a casa ta nuova di quanto era avvenuto t perché realmente rissano d’ essi ritornò a casa.

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avere a signore Finzia ; e promettevangli di mettere sè medesimi e la città a devozione sua, e di farsi a lui alleati nella guerra. Tirando adunque innanzi col suo esercito , giunto cbe fu ad Agrigento, ebbe da Sosistrato e la c ittà , e un esercito composto di tre mila seicento fanti , e di ottocento cavalli, gente tutta scelta, nè per nulla inferiore agli Epiroti. Ebbe pure a divozione altre trenta città, a cui avea dianzi comandato Sosistrato. Dopo di che mandò genti a Sira­cusa onde ne menassero macchine da espugnare città, e quantità grande d’armi d’ ogni specie. Delle quali cose provveduto si volse al paese tenuto dai Carta­ginesi avendo un esercito di trenta mila uomini a piedi, e di mille cinquecento a cavallo, ed alquanti elefanti ; e per prima città sottomise Eraclea presi­diata da Cartaginesi ; indi occupò Azone ; poi a lui si aggiunsero i Selinunzii , e gli Aliciei , e gli Ege- stani, e parecchie altre città. Ericina allora avea una- guarnigione de’ Cartaginesi non dispregiabile ; ed al** tronde era ben munita, e difficile da espugnarsi. Pirro avea deliberato di assaltarla* e per questo fece apprestare le opportune macchine alle mura della medesima* Adunque dopo molti e molti tentativi, con grande forza sostenuti da una parte e dall’altra, volendo egli procacciarsi gloria, ad imitazione di Ercole, postosi alla testa degli altri si spinse alle m ura, e battagliando da eroe mise in pezzi quanti Cartaginesi .gli si presentavano; e di poi fiancheg­giato da tutti i suoi amici , con somma forza entrò dentro y e la prese. Messo ivi presidio, andò alla

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città degl’ Ietini insigne per la sua fortezza , e posta in ameno sito presso Panormo ; e come gl* letini di buona grazia si acconciarono con esso lui ? si voltò subito ad assaltare la città de9 Panormitani y la quale tra le città di Sicilia ha un porto bellissimo , dai quale essa città trae appunto il suo nome. Ora egli sottomise colla fona anche questa ; ed avendo forti­ficate alcune isolette vicine , venne ad essersi fatto padrone di tutto il paese che diafazi i Cartaginesi tenevano , eccetto che di Lilibeo. Era stata questa città fabbricata dai Cartaginesi dopo che Dionigi ebbe espugnata Mozia, eh’essi tenevano; e vi aveano po­sti ad abitarla i residui de’ Moziesi. Starasi Pirro inteso nell1 assedio di Lilibeo quando i Cartaginesi venuti d7 Africa vi sbarcarono una quantità notabi-» lissima di truppe 3 e poiché aveano l’ imperio del mare , vi recarono vettuaglia abbondante , e mac­chine da guerra, ed armi in gran numero. Per la­maggiore sua parte quella città guardava il mare ; ed essi V aveano mirabilmente fortificata dalla parte di terra con lunga fila di to rri, e con una gran fossa. Mandarono poi al re legati per venire ad ac- cordo , pronti anche a sborsargli una somma: ma il re non volle intendere tale profferta ; sebbene fosse nell9 interno suo disposto a lasciare ai Cartaginesi quella città. Se non che i suoi parenti ed intimi 7 che trovaronsi nel suo consiglio, non meno che i deputati. delle c ittà , assai dissero per distoglierla dal pensiero di lasciare ai Barbari un piede in Sici­lia ; insistendo che avesse anzi da cacciare ,i Peni

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da tutta l1 isola, e da porre limiti al dominio, cbe essi pretendevano sul mare. Per la qual cosa, posto il campo presso le mura , con ispessi assalti inco­mincio a combattere la città; ma i Cartaginesi il re­spingevano, sostenuti dal numero grande de’ guerrieri, e dal treno stupendo delle macchine: atendo essi e catapulte e baliste tante, cbe per la incessante piog­gia di dardi e di sassi., gl1 impedivano di por piede sulle mura. Ond7 è che bersagliati gli assalitori per ogni m odo, e molti essendo tra loro quelli che ve­nivano o m orti, o feriti, Pirro rimaneva in isvan- taggio. Nondimeno anch’ egli fece fabbricar macchi­ne, oltre che da Siracusa alquante glien’erano state condotte , e procurò di rovesciare le mura scavane dovi sotto : ma resistendo sempre i Cartaginesi con grande gagliardia , ed essendo il terreno ' pietroso , dopo due mesi di continui assalti, perdendo la spe­ranza d’ avere quella c ittà , ne levò l’ assedio. E mentre avea risoluto di allestire una grande armata, e con essa farsi padrone del m are, e trasportare in Africa l’esercito, finì col volgere ad altra parte l’im­peto suo.

XV.

Essendo i Mamertini, abitanti in Messene, ere* scinti di forze, molte castella presidiarono ; e con un corpo di truppe, che aveano messo in ordine , andarono prestamente in ajuto del territorio. Intanto Jerone mosso il campo, avendo espugnata Mila; con che fi fece padrone di mille cinquecento soldati ; •

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ben presto sottomessi altri luoghi andò ad Ameselo, città che giace tra i Centoripìni y e gli Agirinei. Era Ameselo forte, e provveduta di molto presidio ; e con tutto ciò la espugnò , e la demolì3 e dato per­dono ai soldati y che v’ erano dentro , li aggiunse alle sue truppe : del territorio poi una parte ne diede agli Agirinei , V altri» ai Centoripini. Dopo di che veggendo d’ avere un buon esercito ; si voltò contro i Mamertini, ed ebbe tosto Alesa 5 e fu ben accolto dagli Abacenini, e dai Tindariti y delle quali città così fu padrone ; e i Mamertini serrò in confini as­sai stretti. Imperciocché sul mar Siculo possedeva T&uromenio, vicinissima a Messene, e sul mar Tir* reno avea la città dei Nudariti. Fece poi una inva­sione sul territorio di Messene ; e piantossi sul fiume Lctano , avendo sotto di sè dieci mila fanti, e mille cinquecento cavalli. I Mamertini gli opposero le loro truppe , le quali consistevano in tre mila seicento uomini d1 infanteria, e in quaranta di cavalleria, comandati da Gione. Ora costui chiamati gli aruspici al sacrifizio , domandava loro dell’ esito della batta­glia ; ed essi risposero , che per le viscere delle vit­time gli Dei annunziavano ch’egli avrebbe pernottato negli accampamenti nemici. Dì che egli fu lieto y pensando che sarebbe padrone del campo del re ; e perciò messe in buon ordine le sue truppe , imman­tinente prese a volere passar il fiume, Jerone , che avea seco dugento Messemi fuorusciti ? per valore, e per belle azioni illustri, ad essi, e a quattrocento de1 più scelti de’ suoi ordinò, che andassero a cip*

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condare un colle, detto Torace, ove i Mamertini si erano appostati, così che venivano ad essere alle loro spalle : intanto che egli col grosso dell' esercito li assalse di fronte. Attaccatasi dunque la battaglia ad un tempo e dalla cavalleria e dalla infanteria, nell1 atto che il re avea presso il fiume occupata una certa altura , e per la opportunità deL luogo preva­leva , per qualche tempo l’ esito della battaglia parve incerto. Ma quelli che erano passati oltre il colle, avendo all'improvviso assaltati alla schiena i Mamerti­ni, freschi di forze* quando i Mamertini erano già stan­chi , facilmente li ammazzavano ; e poiché si videro da ogni parte circondati, finirono con darsi alla fu­ga. I Siracusani inseguendoli con quanta forza avea­no , li uccisero tutti ; e il capitano loro , valorosa­mente combattendo, poiché coperto di ferite perdè lena f cadde vivo nelle mani de’ nemici ; e spirante ancora fu portato nel campo del r e , e dato in cura .a’ medici : di tal modo avverandosi la predizione de­gli auguri, i quali gli aveano detto , che passerebbe quella notte negli alloggiamenti nemici. Mentre poi assai valutava il re che Gione ricuperasse la sua sa­nità , giunsero alcuni, i quali venivano a presentare a Jerone de’ cavalli presi dopo la battaglia ; fra i quali veggendo Gione quello di suo figliuolo, con­getturò facilmente , che il giovine fosse morto ; di che gagliardamente addolorato, ruppe con impeto le fasciature delle ferite estimando ben meritare la morte del figlio eh7 ei medesimo morisse. I Mamer­tini poi avuta nuova che con Gione loto capitano

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erano periti anche tutti gli altri soldati loro, delibera­rono di mandare genti supplichevoli al re. Ma la for­tuna non permise che le loro cose fossero irrepara­bilmente perdute. Chè allora appunto era avvenuto, che Annibaie, capitano de’ Cartaginesi, fosse andato a fermarsi nell*isola di Lipari: il quale udita la rotta inaspettata de’ Mamertini, quanto più presto potè corse a Pirro, in apparenza per congratularsi con esso lui, ma in sostanza per circonvenire il re con alcuna astuzia militare. E il re di fatto prestò fede al Peno; e non si mosse oltre : intanto che Annibaie andato a Messene, e trovati i Mamertini sul punto di dare la loro città a Jerone, loro persuase il contrario ; e fece lega con essi, e nella loro città introdusse a rin­forzo quaranta soldati. Così quando i Mamertini per la sofferta rotta aveano perduta ogni speranza di sal­vezza , rimasero salvi ; e Jerone, ingannato dal ca­pitano de’ Cartaginesi, non isperando più di espu­gnare la città, ritornò a Siracusa, fattosi però celebre dappertutto per le felici sue imprese. Quindi, poiché i disegni de’ Cartaginesi andarono a vuoto sopra Siracusa, come erano andati a vuoto sopra Messene quelli di Jerone , vennero gli uni e T altro a parla­mento insieme ; e fatta alleanza stabilirono di espu­gnare Messene colle forze comuni.

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ESTRATTI DEL LIBRO XXIII.238

L

La Sicilia è la più bella di quante isole si cono* ftcano ; e molto atta a primeggiare.

II.

Annone, figlinolo di Annibale , Tenuto in Sicilia, radunato eh’ egli ebbe 1’ esercito a Lilibeo, mosse fino a Selinunte ; e presso quella eittà posto avendo gli alloggiamenti y ri lasciò le sue truppe di terra ; ed egli intanto andò ad Agrigento, e ne fortificò la rocca, nel tempo stesso il popolo agrigentino traendo all9 amicizia de’ Cartaginesi, e ad aiutarli colle sue armi. Restituitosi poscia al suo campo , il raggiunsero commissari! di Jerone, incaricati di trat­tare seco lai quanto apparteneva ai comuni vantaggi Imperciocché aveano concertato insieme di far la guerra ai Romani, se non fossero partiti presto di Sicilia. Ora avendo gli uni e l’ altro condotte le truppe a Messene, Jerone si accampò sopra un colle che chiamasi il Calcidico ; e i Cartaginesi il loro esercito terrestre posero nel luogo detto Eune , e colle genti di mare occuparono la rocca di Peloro ; e così incominciarono a combattere Messene. Del che portata la nuova a Roma, il popolo ordinò ad uno de’ consoli 9 Appio Claudio, che con buon esercito si mettesse in campagna ; ed egli immanti-

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nentè andò a Reggio. Mandò poi anche ambascia- dori a Jerone ed ai Cartaginesi, onde fare sciogliere l’ assedio di Messene, facendo dire però a Jerone che a lui non avrebbe mossa guerra. Rispose Jerone a giusto diritto farsi la guerra ai Mamertini si perchè aveano distrutte le due città , Gamarina e Gela, sì perchè aveano iniquamente occupata Messene. Per* ciò non dovere i Romani, giacché tanto usavano essi celebrare il nome di fede, difendere e proteg­gere uomini sanguinarli, che a sprezzo vile tenevano la fede. Che se per sì empia canaglia imprendessero tanta guerra , avrebbero fatto vedere a tutto il mon­do , che soltanto per mettere un velo alla loro in* gordigia avrebbero affettato d1 essere tocchi da pietà verso chi era in pericolo} e che veramente miravano a farsi padroni della Sicilia.

in.I Romani da prima portavano in guerra scudi

quadri. Poi veduto che i Tirreni ne aveano di bron* z o , provvedutisi di simili giunsero a vincerli.

»

IV.

Quando Jerone vide il console passato a Messene, sospettando che ciò fosse stato per tradimento dei Cartaginesi, andò a ricoverarsi a Siracusa. Vinti poi che furono i Cartaginesi, dacché scoppiò la guerra, il console andò a mettere l’ assedio ad Egesta} ma avendo perduta molta gente ; tornò indietro.

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24oV.

Avendo i due consoli iti in Sieilià assediata la città' degli Adraniti ? la presero per assalto. Indi stand» alle cosi dette corti di bronzo, assediando la città de1 Centorìpini, andarono ad essi prima i legati degli Alessuii, poi postesi in paura anche le altre città 3 queste mandarono legati anch’ esse per ottener pace; ed erano disposti tutti a dare le loro castella ai Ro­mani. Furono esse. sessaatasette : colle truppe delle quali i consoli andarono a Siracusa per combattere Jerone. Ma reggendo che i Siracusani di mal animo soffrirebbero le molestie di un assedio, mandò ai consoli per far cessare la guerra: i quali tutti intenti, a debellare i . Cartaginesi 1 volentieri accettarono il partito j e fecero seco lui tregua per venticinque anni, ricevendone centocinquantamila dramme (i) ) e poiché egli avesse loro restituiti i prigionieri, gli permisero di ritenere il dominio tanto di Siracusa, quanto delle città dianzi ad essi sottomesse, quelle cioè degli Acri y dei Leoniini ? de’ Megaresi ? degli Eloriti j dei Netini y dei Tauromenii. Mentre seguiva questo accordo era giunto con truppe da sbarco a Sifonia Annibaie in ajuto del re ; ma se ne ritirò subito che seppe quanto erasi concluso.

Avendo i Romani per molti giorni combattuto il castello d’Adranone , é Macella ; ne partirono senza alcun effetto.

(i) Il Vessclìngio con buone ragioni crede che si debba leggero seicento mila dramme, somma che si avvicina ai cento talenti men­tovati in propòsito da Foliiio.

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m

Gli Egestani da prima soggetti all1 imperio de’Car- taginesi , inclinarono ai Romani. Così fecero gli Alie- nei. Espugnarono poi Ilaro , e Tirinlo ed Àsulo. I Tindari , tòsto cbe si videro abbandonati a sè stessi, presi da paura volevano arrendersi anch’ essi ; ma i Peni entrati in sospetto di ciò , presero in ostaggio le persone più nobili ; e le condussero a Lilibeo con grande quantità di frumento, di vino e d’ altre provvigioni.

Filemone poeta comico scrisse novantasette com­medie. Egli visse novantanove anni.

Quelli che assediarono Agrigento , e scavatevi in­torno fosse vi alzarono il vallò , uniti ai Romani formavano una moltitudine di cento mila uomini (i). In fine dopo avere i Peni gagliardissimamente com* battuto per Agrigento ? diedero la città ai Romani*

Vili.

Annone, il seniore, dopo l’ assedio di Agrigento, condusse dall’ Africa in Sicilia un grande esercito , composto di I33D fanti, (li ia>. co cavalli, e di lx elefanti. Filino d’ Agrigento storico, lo descrisse. Annone poi con tutte le truppe movendo da Lilibeo ;

(i) Vuoisi qui 9 come ia molli altri luoghi » corrotto questo nu­mero, Il Causarono lo prova dicendo, che ammessi due eserciti consolari compiuti, e quante truppe ausiliari possano mai unirvisi, non si può avere più di tremolio mila uomiai.

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andò ad Eraclea : nel qual tempo fu rotivi alcuni, che gli offrirono di dargli in mano Erbeso. Adunque tirando innanzi la guerra in due battaglie egli per­dette tre mila fanti , e dugento cavalli \ ed ebb^ quattro mila de7 suoi fatti prigionieri. Accadde pure^ che trenta elefanti morirono , e tr$ rimasero feriti,

IX,

, , . Eravi anche la città di Entellina . , .Adunque Annone , prudentemente considerata la

cosa, con uno stratagemma tolse di mezzo ad un tratto i privati e i pubblici nemici. E poiché erano stati così per sei mesi all’ assedio , 1* ebbero in po« tere , e tutti deportarono i cittadini come mancipi* f i quali furono venticinque mila. I Romani però vi perdettero dal loro evinto trenta mila fanti, e cin­quecento quaranta cavalli. Del rimanente i Cartagi­nesi avendo sostituito un altro nel comando ad An« none ; lui degradato condannarono a pagare sei mila monete d’ oro ; e in vece sua mandarono in Sicilia Amilcare. I Romani aveano allora assediato Mistrato, e fatte molte macchine per combattere quella città ; ma dopo sette mesi di tentativi dovettero partirne senza aver fatto nulla, e soltanto avendo perduti molti uomini. Amilcare dal suo canto andò ad in­contrare i Romani a Terma ; e venutosi al fatto 4 ’ armi restò vincitore ? avendo loro uccisi mille sei* cento uomini ; e mancò poco che non ne distrug­gesse tutto l’ esercito. I Romani aveano preso anche

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il castello di Mazarone. In compenso Amilcare aju- tato da tradimento ebbe Gamarina; e pochi giorni dopo anche Enna per egual modo. Ivi cinse di mura Drepano , e ne fece una città j e vi trasportò ad abitarla gli Ericeni, avendo demolita Erice, salvo il luogo , che circondava il tempio. I Romani poi assediarono di bel nuovo Mistrato, e la spianarono , vendutine gli abitanti all’ incanto. Dopo di che il console andò a Gamarina, e messovi campo intorno tentò y ma non giunse a prenderla, finché non ebbe fatto venire le macchine da guerra, che gli sommi* nistrò Jerone : gli abitanti di Gamarina ebbero la stessa sorte di quelli di Mistrato. Per tradimento ebbe poi Enna , del cui presidio parte fu trucidata , parte fuggi agli Alleati. Quindi posta guarnigione in altre città , s’ incamminò a Gamico, castello degli Agrigentini, per tradimento ebbe anch’esso ) e vi mise buon presidio. Erbeso fu circa quel tempo ab­bandonata da’ suoi abitanti.

Il fiume Alico . . . l’ ultimo degli altri , . .

X.

Gli uomini buoni debbono o vincere, o cedere ai superiori*

XI.

Nelle avversità tutti gli uomini sono soliti a ri­cordarsi di Dio più e più spesso. Ma nelle prospe-

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rità , e quando tutto va loro a seconda de’loro de­sideri!, riguardano gli Dei come cose favolose. E quando vengono minacciati di danni, ricorrono a rimedii naturali.

XII.

È più facile che alcuno diventi superiore a’nemici, se avendo chi ben lo concigli, a lui ubbidisca. So­gliono essere conetti colla riprensione degli altrui delitti quelli che sono intaccati delle colpe mede­sime. Al .contrario gli animi dim oiti colla onesta laude tratta dall’ esercizio de' buoni studii si eccitano grandemente alla virtù. Ond’ è , ~ che non potendo con disinvoltura sostenere la benignità della fortuna, quasi fosse un grave peso, venne a privarsi di somma gloria, e precipitò la sua patria in grandi calamità.

XIII.

Avendo i Ronfani mandato in Africa un grosso esercito sotto la condotta del console Attilio, da principio erano superiori ai Cartaginesi, e prende­vano molte città e castella ; e grande quantità di soldati ammazzarono. Ma dopo che colà giunse dalla Grecia Santippo spartano, condottiero preso a sti­pendio , i Cartaginesi vinsero potentemente i Ro­mani , e ne trucidarono un esercito numeroso. Fa- cevansi poi battaglie navali ; e molta perdita di navi e d’uomini i Romani soffrirono ; a tal che 3 im* mero degli ultimi di questi fu di veitfimilfiU

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La gloria che tanta in prima s’ avea acquistata, mutò in ignominia e in obbrobrio ; e con ciò cbe a lui avvenne insegnò agli altri come quando si è in eminente podestà fa d’uopo essere modesto. E ciò che è più j trovossi costretto a soffrire i ludibrii , e la pesante mano di quelli, la cui miseria superba* mente avea insultata ; essendosi tagliata la strada a quella indulgenza e misericordia, che altronde s’ usa ai vinti»

Imperciocché quelli che realmente erano 1 Vinci** tori y realmente fece vinti ; e quelli, che dalla rotta avuta s’ aspettavamo già l’ ultimo eccidio9 colla gran* dezza della vittoria fece che avessero a sprezzo i nemici.

Non v’ è qui nulla da meravigliarsi y se còlla pru­denza degna del capitano , e colla esperienza delle cose superò quanto parea impossibile da superarsi. Che coll’ ingegnò 9 e la diligenza tutte le cose pos* sibili si eseguiscono 9 1’ arte somministrando le forze occorrenti*

Siccome il corpo è servo dell’anima, così 1 grandi eserciti reggansi dalla prudenza di chi è alla loro testa.

Il senato dirigeva tutto al pubblico vantaggio.In quel tempo Filisfo scrisse la storia (i).

(1) Avvertasi, che il tempo» in cui Fitisió scrisse la storia, non è quello» a cui appartengono gli avvenimenti trattati da Diodoro nel libro XL1II ma un tempo antecedente, a cui convien dire che P A. qui .alludesse. Egli parlò della morte di Filifito nel lib. XVK

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XIV.

1 Romani eh’ erano passati in Africa , ed aveano combattuto colle navi de’ Cartaginesi, ed essendo ri­masti vincitori, eransi impadroniti di ventiquattro navi de’ Peni, presi quelli di loro nazione , i quali erano restati dalla battaglia campale , essendosi tra­sferiti in Sicilia, ebbero un incontro di gran procella alle alture di Camarina , e vi perdettero trecento quaranta navi lunghe , e cento altri bastimenti di varie specie $ così che da Canterina sino a Pachino si videró sparsi i cadaveri degli uomini e delle be­stie , e i rottami delle navi fracassate. Quelli che scapparono da tanto infortunio, furono benignamente accolti da Jerone, forniti d’ abiti, di cibo, e d’ogni altra cosa necessaria ; e feceli condurre sani e salvi (ino a Messene^ Cartaio cartaginese dopo il naufragio de’ Romani, assediata Agrigento, la prese , Y incen# diò , e ne demolì le mura. Que’ che rimasero , si rifuggirono all’ Olimpio. Intanto i Romani dopo il naufragio, messa insieme un’ altra armata con du- gento cinquanta navi andati a Cefaledio, 1’ ebbero per tradimento. Quindi voltatisi a Drepano, e ten­tando d’averla per assedio, ne fallì loro il disegno, perciocché quella città fu soccorsa da Cartaio. Àn* darono dunque a Panormo; nel cui porto ancoratisi; e messe a terra le truppe , le accamparono sotto le mura * e la città circondarono con vallo e fossa ; e perchè il terreno sino alle porte era coperto d’ai* beri, essi tirarono dal mare al mare degli argini con

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fossa e tallo. Continuando poi a Combattere la città, e facendo uso delle macchine gettarono a terra il muro , e colla morte di molti difensori impadroni* ftmsi della città estèrna. Gli a ltri, che si erano ri­tirati nella città vecchia, mandati araldi ai consoli domandavano salva la vita ; e fu pattuito , che pa­gando due mine per testa fossero liberi; é i Romani occuparono la città* Per dieci mila fu* pagata la somma ; e sarebbonsi riscattati gli altri , se alcuno trovato avesse il denaro. Tredici mila però, insieme don tutto il treno di guerra e colle spoglie , furono condotti via. Gl’ Ietini, cacciato il presidio de’Peni diedero la loro città ai Romani.: cosi fecero aàche i Soluntini } i Petrini j gli Ennaterini, e i Tindariti. I consoli, dòpo queste cose, lasciata guarnigióne in Panormo andarono a Messene.

Nell’ anno susseguente avendo di nuovo navigato in Africa , ed i Cartaginesi impedendoli di appro* dare , tornarono a Panormo ; e di là volendo ve­leggiare verso Roma ? ebbero a soffrire per nuova tempesta insorta un naufragio , per dui perdettero centocinquanta navi con tutti i bastimenti da tra­sporto , e le spoglie acquistate. In quel frattempo accadde ? che 1’ esercito de’ ftomani prese l’ ufGziale che presiedeva alla guardia della porta di Terma^ in occasione ch’egli si età allontanata dalla città pei1 affari : il quale per fidata persona fece dire al co­mandante dell’' esercito } che se lo lasciasse libero , egli gli avrebbe aperta di nottetempo la porta diquella città * Il comandante avendo concertato il

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tempo opportuno, lo lasciò andar libero ; indi la notte mandò mille uomini colà } i quali furono sol­leciti a marciare; ed egli all’ora fissata aprì la porta. Ora i principali , e i nobili di quella schiera entrati che furouo, ingiunsero al custode della porta che la chiudesse , nè permettesse d’ entrare ad altri ; e fe­cero questo perchè volevano essi soli portar via quanto di ricco e prezioso fosse nella città. Adunque furono tagliati a pezzi tutti ; e così ebbero quella morte che colla loro cupidigia s’ aveano meritata.

In altro tempo poi i Romani si fecero padroni di 7 erm a, e di Lipari. Avendo poi assediato con qua* rantamila fanti e mille cavalli il castello <TErta,.noi poterono ottenere. Intanto Asdrubale , comandante de’ Cartaginesi ? venendo rimproverato dai suoi perchè non venisse a battaglia, partitosi con tutto l’esercito, e superate le difficoltà che il territorio di Selinunte opponeva 7 giunse a Panormo ; e passato il fiume vicino ; mise il campo presso le'm ura della città , senza trincerarsi nè con fossa nè con vallo } poco caso facendo del nemico. Accadde intanto y che avendo varii mercatanti portata quantità di vino, i Celti si ubbriacarono a modo, che riempirono tutto il campo di schiamazzi e di confusione. Ond’ è che il console Cecilio gagliardamente scagliatosi adosso a coloro li sbaragliò compiutamente, e s’ impadronì di sessanta elefanti, i quali mandò a Roma ; e furono pel popolo di quella città uno spettacolo di me­raviglia.

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ESTRATTI DEL LIBRO XXIV.*49

L

1 Cartaginesi trasferirono a Lilibeo- gli abitanti di Seimunte da essi . demolita. I Romani con dugtnto quaranta navi lunghe, con sessanta barconi, e con ogni altro genere di bastimenti approdarono a Pa- nonno ; e di là andarono a Lilibeo, incominciandone F assedio. Posero il loro campo a coperto • tirando una fossa dal mare al mare; e fabbricandosi cata­pulte , arieti, e testuggini, e tutt’ altro opportuno all’ uopo ; indi otturarono con quindici barconi pieni di sassi la bocca del porto. La gente che i Romani avevano, saliva a trenta mila uomini; e alla difesa della.città stavano diciassette mila fanti, e settecento cavalli. Oltre questi furono da Cartaginè mandati a rinforzo quattro mila uomini, e quantità di. frumento: O nde insieme, con Aderbale presero animo. Quando i Romani videro, che codeste truppe erano entrate in città, colmarono ancora di più la bocca del porto, e con -grandi travi, e con ancore ne rendettero im­praticabile. il fondo. Ma il vento, che soffiava ga­gliardissimo , e il mare tempestosissimo, rovesciò tutti que’ lavori. I Romani fecero ancora una mac­china da scagliare pietre : se non che i Cartaginesi nella città alzarono un secondo muro. I Romani colmarono con terra .anche la fossa della città , la quale era larga sessanta cubiti, e profonda qua** ranta; e venutosi al fatto <T armi, essi nascosero genti

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alla parte opposta presso le mura dietro il mare ; é questi, mentre tutti erano iti ov’ era la zuffa , avendo preparate le scale salirono il primo muro , e se ne resero padroni. 11 che udito, il comandante de’ Car­taginesi, dando gagliardamente addosso a quella gen­te , in un luogo solo ne ammazzò dieci m ila, e mise in fuga gli altri. Oltre ciò fece abbruciare tutte le macchine da guerra de’ Romani, le testuggini, le pe­triere, gli aneti, ogni altra macchina, colta l’occa­sione di un vento assai forte. Vedendo poi i Carta-* ginesi, che i cavalli, eh’ essi avevamo , per le diffi­coltà de’ luoghi non erano loro di alcun giovamento, li mandarono a Drepano. Vennero loro anche de’ rin­forzi. Al contrario i Romani furono a molto cattivo partito per l’abbruciamento delle macchine da guerra, per la penuria di vettuaglia, e per una lue pestì­fera , da cui furono attaccati ; ed essi soli avevano carne da mangiare; e i loro alleati s’ammalarono per modo, che in pochi giorni ne perirono dieci mila , ond1 è che tutti bramavano di veder sciolto quell1 as­sedio. Ma Jerone, re di Siracusa , avendo loro spe* dita grande1 quantità di frumento, venne ad animarli vie più a continuare 1’ assedio. Intanto i Romani fe­cero nuovi consoli, e a quello che assediava Lilibeo sostituirono Claudio, figliuolo di Appio ; il quale preso il comando delle truppe, di nuovo cercò di colmare il porto , siccome fktto aveano i suoi anje-* cessori : se non che di bel nuovo il mare guastfr tutto. Codesto console poi fortemente fidato di sè allestì dugento die^j navi, le migliori che aver-pò*

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te ise , e andò ad approdare a Drepano per dar bat*taglia ai Cartaginesi : ma rimase vinto, perdendo cento otto aliavi e venti mila uomini. Facilmente ognuno vedrà , che circa i. tempi che qui si discor­rono, non accadde alcunà battaglia navale più forte, iiè fuvvi vittoria più illustre ; e ciò che fa maggior meraviglia , è che quantunque i Cartaginesi doves­sero sostenere tante forze nemiche, e non avessero che dieci navi, nessuno di loro fu morto 7 e pochis­simi ancora furono i feriti. Dopo quel fatto Annibale mandò a Panormo un trierarca con trenta navi, le quali a Drepano condussero la vettuaglia che ai Ro­mani intercettarono ; e prese ancora altre cose oc* correnti, ritornarono a Lilibeo ? e d’ ogni specie di provvisioni fornirono gli assediati. Era anche Tenuto da Cartagine Cartaio con settanta navi lunghe 9 ed altrettanti bastimenti da trasporto, il quale, dato ad­dosso anch’egli ai Romani ? alquante loro nari som? mcrse 3 e di quelle, eh’ erano a stazione cinque ne spinse a terra. Ed avendo poi saputo che l’ armata de’ Romani avea fatto vela da Siracusa, avuto 1’ as­senso de’ suoi colleghi , con cento venti buone navi andò contro loro. Ed erano già in faccia entrambe le armate verso il Hdo di Gela, quando i Romani spa* V en ta ti ritiraronsi a Finziade ? lasciate prossime a terra le navi che portavano la vettuaglia, ed altre. Ma siccome i Cartaginesi pur gl’ investirono , s’ at­taccò un vivissimo combattimento, nel quale i Peni conquistarono loro cinquanta navi grandi, ne som­mersero diciassette lunghe } e tredici ne rendettero

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inutili affatto. Poscia i Cartaginesi andati al fiume Alico , ristorarono i loro feriti. Intanto Giunio con­sole, nulla sapendo dell’ accaduto, con trentasei navi lunghe , e non poche da carico si parti da Messene, e trapassato il Pachino , andò a ricoverarsi nel porto di Finziade , pien di paura avendo inteso per via la sorte toccata al suo collega. Questi p o i, saputo che ì Cartaginesi con tutta Tarmala loro movevano con­tro lu i, spaventato abbruciò quelle tredici navi che erano rimaste inutili ; e veleggiò verso Siracusa spe­rando che Jerone gli avrebbe dato sicuro rifugio. Ma colto, presso Camarina , si riparò in terra ; e andò a mettersi in luoghi aspri e vadosi. Ivi eoi favore di gagliardo vento , i Cartaginesi girato il Pachino git- tarono le ancore in mare tranquillo. Or qui venuti i Romani in grandi strette , perdettero tutte le navi cariche di viveri, e cento cinque di lunghe 9 di modo che appena ne rimasero due sane ; e quasi tutti i marinai perirono. Prese adunque Giunio quelle due navi co’ soldati e i remiganti che gli rimanevano, e andò a ripararsi negli accampamenti che stavano sotto Lilibeo. Egli assalita di notte Erice, l’occupò; e cinse di mura Egitallo , or detta Acello ; e vi la­sciò a presidio del castello ottocento uomini. Cartaio p o i, tosto che ebbe saputo .pjbe il nemico teneva i luoghi vicini ad Erice , di nottetempo trasportò colà in navi un grosso numero di soldati, e dato l’assalto al presidio di Egitallo s’ impadronì del castello , ed essendo superiore di forze parte della guarnigione ammazzò , parte mise in fuga verso Erice (ì). Era*

(i) Zonora dice che Cartaio non solo sT impadronì dì Egiull»*

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questo luogo difeso da tre mila armati. Nel primo combattimento navale perirono trentamila e seicento Bomani, nè fu minore il numero de’ caduti prigio- meri.

Nel territorio di Catania era un castello, detto Italio , che Barca cartaginese andò ad espugnare . . .

I consigli e gli stratagemmi de1 capitani manife­stati ai confidenti, vengono riferiti ai nemici da’ di­sertori , e mettendo timore ne1 soldati, mettono questi in aspettazione di gran pericolo.

Barca poi meisso piede a terra di natte , ed ordi­nate le sue schiere , salito ad E rice, eh1 è distante trenta stadii, per primo occupa la citta, ed ammazza una gran parte degli abitanti, e i rimanenti fa con» durre a Drepano.

In ogni tempo, e in ogni affare suol succedere che il tenere buon ordine produce gran bene.

III.

Calatiuo console con trecento tra navi lunghe, ed altri bastimenti, e con settecento zatteroni, i quali legni tutti insieme venivano ad essere mille» passò in Sicilia, e andò ad approdare all9emporio degli Ericeni. Similmente Annone da Cartagine passò al-

ma ohe ivi prese anche il console romano Giunto. Non so quanta autorità possa darsi a Zonata> ma avverte» ehe a correggere la più parte dell» inesattezze, che trovansi in questi frantemi è d’uopa consultare spesialmente Polibio . 8iccome Polibio eotrn nella Collana degli antichi storici greci volgarizzati, ci dispensiamo di andarla qui citando ad illustmiaae del testa.

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F isola Jera con dugento cinquanta tra navi lunghe f e da carico ; e di là andò ad Erice anch’ egli. Ivi Tenendogli contro i romani si diede una grande bat­taglia, nella qnale i Cartaginesi perdettero cento di­ciassette navi, e fra queste venti con tutta la gente che Vera sopra. I Romani ne presero ottanta, trenta delle quali serrarono per le spese, e cinquanta fu- fono spartite. Filino racconta che i prigionieri car- taginesi furono mille seicento , o come dicono altri quattromila quaranta. Le altre navi, avendo favore» vole il vento, corsero a rifuggirsi a Csfrtagine.

Non può farsi uso di fortezza quando fracassata la nave , non avendosi ove «tare col piè sicuro, dal mare istesso, per così d ire , si vien dato in mano del nemico.

Adunque dopo essere durata la guerra ventiquat­tro anni, e dieci l’ assedio di JLilibeo, i Romani fe­cero «pace coi Cartaginesi»

ESTRATTI DEL LIBRO XXV.I

1

Epicuro filosofo, nel libro intitolato Opinioni si­cure , dice, che la vita condotta con giustizia è im­mune da perturbazioni ; e che di perturbazioni assai grandi è piena quella che si mena coll9 ingiustizia : così con brevi parole annunziando una sentenza ve­r a ; e per dirlo in compendio, annunziando ciò che può correggere ottimamente la cattiva inclinazione

*54

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degli uomini. E 1’ ingiustizia dei fhtti la madre di tutti i mali , e non solamente per gli uomini di de­bole condizione , ma per comprendere tutto .in una volta, essa produce calamità massime a’popoli, an­cora delle città, ed ai re. Imperciocché erano im* pegnati nella guerra insieme coi Cartaginesi gl’ I- spani, i Galli, i Balearii , gli Africani, i Libii, i Liguri, e i Greci servi e bastardi. I quali tutti si ribellarono.

Allora T esperienza fece vedere quanto più valga la diligenza del supremo comandante, che l’ imperi­zia del volgo , e il tirocinio temerario del soldato gregario.

Tanta è la forza che ha la modestia anche in quelli che sono incolpati di delitti, e quel non al­zarsi oltre lo stato dell’ uomo !

Dopo la partenza della Sicilia , i mercenari dei Cartaginesi insorsero contro loro per la seguente ragione. Essi domandavano compenso eccedente tanto pe’ cavalli morti in Sicilia, quanto per gli uomini che v’ erano rimasti uccisi. E fecero una guerra ac­canita , la quale durò quattro an n i, e quattro mesi. Ma finalmente vennero trucidati da Amilcare Barca, supremo comandante , il quale avea in Sicilia ga­gliardamente combattuto contro i Romani,

n .

Amilcare poi, tenendo il supremo magistrato presso i Cartaginesi, in breve tempo accrebbe lo stato delta

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sua patria, così cbe condusse Tarmata fino alle co­lonne d’ Ercole , e a , Cadice. Codesta è colonia dei Fenicii*, posta presso V Oceano agli estremi confini del mondo. Avendo egli domati in guerra gl1 Ibert , e i Tartessii insieme con Istolazio, capitano de’Celti, e un suo fratello , li ammazzò tutti. E insieme con que9 due fratelli > ebbero la stessa sorte altri nobilis­simi capitani ; ed avendo avuti vivi nelle mani tre mila uomini, li ripartì fra le sue scb iere. Indorte poi, messo insieme di nuovo un esercito di cinquanta mila uomini, postosi in fuga prima cbe si attaccasse la battaglia , andò a porsi sopra una certa altura, ove circondato da Amilcare di nottetempo fuggì di nuovo, ma colla strage della massima parte de1 suoi: finì poi • col cadere vivo nelle mani • de9 nemici. 11 quale Amilcare fece accecare, e di poi , fatto ludi­brio del suo corpo-, crocifiggere; Asdrubale intanto, genero di Amilcare, mandato dal suocero a Carta­gine per far la guerra ai Numidi, cbe si erano ri­bellati ai Cartaginesi, ne ammazzò otto mila, e due mila ne prese vivi ; e gli altri ridotti sotto il giogo della servitù,- furono obbligati a pagar tributo. Amil­care nel frattempo avendo sottomesse molte città , una assai grande ne fondò, cbe dal sito suo chiamò Acra-Leuca. Quindi facendo egli 1’ assedio d’Elice , mandò la maggior parte dell1 esercito, e gli elefanti a svernare nella città da lui edificata $ e col rima­nente egli fermossi ivi» Ma essendosi mosso il re Qriscone per recare soccorso agli assediati, servitosi astutamente del pretesto d'amicizia, quasi a rinforzo

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di Amilcare stesso tendesse contro quelli, mise A- milcare in fuga; il quale prese le convenienti misure per mettere in salvo i figliuoli e gli amici, declinò poi per altra strada ; ed accadde , che mentre Ori- scone lo inseguiva, entrato egli in un grosso fium* col cavallo, da questo gittato g iù , perì affogato. Annibale, ed Asdrubale suoi figliuoli giunsero salvi a Leuc’-acra ossia Rocca-bianca.

Così dunque Amilcare , quantunque morto assai ! tempo innanzi alla età nostra, abbiasi dalla storia la meritata laude a foggia di epitaffio.

Asdrubale poi, genero di Amilcare, udita la rotta del suocero, messo subitamente in cammino l’esercito eh’ egli comandava, giunse a Leuc’-acra , avendo più di cento elefanti. Dichiarato comandante supremo dall’ esercito e dai Cartaginesi scelse cinquanta mila fanti de’ più esperimentati, e sei mila cavalli , e con queste forze, e con dugento elefanti prima andò ad­dosso al re Oriscone, e lo sbaragliò ; indi trucidò tutti quelli eh’ erano stati cagione della fuga di A- milcare; e ne prese le loro città, che furono dodici: indi si fece padrone di tutte le altre, eh’erano nella Spagna. E come per nuovo matrimonio contratto , avea sposata la figliuola del re degl’ Ispani, da tutti questi fu gridato comandante, con pienissima podestà; e eli poi edificò una città sul mare , che chiamò Cartagine nuova; e di poi un’ altra ; intendendo di voler superare la potenza di Amilcare. Ebbe nel suo esercito sessanta mila fanti, tre mila e seicento ca­valli , e dugento elefanti. Ma finalmente per insidia

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di un suo ministro venne scannato ? dopo aver tenuto il comando per nove anni*

III.

I Celti postisi insieme coi Galli in guerra contro i Romani , misero in campagna un esercito di du­gento mila uomini ; e al primo fatto d’ armi furono vincitori. Lo furono pure anche al secondo , nel quale restò morto un console de1 Romani ; e questi aveano sotto le loro bandiere settecento mila (i) uomini a piedi, e settanta mila a cavallo. Quantun­que però avessero avute ne’ primi incontri quelle due rotte y nel terzo essi ottennero una insigne vit­toria; avendo uccisi ai nemici quaranta mila uomini e fatti prigionieri gli altri ; così che il maggiore dei loro re si tagliò di propria mano le canne della gola (a) ; 1’ altro si diede vivo in mano de’ nemici. Per sì bel fatto d’ insigne valore creato Emilio con­sole, si pose a devastare i paesi de’Galli e de’Celti, e molte loro città e castella prese : per tal maniera le cose de’Romani avvantaggiando.

(i) È inutile dire che questi numerir sono sbagliali, e che il testoh corrotto.

(3) Questo re chiamossi Anooresto. L* altro, di cui si parla io appresso , fu Concolitano. Questa notìzia può essere opportuna a qualched* uno.

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* 59IV.

Jerone re di Siracusa per ajutare i Romani nella guerra celtica mandò loro frumento , pagatogli poi quando la guerra fu finita.

Y.

Èssendo dopo la morte di Àsdrubale vuoto il posto di comandante supremo nell' esercito cartagi-' nese, i soldati crearonsi capitano il maggiore de’èuoi figliuoli, Annibaie ; ed assediando egli la città dei Saguntini, i cittadini di questa presero tutte le loro cose sacre 9 e tutto Y oro e 1’ argento , ed ogni cosa cbe aveano nelle case , e tutti gli ornamenti delle donne , e fattane una massa, v’ attaccarono fuoco , facendo liquefare rame e piombo insieme coi metalli preziosi, onde ogni cosa rimanesse inutile: indi usciti di città assaltarono i nemici, ed eroicamente com­battendo rimasero tutti spenti 9 dopo avere però fatta anch’ essi un grande macello degli assedianti. Le donne p o i, avendo uccisi i loro figli9 da sè stesse s’ impiccaronoj e così Annibaie fu padrone della città senza aver fatto verun guadagno. Del qual fat­to ; perché contrario alla pace, ch’era fra i due po­poli y avendo i Romani domandata ragione inutil­mente y essi vennero alla guerra chiamata Annibalica.

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ESTRATTI DEL LIBRO XXVI.2 6 0

I,

INè poeta, nè storico , né alcun altro scrittore di

qualunque sorte può in tutto e per tutto piacere ai lettori. Nè è possibile y cbe la mortale natura y an­corché pur giunga allo scopo che si è prefìssa, ot­tenga l’ approvazione di tutti senza rimprovero al­cuno. Imperciocché nè Fidia tanto ammirato nel la­vorare figure in avorio, nè Prassitele sì eccellente in dare anima ai marmi ; nè Apelle ? nè Parrasio , che spinsero a sì alto grado l’ arte deUa pittura, tanto poterono fare nelle loro opere 7 che contro 1’ effetto della loro perizia non fossevi chi trovasse pecca. £ chi più illustre poeta di Omero ? chi tra i retori di Demòstene ? E tra i ben costumati uomini chi più distinto di Aristide e di Solone ? Eppure non mancò a fronte della gloria ? e della eccellenza di tutti questi ehi alcuna cosa in essi non ripren­desse. Erano uomini, e non ostante che a grande eminenza conducessero le loro azioni ed opere , caddero in alcuna debolezza umana. Alcuni ingegni d’ uomini sono tratti ad invidia, e poco intendono , e lasciano da parte le cose che dovrebbero toccarli di più; e s’ attaccano poi alle meno valenti. E da ciò nasce che credono d’accrescere il proprio merito col trovar difetto in altrui , non sapendo intanto che il talento, qualunque sia, non divien manchevole per la passione degli altri, ma bensì per la propria abi*

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lità. Ammiri dunque clii .vuole l’ industria di tale stoltezza intesa a cercare il male, e cercante la propria gloria nel vituperare gli altri. E sonovi alcuni naturali nocivi per la loro stupidità quanto le brine e le nevi lo sono alle migliori frutta. Imperciocché come la vista abbacinata dalla bianchezza della neve rendesi incapace di contemplar bene le cose ; così le menti di certuni, che nè vogliono, nè possono fare alcun che degno di memoria, calunniano il fatto da altri. Perciò coloro che hanno retto senso , deb­bono dar laude a chi per industria sua toccò la meta della virtù in alcun genere. Nè poi , se taluni ebbero più rari successi, dee credersi, che per que­sto sia tolta di mezzo la debolezza della ' natura umana. Ma abbastanza sia detto degl’ invidiosi,

i

II.

Come il buono atleta, dappoi eh’ egli abbia unto il corpo , scende alla lo tta , acquistatasi prima e grande esperienza, e forza. . . .

m.

Menodoto (i) di Perinto descrisse le cose greche in quindici libri. Sosilo d’ ilio comprese i fatti di Annibaie in sette.

(i) Questo Menodoto da alcuni è stato detto dì Corinto; e presso i nostri Eruditi è di oscura fama» In quanto a Sosilo? egli è stato screditato assai da Polibio : ma non rimanendo le sue opere, non possiamo giudicarne. ;

2 6 1 ,

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* 6 ìIV.

Presso i Romani la legione comprende cinquemila uomini.

y .

Gli uomini per natura accorrono a chi è in buona fortuna : ma insultano cogli altri alla sorte de’ ro­vesciati.

. . . Perchè l’ anima, che è immutabile, induce mutazione contraria.

VI.

Avendo un gran tremuoto conquassata Rodi, Je­rone siracusano contribuì pel rifacimento delle mura sei talenti d’argento, ed oltre questa somma in con­tante , donò eziandio alcuni vasi d’argento di «gran prezzo , e alle navi che caricassero frumento diede esenzione di gabella (i).

m

La città che ora chiamasi Filippopoli, anticamente era distinta in Tessaglia col nome di Tebe Ftiotica.

(i) Il tremuoto di Aodi, di coi qui parla Diodoro, & quello, in cui cadde a terra il famoso colosso. Nè fu Jerone solo, che ajuiò i Rodii in quella occasione; ma lo stesso fecero i re Seleuco Calli* nico , e Antigono Dosane. Dee supporsi, che di quell’ avvenimento Diodoro parli qui ricapitolando le azioni di Jerone all* occasione di parlare della sua morte, giacché il tremuoto di Aodi era succeduto assai tempo prima.

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Vili.a63

Avea dileguata la fortezza , e la tolleranza soste­nitrice de’mali l’uso delle delizie continue, e quello del letto molle, e l’apparato costoso degli unguenti, e delle vivande d’ ogni squisito genere ; e tanto i corpi , quanto gli animi preso aveano un’ indole di femminil lusso. Ché la natura umana con difficoltà si adatta all’ esercizio delle fatiche , alle quali non sia avvezza, e al frugai vitto: al contrario tosto si affa all’ ozio ed al lusso (i). Così Annibaie con grandi travagli acquistate avendo le città di Roma, e la terra de’ Bruzii , di poi prese anche Crotone ; ed era per assediar Reggio. Avendo incominciata la sua spedizione dall’occidente, e dalle colonne d’Èr­cole , assoggettossi tutta la terra de’ Romani fino a Crotone , toltene Roma e Napoli (2).

(t) Questo tratto apparisce allusivo alla corrasione dell* esercito africano nelle d elisie di Capua. Ma è d’ uopo avvertire essere questa una delle tante false prevenzioni pervenutaci dagli antichi, i quali poco esaminarono le cose. 8e per alcuna cagione quelPescrcilo potea corrompersi, sarebbe stato per la mancante di disciplina; nè An­nibaie era tal uomo da essere su questo punto negligente. Sensa I*. invidie cartaginesi, e la diversione di Scipione , Annibaie , anche dopo che i suoi soldati s’ erano ben nodriti ne* paési della bassa Italia, avrebbe combattuto colla forsa di prima. Fatti succeduti sotto i nostri occhi confermano questo ragionamento*

(a) Si conosce qui apertamente la mano di qualche sciolo gre- chetto, che ha volto il testo di Diodoro a sua fantasia, nulla es­sendo di più falso per cento prove, che a* Romani tutte fossero tolte da Annibale le città , che diium dominavano, eccettuato queste due sole.

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E S T R A T T I

d e ’ LIBRI CHE MANCANO

DELLA' BIBLIO TECA STORICA

DI

DIODORO SICULO

COKE SI HANNO NELLA BIBLIOTECA DI F0Z10

/PATRIARCA. DI COSTÀKTIHQPOM

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ESTRATTI DEL LIBRO XXXI.

i.

Caso dei Rodii in Roma.

]V Ientre queste cose accadevano , eccoti giungere a Roma legati de’ Rodii per giustificare la loro città sui delitti appostile. Imperciocché parea che durante la guerra con Perseo i Rodii avessero favorito quel re , e tradita l’amicizia de1 Romani. Ma non essendo potuti riuscire in ciò per cui erano venuti, trova* vansi grandemente abbattuti d1 animo , e con molte lagrime ivano raccomandandosi ai principali soggetti della dominante. Finalmente Antonio, imo dei tri* buni della plebe , gP introdusse in Senato \ e primo a parlare di ciò per cui erano spediti, fu Filofrone; poi Astimede. I quali dopo che ebbero detto quanto a pregare e a supplicare occorreva, e cantato, co­me suol dirsi, la canzone del cigno, appena ricevei tero una risposta, per la quale, sebbene in sostanza venissero liberati da una paura per le apposte ac­cuse, dovettero però udirsi dire acerbe e contarne*

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liose parole. Perciò deesi osservare ( i) , che presso i Romani uomini chiarissimi contèndono tra loro in gloria ? e rettamente amministrano pel popolo i più importanti affari ; laddove presso gli altri nelle cose pubbliche , l’ invidia mette 1’ uno incontro all’ altro : e i Romani tra loro scambievolmente si lodano. Onde è , che mentre questi gareggiano per accrescere il ben pubblico, operano bellissime cose ; e gli a ltri, mentre cercano gloria per male vie, uno incagliando le imprese dell’ altro , recano danno alla patria.

II.

Perseo prigione in Roma.

Perseo , ultimo re de’ Macedoni, che spesso era stato amico de’ Romani ? e spesso ancora con grande esercito avea fatto ad essi la guerra, finalmente fu sconfìtto da Emilio, e condotto in trionfo. Però quel re ? quantunque fosse precipitato in tante sventure, che le disfatte sofferte da lui pareano favole di cose non mai accadute } non voleva intendere di finir la vita. E bisogna sapere che prima che il Senato de­liberasse sulla sorte di, quel re } uno dei pretori ur­bani il cacciò in prigione in Albano , insieme coi suoi figliuoli. È quella prigione una caverna profon-

(i) Per cavar netta e spontanea questa osservazione morale dalle premesse cose vuoisi qui un sacrifizio di logica, lo penso àdunqae che il testo sia guasto, per non far torto a due uomini valentissimi quali furono Diodoro e Fo»io,

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{{amente scavata sotto te rra , dèlia grandezza di un cenacolo capace di dieci letti; e quanto mai si possa immaginare piena di caligine e di fetore ? per la mol­titudine degli uomini, che ivi tengonsi, condannati già per delitti capitali : ed a 'quel tempo molti di tal fatta ivi chiudevansi. Ed accadeva ? che pel tanto numero in sì angusto luogo serrato; i corpi loro pa­ressero di bestie ; e confondendosi insieme e gli ali­menti ed ogni altra cosa , che pur è ove sono uo­mini , sì acuto fetore n7 uscisse, che faceasi intolle­rabile a chiunque vi si avvicinasse. Per sette interi giorni Perseo stette in sì miserabile condizione, e videsi ridotto ad implorare soccorso da infelicissimi, a’ quali era dato ben misurato il cibo : cosa che al­tamente li commosse , e per la commiserazione di sì grande calamità , di cui anch’ essi erano a parte ,1 agri man do gli diedero umanamente di loro porzione; e di più gli offerirono una spada con cui trapassarsi, ed una corda per istrangolarsi , fatto arbitro della scelta. Ma ai disgraziati niuna cosa è più dolce che il tirare innanzi la vita più che possano, quantunque soffrano mortali angosce. Àvrebb’egli però in mezzo a tante angustie finito di vivere , se M. Emilio, principe del Senato , riguardando alla dignità di Perseo, e alla equità della sua patria con certo senso di sdegno non avesse rimostrato ai senatori, che se non avessero avuto timore degli uomini j dovessero averlo almeno di Nemesi ? vindicatrice di coloro che baldanzosamente abusano del potere. Laonde passato Perseo in carcere meno crudo, mentr’ egli andava

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pascendosi di nuove speranze , finì la vita in modo non dissimile dalle antecedenti sciagure : impercioc­ché dopo due anni di vane lusinghe, toccatigli cu­stodi barbari ? che gl* impedirono il conforto del tonno j dovè morirsi (i).

III.

Origine e genealogia dei re di Cappadocia,

I re di Cappadocia riferiscono l’ origine di loro stirpe fino dal tempo di Ciro re de1 Persiani ; ed affermasi provenire da uno di que’persiani che tol­sero via il Mago. Della cognazione loro poi tratta da Ciro danno la serie di questa maniera. Dicono che fu sorella di Cambise, padre di Ciro , Atossa; che da essa e da Farnace , re di Cappadocia , nac­que Gallo : da questi Smerdi 7 e da Smerdi Artam- ne 3 che fu padre di Anafa, per fortezza ed ardi­mento distintissimo , ed uno de’ sette uomini per­siani. Di tal maniera adunque riferiscono i gradi di cognazione a Ciro , e ad Anafa, a cui dicono che a cagione della fortezza sua fu conceduto il principato

(i) Del crudel modo con cui i Romani trattavano i re vinti, quando nen li scannavano a piedi del Campidoglio, ognuno dee essere informato. Vellejo Patcrcolo dice che Perseo morì quattro anni dopo la sua cattività stando in Alba in libera custodia : il che non è molto facile intendere; e Mitridate nella sua lettera ad A r- tace , che trovasi nei frammenti di Sallustio , espressamente dice che mori d* infamia.

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di Cappadocia onde non pagasse tributo a9 Persiani. Morto Ini ebbe il regno un suo figliuolo dello stesso nome ; e dopo che questi uscì di v ita , avendo egli lasciati due figliuoli, Datarne , e Arimaeo , Datarne ebbe il regno , e fu uomo lodatissimo e per la guer­ra ; e per* le altre parti dell’imperio. Finì morto sul campo in una battaglia ayuta coi Persiani, nella quale avea valorosamente combattuto. A lui succe­dette il figliuolo Ariamne , da cui nacquero Ariara­te , ed Oloferne. Ariarate regnò cinquant’ an n i, e morì senza aver fatta cosa degna d’essere ricordata: dopo il quale ebbe il principato il maggiore de’ suoi figliuoli , di nome Ariarate anch’ egli : il quale viva­mente amando suo fratello, dicesi, che di onori e di dignità splendidissimamente il decorasse. £i confe­derò poi co’ Persiani nella guerra che presero a fare agli Egizii ; e dopo essere stato da O co, re di Per­sia , amplissimamente onorato a cagione della sua fortezza, ritornò in patria da quella impresa; e cessò di v iv e re , lasciando due figliuoli dopo di s è , Aria­rate ed Arisa. Suo fratello p o i, il quale regnò an­eli’ egli in Cappadocia, essendo- senza prole, adottò A riarate , il maggiore de’ figliuoli del fratello , e ni­pote suo. Circa quel tempo Alessandro macedone distrusse colla gueira la potenza persiana ; e di poi morì ; e Perdicca, che preso avea il governo supre­mo , mandò in Cappadocia capitano generale Eume­ne 9 il quale debellato Ariarate, ed uccisolo in batta­glia , la Cappadocia, e i paesi confinanti co’ Mace­doni sottomise. Ariarate, figliuolo deJP antecedente

2 *]1'

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re 3 non avendo per allora speranza di regnare 7 passò con pochi de1 suoi in Armenia. Nè guari andò, che morti Eumene e Perdicca, e distrutti Antigono e Seleuco , con esercito avuto da Ardoato, re degli Armeni ? uccise Aminta, capitano de’ Macedoni j e cacciò i Macedoni dal paese, di tal maniera ricupe­rando il regno gentilizio. Avea egli tre figliuoli, il più attempato de’ quali , Ariamne di nome } assunse il regno. Egli si fece parente di Antioco chiamato Dio , avendo ottenuta per isposa di Ariarate, suo figliuolo maggiore , Stratonica, nata da Antioco ; e perchè assai amava il figliuolo, gli pose sulla testa il diadema, e i l . mise a parte seco lui di tutti gli onori , e di tutto il potere di re. Morto poi questo Ariamne, Ariarate regnò solo ; e venuto a morire lasciò il regno al figliuolo suo Ariarate ? il quale era ancora in età tenerissima. Menò costui in moglie Antiochide, figliuola di Antioco detto il Grande, donna eccellente in sagaeità ; la quale non avendo prole, al marito, che nulla seppe dell’inganno, sup­pose due figliuoli, Ariarate ed Oloferne : ma qual­che tempo dopo , fatta feconda , fuori d’ ogni spe­ranza partorì due figliuole, ed un figliuolo, che ebbe nome Mitridate. Poscia manifestato al marito quanto riguardava i due supposti figliuoli, fece in modo che il maggiore d’ essi fosse spedito con di­screto treno a Roma } e il secondo fece mandare nella Jonia; e questo artifizio usò perchè non aves­sero a muovere contrasti pel regno al vero erede. Dicono che questi, nominato anch’ egli Ariarate ?

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latto uomo, e bene istruito nelle discipline greche , e pieno d’ ogni bella virtù, s’ acquistò gran concetto.Il padre vedendosi dal figliuolo mirabilmente amato, desiderava ardentemente di dargli un pegno di sua corrispondenza affettuosa ; e la reciproca loro bene» volenza giunse al segno , che il genitore volle ce­dere tutta r amministrazione del regno al figliuolo ; e il figliuolo sostenne essere impossibile che tanto benefizio s’ accettasse da lui mentre il suo geuitorò era ancora vivo. Bensì, succedette al padre nel re* gno , poiché questi fu morto ; e in quell’ alto posto diportossi in maniera perfettamente conforme alle virtù che avea dimostrate, e molto attese agli studii filosofici : così che la Cappadocia, dianzi ignota ai Greci , presentò agli Eruditi un grato ed onorato soggiorno. Egli rinnovò coi Romani l’ alleanza, che in addietro sussisteva. Ma, basti fin qui l’ aver nar­rata la discendenza di quelli che fino ad ora regna­rono in Cappadocia, rimontata la serie di loro stirpe sino a Ciro,

IV.

Simulacri de Romani,

, , , « Conciossiaché de’ Romani per nobiltà della schiatta e per la gloria de’ maggiori distinti, fannosi i simulacri, similissimi di fisonomia , e di tutto l’an- damento del corpo; avendo essi per tutto il corso della loro vita chi le mosse loro, e tutte le prò-

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prietà de’loro sembianti osservi ed Imiti f per quanto possono cadere sotto gli occhi. Di simile maniera ogni loro antenato rappresentasi di tale abito ed qjv namento, che chi lo guarda per la verità delle cose espresse conosce evidentemente a quali gradi d’onore sieno stati elevati, e quanto de’ beni, e delle dignità delta repubblica abbiano partecipato.

V.

Leggerezza degli ArevacU

Era stato mandato in Ispagna Memmio pretore. I Lusitani rivolgigli contro, essendogli andati addosso mentre sbarcato appena non si era ancora messo in ordine , il vinsero nella battaglia, e gli ammazzarono la massima parte dell’esercita Làonde divoratosi dappertutto il felice success^ degl’Iberi, gli Arevaci, credendosi più valorosi degl’ Iberi, sprezzarono i ne* mici \ e la*moltitudine, che era accorsa alta cour cione, massimamente per questo nativo preste * farp (a guerra ai Romani.

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EGLOGE DEL UBRO XXXII,3^5

i.

IH un P'asmutamento d i sesso,

Alessandro fuggendo dalla battaglia con cinque» cento persone che lo accompagnavano ’, si mosse ▼erso una città dell* Arabia, detta Aba ( i) , a Diocle prìncipe della medesima, presso il quale area prima depositato suo figliuolo Antioco, fanciullo di ancora tenera età. Poscia unitisi i capitani di Eliada a quelli eh1 erano con Alessandro , cercarono di potersi pre­sentare a lui in qualità di avere segreti affari da trat­tare riguardanti il comando suo ) promettendo obe F avrebbero fraudolentemente ucciso. La domanda dei quali avendo Demetrio accolta, coloro .diventarono non i traditori soltanto,ma anche gli uccisori del re.

E sarebbe indegna «osa , se quanto avvenne prima della morte d’Alessandro, e che per la sua strana na­tura forse non si crede, noi lasciassimo sotto silenzio. Dicesi adunque, che consultando Alessandro, poco pi (ma di questi tempi, un oracolo di Gilicia, ove è il tempio di Apollo Sarpedonio, il nume rispondesse, che si guardasse dal luogo , jond’ era sorto il Dio di doppia forma. Cotesto responso divina allora s’ ebbe per un enimma : ma poscia morto quel re , se ne co»

( l ) Alcuni ftift voleslicri lfggen* Saia e qui* e più tona*

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nobbe i) vero senso, ed ecco come; nella città d’A­rabia , detta Aba , abitava certo Diofonto , di na­zione macedone ; il quale avendo preso in moglie una donna araba , n’ avea avuto un maschio nomi» nato anch’ egli Diofonto , ed una figliuola chiamata Eraide. Gli morì il maschio prima ohe giungesse a matura età ; la femmina, divenuta nubile, con dote diede in moglie ad un certo Samiade. Costui, vis­suto un anno colla sposa intraprese un lungo viag­gio; e intanto dicesi che Eraide oadesse ammalata di un portentoso male ed incredibile.- Il male fu una infiammazione gagliardissima con tumore al basso ventre ; ed ognor più gonfiandosi la parte , ed aggiun­tesi febbri assai forti, i medici dichiararono essersi fatta una esulcerazione intorno al collo della matrice. Laonde avendovi applicato medicamenti, coi. quali essi speravano di reprimere quegli ardenti tumori, al settimo giorno di quella cura si vide dalle pu* denda di Eraide uscir fuori, rotta la superficie, ciò che costituisce la virilità ; e vuoisi che il gettito le cagionasse un certo piacere. Non fu presente al fatto il medico ; ma la sola madre e due ancelle. Piene esse di stupore , e colpite dalla stravaganza della cosa, si tacquero allora \ e chetamente prestaronsi, come poterono, alla cura, che ad Eraide ancora occor* resse ; la quale liberata dalla malattia, seguitò a portare gli abiti di donna, e a fare quanto nella vita domestica conviene a femmina soggetta al ma­rito : Però alle persone consapevoli del fatto venne sospetto che Eraide fosse uq. ermafrodito} parve cbe

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ai a<ìcoihoaasse familiarmente agli abbracciamenti maschili, c parve loro , che foss1 ella per vivere col marito nella stessa intimità di prima, e per adattarsi famigliarmentè agli abbracciamenti maschili , comune que la naturale congiunzione vi ripugnasse. Or men> tre pissuno degli estranei sapeva la cosa , giunse a casa Samiade , e com’ eira naturale , domandò la mo glie ; e perché per verecondia essa non ardiva ve­nirgli innanzi, egli se ne dolse ; ed tostando vie più, e volendo pure la sua consorte , il padre di lei noi permise, e come temeva di dime il perché, nacque gran discordia ; sicché in fine il marito citò il suo- cero per averne sua moglie ; e dosi 1* accidente venuti a svolgere quel portentóso caso come succede nelle commedie, dandogli Paspetto di reità; Andarono d u n ­que le parti dinanzi ài giudici , e dissero da un canto e dall1 altro quanto credettero opportuno ; e fu pre­sente anche la persona che dava motivo alla causa.Il primo dubbio che venne ai giudici, fu se maggior podestà competa al marito sulla moglie ; o sulla fi* gliùola al padre* E poiché. in fine opinarono, che la moglie debba seguire il m arito, Eraide manifestò là cosa qùaP era > e con risoluto animo sciògliendo la V este , che fino allora avea portata , mostrò a tutti il viril sesso ; e Con forte tuono di voce domandò ; se vi fosse chi obbligasse uomo a sposare un1 uomo. Allora stupefatti tutti , e con parole di meraviglia additando la singolarità del caso, ordinarono che dappoiché Eraide avea fatto vedere quaP e ra , abban­donato il vestir da donna ; gli abiti prendesse con­

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venienti ad un giovine nomo. E i medici > fitta att« cV essi la debita ispezione , riconobbero che la n«<* tura del maschio sotto la forma d’ uovo « m i tenuta nascosta nel sito della natura femminile ; e che in nna pellicola contornante la natura era stato contro ciò che d’ ordinario è , un foro , pel quale le super-* fluita aveano avuta ì’ uscita. Ond’ è , che il luogo in­cavato a biodo di fistola, dopo la sopraggiunta e sul* cerazione sarebbesi cicatrizzato ; e poscia che la vi* rilé natura era stata restituita al proprio suo decoro* nuli9 altro rimaneva a fiirsi che curare la parte che era ancora offesa* Eraide poscia, preso il nome di Diofonte ) ed entrato nel corpo de1 guerrieri a ca­vallo j essendosi trovata eoi re alla battaglia i con lui ancora si ricoverò in Àba* Cosi il senso dell* o- racolo non compreso- prima , allora si foce chiaro } poiché il re andò in Aba, ove appunto era nata quella creatura biforme» Del rimanente aggiungevasi che Sa- niade vinto dall9 amore e dall* intimità j in cni era dianzi vismto con Diofonte f ‘e pùnto pur di pndore per un matrimonio tanto alieno dalla natura* lasciati a lui tutti i suoi beni, si levò la vita. Per ld che vi» desi apertamente ardire d’uomo e gloria (ritenutasi da chi prima era stato donna, e peggior di donna per debole animo essersi addimostrato 1’ noma

Un simil caso trent* anni dopo accadde iit Epi* dauro. Era di quella città nna fanciulla f siccome al* lora credevasi? priva di genitori, e chiamata Callo» Avea essa l’apertura dalla natura data alle femmine senza foro ; e presso al pettignone fino dalla M etta

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hveà a modo di fiatata un ergano^ pet cui gitUva fuori l’ acqua. Giunta essa all'età nubile fu data per isposa ad un Contadino j col quale pe* uU biennio risse però così cbè non ti trovò capace d’accoglier P uomo siccóme è proprio delle femmine, fe fu co­stretta a soffrire che il marito le ài accostasse fuor de’ modi segnati dalla natura. Non afidò pòi guari ehe circa il pettignone le nàcque ima infiammazione) che le cagionava orrendi dedori ; e Chiamati molti medici, niisuno d1 essi seppe dare speranza di Cu£ rada. Ma un farmacista vi fu ehe si profferì di gua<* rida ; il quale altro non feeC che una incisione del tumore che appariva j per la quale vennero a prèàen- tarsi le pudenda virili j salvo che la verga non ave* foro. Ebbero meraviglia del fatto tutti; ma rimaneva a rimediare al difetto osservato; Ora il valentuomo un’àltra incisione fece alla sonfmità del glande spin<« gendola per lungo fino kll’ uretra ; ed adattandovi una cannuccia d’ argento j per quella via fece uscire le urine; In quanto poi al fo ro , che a mode di fi- stula era ,al pettignone j égli lo esulcerò, indi il ci­catrizzò. E avendo così felicemente operato $ e re** stituita la sanità alla persona ammalata, doppia mer* cede addomandò della c i ta ; perciocché disse d’ a<* Vere avuta a guarire Una donna inferma , ed invece presentare bello e sano un giovane; dallo abban­donò il teiajo è le altre faccende di donna, e.presi gli abiti di Uomo j fu indi iti poi chiamata Gallone. Alcuni hanno ciotto, che prima di qtyeéto suo tra* mutamento in maschio fosse stata sacerdotessa di

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Cerere, e che per aver veduto ciò che gli nomini iloti debbono vedere, aveste avtito un processo di profanata religione. Narrano in simil modo casi di questa specie essere nati a Napoli 7 e ut altri Ino- giti : non che il ’ sesso di maschio e femmina per òpera di natura passasse alla figura dell’ una e del* Y altra forma * cosa impossibile ; ma in quanto per far meraviglia <e sorprendere gli uomini, la na­tura talora dà una falsa apparenta alle membri del corpo. Perciò siffatti avvenimenti abbiamo noi giudicati degni d'essere scritti e tramandati alla me* moria de1 posteri, non per cetto vezzo di voluttà, ma per utilità* Imperciocché m olti, tenendo tali cos* per mostri di pessimo augurio , lasciansi sorprendere da superstizione j nè ciò accade solo à uomini privati, ma eziandio a nazioni e a città. Prova di che è quanto avvenne ai Romani sul principio della guerra Màis sica. Imperocché essendosi riferito al Senato die uà certo Italico presso Roma avea sposato tm ermafrodito simile a quelli che abbiamo accennati y preso da su­perstizióne , 'e persuaso dagli aruspici etruschi* quel­l’ ermafrodito fece abbruciar vivo, e colui che lo aveà sposato, perchè il teneva come partecipe di un sesso degenerato in mostto ? il ciré non e ra , eira bensì ignoranza della imperfezione, contró Ogni ragione mandò in esilio. È simile pena di fuoco, diecsi non molto dopo essere stàtà proferita dagli Ateniesi per un tai caso y * ttbii eMetìdòsi capita la vera natura delle cose: Alctiiit raccotìtatto che le iene sono ma­schi e femmine ad un tenipo} e che Ogni anno *

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scambiano alternativamente le funzieni ne’ loro con­giungimenti : ma ciò non è vero. Vero è bensì , che quantunque l’uno e l’altro sesso abbia la costitu­zione sua naturale semplice, e distinta , accade al­cune volte che- si presentino con certe false appa­renze a chi osserva. Imperciocché le'femmine hanno nella' natura loro alcuna cosa che si rassomiglia alle parti virili, e qualche cosa i maschi a guisa del sesso femminile. E lo stesso avviene in tutti gli altri ani­mali , mentre nascono infatti molti portenti di di­verse maniere , i quali però nè allevansi, nè giun­ger possono al perfetto loro incremento. E queste cose siano dette per correggere la superstizione (i).

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(t) Di questi tramutaménti di sesso s’ hanno nelle amiche storie assai casi. Sotto il consolato di P , L icin ioe G. Conio Longino > io' Cassino una fanciulla diventò maschio solto gli occhi del padre

della madre \ e la superstizione lo fece trasportare in un* isola deserta. Licinio Muoiano affermò avere veduto in Argo un certo Arescunte » che prima avea conosciuto sotto forma di donna, e chiemat^ allora Arescunta. Credendosi donna si maritò : poi mise la barba, diventò maschio , e prese moglie. Dice ino^re d’ aver veduto'a Smirne simil fatto nella persona di un giovinetto. £ Plinio essendo proconsole io Africa , ed assistendo a banchetto di botte fu testimonio del Catto anche più bisxarro per la circostanza, poi* chi mentre applaudivasi dai convitati alla felice sorte degli sposi • a un trattò la giovinetta sentissi tramutata in uomo, e fu poi L . Cossitio pel rimaneste di vita sua. 8» farebbe nn volume volendosi riferire simili casi. Veggasi Piegante Tralliano nel suo libro della Cose M irabili, il Mercuriale nelle Lettoni varie, il Vive* e Coquen ne*«omenti all’ opera di s* Agostino della Città d i D io , Giovanni Giòvi ano Pantano delle Cose celesti, il Burnet, che un tal caso riferisce succeduto in Roma mentr* egli viaggiando per Italia trovassi in quella città. Quelli che si dilettano di adire erottiti e filologi^

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bette mura d i C*rt*gmé.

Dicono cbe le mora di Cartagiae ionéro d te (fàé* fanta cubiti, e larghe ventidue ; mà q ian tm fie al forti} le macchine de9 Romani, e gli additi levo in* traprendimenti, superarono sì robusti bastioni ) e lft città venne presa e demolita»

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l) i Mossòrìssa.

Massinissa cbe regnò in Africa, e fu alleato pé#» petuo de9 Romani, vissè iti pieno vigore di forze no* Vàfat1 anni, e morendo lasciò dieci figliuoli, cbe af* fidò alla tutela de’Romani. Era egli di complessione robusta, e dà ragazzo assuefatto alla fortezza è alle fatiche : tome avea presa una posizione y in essa ri*

Hon avranno discaro die aggiungiamo cosa detti dal pik riputato' traduttore di Diodoro. I! Rodntano ci attcsta H ségucote fatto che' baciamo sulla sua coscieoia. Egli dice 4he utf cartof Dmnieie Hur* cétmer, tèdescò, ermafrodito di conformaiiorie, avea sposata una donaa^ •on cui era vissuto iinpotente, ma che di poi trovando*) nel 160* bel Belgio» e lasciatosi accostate «la uno spinganolo, eratfi ingravi­dato, é nel mese di maggioavea partorita u'òfc bambina, che al battesimo avea atuto il nome di Etisabdtta : ohe p#rÒ da una jm o* •■fella ocn potè aver latte (W alimentare la fanciulla par li' ragione* eie dalla parté di quella avea il sesso tirile. Egli riferisce quel latto in prova che don si verifica che gli ermafroditi Steno Steri}#*' ^bbiaaao riportate fedelmente U sa# parole/.

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tnaiievasi immoto tutta la giornata * sedendo uou ai* za vasi fino a notte ; consumando tutto il giorno m esercnii faticosi. Una volta montato a cavallo, an­corché cavalcasse giomo e notte di seguito , non si stancava mai. E di buona salute e robustesza fu ma» nma prova che quasi di novantanni ebbe Un fi­gliuolo, che visse quattro anni, ma thè pure era ben complesso. Fu egK molto studioso d1 agricoltura ; « vi si applicò tanta che lasciò ad ognuno de’anoi fi« gHuoli una campagna di dieci mila plettri, fornita inoltre di ogni cosa necessaria. Egli governò egro» giaanente 11 tao regno per sessant’ anni*

IV*

Empietà d i Nicomedé*

Nilomede dopo avere sbaragliato colle armi Pro* sia suo genitore, essendosi qnesti rifuggito nel tem­pio di Giove j ivi lo ammàkzò} e si pose in possesso del regno della Bitinia con questo assassinio sedia* ratissimo/

V.

Di Pinato*

Mentre i Lusitani énl principiò della guerra man* cavano di valente capitano; facilmente erano dai R»* mani battuti; ma quandi tbbei* trw*t9 Yiriato/ iif*

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clero ai Romani non pochi danni. Era Vinato di quel Lu«ita»i che soggiornato hanno sulla oosia dell' ocea* no j e dalla sua fanciullezza era stato sempre pastore j ed assuefatto a vivere tra i m onti, e la natura gli aveva anche data particolare complessione. Imper­ciocché in robustezza y in velocità, in agilità di mem­bra superava tutti quanti gl’lberi. Erasi poi avvez­zato a poco cibo e a molto esercizio 9 e dormiva sol­tanto quanto la necessità esigeva ; e portando sempre indosso armatura di ferro , e battendosi colle belve e coi ladroni , presso la moltitudine si fece gran nome. Creato finalmente capitano supremo, chiamò a se immantinente una schiera di corsari ; e nelle guerre ottenendo grandiosi *' successi ebbe Fammira­zione generale , non tanto per altre virtù , quanto perchè fu stimato possedere tutte le arti degne del capitano. Era giusto nella distribuzione delle spoglie nemiche, e premiava a proporzione del loro merito quelli che s’ erano distinti per valore. Poi salito in maggior fortuna non più ladrone si dichiarò, ma siv- vero Principe. Guerreggiò coi Romani, e in molte battaglie rimase vincitore , di modo che debellò Ve- tilio j comandante de’ Romani, coll’ esercito suo , e presolo il trucidò. Molte altre imprese in guerra fece felicemente, fin tanto che venne mandato contro di lui Fabio. Dal qual tempo incominciò a declinare. Ma raccolte le forze avendo sostenuta contro Fabio la guerra con grande animo, l’ obbligò a capitolare in maniera indegna del nome romano. Però Gepione a cui'fa data il comando supremo deir esercito con*

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tro V aiato, quella capitolazione .ruppe ; ed avendo più d’una volta vinto Viriato, e postolo ia tali estre* me angustie, che incominciava ad inclinare alla pace, corrottine i domestici, e tesegli insidie , giunse ad ^ammazzarlo. U qual Gepione avendo trovato modo di atterrire Tautamp successor di V iriato, e le sol­datesche che colui avea seco, li trasse a que’ patti ch’ egli voleva; e loro concedette campagne e città da abitarvi.

ESTRATTI DAL LIBRO XXXIV.

I:

Del re Antioco e dà* Giudei.

IL re Antioco faceva l’ assedio di Gerosolima; e i G iudei per un certo tempo resistevano. Ma avendo consumata tutta la vettuaglia, furono obbligati a spe­d ir legati per trattare di pace. 1 suoi ministri e cor­tigiani per la più patte insistevano perchè tirasse in­nanzi in ogni maniera 1* assedio, ed esterminasse la nazione de’ Giudei, esponendo come costoro erano tra tu tte le nazioni la sol^i, che abbonisse l’unirsi colle a ltre , e che riguardasse tutti gli uomini come nem ici ; ed aggiungevano che gli antenati di costoro erano stati cacciati da tutto l’Egitto come empii, ed invisi agli Dei. Imperciocché essendo i loro corpi in fe tti di scabbia e di lebbra, erano stati espulsi dai confin i per purgare il paese da sì nefanda razza;

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che così banditi aveano occupati i luoghi vicini a Gerofolhna, e ridotti i l corpo di nazione aveano poi propagato di padre In figlio l’odio loro verso gli nomini. I*er ciò s’erano latte leggi nemiche dell’ u» mano consorzio, di non avere mai mensa comune con altra nazione, nè di mai augurare bene ad al­cuna. Aggiungevano poi al re che i suoi maggiori tempre aveano detestati i Giudei: imperciocché Àn« tioco detto l’ Illustre, soggiogati i Giudei entrò nel Tempio di Dio, non stato mai accessibile ad alcuno fuorché al sacerdote, così a lui permettendo la leg­ge : nel quale avenda trovata una statua di pietra , rappresentante un nomo di lunghissima barba, ca» vaicaute un asino, giudicò che fosse la statua di Mosè, fondatore di Gerosolima, ed istitutore della nazione, il quale con legge ordinò i nefandi costu­mi , spiranti l’ odio pel genere umano. Quel re adun­que detestando una tanta nemistà oontro tutti i po* po li, procurò che sì empie leggi si abolissero. Per* ciò alla immagine del fondatore, e all’altare a cielo scoperto del num e, immolò una grassa tro ja , e del sangue d’essa cosperse l’una e l'a ltra ; e delle carni della medesima ordinò ehe s’ imbrattassero i sacri libai, i quali contengono le leggi piene d’ odia con* trQ i forestieri. Egli inoltre estinta la lampada, da es» chiamata immortale , e che perpetuamente arde nel Tempio ; e finalmente forzò il pontefice, e gli altri Giudei a cibarti di quelle carni Allegate queste cose, erano cqloro tutti con sommo impegno intesi a fare eh’ egli erteruinagt* quella r«z*a j od a lm a*

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ehc s t abrogasse le leggi, e la costrìngesse a ìnu? tare il tenore di vivere y e le istituzioni. Ma il re , cbe era d’ alto animo, e d’ indole placida, riscosso cb9 ebbe il tributo cbe gli si dovea, diroccate le inura di Gerusalemme, e tolti, ostaggi, perdonò agili fallo a quella nazione,

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Della guerra degli Schiavi.

Essendo le cose de9Siculi per sessantanni dopo la mina di Cartagine andate prosperamente, in fine Tenue presso di loro a scoppiare la guerra de’ servi, nella maniera cbe siamo per dire. Dacché i Siculi ebbero amplificate le loro facoltà saliti a grande rie* chezza si misero a comprare una enorme quantità di servi ; e questi usavano, lattili uscire a turbe dai luoghi in cui da prima li chiudevano, bollarli a fuoco con certe marche. Servivansi poi d’ essi, se erano giovani, per pastori 5 gli altri adoperavano a qualunque altro uso. Ma con durezza e vigore trat* tavanii; nè cura alcuna prendevansi del loro vitto e del loro vestito : cosà che la maggior parte di quei miseri andavasi le cose necessarie procacciando col ladroneggiare ; e tutto perciò era pieno d’assassinii, non altramente che se un esercito di corsari, e de* predatori fosse qua e la sparso per le campagne. I governatori de9 paesi andavano in vero cercando di reprimerli; ma siccome non ardivano di punirli centi

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occorreva, a cagione de’ ricchi e potenti padroni, che aveano sui loro servi assoluta podestà; così avveniva eh1 essi erano costretti a chiudere gli occhi •opra tanti saccheggiamenti e tanti delitti. Tanto più poi, che la maggior parte di que’padroni erano ca­valieri romani, e giudici dei delitti che apponevansi ai governatori delle provincie : sicché tenean questi in altissima soggezione. Essendo adunque in sì mi­serabile stalo i servi, e sottoposti spessissimo igno* miniosamente e senza ragione ad essere con grande barbarie battu ti, vennero in risoluzione di non sof­frir oltre sì iniquo trattamento. Per lo che fatto eon- ciliabolo insieme , come prima n’ ebbero comodità , vennero a parlare del modo di scuotere il giogo della servitù, finché poi giunsero ad effettuare il loro di­segno. Era tra loro un certo Siro , servo di Anti­gene Anneo, nato nella città di Apamea, nomo pratico dell1 arte magica e degl’ incanti ; il quale dava ad intendere d’ avere per visioni , e rivelazioni degli Dei la virtù di conoscere in sogno le cose future, e l'ordine nel tempo stesso di predirle; con che molli animava a credergli. Poi procedendo oltre non si contentò di trarre i suoi oracoli dai sogni \ ma finse di vedere in piena veglia gli Dei, e di udire da essi le cose future. E quantunque molte delle cose che diceva non fossero che ciance , l’ accidente pur fece che alcune predizioni sue si avverassero: ond’è, che mentre delle non verificate Bissano teneva conto , per le verificate veniva applaudito ; e cresceva così di estimatone, T iqtò costui in ultimo questo artift-

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zio, che metteva fiamme di fuoco dalla bócca pren­dendo aria di furente ; e come se fosse invasato dallo spirito di Febo, vaticinava le cose avvenire. Dicesi che in ciò adoprasse una noce , o tale altra cosa vuota per di dentro , ili cui chiudeva alcuna materia infiammabile (i). Ora costui prima che se­guisse la rivolta vantavasi che gli fosse apparsa la, Dea Siria , e gli avesse predetto che avrebbe regna* to : la qual cosa andava dicendo non solò agli altri servi, ma eziandio al proprio padrone. E come que­sti suoi detti facevano ridere, An ti gene di queste ciarle prendendo spasso, Euno , che così, chiamavasi colui , conduceva seco ai conviti, e mosso discorso del futuro regno di lui molte domande gli andava facendo, come, per cagione d'esempio, avrebbe trat« tato ognuno di quelli eh’ erano presenti. E npn per­dendosi punto d’ animo colui, seguitando a parlar francamente del suo regno , rispondeva che sareb- besi comportato verso i padroni con clemenza; e da una in altra cosa passando , mercè- le molte strava­ganze che andava dicendo , tutti, i convitati faceva

( i) Presso noi la cosa è da ridere : pare ohe gli amichi n’ ab­biano fatto qualche caso $ e n’ abbiano parlalo eoa poca «gattesca. Floro che racconta la storta di E u n o si esprime cosi : Uu, cerio Siro d i nome Euno fingendo furore fanatico , mentre si vantava d i avere le chiome della dea Siria, quasi avesse ordine dai numi ec­citò i servi alla libertà e alle armi ; e per provare che parlava ispi­rato dagli dèi, tra una parola e V altra gettava fuori fiamme : il che

faceva tenendo nascosta in bocca una noce piena di solfo e di fuoco , in cui mandava il fiato. Fu detto che così usò fare anefie il celebre Barcocheba per sedurre i Giudei. Ma nou voleavi ohe Giudei e schiavi per non capire il miserabile artifìcio.

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ridere; ed alcuni di loro giungevano anzi a dargli grosse porzioni di quanto era sulla tavola , aggiun­gendo che quando fosse divenuto re volesse ricor­darsi delle buone grazie avute.

Ma il fatto è che le stravaganti sue ciarle final- fnente mutaronsi in verità; ed egli giunse ad avere la potenza di re , e quelli che in que’ conviti l1 a- reano trattato benignamente potè guiderdonare. Il principio della rivolta fu come siegue. Eravi un certo Damofìlo diEuna, nomo per le grandi sue ricchezze di alto animo, ma d’ indole superba. Costui trattava i suoi servi in sì crudel modo , che non saprebbesi dir di più; ed avea una moglie, di nome Megaliide, la quale faceva a gara col marito nel trovare con ogn’ inumanità i più squisiti supplizii. Ond’ è che per tanta sevizia inferociti i miseri che n’ erano il bersa­glio , concertarono tra loro ,d’ alzarsi, e di trucidare i padroni. Vanno essi adunque da E uno, e il doman­dano, se permettano gli Dei quanto essi hanno di­segno di fare. Costui mettendosi dal loro partito ri­sponde coi soliti suoi prestigi cfee il permettono ; e fa loro animo onde alla prima occasione opportuna effettuino il loro disegno. Immantinente adunque rac­colgono una partita di quattrocento servi ; e colta buona occasione , ben armati irrompono nella citta d’Enna, avendo Euno alla testa, spirante fiamme dalla bocca con que’ soliti suoi prestigli ; ed entrati nelle case vi fanno orribil macello, così che non perdo­narono neppure ai bambini lattanti, ma strappati dalla poppa li schiacciarono sul pavimento. Alle ma-

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frotte poi , veggenti gli stessi mariti , quanti insulti, quanta libidinosa violenza facessero, non può colle parole spiegarsi; e a que’ primi s’era presto aggiunta una moltitudine de1 servi stanziati nella città: i quali dopo aver crudelmente trucidati i loro padroni, an­darono a trucidare anche quelli degli altri. Intanto Euno avendo saputo che Damofilo e sua moglie erano in un orto vicino alla città , mandò alcuno de’ suoi, i quali li traessero in città colle mani legate dietro la schiena, e per istrada d’ogni contumelia venissero oppressi : con che però alla figliuola s’avesse ogni ri­guardo, perciocché s’ era sempre dimostrata umana e compassionevole verso i servi, e , come dichiararono, piena di volotità di ajutarli. Il quale loro contegno era una evidentissima prova, che quanto facevano non procedeva da indole crudele, m\a da vendetta de’ barbari trattamenti avuti. Que’ messi adunque con­dotti Damofilo e Megallide in città IT esposero nel teatro , ove la moltitudine de’ rivoltati era concorsa; come Damofilo con accorto ritrovato andava cercando di salvarsi, e il parlar suo moveva già molti, Ermia e Zeusi pieni di odio contro di lu i, dettegli contu­meliose parole , non aspettando che il popolo pro­nunciasse sentenza, uno il trapassò colla spada, e l’ altro gli tagliò la testa. Poi Euno fu gridato r e , non per eccellenza di fortezza, o di scienza in co­mandar# ; ma soltanto per la bravura sua negl’ in­cantesimi , e per essere stato autore della rivolta ; c per avere un nome di buon augurio a sperarlo benevole verso i sudditi. Messo egli adunque, alla

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%testa de’ rivoltosi, chiamatili a conclone ■ fece che gli Eunesi rimasti vivi fossero trucidati , salvi soltanto quelli che sapessero fabbricare armi ; e questi ob­bligò ai lavoro. Diede poi Megallide in balìa delle serve, onde ad arbitrio loro me prendessero vendet­ta : le quali dopo averla in varie guise tormentata, la cacciarono giù di un precipizio ; e Antigene e Pitone, suoi padroni, di sua propria mano ammazzò*. Quindi postosi il diadema in testa , e vestitosi di tutti gli ornamenti reali, dichiarò regina sua moglie, la quale era siria anch’ essa, * sua concittadina ; e scelse a consiglieri quelli che conobbe essere più prudenti ; fra i quali v’ era un cert’ uomo Acheo di nome e di nazione, eccellente tanto in ben pensare, quanto in operar prontamente.

Nello spazio di tre giorni ebbe mille settecento uo­mini armati come meglio potè, ed altri pure ne rac­colse aventi mannaje e scurì, o frombole , o falci,o grossi bastoni appuntati col fuoco, o spiedi da cu­cina ; e si pose ad infestare rubando tutto il paese : e di p o i, come un infinita moltitudine d’altri servi gli si u n ì, ebbe il coraggio di affrontarsi in guer­ra coi comandanti e gli eserciti romani y e nelle battaglie poiché prevaleva di numero, spesso ottenne vittoria, avendo seco più di dieci mila uomini.

Infrattanto un certo Gleone cilice incominciò un’al­tra rivolta di servi : perlochè si concepì speranza che divisi i rivoltosi in partiti differenti, venissero in guerra tra loro ; e così a vicenda ammazzandosi sol­levassero la Sicilia da tanto tumulto. Ma contro ciò

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che speravasi andò la cosa, perciocché i due partiti si congiunsero insieme ’7 e Cleone al primo comando di Euno se gli sottomise ; come a r e , prendendo da lui gli ordini per operare co9 suoi cinque mila uomini che aveva seco : e non erano allora più che trenta giorni , dacché la rivolta era succeduta. Nè guari andò che venuti al fatto d’ armi con L. Ipseo, il quale venuto di Roma aveva raccolti in Sicilia tre mila settecento soldati, ebbero vittoria, essendo al­lora in numero di venti mila ; ed in breve tempo cresciuti di poi fino a dugento mila. I quali} quan­tunque di poi spesse volte venissero coi Romani a battaglia, assai spesso ne uscivano con gloria, e rarissimamente rimanevano rotti. Di che sparsasi la fama , anche in Roma , ove cento cinquantamila con* giurarono insieme , scoppiò la rivolta de’ Servi ; e nell' Attica se ne alzò più di un migliajo, e così in D eio, e in altri luoghi. Ma que’ che sulla faccia dei luoghi governayano, e pe’ pronti rinforzi che ebbero, e pei crudeli supplizii che usarono, presto li tolsero di mezzo ; e ridussero a meglio pensare quanti per avventura non mossi fino allora , avessero avuto di­segno d’ insorgere.

Ma in Sicilia il male cresceva ognor più, poiché a? andavano prendendo le città coi loro abitanti, e molti eserciti dai rivoltati venivano «confitti, fin tanto che Rupilio , comandante de’ Romani ricuperò Tau- romenio , avendo coll’ assedio ridotti quelli che v’ e- rano dentro a tale carestia, che per la cruda fame non ebbero ribrezzò di divorare le carni de’ proprii

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figli, e fino quelle delle mogli, giunti in ultimo all9 or» ribile necessità di divorarsi l’un l’altro. In quell’ asse-* dio fu preso Amano, fratello di Cleone, mentre fuggi- vasi dalla città ; e in fine avendo Serapione Siro a tradimento consegnata la rocca , tutti quelli che in essa eransi rifuggiti, vennero in mano del coman­dante de’ Romani, il quale fattili prima tormentare, li condannò ad essere precipitati. Quindi andato ad Euna in simil modo l’ assediò, e tanto strinse i ri­voltati , che levò loro ogni speranza di scampo. Quindi avendo ucciso Cleone, supremo capitano, il quale uscito di città con eroico valore avea combat­tuto , e fattone vedere il cadavere agli assediati , tro­vato anche ivi un traditore ebbero quella città , che per la natura del sito , e per la qualità delle forti­ficazioni in diverse maniere non sarebbesi mai po­tuta prendere.

E uno, Pprcse seco seicento guardie, siccome egli era uomo poltrone, fuggi a certi scoscesi luoghi j ma quelli eh’ erano con lu i, reggendo la mala sorte, che loro soprastava, poiché erano inseguiti da Rupilio, si scannarono l’uh l’ altro j e colui' prestigiatore e re , dopo aver per paura cercato rifugio in certe ca­verne, fu tratto di là insieme con quattro altri, ed erano il cuoco, il panettiere, quello che nel bagno il fregava, e per quarto quello, che mentre man­giava gli faceva il buffone 5 e cacciato in carcere morì corroso da1 pidocchi in Morgantina : tal fine avendo avuto degno di sua temerità. Rupilio poscia con scelto drappello di soldati scorrendo tutta la Si*

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cilia, più presto di quello che si sperasse la liberò da ogni ladra ciurmaglia. Eun<? , re de’ rivoltati, erasi posto il nome di Antioco ; e chiamava Sirii tutti quelli «che con essolui erano insorti.

ESTRATTI DAL LIBRO XXXVI.

I.

Delle ribellioni degli Schiavi.

Nel tempo in cui Matio debellò Bocco e Giugurta, re d’ Africa entrambi, e innumerevoli migliaja d’ A-* fricani uccise, e poscia condusse prigioniero Giu- gurta datogli in mano da Bocco, onde impetrare dai Romani perdono della guerra ad essi mossa ; e tro- ▼avansi i Romani assai spaventati per le grandi stragi recate dai Cimbri, che dilaniavano con guerra la Gallia ; giunsero dalla Sicilia alcuni riferendo che molte migliaja di migliaja di Servi eransi rivoltati. A siflatta nuova tuUà la repubblica de1 Romani tro- vasai in grandi angustie , perciocché avendo già perduto nella Gallia^ combattendo i Cimbri, ses­santa mila uomini elettissimi, non avea modo di levare per nuova spedizione gente idonea. S’ aggiun­geva di più che anche prima del tumulto suscitatosi in Sicilia per la ribellione de’ Servi, in Italia pure erano scoppiate parecchie rivolte, quantunque nè di lunga durata fossero state , nè grandi, ma tali che parea per esse volersi dal nume predire la grandezza

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di quella che dovea succedere in Sicilia. La priina erà stata presso Nocera, <>ve trenta Servi s’acconciarono insieme ; ma furono presto castigali. La seconda fu in Gapua } quando ribellaronsi in numero di dugento 3 e presto anch’ essi sterminati. La terza accadde in modo meraviglioso. Un certo Tito Minuzio detto ancora Vezio, cavaliere romano , figliuolo di padre ricchissimo, si innamorò di un’ altrui serva, donzella bellissima, ed avutala alle sue voglie} sì gli crebbe la passione per lei y che ne addava matto. Onde trovato duro il pa­drone di lei a concedergliela, finalmente si accordò di pagargli sette talenti atlfci, e si fissò il tempo, del pagamento: faceva per esso lui sicurtà il suo patrimonio. Ma venuto il giorno d’effettuare lo sborso, egli nbn si trovò pronto ; e chiese una dilazione di trenta giorni Però venuti a termine anche questi, e non avendo trovato come pagare , e 1’ amor suo per la donna crescendo sempre p iù , s’ appigliò a strano misfatto ; e fu di levar di mezzo chi solleci-* tava il pagamento ; e di mettersi in aria 'di potente monarca. A tal effetto comprò cinquecento armature da pagare a un dato tempo ; e fattogli credenza egli le trasportò in certa campagna : indi eccitati ac} insorgere i suoi servi in numero di quattrocento, preso diadema e porpora , ed ogni altro distintivo di regio potere, e coll’ ajuto de’ servi chiamatosi re , per prima cosa fece mozzare dopo averli fatti ben bene battere colle verghe , quelli che domandavano il prezzo della donzella : . indi con quei suoi armati si mise ad invadere le vicine ville : e chi presto po«

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nevasi dal suo partito , armava ; d ii vi si mostrava avverso,, metteva a morte. Ed avendo in breve tempo messi insieme più di settecento uomini, li di­stribuì in centurie ; e fatto un campo , dava asilo a quanti servi disertavano dai loro padroni. Ond9 è , che notificata al Senato questa ribellione con pru-» dente consiglio accorse ad estinguerla; e così felice­mente avvenne. Fra i capitani eh9erano allora in Ro­ma , il carico di dare la debita pena ai fuggitivi, venne commesso a L. Lucullo , il quale nello stesso giorno, in cui avea fatta la leva di seicento soldati * scese a Capuà, ove levò pure quattro mila fanti, e quattrocento uomini a cavallo. Minuzio, saputo, che egli ebbe la spedizione di Lucullo, occupò un certo colle ben munito» avendo in tutto tre mila e cinque­cento uomini ; e nel primo fatto d9 armi i fuggitivi, perchè combattevano in quell9altura, rimasero vincenti. Ma poi avendo LucuHo sollecitato Apollonio, cornane dante suprèmo delle forze di Minuzio con regali, e colla giurata promessa d9 impunità, a tradire i com­pagni ; costui fattosi ligio ai Romani, arrestò Minu»- zio , il quale per timore d9esser mandato al supplì* z io , si ammazzò da sè stesso ; e subitamente eoa esso lui morirono i compagni della ribellione, eccet­tuato il traditore ' Apollonio. Fu questo come il pre­ludio di quella che avvenne in Sicilia ; la quale ecco come principiò.' Nella spedizione di Mario contro i Cimbri il Se­nato diede, facoltà a quel capitano di chiamare gli ajuti delle nazioni d’ oltre mare ; ed egli mandò a

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tal fine legali a Nicomede re di Bitinta : il quale ri­spose j che la pià parte de’ Bitinii era stata dai pub­blicani trasportata schiava; e trovarsi sparsi qua e là nelle provincie. Per lo che il Senato decretò, cbe nissun uomo ingenuo di nazione alleata del popolo nomano dovesse in provincia essere ridotto a condi- dizioiie servile j e che fosse cura de1 pretori , o dei proconsoli che que’ tali venissero liberati. In forza di che Licinio ' Nerva, allora pretore in Sicilia , in ub­bidienza di quel decreto, portato il caso ai tribunali, fece liberare moltissime persone, così che in pochis­simi giorni se fc’ ebbero più. di ottocento dichiarate libere. D 'onde venne che quanti erano nell1 isola in condizione di servi, si mettessero in isperanza di ottenere la libertà. La qual cosa veduta da uo­mini di speziai credito ? casi presentaronsi al pretore y consigliandolo a desistere dall'impresa3 ed o Cosategli allettato da denaro, o volesse procacciarsi favore, sospese P esame ulteriore de* tribunali, e chiunque di poi presentavasi per ricuperare la libertà , obbli­gava eoa rimpròveri a ritornarsi al padrone. I servi adunque congiuratisi fra lo ro , dopo essersi da Sira* cusa rifuggiti al bosco de' Palici (1), si misero a ra­gionare insieme sul modo di ribellarsi; ed essendosi dilatata sì ardita idea per molti luoghi, i primi a porsi in libertà furono trenta servi di due ricchissimi fratelli del paese degli Ancilii, fattisi capo un certo Oario. La prima cosa che costoro fecero, fu quella

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(1) Gli Dei, od eroi Palici, erano i protettori dei serri ; e A tempio era per é*si un arilo sicuro.

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a"di trucidare di notte i loro padroni mentre dormi* vano. Poi andati nelle vicine ville predicarono agli altri schiavi di mettersi in libertà; e in quella stessa notte $e ne unirono loro più di cento venti. Occu- parono poi un luogo, di sua natura forte, e più forte ancora industriosamente da essi ridotto , a ciò ajutati da altri ottanta, che s’erano aggiunti ben ar­mati. Licinio Nerva, pretore della provincia fu sol­lecito* ad accorrere ed assalirli : ma avendo preso a combatterli, ogni suo sforzo riusci vano. Per lo che veduto il sito inespugnabile ricorse al tradimento: nel che potè servirse di certo Gajo Titànio, chiamato per soprannome il Gadeo , a cui promise la impu­nità , trovandosi costui condannato da due anni ca­pitalmente , ma sfuggito alla pena, e postosi a la­droneggiare nel paese con uccidere ad ogni occasione uomini liberi ; e sempre avendo avuto riguardo di non molestare alcun servo, o d’ essergli grave. Co­stui adunque con un drappello di servi a lui fidi re­cossi al castello , ov’ era il Gadeo, come se inten­desse di fare insieme* con que’ rifuggiti guerra ài Romani y e ne fu accolto con lieto animo, e ben trattato; e di più fatto comandante, perciocché sti* mavasi valoroso uomo. Ma costui ponsegnò il castello ai Romani. Una parte de’ ribelli morì nel combatte­re ; una parte si precipitò dalla rupe preferendo un tal fine a quello che venendo presi potevansi aspet­tare; e così rimase estinta quella prima ribellione di servi.

Ma ritornati alle loro stazioni i soldati, che il

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pretore atea condotti a quella impresa, alcuni an* daròno a riferire che circa ottanta servi, suscitato tumulto, avevano scannato P. Gonio, uomo dell’or­dine equestre, e che ornai erano in grosso numero. E intanto quel pretore sedotto dai consigli d’ a ltri, avendo anche con piena formalità dato congedo alla massima parte della soldatesca, procrastinando venne a dar tempo ai ribelli di meglio fortificarsi. In fine tolti i soldati che avea presenti s’ incamminò verso loro ; ma accadde che passato il fiume Alba se li lasciò alle spalle, poiché essi s’erano* stanziati sul monte Capri ano ; e giunse ad Eraclea. U che fu ca­gione che que’ disertori spargessero voce, che il pre­tore non avea avuto coraggio di assalirli ; con ciò animando 'altri servi ad unirsi a loro. Ed in fatti fu così; e ne’primi sette giorni più di ottocento furono colà ben armati ; disposti tutti in ogni maniera a venire a battaglia spiegala. Delle quali cose avvertito Licinio , e fatto certo che que’ disertori ogni giorno più crescevano, . mandò .contro di essi M. Titànio, datogli il grado di capitano, ed aggiuntigli sei cento uomini del presidio di Euna. Titànio venuto a batta­glia , perchè i disertori e per la moltitudine della gente, e per la difficoltà de’ luoghi aveano gran van­taggio , si diede, olla fuga insieme co’ suo i, de’ quali molti rimasero morti; e gli altri per andar salvi fug­gendo , gittarono le armi. Le quali in gran copia così all’ improvviso acquistate , maggiore spirito infusero ne* ribelli ; ed anche con più animo sollevossi nella massima parte de’ servi l’ ardore d’unirsi ad essi. E

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«ome ogni giorno un gran numero disertava, in breve crebbero tanto, cbe nissuno l’avrebbe creduto giam­m ai, a modo che in pochi giorni trovaronsi essere più di sei mila. Nel qual tempo consigliatisi insieme sul come comportarsi, prima di tutto si crearono un re , che fu un certo Salvio , tenuto per valente nel- r arte degli aruspici, e sì bravo sonatore di tibia negli spettacoli e nelle pompe delle donne , che le faceva andar matte. Ottenuto costui il regno , declinò dalle c ittà , come fomentatrici d'inerzia e di delizie ; e diviso in tre squadre V esercito suo , ed altrettanti capitani messi ad ogni squadra, ordinò che scorres­sero il paese , e di poi tutti si traessero * insieme nello stesso tempo in un determinato luogo. Da quel saccheggiamento acquistato avendo grande quantità, come d'altri ammali, così ancora di cavagli, in poco tempo misero insieme più di due mila cavalieri, e non meno di venti mila uomini a piedi, gente tutta che avea pratica delle cose di guerra. Ond' è , che forti di quella maniera, improvvisamente portaronsi con grande impeto addosso a Morgantina, città ben m unita, e con ripetuti assalti la travagliavano: Ora il pretore volendo accorrere in ajuto della c ittà , marciando di notte verso essa coh circa dieci mila uomini raccolti dalla Sicilia e dall'Italia, giunse ad* dosso ai ribelli occupati nella espugnazione della cit­tà ; e violentemente entrato nel loro campo , da po­chi armati custodito , e pieno di un gran numero di donne schiave, e di bottino d'ogni specie, con fa* cilità se ne fece padrone ; e dopo averlo spogliato

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andò verso Morgantina. Ma i disertori di repente voltisi indietro, e perchè erano in* luogo alto , e perchè assalirono il nemico con molto impeto , eb­bero tosto propizia la sorte delle armi ; e le truppe de’ Romani si diedero alla fuga. Allora il re 'ordinò che non si ammazzasse nissuno di quelli che gitta- yano giù le armi : onde la maggior parte abbando­nando le armi provvide alla propria salvezza, e con tale stratagemma Salvio , Tinti i nemici ricuperò il suo campo, ed ottenuta una vittoria nobilissima ebbe •ssai grosso bottino. Degl1 Italici , e de’ Siculi non morirono nel combattimento che circa seicento per- sone : cosa che fu dovuta alla clemenza dell’ ordine da lui dato ; e si fecero prigioni quattro mila. Dopo tal fatto così felice , Salvio, concorrendo a lui sem­pre più gente, ebbe l’esercito duplicato; e potè met­tersi liberamente in aperta 'campagna. Perciò ripigliò l’assedio di Morgantina; e mandò bando che avrebbe data la libertà agli schiavi che in essa trovavcnsi. Ma come i loro padroni aveano offerto lo stesso patto , se fedelmente si fossero uniti loro in soste­nere 1’ assedio , quelli contando miglior partito que­sto, con tanto coraggio combatterono, che fu d’uopO a Salvio abbandonare l’ assedio. Siccome poi il pre­tore dichiarò poscia che considerava nulla la pro­messa fatta , ciò fu cagione che i più andarono ad unirsi ai ribelli.

Allora il contagio della diserzione si estese nei territorii degli Egestani, e de’ Lilibei, e vicini, ove la turba de’ servi venne a sollevarsi anch’essa, sotto

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fa condotta di Àtenione, uomo dì gran fortezza e cilice di nazione. Costui essendo fattor generale di due ricchissimi fratelli, e molta perizia avendo del- l’astrologia, primieramente trasse a sè quelli, ai quali soprastava, e furono circa dugento; poi anche i vicini, così che in cinque giorni ebbe intorno a sè più di mille persone. Dalle quali essendo stato proclamato r e , postosi il diadema sul capo, pensò di tenere una condotta differente da quella degli al­tri. Imperciocché non accettò egli tutti indifferente­mente i disertori ; ma trascelse i soli valorosissimi ; e gli altri obbligò a starsi ne’ primieri loro ufficii, e a diligentemente, ciascuno al suo posto, eserci­tare gl’ impieghi che aveano : con che larga copia di vettuaglia procacciarsi. Fingeva poi che già da prima gli Dei per mezzo degli astri gli avessero an­nunziato di dovere acquistare il regno di tutta la Sicilia. Laonde voleva che si avesse rispetto e al paese, e agli animali, e alle produzioni di esso co- me cosa propria. Finalmente messi insieme dieci e più mila uomini, ebbe 1’ ardimento di assediare Li* libeo , città inespugnabile : se non che riuscendo vani i suoi sforzi, abbandonò quella impresa, di­cendo così comandargli gli Dei ; e che se avessero perseveralo in quell’ assedio, sarebbe potuto succe­dere loro una certa grande calamità. E diedesi il caso che mentre accingevasi a levare il campo, entra­rono nel porto di Lilibeo alcune navi, che porta­vano in soccorso. degli assediati alcune scelte coorti di M auri, sotto la condotta di certo Goraone, il

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quale avendo di notte assaltate all9 improvviso le truppe di Atenione stanti tu tto ra negli steccati dei- r assedio ? molti uomini ammazzò , e molti ferì ; indi si ritirò in città. U qual fatto i disertori mise in al­tissima meraviglia, non dubitando che il loro re non ayesse veramente la prescienza delle cose, secondo che la rilevava dalla comtemplazione degli astri.

La Sicilia allora era caduta in una estrema con­fusione , e in una vera iliade di disgrazie. Chè non gli schiavi so li, ma gran numero d'uomini liberi af­flitti dalla miseria traevansi a commettere ogni ge­nere di rapine e di.delitti; e qualunque incontrassero, libero, o 'schiavo, onde non aver testimonio delle scelleratezze loro , senza ritegno trucidavano. Perciò quanti abitavano nelle città appena potevano far conto delle cose situa tè entro le mura ; e quelle eh’erano fuori d'esse guardavano come fatto bojttino di violenza, nè più tutelate dalle leggi. Così molti altri misfatti da molti commettevano audacemente contro ogni nome della equità e della umanità. In­tanto, quel Salvio conquistatore di Morgantina, pieno avendo delle incursioni sue tutto il paese fino al territorio Leontino , ivi radunò un esercito di scel­tissima gente, che sommava non meno a trenta mila uomini; e fatto sacrifizio agli eroi palici , per dimo­strarsi loro grato della conceduta vittoria , ai mede­simi consacrò una stola di porpora ; e da ribelli, poiché si era dichiarato re , veniva chiamato col no­me di Trifone. Fatto poi pensiero di occupare Trio- cala , e di porre ivi ia sua residenza , mandò ad

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Àteniooe, e come re lui capitano generale chiamò : onde tutti allora sospettarono, che Àtenione vo­lesse sostenersi nella dignità principale , così ehe nata tra. gli uni e gli altri ribelli fierissima discordia, facilmente -poi avesse da vedersi estinta la guerra. Ma la fortuna quasi a bella posta volesse accrescere le truppe de’ fuggitivi, fece che i loro principi si ac­cordassero insieme. £ infatti videsi Trifone rapida­mente giungere coll' esercito a Triocala , dove si recò pure Àtenione con tre mila de’suoi, ponendosi sotto gli ordini di colui cbme un capitano sotto quelli del monarca ; mentre le altre sue schiere avea mandate a scorrere! le campagne saccheggiandole, e a suscitare dappertutto i servi. alla ribellione. Per altro Trifone sospettando la possibilità che Àtenione gli voltasse le armi contro, non tardò molto a farlo imprigionare. Il castello poi di Triocala, altronde già forte , fortificò di più, e vi fece magnifiche fab­briche , chiamato di quel nome , secondo che è vo­ce , per contenere, in sè tre %«a « , o sieno bellezze. La prima è l’abbondanza di fontane d’acqua di dol­cezza squisita; la seéotida d’avere campagne intorno coperte di vigne, e di oliveti, e sommamente atte a dare mediante la coltura. ogni maniera di frutti ; e la terza di essere luogo fortissimo , quanto mai possa dirsi^ poiché stassi sopra una gran rupe, dalla natura fatta inespugnabile. Intorno a questa adun­que Trifone edificò la c ittà , di un circondario di otto stadii ; e . la cìnse di una profondissima fossa ; ed ivi collocò la sua residenza , essendo il luogo

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pieno di tatti i comodi della vita. V’inalzò pare un palazzo reale, e vi costrusse un foro capace di gran moltitudine di gente. Poi un numero sufficiente di persone più distinte per prudenza /trascelse , e lì costituì suoi consiglieri, dell1 opera loro servendosi nell7 amministrar la giustizia ; e quando egli era in quest'officio vestiva la toga pretesta, e la tunica del latoclavo ) facevasi precedere dai littori armati di verghe e scuri ; e tutte le cose che costituiscono, e rendono splendida la maestà reale diligentemente Volle osservate.

Il Senato romano finalmente scelse L. Licinio Lentulo per comandante supremo contro i disertori, dandogli un esercito di quattordici mila tra Romani, e Italici, a cui si aggiunsero di Bitinii, di Tessali, e di Acamani ottocento , e seicento di Lucani, ai quali comandava Clepzio , uomo distintissimo per scienza militare e per valore; ed altri infine seicento nov amente coscritti : così che in tutti erano dicias­sette mila. Con questo esercito adunque Lucullo oc* cupò la Sicilia.

Trifone, essendosi già Atenione discolpato, ado­perava quest'uomo a consigliere sopra la guerra che doveasi fare coi Romani. Suo intendimento era di atarsi fermo in Triocala, e di lì ribattere il nemico 5 per lo contrario pensava Atenion? non doversi essi lasciar chiudere ivi per assedio ; ma piuttosto com* battere in aperta campagna. E questa sentenza come migliore fu adottata, onde si andò a porre gli afe* campamenti presso Scirtea con non .meno di qua*

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ìofranta ipila uomini. Gli accampatoenti de’Romani non erano discosti che di dodici stadii’. Da prima adun­que gli scorridori d’ ambi gli berciti si abbaruffa­vano insieme continuamente: poi si venne a formale battaglia, nella quale come le cose andavano bilan­ciandosi , e morivano molti dall’ una parte e dal­l’altra, Àtenione con una schiera di dugento uomini a cavallo de’ più scelti intorno a sé fece de’ nemici gran macello; ma essendo rimasto ferito in entrambe le ginocchia, non potè combattere oltre: per lo che i suoi abbattuti d’animo si diedero alla fuga. Egli poi si mise tra morti come se fosse veramente estin­to ; e quando fu venuta la not(e salvossi fuggendo. Ebbero dunque i Romani una illustre vittoria, avendo obbligato alla fuga anche Trifone insieme coll’ eser­cito suo; ed uccisi molti de’fuggiaschi si trovò non meno di venti mila essere rimasti sul campo. Gli altri col favor delle tenebre si ripararono a Triocala ; quantunque, se il comandante romano avesse voluto inseguirli* avrebbe, potuto facilmente èstermiuarli af­fatto.

In tal frangente scoraggiati fu tra loro proposto di ritornare ai loro padroni, e di porsi alla discre­zione loro : però prevalse 1’ opinione di quelli, i quali stimavano,doversi combattere sino all’ ultimo fiato 9 nè abbandonare 1? propria salute all’ arbitrio de’nemici. Il comandante romano giunse il nono giorno sotto Triocala per assediare la piazza; d’ onde dopo molti fotti <J’ armi in cui ora gli uni ora gli altri perdettero gente, egli infine parti scornato. Con

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ciò il coraggio crebbe ne9 ribelli, non avendo Lucullo fatto contro loro nulla di ciò che pur far dovea, fosse desidia su a , fosse effetto di doni avuti. Per la qual cosa poi gli fu imposta la multa per risarei- 'mento ; e G. Servii io , suo successore nella impresa nulla pur fece anch’ egli che fosse degno di memo­ria ; onde , come Lucullo , processato , fu mandato in esiglio. Morto in quel frattempo Trifone , gli era nel regno succeduto Atenione, il quale ora espu­gnando la città , ora saccheggiando il paese , senza paura di Servilio, che non resisteva -, mise insieme ricchissimo bottino.

Finito l’ anno , fu per la quinta volta creato con­sole G. Mario insième con Aquilio; ed essendo stalo questi spedito contro i ribelli ; col valore suo dopo una grande battaglia li vinse; e venuto a misurarsi petto a petto collo stesso re dei" disèrto ri Atenione , combattè da eroe , e Y uccise, riportandone egli una ferita nella testa che gli lasciò il segno. Poscia si pose ad inseguire gli avanzi de’ servi ridotti a dieci mila; i quali benché andassero a ripararsi ne'luoghi forti , non sostenendone 1’ impeto in campagna aper­ta , in fine per la costanza 6ua, che nulla intralasciò onde conquiderli, caddero nelle sue mani. N’ era ri­masto un migliajo ancora condotto da Satiro, ed Aquilio da prima pensava di soggiogarli colle armi ; ma siccome essi si erano 'arrendati per mezzo di le­gati , sul momento rimise a questi la pena ; se non che condótti a Roma li destinò a combattere colle fiere. I quali , secondo che Yieù. ricordato , yollero

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m nobilissima maniera finir la vita: imperciocchò nulla si mossero contro le fiere ; ma dispostisi presso gli altari > a reciprochi colpi d’ armi s1 ammazzarono tra loro , e come Satiro ammazzò Y ultimo d’ essi che rimaneva vivo , con animo eroico voltò il ferro contro sé stesso \ e. dopo tutti gli altri così valoro­samente mori. Tale tragico fine ebbe la guerra ser­vile y che in Sicilia avea durato quasi quattro anni.

II.

Della superstizione de9 Romani.

Un certo chiamato Battace sacerdote della gran madre degli Bei da Pesinunte , città della Frigia , venne a Roma. Costui dichiarando esservi venuto per ordine della Dea y presentassi ai magistrati e al Senato dicendo : il tempio della Dea è contaminato; ed è necessario che a nome di Roma se ne faccia pubblica espiazione. Portava egli indosso abiti ed or­namenti inusitati affatto, e dalla moda de’Romani alie­ni : imperocché avea Ih testa una corona d'oro di straor­dinaria grandezza, e una stola sparsa come di fiori, intessuti di fili d1 oro , la quale ricordava la dignità reale. Ed essendosi messo a ragionare al popolo dai ro s tri, e gli animi del volgo avendo ripieni di sensi religiosi j fu decorato di ospizio pubblico , e lauta­mente trattato. Ma À. Pompeo, uno de'tribuni della plebe voleva che dimettesse quella corona ; e da un altro dei tribuni condotto sui rostri/m entre ve-

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n iva-domandato di render conto della espiazione cbe predicava , non rispondeva cbe cose piene di super- stizione. Accadde adunque cbe dalla fazione di Pom­peo ne fu cacciato non senza vilipendio: laonde trat­tosi al suo ospizio non si faceva veder più. Andava però dicendo, che non egli solo , ma la Dea stessa infamemente era stata con que9 ludibrii ed iniqui modi vilipesa. In quel frattempo ecco che all’improv­viso Pompeo vien colto da febbre ardente, e op­presso da angina perde la voce, e il terzo giorno muore. Fu opinione del volgo, ch’ egli venisse pri­vato di vita per certa provvidenza divina, atteso che avea tanto offeso e quel sacerdote e quella Dea. Nè è di dò meraviglia, poiché i Romani sono dediti alle superstizioni quanto mai possa dirsi. Laonde di poi a Battace fu conceduto di portare e l'abito reale e gli •rammenti sacri, che ambiva; e fu onorato con doni splendidissimi * e quando gli parve di partire da Ro­ma , fu accompagnato fuori da moltitudine d* uomini c di donne.

IH.

Di un uso degli eserciti romcrni.

Usavano 1 soldati v rom ani, se in nna battaglia data ai nemici di questi credessero essere restati morti più di mille seicento uomini, gridare il coman­dante del loro esercito imperadore, titolo che equi­vale a quello di fimviXtv* ossia re usato dai Greci (i).

( i ) Abbiamo in Tito Livio, che agl* Ispani, i quali salutavano

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ESTRATTI DAL LIBRO XXXVII.3 i f

t

Della guerra Morsica,.

La guerra Marsica ebbe tal nome dai primi che ribellaronsi ? vero essendo che tutti gli Italiani fecero quella guerra 3Ì Romani. La prima cagione della medesima dieesi estere stata questa, I Romani ab­bandonato il modesto , frugale e temperato modo di vivere , il quale a tanta grandezza li avea inalzati, si erano dati perdutamente ad ogni eccesso di lusso, di protervia. E questa corruttela avea fatto, che na» scessero gare e discordie tra .la plebe e il Senato £ e come poi questo sollecitava gl'italici a prestargli ajuto y promise loro in ricompensa, cfye li avrebbe dichiarati partecipi della cittadinanza, cosa da e$si vagheggiata j e fino allora in vano desiderata, ag­giungendo che l'avrebbe anemie fatta confermare per legge. Ma non fu poi loro mantenuta la promessa ; e perciò da essi scoppiò l'incendio della guerra coi Romani. Erano consoli di Roma L. Marcio Filippo , e G. Giulio; e correva l'olimpiade settantesima so­

re Scipione, quel grand’ uòmo rispose massimo essere per lai il ti­tolo d’imperadora, eoa cui i suoi soldati lo arcano salatalo! cha il come di re era graode altrove, ia Roma era intollerabile. Del rimanente i Greci chiamavano Stratega , autocratore 9 quello cha i soldati romani dicevano imperadore; e nqn fa che al tempo degli Augusti, che osarono il titolp di bastiti, re. E qui, come ia molti altri luoghi di questi Estratti si veda la mano di Foùo.

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conda dopo la cento; e varie stragi d'ogni maniera, e prese di città dall'ima parte e dall’ altra de'belli­geranti seguirono in quella guerra, inclinando ora da un canto , ora dall’ altro come a posta la vittoria £ nè mostrandosi mai costante .per un partito. Tardi però , dopo T esterminio di una moltitudine infinita, i Romani con grande difficoltà rimasti vittoriosi, si videro assicurato l’imperio. Erano contro loro in armi i Sanniti’, gli Ascolani, i Lucani, i Picentini, i Nolani, e le altre città e genti : tra le quali era Corfinio, città comune a tu tti, e di talita eccellenza, che dianzi gH Italici l’ aveano fatta il loro belvedere chiamandola -Colofone ; poiché oltre le altre cose che stabiliscono grande una città , e ne assicurano l’ imperio, v’ a- veano costruito un foro amplissimo e una curia ; e un immenso deposito di ogni cosa appartenente alla guerra e gran tesoro di denaro, e vettuaglia amplis­sima. Oltre ciò vi aveano stabilito un Senato di cin­quecento soggetti, da cui cavavansi quelli che fossero degni de’ sommi magistrati della patria, ed aver do­vessero a consigliare sulla comune salvezza. Perciò sono essi quelli ai quali è raccomandata la direzione della guerra , e a que' senatori affidano la somma podestà sopra tutti. Ora da questi fu sancita la leg­ge , che ogni anno si creassero due consoli > e do­dici comandanti dell'esercito. Erano allora consoli Q. Ponipedio Silone, di nazione inarso, uomo prin­cipale tra i suoi, e l'a ltro era sannite, di nome G. Aponio MotuJo , primo aneli’ egli nel suo paese per gloria, ed imprese. Avendo questi divisa tutta Tlta-

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Ila in due parti, ne fissarono ciascheduna ad un console. A Pompedio diedero il paese dai così detti Cercoli (i) fino al Mare Adriatico, e i tratti volgenti all’occaso e al settentrione gli attribuirono con sei capitani. Il rimanente d’ Italia verso mezzodì e le* vante diedero a Motulo, assegnatigli altrettanti pre­fetti delle truppe. In questo modo saviamente dispo­ste le cose, e per dir tutto, ordinato il loro imperio come quello de’ Romani, con Intenso impegno atte- sero indi alla guerra ; e quella città dichiararono comune a tutti gli Italici. In quanto poi alla guerra essi la fecero con tale polso ed ingegno•che per la massima parte furono superiori a7 nemici, fin tanto che Gneo Pompeo fatto console} e supremo capitano in essa, e Siila, legato di Catone , che era 1’ altro console , sconfitti parecchie volte gl’ Italici, li strin­sero a modo che tolsero loro tutte le forze.

Però kr guerra pur durava ancora ; se non che mandato G. Osconio comandante generale in Japi- g ia , tjue’ che la sostenevano parecchie volte furono sconfitti. Per lo che da tanti danni oppressi, e ri­dottisi a pochi abbandonarono la loro città comune, Corfinio , poiché i M arsi, e le genti vicine erausi già acconciate co’ Romàni, e di consenso comune

(t) Sarebbe difficile farsi una retta idea del paese che qui si è •voluto descrivere. Nissuno sa dove fossero questi Cercoli. L . Or- telio lo suppone nella Gallia togata : ma con qual fondamento P e con qual proposito? È bene ricordassi, che F'otio scriveva la sua Biblioteca cercando le poste. Quindi ne derivarono le molte inesat­tezze che trovansi ne*suoi Estratti, e spezialmente il molto ài suo che affibbia agli autori, della cui opere parla.

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trasferitisi a soggiornare in Esernia, città de’ San­niti , si crearono cinque pretori, ad uno de' quali principalmente, cbe fa D. Pompedio Silone, per la virtù e gloria acquistatasi nel condurre la guerra, affidarono il comando supremo. Questi adunque di aecordo coi pretori mise insieme un grande esercito, clie compresi i veterani fu di trenta 'mila uomini ; oltre questi chiamati a libertà gli schiavi , e come l’opportunità chiedeva, armati, di questi radunò un coipo non minore di venti mila; ed ebbe ancora mille uòmini. a cavallo ; e con tali forze venuto a battaglia coi Romani comandati da Mamcrco, po­chi ammazzò di questi, * e de’ suoi perdette più di mille seicento.

Nello stesso tempo anche Metello nell’Apulia espu­gnò Venosa, città di chiaro nome , nella quale era grosso presidio, e fece più di tre mila prigionieri. E già le cose de’ Romani ivano sempre più guada­gnando «entro i nemici, quando gl’ Italici, spediti legati a Mitridate, re di Ponto, allora salito in gran nome pel grosso esercito che avea, e per l’ampiissima provvigione d’ ogni cosa opportuna alla guerra , in­vitarono ad invadere l’ Italia per opprimere i Ro­mani : poiché di tale maniera appunto avrebb’ egli potuto rovesciare la loro fortuna. Mitridate rispose che così avrebbe fatto subito che gli fosse riuscito di sottomettere l'A sia, che era ciò a cui egli allora era inteso (i). Ond’è , che gli Italici caduti di spe-

(i) È notabile cosa» ohe nessun altro scrittore ci abbia lasciata notizia di questa particolarità* Ed «sta poi è notabilissima à se si lega

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ranza e di forze trovaronsi in grande afflizione. Ri­manevano per anche pochi Satiniti, e Sabollii, riti­ratisi in Nola y ed oltre questi Lamponio e Clepzio ? che comandavano agli avanzi de’ Lucani.

Laonde sopita quasi affatto la guerra marsica, le sedizioni intestine di Roma , nate prim a, di nuovo scoppiarono , poiché molti fra i nobili ambivano a gara il comando contro Mitridate y allettati a'ciò dai grandi guadagni che ne speravano. Imperciocché G, Giulio (i) , e G. Mario che era stato sei volte con* sole, sei contendevano a vicenda ; e la plebe era divisa fra le due parti. Ma fermentavano intanto se* mi d'altre discordie. Imperciocché Siila console, par­titosi di Roma portossi alle truppe congregate presso Nola, e messo avendo spavento in molti de’ vicini popoli, li obbligò ad arrendere sé stessi e le città. Ed avendo preso egli il carico della spedizione in Asia contro Mitridate, e Roma essendo piena di tu­multi e di stragi , M. Aponio e Tiberio Clepzio , ed aggiungasi Pompedio, pretori dei rimanenti Ita^ lic i, che allora stavano nel paese de1 Bruzii, misero P assedio a Tisia (2) città forte. Ma essi vi stettero

con quanto nelle meno antiche storie italiane reggiamo rammemo­rato. Ciò che fece Lodovico il Moro eccitando Carlo V i l i a con­quistar Napoli non k di molto diverso da quello che tentarono I caporioni della lega italica invitando M itridate.

(1) Questo G. Giulio fu Cesare Sirabone, il quale essendo pu­ramente Edile, senza passare per la pretura , voleva essere console. Gli si eppose il tribuno della plebe Sulpitio , gran partigiano di Mario. Lo Strabane fini coll’ essere ammazzato.

(2) Nel nome di questa città ho seguito il Vesselingio, nè A»iat nè Isia città conoscendosi nell1 antica Italia per alcun altro scrit­tore 5 e il testo di Diodoro essendo sospetto».

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sotto lungo tempo, nè potevano pigliarla : lasciatavi una parte dell’ esercito , coll’ altra andarono ad as­saltar Reggio , sperando che se potessero imposses­sarsene , trasportate facilmente le loro truppe di là in Sicilia j avrebbero ridotta in loro dominio quel- l ’isola, fra quante sono sotto il sole beatissima. Ma il pretore di Reggio G. Urbano, fattosi coraggiosa­mente' innanzi con grand’ esercito, e con ogni treno di guerra , in tanta apprensione pose gl' Italici, che venne a liberare dal pericolo la sua città. Poi scop­piata la discordia tra Siila e . Mario , altri all’ uno , altri all’ altro aderivano. I più nella guerra perdet­tero la vita , e quelli che rimasero si aggiunsero a Siila ; e così la guerra marsica, la quale fu vera­mente grandissima , restò insieme colla interna sedi-, zione finalmente estinta affatto.

IL

Guerre civili de9 Romani.

Era già la guerra marsica finita totalmente quando di nuovo nacque in Roma una grande sedizione do­mestica , gli autori della qnale erano Siila , e G. Mario ancor giovine , figliuolo di Mario che sette volte era stato console, fri quel moto molte migliaja d’ uomini perirono; ma finalmente la vittoria fu di Siila , e fatto dittatore , chiamossi Epafrodito, che vuol dire, caro a Venere; nè s’ ingannò dandosi un tal nome quantunque pieno di arroganza superba:

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irrfperciocchè dopo aver vinte tante gueiTe morì pia-* cidamente. Mario al contrario, quantunque con ge­neroso animo combattuto avesse da par suo* contro Siila , sconfitto in fine , dovette ripararsi in Prene- ste con dieci mila e seicento uomini; ove chiuso ,per lungo tempo sostenne in vero l’ assedio, ma final­mente abbandonato da tutti, non veggendo più strada alcuna di salvarsi, onde togliersi a tanti mali che il pressavano, si vide costretto ad implorare la mano soccorrevole di uno de’ suoi servi più fedeli. Il quale a gi ande stento acconsentendo al tristo officio , con un solo colpo di spada levò il suo padrone di vita ; indi ammazzò sè stesso. Allora finì «Juella guerra ci­vile. Gli avanzi poi della fazione di Mario combatte­rono ancora per qualche tempo con Siila, sinché terminarono distrutti come gli altri.

Ma tolti di mezzo questi, tra Pompeo, a cui la grandezza delle imprese fatte pei Romani, parte sotto la condotta di Siila, parte per disposizione propria, fece acquistare il nome di Grande, e G. Cesare, tanta discordia nacque, che i Romani trovaronsi di nuovo costretti a stringere le armi contro sè stessi, e ad involgersi in crudeli stragi e carni6cii*e. E poi­ché Pompeo , toccata insigne ro tta , perdette quante forze avea, e morì trucidato presso Alessandria, il potere amplissimo de’ consoli, già ridotto in ultimo a stretti termini, tutto passò nella dominazione del solo Cesare; e così ebbe allora fine la sedizione. Ma trucidato esso , nuova civile guerra si mosse contro Bruto e Cassio, uccisori di Cesare, guerra che fe­

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cero congiunti insieme i tre consoli Lepido , ed Antonio 9 ed Ottaviano. £ poiché. vinti Cassio e Unito y e tolti di v ita , per la forza con cui si com­battè , quella guerra fu finita, un1 altra non molto dopo ne sopravvenne, scoppiando aperta per la gara di primeggiare, che Augusto e Antonio aveano in loro secreto conceputa. Finalmente 1’ imperio restò ad Augusto dopo essersi sparso assai sangue dall’ una parte e dall’altra: e il supremo potere conservò egli per tutta la sua v ita, avendo già il magistrato con­solare perduto il suo grado e il principato suo (i).

ESTRATTI DAL LIBRO XXXVIII.

L

Accordo tra Cirma e Mario.

Cinna e M ario, Congregati i principali capitani, esaminarono insieme come potessero venire a pace ;

(i) Apertamente si vede, che Fozio ha messo del suo in questo articolo., essendo certo che Diodoro non condusse le sue storie se non fino alla olimpiade eentottantesima. £ di mal garbo poi fece qui Fozio raggiunta di ciò che riguarda ]e cose seguite sino alla morte di Augusto, mettendole in un Estratto del libro XXXVII quaudo nel seguente parla di cose seguite assai prima, siccome Ognuno può vedere. Si vede di più che ha scritto con molta ine­sattezza , poiché è certo , che quantunque Augusto traesse a sè il sommo potere, non tolse però al magistrato consolare il suo grado: cbè ansi fu sua furberia lasciare gli ordini di Roma , almeno in apparenta, quali erano dianzi, onde non mostrare «Uà moltitudine eh* egli rovesciasse la repubblica.

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e in fine fa convenuto di togliere di mezzo i più nobili de’ nemici, i quali avessero potuto muovere pretensioni di avere il supremo comando ; e a tale risoluzione inclinarono onde con tale operazione si­curamente e ad arbitrio loro governare insieme cogli amici la cosa pubblica. Quindi non avuto alcun ri­guardo alla fede *e ai patti giurati innanzi a titolo di riconciliazione fecero dappertutto eseguire il macello di quelli cbe aveano proscritti. Accadde allora che Q. Lutazio Gatulo, il quale aVea splendidamente trionfato de’ Cim bri, ed era carissimo ai cittadini, da un tribuno della plebe fu chiamato dinanzi al popolo in giudizio capitale. E veggendosi egli in sommo pericolo d’ essere calunniato, andò da Ma­rio , pregandolo che volesse soccorrerlo. Mario gli era stato dianzi amico ; poi per qualche sospetto gli si era alienato. Secca fu la risposta: bisogna morire, gli disse. Per lo che Gatulo , perduta ogni * speranza di salvezza, cercando di morire senza ignominia, scelse un modo di finir la vita , singolare affatto ed inusitato. Imperciocché si chiuse in una casa di fre­sco incrostata, ed ivi fatto avendo col fuoco e col fumo maggiore lo svaporamento della calce, perduta la respirazione morì soffocato.

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EGLOGHE DEL LIBRO XL.3 2 0

i.

Origine de Giudei.

Essendo noi per iscrìvere la guerra contro i Giu­dei , pensammo essere del debito nostro , prima di tutto esporre compendiosamente F origine di quella nazione, e le leggi loro. Nota essendo in Egitto una certa malattia pestilenziale, la maggior parte degli àbitanti disse che la cagione di tanto male sicura­mente era l’ offesa del nume. E come un miscuglio di molti forestieri abitavano nel paese, aventi nei ministerii delle cose sacre e ne1 sacrifizii liti singo­lari e stram i, era accaduto che 1’ antico culto degli Dei sofferta avea presso d’ essi diminuzione. Quindi gl’ indigeni si trassero a sospettare, phe se non dis­cacciassero quella ciurmaglia di forestieri , essi non sarebbonsi più liberati dai mali che soffrivano. Adun­que furono solleciti di cacciare quanti erano nel paese d’altre nazioni. Una parte di questi nobilissi­ma , e sopra le altre per bravura prestante, sotto la condotta di egregii capitani andò* secondo che dicesi, in Grecia, e in altri luoghi, spintavi da va­rie vicende ; ed erano tra que’ capitani Danao , e Cadmo fatti di chiarissimo nome. Un’ altra parte , e la maggiore, fu cacciata^uella terra* oggi chiamata Giudea, non molto in vero lontana dall’ Egitto ; ma a que9 tempi deserta affatto. Di questa colonia fu

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Sarcapo un certo Mosè, così chiamato; uomo eccellen­tissimo per sapienza e fortezza. Costui occupato quel paese, vi fondò molte c ittà , e fra le altre quella che oggi è chiarissima, Gerosolima ; e vi edificò un tempio , in somma venerazione presso loro : poi in* «egnò con che riti e cerimonie doveasi onorare il

nume; ed inoltre ordinò con leggi tutto lo stato della repubblica. In dodfci tribù egli divise la moltitudine, perchè riteneva un tal numero perfettissimo come quello che corrisponde ai mesi che costituiscono Fin­terò anno. Ma non fabbricò egli veruna immagine o statua degli D e i, giudicando, non potersi Dio espri­mere sotto umana form a, e Dio solo essere code­sto cielo che da ogni parte abbraccia e circonda la te rra , ed ha in poter suo tutte le cose. Cosi poi istituì i riti -de’ sacrifizii, e i costumi della vita, che volle i suoi differenti da quelli di tutti gli altri po­poli ; perciocché per quella relegazione che la Sua gente soffrì, le ordinò un certo genere di vivere inumano ed inospitale affatto ; e a governarla , poi­ché l’ebbe ridotta in corpo di nazione , scelse^ uo­mini valentissimi, e li creò sacerdoti. L’ incombenza loro è di essere continuamente applicati alle funzioni di culto , e ai sacrifizii ; e diede pur loro d’ essere •i giudici (li tutti i litigi : ed alla fede loro commise di custodire le leggi,, e le instituzioni. Perciò dico­no , che i Giudei non ebbero mai re ; ma tutta la cura e 1’ autorità di governare la moltitudine essere sempre stata affidata a quello tra i sacerdoti1, che per prudenza e virtù fosse più riputata degli altri.

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Hanno poi questo come nunzio ed interprete dei comandi di Dio; lui nelle concioni pubbliche, e ne* gli'altri congressi proclamarne gli ordini; dicesi a questo riguardo cosi essere educati i Giudei, che al comparir del pontefice immantinente prostrati a ter* ra 9 mentre rivela loro gli oracoli di Dio , profonda­mente adorano. In testa poi delle leggi è scritto : M osi , UDITORI DI Dio , Dicy AI GlQDEl QUZSTB COSE.

Il legislatore molta penetrazione, e prudenza insigne pose intorno alle cose della guerra; e i giovani mi­rabilmente istruì ond’ essere tolleranti, valorosi, e costanti in sofferire ogni specie di miseria. Fece pure varie imprese contro le nazioni circonvicine; e molti tratti di paese colla guerra acquistò, lasciati da pos­sedere per eredità a’ suoi : così però che ai privati distribuì porzioni uguali ; ma le assegnò maggiori ai sacerdoti, onde ne traessero più abbondanti proventi, e così potessero senza distrazione alcuna assidua- mente attendere alle cose di culto. Nè potevano i pri­vati vendere la porzione del patrimonio toccata loro, affinchè non vi fossero tra il suo popolo quelli, i quali fatti più ricchi per l’ acquisto delle eredità al­trui , sopraffacessero i poveri, e riducessero la na­zione alla miseria. Fece pure che si educassero bene i figliuoli ; e come con poca spesa i fanciulli api- punto si mantengono, la nazione de’ Giudei sempre ebbe moltitudine d’uomini. In quanto concerne a’mft- trimonii e a’ m ortorii, differenziò pure d’ assai coHe leggi i suoi dagli altri. Sotto gl1 imperii, che nella susseguente età torsero, nella quarta dominazione"

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de1 Persiani, e in quella de’ Macedoni, che la do- minazione de7 Persiani rovesciarono, essendosi i Giù* dei frammisti colle nazioni forestiere } molte cose delle leggi avite mutarono (i).

(1) Uoa folla di Mrudki ha io varii modi ragionato sapra quasi» Estrailo di Diodoro. La prima cura loro» é quella di avvertirci» che nel riferire le institnstoni e leggi giudaiche Diodoro lia cùm* messa grande confusione, inesattezza, bugia. Nè a’ fanciulli nostri » che di leggieri conoscano la storia dell’aatico Testamento» ciò sfugge « Discendono poi a* particolari ; ed è incredibile il nnmero degli scrii? tori che citano, e delle cesa che dicono e disdioono. Ma baan» omessa cosa , la qturie « parer mio è principalissima, e cbe piò di tutte importerebbe chiarire. Essa è la seguente* Diodato compì-* landò questa sua Biblioteca mise a contribuzione quanti antichi s rici conoscevansi a* suoi tempi. Il vediamo p. e. sfiorare a CVarfa* e Maneten* , ed JEomtoo > e SamonitUore $ e .Bereo » ed Erodoto , a Tucidide , e Sonofofue, ed Annusimene t e Teopompo , ed Aimni , e Clitarco , e Tim eo, e Calli a , e D illo , e Sosilo , e Poitidmnio* e milanta, de' quali lunghissimo sarebbe il catalogo, se qui volesse darsi. Di più sappiamo, che andò espressamente in Egitto, non solo per consultare i sacerdoti di quel paese, che aveano archi vii pieni di antichissime notizie, ma per frugare nella famosa Biblioteca alessandrina , sì ricca , dicesi, di libri d1 ogni maniera. Ebbene : ha voluto parlare de’ Giudei ; e non erano essi al certo indegni di entrare per argomento in una storia universale : perciocché aveano una grande città ; erano vicini all’Egiuo; e soprattutto notati da tutti per le singolari loro institusioni j e non era molto tempo che Pompeo avea combattuto, preso, e condotto in Roma uno dei loro re , Arisiobolo. Ma per parlare d'essi aveva un'ovvia e pienissima comodità consultando la loro Storia , la quale certissimamenfe era depositala nella Biblioteca alessandrina, dacché Tolommeo Filadeìfo ne fece fare la traduzione a tutti nota sotto il titolo dei Settanta. Ora come é egli, cbe Diodoro non ha consultati per nulla i libri dei Giudei? Bisogna confessare che questo fatto ha in sé una certa sin­golarità, la quale merita attenzione. Non trattasi di un iracondo e superbo romano, come Tacito , che può avere sdegnato- di cercare

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libri greci compilando sotto il nome di Annali le sue satire eontre i Cesari : il quale quantunque avesse pur avuto bisogno di cono­scere e la traduzione dei Settanta , fe le opere di Giuseppe Flauto, per esattamente parlare de* Giudei ruinati da Vespasiano , e da T ito , si couieniò di fermarsi a tradizioni informi e' contradditorie', quando volle toccare Porigine loro* Ma d’ altro carattere fu Dio­doro , d* altra diligenza il veggiamo preso ; e mentre per le strade e (Mazze d* Alessandria trovasi ogni giorno in necessità d'urtarsi con migliaja di Giudei, cbe in più di cento mila abitavano quella città; mentre visitando gli scaffali della Biblioteca ha sotto le mani i vo­lumi , che comprendono la storia di quel popolo ; per parlare d'essi, dèlie origini, e delle institozioni e leggi loro, finisce col riposarsi • chi meno li avea conosciuti. Potessimo almeno d ire , che rigettò come una screditala leggenda quel codice*. Sapremmo almeno eh*egli lo aveva veduto ; e del giudizio suo sul medesimo giudicheremmo come meglio ci parrebbe. Ma niun leggerissimo indizio ci è dato eh* egli il conoscesse. E come noi dovesse conoscere forma il sog­getto della quistione che promoviamo. Noi ci siamo limitati ad ac­cennarla . Altri, eh4abbiano più tempo di noi» It risolveranno. £ di ciò basti.

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F R A M M E N T I

CHE RIMANGONO DEI LIBRI POSTERIORI AL XX

DELLA BIBLIOTECA STORICA

D I

DIODORO SICULO

I QUALI IN ALCUNE EDIZIONI

TANNO SOTTO IL TITOLO DI r ig u a r d a n t i

LE VIRTÙ’ E I V IZII.

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FRAMMENTI DEL LIBRO XXL

L

Di Antigono re.

I l re Antigono di uomo privato tratto alla condi* ^ione reale quantunque fosse giunto ad essere po* tentassimo fra i principi della età sua , non potè te­nersi contento dello stato acquistato, ma volle senza ragione alcuna occupare anche il principato degli altri ; e finì con perdere il regno proprio y ed inoltre la vita.

II.

Di Agatocle.

Agatocle avendo saputo che 1 Liguri e i Tirreni in assenza sua aveano sediziosamente domandato a suo figliuolo Arcagato gli stipendii, li fece trucidar tutti in numero circa di due mila.

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328.n i.

Prudenza dei Traci.

I Traci ; eli e preso aveano in battaglia Agaftocle figliuolo del re Lisimaco , lo rimandarono con pre­senti al padre : col qual fatto vollero procacciarsi un presidio per gl’ incerti casi della fortuna, e sperando insieme di ricuperare senza altri sacrifizii per quell’atto cortese il loro territorio da Lisimaco occupato. Aveano essi già perduta la speranza di potere mai essere vin­citori , vedendo tanti e sì potenti re collegati insieme ajutare Lisimaco.

IY.

Prudente generosità di Dromicaete.

Dromicaete , re de’ T raci, avendo fatto in batta­glia prigioniero Lisimaco, lo trattò con ogni genere di umanità, l’ abbracciò , il baciò ; e chiamandolo padre , il condusse co’ figliuoli nella città chiamata £ l e . . . . .

£ come i Traci affollatisi in turba gridassero e domandassero che il re preso' in battaglia fosse con­dotto in presenza lo ro , e venisse uceiso, preten­dendo essere giusto che il popolo che avea sostenuti i pericoli della battaglia , disponesse de’ nemici presi a suo talento ; Dromicaete fattosi innanzi disse loro essere dell’ interesse pubblico il conservare sano e salvo quel re : perciocché quando fosse stato ucciso

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«ubilo gli altri re avrebbero occupati gli stati di Lisi­maco; e più dì lui sarebbero stati forse da temersi. Al contrario essendo stato conservato in vita sarebbesi veduto obbligato del benefizio ai Traci ; e così sa- rebbonsi senza pericolo ricuperate le castella che state erano del dominio'de’ Traci. Delle (piali ragioni essendosi i Traci capacitati, . Dromicaete fece ricer* care tutti gli amici e ministri di Lisimaco quanti tro* vavansi fra i prigionieri, ed a Lisimaco li condusse. Poscia celebrato agli dei un sacrifizio solenne , Lisi-* ' maco con tutti gli amici suoi3 ed insieme i princi­pali fra i Traci invitò a céna ; e preparate due mense, i letti di quella eh’ era destinata a Lisimaco, apparò con reali coperture prese nella battaglia , e per sè , e pe’ suoi serbò uno strato vilissimo. £ si­milmente alle tavole di Lisimaco fece servire lautis­sime e delicate vivande d’ ogni genere in vasellame d’argento ; e pei Traci e per sè destinò erbaggi, e carni parcamente condite, presentate sopra nude tavole di legno. Finalmente a Lisimaco e agli altri eh’ erano con lui ? fece dar vino in tazze d’ argento e d’ oro ; ed a sè e a’ suoi in vasi, ’ secondo il co­stume de’ G eti, di legno e di corno. Inoltrato poi che fa il pasto empì di vino un gran corno , e vol­tosi a Lisimaco il padre ? il domandò quale paresse a lui cena più reale , la tracia, o la macedone. Ed avendo Lisimaco risposto piacergli più la mace- ' done .. . (i).

(i) Il re»to è perduto ; e dal solo libro VII* di Strabono può rac­cogliersi qualche idea della risposta di Lisimaco. Questi poi fu man-

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y.

Clemenza generosa del re Demetrio.

Demetrio avendo obbligate ad arrendersi anche tutte le altre città, trattò i Beozii con clemenza t

magnificenza insieme: perciocché fuor di quattordici, i quali erano stati i capi della ribellione, a tutti gli altri perdonò.

VI.

Di Agatarco.

Agatarco era forte ed ardito sopra quanto Peti sua comportava ; essendo egli assai giovine.

m

Perchè Timeo scrivesse male di Agatocle, e Callia bene.

Timeo , che degli antecedenti scrittori di storia fu censore acerbissimo nelle altre parti della storia sua fu j non v’ ha dubbio, diligentissimo. Parlando però di Agatocle, siccome assai P odiava, molte cose gli attribuì da lui supposte. Era egli stato da Agatocle esigliato dall’ isola ) nè potè vendicarsi di quel si­

dato libero tosto che renne formata la pace, per la quale Lisimaco accordò a quel re la parte di Torcia che è posta al di là dell* Istxo, a una saa figliuola in isposa.

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gnore finché vivea : ma poscia che fu morto con ogni genere d’ impvoperii ne lacerò la fama, calun­niandone la memoria presso la posterità. Ché ai vizii, che quel re ebbe , molti n’ aggiunse di sua • inven- «ione ; e in generale cercò di ridurre a niente le belle imprese di lui ; e le disgrazie, che Àgatocle ebbe, voltò a colpa sua, non eccettuandone nem­meno quelle che .furono pure effetto del caso. E mentre è manifesto a tutti che Àgatocle fu valenti** simo di consiglio nelle cose militari, e che ne’sommi pericoli ebbe industria ed ardire mirabile 5 egli in tutta la storia non cessa di chiamarlo ad ogni tratto insensato e poltrone. E intanto chi non sa niuno mai esservi stato che con sì pochi mezzi, quali erano quelli di Àgatocle, giugnesse a procacciarsi tanto dominio ? Il quale fin da ragazzo per lo stato suo poverb ed oscuro avendo dovuto fare P artigianello , poscia colla sua virtù non la signoria sola di tutta la Sicilia acquistassi, ma colle armi sottomise la massima parte d’ Italia e d’ Africa. Ma ognuno no­terà la leggerezza di Timeo, il quale mentre quasi ad ogni pagina àlza al cielo con laudi la fortezza de’ Siracusani, afferma poi tm inettissimo uomo es­sere stato colui che i Siracusani domò. Da codeste cose pertanto fra sè contrarie di tal maniera mani­festamente apparisce, che Ttmce tradà per privata passione la verità, di cui ogni storico dee essere cultore diligentissimo. Per lo che gli ultimi suoi cinque lib ri, ne’ quàli comprese i fatti di Àgatocle,

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a giusta ragione non saranno mai applauditi da nissuno (i).

Ma di simile rimprovero è degno giustamente an« che Callia siracusano ; il quale. essendo stato da Agatocle arricchito, e con grande baldanza avendo spacciato essere la storia fedele riportatrice della ve« r ità , nella storia sua non finì mai di lodare il suo donatore.' Imperciocché mentre si sa che Agatocle in molte cose fu violatore manifesto d1 ogni diritto di* vino ed umano, Callia lo dice prestantissimo sopra tutti in pietà e in umanità. E siccome Agatocle i beni violentemente tolti a1 cittadini , senza alcuna ragione regalava a codesto scrittore, così codesto scrittore di annali ne’ suoi libri accumulava tutte le possibili lodi di quel re. È intanto mio parere, che non sarebbe stato difficile corrispondere colle lodi a’benefizii che s’erano ricevuti.

Vili.

Ospitalità de Messemi tradita.

I soldati conduttizii essendo per convenzione fatta partiti da Siracusa, furono dai Messemi accolti come amici e sodi. E mentre dai cittadini vennero presi ospitalmente nelle case, di notte gli ospiti loro tru­cidarono , ed occuparono quella. città , ■ toltesi per loro le mogli di quelli.

fi) Ciò che di Timeo dice qui Diodoro, è autenticato da Polibio* Glie Diodoro sembra avere voluto seguire.

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IX.333

Generosi sentimenti di Seleuco verso Demetriof

Mentre Demetrio tenevasi imprigionato in Pella , Lisimaco mandò legati a Seleuco per dirgli , che non volesse fargli levar dalle mani un uomo ambi­ziosissimo, i r quale avea tese insidie a tutti i re 5 e promise di dare due mila talenti, se taluno lo fa­cesse uccidere. Ma il re Seleuco aspramente rimpro­verò que’ legati, come quelli che venivano a solleci­tarlo non solo a rompere la fede d a ta , ma anche a commettere tanta scelleraggine contro un uomo che gli era strettamente congiunto. Però scrivendo ad Antioco suo figliuolo, il quale era nella Media, il consultò su quello che s’ avesse a fare di Demetrio \ avendo seco stesso deliberato di levarlo di prigione e d i ricondurlo splendidamente al regno che dianzi avea. Del qual benefizio volea che in parte si do- vesse grazia ad Antioco stesso, come quello che avea in isposa Stratonica figlia di Demetrio, e dalla quale avea figliuoli.

FRAMMENTI DEL LIBRO XXII.

Perfidia di Decio tribuno Campano.

-Essendo stato dai Romani mandato presidio a Reg­g io , Decio tribuno , Campano di razza, uomo di audacia ed ambizione singolare, volle imitare la per-

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fidia de’ Mamertini. Imperciocché come quelli accolti amichevolmente dai Messemi, ne occuparono la città, e scannatine tptti i cittadini entro \ proprii la ri, si presero a mogli le donne de1 loro ospiti, e si fecero padroni dei beni de’ medesimi ; così i soldati cam­pani , a’ quali insieme con Decio era stata dai Ro­mani affidata la custodia di Reggio, con perfidia si­mile , tutti di quella ciità uccisero ; e divisine tra loro i beni ne occuparono la città ancora, non di­versamente che se l’ avessero presa in giusta guerra. Ma il comandante del presidio, Decio , avendo ven­duti i beni di que’ miseri , e diviso avendo di mala fede la somma che se n’ era cavata, fu dai Campani suoi complici nella scelleragginé cacciato di Reggio. Tutti poi in fine pagarono il fio della loro perfidia: Decio , preso da gravissimo mal d’ occhi, chiamata a curarlo un medico assai celebre , nativo di quella c ittà , costui per vendetta della ingiuria fatta alla sua patria , gli mise sugli occhi un cataplasma di canta­ridi , e così accecatolo si fuggì quanto più presto potè a Messana.

II.

Conversione di Fintia.

Fintia opprimendo con acerba dominazione i suoi concittadini, ed ammazzando molte ricche persone, incominciò per la crudeltà sua ad essere in odio ai suoi sudditi. Quindi trovandosi tutti dispostissimi a sollevarsi, poiché si vide in imminente pericolo,

334

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prese un diverso modo di governare, e datosi ad essere clemente, contenne i sudditi in divozione.

III.

Di Tolommeo re di Macedonia.

Tolommeo re de9 Macedoni era assai giovale di e tà , e per nulla esperto nelle cose della milizia : oltre ciò era d7 indole leggero e temerario •, nè pro­vedeva a nissuna delle case, a cui pur era d’ uopo* provvedere. Perciò consigliandolo gli amici ad aspet­tare le soldatesche ausiliari, che non erano per anco giunte , trascurò quel suggerimento (i).

IV.

Di jÉpollodaro tiranno.

Àpollodoro affettando la tirannide, e volendo con­solidare la congiura, chiamato a sè un giovinetto dei suoi cortigiani per pretesto di un sacrifizio, lo im­molò agli D ei, e ne diede le viscere a mangiare ai congiurati ; e diede pur loro a bere il sangue di lui gioito nel vino. (2)

(1) Questi è Tolommeo Cercamo, il quale ucciso Selento fu dal­l 'e s e r c i t o gridato in Lisimachia re di Macedonia; ed avendo per due anni regnato con assai crudeltà , fu dai Galli T in to in battaglia e d

ucciso.(a) Il giovinetto immolato da Jpollodoro chiamavasi Calamela.

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Il medesimo avendo armati i G alli, e fattiseli amici a forza di grandi doni, ebbe in coloro satel­liti fid i, e per la naturale loro fierezza ministri pronti ad ogni mal fare ; e confiscati i beni dei ricch i, mise insieme una grande quantità di denari. Poscia voltosi a sevizie e a cupidigia, incominciò a strappare de­naro dai cittadini, e parecchi uomini e donne forzò con tormenti a portargli tutto l’argento e Toro. Ser- vivasi costui per indicatore e fattore nelle sue ribai- •derie di Gallifonte Siculo , il quale aveva praticato

•nella corte di molti tiranni della Sicilia.

V.

Sacrilegio de Galli lasciato impunito da Pirro.

Pirro avendo saccheggiato Egea, la quaV era la residenza dei re macedoni, vi lasciò un presidio di G alli, i quali avendo da alcuni udito come ne1 se­polcri de9 monarchi, secondo l’ uso antico , erano state riposte grandi ricchezze, scavate tutte le tombe, se ne divisero i tesori trovati ; ma ne dispersero le ossa e le ceneri. Il qual misfatto dispiacque a Pirro ; ma lo lasciò impunito perchè avea bisogno dell’ o- pera di que7 barbari.

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FRAMMENTI DEL LIBRO XXtIL33 7

I.

Dell9 arroganza di Attilio Regolo*

Io penso essere debito dello Storico il notare di­ligentemente gli studii e i costumi , -qualunque sieno buoni o cattivi, di coloro che hanno il coniando militare. Perciocché nel rimprovero degli altrui de­litti gli altri ritraggonsi da quelle colpe ; ed all9 op­posto per la lode delle belle azioni gli animi soglionsi eccitare alla virtù. £ chi non biasimerà fortemente l’ imprudenza arrogante di Attilio Regolo , il quale la prospera fortuna non potendo sostenere , come se fosse un peso gravissimo ? sè stesso privò del frutto di gloria splendidissima, e la patria mise in gravis­simi pericoli ? Imperciocché, potendo costui procac­ciare al popolo romano una pace gloriosa, e obbligare a vergognosi e vili patti i Cartaginesi, ed acquistarsi presso tutti massimo vanto di clemenza e di uma­n ità , contò per nulla tutte queste cose ; ed insul­tando superbamente alla calamità degli afflitti, tali condizioni di pace impose , da muovere a sdegno il nume , e forzare i vinti colla implacabile acerbità sua a richiamare tutte le loro forze. Perciò per colpa di costui tosto videsi tale mutazione di cose , che i Car­taginesi i quali dianzi per la rotta toccata percossi da paura, perduto aveano il coraggio, in un subito confortati misero in pezzi le truppe nemiche ; e i Ro-

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mani ebbero tale strage e n a n a , che qpando prima riputavansi nelle battaglie pedestri i più valenti di tutti gli uomini, più non arrischiatomi di combat** tere di tale maniera col nemico. Laonde di tutte le guerre a memoria d1uomini ricordate quella fu la più lunga ; e li si dovette venire a combattimenti navali, ne’ quali perirono navi innumerabili tanto del popolo romano , quanto degli alleati, e da più di cento mila uomini, senza contare quelli cbe rima- sero morti negl1 incontri di mare. E tanto denaro poi si spese quanto è da credere che potesse bastare ad armate composte di quella sterminato numero di le­gni cbe vi s1impiegarono pel corso di quindici anni continui. Nè però fu minima la parte di calamità che cadde sull1 autore di tanti mali: conciossiachè la glo­ria che si era acquistata prim a, egli oscurò colla maggiore ignominia ed infamia che glie ne Tenne; e colla infelicità-' sua fu di documento agli a ltri, onde nelle prospere cose non insuperbiscano insolente- mente. E ciò che è più grave d1 ogni altra cosa, fu costretto a soffrire gli strapazzi, e la licenza di quelli, alle cui disgrazie avea insultato, quando se usato avesse riguardo é pietà agli afflitti, come dee farsi, al caso suo proprio avrebbe provveduto. Ma Santippo colla sua virtù non solamente liberò i Cartaginesi dai mali presenti, ma voltò tutto affatto in contrario la condizione delle còse, sconfiggendo interamente i Romani, che senza controversia erano vincitori ; e ricreando con sì felice evento i Peni, i quali dopo la disfatta aspettavansi ornai V ultimo esterminio, cbe

338

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indi poi «pressarono il nemico. Per lo che quando la nuova deH’ aòcaduto si sparse per quasi 1’ universo mondo, tutti ammirarono e lodarono la virtù di quel* l ’uomo. E parca in fatti un miracolo , che aggiun­tosi a’ Cartaginesi un uomo Solo , tanto mutamento d i cose ad un' tratto fosse seguito , che quelli che dianzi trovavansi strettissimamente assediati, i ne­mici all’ improvviso assediassero ; e che questi che p er la loro virtù prima signoreggiavano terra e mare, in picciola città chiusi y s’ aspettassero da un mo­mento all’altro d’essere espugnati. Ma tutto questo non dee far meraviglia quando v’ età un capitano, che seppe colla perizia e la prudenza sua superare ogni difficoltà.

IL

D i Amilcare Barca , e di Annibale, suo figliuolo.

Amilcare peno , soprannominato Barca , ed Anni­baie suo figliuolo, capitani suprem i, di tutti quanti furono mai condottieri d’eserciti stimansi senza con­troversia i massimi ; e . per le imprese loro l’ impero .de’ Peni fu grandemente amplificato.

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34o FRAMMENTI DEL LIBRO XXIV.

L

Stolta petulanza di P. Godio.

P. Clodio passato in Sicilia, avendo preso il co» mandò dell’esercito che allora assediava Lilcheo, convocati i soldati, prese ad aspramente accusare i consoli, dai quali avea ricevute le legióni, dicendo avere eglino amministrata assai negligentfcmefite la guerra, abbandonatisi al vino, al libertinaggio ed alle delizie. E com’egli era di assai fervida fantasia, e di mente nòn troppo ben sana, molte cose poi faceva egli stesso inconsideratamente , e da uomo furioso. Imperciocché primieramente emulando la frenesia di coloro , la cui condotta vituperava, si mise a gittar in mare immensi macigni e a voler chiudere con grande bastione il porto , tanto più •grave imprudenza in ciò addimostrando , quanto maggior fatto si è il non emendarsi alla vista del- l’ altrui fallo e pericolo , che il cadere in errore quando si è stato il primo ad eseguire una cosa. Costui essendo nel punire crudele, procedeva contro i soldati romani secondo gli usi antichi senza luogo a speranza di perdono; e faceva battere con verghe i sodi del nome latino. Finalmente per lo splendore di sua prosapia , e per la dignità de’ suoi maggiori gonfio di superbia disprezzava alteramente tutti.

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n.34*

Della virtù, di Abdicare.

Era già nota la grandezza d'animo di Amilc&% prima che fosse fatto comandante : ond1 è che, con-* seguita tale dignità non si mostrò per nulla inferiore alla maestà del popolo cartaginese, mirando in ogni cosa ad acquistar gloria, e sprezzando i pericoli.

.............Avea egli nelle cose militari singolare in­dustria e fortezza congiunte con esimia prudenza; e si vide in esso lui 'perfettamente quello che dice Omero, e un ottimo rea ed un capilano valorosissimo»

HI.

Di Annone.

Annone fatto dalla natura per tutte le grandi cose, ed infiammato di ardentissimo desiderio di gloria f avendo* ozioso l'esercito, lo trasse a campo, ondo per tal modo e tenere i soldati in esercizio, ed alimentarti a spese del nemico. In tale maniera sol­levava da gravissimo peso i suoi cittadini, e alla repubblica cartaginese procacciava somma gloria, e sommo vantaggio...............

Costui avendo espugnata Ecatompilo ( i ) , e iti es«

(i) Questa fa una città d’ Àfrica, da Annone il grande conqui­stata alla repubblica di Cartagine. Diodoro disso sei lib. IV cha essa era stata fondata da Ercole.

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Sendo a lui 1 vecchioni di quella città iofulati, pre­gandolo a volere essere umani con quelli che gli erano caduti in mano ; egli avido di gloria, ante­ponendo la benignità alle sevizie , prese tre mila «staggi, e la città e gli averi de’ cittadini lasciò ih- tatti e salvi. Gol qual tratto da essi riscosse lode e gratitudine. I suoi soldati poi dagli oppldani furono lautamente e liberalmente tratta ti, e largamente si ebbero vettueglie d* ogni maniera.

IV.

Della moglie di Affilio Regolo.

Ma la madre de1 giovani, non sapendosi dar pace della morte di suo marito , stimando che per la ne» gligenza ed incuria loro quegli fosse trapassato , i figliuoli suoi indusse ad incrudelire fieramente coi prigionieri. E prima di tutto serrati in un angustisi simo camerotto, trovaronsi obbligati per la strettezza del luogo a stare coi loro corpi aggomitolati come le bestie :. indi per cinque giorni privarti dP ogni ali- m ento, Bodostare per la tristezza d’ animo e per la fame mori. Amilcare, il quale era di grande animo, benché niuna speranza avesse, pure andava soste* nendosi ; e sovente con pianti pregando la donna, le narrava la ctup che avea preso pel marito di lei, nè potè piegarne il cuore ad alcun sentimento umano: A tal che la crudel donna, tenne ivi. per lo spazio di cinque giorni chiuso con Amilcare il cadavere di

34»

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Bodostare ; e andava ad Amilcare dando Vnto cibo, quanto bastasse a tenere in lui vivo il sen^ della sua calamità. Amilcare vedendo perduta ogni 8pe, ranza che le sue preghiere avessero qualche effet^ incominciò a scongiurare Giove ospitale, e gli.Dei che hanno in cura le umane cose , e a gridare ben. dure pene dargli si in guiderdone della buon7 opera «he avea fetta* Nè però in sì tormentoso stato morì) fosse' misericordia degli Dei, fosse, sua buona* fortuna che infine gli recassero non imperato sowegno. Im* perciocché mentre si trovava agli estremi, tanto per l’orrenda puzza che il cadavere tramandava, .quanto per le altre miserie di quella prigione, avvenne che alcuni servi della casa raccontarono il fatto a persóne estrànee, e queste irritate di sì crudel fatto andarono immantinente a denunziarlo ai tribuni. Ond1 è cbe verificata la caca, chiamati gli Attilli dai magistrati, mancò poco che non fossero condannati a pena cam­pitale , come quelli che di tanta infamia di crudeltà macchiato aveano il nome romano. Però di gravisi sima pena i magistrati li minacciarono , se di buona fede non avessero in appresso curati i prigionieri. Essi pertanto dando là colpa alla madre di quanto era occorso, il cadavere di Bodostare abbruciarono , e ne mandarono le ceneri alla sua patria; ed in quanto ad Amilcare a poco a poco lo andarono rifocillando, finché dai patimenti sofferti si riebbe (i).

(0 È importantissimo per la veri là della storia questo passo di Diodoro. La donna crudele , di cui qui si parla è la moglie di At­tilio Regolq. Essa lamentasi che non si fosse avuta ctira di suo m*-

343

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344FREM ENTI DEL LIBRO XXV.

L

De Cartaginesi, e loro disettori•

I Cartaginesi che per ventiquattro^ anni sostennero la guerra coi Romani pel possesso della Sicilia, non soffrirono in essa, tanti mali, quanti n’ ebbero a sof­frire nella guerra coi soldati mercenarii, eh’ essi aveano sì ingiustamente oltraggiati. Imperefoeehè a- vendoli defraudati delle paghe che loro dovevano, poeo mancò che non perdessero insieme e Y imperio e la patria^. Que’soldati punti di tanta; ingiuria, tosto abbandonarono il servizio, e posero i Cartaginesi ingrandi pericoli...............

1 Cartaginesi spediti legati a’ disertori, demanda­rono che fossero loro dati i cadaveri degli uccisi (1), onde seppellirli. Ma Spondio, e gli altri capitani dei

rito, che manifestamente essa tenea per morto di malattia naturale. Ben altrimenti avr-ebb* essa periato, fed operato, se Audio Regol* fosse stato martoriato* come volgarmente,ai è creduto sulfa fede dei Sommarti di Tito-Livio, e delle poetiche esagerazioni di Silio Ita­lico. Polibio nulla disse,di ciò; e il silenzio del prudente Polibio Tale certamente assai più delle leggende, chq abbiado abeeonate. Ma a vie più confermare il. valore -del allenato di qo«U* egregio sto­rico s'aggiunge l’autorità di Diodoro,, uomo diligentissimo « che sa- pea quanto era stalo scritto dinanzi, e quanto dal volgo, e dai prudenti credevasi.

(») Polibio racconta che settecento furono a quella volta i Carta­ginesi mulilati, scarnificati, e crudelissimameute fatti morire*

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disertori 5 da maggiori barbarie e crudeltà spinti, non solamente negarono quanto domandatasi, ma di­chiararono di più , che non si ardisse di mandare altri legati nè per quello, nè per alcun altro affare: altrimente chiunque fosse , comparso, sarebbe. stato ucciso nella stessa maniera di quelli. Fecero indi un decreto, per cui ogni cartaginese che cadesse prigio­niero, avrebbe avuta, la medesima, sorte ; ed ognuno degli alleati de7 Cartaginesi sarebbe rimandato a Car­tagine con ambe le mani tagliate. Per codesta scel­lerata . sevizie di Spondio accadde che Amilcare, sde­gnato di tal crudeltà, si allontanasse dalla usata umanità sua \ e si vedesse forzato ad usar crudel rappresaglia. I prigionieri adunque, fatti prima acer­bissimamente martoriare , esponeva agli elefanti, e conculcati da questi miseramente morivano.

II.

Degl’ Ipf aerini e Uticesi.

Gl’ Ippacrini e gli Uticesi eransi ribellati ai Peni, ed aveano trucidato il presidio de9 Cartaginesi, cac­ciandone giù delle mura i cadaveri j nè lasciando ai Cartaginesi di poterli seppellire, quantunque essi ne Incesterò istanza.

343

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346IH.

Di Amilcare Barca.

Amilcare soprannominato Barca bella ed utile opera prestò alla patria combattendo tanto in Sicilia contro i Romani, quanto in Libia contro i soldati mercenarii é gli Africani, i quali essendosi ribellati ai Peni as­sediavano la stessa città di Cartagine. E come nel- Funa e nell’altra guerra avea egli fatto mólte azioni di mirabil valore e di prudenza, giustamente da tutti i suoi concittadini veniva venerato. Finita poi la guerra libica reclutò una schiera di uomini dispe­rati , ed avendo dalle prede di costoro messe insieme grandi ricchezze, e per le imprese fatte avendo acqui­stato assai credito ? col favor della plebe ottenne di avere il governo della provincia d’Africa.

FRAMMENTI DEL LIBRO XXVI.

I.

Di Annibaie.

Era Annibaie di mtura bellicóso, e tìn da fanciullo esercitato nelle cose militari, ed essendo stato per molti anni in compagtia di eccellentissimi capitani ; aveva acquistata grande cognizione delle cose di guerra. Cosi che e fonito dalla natura di una certa distintissima solerzia, e fortificato da continuo eser» cizio , avea conceputa di sè grande speranza.

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%

D i Minucio e di Fabio.

Vinto da Annibaie Minucio, l’ evento chiaramente dimostrò, che Minucio eolia sua imprùdensa ed im« perizia avea rovesciate le cose, è Fabio col consiglio e col valor militare avea salvata la repubblica.

IH.

Empietà di Dorimaco.

Dorimaco, pretore degli Etoli, imprese un nefando attentato. Imperciocché avendo spogliato il tempio di Giove Dodoneo , celebre per l’ oracolo, lo incendiò tu tto , eccettuatane la cella.

IV.

Delizie di Càpua,

Le truppe di Annibale avendo lungo tempo di­guazzato nelle lautezze de’ Campani, si mutarono affatto , poiché le delizie continue , i morbidi le tti, e tutto il corredo d1 unguenti e di vivande vennero a distruggere la fortezza lo ro , e la costanza a cui dianzi erano abituate in sostenere le fatiche , e il corpo insieme e 1’ animo. indebolirono , abbandonati alla femminile mollezza e alla lussuria d’ogni genere.

IL

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348v.

Crudeltà di Annibale contro i Romani.

Annibale, dopo aver dette molte cose contro la crudeltà « malizia , anziché contro V arroganza , dei Romaniy t figli de’ senatori e parenti, trascehi dal numera dei prigionieri, diede a morte, con' tal pena contraccambiando il Senato.

Il medesimo, sempre adente d’odio contro il po­polo romano, scelti da tutti i prigionieri quelli che gli parvero più atti à .combattere in.duello , ne or­dinò le coppie in tal modo , che furono obbligati a combattere tra sé fratelli con fratelli, padri coi figli, parenti coi parenti. Nella quale occasione, ognuno- giustamente detestando la sevizie del capitano peno, avrebbe al certo ammirata la pietà e costanza dei Romani. Imperciocché non ostante che s’ adoperasse e feiT O e fuoco in ogni più spietata maniera , e durissime flagella ture per muovere quegli uomini a mettersi reciprocamente le mani-addosso , non vi fu < iso d’ indurli a ciò; ma con invitta grandezza d’a­nimo fatti come impassibili, stettero fòrmi sotto ogni tormento, serbando le mani pure da si mal’opera (i).

i t . *

(i) Valerio Massimo, che per piccare la càriosRà de* Romani dèi suo.tempo raccolse quanto di vero, e di verùiatile storie e tradi­zioni somministravanofa torto a’ suoi per inutilmente volgerne r odio alla memoria di Annibale, come che laute volte avea fatto tremare la superba Roma. Diodòro impaniale “avea ragionato me­glio $ «d anche in questa occasione' ha Polibio in appoggio. Certa-

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TI.

D i Jeronimo re di Siracusa.

- Morti Gelone e Jerone in Sicilia , il principato di Siracusa tocoò a Jeronimo , giovine assai, nè atto a governare il regno che avea acquistato. Quindi cor* ro tto dall’ adulazione di quelli che gli si approssi­mavano , al lusso declinò, alla intemperanza, e alla sevizie propria del tiranno. Stuprar le matrone, am­mazzare gli amici che gli parlassero liberamente , confiscare i beni di molti condannati, e darli' a suoi cortigiani in regala, furono le cose ch’ egli faceva. Per lo che da prima il popolo 1’ odiò : poi gli si tramarono insidie , e in fine ne venne la ruina chesuole incontrarsi dai tiranni.............

Dopo la uccisione di Jeronimo i Siracusani con­gregatisi in assemblea decretarono che si ammazzas­sero tutti i parenti del tiranno, e che lo stesso. pur si facesse delle donne come degli uomini ; onde, non rimanesse alcuno della stirpe reale (i).

«nenie ebbe Annibaie molla fi eretta; dovea partecipare del crudo ed avere il genio, de’Cartaginesi ; ma ragioneremmo noi ben male acco­gliendo contro que$lp grand* uomo tutte le esagerazioni disseminato dal terrore, dalla invidia, e dall'animosità. La regola di giusto criterio in questa sorta di cose consiste in questo avvertimento. Guarda chi parla.

( i) Gelone morì prima di Jerone suo padre, e lasciò bambino Jeronimo , avuto da lYerefde , stata prima moglie di Pirro. Jero­nimo non avea più di quindici anni quando succedette all'avo. Po­libio parla temperatamente de’ ih » di quel giovine principe; p i ri-

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35oTU.

'Magnanimità di Annibale.

Avendo Magone mandato ad Annibaie il cadavere dì Sempronio Gracco, i soldati gridarono che biso- gnava farlo a bran i, e Sperderlo. Ma Annibaie con­siderando le varie vicende della fortuna , e facendo .giustizia al valor mirabile di quell’ uomo, disse ne­fanda cosa essere il rompere in collera con un ca­davere privo di senso ; e con ogni sorta di onore fece a Gracco i funerali ; e l’ossa e le ceneri di lui chiuse in un’ urna mandò al campo de’ Romani,

YIIL

Dichiarazione di M. Marcello ai Siracusani.

Presa Siracusa essendo i cittadini con palme d’o­livo andati incontro a M. Marcello, questi disse perdonar egli bensì a tutti gl’ ingenui * ma doverne tutti i beni essere preda del soldato.

IX.

Crudeltà cartaginese.

I Cartaginesi mandata a fine la guerra libica, gra*

peto le esagerazioni di Eumaeo napoletano , scrittore delle gesta di jinnibalc , il quale lasciò scritto che tolse dal bordello udì pub­blica prostituta, e la dichiarò sua sposa e regina.

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Temente incrudelirono contro i Micatani numidi, le loro mogli e figliuoli , perciocché tutti insieme coi prigionieri che aTeano nelle m ani, crucifissero. La onde i .discendenti di quelli che scamparono allora tanta ruina, ricordando l’atroce crudeltà usata contro i loro maggiori, furono nemici infensissimi del popolo, cartaginese.

X.

Di Asdrubale.

Del rimanente non dee tacersi della virtù .di Asdru«? baie. Essendo egli figliuolo di Amilcare soprannomi- nato Barca, il più Tàloroso tra i capitani del tempo suo,.il quale solo nella guerra di Sicilia spesso, avea Tinti i Romani, e primo de1 suo i, finita la guerra civile, era passato con esercito in Ispagna ; della gloria di tanto padre si mostrò figliuolo non indegno. È ' infatti fuori d’ ogni dubbio che dopo suo fratello Annibaie era il migliore di tutti i capitani peni : la onde da Annibale fu posto al comando delle truppe di Spagna; e dopo avere sostenute molte e grandi battaglie in quel paese, e rifatto Y esercito sbara* gliato da rotte antecedenti, soventi volte si trovò in sommi pericoli. Finalmente poi obbligato a fuggire lungi dalle spiagge marittime, colla virtù sua seppe mettere insieme validissime truppe ; e fuori dell* a- spettazione di tùtti venne in Italia.

35i

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35aXI.

Di Nabi tiranno.

N abi, tiranno de’ Lacedemoni, fece uccìdere Pe- lope figlio di Licurgo dianzi re; ed ancora fanciullo. E temea colui, che giunto che fosse Pelope, alla giovinezza, animato dallo splendore di sua stirpe y rendesse alla patria la libertà. Nabì fece anche mo­rire i più distinti tra i Lacedemoni ; ed a guardie sue prese da ogni parte a soldo gli uomini più di­sperati. Per ciò accorsero presto a Sparta da tutti i paesi sacrileghi, lad ri, assassini da strada, condan­nati a morte. Ghè soltanto coll’ appoggio di simile feccia d’ uomini poteva egli sperare di conservarsi una signoria*, già acquistata col delitto.

XII.

De* Rodii e de9 Cretesi.

I Cretesi postisi a corseggiare con sette navi, spogliarono quanti naviganti, incontravano : laonde trovandosi i mercatanti ruinati, i Rodii credettero toccare a loro il vendicare tali ingiurie ; e perciò dichiararono ai Cretesi la guerra.

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X1IL353

Di Pleminio.

Pleminio, legato di Scipione , lasciato eia lui coi» presidio in Locri, essendo uomo d’ empietà sommar aperti violentemente i tesori di Proserpina, ne portò via tutto il sacro denaro che v1 era. Dolendosi di ciò' i Locrii, ed essendo ricorsi ai Romani, due tribuni militari fingendo d’ essere commossi per tanto mi­sfatto , acremente rimproverarono Pleminio , non perchè veramente ne fossero sdegnati ; ma perchè non aveano avuta parte del denaro rubato. A tutti però in breve fece il nume pagare il fio della loro scelleraggine. Dicesi che quel tempio fosse celebratisi simo per tutta Italia ; e che per la ciira che n’ a- veano sempre avuta gli abitanti , per tutti gli ante­cedenti secoli fosse rimasto intatto. E dicesi di più che tessendo Pirro, nel tempo che di Sfcilia passò a Locri, per le istanze che i suoi soldati gli facevano, ond7 essere pagati, stato costretto a mettere le mani su quel denaro sacro, nel ritornarsi poi fosse da fierissima burrasca insieme con tutta T armata sua gettato in grande pericolo ; e che tocco da rimorso placasse la Dea , nè essere poscia salpato prima di avere restituito quanto avea tolto. Ora que’ tribuni fingendo , 1 come si disse , d’ essere irritati pel fatto di Pleminio , presero le parti' dei Locrii, e quere­landolo il minacciarono di punizione. Crescendo in­tanto il contrasto, come accade, finalmente si venne

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alle vie di fatto , cd avendolo que1 tribuni gettato a terra, co'morsi gli tagliarono le orecchie, e il naso, e gli lacerarono le labbra. ' Pleminio si rifece sopra di loro, avendoli fatti legare, e battere colle verghe fino a che fossero morti. Intanto il Senato e il po­polo romano ebbero gran paura pel misfatto sacrilego commesso da Pleminio j e i nemici di P. Scipione da quell1 avvenimento presero occasione di calun­niarlo , dicendo che Pleminio avea fatto tutto quanto per consiglio ed ordine di lui. Ond’ è che in forza di un decreto del Senato due tribuni della plebe, ed un Edile furono spediti in Sicilia, affinchè scoperto che quel sacrilegio fosse stato commesso per ordine « volere di P. Scipione , lui immantinente condu­cessero a Roma: diversamente che lo lasciassero tra­sportare in Àfrica 1! esercito. Essendo essi ancora in viaggio, Scipione fece imprigionare Pleminio ; e in­fanto non cessava di esercitare continuamente i suoi soldati. Di che meravigliati i tribuni della plebe sommamente il lodarono. Pleminio poi condotto a Roma incatenato , per ordine del Senato fu tosto cacciato in prigione, dove non molto tempo dopo morì ; e i suoi beni furono - consacrati al tempio di Proserpinà ; e decretato che quanto mancasse dal Conto del denaro rubato venisse supplito dall’ erario pubblico; e che fosse reo di pena capitale ogni sol­dato , che avendo presso, di sè alcuna somma, od effetto dei tesori di Proserpina, di buona fede non ne facesse la restituzione. Fui inoltre aggiunto che i Locrii fossero liberi.

354

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XIV.355

Come P . Scipione trattasse Siface.

P. Scip ioneessendogli stato condotto dinanzi posto in catene Siface, da prima pianse rammen­tando seco stesso qual fosse stata in addietro la fe­licità , e fortuna di quel rè. Poco dopo , avendo ri­soluto di temperatamente reggere la fortuna propria, ordinò cbe si sciogliessero a Siface le catene ; e gli concesse la sua tenda , « tutta* la sua corte reale. Poi tenendolo sotto custodia libera spesso benigna­mente parlava seco lu i , ed anche il convitava.

XV.

Di Sofonisba.

Sofonisba, che prima era stata moglie di Massi- nissa poi di Siface, e finalmente fatta prigioniera di guerra venuta era di nuovo nelle mani di Massoni*- s a , era donna di beltà superba, e con vane a rti, ed allettamenti potea facilmente impetrare qualun­que cosa. Essendo essa amantissima della patria sua, non lasciava di tentare ogni giorno il marito perchè abbandonasse la parte de’ Romani. 11 che essendo ottimamente cognito a Siface, questi ne informò Sci­pione ? avvisandolo di stare con quella donna all’ er­ta ; e le medesime cose confermandogli Leleo, Sci­pione ordinò che gli fosse condojtta innanzi. Il che

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ricusando Massinissa di fare, Scipione il rimbrottò aspramente : onde poi pien di spavento Massinissa propose che da lui si mandasse chi l’ allontanasse. Ma frattanto andato egli nella tenda forzò Solonisba a bere il veleno.

XVI.

Di Scipione e di Massinissa.

Scipione per misericordia e clemenza verso quelli eh1 erano stati presi in guerra , sempre conservò in seguito salda e costante amicizia con Massinissa (i).

XVU.

D i Annibaie e de suoi alleati.

Annibaie convocati gli alleati , disse loro come ne­cessità voleva che passasse in Àfrica ; e se alcuno d’ essi volesse andar seco , gli diede facoltà di farlo. Alcuni non ricusarono di seguire le sue bandiere ; ma in quanto a quelli, ai quali era più caro lo starsi in Italia , egli fattili circondare dall’ esercito, a’ suoi soldati diede libera facoltà di condurne in ischiavitù

(i) Questo passo dee essere mutilato. Il yesselingio dice: intendo i Numidi, che erano stali nell* esercito di Sifmce, i quali Scipione in grasia di Matsinista trattò bene, e che il Senato finalmente ri­mise a quel re. Il testo di Diodoro, quale qui abbiamo, dice poco meno che il contrario. Ho avuta la tentazione di escluderlo: ma ho tenuto d ’ essere dai dotti querelalo di sacrilegio»

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quanti volessero , e gli a ltri, che furono circa venti mila fanti, e tre mila a cavallo, trucidò ; e con essi una quasi infinita moltitudine di giumenti (i).

XVIII.

Giustizia di Annibaie,

Quattro mila uomini a cavallo passarono ad An­nibale di quelli che dopo la rotta di ^Siface aveano trasferite le loro bandiere a Massinissa. A questi ne­micissimo Annibaie, li fece cingere dalle triippe ; e poiché furono caduti morti sotto un diluvio di dardi, i loro cavalli spartì tra suoi soldati.

XIX.

Magnanimità di Scipione.

Avendo Scipione mandati legati a Cartagine , mancò poco che non venissero dalla moltitudine ammazzati. Se non che i più prudenti della città li trassero dal presente pericolo , e fattili imbarcare sopra triremi li rimandarono al campo di Scipione. Ma quelli cbe

(i) Questo trailo veramente africano d'inumanità, che potè con* srgliare la politica, onde non si dessero alla parie romana subito che egli fosse partito, viene rammemoralo anche da Appiano. È notabile però, che Tito L ivio , il quale non fa molta grazia alla memoria di Annibale , non ne parla punto. II che notiamo a con­forto di que' leggitori, che , come noi mal soffrono che i grandt «omini si disonorino con grandi scelleranie.

Ì5 j

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in Cartagine erano popolari, e tenuti in molto con­cetto dalla plebe , diedero ordine al comandante dei triremi che quando quelle triremi fossero per dar di volta, assaltassero quei legati , e li ammazzassero tutti : il che egli esattamente fece. Accadde però che essendosi quei legati ajutati col nuoto, poterono giungere sani e salvi a Scipione. Ma coloro che tanta scelleratezza avevano pensata, presto ebbero a pro­vare la forza del nume. Imperciocché ritornando ap­punto allora da Roma i legati de* Cartaginesi, dalla tempesta furono tratti ov’ era ancorata 1’ armata dei Romani. Laonde condotti a Scipione , tutti gridarono doversi rendere la pariglia agli scellerati. Per altro Scipione negò che si dovesse commettere una cosa eh’ eglino medesimi rimproveravano ai Cartaginesi. Adunque rimandati liberi giunsero salvi a Cartagine, ammirando grandemente la pietà de’ Romani.

XX.

D i Dicearco,

Filippo , re de’ Macedoni, avendo persuaso a Di* cearce etolo, uomo di singolare ardimento, di met­tersi a corseggiare , gli diede venti navi, e gli or­dinò che levasse tributi dalle isole , e desse ajuto ai Cretesi nella guerra contro i Rodii. Colui a norma degli ordini avuti spogliava i mercatanti, e deva* stando le isole , esigeva denaro da esse.

358

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XXI.359

Di Eraclide Tarantino.

Era alla corte di Filippo ira certo Eraclid* di Ta­ranto , distintissimo briccone j il quale nascostamente sussurrando calunniava presso il re i principali suoi amici j e tanto fece che indusse- Filippo alla empietà di Ammazzare cinque de’ principali suoi consiglieri. Il che fece che gli affari di Filippo a poco a poco incominciassero a tracollare ; e mancò poco che non venisse spogliato dai Romani del regno ? avendo egli iutraprese guerre in niun senso necessarie. Del ri­manente niuno de1 suoi amici ardiva più parlargli li­beramente , ed avvisarlo, paventando tutti l’inso­lenza sua. Fece poi la guerra ai Dardani, quantun­que quei popoli niun atto ostile avessero fatto contro di lui ; e in una battaglia, rimasto vincitore , am­mazzò dieci mila nimici.

XXII.

Tristi esiti dei re Filippo ed Antioco.

Filippo, re de’ Macedoni, oltre P innata cupidigia sua , nelle cose prospere era di tal baldanza, che faceva ammazzare gli amici senza processo ; e minava i templi e i sepolcri. Similmente Antioco avendo preso a spogliare il tempio di Giove in Elimaida, finì nel modo che s’ era meritato, essendo stato ucciso eoa

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tutto il suo esercito. Ed entrambi questi re ap­punto , mentre credevano di avere eserciti invinci­bili , debellati in una sola battaglia, furono costretti a ricevere leggi da altri. E a loro colpa veramente dovear* imputare la loro disgrazia, ed essere grati alla umanità de’ vincitori , che concedevano ad essi il perdono (i). Costoro a misura della loro condotta videro i lord stati afflitti. Al contrario i Romani e allora, e di poi non facendo che guerre giuste, e rispettando i giuramenti e i patti, non senza ra­gione furono nelle imprese loro sostenuti, dagli Dei.

XXIII.

Devastazioni del re Filippo presso Pergamo.

11 re Filippo oppresso da mancanza di vettuaglia non cessò di devastare tutto il paese di Attalo fino alle porte della stessa città di Pergamo j e minò per­fino i tempii eh’erano ne* subborghi di quella città, « specialmente il Niceforio (a), pieno d’ ogni più splendido apparato, ed altri edifizii di non meno mirabile lavoro. Il che fec’egli per 1’ odio grande,

(1) Anche questo è un discorso, che alquanto zoppica; nè pare che troppo sì verifichi di Antioco che dovesse essere grato a’ suoi vincitori sia che si voglia credere finito come qui Dfodoro pone, sia che si voglia supporre morto di malattia, come affermano i libri de* Giudei»

(2 ) 11 Niceforio era un bosco piantato da Eumene , e pieno di templi degli Dei, fra quali uno singolarmente dislinguevasi consecrato a Giove.

36o

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che portava ad Attalo ; sicché non avendo potuto sorprendere lui in que’ luoghi, sfogò il suo furore sulle cose a quel re appartenenti.

XXIV.

Devastazioni dello stesso Filippo presso Atene.

Filippo entrato sul territorio deirAttica , piantò gli accampamenti al Cinosargo (1)5 indi incendiò F ac­cademia , rovesciò i sepolcri, e devastò i tempii de­gli Dei immortali y ed avendo oltrepassati i confini dell1 ira e del furore più di quello che fosse per­messo , quasi incrudelisse piucchè contro il popolo ateniese, contro gli stessi Dei y incorse nelF odio di tutti gli uomini, presso i quali già era in mal con­cetto , e in breve pagò il fio agli Dei y rumato dalla propria imprudenza, e salvato dalla clemenza sola de1 Romani.

XXV.

Risoluzione di Pilippo riguardo ad Eraclide tarentino.

f

Filippo veggendosi esposto all’ odio di quasi tutti i Macedoni a cagione delP amicizia sua per Eraclide, fece imprigionare costui. Era Eraclide tarentino di patria 5 uomo pieno di particolari iniquità , il quale

CO Questo era un tempio di Ercole,

36i

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condusse Filippo ad essere acerbo e crudele tiranno, quando dianzi era un re moderato. Perciò e Mace­doni e Greci tutti V odiavano profondamente.

XXVI.

Fama di Annibaie.

Annibale per la fama del nome suo era per tutto il mondo celebre e considerato 5 e tutti per ogni città e borgo , per cui passasse, correvano a gara per ve- derlo.

XXVII.

Tolommeo fa morire Aristomeo , e perchè.

Tolommeo, re d’Egitto , per alcun tempo dipor­tassi egregiamente , e si ebbe gran laude. In seguito poi corrotto dagli adulatori, Ari stamene , stato suo tutore j e ministro prudentissimo ; da lui dinanzi ri­verito come padre , incominciò ad odiare perchè gli parlava liberamente 5 ed infine 1’ obbligò a fnorire, facendogli bere la cicuta (1). Quindi infierito ognora

(1) Phumrco racconta , che Aristomené vedalo avendo il re To­lommeo addormentato iu presenza di un legato, non si sa di chi 9 egli lo svegliò; e che questo diede occasione agli adulatori d’ irritare fl re contro sì valentuomo, dicendo essi, che se dopo tanti e sì gravi affari, e dopo tante vigilie spese nella cura dello S tato , qualche volta fosse stato preso dal sonno pon doveasi al certo rimproverar» alla presenza d’ uomini di tante nazioni straniere. £ fu per questa maligne osservazioni che montalo in collera quel re obbligò sul fililo Aristomené a ber la cicuta*

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più, ed esercitando il potere di tiranno , e non quello di re , venne in odio agli Egizii ; e mancò poco che non fosse balzato dal trono.

XXVIH.

Perchè imputato Antioco di aver dato principio alla guerra coi Romani.

Presso la città di Galcide v’ha un tempio che chiamasi il Delio. Ivi trovaronsi in qualche numero soldati degli alleati del popolo romano, condottivi dalla curiosità di vedere e quel tempio e le cose del contorno. Non era ancora dichiarata la guerra ; e non ostante ciò que’ soldati furono improvvisamente as­saltati ed oppressi dall’ Esercito di Antioco. Della qual cosa i Greci incolparono il re , come quegli che avesse dato incominciamento alla guerra con simile scelleratezza. Perciò Flamiuino , il quale era allora presso Corinto , richiamossi agli Dei e agli uomini, dichiarando il re solo avere dato alla guerra e mo­tivo e principio.

XXIX.

Nozze inopportune di Antiocf , e cattive conseguenze delle medesime.

Antioco svernando in . Demetriade, abbandonata ogni cura de’preparativi di guerra, acceso d’ amore per certa fanciulla pensò di celebrare le nozze, quan*

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tunque egli avesse più di cinquant’ anni ; ed ordinò magnifici spettacoli. Gol qual latto non solamente s’ indebolì egli di corpo e di animo ; ma diminuì an* cora T impeto e 1’ ardore ne’suoi soldati. Perciò questi cbe passarono l’ inverno nel lusso e nelle delizie , quando furono stati tratti dai quartieri , non pote­rono più sopportare nè la fame , nè la sete , nè al­tro travaglio simile : ond’ è che una parte fu presa da malattie, un’ altra fu abbandonata sulle strade lontana dalle bandiere (i).

XXX.

Ravvedimento di Antioco*

Il re Antioco veggendo la città di Tessaglia pas­sare al partito de’ Romani, e tardando a giungere le truppe eh’ egli aspettava dall’ Asia ; con di più che gli Etoli andavano lenti a moversi, ed ogni giorno anzi trovavano pretesti, era in grande perplessità. Perciò amaramente rimproverava quelli cbe lo aveano indotto alla guerra prima che vi si fosse preparato 7

(i) Il V alt sio ha notato che Antioco fece quelle nozze , non in Demetriade, ma in Calcide ; e il P esse litigio conferma questo fatto coll'autorità di Appiano. Se ciò sia per correggere il testo di Dio­doro , parmi fuor di proposito, perciocché Diodoro non dice diver­samente , notando soltanto la circostanza , che Antioco sf innamorò della fanciulla nel tempo che svernava in Demetriade. Questa fe la ragione per cui non ho cambiata Demetriade in Calcide il che sareb- besi dovuto fare supponendo, come Valrsin, che non per errore di Diodoro , ma per quello del copista siasi scambialo quel nome.

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e coll7 appoggio solo degli Etoli. Ed allora somma­mente ammirava Annibaie ; il quale era stato di pa­rere diverso • e tutte le sue speranze metteva in esso lui. Così lui teneva per fedelissimo amico, e consi­gliere in ogni cosa, quando innanzi lo riguardava come persona sospetta.

XXXI.

Imprudente abbandono di Lisimachia fatto da Antioco.

Antioco per la rotta toccata (i) trovandosi sbara­gliato e depresso, pensò di partirsi d1 Europa, e di ridursi a difendere soltanto l7 Asia : ond7 è che diede ordine ai Lisimachesi di abbandonare la città ? e colle loro famiglie passare in Asia. 11 che tutti riputarono da lui farsi con poca prudenza, atteso che quella città era opportunissima a tener lontano il nemico , onde almeno senza travaglio dall7 Europa non ten­tasse di fare in Asia passar truppe : altrimenti con­siderandosi eh7 egli quella città desse in mano ai ne­mici senza rompere una lancia. E le cose seguite di­mostrarono questo giudizio fondato : imperciocché Scipione vedendo vuota Lisimachia se ne impos­sessò } e così aggiunse alle sue forze un grandissimo appoggio.

(i) Questa fa la disfatta della sua armata, sacceduta presse il Mionneso.

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366XXXII.

M> Furio punito di sue violenze verso i Cenomani.

M. Furio pretore, avendo* commesse nella Liguria molte violenze a danno degli a l le a t i f u punito co­me meritava. Aveva egli tolte a Cenomani le armi quando che da essi era stato accolto come amico; nè poteva dolersi che commessa avessero la minima ostilità. Il qual fatto di lui giunto a notizia del con* sole , questi ordinò che a Cenomani fossero resti­tuite le loro armi; e condannò Furio ad una mul­ta (i).

xxxin.

Sacrilegio di Antioco.

Il re Antioco, trovandosi senza denari, avendo udito che in Elimaida era un tempio di Giove-Belo 7 pieno d’ oro , d’ argento , e di preziosissime offerte, pensò di spogliarlo. Adunque entrato in Elimaida col pretesto che gli abitanti del paese gli avevano fatta la guerra , saccheggiò quel tempio ) e mise in-

(i) Tito-Livio racconta il fatto così: Nella Gallia M. Furio pretore » quasi in mezzo della pace cercasse la guerra, a Cenomatù innocenti affatto , , levò le armi. Se ne querelarono essi presso il Senato in Roma; e furono rimandati al console Emilio . . . . Dopo molto contrasto sostenuto col pretore, vinsero la causa : le armi furano restituite ai Cenomanij e al pretore fu comandato d i partire dalla provincia. Il testo di Diodoro porta Fulvio in luogo d i Furio', e dovea emendarsi.

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sieme gran denaro. Ma in breve pagò agli Dei il fio che meritava.

XXXIV.

Di Filopemene.

Filopemene } capitano degli A chei, fu uomo ec­cellente in guerra e in pace. In tutta la vita sua fu retto e giusto ; e stato in carica più volte, e per quarant’ anni avendo governata la repubblica, molto accrebbe lo stato degli Achei ; e sempre dimostra­tosi di cortesissimo tratto co1 privati, fu e da’ Greci e da1 Romani ammirato per la sua virtù. Non ebbe egli però un felice fine : ma però per certa provvi­denza divina P ultima infelicità di quel valentuomo fu compensata dopo morte cogli onori, che ai soli eroi si tributano. Imperciocché oltre quanto ad ono­rificenza sua fu pubblicamente decretato dalla nazione degli E toli, i cittadini gli eressero una statua ; ed ordinarono che ogni anno si facesse ad onor suo una fe s ta , e si recitasse la serie delle sue belle azioni, « che da giovinetti si cantassero 'inni.

XXXV.

Della disciplina militare di Annibale e suoi buoni effetti.

Annibaie, primo assolutamente tra i Peni per la pratica delle cose di guerra, e per la grandezza delle

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sue imprese , mai non ebbe sedizione di soldati j e sempre tenne colla sua prudenza nel debito conte­gno e concordi tutte le,sue truppe, quantunque e per indole e per lingua fossero elleno assai diverse tra loro. E sebbene il soldato urtato per le più fri­vole cagioni fosse solito a passare al nimico , niuno sotto il comando suo ardi giammai di tentare tale cosa. Similmente, sebbene egli conducesse sempre eserciti numerosissimi , giammai non mancò nè di denaro nè di vettuaglia ; e quello poi cbe più di tutto è mirabile , si è cbe in essergli affezionato il soldato straniero non cedette in alcun tempo al soldato ur­bano ; ed anzi il superò. Perciò reggendo sì bene i soldati, potè ancora fare eccellenti imprese. Egli por­tata guerra a nazioni potentissime per diciassette anni devastò F Italia. Egli invitto in tutte le battaglie, tan te, e sì gravi rotte recò ai signori del mondo , che per la moltitudine degli uccisi niuno v’ era che ardisse in aperta campagna venire a giornata con lui. Molte città colla forza delle armi prese incendiò ; e F Italia , che prima fioriva di gioventù numerosa , ri­dusse a solitudine. Tutte le quali cose egli fece, sic­come a spese e colle forze della sua c ittà , così pure con soldati tolti a stipendio , e con grandi rinforzi prestatigli dagli alleati ; e superò colP astuzia, e la perizia militare, uomini, che la concordia parea' do­vere rendere invitti ; e a tutti manifestamente dimo­strò che come la mente nel corpo , così nell’ eser­cito il capitano solo è quello che fa tutto , e che dà la vittoria.

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XXXVI.3 6g

Prodezze di Scipione.

P. Scipione ancora assai giovine bellissime imprese, oltre la comune speranza, fece nella Spagna; e vinti i Cartaginesi liberò la sua patria da pericoli gravis­simi. Egli col consiglio suo senza combattere obbligò Annibaie, capitano invitto in battaglia, a partire d’I­talia; e finalmente colla fortezza e virtù sua militare, avendo in una gran battaglia vinto Annibaie stesso, ridusse Cartagine sotto il dominio del popolo romano.

XXXVII.*

Perfidia di Leocrito > capitano d i Fornace.

Leocrito, capitano del re Farnace , fortemente con frequenti assalti premendo la città di Tio , i soldati mercenarii che la presidiavano, obbligò ad arrendersi col patto che fossero con sicurezza con­dotti ovunque ad essi fosse piaciuto. I quali mentre uscendo della città venivano, secondo i capitoli con­venuti , condotti per via, Leocrito, a cui Farnace avea ordinato di ammazzarli tutti perchè in addietro la aveano offeso , contro la giurata fede assaltatili, li fece perir tutti sotto un nembo di saette.

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3 7 0XXXVIII.

Di Seleuco.

Seleuco radunato un buon corpo di truppe per recar soccorso a Farnace , stava già per valicare il monte Tauro. Ma pensò poi fra se medesimo che l’ alleanza fatta tra il popolo romano, e suo padre, non gli permetteva una tale mossa. . . . .

XXXIX.

Gastigo degli uccisori di Demetrio, figliuolo del re Filippo.

Ma quelli che si grande misfatto aveano commesso, ed ammazzato Demetrio, non poterono scampare dalla vendetta degli Dei. Imperciocché que1 medesimi che da Roma aveano fabbricate le calunnie, essendo poco dopo incorsi nella disgrazia del re , furono am* mazzati. Filippo poi per tutto il tempo che in ap­presso visse, agitato da perpetua inquietezza, e di­vorato dal rimorso di aver fatto perire un figliuolo d’ indole eccellentissima, non potè durare un bien­nio 5 e dal continuo dolore maceno, finì i suoi giorni. Ma Perseo autore di tutto , poscia che dai Romani fu sconfitto, fuggendo in Samotracia, per l’ atrocità del commesso fratricidio 3 non fu difeso dalla re li­gione del tempio, che pure in pgni tempo era s ta ta santissima.

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XL.

Di Tiberio Gracco.

Tiberio Gracco, mandato pretore nella Spagna, colà guerreggiava valorosamente. Fino dal primo fiore della età tutti i suoi coetanei superava egli già nella industria e nella prudenza ; ed ispirando a tutti spe­ranza di grandissima riuscita, per la virtù sua ve­niva celebrato con non ordinaria ammirazione e fama*

XLI.

Di Paolo Emilio.

Paolo Emilio, console , il quale fu ancbe protet­tore della nazione macedone , essendo uomo insigne per lo splendore del casato , per la dignità della persona, e per la sua prudenza, dal popolo romano fu decorato di tutti i titoli di onore. Finché visse veiine celebrato colle laudi di tutti gli uomini ; e morto , godè di una fama, la quale riuscì anche in utilità della repubblica.

XLII.

Condotta stravagante dèi re Antioco.

Antioco, avendo di recente acquistato il regno della Siria, adottò un tenore di vita, nuovo affatto#

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e diverso da quello degli altri re. Primieramente usciva di nascosto dal reale palazzo , senza cbe i suoi ministri se ne accorgessero , ed inconsiderata­mente giva vagando per la città con uno o due com­pagni. Poscia tenevasi ad onore il conversare e bere con plebei, e con pellegrini e forestieri d’ infima classe; e se per caso sapeva che alcuna partita di giovani banchettasse di giorno, correva con bicchiere, e con suoni a mettersi con essi a mensa; onde poi dalla novità del fatto colpiti, per la più parte fug­givano , e gli altri stavansi muti per la paura. Infine toltasi d i dosso la veste reale, e copertosi di una toga, come avea veduto usarsi in Roma, dai candi­dati , salutava e prendeva per le mani chiunque della plebe incontrava, ed ora domandava d’essere nomi­nato edile, ora tribuno. Ed avendo infine pei suf­fraga del popolo ottenuto il magistrato , ad uso ro ­mano , fatta portare la sedia d*' avori* rendeva ra­gione ; e sentiva le informazioni sulle cause forensi} e sulle liti de7cittadini, con tanto studio e diligenza, che le più prudenti persone non sapevano capire, cosa egl’ intendesse di fare. E finivasi poi conchiu­dendo che quella sua era o semplicità, o impru­denza ; o pazzia.

XLIIL

Generosità di Eumene.

Dopo le insidie tese ad Eumene, recata a Per­gamo la nuoya ch’egli era morto ; Aitalo con troppo

372

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Sollecita vivacità corse nelle braccia della regina. Tuttavolta Eumene , che non tardò a ritornare y dis­simulò il fatto; ed amichevolmente baciato il fratello, il trattò poi colla stessa benevolenza di prima (i).

LXIV.

Del re Coti.

C oti, re de’ T raci, fu uomo valoroso iù guerra, saggio ne9 consigli, e nelle altre cose industriosis* simo ; e quello che è p iù , di una sobrietà e tempe­ranza unico, ed alienissimo dai vizii proprii de’Traci.

XLV.

{galestrini traditi.

Perseo avendo espugnata la città di Galestri am­mazzò tutti quelli j eh9 erano giunti alla pubertà ; e come cinquecento incirca } ben armati y si erano ri­fuggiti in luo’go abbastanza forte, e domandarono la vita; il re ordinò che deposte le armi si lasciassero andar salvi. Vero è però, che partitisi di città y i Macedoni fosse di loro spontaneo m oto, fosse per ordine del re y corsero ad inseguirli y e li trucidarono tutti.

(i) Phuareo mette il fatto quale qui Diodoro lo accenna, cioV «he celebrò il matrimonio colla cognata. Tito Livio dica chi Attui* non fece altro che proporre a Strattonici le noiao^

37

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374XLVI.

Malignità di Caropo epirota.

Garopo epirota, nipote di quel Caropo, il quale nella guerra di Filippo avea mandato a T. Flaminio un servo, che lo conducesse per certi sentieri di montagne assai stretti ; onde poi nacque che i Ro­mani fuor d’ogni loro speranza di tal maniera pas­sati occupassero i luoghi angusti; quei Caropo ni­pote , educato in Roma, contrasse amicizia ed ospi­talità con parecchi nobilissimi personaggi romani ; in contemplazione de’ meriti dell’ avolò. Ed essendo per natura uomo di singolare audacia e malizia, con false accuse presso il popolo romano querelava i principali tra gli Epiroti coll’ oggetto, che atterriti ed oppressi tutti quelli, che nella loro repubblica potevano opporsegli, rimaness’ egli come il tiranno di tutto l’Epiro. Ond’ è che Cefalo, ed altri. dalle calunnie di colui oppressi, furono costretti a porsi in alleanza con Perseo ; e per persone frapposte pro­misero di dare al re l’Epiro.

XLVII.

Di Pitone traditore della sua patria,

IL re Eumene assediando Abdera 7 'e disperando affatto di poterla prendere y nascostamente tentò un certo Pitone, principale degli Abderiti; il quale per

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mezzo di dugento tra servi e liberti suoi custodiva la maggior parte di quella c ittà , onde gliela desse in mano. Ed in fatti avendolo guadagnato colle grandi promesse fattegli, venne introdotto nelle porte , e 4’ impadroni della città. Ma Pitone considerato come poca era la mercede avuta pel tradimento, e vedendo Teccidio della sua patria, fu colpito da tanta tri­stezza - e pentimento che a poco a poco cadde in consunzione.

XLVIII.

Della spensieratezza di Perseo.

Essendo dalla fortuna presentata, a Perseo una bellissima opportunità di esterminare tutto l’esercito romano , egli stavasi ne’ contorni di Dio in Mace­donia , non lungi da que7 luoghi, e in momenti di tanta importanza scioperato e spensierato. Ed è certo che il solo schiamazzo , e suono di tromba era bastevole per prendere le truppe nemiche, le quali allora trovavansi chiuse in siti scoscesi e pieni di ru p i, e di strette. Ond’ è p®i che come il re usava tanta negligenza , anche i Macedoni 7 i cui presidii egli avea collocati su quelle vette montuose, cou filmile negligenza facevano le guardie.

375

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XLIX.

Consigli disperati di Perseo.

Perseo tenendo per rumate le cose sue, e caduto in profondo avvilimento d’animo, ordinò a bicone suo tesoriere che quanto tesoro, e denaro trovava» in Faco (i) gittasse in mare; e così mandò Andronico, uno delle sue guardie a Tessalonica , affinchè im­mantinente abbruciasse l’ arsenale. Ma questi usando di più prudente consiglio , differì di eseguire un tal ordine, sperando di fare cosa grata ai Romani. . . .

Ei medesimo (Perseo) intanto tolte via da Dio le statue d’ oro , ordinò agli abitanti che con tutte le loro famiglie il seguissero in Pidna. Di che ognuno con ragione dirà niuna più imprudente cosa essersi potuta fare da Perseo in quella guerra.

L.

Misfatto de Cidoniati.

In questi tempi i Cidoniati commisero un empio misfatto alienissimo pienamente dagl’istituti d e ’Greci. Costoro in tempo di pace , accolti dagli Apolloniati come amici y ne occuparono la città ; e ne uccisero

(i) Tito Livio dice che il tesoro dei re macedoni era ia PeUa ; e

può aver ragione , mentre noa siegue da ciò cbe non ne avessero uno anche in Faco, nominalo da Polibio come luogo d i Macedo­nia. Però era un Facio in Tessaglia,

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tutti gli adulti ; e divisene tra loro le mogli e i fan­ciulli si fecero padroni del paese.

LL

Generosità di Antioco verso gli Egizii.

Il re Antioco sbaragliati e messi in fuga gli Egizii; potendo esterminarli tu tti, girando a cavallo qua e là proibì cbe si uccidessero, ed ordinò che piuttosto si prendessero vivi. Del qual consiglio in breve rac­colse buon frutto ; perciocché massimamente per questo suo tratto di umanità ebbe Pelusio , e poco dopo tutto quanto l’ Egitto in suo dominio.

LII.

Della ignavia di Tolommeo.

Or questa ignavia di Tolommeo 1’ istituto nostro non permette che lasciamo senza ragionarvi sopra alcun poco. E chi non dirà fatto d’uomo pienamente effeminato questo, che essendo egli lontano da ogni pericolo, e per tanto spazio diviso dal nemico, pure senza combattimento alcuno abbia abbandonato un « , regno sì grande e sì ricco ? La quale mollezza d’a- nim o, se Tolommeo avesse avuta insita per natura , forse, sarebbe degno di scusa. Ma come da quanto fece di poi abbondantemente apparisce che per co- stanza e industria in operare egli fu un re non ia*

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feriore ad alcuno ; di questa sua ignavia forza è ro­vesciare la colpa addosso all’ Enamo che lo avea educato ; come quello che fino dai primi anni aven­dolo tenuto nelle delizie, e nelle faccende donne­sche , avea snervata la mente di lui (i).

(i) Il Valerio rischiara egregiamente questo passo di storia, sa cui molti scrittori hanno portata assai confusione. Filometore , dice egli, udita la strage de’ suoi , e la resa di Pelusio e di altre città, preso da paara, e fors* anche esposto alla sedizione del popolo di Alessandria, fuggi da quella città , e caduto in mano di Antioco, questi perdonò al fanciullo, fece con lui un trattato, e finse di pren­derne cura* Intanto però ito a Memfi si fece incoronar re secondo i riti del paese, dicendo che avrebbe provveduto alle cose del fan­ciullo; e di tal maniera con poca gente soggiogò tutto l’Egitto. Ora vedendo gli Alessandrini tal cosa , dichiararono re Tolommeo , che poi chiamossi Euergete, e Fiscone, fratello del Filometore, e valo­rosamente resistettero ad Antioco. Ma Antioco vinti gli Alessandrini in battaglia navale presso Pelusio, e sopra un ponte fatto passare il Nilo al suo esercito, stabilì di assediare Alessandria, fingendo di ri­cuperare il regno al Filometore. Bisogna però a perfetta intelligenza delle cose premesse aggiugnere per qual cagione si fosse suscitata tra Filometore e Antioco quella guerra. Eccola. Si disse a Tolommeo Filometore che i suoi maggiori erano sempre stati signori della Ce- lesiria , e come allora essa era dominata da Antioco Èpifane , a suggestione di Eulco suo ajo, e di Zòtico, capitano dell* esercito , i quali dopo la morte di Cleopatra governavano il regno « Tolommeo mandò ambasciadori per chiedere la restituzione di quella provincia/ e come Antioco non si mostrò inclinato a quella restituzione, 7 'o- lommeo cominciò a fare de’ preparativi di guerra. Allora Antioco spedi a Roma un suo legato , onde riferisse al Senato che contro ogni diritto gli si faceva guerra da Tolommeo. Intanto però con som­ma prestezza egli mise iosieme truppe $ e come i capitani di Tolom­meo prendevano le cose con comodo , e tardavano ad invadere la Siria; egli andò ad incontrarli-; ed essendosi venuto a giornata tra il mare Casio e Pelusio, Antioco li sbaragliò. Fu in quella occasio­ne , che come ha riferito Diodoro, egli non volle che si ammazzas­sero gli Egizii, ma solamente che si facessero prigionieri. Bla di ciò basti.

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$19LUI.

Elogio del re Antioco..

Il re Antioco a tutti parve molto industrioso in operare , e diligentissimo in ogni cosa, e se si ec­cettui quanto fece presso Pelusio, non era egli in­degno del grado e della maestà di re (i).

LIY.

Avarizia f i Perseo.

Perseo avendo udito che uno sceltissimo squadrone di Galli, passato V Istro, veniva in suo ajuto, tutto lieto spedì a Medica gente , che lo sollecitasse a marciar presto. Ma il capitano de7 Galli domandava, che a tenore de7patti gli si contasse sul momento la somma convenuta, la quale era di circa cinquecento talenti. La qual somma, promessa da Perseo, non avendo egli per la naturale sua avarizia , pagata , i Galli ritornarono verso il loro paese.

(i) È da credere che Diodoro non attenda già qui al non arer* Antioco voluto che si ammazzassero gli Egizii ; ma piuttosto al* P aftutia, « falsità con cui operò Terso il Filomeiort*

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38oLV.

Elogio di Paolo Emilio.

Paolo Emilio avendo ricevute le legioni , convocati a conclone i soldati, gl1 incoraggiò : perciocché egli avea acquistata presso i Romani una somma autorità, tanto per la età sua, avendo egli allora sessant’anni, quanto per 1’ ampiezza delle sue imprese. E molte cose in quella guerra affatto nuove, e non facili ad inventarsi, avea egli escogitate; e col suo consiglio, e la costanza sua debellò i Macedoni.

LYL

Contrapposto di Pèrseo e di Alessandro il grande.

Perseo volendo allettare pili gente ad accompa­gnarlo nella fuga e navigazione propostasi, gittò in mezzo preziosi effetti del valore di sessanta talenti, onde ognuno cercasse di guadagnarne quanta por­zione potesse. Indi approdato a Galepso disse , che tra le cose esposte a quel parapiglia V erano alcuni vasi di Alessandro il grande ; e chiese che se restituissero promettendo di dare l’equivalente in de­naro. U che fatto essendosi da tutti volentierissima- mente 7 egli li defraudò del prezzo promesso.

Di assai differente ìndole fu Alessandro. Il quale dotato di assai grandezza d’ animo , acquistossi un regno corrispondente agli alti suoi spiriti. Quandi

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cbe Perseo per la sordida sua tenacità trascurati i soccorsi de’ G alli, e con uguali principi» regolatosi in tutte le altre cose, mandò a male un regnò ricco •d antico.

LVIL

DelV amore di L. Emilio per P. Scipione.

Dopo la fuga di Perseo L. Emilio incominciò a cercare di P. Scipione 1 suo figlio minore , il quale essendo figliuolo naturale di Emilio, per adozione era nipote di quello Scipione che avea vinto Anni* baie. Era egli allora assai giovine, non avendo che diciassette anni y e militando nel quartiere , e sotto la disciplina del padre in sì difficile e pericolosa guerra, diventò di poi un capitano per nulla infe­riore all’ avo. Ora avendolo Emilio finalmente ritro­vato , e sano e salvo ridotto al campo, il console rimase libero dai pensieri e dal travaglio, che n’avea avuto. Perciocché quel giovinetto non gli era caro soltanto per comune benevolenza paterna ; ma per un certo ampio e fervido amore»

LVIIL

Di una bella massima de9 capitani romani.

Emilio umanissimamente accolto Perseo 9 e chia­matolo tan to . alla mensa, quanto al consiglio , pub­blicamente dichiarò essere egli armato in campo di

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battaglia nemico grave e temibile ; ma coi Tinti pla­cido e* mite. La quale massima seguita ancbe dagli a ltri, fatto aTea cbe il popolo romano acquistasse fuori d’invidia P imperio del mondo ; e che il con­servasse fino a tanto che ebbe impiegati capitan»simili...............

£ di fatti negli andati tempi , quando i Romani ebbero superati in guerra i re potentissimi Antioco e Filippo 7 non solo a veruna pena, vinti quali era­no , li sottoposero ma lasciarono che si godessero i loro regni, e strinsero con essi alleanza. E in questi tempi avendo avute tante battaglie con Perseo , e sostenuti molti e gravissimi pericoli, dopo essere rimasti padroni di tutta la Macedonia , contro V a- spettazione comune , le città eh’ essi aveano prese , dichiararono libere. La quale umanità certamente » Macedoni, non diremo poi alcun a ltro , erano ben lontani di pensare che il popolo tornano fosse per usar verso loro , sapendo ottimamente con che in­giurioso modo essi lo aveano trattato : che essendo loro stati già perdonati i delitti antecedenti, a giusto ragione capivano non potere rimaner luogo per essi a commiserazione e a venia. 'Nondimeno il Senato, messe in dimenticanza tutte le ingiurie diportossi con essoloro con generosità e clemenza. Imperciocché il re Perseo, che legato era cól popolo romano in do­mestica confidenza, e che contro la fede dell’amicizia gli avea fatta una guerra ingiusta, poiché Pebbe preso, il tenne sotto libera custodia ; pena al certo molto più mite di quella che meritasse; e la nazione

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der Macedoni, che con pieno diritto potea ridurre in servitù j dichiarò libera • e così presto e con tanta magnanimità le fece questo benefìzio, cbe non aspettò nemmeno d’esserne dai vinti pregato. Ed anche agli lllirii per la 'guerra pur sottomessi , permise di reg­gersi colle leggi loro ; e ciò più perchè stimava alla maestà del popolo romano convenire essere altrui benefico, e nelle prospere cose non alzarsi superbo, che perchè giudicasse degni di tal grazia que- bar­bari............

Il Senato dichiarò liberi i Macedoni e gl1 lllirii ; e contentossi che pagassero al popolo romano la metà de’ tributi che pagavano ai proprii.

FRAMMENTI DEL LIBRO XXXI.

I.

Di Perseo in carcere.

Perseo cacciato in carcere avrebbe finiti i suoi giorni in sì miserabili angustie, se Emilio , principe d e l Senato, ec. Peggasi il rimanente negli E s t r a t t i

della Biblioteca di Fozio.

II.

Ferocia di un capitano de' Galli.

XI capitano de’ Galli ritornato dall’ avere inseguiti

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i nemici, fatti radunare i prigionieri commise un empio e superbo misfatto. Imperciocché scelto avendo tra la massa di quelli ogni più bella persona e della più florida e tà , la immolò agli D ei, seppure è vero cbe gli Dei immortali ammettano tali sacrifizii ; gli altri poi fece saettar tutti : tra i quali molti essendo pienamente a lui cogniti perchè per lungo tempo avea vissuto con essi, a niuno però in grazia dell’antica amicizia ebbe riguardo. Tanta superbia sogliono usare i barbari nella prospera fortuna !

III.

Liberalità di Eumene.

Eumene a’ soldati mercenari pagò lo stipendio corrente, e di più fece' a ciascheduno de’ regali, promettendone inoltre de’maggiori: con che ne gua­dagnò la fede e l’ amore : ben diverso in ciò da Perseo , il quale avendo pronti a dargli ajuto venti mila Galli, per risparmiare il denaro li ricusò. Ma Eumene, sebbene non tanto ricco, era liberalissimo con tutti i soldati che poteano giovare al suo partito. Così quegli alla magnificenza reale anteponendo la sordida tenacità, le ricchezze che con tanta diligenza avea custodite , vide cadere insieme, col suo regno nelle mani del vincitore : laddove questi preferendo ad ogni altra cosa la vittoria , non solo liberò il regno suo da sommi pericoli, ma giunse ancora a sottomettere al suo dominio tutta la nazione de’Galli.

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IV.385

Qualità contradditorie di Antioco.

Avea Antioco certe idee, e certe cose faceva, ve* ramente da re , e degne d’ ammirazione : altre al- l’ opposto sì abbiette e vili, cbe gli traevano addosso il disprezzo di tutti. Sia di ciò prova che celebrando spettacoli solenni, primieramente fece tutto al con­trario degli altri re , i quali cercando di ben assicu­rare il loro regno con truppe e con denaro, per la paura che aveano de’Romani andavano nel procac­ciar queste cose operando naseostamente. Antioco invece da tutte le parti del mondo gli uomini più celebri invitò agli spettacoli 3 e tutta la reggia sua apparò con estrema magnificenza; ed avendo raccolte in un luogo solo tutte le ricchezze del suo regno , e postele come in iscena onde fossero da ognuno contemplate , fece che delle sue cose niuna restasse nascosta ai Romani.

Egli poi nell’apparato di tanto spettacolo superò di gran lunga tutti i principi stati innanzi a lui. Peròil complesso di tutto quello spettacolo, ch’egli stesso avea voluto ordinare, riuscì vile e indecoroso. Im­perciocché collocato sopra una piccola carretta s i' pose a correre su e giù per la processione a quelli ordinando d’ andare innanzi, a questi di fermarsi ; e come pareagli a proposito gli uni o gli altri or met­tere in fila , ora del pari : di modo che se gli si fosse tolto di testa, il diadema, nessuno 1’ avrebbe

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riconosciuto pel re : che anzi non avea nemmeno la figura del più meschino ministro. E se parliamo di ciò che riguarda il baucbetto pubblico, egli postosi sul vestibolo gli uni introduceva , gli altri facea se­dere , e poneva in ordine quelli che portavano le vivande. Di tratto in tratto accostavasi ancora ad alcuno de’ convitati } ed ora sedevagli accanto ? ora ponevasi giacente sul pavimento ; e spesso ancora ometteva la bocca sulla mensa, e lavando un bicchiere\ 7scappava, e correva qua e là. Talora girando intorno al triclinio, stando in piedi bevea un bicchiere datogli da questo 3 ed un altro datogli dall’ altro ; e prolun­gato già sino a sera il convito , e molti essendone partiti, egli coperto di un pannolino , si fece alzare in aria da’Mimi, indi deporre sul suolo; e poi come svegliato dalla orchestra sorse nudo , e gongolando coi Mimi incominciò a far salti e danze scherzose c ridicole ; così che per pudore tutti scapparono via dal convito. Ma tutti quelli eh’erano venuti a vedere lo spettacolo , quante volte ponevano gli occhi sulla grandezza e pompa dell’ apparato , e sulla disposi­zione che data si era al complesso delle cose, non potevano contenersi dall’ ammirare sommamente e il re , e la potenza sua ; e se poi gittavano lo sguardo sul re medesimo , e sulle miserabili cose , di che si occupava , stentavano a credere , che in un solo c medesimo ingegno potessero combinarsi tante virtù e tanti vizii (1).

' (1) Questi spettacoli furono da Antioco dati io Dafne , siccome si ha dai frammenti di Polibio presso Ateneo.

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Finito poscia lo spettacolo giunse il legato Tiberio Gracco , spedito a visitare le cose di Siria; il quale da Àntio^p fu accolto con tanta cortesia, cbe non potè formare il minimo sospetto dei disegni del re ; nè in lui vide segnò minimo d7 animo aleun poco scontento di' ciò che era accaduto in Egitto ; quan­tunque tutt7 altro fosse Antioco nell7 animo suo ? e dal popolo romano alienissimo affatto.

V.

Modestia di Tolommeo.

. Tolommeo cacciato dal regno ? mentre movea versa Roma facendo a piedi la strada, fu conosciuto da Demetrio , figliuolo di Seleuco , il quale da quello strano caso commosso diede illustre prova della sua magnificenza, e del suo animo veramente reale. Im­perciocché immantinente apparecchiata una veste reale con diadema , ed un cavallo ornato di finimenti di o ro , ed accompagnato da7 suoi servi} andò iucontro a Tolommeo per ventisei miglia fuori della città ; e poiché cortesemente F ebbe salutato, prese ad esor* tarlo che volesse mettersi le insegne di r e , ed en* trare in Roma coll'accompagnamento che conveniva* g li, onde non cadere in disprezzo. Ma Tolommeo assai lodò la cordialità di Demetrio ; ma tanto fu lungi che volesse accettare alcuna delle cose che gli si offerivano, che anzi pregò Demetrio, che volesse

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fermarsi in alcuna delle borgate vicine insieme con Àrchia (i).

' (i) Ad intelligenza di questo passo gwra riferire qaaoto al mede­simo ha apposto il Vaie sia. <4 Dopo che Antioco Epifane , die'egli, non avendo potute prendere Alessandria ritornò io Siria, Tolommeo Filometore, eh* egli avea lasciato iu Memfi, capiti i disegni di quel re, che fingendosi amico mirava a levargli il regno, mandò persone a «no fratello minore , e alla sorella Cleopatra 5 ed ottenne d’ essere restituito nel regno, con che il minor fratello regnasse insieme con lui. Ed infatti negli atti pubblici cominciò a notarsi Tanno dodice­simo del Filometore, e primo dell’ Emergete. Durò la concordia del fratelli fino al diciassettesimo anno del Filometore. Poi venuti a con­tesa fra loro, Filometore fu sconfitto, e cacciato del regno. Ed è in questa occasione appunto che si volse a Roma per cercar soccorso , facendo il viaggio a piedi con pochissima comitiva , senza diadema Sn testa , e tutto coperto di squallore. In questa figura lo incontrò Demetrio , e gli fece le offerte accennate, ch'egli ricusò. In Roma poi Tolonuneo andò ad abitare presso un pittore alessandrino : la quale cosa riferta al Senato , questo , chiamato il giovine , gli fece scusa che il questore, com’era antico oso, non gli fosse andato incontro, nè dato gli avesse pubblico ospizio : la qaal cosa non a negligenza, del questore doveasi attribuire, ma soltanto al suo essere venuto nascostamente j e lo esortò a lasciare i cenci, di cui era coperto, e a domandare l’ udienza, secondo la pratica , che lo avrebbe ascol­tato n. Un errore corso nei codici e nelle edizioni di Valerio Mas- simo , che por narra questo fatto 9 ma parla di un Tolommeo spo­gliato del regno dal fratello maggiore, non dal minore, ha porlata confusione nella storia. Ma essa cessa tosto che si avverta, vero es­sere bensì che andò a Roma anche 1’ Emergete in tempo che pure era colà Demetrio , ma v* andò non per invocare ajuto contro it Filometore perchè lo avessse spogliato del regnò* ma per far broglio onde non fosse approvata la divisione del regno già pattuita. Inoltro F Emergete andò a Roma non nella figura di pitocco , in cui abbia­mo veduto che v'andò il Filometore, ma corredato da re. Ci ri-* mane a dire alcuna cosa di Demetrio. Egli trovavasi in Roma coma ostaggio j e trovò poi modo di fuggirsene» Ma questa sua fuga ac­cadde 1* anno terzo della olimpiade 154, e il Filometore era andato a Roma 1’ anno primo della medesima.

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Astuzia crudele di Timoteo*

Essendo Antipatro morto ne’tormenti, fecero uscir fuori Asclepiade governatore della c ittà , gridante che 1 scendi di tutto quel fatto era opera di Ti­moteo , e che ad istigazione di costui il giovinetto era stato indotto ad assassinare il fratello in quella empia ed ingiusta maniera. Ed avendo i magnati in­cominciato a subodorare la serie di tutta quella ini­quità, ed esprìmendone l’orrore che in essi destava, Timoteo preso da paura gli altri, eh’ erano stati già imprigionati, liberò dai tormenti, ma poi nascosta- mente li fece morire.

VII.

Pietà e buona indole di Ariarate.

Ariarate, soprannominato Filopatore, avendo preso possesso del regoo a titolo di eredità, prima d’ogni altra còsa celebrò al padre esequie magnifiche. Indi tanto buon sentimento dimostrò per gli am ici, i capitani, è i sudditi tu tti, che $i conciliò la bene­volenza di ogni ordine di persone (i).

( i) Questo Ariarate h il figlio vero di Anliochide, la quale di sopra si è detto che non avendo prole avea supposti al marito du« figliuoli, mandali poi uno a Roma* e 1* altro nella ionia..

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3goVili.

Integrità di Ariarate.

Avendo Ariarate ricondotto nel regno paterno Mi- trobazane , Artassia re di Armenia ( i) , non abban- dònando il cupido pensiere conceputo innanzi per legati esortò il re ad accordarsi seco lui di ammaz­zare P altro de1 due fratelli, e dividersi insieme la Sofena. Ma Ariarate , che molto era alieno da tale scelleraargine , gravemente rimproverò que’ legati ; e scrisse ad Artassia che ben si guardasse da sì enorme misfatto. Con che Ariarate s’acquistò nuovo titolo di laudi. Mitrobazane poi per hi egregia fede e virtù del monarca , a cui era ricorso , si godette il regno di suo padre.

IX.

Elogio di L. Emilio.

L. Emilio/che trionfò di Perseo, uomo consolare e censorio , e principale fra tutti i suoi contempo­ranei per ogni genere di virtù, morì in questi tempi. Per la cui morte , quando si seppe, e nel tempo massimamente del suo funerale , tanta fu la mestizia di tutta la c ittà , che non solo gli artigiani, e tutta' T altra turba forense ; ma il Senato stesso, e tutti i

(i) Era stalo primo satrapa di Antioco il grande, poi violo que­s to , essendosi buttato al partilo de*Romani, da questi fu proda» maio re. Ma poscia fu viulo e fatto prigione da Antioco Epijane.

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magistrati chiusero gli officii. £ dai municipii cir­convicini di Roma tutti que1 che poterono, accorsero con grande affetto alia funzione del mortorio, tanto per vederne la pompa, quanto per onorare il de­funto . . . . »

Quante ricchezze veniva egli dal volgo creduto possedere vivendo , tante ne furono trovate dopo la sua morte. Mentre era stato al tempo suo il solo , che dalla Spagna avesse portato nell’ erario trasmo­data quantità d1 oro ; e in Macedonia si fosse impa­dronito d1 immensi tesori, e nell* uno e nell1 altro paese trovato avesse somma licenza ; mima minima porzione fece sua. Per modo che i suoi due figliuoli y che avea dati da adottare , quando ne adirono l1 e- redità, venduti all1 incanto i mobili, non poterono cavarne tanto da restituire la dote alla moglie ; e bisognò che per pagarla interamente vendessero al­cune possessioni. Ond’ è che alcuni dissero doversi P astinenza di quel. valentuomo preferire a quelle di Aristide e di Epaminonda , che i Greci per tal ri­guardo grandemente ammirano. Imperciocché quelli si astennero dal denaro , che oftrivasi per vantaggio di chi lo dava ; e questo , mentre avea trovata mas­sima licenza di prendere quanto mai si voleva , non ne avea conceputo il minimo desiderio. Che se ad alcuno per avventura parrà incredibile , egli dee pen­sare , che F astinenza degli antichi Romani non deesi già misurale dall1 avarizia e dalla cupidità di quelli che vivono al giorno d1 oggi. Egli è pur troppo vero che al nostro tempo i Romani sopra ogni altro po­

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polo sono strascinati da ingordissima bramosità di avere. Del rimanente giacché ci accade di dover far menzione di un ottimo personaggio, poche cose di­remo della condotta e disciplina di L. Scipione, suo figliuolo , il quale dipoi demolì Numanzia: onde per avventura ignorandosi la cura e diligenza, con cui da giovinetto si applicò agli studii delle buone arti, non paja nuova e strana cosa il tanto progresso suo in ogni virtù. P. Scipione adunque fu figliuolo na­turale di L. Emilio, che trionfò di Perseo, .siccome ho già innanzi detto. Dato egli in adozione a P. Sci­pione figliuolo di Pubblio , quello che debellò An­nibaie e i Cartaginesi, divenne nipote di Scipione P africano, uomo della età sua eminentissimo. Di tali maggiori Scipione nato , e succeduto alla dignità e allo splendore di tanta famiglia, si rendè non cer­tamente indegno della gloria de’ suoi maggiori. Im­perciocché fino dalla più tenera età istruito nelle lettere greche, giunto al diciottesimo anno si applicò alla filosofia sotto il magisterio di Polibio Megapoli- tano scrittore di storia. Col quale lungamente convi­vendo , ed esercitato in ogni genere di virtù non solamente i suoi eguali, ma i più adulti ancora di gran lunga superò nella continenza, nella benignità, nella magnanimità , e nelle altre virtù. Quantunque debbesi notare che prima di mettersi a studiare la filosofia passasse presso tutti per giovinetto di assai tardo ingegno , e poco atto ad essere erede di tanta famiglia. Ma egli , come alla età conveniva, prima di tutto cercò di rendersi commendevole per la co»-

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tinenza : cosa che allora era molto difficile. Atteso­ché fa meraviglia il pensare con che impeto i giovani di quel tempo si strascinassero alle turpi libidini, e al colmo d1 ogn”1 intemperanza, altri i delicati garzoni, altri le meretrici seguendo, e conviti e suoni e canti, ed ogni maniera di mollezza, e questo perchè tratta troppo in lungo là guerra di Perseo, i Romani pre­stissimo aveano assaporata la mollezza de’ Greci ia tali generi ; ed avendo acquistate copiosissime ric­chezze , aveano quanto occorreva per alimentare e saziare la loro lussuria. Ma Scipione preso avendo un tenore di vita contrario, e combattendo con tutte le cupidità della natura come fatto avrebbe colle più feroci bestie , entro cinque anni acquistossi una co­stante e ben fondata* laude di modestia e di conti­nenza. La quale venendo meravigliosamente celebrata per la bocca, e testimonianza di tutti, fece che indi passasse a procacciarsi la gloria di magnificenza e liberalità nell’uso del denaro. Intorno a che a Sci­pione era toccato l'esempio domestico di Emilio suo padre , sotto la cui disciplina essendo stato lunga­mente, avea potuto egregiamente ricopiare in se una tale virtù. Ma contribuì a ciò anche la fortuna , e non poco , somministrandogli singolare occasione di addimostrare liberalità. Imperciocché essendo morta Emilia, moglie del maggiore Africano , e Sorella di L. Emilio , che vinse Perseo , Scipione andato a possesso della ricchissima eredità di quella donna, da tale accidente ebbe modo di dare il primo saggio di quanto in questo proposito era capace. E fu così.

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Sua madre Papiria , da un pezzo ripudiata da L. Emilio, Vivea sola da sè in assai più ristretta fortuna di quella che convenisse allo splendore del casato ; ed intanto Emilia madre del padre suo adottivo , oltre le altre facoltà? avea posseduto un insigne cor­rèdo da ricchissima donna, ed un treno di servitù elegantissimo ; poiché era stata moglie del maggiore Africano e partecipe dello stato di lui. Tutte^queste cose adunque , che sommavano a più talenti , egli diede a sua madre. La quale ? quando di tutti quegli abbigliamenti comparve corredata nelle solenni pompe delle matrone , fu cagione che prima fra le donne, poscia in tutti i ceti degli uomini altamente si cele­brasse la benignità, e magnanimità del giovine, e la pietà sua verso la madre. E se un tal fatto potea dappertutto far senso ? assai più dovea eccitar mera­viglia in Roma, dove nissuno facilmente dona altrui del suo. Inoltre, come alle figliuole del maggióre Africano doveasi ancora un residuo di dote 7 e se­condo le leggi romane la dote soleasi pagare al giorno che compiva. 1’ anno, e il secondo e il terzo j Scipione pagò a quelle donne quanto rimaneva verso loro di debito tutto ad un tratto. Dopo queste cose, morto L. Emilio , suo padre naturale , ed istituitone erede insieme col fratello Fabio, un'altra azione fece bellissima, e degna di m em oriale fu, che veggendo egli come Fabio veniva ad avere un patrimonio mi­nore del suo ? gli rinunziò la sua porzione de’ beni paterni, la quale non era stimata meno di sessanta talenti ; e cosi fece il frateUo Fabio ricco al pari di

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sè. £ mentre tutti grandemente esaltavano questo fatto , egli ne aggiunse un altro degno di ammira­zione maggiore. Imperciocché avendo Fabio stabilito di dare ne’ funerali di suo padre lo spettacolo dei gladiatori ; nè potendo facilmente sostenere una sì grossa spesa, Scipione contribuì della propria cassa la metà del denaro necessario. £ poco dopo , es­sendo morta sua madre , non solamente non volle ricevere le cose eh’ egli le avea donate ; ma quelle tutte , e l’intera eredità della madre concedette alle sorelle ; quantunque per legge niuna parte di quei beni appartenesse alle medesime. Così P. Scipione per consenso di tutti gli ordini predicato per la be­nignità e magnanimità sua, vide crescere ogni giorno più chiaro il suo nome : il che conseguì egli anche più per la opportunità, ed accortezza, con cui con­feriva i suoi benefizii, che per 1’ importare de’ me­desimi. La lode poi di continenza non acquistò con veruna spesa, ma sivvero colla sola astinenza ; dalla quale egli trasse inoltre ottima complessione, e sanità del corpo ; di cui avendo goduto per tutto il tempo del viver suo , venne a guadagnare mercede amplisi sima di sua temperanza, congiunta a dolcissima sod­disfazione. In fìne, come la fortezza sommamente Stimasi, in ogni paese , e massimamente in Roma ; ebbe Scipione da poterla esercitare ampiamente , of­ferendogliene la fortuna una massima opportunità , poiché essendo i re macedoni più degli altri aman­tissimi della caccia, Scipione li superò di gran lunga tutti.

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X.

Di Caropa.

Dopo la guerra di Macedonia , i Romani rispetto a quelli che aveano seguite le parti de1 Macedoni , molti fecero morire , molti mandarono a Roma a difendersi. Nell’ Epiro intanto trovato avendo allora Caropa una grande licenza, passando egli per fautor principale del partito del popolo romano , da prin­cipio con qualche riguardo vessava gli Epiroti ; poi crescendo l’insolenza sua tutte le cose di quel paese ruinò. Imperciocché fatti calunniare i più ricchi, gli uni mandava in esiglio , gli altri condannava al sup- plizio 5 e confiscava i beni di tutti. Né dagli uomini soli ; ma eziandio dalle donne più ricche estorceva denaro per mezzo della madre di Filota ; donna piena d’ iniquità e di crudeltà più che star possa in cuor donnesco. E finalmente m olti, che erano accu­sati di essere avversi ai Romani, costui diede a giu­dicare al popolo y il quale li condannò con sentenza capitale.

XI.

Di Orofeme.

V

Cacciato il fratello Ariarate, Orofeme ( i ) , che

(i) Uno de’ figliuoli supposti da Autiochide. Costui cacciò del regno Ariarate , spalleggialo da Demetrio. Demetrio poi era nemico 41 Ariarate perchè questi avea ricusato di sposarne la sorella, e

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avrebBe dovuto amministrare le cose con somma prudenza, e conciliarsi il favore della moltitudine colla buona . grazia e coi benefizii , nulla fece di questo ; ma intento ad ammassar denaro , scellera­tissimamente uccise molte persone, diede a Timoteo cinquanta talenti, a Demetrio ne diede settanta , e promise di darne in breve quattrocento , e di ag­giungerne inoltre seicento. Per lo che veggendosi in­viso ai Gappadoci, prese a spogliar tu tti, e a con­fiscare i beni de’principali. Laonde di questa maniera raccolta un1 immensa somma, quattrocento talenti depose presso gli abitanti di Priene per gl’ incerti casi di fortuna che potessero sopravvenire ; e quella somma gli fu poi fedelmente restituita (i).

XII.

Éontà di Tolommeo Filometore.

Tolommeo Filometere provveduto di grandi truppe, avendo ridotto il fratello entro le angustie di una sola città , e per l’ assedio, con cni il premeva, spinto alla necessità estrema, gli perdonò: il che egli fece e per l’ innata clemenza sua , e pel vincolo di san­gue , e per timor de’ Romani. Nè solamente poi gli perdonò ; ma fece seco lui una transazione, per la

rifiatata la costai alleanza. Eumene proteggeva Ariarate. Ma questi fu vinto , p rifuggissi a Roma.

(i) È da dire però che gli abitanti di Priene per quella loro fe­dele restituzione del deposito, ebbero a sostenere uia guerra , che loro fecero Ariarate re di Cappadocia, ed Aitalo.

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quale gli accordava il regno di Cirene , e una certa quantità annua di frumento. Così quella guerra tra fratelli, la quale Avea tanto allontanati gli animi, e messi entrambi in gravissimi pericoli , a un tratta finì con umanissime condizioni.

XIII.

Fatto sacrilego di Orofeme*

Orofeme veggendo le cose sue assai declinare , sta­bilì di dare al più presto le loro paghe a’ mercena­rii 3 onde col pretesto di non essere pagati non ec­citassero qualche sedizione. Quindi stretto allora as­sai da mancanza di denaro andò a spogliare il tempio di Giove posto a piedi del monte Ariadne, che fina da rimoti tempi era stato sèmpre inviolato ed intatto; e così pagò tutti gli stipendii che dovea a’ soldati.

XIV.

Empietà c castigo di Prusia.

Prusia ? re di Bitinia, non avendo potuto avere nelle mani A ttalo, nè sperando più di riuscire in tale suo disegno, prese a devastare il Niceforio , si­tuato sotto le stesse mura di Pergamo , e mise a soqquadro anche il tempio ? portando via le statue e le immagini degli Dei immortali, e fra queste il si­mulacro celebre di JEsculapio ; di cui dicesi artefice

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Piromaco ; e tutte le altre cose sacre rapì. Della quale empietà in breve dagli Dei fu punito ; essen­dogli morta la maggior parte de’ suoi fanti , tor­mentati dalla dissenteria. Nè diverso accidente pa­tirono le truppe eh’ égli avea sulle navi, poiché nata improvvisa tempesta nella Propontide , la mag­gior parte di quelle navi rimase sommersa insieme coi soldati e remiganti ; ed alcuni dei naufraghi fu­rono cacciati a perra. Questa fu la prima pena, che per l’ empietà sua ebbe Prusia.

XV.

Perfidia dei Cretesi a Sifno.

I Cretesi approdati a Sifno assaltarono quella città, e parte col terrore , parte colle promesse, ottennero d ’ esservi accolti dentro , giurata fede in prima che non avrebbero “ fatta ingiuria a nessuno. Ma poi usando della perfidia solita ad essi, fecero schiavi i S ifnii? e spogliati i templi degli D ei, ritornarono in C re ta , messo sulle loro navi tutto il bottino. Ma di questa perfidia non istettero molto 'a pagare il fio ,

'essendo sopra loro piombata la vendetta degli Dei quando meno se 1’ aspettavauo. E la cosa andò così. Essi erano stati costretti a salpare di notte per la pfftira de’ nemici> le navi de’ quali erano più grandi delle loro 5 ed improvvisamente alzatasi gran procella, furono inghiottiti dal mare: alcuni gittati verso terra, e sbattuti contro gli scogli morirono miseramente : po-

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chi che a quella perfidia non avevano dato il loro assenso , furono i soli, che salvaronsi dal naufragio.

FRAMMENTI DEL LIBRO XXXII.

I.

Politica di Filippo , di Alessandro, e de* Romani coi popoli vinti.

Filippo , figliuolo d’ Àminta , avendo ricevuto il regno soggetto agl’ 111iri , e tributario , colla svel­tezza e fortezza sua il ricuperò , e il rendette il più grande di tutta Europa, usando ai vinti singolare clemenza. Imperciocché avendo vinti gli Ateniesi in una sanguinosa battaglia , quando gli. contrastavan il primato della Grecia 5 i cadaveri dei loro morti in battaglia da loro lasciati insepolti ? egli con grata diligenza fece seppellire y e più di due mila prigio­nieri rimandò alla loro patria senza pretendere ri­scatto. Ond’ é che quelli, i quali del primato aveano seco lui combattuto, udita tanta umanità del re verso i loro concittadini, spontaneamente ' gliel cedettero $ ed egli quello che con fanti pericoli e combattimenti non |tveva potuto ottenere, 1’ ottenne senza invidia da’nemici col solo essersi dimostrato clemente. L’im­perio suo egli poi confermò colla paura e il terrore, quando demolì Olinto, città popolatissima. Con pari consiglio suo figliuolo Alessandro distruggendo Tebe ritrasse dal pengiere di tentar cose nuove gli Ateniesi e

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Lacedemoni. Ma nella guerra persiana, usato avendo somma umanità coi prigionieri conciliò al partito suo gli Asiatici non tanto colla fortezza , quando colla singolare sua clemenza. Ma negli ultimi tempi i Ro­mani bramosi dell' impero del mondo , il consegui* rono , è vero colla loro militare virtù ; e colla clemen­za che usarono ai vinti, alle cose loro diedero amplisi simo incremento. Ed erano essi tanto alieni da ogni sevizie , e dal supplizio de’ vinti, che parvero trat­tarli non come nemici, ma come amici, e gente be­nemerita ; imperciocché mentre i vinti s’ aspettavano dai vincitori ogni estrema ruina, essi vincitori con incredibile umanità temperavano la vittoria loro me­desima , a chi concedendo i diritti di città , a chi quelli concedendo delle nozze, ad altri restituendo la libertà, a nessuno facendo sentire P acerbità della vittoria più di quello che convenga. Per ciò a ca­gione della singolare loro benignità r e , città , na­zioni , tutti concorrevano a mettersi sotto la prote­zione del popolo romano. Ma dopa che s’ impadro­nirono delF imperio di quasi tutto il mondo., col teiv rore e coir eccidio di città celebratissime* fortifica-* rono la loro dominazione.. Così nell9 Acaja demo­lirono Corinto , così dalle fondamenta rovesciarono Numanzia nella Spagna; così estinsero i re di Ma* cedonia , come Perseo ; e furono a molti altri di terrore.

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n.

Condotta de’ Romani circa il fa r guerra*

I Romani badano sommamente ? e fanno singola? stadio d’ intraprendere guerre giuste ) e di non or* dinare in esse alcuna cosa nè leggiermente,. nè ift- 0©nsiderata mente,

III,

Della fede di P. Scipione.

P. Scipione j cbe fu poi detto Africano , allora tri» buno , avvegnaché quasi tutti gli altri Romani eoa facilità violavano i patti e giuramenti fatti co’ ne­mici ? egli all’ opposto con massima religione mante», neva la fede data agli assediati , e quelli che si ar-* rendevano, trattava con clemenza, e con grande umanità. Laonde co testa sua equità dalla fama es» sendo diffusa per 1’ Africa , niuno di quelli che fbs» sero assediati si arrendeva ai Romani, se Pubbli.Q Scipione non interponeva la fede sua.

IV,

Umanità di Annibale fa tta cagione di gloria per Scipione*

Non essendo morti nel combattimento che tre soli Romani y e quelli essendo rimasti insepolti * tutti

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erano di tal cosa travagliati. Ma Scipione, avutone permesso dal console , chiese con lettere ad Anni­bale che volesse far seppellire que*cadaveri. Il quale avendo ciò fatto prontamente, e dopo il mortorio mandate al console le ceneri di que’ tr e , Scipione ne fu glorificato, come avente sommo credito ancìie presso i nemici.

V.

Crudele condotta del falso Filippo.

Il falso Filippo vinti in giusta battaglia i Romani, e voltosi alla sevizie ed insolenza propria del tiranno, ammazzò chiunque fosse uomo opulentissimo , con somma scel le raggine fabbricando calunnie contro i medesimi. E levò di vita anche parecchi dei suoi amici, essendo uomo fiero e sanguinario di natura $ e iiel conversare famigliarmente superbo ; e conta­minato in fine d’ogni genere di cupidigia e di mal fare.

VI,

Amore del popolo romano per Scipione.

Il popolo romano amava tanto Scipione, che quan­tunque nè l’età di lu i , nè le leggi il comportassero, pure volle ad ogni moda co1 suoi suffragi dichia­rarlo console *

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4°4yii.

Perfidia di L, Calpumio Pjsone.

L. Calpumio Pisone console, avendo prese per dedizione alquante città , rotta di poi ogni fede, tutte le rovesciò da capo a fondo. Laonde tutti i suoi disegni di poi andarono a vuoto , come se avesse contrarii gli Dei. Ed infatti avendo incomin­ciate molte imprese , non potè mandarne ad effetto riissima.

Vili.

Prusia odiato dai Bitinii.

Il re Prusia, essendo bruttò d’aspetto, e di corpo molle ed effemminato, era odiato dai Bitinii.

IX.

Generosità di Scipione verso i Siculi.

Scipione, espugnata ch’ebbe Cartagine, fece che i legati de’ Siculi, i quali erano allora al suo campo, osservassero quali nel radunato bottino fossero i bei capi d’ opera delle loro città , già in addietro dai Cartaginesi portati via ; ed ordinò loro di ricondurli alla loro patria.. E trovaronsi in vero molte imma* gini, e molte elegantissime statue d’ illustri valenti uomini 3 e molti lavori offerti già agli D ei, parte di

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oro , parte d’ argento, cbe 1 Sìculi ben riconobbero. Tra le quali cose fuvvi quel celebre toro d’ Agri­gento , di Perillo, il quale avendolo fabbricalo a servizio del tiranno Falande, pel primo poscia ebbe a sperimentare pel suo* stesso supplizio.

X.

Elogio di G. Giulio Cesare.*

Alla età nostra, dopo circa cent’ ann i, G. Giulio Cesare , cbe per la grandezza delle imprese fu so­prannominato il Divo, contemplando i rottami e le ruine di Corinto fu tocco da tanta pietà, e insieme da tanto amore di gloria, che prese con sommo impegno a volerla ristaurare (i). Perciò a cagione di sua benignità, -cbe in quel grand1 uomo fu somma, egli merita infinita laude ; ed è giusto cbe la virtù di lui a sempiterna memoria sia registrata nella sto­ria. Imperciocché dove i suoi maggiori contro quella città acerbissimamente comportaronsi , egli colla man­suetudine sua vi emendò il crudo rigore, alla sevizie anteponendo la clemenza. Nel medesimo tempo col- P ampiezza delle sue imprese tutti di gran lunga su­però quanti erano prima di lui vissuti; e per la sua

(i) Fa nell*anno di Roma 910 , che Cesare, essendo console per la quinta volta con M* Antonio mandò a Corinto Una colonia di gente di condizione libertina. Fu questo titolo che chiamò non po­che satire su que’ nuovi Corinti. £ di vero non ebbero altra rino— mania che quella che venne loro dalle Lettere di S. Paolo.

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virtù giustamente meritò SI soprannome di Divo, ln-4 fine c. per lo splendor del casato * e per la forza della eloquenza, e per la scienza militare , e pel disprezzo del denaro 9 fu il più celebre nomo della età sua.

XL

Elogio di Viriatòi

Viriato lusitano era giustissimo iti ispartiré il bot* tino , e quelli che valorosamente s1 erano comportati nel combattimento * secondo i meriti di ciascheduno onorava con grandi doni. Nè poi toglieva nulla dei denaro eh’ era di ragion pubblica* Per lo ché i Lu­sitani riguardandolo come salvatore e benefattore della loro repubblica, lui duce e compagno , nessun pericolo rifiutarono mai d’ incontrare*

XII,

Di G. Planzio*

G. Pia tizio , prfctor tornano , governò assai malé la provincia (i). Ond’ è che per giudizio popolare venne condannato, e andò in ésiglio , per avere di* minuita la maestà del popolo romano*

( i) Cioè la Spagna# e fece la guerra a Viriato con imprudenza & negligenza*

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XIII.

Del re Alessandro.

Fu nella Siria il re Alessandro (i) , il quale pél* la sua pigrizia non atto a tanto carico, diede il gó* Verno di Antiochia a Jerace e a Diodoro.

XIV,

M isfatti del re Demetrió..

' Volto al basso il regno di Siria , Demetrio, solò Superstite ornai della stirpe reale credendosi sicuro da ogni pericolo, invece di seguire il costume dei re antecedenti, i quali colla cortesia, ed affabilità cercarono di procacciarsi il favore de’popoli, egli si fece ogni giorno più intollerabile con ordini pesan­tissimi , a tal che in fine diventò crudel tiranno , e si diede a misfatti d’ ogni maniera di scelleraggine. Del che però la colpa dee darsi non tanto alla prava indole sua , quanto al ministro (2) , che pose alla testa di tutti gli affari del regno. Costui scellerato e temerario del pari, ed autore di tutti i mali, quel

(1) Cosini fa quegli ch’ ehhe il Soprannome di Baia * eccitato A far guerra a Demetrio da Tol»mmeo e da A italo.

(1) Il cattivo ministro, di cui qui si parla, fa il cretése Lastente4 il quale giovò molto a Demetrio nel ricuperare il r#-fjr>o. Questo Demetrio fa il JYicatore f figliuolo di Demetrio soprannominato £«• m e .

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giovine re guastò colle sue adulazioni, e spinse a più nefandi delitti. Incominciò dal far morire in mezzo ai più atroci tormenti tutti quelli , cbe nella guerra erano stati di contrario partito. Indi siccome gli Antiocheni, secondo il loro costume, lo satireg­giavano (1), mosse contro loro soldati mercenarii t ed ordinò , che li spogliassero delle armi. Le quali non volendo gli Antiocheni consegnare , ed essen­dosi messi in punto di ribattere la forza colla for- fca , altri nell1 atto della zuffa uccise , altri trucidò nelle proprie case colle mogli e co1 figli. E come per tal rosa tumulto gravissimo nacque in città , egli incendiò la massima parte della medesima j e condannati capitalmente molti che dicevansi capi della sedizione, i loro beni confiscò. Per queste cose un buon numero di cittadini d’Antiochia, per odio e paura di Demetrio fattisi profughi, andavano va­gando per ogni luogo della Siria aspettando tempo opportuno per vendicarsi. Intanto Demetrio inviso a tutti non cessava nè dalle stragi , nè dai bandi, nè dalle confiscazioni de'beni, superando di gran lunga là crudeltà di suo padre } il quale niuna benignità da re usando , ma invece lasciando il freno all' im­peto della tirannia di acerbissime calamità avea i sudditi oppressi a modo , che i re di questa famiglia per la loro inclemenza vennero in detestazione a

(t) Non piace al Vetselingio ehe sì parli pi& del satireggiare degli Antiocheni, che della loro leggerezza, cd impeto per la novità. Ma egli doveva ricordarsi del carature di quegli abitanti uno al tempo di Giuliano imperador«t

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ta tti; alPopposto i re dell’ altra stirpe per la eie* tnenza loro furono da tutti amati (i). Quindi, poiché i prìncipi dell’ una e dell’ altra s’ insidiavano a vi- eenda , continue erano nella Siria le battaglie ; e la plebe stessa corrotta dalle arti dei re succedenti godeasi d’ ogni novità che avvenisse.

XV.

Perfidia degli Aradtì.

Gli Aradii divenuti alteri e prosuntuosi, fecero violenza ai legati de’ Maratensi, i quali iti a chie­dere soccorso , ed invocando la religione de’ suppli­chevoli , e reclamando il sacro diritto delle genti, da alcuni audacissimi giovani furono uccisi. E gli autori di tale misfatto, iti immantinente alla pubblica assemblea, aggiungendo male a male, macchinarono empia trama contro i Maratensi ; e fu che. tolti agli uccisi gli anelli pensarono di mandare una lettera, come se fosse stata scritta da que’ legati, al popolo maratense, nella quale dice vasi che gli Aradii avreb­bero in breve spediti ajuti ; e ciò* col di segno che i Maratensi , accogliendo i soldati degli Aradii sulla fede che realmente fossero andati per ajutarli, in­gannati da ciò rimanessero sorpresi. Ma gli Aradii

(t) Le -d«« stirpi reali della éhria , di cni qui parla D iodoro , fa* rono quella di Antim o Epifimm cui proveniva Alessandro Baia \ ed era stata di ré elementi5 l'altra quella di òeleuc^ F ihpatan noia per superbia c miaia*

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non poterono riuscire in tal perverso disegno. Impera ciocché mentre aveano tolto ai privati ogni qua-* lunque legno, affinché nissuno potesse avvisare i Ma-* ratensi dell'inganno r favvi un pescatore non avverso ni Maratensi, che avendo pietà d’essi 7 poiché era solito a frequentare il prossimo stretto , essendogli stata tolta la barca , di notte si gittò a nuoto ? e arditamente passò lo stretto, eh1 era largo circa otto stadii y e scopri ai Maratensi le insidie degli Àradii. Ond1 é che questi vedendo svelata là loro trama 9 si astennero dal mandare quella lettera.

xvi*

Di Tolommeo Fiscone.

Tolommeo Fiscone fratello del Filometore, avendo preso a regnare , incominciò il suo governo dai più grandi misfatti. Molte persone fece morire sotto cru­delissimi snpplizii , calunniandole di avere attentato alla sua vita : altre esigliò sotto varii falsi pretesti y confiscandone i beni. Per le quali cose in breve in­corse la detestazione e Podio di tutti i sudditi. Non ostante regnò quindici anni (i).

(i) Avvertasi che Diodoro qui non intende dire che Tolommea Fiscone regnasse solamente quindici anni: chè ne regnò ventinove j jna bensì che gli Egizii soffrirono le sué crudeltà, e il tirànnico suo» governo sino al quintodeeimo anno del, suo regno. Chè allora ap-* pnnto j messo fuoco al palazzo gli Alessandrini 1* obbligarono afug<* gire: ed in fatti si portò nascostameni* in Cipro.

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XVII.4it

bella temperanza di Viriato.

Viriato , vedendo nelle feste delle nózze esposto taolto Vasellame d’ oro e d1 argento , e drappi , e stoffe d’ogni singoiar lavoro, colla lancia rovesciando tutte quelle cose y non d’ ammirazione le diceva de» gue , ma bensì di disprezzo. E mólte altre sapienti massime pronunciò , e fini con una risposti sola ; cbe comprendeva molti e profondissimi sensi; Imper­ciocché primieramente col suo detto significò essere imprudenza massima porre sue speranze ne1 beni della fortuna che sono incertissimi : indi che tutte quelle dovizie di suo suocero erano soggette alle armi e alla lancia : poi in ultimo , che piuttosto il suocero dovea essere grato a lu i, poiché niùna cosa di pro­prio gli donava, essendo egli il padrone di tutto. Del rimanente Viriàto allora nè si lavò’, nè si assise a tavola, benché molto pregato ; è mentre la mensa era imbandita di cibi squisitissimi, fegU a’ suoi com­pagni non distribuì che pane e carne. Quindi preso egli colle mani un poco di cibo, fece Venire la sposa, e fatto , secondo l’uso degli Spagnuoli, il sacrifizio , mise la donzella sopra un cavallo, e tosto la con­dusse al suo quartiere, che aveva ne’monti. Stimava egli la sobrietà per massima ricchezza , poneva la patria nella libertà , e nella fortezza la possessione più sicura. Ne* patti , e ne’ discorsi era egli ancora «li somma fede ; e pieno di urbanità : parlando egli

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semplicemente e sinceramente, come nomo , che era d’ incorrotto ingegnò ; e in ninna disciplina istruito.

XVIIL

Del mal talento di Demetrio.

Demetrio fermatosi in Laodicea, consumava il suo tempo in banchettare, in procacciarsi ogni pià squi­sita voluttà , in oziare pigramente in ogni maniera di lussuria. E non pertanto non si ristava egli dal far male di tratto in tratto a molti : nè le 4isgrazialo avevano fatto pià prudente. .

XIX.

Pretensioni de’ Gnossu.

I Gnossii contendevano sul principato JeflP isole , che dicevan essi loro appartenere sì per 1’ antico splendore della loro città, sì per la fama che durava ancora de’ loro maggiori fino dai tempi eroici. Rife­riscono in fatti che Giove fosse presso d’ essi edu­cato ; e che Minosse , il quale fu il primo ad avere T imperio del mare , originario di Gnosso , era stato disciplinato da Giove ? c in virtù avea superato di gran lunga tutti gli altri mortali.

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XX.4i3

Confronto tra i Tolommei, filometore e Fiscóne.

Ma in Egitto il re Tolommeo per la sua crudeltà e pe’ suoi misfatti era in odio a tutti : imperciocché i costumi suoi messi a paragone di quelli del Filo-* metore suo fratello , non aveano ombra di rassomi­glianza. Il Filometore era di una esimia mansuetu­dine j ed egli di una sevizie somma. Ond’ è che la moltitudine avida di cose nuove cupidamente aspet­tava tempo opportuno per ribellargli»

XXI.

Crudeltà di Fiscone.

Nel tempo cbe Tolommeo secondo il costume degli Egizii solennemente inauguravasi nella reggia di Menfi (i), gli nacque un figlio dalla regina Cleo-

(i) Non dispiacerà avere qualche idea di questa funiione in Egitto antichissima. Copiamo perciò un passo di s. Girolamo ne* suoi Conunenti sopra Daniele• Egli dice : Tifone viene fulminato da Apollo nel tempio d* Egitto in Mertfi, dove fu uso di decorare sul regio soglio i re che dominavano. Ivi primieramente venivano ini- uati nelle cose sacre , vestiti con molta religione di una candida tonaca. Poi dovevano recare il giogo al toro, che chiamano api s ed esservi condotti per un lungo vicolo, così esperimentando le fa ­tiche della umana necessità, onde non abusare crudelmente dei soggetti. Il re veniva anche condotto dal sacerdote <2* Iside in aerto adito , ed obbligato a giurare, che nè giorno 9 nè mese avrebbe in­tercalato ec. Ed erano qui esposte tutte le cose che il re dovea rispettare e lare.

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patra. Di che sommamente lieto il chiamò Menale, appunto perchè gli era nato in Menfi nel corso di quella solenne funzione. Ma nel mentre che celebrata la nascita di quel fanciullo, non cessando dalla solita sua crudeltà, ordinò che fossero ammazzati alcun» Cirenei, i quali lo accano condotto in Egitto;* e ciò perchè lo aveano alquanto liberamente rimproverata di tenere per concubina Irene.

XX1L

Atrocità di Diegili trace,

Diegili, re de1 T raci, dopo che fu asceso in tro­no , insuperbito per le prospere cose, che sopra I suoi desiderii gli avvenivano , incominciò non a reg­gere i suoi sudditi come amiei e compagni, ma a signoreggiarli aspramente come tanti schiavi e pri­gionieri. Così molti Traci 7 uomini per bontà eccel­lenti ? dopo averli fatti passare per crudeli tormenti, fece morire ; ed assai più oppresse d* ingiurie e di contumelie estreme, infatti costui non rispettava la bellezza e il pudore di nessuna donna, o di ingcr nuo giovinetto;niun bene altrui era che non rapisse violentemente ; e tutto il suo paese empiva di seeb- leraggini, e di sopraffazioni. Anzi le greche città con Guanti collo stato suo metteva a ru b a , e le per-» sone che ne prendeva, o violava, o facevaie morire sotto torture raffinatissime. Ed avendo presa la città di Lisimachia, la quale era del dominio di Attala^

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la fece incendiare, e de’ prigionieri che vi fece , tra­scelti quanti erano nobilissimi, li scarnificò con inau­diti supplizii. Tal era la barbarie di costui, che le tronche teste , e le mani e i piedi de’ figliuoli faceva attaccare al collo de’ genitori ; e scambiava le mem* bra degli uomini e delle donne , ad alcuni, mutilati prima delle mani , tagliava per mezzo la schiena ; e alcune volte le tagliate membra rizzava sopra pali; così che infine nella crudeltà superava Falaride stesso e Apollodoro , tiranno de’ Cassandresi. E l’atrocità di costui, per lasciar altre cose f da questo sol fatto abbondantemente si comprenderà. Celebrando egli le nozze secondo le antiche usanze ed instituzioni de’ T raci, mise le mani addosso a due giovani greci che insieme viaggiavano ; i quali erano del regno di Attalo , fratelli, ed ambedue bellissimi di persona, uno di prima lanùggine , Y altro giunto ornai al fior della età. Ora Diegili si fece venire innanzi l’uno e 1’ altro con in testa le infule (if a modo delle vit­time y e all’atto che stava per tagliarlo per mezzo fece da’ suoi satelliti distendere in terra il più gio­vine } a un tratto esclamò non dovere i re usar le vittime come i privati. Alle quali parole postosi l’al­tro giovine a gemere, e per l’ amore del fratello of­ferendosi egli al colpo 5 Diegili ordinò che anche questo si stendesse 3 terra come il primo 5 e duplir cando la crudeltà entrambi troncò di un colpo solo,

(1) Così è antico l'uso delle mitre, che fino ai nostri tempi si (sodo vedute usare a Lisbona, a Madrid, a Goa, al Messilo tremendi Autì-dafv \

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applaudendo a tenia ma destrezza gli spettatori. A», gaissimi altri fatti di tale maniera, iniquissimamente, colui com mise.............

xxrn.

A ltri tratti di atrócità di Diegili.

Attalo reggendo cbe Diegili per avarizia e crudeltà sua era detestato da’ sudditi, adottò una contrària condotta': onde avendo egli liberalmente rimandati al loro paese assai Traci ? dianzi fatti prigionieri, si procacciò altrettanti panegiristi di sua mansuetù­dine y essendo poi accaduto cbe molti principali fra i T raci, per 1’ odio a Diegili rifuggtvansi presso di lui ,* e n’ erano ben accolti, Diegili, saputa la cosa, gli ostaggi di quei fuorusciti gravissimamente tor* mento • la maggior parte de9 quali essendo ancora in tenera e tà , parte ne fece mettere in brani, parte fece mozzare di piedi , di mano. di capo $ alcuni attaccò a croci, altri sospese ad alberi/ Nè poche donne ? di quelle eh’ erano strila pelle ornate di pun« ture colorite (i), che presso i Traci sono le prima­

(1) Fu questo costume delle donne di Tracia, che da prima certe linee,.e figure pajono avere usato, a ciò dagli uomini condannate per la strage che fecero di OrfeQ. Ma tale origine ognun vede do­ver essere favolosa. Presso Ateneo trovasi data altra ragion* di tal uso. Noi vorremmo che gli Eruditi, i quali perdono il lor tempo a dicifrare le sigle de* ceppi mortuari! di persone oscurissime , che non interessano nessuno, volgessero il loro ingegno a ricercare come quest’uso, sino dagli antichi tempi pratioaio fra le nazioni barbare

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rie y prima d’ essere condotte al supplizio prostituiva alla libidine di tutti , così con barbara superbia cor­rendo ad ogni genere d’ingiuria. Le quali cose, co- me palesemente dimostravano in colui una certa sver­gognata sevizie ; così nella più parte degli spettatori, e in quelli che avevano qualche senso di umanità , destavano somma compassione.

XXIV.

Perfida viltà de Lagnitani , e pena portatane.

Q. Pompeo avendo preso ad assediare la città di Lagno, i Nu man tini in grazia de1 loro popolani, mandarono loro di nòtte un soccorso di quattrocènto soldati, i quali i Lagnitani sul principio volontieri ricevettero, ed anche regalarono come se fossero i loro salvadori. Ma pqchi giorni dopo spaventati del- r assedio vennero a proposizioni d’arrendersi a Pom­peo , chiedendo Soltanto dr essere salvi ; e Pom­peo non volle ascoltare condizioni, se prima non gli si consegnassero i Numantini. Parve a Lagnitani scel­leratezza usare quel tratto con uomini verso loro si benemeriti j nè avendo ardimento di farsene rei, sta­bilirono di sostenere P assedio. Ma ridotti poscia ad estreme angustie, mandarono a dire a Pompeo d ’ es­sere disposti a redimere la loro salvezza col sacriti* ciò de’ loro socii. Il che avendo gli ausiliari Numan-

delP antico continente # trovati sì frequente presso tante nasioni sel­vagge d* entrambe le Americhe t e nelle più remola isole del grande •ceano.

4»?

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tini penetrato, sbucati fuori di notte all’improvviso fecero orribile strage di quegli abitanti. Pompeo in* teso il tumulto fece subito mettere le scale alle mura, e prese la città, passando a 41 di spada tutti i Lagnitani , e benignamente mandando via i Nu- mantini ausiliari, cb’ erano in pumero di dugento : con tal fatto avuta compassione del cimento, a cui era stata tratta la virtù d'uomini indegnamente traditi alle estreme angustie 5 e nel tempo stesso con tale suo operare tirando i Numantini a certo benevole af­fetto verso il popolo romano. La città poi di Lagno demolì interamente.

XXV.

Elogio di Arsace re de Parti.

Arsace, re de’ P arti, essendo stato sempre eie* mente e mansueto, ebbe dappertutto prospera for­tuna , ed amplificò grandemente i limiti del suo im­perio. Imperciocché andato sino a llln d ia , ove anti­camente avea regnato Poro, tutto il paese facilmente conquistò. E quantunque a tanta ampiezza di regno fosse giunto, nè lusso 9 nè superbia il macchiarono , diversamente da quanto suole avvenire alla maggior parte de’ principi : ma fu sempre clemente verso i sudditi , e forte contro i nemici. Avendo poi assog­gettate all’ imperio suo assaissime nazioni, da cia­scheduna d’ esse tolse quanto trovò di ottimo, e ne fece altrettanti capi d’ istruzione pe’ suoi Parti.

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XXVI,

Elogio di Viriato•

Al cadavere dì Vinato furono dai Lusitani cele­brati funerali magnifici, ordinando cbe sulla sua tomba combattessero dugento coppie di gladiatori, in onore della fortezza esimia di quel valentissimo uomo. E fu egli, coni1 è noto a tu tti, bellicosissimo ne’pericoli j e sagacissimo in provvedere quanto alla cir­costanza occorreva ; e ciò ch’è il principale di tutti i suoi pregi alla testa dell* esercito fu amato da' soldati, come nissuno dianzi lo fu. E ciò perchè nella divi­sione del bottino nulla prendeva di più degli altri ; e di quanto era suo , regalava i valorosi uomini, e soccorreva i soldati più bisognosi. Era inoltre di una sobrietà, e di una vigilanza incredibile ; nè si sot­traeva mai a fatica ed a pericolo qualunque : fatto di ferro contro ogni genere di voluttà. E della sua virtù sono le prove manifestissime: perciocché avendo governati i Lusitani per undici ann i, non solamente si tennero tutti tranquilli senza sedizione alcuna; ma le sue truppe furono , può dirsi, invitte. Morto lu i, l’ esercito de’ Lusitani, privati di . tanto condottiero, in breve fu dissipato.

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XXYU.

Meriti di Jcroce, ministro di Fiscorte.

' Tolommeo era invisa a tutti a cagione della sua Crudeltà, delle stragi sue, delle sue turpi libidini y «d anche per la deformiti della persona, per questo appunto chiamato Fiscone. Ma lo sostenne nel regno il prefetto Jerace 7 uomo intendentissimo delle cose di guerra, molto popolare nelle adunanze, ed inol­tre di esimia magnanimità. Imperciocché trovandosi Tolommeo scarsissimo di denari, e i soldati per non aver le lor paghe essendo disposti a disertare a Ga- le ste , egli di borsa sua saldò le loro partite, e di ta l maniera sedò la sedizione.

XXVIII.

Del Fiscone ancora.

Gli Egizii disprezzavano affatto Tolommeo veden­dolo e puerile ne9 discorsi, e perduto nelle fogne delle più vili libidini, e per la intemperanza di coipo affatto effemminato.

XXIX.\

Di M. Emilio.

M. Emilio console essendo troppo grasso, per la

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soverchia grassezza grave e tardo di corpo , non era per nissun conto atto alle cose della guerra (i).

FRAMMENTI DEL LIBRO XXXIV.

A ltra ribellione degli schiavi in Sicilia.

Ne’ medesimi tempi fu eccitata in Sicilia una se- dizione di servi, molto maggiore di tutte quelle che fossero accadute avanti ; colla quale moltissime città furono turbate , ed innumerabile moltitudine di per­sone d’entrambi i sessi cadde in orribili calamità f essendo mancato poco che tutta F isola non restasse sotto il dominio de’ fuggitivi, i quali aveano per ulti­mo di loro potenza fra se stabilito d’ infierire con tutta mai 1’ atrocità contro i loro padroni. E cosi avvenne a m olti, che tal ruina certamente non s’aspettavano.

Ma quelli che le cose sogliono attentamente consi­derale 3 videro tal infortunio non a caso essere suc­ceduto. Imperciocché per la smisurata abbondanza di tutte le cose, delle quali gli abitanti di quella isola opulentissima godevano , ogni ricco uomo si era dato al lusso, indi alla superbia ed alla petulanza; e per questi vizii crescendo di giorno in giorno, e la sevi* zie de’ padroni verso i servi, e la malevolenza dei servi contro i padroni , finalmente venutane occa« sione opportuna, 1’ odio scoppiò ; e molte migliaja

(i) Costai dal popolo romano era chiamato M. Emilio Lepida PTeina. Per testimonianza di Cicerone fu buon oratore.

4^i

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di serri senta che né fòsse dato segnale aldino al* r improvviso alzaronsi per ruinare i padroni. E un fatto sìmile nel medesimo tempo accadde pur nel* l’ Asia: perciocché essendosi Aristonico (i) senza alcun diritto arrogalo il regno dell’Asia , a .lui uni- rousi i servi per la sevizie con cui dai loro padroni erano tratta ti, e molte città e borghi empirono di stragi.

Del rimanente convien sapere che tutti quelli i quali in Sicilia possedevano latifondi! per ararne le terre compravano ergastoli interi ; e parte de’ servi tenevano in ceppi, parte aggravavano di pesantissimi lavori ; e tutti poi bollavano ; ed era di tanta mol­titudine di questi miserabili piena tutta l’isola , che appena potrebbe credersene il numero ; perciocché Ogni più ricco uomo di Sicilia soleva pareggiare ia superbia, in avarizia e in perversità cogl1 Italici. D i questi appunto la più parte allora manteneva grandi famiglie di servi, e a tale iniquità e licenza aveano assuefatti i loro pastori y che quando non davano loro di che alimentarsi , permettevano che si met­tessero a rubare. Ora permessa una volta siffatta li­cenza a tali uomini, che per la robusta complessiobe erano capaci d’eseguire ogni attentato, che ne avean tutto il tempo possibile, e che v’erano eccitati dalla

(i) Questo Aristonico dicevasi figliuolo di Eumene, Egli occupò Leuca ; poi in una battaglia navale vinto dagli Efesii si ritirò nel- r interno, e chiamali alla libertà i servi, ed armata una grande quantità di poveri , mise insieme un grande esercito. Egli chiama** quei servi Eliopoliti.

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necessità di cercarsi il vitto , in breve quel perverso saccheggiamento prese piede. Da principio erano so­liti ad ammazzare chi o solo, o con qualche com« pagno viaggiasse per le strade maestre. Poi passa* rono ad assaltare di notte i villaggi piccoli, rapendo quanto vi trovavano, e trucidando quelli che voles­sero oppore forza a forza. Poi crescendo in audacia ? non più erano sicure di nòtte le strade ai vianc&nti> nè V asilo delle loro case a quelli che solevano vi­vere ne1 villaggi: tutto essendo pieno di rapine, di latrocini , e di uccisioni. £ que1 pastori in sì mal fare prendeano ogni giorno più coraggio , essendo armati alla foggia de’ soldati, e vivendo a cielo sco­perto ; portando mazze , e lance , e grossi bastoni ; ed essendo vestiti di pelli di lupo, al solo farsi ve­dere erano divenuti terribili. Aveano poi seco conti­nuamente una caterva di, grossi cani 5 e come al­tronde di latte , di carne ? e di ogni cibo ingorda­mente si riempivano, e d’ animo e di corpo eran feroci. Di tal gente, divisa in frotte qua e là sparse era'adunque piena Pisola tutta, come se fosse stata milizia ; e correva dappertutto questa genìa di servi armati, audacemente baldanzosa, come quasi ciò dai padroni medesimi così le fosse permesso. I pretori cercavano, è vero, di reprimere quella canaglia ; ma non aveano coraggio di punirla a cagione del credito e della potenza de1 padroni: onde a loro mal grado soffrivano che la provincia fosse da que’ladroni in­festata. Imperciocché essendo la più parte de’padroni di coloro cavalieri romani ; è da avvertile, eh’ tssi

4 a3

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erano quelli, presso i quali a quel tempo erano i giudizii in Roma, e che dal loro ordine solevansi trarre a sorte i giudici nelle cause de’pretori e de1 proconsoli, che venivano dopo il governo delle provincie citati a render conto della loro condotta : onde erano for« midabili a que’ magistrati.

XXIL

Come Italici possidenti in Sicilia trattassero gli schiavi.

• Gl’Italici, che aveano in Sicilia grossissime tenute, componendo gran numero di servi, e tutti bollandoli in volto, li defraudavano della cibaria, e li aggra­vavano di lavoro.

XXIII.

Condotta di certo Damofilo verso i suoi schiavi.

Bravi un certo Damofilo, d’Enna, uomo di grandi facoltà, ma d’ indole arrogante, il quale possedendo lina vastissima campagna, e gran numero di bestiame avendo , si pose ad emulare nel lusso, e nella cru­deltà verso i servi gl’ Italici che vivevano in Sicilia. Imperciocché facevasi vedere a scorrere il paese strascinato sopra un cocchio da cavalli generosis­simi , e accompagnato da una caterva di servi armati. Conduceva parimenti seco di continuo e bei ragazzi, e adulatori , e parassiti moltissimi ; e in città e in yilla usava Tassellami d’argento egregiamente lavorati

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n rabeschi e figure , e padiglioni e copertoi tinti di porpora di gran prezzo : poi dava cene lautissime e di una magnificenza da r e , nelle sue spese supe­rando lo stesso lusso persiano. Similmente andava innanzi a tutti nell’ arroganza 5 poiché essendo uomo idiota ed ignorante d’ogni disciplina, possedendo- ricchezze grandissime , e libera licenza , prima per la sazietà proruppe in insolenza ; e finalmente tirò addosso a se stesso la ruma e alla patria gravissime calamità. Impercioeché avendo comperata una grande quantità di servi , d’ essi per massima contumelia abusava ; poiché mentre erano persone nate civil­mente nel loro paese , e fatti prigionieri di guerra , sulla, faccia li segnava a forza di. punture di stili ; poi gli uni incatenati faceva serrar negli ergastoli, altri destinava a pascolare i bestiami ) nè di vestito, nè d’ altre occorrenti cose dava lor# il bisogno.

Oltre ciò non lasciava scorrere un giorno , che QOn facesse i suoi servi battere senza che in alcun modo l’avessero meritato: tanta era la crudeltà sua, è il protervo suo genio. Nè diversamente comporta» vasi la moglie di lui Megallide di nome, la quale godendo con atroce animo del supplizio de7 m iseri, le sue ancelle trattava crudelmente , e così i servi che le capitavano sotto. Ond’ è che esasperati per gli strapazzi e la sevizie d’ entrambi contro loro que’ servi, i quali videro nulla di più grave poter loro avvenire di quanto già soffrivano , all’ improv­viso insorsero.

Avea Damofilo una figlia, verginella ancora tenera

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di età , ma di dolci costumi , e di animo compas­sionevole. Questa i servi quando erano stati flagellati dai loro padroni era solita caritatevolmente a curare e soccorrere, e quando erano in prigione a rpcar loro di che nudarsi : ond’ è che da tutti era gran­demente amata ; ed allora per la usata di lei carità Terso tutti y a cui avea fatto bene, a riguardo suo veramente commossi , non solo non vi fu tra loro chi alcuna ingiuria le facesse ; ma tutti ne custodi­rono puro ed illibato il pudore ; e scelti de’ loro compagni alcuni de9 più lesti, a capo di qual fd Erm ia, la mandarono ad alcuni suoi parenti a Ca­tania............

Dopo che Euno fu dai fuggitivi dichiarato re ? molti ammazzò ; e risparmiò que’ soli, che lui a ca­gione del vaticinio aveano lodato ne’ conviti, a’quali il suo padrone Antigono per divertire sè e la brigata era solito a condurli, e che erano stati usi a dargli di buona grazia qualche porzione delle vivande che erano in tavola. Sicché facea meraviglia che da servo fosse a uu tratto passato ad essere re ; e tanto ri­cambio disse per piccoli benefizii ricevuti. . . . *

XXIV.

Di un capo degli schiavi sollevati, di nome Cleone•

Nel medesimo tempo altra grave cospirazione di schiavi fuggitivi scoppiò. Un certo Cleone, nato in Cilicia j non lungi dai monte Tauro, assuefatto da

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ragazzo ai latrocini! , preposto al pascolo di armenti di cavalli in Sicilra, non cessava d1 ingombrare le strade, e di tratto in tratto d’ ammazzar gente. Avendo costui udita la fortuna di Euno , e le pro­spere avventure de7 fuggitivi eh’erano col medesimo, eccitati alquanti de’ servi vicini, a un tratto disertò; e diede il sacco alla città di Agrigento , e a tutto, quanto il territorio di essa (i).

XXV.

De pessimi costumi del re Aitalo.

Ma in Asia Attalo , di recente asceso in trono, prese a seguire un tenor di vita diverso dai re , che 1’ aveano preceduto. Essi clementi e benigni, lunga­mente regnarono felicitando 1 loro popoli ; e costui crudele e sanguinario con calamità gravissime , e con carni fi ci ne i suoi sudditi tormentò 5 e come ebbe sospetti, quasi gl’ insidiassero la vita , i principali e più nobili tra gli amici di suo padre, stabilì dì toglierli di mezzo tutti. Per lo che scelti tra i bar­bari , che teneva al suo soldo, alcuni più sanguinari!, ed avidissimi di denaro, li nascose in certe celle del palazzo, indi chiamati nella reggia di tutto il numero

(i) Non contenendo questo Estratto se non ciò che abbiamo ve­duto conservato da Foùo e più copiosamente e più ordinatamente, satebbesi potato qai tralasciare. Ma gli Eruditi avrebbero gridato alla empietà, credendo essi cosa sacra ogni reliquia. Il trionfo della ragione è la più diffìcile , e pur troppo la più rara cosa rhe veg- gasi al mondo in ogni argomento* -

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degl» a o id quelli sol quaK area pia sospetto, li (tee da que" barbari trucidare ; ed mìWdlatamente dopo ordinò ehe lo stesso si facesse de' loro figliuoli e delle loro moglL Rispetto poi agli altri amici, che arcano grado od officio tanto nelT esercito , quanto nelle città, parte d*essi fece uccidere proditoriamente, porte latti arrestare trucidò con tutte le loro lami- glie. Laonde per la sua crudeltà Tenne in odio non solamente a' suoi sudditi, ma eziandio a tutti i po­poli confinanti; e quelli del paese erano sommamente desiderosi di vedere qualche mutazione di stato (i).

XXVL

Elogio di Tiberio Gracco.

Era Tiberio Gracco figliuolo di Tiberio stato con­sole due Tolte, uomo eccellentissimo nelle cose della pace e della guerra , e nipote dal canto di sorella di P. Scipione che Tinse Annibaie e i Cartaginesi. Per l1 una e l’ altra parentela nobilissimo, in pru­denza e in eloquenza andava innanzi di gran lunga a tutti i suoi eguali; ed era negli studii delle buone art» à eminente , che poco paventava il credito dei suoi avversarti.

(i) Per buona ventura costui non regnò che cinque anni: me mori pacificamente; e fu 1*ultimo de*re di Pergamo. Gli scrittori che notano la crudeltà sua, dicono ancora cbe si dilettò di agricoltura3 e lasciò alcuni libri intorno alle piante. Oltre Strabone, G instino f PJuiarco t parlano di lui Varonc 4 CobuncUa k e Plinio.

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XXVIL

Atroce crudeltà degli schiavi ribelli.

I Sirii fuggitivi (1) le mani di quelli cbe pren­devano , non tagliavano alle articolazioni y ma le strappavano insieme colle stesse braccia.

XXVHI.

Foto del Senato romano.

II Senato paventando Tira degli D ei, consultati i libri Sibillini, pensò di dovér mandare in Sicilia alcuni del collegio dei Decemviri. I quali avendo girato per tutta 1’ isola , consacrarono con certe ce­rimonie e con sacrifizii gli altari dedicati a Giove Etneo ; e fattavi intorno una muraglia, ne chiusero T adito a tu tti, eccettuati quelli che dalle singole città erano soliti ad essere mandati a quegli altari > onde farvi secondo Fuso de’loro maggiori i sacrifizii patrii.

XXIX.

Di Gorgo murgentino.

Gorgo era murgentino, Cambalo di soprannome, uomo per ricchezza e rinomanza principale nella sua

(i) Si parla degli schiari di Sicilia. Altrove si è veduto perchè ai dicessero Sirii.,

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città. Costui uscito per andare a caccia , essendosi imbattuto in una truppa di ladroni , cercò di rifug­girsi correndo in città. Lo incontrò per avventura suo padre, che veniva montato a cavallo ) e discesone immantinente il figlio esortava a servirsi di quel ca­vallo per sottrarsi al pericolo, e sicuramente guada­gnare la città con sollecitudine. Ma il figliuolo npn sostenne che si preferisse la sua salvezza a quella del padre : nè poi il padre veduto morto il figlio sostenne di sopravvivergli. Perciò mentre l’ uno pia­gnendo pregava l’ altro , e contendevano di pietà insieme fra loro , venuti a lotta 1’ amor del padre y e la carità del figliuolo, giunti loro addosso i la­droni li uccisero ambedue.

XXX.

Di Zibehnio figliuolo di Diegilide.

Zibelmio , figliuolo di Diegilide , seguendo le ve­stigià del padre nella sevizie, ed offeso per ciò che i Traci avevano fatto , giunse a tale crudeltà, che ammazzò con tròte le loro famiglie quanti gli erano infensi per leggierissime cagioni or questi met­teva a b rani, or quelli faceva crocifiggere, ed ora altri faceva tagliare vivi a mezzo con una sega. E giungeva pur anco a trucidare i figlinoli in co­spetto e nel grembo stesso de’ genitori ; e le loro carni tagliate a fette faceva apprestare ai parenti, rinno­vando in certo modo le antiche cene di Tereo e di

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Tieste. Finalmente essendo stato da1 Traci imprigio­nato ? nè potendo essi fargli scontare la pena a pro­porzione di quanto meritava ; perciocché in che modo un corpo solo avrebbe potuto sostenere la pena della scelleraggine commessa a danno di tutta una na­zione ? non ostante ingegnandosi il tormentarono con ogni acerbità di strapazzi e di suppliziL

XXXI.

Parricidio atroce di Tolommeo Fiscone.

Tolommeo Fiscone avendo veduta sua sorella Cleo­patra d’animo da lui sì alienata, nè potendo egli in altra maniera farle m ale, immaginò una scelleratezza nefanda. Imperciocché imitando 1’ atrocità di Medea il comune loro figlio , di nome Memfite , fanciullo ancora, uccise nell’ isola di Cipro. Nè contento di questo misfatto, un altro ne aggiunse più grave. Chè tagliatene a pezzi le membra, e riposte entro un paniere, per uno de’ suoi satelliti le mandò in Ales­sandria ;, e com’ era assai vicino l’ anniversario della nascita di Cleopatra, diede ordine al satellite che nella notte precedente la festa, ponesse quel paniere nel vestibolo della reggia. U che fattp secondo il pre­scritto j immenso fu il lutto di Cleopatra, e contro Tolommeo il furore della moltitudine.

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XXXIL

Di Ateneo capitano di Antioco.

Ateneo , capitano di Antioco, essendosi pe’ vani ospizii comportato con assai grave petulanza , in breve ne pagò il fio. Essendo egli stato il primo a fuggire, ed avendo abbandonato Antioco in mezzo -al combattimento,giunto ad alcnni villaggi,cbe ospi- tando presso i medesimi aveva angariati, fu escluso» da ogni casa, e tutti gli negarono vettuaglia : così «he vagando qua e là disperato pel paese, ebbe fi­nalmente a morirsi di fame (c).

XXXIII.

Tratto clemente del Fiscone convertito.

Egeloco, capitano di Tolommeo Fiscone, spedito -contro Marsia, capitano degli Alessandrini, prese costui vivo ,e l’ esercito di lui interamente distrusse. Condotto poi Marsia in cospetto del r e , mentre tutti credevano di averlo a veder tosto morire tra tormenti acerbissimi, Tolommeo contro ogni spe­ranza di Marsia , e contro 1’ aspettazione di tu tti, 'gli perdonò. Imperciocché Tolommeo avea allora in­cominciato a pentirsi delle passate sue crudeltà, e

(i) Questo fatto riguarda la spedisione di Antioco Sidere contro i Parti. Leggasi ciò cha ne scrisse JPosudonio presso Acanto.

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desiderava di conciliarsi con clementi fatti di questa maniera il volgo che lo detestava.

XXXIV.

Della sevizie £ Intero ircano.

Imero satrapa de’ Parti ( i ) , ircàno di patria, vin­cendo in acerbità tutti i tiranni ; non tralasciò alcun genere di sevizie. Egli assaissimi Babilonesi per ca- gioni lievissime ridusse in servitù, e con tutte le lo?o famiglie mandò in Media, facendoli qua e là distri­buire. Egli fece incendiare la gran piazza , e parec­chi templi di Babilonia ; e tutti i più belli edifizii di quella città rovesciò.

XXXV.

Della magnanimità di Alessandro Zabina.

Alessandro, chiamato Zabina, essendo desertati da lui Antipatro, Glonio ed Eropo , suoi princi­pali capitani ; ed avendo questi occupata la città di L<aodicea, finalmente li ebbe in potei* suo. Ma egli con magnanimità d’ animo singolare perdonò a tutti.

(i) Il Valesio eon buone ragioni ha dimostralo questo , e non Ève mero come comunemente si legge, esser l1 uomo di cui si tratta. 11 FesseUngio poi ha perfezionata la correzione del Valesio mutando 1’ appellativo di re in quello di Satrapa. Fraete re de’ Parti avea lasciato Imero suo luogotenente nel regno all’ occasione che and* coll' esercito contro gli Scili.

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Era uomo d’indole dolce e placidissima 5 e nel con# versare e ragionare di cortesia mirabile: onde da tutti veniva amato non mediocremente (i).

XXXVI.

Bel tratto di G. Sestio.

G. Sestio avendo presa la città de’ Galli (2), e venduti all’ asta tutti gli abitanti della medesima, un certo Oratone, che oegli altri prigionieri veniva in catene condotto via , accostassi a lui che sedeva in tribanale, e disse al console com’ egli sempre avea nella sua città sostenute le parti del popolo romano, e per ciò sofferti da suoi concittadini ingiurie e battiture. In grazia di ciò Sestio sciolse subito lui e tutti i suoi parenti dalle catene, e restituì loro i beni. Di più a riguardo del suo buon affetto verso il popolo romano il fece arbitro di liberare dalla servita novecento de’ suoi concittadini, quali egli vo­lesse. Così Oratone fu dal console trattato con più abbondante munificenza che mai potesse sperare, poiché Sestio voleva far vedere ai Galli quanto il po« polo, romano poteva e punendo e favorendo.

( 1) Zabina vale lo stesso che comprato 5 ed alludeva ad avven­tura taccata a questo principe. .

(2) Si crede che questa fosse la città de’ S&Wii, chiamata poi Jcque Sestie , ed oggi Aix*

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XXXVII.

Sciagura incontrata da Alessandro Zabina 9 e perchè.

Alessandro fidandosi pooo della moltitudine tanto per l’imperizia del volgo nelle cose di guerra, quanto per la leggerezza del medesimo , e l’ inclinazione fa* cile alle cose nuove, non volle venire a giornata j ma raccolti i tesori regii e spogliati i templi delle preziose offerte, pensò di fuggirsi di notte tempo in Grecia. Se non cbe essendosi servito del ministe­r o di alcuni barbari per ispogliare un tempio di Giove j preso mancò poco che con tutta la gente sua non fosse ammazzato. Però riuscitogli di scap­pare y portossi verso Seleucia , gli abitanti della quale città informati dianzi del tentato sacrilegio , gli chiu­sero le porte. Onde non essendosi potuto ivi rifugi gire andò a Pisidio, non discostandosi dalla spiaggia del m&re.

XXXVUI..\

Vigliacca e crudele avarizia di un L. Vitcllio.

Poiché G. Gracco morì per la mano di un suo servo y- L. Vitellio , ch’ era stato uno de’ suoi amici, vedutone pel piimo il cadavere, non solo non si -commosse al caso dell’ amico, ma tagliatane la testa 9 e recatala a casa su a , diede un turpe esempio di crudeltà e di avarìzia insieme. Perciocché avendo L.

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Opimio console con editto dichiarato che avrebbe pa­gata Ja testa di Gracco a peso d’oro , Vitellio forata la cervice di quella testa , e toltene le cervella , vi mise in vece piombo liquefatto 5 e presentatala poi, ebbe in vero il premio promesso, ma fin che visse ebbe a sostenére l’infamia, che gli venne, essendo stato riguardato da tutti come traditore dell’ amicizia. Dei resto anche i Fiacchi furono uccisi.

XXXIX.

Acerbità crudele di Giugurta.

Aderbale, re di Numidia, vinto in battaglia da suo fratello Giugurta , fuggì in C irta, nella quale città essendo da Giugurta assediato» spedi legati a Roma pregando che ad un re alleato ed amico, il qua­le trovavasi in estremo pericolo, volessero i romani porgere soccorso. Il Senato mandò subito in Numidia legati a Giugurta per intimargli che dovesse abban­donare l’assedio : ai quali non avendo egli dato mente un’altra legazione più solenne il Senato spedì, che come la prima non ebbe alcun effetto ; poiché Giugurta avendo con trincieramenti cinta la città, la forzò colla fame ad arrendersi, e il fratello Ader­bale , che infulato uscì, e cedette il regno al solo patto di essere lasciato andar salvo, uccise, nulla mosso dai diritti che pur riclamavano le ragioni della cognazione e del, sangue , e la qualità de9 supplicanti. Di più /tutti gl’ Italici, che seguito aveano U partito di Aderbale, fatti battere colle verghe, uccise.

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LX.V>1

Di P. Scipione Nasica, e d i molti ScipionL

P. Scipione Nasica , cònsole, fa uomo eminentiV simo per virtù e per isplendore di prosapia ; percioc­ché egli nasceva da quella famiglia dalla quale erano usciti gli Àfricafai j gì! Asiatici, e gl’Ispali ( i ) , il primo soggiogatore dell’ Africa , il secondò dell’ Asia * e il terzo domatore della Spagna, e ciascheduno da tali sue imprese di tale maniera soprannominato. Ma oltre codesta gloria gentilizia , il padre e 1’ avo di lui erano stati celebratissimi fra gli altri nella città; poiché entrambi furono principi del Senato (2), e primi a dare la loro opinione siilo -al fine di loro vita. L’ avo inoltre <■ dal Senato fu giudicato uomo òt­timo : imperciocché essendosi trovato ne’ libri sibil­lini un carme , per cui ordina vasi ai Romani che fab­bricassero un tempio alla madre Idea, che ne tra* sportassero da Pescimente, cittì} dell’Asia, la statuay

(1) La famiglia Cornelia godeva anche di questo soprannome * ehe péro Seneca scrive Ispano

(a) Anche Valerio Massimo ha detto che questi due Scìpioni furono principi del 8eoato ; ma Vàierio Massimo & convinto dai 1 Critici di aver bruttamente confusi insieme varii JYasichi. Il Vcs— selingio osserva di più che al tempo del Nasica dichiarato V uomo ottimo erano principi del Senato Q- Fabio Massimo, Scipione Africano , L . Valerio Fiacco 9 e M . Émiiio Lepido } ed aggiunse che non potea quel Nasica nemmeno' esserlo * non essendo stato censore. Bensì lo fu suo figlio Coreulone » succeduto in quella di­gnità a Emilio Lepido•

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e andassero tutti gli ordini di persone a riceverla, con alla testa degli uomini F uomo ottimo , e a quella delle matrone 1’ ottima donna 5 il Senato eseguendo quanto il carme prescriveva, giudicò per l’ottimo uomo P. Nasica, e Valeria (1) per l1 ottima donna. E quel Nasica non era soltanto di pietà esimia verso gli D ei, ma eziandio nel governare la repubblica, e nel dare i suoi pareri era pieno di singolare pru­denza. Di cbe è prova il fa tto , cbe essendo M, Ca­tone , cognominato il Demostene, ogni yolta cbe in Senato ragionava di qualche affare 9 solito d’ ag­giungere che doveasi distruggere Cartagine , ancor­ché di ciò non si trattasse , ma ben d’ altre cose il Senato fosse consultato, P. Nasica (a) sempre era di

(1) Diodoro solo è quegli cbe parla di questa Valerla. Tito Livio nomina in vece una Claudia, e così Plinio, Il che dimostra come ne* fasti di Roma le memorie erano confuse.

(a) La quistione più forte, a coi presta luogo questo passo di Diodoro, sembra quella eccitata dal Ruperto } cioè, se l'oppositore di Catone sulla sorte di Cartagine fosse Scipione N asica, l'uomo ottimo, o veramente il Corculone. Ebbe anche questi credito e glo­ria , e Lipio attesta di lui, e il conferma Vellejo Pater colo 9 che ottenne la distruzione del teatro che i censori aveano già affittato. Dice poi il Ruperto 9 che il dichiarato l'uomo ottimo sul principio della tersa Guerra Pnniea dovea essere ottuagenario. II Vesselingio, ftiun peso dando all’ osservazione dell’ essere stato quel Nasica ot­tuagenario , giacché, die’ egli , a quel tempo servirono Catone , Massinissa ed altri pur vecchissimi, allega un passo di 1. Agostino nella Città d i D io , il quale dice : Ma quel vostro Scipione, ponte—

Jioe massimo , per giudiz io d i tutto il Semaio proclamato uomo ot­timo t temendo per poi questa’ disgrazia, non voleva che Cartagine » emula allora delP imperio remano , fosse distrutta, e combatteva Catone che ne insinuava la distruzione ► Ed osservando il Vesselin-

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parer contrario y dicendo che Cartagine dovea con­servarsi. Parea invero al Senato ardua a sciogliersi per F una parte e per P altra quella proposta ) ma

gio che per questo passo di s. Agostino quel Nasica viene qualifi­cato pontefice massimo ; nè potè esserlo cbe dopo la morte di 3f.\ Emilio Lepido ; il che fu sotto il consolato di T . Quintio Flottimih nio , e di Adito Bulbo, ossia P a ano di fioma 6o3 , siccome nel dialogo della vecchiaja Cicerone fa dire a Catone ; giustamente a r r gomenta il P> Nasica, di cui si tratta , essere appunto V uomo otti­mo. Ma non sembra però véro che il Nasica ammazzatore del Gracco fesse figliuolo dell* uomo ottimo ; ma bensì del Corculone , come è attestato da Cicerone e da VeUtjo Pater colo. Se non che potrebbe essere, come dice il Valesio9 che fosse stato adottato dall* avo.

Del resto vogliamo osservare che Diodoro, molto ammiratore de—' gli Scìpioni, e de* potenti > si lasciò da qualche prevenzione sua sorprendere sul giudizio dell* assassinio dal Nasica commesso im­pudentemente nella persona del Gracco• Giovava certamente al par­tito de* nobili dare ad intendere che il Gracco mirava a farsi re dì Aoma, perchè altrimenti come temperare la giusta indignazione del popolo , che in sì vile e violenta maniera vide ucciso il (difensore della sua libertà dai Patrizii allora conciliata. E il narrare quel pretesto era debito dello storico. Ma come la verità era diversa * non dovea lo storico farsi adulatore di sì turpe perfidia. Noi per» doniamo a Cicerone quando lo veggiamo nelle sue aringhe or de­primere i Gracchi e Mario , ora inalzarli alle stelle; perchè Fora* tore ha da guardare in che tempo, e a chi parla ; e tutto ciò eh© dice, è fatto per la cosa che vuole persuadere al momento , e non per 1' università degli uomini, nè' per la posterità. Ma lo storico ha un dovere sacro di non tramandare a questa che la sola verità*! Egli è per questo che è stato detto % essere desiderabile che lo sto* rico non avesse nè religione, nè patria comune con quelli, dei cui felli si fa narratore. Ma se ciò non*è facile ad ottenersi , almeno è certo cbe gli storici i quali si lasciano dalle loro prevenzioni stra­scinare, infine non ingannano che gl*ingannati. Gli nomini che leg­gono le storie con riflessione , sanno giudicarli severamente ; ed è giusta la severità perchè necessaria : è poi necessaria perchè 1* er­rare è sempre funesto.

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ogni più prudente uomo preferiva il parere di Na­sica : che non credevano essi la maestà del popolo romano doversi estimare dalla ruina delle altre città ; ma piuttosto dal comandare a città potentissime. Più : mentre Cartagine durava , sul timore di quella citta, i Romani contenevansi nei loro doveri , e nella unio* ne cittadinesca ; ed erano obbligati ad esercitare sui sudditi F imperio con moderazione, e con civiltà : cosa che suole consolidare sommamente ed ampliti* care gli stati. Al contrario tolta via quella citta emula, cosa rimaneva ai Romani se non ché la guerra civile, e l’ odio di tutti gli alleati per la cu­pidigia e T insolenza de’ magistrati ? le quali cose tutte dopo la ruina di Cartagine succedettero al po­polo romano. Ed infatti, come P. Scipione aveva predetto, seguirono ben tosto e le fazioni turbo­lente , e le congreghe sediziose , e le leggi agrarie, e le diserzioni degli alleati gravissime , e finalmente le guerre civili disastrosissime e lunghe. Ora il figlio di lui y Nasica , divenuto adulto, uccise di sua mano, fattosi seguitare dagli ottimati , Tiberio Graeco che cercava di farsi r e . 11 qual fatto essendo mal * sof­ferto dalla plebe ? ed èssa esacerbata cpntro gli au­tori di quella morte, ed interrogando i tribuni ad un per uno i Senatori chiamati in pubblica assem­blea per sapere chi quella strage avesse commessa , medtre tutti per timore della moltitudine furibonda con vaghe ed equivoche risposte negavano d’avervi avuta m ano, Scipione Nasica solo dichiaróssene di sua propria mano l’ uccisore. Ed aggiunse di più ^

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clie ildisegno di Gracco per farsi re era stato ignorato da tutti; ma .che era stato ottimamente noto a lui e al Senato. La plebe poi, quantunque fosse dolente del fatto , colpita dall1 autorità e dalla costanza del per­sonaggio , di poi si tacque. Ma il figlio di questo , Scipione Nasica anch’ egli, morto console in questo anno, non si allontanò per nulla dalle virtù de1 suoi maggiori. Chè viss’ egli con somma religione ed in­tegrità , non. corrotto mai nè da officii, nè da pre­senti ; e pienissimo de’ precetti della filosofia, pro­fessata da lui non con vuote parole ma con fatti.

XLI.

Fizii di Antioco Ciziceno.

Antioco Ciziceno ( i ) , appena ebbe ottenuto il re­gno della Siria, èhe si diede alla crapula, e al lus­so, tutt’altro facendo che quello che conviene ai re» Costui non s'applicò ad altro che ad ascoltar mimi, istrioni, giocolieri, e ciurmatori di mille specie per impararne le loro arti. Si applicò parimente alla mu­rospastica (2), ponendo il massimo suo studio in mo­vere da se stesso animali alti cinque cubiti, e coperti d’oro e d’ argento 3 e così dicesi d’ altre macchine.

(1) Fu figliuolo d’Antioco Side te , e chiamato Ciziceno perchè educato nella città di Ciuco presso Cratero » che ne fu V institutore sfortunato.

(a) È 1* arte di movere con cordicelle statue, 0 figure Citte con certo meccanismo.

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Ma non s’intendeva poi per nulla delle macchine di guerra , delle testuggini, delle elepcdi, V apparato delle quali suole ai principi recar gloria , insieme, ed utilità somma nell1 adoperarle opportunamente. Così anche smoderatamente e fuori del debito tempo perdevasi in vane cacce ; e sovente con uno o due iamigliari, nascostamente usciva di nottetempo per andare a cacciare cinghiali , leoni e pardi. Nè mancò molte volte d’ azzuffarsi colle bestie feroci esponendosi a grave pericolo d’ esserne divorato.

XLII.

Del re Micipsa.

Micipsa , re de’ Numidi, figliuolo di Massinissa , ebbe parecchi figli : ma fra tutti gli furono cari Aderbale, il maggiore d’ età , e Jempsale e Micipsa, il quale ultimo, essendo stato sopra tutti i re numidi clementissimo, chiamati a sè dalla Grecia parecchi uomini dotti, ad ogni disciplina, e spezialmente alla filosofia si applicò, convivendo con essi; ed invecchiò insieme nel regno e nella filosofia.

XLIII.

Di Contornato.

Contornato , principe di una città delia GaUia chiamata Jontora, era eccellentissimo per prudenza

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e per scienza militare; ed avendo nerprimi anni vis* «ito in Roma 7 e trattane assai civile educazione, e coll1 ajuto poi del popolo romano avendo ottenuto il principato, era alleato ed amico de’ Romani.

XLIY.

Di G. Mario.

G. Mario essendo nel numero delegati di Metello, veniva dal proconsole sprezzato come P ultimo di quelli. Gli altri erano da lui grandemente onorati, perchè nati di casati illustri, e splendidi: e niun ri­guardo avea per questo, perchè dìcevasi essere stato pubblicano, e a grande stento avere potuto ottenere i magistrati ultimi. Gli altri poi tutti quanti scansa­vano ogni fatica di guerra , e si davano alP ozio e alla pigrizia : laddove M ario, che spessissimo veniva mandato ov* erano più forti i pericoli della guerra , mostrava soffrire di mal animo questa ingiuria ; ma però eseguendo diligentemente tutte le incumbenze che gli si davano , venne acquistando una gran pra­tica dell’ arte della guerra ; ed essendo anche di na­tura bellicoso e manesco, in breve venne in fama d'uomo fortissimo. Inoltre procedendo sempre verso .quelli ai quali soprastava, con singolare umanità e munificenza, è be’congressi con assai cortesia e gen­tilezza ? si conciliò la benevolenza di tutti i soldati. Perciò cercando ognuno di corrispondergli con rico­noscenza r sotto la condotta sua combattevano con

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più forza ed alacrità, onde accrescere la gloria del loro capitano. £ se per avventura veniva spedito le* gato contro il nemico alcun altro, e«si a bella posta in mezzo al pericolo stesso stavansi più pigri. Ond*è, che poi succedeva, che sotto la condotta' degli altri le cose per lo più andavano male ; e sótto Mario i Romani sempre erano vittoriosi.

FRAMMENTI DEL LIBRO XXXVI.

I.

Di uomini liberi fa ttisi devastatori della Sicilia.

£ non i soli servi ribelli devastavano la Sicilia ; ma gli stessi uomini ingenui 7 che non avessero nè piccoli nè grandi poderi, scorrevano a schiere il paese volti a’ latrocinii e alle rapine; e conducevano via araienti, e rubavano le biade nascoste ne’ vil­laggi , e chiunque o servo o libero incontrassero, ammazzavano , onde nissuno potesse fare testimo* nianza del loro furore e de1 loro misfatti. £ siccome in Sicilia erano chiusi i tribunali , perchè nissun pre­tore del popolo teneva ragione 7 tutti * abbandonati alla, licenza impunemente e arditamente facevano a loro modo ; e perciò non v* era luogo, in cui non si commettessero rapine e ladrocinii ; e la più di-» sperata canaglia con ogni sorta di violenze invadeva i beni d’ ogni uomo ricco. Ond’ è che quelli che dianzi aveano rinomanza e stato fra i cittadini opu*

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lenti', allora, mutata' fortuna in un subito, non so** lamente dai fuggitivi 'con somma contumelia venivano derubati, ma erano loro malgrado obbligati a soffrire le ingiurie e l’insolenza degli uomini ingenui. Per lo cbe erano tutti ridotti a far conto appena di quello d i’ era entro il pomerio della città $ chè in quanto alle cose poste fuori delle mura , doveansi stimare come d’ a ltri, e soggette alla violènza' de1 ladroni. Finalmente nelle città stesse, e in tutti i borghi era gran confusione, e imbarazzo sì di diritto cbe di giudizii '7 perciocché i ribelli occupando colle loro squadre ogni campagna , pieni d’ odio contro i loro padroni, ed accesi d’ insaziabile cupidigia, tenevano impedite tutte le strade. I servi poi eh’erano rimasti per anche nelle c ittà , malinconici, e spiranti dap­pertutto la defezione, erano di terror continuo ai loro padroni.

IL

Esempio d'uomo ridotto a buon costume.

L. Apuleo Saturnino, essendogli toccato il governo della provincia detta F Ostiense (1), parendo che si comportasse da negligente e desidioso uomo, fu dal Senato rimproverato j e le funzioni sue vennero af­fidate ad altri. Però avendo in appresso abbandonato il primo tenore di vita, e alla lussuria d’ogni genere

( 1) Chiamavano provincia ostiense i Romani 1’ officio di far ve­nire al porto <T Ostia le amplissime provvigioni di framtfllo per alimentare la dootintpte.

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fatta succedere la tempetfaifenza , meritò d’ essere fatto tribuno della plebe.

HI.

Della pietà d i Q. Metello figliuolo.

Tenendosi nelle assemblee continuamente per due interi anni proposito di richiamare Q. Metello ; e non concludendosi mai nulla, il figlio di lui Q. Me­tello in barba e capelli sordidamente sconcii, e ia abito squallido si mise a girare pel foro ., e pian­gendo , e buttandosi alle ginocchia di ciaschedun cittadino, pregava che richiamassero il padre dal- F esigilo. Ma il popolo, sebbene non volesse contro le leggi proporle speranza agli esuli di ritorno; pure tocco dalla compassione e dalle preghiere del gio­vine richiamò Q. Metallo, e al figliuolo, per la sin­golare pietà sua verso il genitore diede il sopran­nome di Pio.

IV.

ComeHn Roma i costumi si corrompessero.

Il popolo romano reggendosi anticamente con ot­time leggi ed instituzioni, a poco a poco progre­dendo si acquistò il maggiore e più celebrato imperio, di cui s’ abbia memoria. Ma negli ultimi te m p i, quando debellate moltissime nazioni godeya di lunga pace 9 dall1 antica disciplina declinò a pestifere cure.

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Imperciocché i giovani } non essendovi più guerra da fare 7 e non mancando con che: soddisfare alle passioni , cominciarono a darsi al lusso cd alla intemperanza y poiché nella dominante prepone va­si il lusso alla frugalità , c la desidia ^all’ esercizio delle cose di guen*a * e per comune opinione esti- mavasi beato non quegli, che avesse virtù , ma quegli che consumava tutto il suo tempo ne’ piaceri. Per ciò crebbero smoderatamente dappertutto e i sontuosi apparati delle cene , e gli unguenti spiranti odore meraviglioso ? e le vesti preziose , e dipinte a colori varii, e gli ornamenti de’ triclinii ; e i lavori d’ oro } d’ argento , e d1 avorio ? ed altre cose di tal fatta travagliate con grande artifizio. Ogni vino che fosse di sapore mediocre, veniva ripudiato : voleasi soltanto falerno , e chio , ed altro siffatto : cosi di pesci, e d’ogni altra vivanda s’ apprestava solamente quello che potesse essere più squisito e più raro. Inoltre i giovani nel foro portavano vesti di lana morbidissima, leggiere 3 e diafane, similissime affatto alle stole delle donne. £ come tutti questi strumenti di lussuria e di voluttà con massimo impegno prò- cacciavansi da tu tti, in breve avvenne, che i prezzi di queste cose crebbero immensamente. Imperciocché un'anfora di vino di falerno vendevasi cento denari: un' orca di salumi del Ponto cinquecento $ i cuochi valentissimi nell9 arte della cucina quattro talenti, i delicati ragazzi, .di elegante figura, vendevansi una somma spropositata. E come massimo era in tutti l’ impeto a questa lussuria y alcuni governatori di

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provincia, che vollero tentare di correggere sì pesti» feri costumi, la vita loro proposero in esempio di virtù , e del giusto vivere, come- quelli che erano collocati in posto eccelso , d* onde poterne essere veduti dagli altri. Fra i quali singolarmente si di­stinse Q. Muzio Scevola , inteso a richiamare colla sua virtù gli altri da sì cattiva strada. In fatti es­sendo egli stato spedito proconsole in Asia , scel­tosi a legato l’ ottimo fra suoi amici , P. Rutilio , del consiglio di lui nel governare la provincia , e nel far giustizia si prevalse sempre. Poi ogni spesa

, e per se e pe’ compagni volle fare di sua propria borsa • e praticando una grande parsimonia e fru­galità , e serbando integrità incorrotta , la provincia sua ricreò dalle antecedenti disgrazie. Imperciocché i precedenti proconsoli dell’ Asia , fatta lega coi Pubblicani, presso i quali allora stavano in Roma i giudizii, aveano empiuta la provincia d’ ogni genere di scelleraggini. Ma M. Scevola, esercitando la giuri* sdizione sua con somma integrità e diligenza, non solamente frenò tutte le calunnie, ma represse an­cora le ingiustizie de’Pubblicani. Ché ogj£ volta che alcuno dei Pubblicani angariato ricorreva a lu i , as­segnando giudici integerrimi dappertutto faceva con­dannare l’avidità di coloro, e li costringeva a pagare le multe aggiudicate a risarcimento degli offesi. Con eguale giustizia dava corso alle sentenze eapitali. £ narrasi di cert’uno, principale tra i dispensieri della società, il quale avea pattuita co’ suoi padroni una somma ond* essere manomesso, che condannato a

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ijiorte prima d’ avere avuta la libertà, lo fece croci-’ figgere. Così i Pubblicani per sentenza de1 giudici condannati , abbandonava ai loro avversami. Per 'lo cbe coloro che dianzi pieni di petulanza e di cupi­digia permettevansi ogni genere di violenze e di mi­sfatti , vedeansi allora contro loro aspettazione da quelli che aveano maltrattati, strascinati in carcere. £ come poi tutte le più grandiose spese de’ procon­soli , e della loro corte egli faceva del suo proprio denaro, in breve tempo rendè i saciì benevoli al popolo romano.

V*

Buon governo fatto in Sicilia da L. Asellìo.

L. Àsellio, eh1 ebbe il padre questore, mandata pretore in Sicilia , avendo trovata la provincia de*. Tastata, con buone discipline ben presto la rialzò al suo pristino stato. Egli ad esempio di Scevola inco-, min ciò dallo scegliersi per legato , tra tutti i suoi am ici, un ottimo uom o, qual fu G. Sempronio Lungo ; e si procacciò suo consigliere Puhblia, ca- valier romano chiarissimo, >1 quale dimorava in Si­racusa. Era questi uomo oltre che ben fornito di beni di fortuna, pieno di grandi virtù , delie quali buon testimonio rendeano la sua pietà verso gli Dei, e i sacrifizii e le preziose offerte , e i templi jda lui fatti rifabbricare. In quanto poi .alla temperanza sua basti dir questoy ché tutti i sensi del corpo sani ed intatti egli conservò sino al fine della sua vita. Qi che

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dottrina poi, e di che umanità fosse dotato abbondai** temente il dice F avere egli sempre non mediocre* mente stimati gli uomini nelle scienze e nelle lettere eccellenti, e tutti quelli cbe dati erano ai buoni studii, liberalmente beneficava. Laonde avendo Asel- lio seco e conviventi 7 ed assessori nel giudizio delle cause codesti due uomini, assai fece a ristoro della provincia.

Egli nel render ragione alla sola pubblica utilità, riguardando, bandi dal foro la calunnia ; e prineU palissima cura mise in sovvenire ai più deboli. Im* perciocché dove gli altri pretori a’pupilli e alle ve* dove non aventi agnati erano soliti ad assegnar tu* tori; egli assumeva la tutela di tali persone, e tutte le loro cause con sommo impegno e diligenza giudi­cando , venne a dare grande ajuto agli oppressi. Cosi del resto avendo * finché governò la Sicilia, assidua* mente atteso a, punire i privati e i pubblici delitti , restituì in fine alla provincia la pristina sua felicità^

VI,

Elogio di M. Livio Drusa,

M. Livio Druso, era veramente giovane d’anni, ma ornato di tutte le belle qualità e del corpo e della spirito. Era egli nato di chiarissimo padre , che perlo ? splendore del casato e per la virtù il popolo ro* mano avea amato con predilezione» Tra suoi eguali quel giovane distinguevasi eminentemente e per la

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eloquenza, e per la ricchezza ; e ti era acquistato Àommo credito per la costante sua fede : ché* non mancò mai verità in nissuna sua parola. Aggiungeva eziandio magnanimità incredibile, a modo che parea cV egli fosse per essere il solo capace d’ essere il prò* lettore del Senato (1).

FRAMMENTI DEL LIBRO XXXVII,

I.

Come G. Domizio liberasse Roma dà gravissima pericolo.

Ne’ medesimi tempi Pomp^dio Silone , capitano de'' M arsi, intraprese cosa grande per se stessa, e di un ardimento • precipitoso. Costui trascelti dieci mila uo- mini tra quelli, su oui pendeva giudizio capitale , e data a ciascheduno una spada nascosta sotto Pabito, andò verso Roma coll’intenzione che quella masnada d’uomini circondasse la curia chiedendo che fosse data la cittadinanza romana a tutti i Latini 5 e in

(i) Non dee parere esagerata questa espressione dì Diodoro. Ci­cerone dice nella Milomana : In casa sua quest* uomo nobilissimo % difensore del Senato , e in que1 tempi direi quasi protettore, M. Druso, tribuno della plebe , fu ucciso. Ma prima di M . Livio I)ruso , sao padre IH. Dmso , figliuolo di Gajo , avea sostenute le parti del Senato contro G . Gracco, essendo tribuno; e dal Senato era stato proclamato suo protettore. Cosi ancora Cicerone nel Bruto. In Svctonio, io Appiano, in Plutarco, in Valerio Massimo trovasi data anche ad altri questa nobilissima qualificazione.

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diverso caso mettessero a fuoco é a ferro la città. R caso volle che s’incontrasse per istrada G. Domizio, il quale avendogli domandato ove andasse con tanta turba ; e rispostogli da Pompedio che andava a Roma, chiamatovi dai tribuni per avere la cittadinanza: ri­sp ose che più onestamente e più facilmente 1*avrebbe ottenuta non andando al Senato in maniera sì ostile ; volendo il Senato fare quella grazia agli alleati di nome Latino, eccitato e pregato, e non violen­tato. Per le quali parole di Domizio rattemperato Pompedio. e il consiglio di lui estimando fedelis­simo e saluberrimo ritornò tosto a casa, E così con parlar prudente egli liberò la patria da gravissimQ pericolo. Ed ebb’ egli certamente più destrezza così parlando a Pompedio di 'quella che avesse il prò-* console Servilio coi Picenti. Imperciocché costui fà<* cendo conto di parlare a tanti schiavi, e non a uo­mini liberi e ad alleati, con ogni genere di conta* melia gl1 insultò , e tanto li minacciò e cercò di at­terrirli ? che quegH alleati spinse alla ruina sua e degli altri. Laddove Domxzio con mite discorso re­presse il furare e l’ impeto di una moltitudine con,-» citata.

n.

Di un Agamennone ùitice*

Era vi un certo Agamennone di Cilicia y il quale per misfatti ed uccisioni parecchie commesse a danna degli alleati y da1 Romani era stato preso, e chiusa

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nelle carceri <T Ascoli. Costui liberato da’ Picenti, in grazia del ricevuto beneficio valorosamente com­batteva in loro favore ) e com’ era fin da ragazzo esercitato ne’ ladrocinj , fattisi compagni altri uomini di egnal furore ed audacia , prese a devastare il ter* ritorio de? nemici.

III.

Esempio d i grande fedeltà,

I Pinnesi per la costante loro fedeltà verso il pò­polo romano incontrarono grandi calamità : e come non vollero sciogliersi dall1 alleanza con esso , spo­gliatisi da ogni sentimento ed affetto, si ridussero a dovere vedersi ammazzare sotto gli occhi i loro fi- gliuèli.

IV.

Favore del popolo romano vèrso L, Siila.

L. Siila ^guerreggiava con valore e con gloria ; onde assai parlavasi, e con grande ammirazione di lui nella città. Perciò il popolo romano lo riputava de­gno del consolato, essendo salito in tanta eccellenza di fortezza e di scienza militarej e già appariva che egli avrebbe ottenuto la più alta dignità.

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454v.

Tratto magnanimo del re Mitridate.

Mitridate vinti nell1’Asia i capitani romani, avendo fatti moltissimi prigionieri, li rimandò tutti alla loro patria dopo averli provveduti d’abiti, e di viveri* La quale sua umanità celebrandosi ne1 discorsi di tutti , immantinente tutte Je cjjttà a gara si misero al suo partito. Era perciò da vedere come i legati di cia­scheduna città mercè pubblici decreti lo invitavano, e lo proclamavano Dio e Salvatore. E quando egli avvicinavasi tutti uscendo delle «jittà lo ro , vestiti di abiti bianchi andavano con grande letizia a riceverlo.

VL

Slealtà de* Lesbii , e grande fatto di Aquillio,

Prevalendo nell1 Asia il partito di Mitridate, men­tre tutte le città con certo meraviglioso impeto ab­bandonavano i Romani, i Lesbii non solamente pen­sarono d’affidare al re se medesimi, ma delibera­rono dargli nelle mani Aquillio, il quale erasi rifug­gito in Mitilene, ed ivi si faceva curare da malattia# Per ciò mandarono all’ abitazione di lui alcuni gio­vani a tale opera scelti, e robustissimi di persona. Costoro entrati d’assalto in casa erano per prendere Aquillio , e legarlo , sperando d1 ottenere da Mitri­date un gran premio col 'presentargli un regalo cbe

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credevano dovergli essere gratissimo. Aquillio quan­tunque assai giovine fece cosa veramente eroica : perciocché prevenendo quelli 9 che il doveano con- dur v ia , e pensando più sopportabile la morte che la contumelia, e i tormenti degni degli schiavi, si ammazzò da sè. L’ ardimento del qual fatto atterri tanto tutti quelli eh’ erano per condurlo via , eh1 e- glino non s’ attentarono d’ avvicinarglisi. Ond*è poi thè essendosi senza'pericolo tolto alla vita e ai te­muti . tormenti, per opinione di tutti fu tenuto uomo di massima fortezza d’ animo.

VII.

Rodii > e Cappadoci.j "

* I Rodii erano inferiori per la sola moltitudine delle7 navi} e superiori poi di gran lunga in tutte le altre cose. Chè nell’arte di governare le navi , in quella di costruirle , e nella perizia de’ remiganti, e nella fortezza de’ soldati , ed infine nella scienza e virtù de’ prefetti ? i Rodii prevalevano. Al contrario i Cappadoci imperiti del combattere per mare y e più di tutto senza ordine , il che suole essere ca­gione di ruina , per la presenza d’ animo e l1 alacrità toon cedevano ai Rodii : potendo in essi assai 1’ es­sere per combattere sotto gli occhi ed in cospetto del re , a cui desideravano di comprovare con questa insigne testimonianza là benevolenza loro. E come appunto erano superiori soltanto pel numero delle

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navi, cercavano di circondare 1’ armata de1 nemici, e d’ interromperla.

Vili*

Vtrtù di G. Mario.

G. Mario j uomo della età sua sopra tutti gli altri celebratissimo . fin da giovane acceso dal desiderio della lode e della gloria , praticò l’ astinenza , e fatto sì in Africa che in Europa meravigliosissime imprese, acquistossi somma dignità e rinomanza. In età poi avanzata avendo desiderato i tesori di Mitridate ; e le ricchezze delle città dell’Asia, e volendo contro le leggi trasferire a sè la provincia; già decretata 4

Siila, cadde in gravissime disavventure ) né sola­mente rimase privo delle tante ricchezze che àvea desiderate, ma perdette ahebe le sostanze sue , es­sendo stati appresi i suoi beni dai questori a cagione della immensa sua avarizia* Essendo poi stato dal popolo condannato capitalmente , scampato per grano de ventura quel pericolo , dopo avere erratò per Italia senza avere nella sua fuga un compagno, fuggì in Numidia povero e spogliato d’ ogni cosa. In ap­presso essendosi in Roma eccitata la guerra civile si unì compagno a quelli eh’ erano stali dichiarati ne­mici della patria , ed ^vuta vittoriay non contento d’ essere ritornato in Roma y mise in commozione tutta la repubblica. Finalmente ottenuto per la set­tima volta il consolato dalle sofferte (calamità istruito della incostanza della fortuna ; non, volle più fame

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prova ) e perciò prevedendo la guerra gravissima che Siila avrebbe fatta alla patria , spontaneamente si diede la morte j e lasciato dietro dì se fermento gran* dissimo di guerra, gittò il figlio e la patria in or­ribili sciagure. Imperciocché avendo il figlio da con*" battere con un nemico più potente di lu i, perì mi­seramente , essendosi, presa la città, rifuggito entro una chiavica ; e il popolo romano , e i municipii di Ita lia , caduti in guerra assai lunga, rimasero op­pressi da gravissime calamità. Due principi della città . Scevola e Grasso, senza processo furono immolati in Curia , i cui assassini! ^atroci abbastanza vennero ad indicare la grandezza de’mali soprastanti alla città e all1 Italia: perciocché Siila fece uccidere la mas­sima parte de’ senatori, ed ogni più distinto perso­naggio ; de9 soldati poi, il numero' che perdette la vita , parte nelle sedizioni, e parte nelle battaglie, somma a cento mila. £ tutte queste cose succedet­tero per la cupidigia; e l’ avarizia di Mario.

IX.

Fede d i L. Cornelio Menila,

L. Cornelio M enila, il quale era stato sostituito a Ciana nel consolato, avendo L. Cinnà domandato a condizione di pace che fosse tolto di magistrato, si dimostrò cittadino ottimo ed amantissimo della ma pattia* Perciocché ragionando al Senato ed al po­polo dello itato delia repubblica; prùgieramente

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chiarò di Voler essere Paritore della concordia, indi r com’ era stato fattoi console a sno malgrado, spon­taneamente P officio di console rinunziò a L. Cinna; ed abdicato il potere, immediatamente si trasse a condizione privata. Il senato adunque spedì legati a Cinna , i quali conchiuso con Ini il trattato di pacelo introdussero in città.

X.

D i L. Siila spogliatore de'templi,

L. Siila stretto da bisogno di denaro prese a spo* gliare tre templi pienissimi di offerte in oro e in ar* gento; e furono quello di Apollo a Delfo,'quello di Esculapio in Epidauro , e quello di Giove , tanto ce­lebre, in Olimpia, dal quale egli portò via una somma immensa , poiché in nissun tempo mai era stato tocco da veruno : laddove per ciò che spetta alle ricchezze di quello di Delfo, una gran parte ne aveano tolta i Focesi al tempo della guerra sacra. tu Siila adunque una quantità grandissima d’oro e d’ argento , e d’ogni altra preziosa materia , accu­mulò ; ed ebbe così tanto denaro quanto gli occor­reva per fare la guerra d’Italia. Però mentre pur mostrava di non avere nè paura, nè rimorso per quel ladrocinio di cose sacre, assegnò un territorio 7 coi fratti del quale si avessero a fare solenni sacri- fisii agli Dei ; e soleva dire scherzando usciqp egli vincitore da tutte le battaglie perchè avea ausiliari

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gli Dei , avendo essi tanto contribuito alle spese della guerra.

XL

D i G. Flavio Fimbria*

G. Flavio Fimbria , avendo di molto tratto pre­venuto L. Valerio Fiacco, e trovata opportunità per turbare le cose , oofie affcvonarsi i soldati permise loro che mettessero a sacco le campagne degli al­leati come se fossero di nemici, e che quanti in­contrassero , facessero schiavi. Della quale licenza approfittandosi i soldati, in pochi giorni misero in­sieme doviziosissimo bottino. Quelli che di tale ma­niera erano stati spogliati, andarono incontro al con­sole Valerio, e dei danni loro dati con tale violenza altamente si lamentarono : sicché di ciò il console sdegnato , ordinò che il seguissero , onde ognuno potesse ricuperare i suoi averi ; e a Fimbria intanto intimò, che di quanto violentemente era stato ra­pito avesse a farne la restituzione ai padroni. Egli incominciò a dar la colpa dell1 avvenuto ai soldati, come senza saputa sua avessero operato ; e di sop­piatto fece avvertire i soldati che non badassero al- F ordine , e che non si lasciassero torre quanto gua­dagnato aveano per diritto di guerra. Da ciò venne che mentre con alte minacce Valerio ordinava che si restituisse il mal tolto , e i soldati non ubbidi­vano , un tumulto grandissimo sorse nei campo.

459

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XIL

A ltri fa tti di quel Fimbria,

Poiché Fimbria ebbe passato 1’ Ellesponto, ecci­tando i soldati alle rapine e ad Ogni sorta di mis­iatti , cominciò ad estorquere denaro dalle c ittà , e10 divise tra i legionarii, i quali acquistata si sfre­nata licenza , 'ed allettati «dalla speranza di mettere insieme roba ? lui amavano come benemerito di tutto F esercito j e tanto più che espugnando le città reni­tenti a metter fuori denari, le abbandonava al sac­cheggio de’ soldati. E così infatti fece di Nicome- dia (i).

11 medesimo essendo entrato in Gizico come anuco^ intaccò i più opulenti abitanti di quella città di varii delitti $ e due de’ principali fra tutti » fatti sentenziare capitalmente , battuti prima colle verghe , decapitò per incutere terrore agli altri; e confiscò i loro beni* Di tal maniera avendo gli altri spaventati, JU ob* bligò a dargli tutto il loro patrimonio.

XUL

Di Gneo Pompeo.

Gneo Pompeo, datosi alla milizia, ed avvezzatosi

(1) Questo accadde quando Fimbria ebbe preso ed uccisoJRaccfy11 quale crasi rifulgilo in quella citut.

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à sostenere con somma costanza le fatiche della guerra 7 in breve acquistò un grand’ uso delle cose* della guerra. E di vero cacciata da se ogni mollezza e desidia y notte e giorno sempre faceva qualcuna delle cose che nella guerra possono essere utili. Im­perciocché prendeva cibo assai scarso, e si asteneva affàtto da’ bagni, e da ogni éimile delizia , tenendosi seduto -quando mangiava. Poco ancora nella notte dormiva y e nella notte vegliando provvedeva a quanto dovea farsi nella giornata. Così dall’ assiduo operare e dal meditare sui casi della guerra , diventò nel- l’ arte della medesima peritissimo : onde è poi in minor tempo che quello in cui un altro avrebbe ap- pena preso possesso di un esercito già ben allestito, egli radunava i soldati', e li armava , e li conduceva alla battaglia. E come giunse a Roma la fama delle

.cose da lui operate y tutti mirando alla età di lui y non alla virtù y sul principio mostrarono disprezza del giovine y tenendo ohe quelli che davano notizia de’ fatti suoi y inconsideratamente esagerassero. Ma quando la fama precorsa videsi dall’ evento verificata^ il Senato gli mandò contro Grumo Bruto y che Pomi peo ; battutolo ; obbligò a prendere la fuga.

XIV.

r Di L. Siila , e di L. Scipione.

V

Corrotto e passato dalla parte di Siila l’esercito di L. Scipione, questi trovandosi solo e della sai-

46 i

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vezza sua disperando, Siila mandò alcuni uomini a cavallo y cbe lo conducessero sicuro ovunque egli volesse andare. Adunque costretto a deporre al mo* mento le insegne consolari, e postosi in abito da privato y celerèmente fu condotto ove egli aveva ri­chiesto , così concedendogli Siila benignamente. Dove giunto, e ripigliate le insegne del magistrato, co­minciò di bel nuovo a comandare ad un esercito non ispregevole. (i).

XV.

D i Muzio Scevola.

Intanto in Roma, uccisi per falsa imputazione no* mini nobilissimi, anche Q. Muzió Scevola, pontefice massimo y e personaggio di somma virtù e dignità * fu messo a morte indegnissimamente : nel che fuvvi pe’ Romani questo di bene , che non morì in sacra-, tissimo santuario. Nè certamen^ stette per la ctck deità de1sicarii, che non fosse scannato sa’ focolari di V esta, e col suo sangue non estinguesse la fiam­ma per sempiterna religione custodita.

fi) L* elogio che Diodoro fa gai eli Pompeo sembra attutirò alte prime impreca di quel romano» quando essendo partigiano di Silim faceta la guerra nel Piceno a Carbone M e «Ila fazione di Mario*

4 6*

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XVI.463

D i un solenne briccone romano.

Esposta nel foro la tabella delle proscrizioni, corse immantinente a leggerla immensa turba d1 uomini, la più parte de’quali commiserava la sorte de’ dannati* Ma fuvvi un non so chi perverso ed infame a segno, che insultando alla calamità degli afflitti, molti in** properii contro loro sfacciatamente a gran voce per* xnettevasi. Però costui fu a un tratto colpito dalla vendetta di un qualche nume ; perciocché avendo in calce di quella tabella finalmente letto anche il no­me suo , copertosi colla toga il capo cominciò per mezzo alla immensa calca a fuggire ; ma conosciuto ' da uno che stàvagli vicino , e divolgatoue il caso , In presole con somma letizia di tutti ammazzato(1).

XVII,

Virth di Gneo Pompèo giovine.

Essendo Stati in Sicilia per lungo tempo chiusi i tribunali, Gneo Pompeo si applicò a render ragione, <*d esaminando'le questioni pubbliche e private, con tanta diligenza e integrità esercitò la sua giurisdi* 2ione, che non ne riscosse laude minore d’ alcun altro. E mentre non avendo che ventidue anni dalla

(i) fecondo die apparisce da Orctio , costui fi» un certo f*oUio,

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* 6 4 . . .età pareva chiamato a’ più sfrenati piaceri, con tanta gravità e continenza egli diportossi in Sicilia, che tutti gli uomini del paese ebbero a sommamente ammirare la virtù di quel giovine.

ESTRATTI DELLE LEGAZIONI.

L

D i Albani a Romani, e d i Romani ad Albani►

Regnando Tulio Ostilio, gli Albani vedendo come le cose de’ Romani metlevansi assai bene, finsero che quelli avessero abbotinato sul loro territorio, e mandarono legati a Roma per avere la restituzione delle prede ; o altrimenti per intimare la guerra. Ostilio conoscendo che gli Albani cercavano 'de1 pre­testi , ordinò a1 suoi ministri che tenessero a bada i legati, trattandoli in ogni più cortese maniera; e declinando dal dar loro udienza, con somma spedi­tezza mandò ad Alba persone che facessero per parie sua ua1 ambasciata simile. Ciò fu fatto dal re secondo T antico costume , in forza del quale diligentemente badavasi a non intraprendere guerre che non fossero giuste. Egli in oltre temeva,. se non avesse potuta trovare chi avea fatto il danno 9 o se avesse, ricusato di consegnarli a que1 che li domandavano , di com­parire quale intraprenditore di guerra non pia. Fu*» rono primi i legati di Roma ad esporre in Alba la commissione 3 a chiedere la restituzione, e in caso

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di negativa a dichiarare la guerra da cominciarci fra trenta giorni. Poi a legati degli Albani, quando eb­bero udienza , Tulio rispose che i Romani aveano già intimata la guerra a quelli d’A lba, perchè n’ a- veano sprezzati i legati iti a domandare le cose tolte. Per tale maniera popoli dianzi uniti per amicizia e per parentadi vennero fra loro in guerra.

IL

D i Africani e Cirenei a Cambise.

Essendosi Cambise , re di Persia, impadronito di tutto l’Egitto, gli Africani, e i Cirenei , i quali erano andati in ajuto degli Egizii , gli mandarono doni ; e promisero di fare ogni suo comandamento.

IH.

Del tiranno Nabi 9 e d i Flanùnino a l Senato romano.

Vennero a Roma legati del tiranno Nabi , e di Flaminino, i quali avendo esposte al Senato le loro commissioni > piacque ai padri che la pace fatta fosse ratificata , e che si levassero via da tutta la Grecia e gli eserciti e le guarnigioni. Udite le quali cose Q. Quinzio, i principali tra Greci chiamò a sé da tutti i paesi, e radunatili in assemblea con un editto cominciò ad esporre i benefizii, che i Romani aveano fatti alla nazione greca ; indi aggiunse die il

465

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popolo romano voleVa tutti gli abitanti della Grecia liberi , e senza guarnigioni ; e quello che valeva di più , che vivessero secondo le loro proprie leggi. Di una cosa sola poi contentarsi, ed era, che i cittadini romani, se alcuni ne fossero presso i Greci in con­dizione di servi, si cercassero, ed entro trenta giorni si mandassero a lui. 11 che i Greci fecero.

IV-

Della Grecia P del re Filippo, e del re Antioco al Senato romano.

Essendo per iscoppiare la guerra di Antioco, il Senato ai legati speditigli da tutta la Grecia per di­chiarargli che tenesse la nazione per preparata già a' quella guerra , e pronta a quanto occorreva, diede

benigna risposta. Agli ambasciadori venuti per parte di Filippo, fu de tto , che rimanendo quel re fedele ai tra tta ti, i padri gli restituivano il figliuolo De­metrio, e gli rimettevano i tributi. Rispetto a quelli, che spediti avea Antioco, il Senato scelse dieci per* sone, le quali udissero quanto aveano a dire, e quali fossero le commissioni date dal re. Il capo di quella legazione, Menippo , disse venire a domandare ami­cizia , e a fare alleanza : meravigliarsi poi il suo re che gli s’ intimasse di non immischiarsi nelle cose d’ Europa , di astenersi da alcune città , c di non ricevere i debiti tributi da altre. Siffatte cose non usarsi quando potenze pari in guerra vengono a pace

4 6 6

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con equo trattato : e tal contegno tenersi solamente fra vincitori e vinti. Non pertanto s\ dure intimazioni iinperiosamente essersi fatte al re dai legati, che andarono a trovarlo in Lisimachia. Niuna guerra, avere avuto Antioco eòi Romani , coi quali , se i Romani volevano y egli era pronto a stringere amici- zia. A queste cose rispose Flaminino, che delle due 'condizioni una i padri ne concedevano aìfre: che si astenesse da tutta Y Europa; e che del rimanente i Romani non prendevansi nissuna cura di ciò che appartenesse alle città dell’ Asia. Che se poi tale condizione non gli piacesse, piacere ad essi soccor­rere gli oppressi amici. Avendo i legati di Antioco risposto non volere nè potere obbligarsi a cosa che portasse diminuzione al regno del loro principe , il giorno dopo i padri dichiararono ai messi de’ Greci che i Romani, se Antioco avesse voluto far novità dalla parte d’ Europa, avrebbero fatto ogni sforzo perchè le città di greco nome nell* Asia fossero libere. Le quali cose mentr’essi con sommo piacere udirono, i legati di Antioco pregarono il Senato a non risol­vere precipitosamente , ma considerasse piuttosto che queste cose sarebbero state per l’una parte e per l ’ altra motivi di una guerra assai grande: che desse a l re , e prendesse esso medesimo tempo per pensare «opra affare sì grave.

467

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466v.

Degli Etoli al Senato romano.

Agli Etoli, i quali erano venuti per chiedere pace ed amicizia, il Senato impose due condizioni ; e fu* rono che o si abbandonassero interamente alla di­screzione de’ Romani, oppure pagassero immediata­mente mille talenti. Per le quali proposte esasperati nè fecero quanto veniva intimato, nè si liberarono dal terrore, in che li metteva la situazione loro di­sperata. Essi aveano con ogni loro forza ajutato An­tioco; e non aveano intanto alcun mezzo di togliersi dai mali > che li premevano.

YL

Del re Antioco al console romano.

Antioco tosto che seppe che i Romani erano pas­sati in Asia, mandò al console Eraclide di Bisanzio con commissioni per la pace. Prometteva di pagare la metà delle spese della guerra; e di dare Lampsa- co , Smirne, ed Alessandria della Troade, città che pareano essere state la cagione delle ostilità ; p e r­ciocché queste città dell7 Asia di greco nome eran o state le prime a ricorrere al Senato, e a dim andare che si restituisse loco la libertà.

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469VII.

Dei re Antioco a Scipione, principe del Senato romano.

Il re Antioco fece in suo nome per mezzo di Era* elide promettere a Scipione, principe del Senato che gli avrebbe senza riscatto restituito il figliuolo fatto prigioniere presso Eubea, e per soprappiù una gran somma d’ oro , se per mezzo suo avesse ottenuta la pace. A cui Scipione rispose $. che avrebbe tenuta per sommo dono di reale munificenza la restituzione del figlio j che d’ oro non abbisognava, e che poi per tanta generosità del re verso lui gli dava il con­siglio di astenersi dal venire a battaglia y essendogli già cognito il valore de7 Romani.

vin.

A ltra degli Etoli al Senato romano»

In occasione, che non essendo ancora stato vinto Antioco ? furono introdotti in Senato i legati etoli ; questi non motivarono parola sulla condotta crimi­nosa tenuta dai loro ; ma bensì v molto si diffusero sopra quanto in addietro gli Etoli con grande im­pegno e valore aveano fatto a prò de1 Romani. Sic­come poi domandati que1 legati da uno de* senatori , se gli Etoli fossero in caso di mettere se medesimi? e tutte le loro cose a discrezione del popolo romano,

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essi non risposero nulla ; i padri conobbero eia ciÒ7 cbe le speranze degli Eloli dipendevano unicamente

(da quanto era per avvenire ad Antioco ; e così li rimandarono in Grecia senza avere conchiuso nulla.,

IX.

Altra d i Antioco al console.

Antioco, rigettato il pensiero della guerra, mandò legati al console chiedendo perdono del suo errore, e pace ed amicizia a condizione qualunque. Il con­sole nulla deviando dalla pratica della patria, e la­sciatosi placare da suo fratello Pubblio, accordò la pace a queste condizioni, che Antioco non s’ inge­risse nelle cose d’ Europa, che abbandonasse tutto il paese , tutte le città , e tutte le nazioni che sono di qua del monte Tauro ; che consegnasse tutti i suoi elefanti, e tutte le sue navi lunghe 5 che per le spese della guerra fatte dai Ro.mani sborsasse quindici mila talenti euboici, che desse in mano dei Romani Annibaie, Foante etolo, e alcuni altri ; ed inoltre venti ostaggi, che i Romani indicherebbero. Il re per amor della pace accettando tutte queste condizioni, si liberò dalla guerra.

47°

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X.Ai »

Delle città e dei principi d’ A sia al Senato romano.

Quando il re Antioco fu vinto , da tutte le cit­tà j e principi dell’ Asia vennero legati a Roma per ottenere o la libertà , o la debita rimunerazione per quello che a favor de1 Romani ciascheduno avea fatto nella guerra di Siria. A quali tutti i padri

: dando speranza dissero eh’ essi avrebbero spediti in Asia dieci commissarii , i quali di concerto coi pro­consoli avrebbero messo in buon ordine le cose. Ri­tornati que9 legati ai loro paesi, i dieci commissarii romani si unirono con Scipione ed Emilio (i) \ e prese in esame le cose dichiararono che ad Eumene si dovesse dare la contrada al di qua del Tauro , e gli elefanti ? eh’,erano di Antioco. Ai Rodii furono date la Caria e la Licia. Le città eh’erano state tri­butarie di Eumene, furono obbligate a continuare a pagarglielo ; e quelle che lo pagavano ad- Antioco 9 furono dichiarate esenti.

(i) A questo passo il Vesselingio si affanna molto non trovando chi fosse VEmilio, di cui qui si parla, mentre Tito Livio non parta che di L . Emilio Paulo come uno dei dieci. Io non dirò che avrebbe potuto ingannarsi Tito Livio mettendo quel L . Emilio Paulo tra ì dieci invece di accennarlo come uno de’ proconsoli. Non proporrò nemmeno il dubbio, se per avventura il testo di Diodoro non fosse guasto , e non potesse meglio lecersi Scipione Emiliano, e ritenere un proconsole solo, non sapendosi altronde il perchè se ne am­mettano due. Mi limito ad osservare che il Vesselingio soffre con rassegnazione che si lasci Scipione in Asia in un tempo , in cui «gli crede che fosse già ritornato a Roma.

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472XI.

De Galati al proconsole Gneo Manlio,

Il proconsole Gneo Manlio agli ambasciadori dei Galati j i quali erano andati a domandare fine alla guerra» e pace, rispose che aiTebbe trattato di paee e di amicizia quando i re loro fossero andati spon­taneamente a lui.

XIL

D i Antioco a quel proconsole.

Lo stesso Manlio ito nella Licaonia riscosse da Antioco il frumento e i mille talenti, che per trat­tato quel re dovea pagare ogni anno.

XIII.

De Romani al congresso generale degli Achei.

1 legati de'Romani andarono al congresso generale degli Achei nel Peloponneso ; e dichiararono non piacere al Senato che le mura di Sparta rimanessero rovesciate : che gli Achei le aveano di tal maniera guaste quando si erano impadroniti di quella città , ed aveano i cittadini lacedemoni tutti arruolati alla loro repubblica. Dopo di loro furono introdotti gli ambasciadori di Eumene , recaudo seco il dono di venti talenti, che il re era solito a dare come una

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specie di stipendio , per le spese di quelli che con­correvano a far parte del congresso. Ma gli Achei rifiutarono il denaro (, e il dono. Vennero anche le­gati di Seleuco per rinnovare l’amicizia stata tra gli Achei ed Antioco j e 1’ amicizia fu confermata ; e furono accettati i doni che proferivansi.

XIV.

Dei re d e lt Asia al Senato romano.

Essendo giunti a Roma i legati dei re dell1 Asia, quelli eh1 erano con Attalo, furono accolti con grande onore : perciocché s’ andò loro incontro con treno magnifico, e furono albergati con isplendore, e trat­tati assai lautamente. E la ragione si fu che que’re erano divotissimi al nome romano, ed ubbidienti ad ogni comandamento del Senato. Altronde poi essi aveano fatto eccellente accoglienza a tutti i Romani capitati nei loro regni. I padri , data udienza ai le­gati, per gratificare Eumene, risposero benignamente ad A ttalo , che il Senato spedirebbe commissari! coll’ incarico di por fine alla guerra con Farnace.

XV.

Di Perseo al Senato romano.

Nella Etoli a , nella Tessaglia, e nella più parte delle città , la speranza di fare nuoyi catasti avea

47 3

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messo sossopra ogni cosa. La quale confusione giu­dicando i padri che fosse pata da Perseo, a9 legati di lui dichiararono, assolverlo essi da tutte le altre cattive cose commesse , ma volere ad ogni modo che correggesse il fatto della recente cacciata di Abrupolide trace dal proprio regno.

xvr.

D i Perseo al Senato romano.

Non rispondendo nulla Àrpalo, ambasciadore di Perseo , il Senato rimandò in Asia Eumene , già onorato di sedia curale , e distinto con tutti i più insigni onori.

XVII.

Di Perseo al Senato romarto.\

I padri immantinente decretarono la guerra contro Perseo , e quantunque ammettessero i legati di quel ve in Senato, non però diedero loro alcuna risposta. Fu poi commesso ai consoli che tutte queste cose dichiarassero al popolo in concione ; e fu intimato agli ambasciadori di Perseo , e a tutti i Macedoni di uscire immantinente fuori delle mura di Roma e dentro trenta giorni dall7 Italia.

4;4

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XVD3.

D i Antioco ed Senato romano.

ToloVnmeo , re d’ Egitto, sapendo che 1» Siria Cava (i) era stata sotto il dominio de’suoi maggiori, {atto grande apparecchio di guerra, cominciò a peti- sare di occuparla : perciocché sperava, che se era stata perduta per una guerra ingiusta , poteasi con una giusta guerra ricuperare. Di che essendo avver­tito Antioco mandò legati a Roma a denunziare Tolommeo (a) come quello, che stava per incomin­ciare una guerra iniqua. Anche Tolommeo avea mandati i suoi per giustificare quella guerra, e per informare il Senato , che Antioco contro il giusto occupava quel paese stato già de9 suoi maggiori. Avea poi data incombenza a’ suoi ambasciadori di rinno­vare coi Romani V amicizia, e di cercare' che si desse fine alla guerra con Perseo.

(i) Avendo noi spesse volte sul volgarizzamento nostro ritcnuU questa denominazione, giusto è prevenire chi legge , essere questa parte di Siria la medesima che od altrove da Diodoro ? o da altri scrittori chiamasi Celesiria.

(a) È bene avvenire che Tolommeo allora era giovinetto sotto tutela ; e che maneggiatore di tutto era Jerace » di cui altrove si b parlalo.

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XIX.

De* Rodii al Senato romano.

Erano venuti a Roma i legati de’ Rodii per giu­stificarsi contro le accuse, che sapeano correre con­tro di loro : imperciocché dicevasi che nella guerra macedonica si fossero addimostrati troppo propensi per Perseo, trascurata l’ amicizia de’ Romani. Or ve­dendo tutti gli amici ad essi avversi s’ intimorirono ; e quando uno de’ pretori propose al popolo di far la guerra ai Rodii, costernati pel pericolo , di che vedevano la loro patria minacciata, messisi in abito mendico, nelle congreghe degli amici non usarono parole sole di esortazione , e di preghiera, ma alle preghiere unirono copiose lagrime altamente scongiu­rando che non si volesse la ruina della loro patria.- Poscia introdotti in Senato , tenuto discorso atto a procacciare misericordia', da uno de’ tribuni, che avea fatto calar giù de’ rostri il pretore , il quale avea voluto eccitare i Romani alla guerra contro i Rodii, ebbero una risposta, per la quale vennero bensì liberali dalla paura della guerra, ma fu piena di aspri e durissimi rimproveri./

XX.

Di molti principi e città al Senato romano.

Iu quel tempo medesimo da ogni parte erano ve-

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nuti a Roma legati per congratularsi di quanto i Romani prosperamente aveano fatto : i quali tutti i padri accolsero con assaissima cortesia , onorarono di benigne risposte , ed in breve rimandarono alle patrie loro.

XXI.

J)i Eumene , di Prusìa, dei Galati al Senato romano.

Essendo in quello stesso tempo venuti parecchi legati, di diede udienza ad Àttalo ? il cui fratello Eumene -era caduto in gran sospetto a cagione di lettere trovate , per le quali pareva che avesse voluto confederarsi con Perseo contro i Romani. E varii legati dell7 Asia accusavano quel re 5 e spezialmente quelli eh9 erano stati spediti dal rè Prusia e dai Galati. Ma Attalo la maggior parte delle accuse sventò j e non solamente potè purgare il fratello dai delitti imputatigli , ma ottenne anche d’ essere con sommo onore rimandato al suo paese. Però rimase ne9 padri un grave sospetto sopra Eumene ; e fu mandato Gajo ad esaminare la condotta di quel re.

XXII.

Del Senato romano in Asia 9 e al re Prusia.

Prusia, uomo indegno del nome e della maestà di re , era stato in tutto il tempo di sua vita solito

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à fare turpemente l’ adulatore de9 più distìnti perso­naggi. Essendo stato una volta visitato dai legati dei Romani, egli depoSc le insegne di re ? il diadema, e la porpora, postosi il pileo in testa, essendosi prima fatto radere , e vestita la toga e le calze, si presentò lo ro , dicendo : eccomi liberto del popolo romano. Di cbe non troverai al certo più bassa espressione. E molte cose simili fece dianzi e disse; ed ito alla Curia fermo in sulla porta colle mani basse, in presenza de’ padri ne adorò il limitare , eil consesso de’ senatori, dicendo loro : siate salvi.,o miei Dei salvadori! eccedendo di gran lunga tutte le blandizie femminili , e tutte le adulazioni. Di si­mile tuono fu la sua orazione ai senatori, che il riferire e trascrivere sarebbe vergogna. I padri sto­macati dai detti di quel r e , diedero all’ adulatore ima risposta quale egli si meritava : perciocché i Romani preferiscono di' vincere nemici d’alto animo, che i vili.

XXIIL

Dei Tolommei, il Filometore e il Fiscone al Senato romano.

Erano venute a Roma ambascerie mandate dal minore , e dal maggiore de’ Tolommei, le quali in­trodotte in Senato ed udite , poiché i padri ebbero esaminate le cose delle quali trattavasi, diedero questa risposta. Che i legati spediti chi maggiore Tolommeo fra cinque giorni partano d’ Ita lia, e ri­

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feriscano rotta F alleanza che sussisteva col re. De­cretarono poi di mandar legati a Tolommeo il mi­nore , i quali gli esponessero la volontà del Senato, e la risposta data al fratello.

XXIV.

Di Ariarate al Senato romano,

NeUa olimpiade centocinquantacinquesima vennero legati spediti da Ariarate ré di Cappadocia ? portando una corona di dieci mila denari d’ oro , e la dichia­razione che il re avea rinunziato al parentado e al- P amicizia di' Demetrio , secondo che i padri aveano voluto (i). .Le quali cose venendo attestate da T. Gracco, il Senato lodò A riarate, ed accettata la corona, per ricambio mandò al re in dono parecchie cose j che in Roma pregiavansi sommamente.

XXV.

Di Demetrio al Senato romàno.

Circa quel tempo s’ introdussero nella Curia i le­gati spediti da Demetrio ? recanti una corona di dieci

(i) Demetrio Solere per fortificarsi nel regno avea proposto ad Artarate d* imparentarsi seco lui sposandone la sorella ; é i Romani noi permisero. Il dispetto di tal rifiato mosse Demetrio a favorire Orofem e, che aspirava ad occupare il regno del fratello. Coti Giustino.

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mila denari d’oro, e stretti in catene gli autori della morte di Ottavio. I padri stettero lungo tempo esi­tando sulla deliberazione che doveano prendere, la fine accettarono la corona ; ma noti vollero ricevere Isocrate e Leptine eh’ erano stati condotti (i).

XXVI.

Dei Celtiberi al console romano.

I Celtib«ri ottenuta ch’ebbero la vittoria (a), pen­sando a ciò che potea poscia succedere , mandano al console ambasciadori a trattare di pace. Il console rispose loro , volendo conservare la maestà del po­polo rom ano, che doveano mettere se stessi e le cose loro onninamente all’ arbitrio de’Romani, op­pure s’ aspettassero più gagliarda la guerra.

XXVII.

Dei Cartaginesi al Senato romano.\

Scoppiata la guerra punica, i Cartaginesi udendo

(i) Leptine .avea ammassato Gn. Ottavio lo Laodicea; ed Iso- arate , grammatico, avea giustificato quell’ omicidio.

(a).Questa vittoria i Celtiberi riportarono sopra M . Fulvio N o - bilione ; e il console , a cui proposero la pace, fu M. Claudio Marcello. I Romani non facevano mai la pace dopo essere stati rotti. Però Marcella accordò ai Celtiberi di mandare upa legazione a Roma.

'48o

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che V armata de9 Romani era approdata al Lilibeo, ed avversi ad entrare in ostilità , spedirono legati a ’ Roma} onde cedessero a9 Romani le cose. loro e quelle della patria. I padri accettata la resa del paese punico, risposero ai legati, qualmente, poiché i Cartaginesi aveano preso il miglior partito, conce­devano loro le leggi, il paese, le cose sacre, i mo< munenti, la libertà , tutti i possedimenti, e la risina, stessa di Cartagine, eh1 essi aveano già. risoluta , coprendo tutto questo coll1 apparenza di umanità ; purché però dessero in ostaggio trecento figliuoli di senatori , e prontamente facessero quanto i consoli avessero loro imposto. I Peni credendosi liberi dal timore della guerra, mandarono, non senza gran pianto 9 gli ostaggi. In quel frattempo i Romani ar­rivano ad litica. Nuovi ambasciadori vengono allora da Cartagine per domandare quale altra cosa i Ro­mani vogliano. I consoli rispondono , che doveano consegnare di buona fede tutte le armi e le cata­pulte. Da prima con grande contrastamento udirono quella proposta, a cagione della guerra che. facevasi contro Asdrubale (i). Non ostante i Romani ebbero tutte le armi d’ ogni generé che sommarono a du­gento mila, e duemila catapulte. Allora furono man» dati alcuni a Cartagine ad intimare al Senato della città che spedisse geùte ad udire l1 ultimo comando

<0 Per intelligenza di questo passo è-bene ricordare, che avendo i Cartaginesi condannato a morte A&lruhaU per essere staio pria» cipale astore della guerra fatta a Massinissa , egli avea volle le ar­mi contro d’ essi.

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de7 consoli. Furono trenta i deputati ad andare e tutti persone scelte dai più nobili : a cui Manilio, il maggiore de’ consoli, disse, volere il Senato romano che abbandonino la città ora abitata , e ne fabbri­chino un’ altra ottocento stadii distante dal mare. Udita la qual cosa i legati, dati in un dirotto (Manto m prostesi a te rra , 1* intero consesso empirono di commiserazione ; e poiché da quella costernazione poterono alquanto rilevarsi, uno dT essi, di nome Blannone ( i) , preso a favellare, con tanta fidanza e libertà si espresse nel frangente in cui trovavasi, che tutti gli astanti mosse a compassione.

XXVIII.

Dei Cartaginesi a l Senato romano.

Stando i Romani ostinati nel volere distrutta Car­tagine , ed avendo ai legati cartaginesi ordinato di ritornar tosto a casa, e riferire ai loro concittadiniil comandamento fatto , alcuni d’ essi, ricusando di ritornare alla patria , fuggironsi ove poterono , gli altri fecero ritorno a Cartagine da quella fatale le­gazione , e alla moltitudine che gl1 incontrò, nulla risposero; ma battendosi il capo , e stendendo al cielo le m ani, scongiurando gli Dei , andarono di-* rettamente al foro , ed al Senato riferirono quanto i Romani aveano stabilito/

48a

(t) Appiano lo chiama Annone Gilla.

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XXIX.483

Degli Aradii ad Ammonio.

Gli Aradii tenendo d’ avere 1’ occasione opportuna per rumare i Marateni, spediscono di nascosto messi ad Ammonio, che allora presiedeva al regno ( i) , e gli promettono trecento talenti se loro dà in mano la città. Costui mandò Isidoro, in apparenza per altro negozio } ma in sostanza per tradire la città , e consegnarla agli Aradii. I Marateni, benché nulla sapessero della concertata ruiua della loro città, ma reggendo gli Aradii in molto favore presso il re , stabilirono di non ammettere in città i soldati regii, ma di ammollire gli Aradii. Per ciò scelsero imman­tinente dieci de1 più vecchi tra i nobili loro , onde colle infule, e colle statue antichissime, eh1 erano nella loro città, andassero ad Arado , sperando di vedere temperata l’ira degli Aradii e per la commiserazione verso parenti quali essi erano , e per la pietà verso* gli Dei. Quegli ambasciadori, come loro fu imposto, acesi dalle navi a terra , cercarono colle preci dr placare la moltitudine. Ma gli A radii, fieramente superbi, niun conto fecero nè delle preci de’ supplii can ti, nè della religione degli D e i, nè della pietà verso le immagini ricordanti la parentela. Anzi le

( O Era reggente del regno, e come curatore di Jlle$sandto Baia. Ma come spiegare un fatto, che riguardato il grado di costui, b anch* più assurdo -di quello che apparisca scellerato » mentre pura è scelleratissimo?

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statue degli Dei spezzarono, e conculcarono empia­mente , e corsero con pietre addosso ai legati. Il qual impeto della moltitudine a grave stento represso da quei vecchioni, per riverenza alla <età si asten­nero dal lapidarli, ma però ordinarono che fossero, cacciati in carcere.

XXX.

De Numantini e Termestini al Senato romano.

A’Numantini e Termestini, che aveano spediti le* gati ai Romani per ristabilire l ' amicizia , fu conce­duta pace a questo patio , che 1’ una e 1’ altra città dessero al popolo romano trecento ostaggi, nove­cento saghe 3 tre mila pelli da tènde , ottocento ca­valli da guerra, e tutte le armi. Fu fissatto a quelle città il giorno, in cui doveansi eseguire queste con­dizioni ; e le città F eseguirono tutte. Si venne poi alla consegna delle armi; ed ivi alzossi un generoso lamento ; e la moltitudine senti più che mai vivo T attaccamento alla sua libertà ; querelandosi tutti Na vicenda di lasciarsi spogliare delle armi come se fos- v sero donne.. Ond1 è che pentiti de’ patti accettati si accusavano reciprocamente, i figli i loro padri, i padri i loro figli, e le mogli i mariti. Infine negano di consegnare le armi ai Romani ; e ripigliando il primo coraggio rinnovano la guerra.

484

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XXXI.485

Di Trifone al Senato romano.

Trifone di uom privato divenuto re ? cerca che gli sia confermato il principato con decreto del Senato romano.' A questo intendimento fatta fare una vitf tona d’ oro , del peso di dieci mila denari, manda legati a Roma perchè la portino al popolo. Pensava egli che i Romani non 1’ avrebbero ricusata , sì pel valore intrinseco, sì pel buon augurio , che recava seco, -e che lo avrebbero riconosciuto per re. Ma fuori di sua aspettazione trovò il Senato più accorto ■ ; e dovette sperimentare più prudenti di lui quelli che coir astuzia sua avea pensato di potere deludere. Im­perciocché i padri accettarono il dono e il buon augurio non senza utilità loro ; ma in vece che da Trifone , riconobbero quella vittoria come prove­niente loro dal re , che Trifone scelleratamente avea ucciso; e vi feeero scrivere sopra il nome def me­desimo. Con che manifestamente comprovarono la detestazione loro per la morte del re fanciullo , e pei regali degli empii (i). v

(i) Diodoto , di poi chiamatosi Trifone, era tutore del re di Siria, figliuolo di Alessandro. Il giovinetto avea dieci anni, ed era malato. Trifone corruppe i medici, onde si credesse eh' egli era infermo di pietra, e gli fece fare 1* operai iòne per farlo morire.

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486XXXII.

'Del Senato romano ai re cE Egitto > e deir Asia.

A’ legati, alla testa de1 quali era Scipione Emi­liano ( i ) , andati ad Alessandria per vedere lo stato del regno, il re Tolommeo andò incontro con nu­merosa comitiva, e con gran pompa. Furono e w accolti onorificamente, e lautamente banchettati; poi vennero condotti intorno per tutto il reai palazzo, ond* essi, i tesori vedessero. I legati rom ani, es­sendo uomini di egregia v irtù , ed usi a poco e sa­lubre cibo, sprezzarono le lautezze del re come quelle che indebolivano il corpo e l’animo ; e le eose che Tolommeo stimava assaissimo, appena de­gnavano di uno sguardo, riputandole vili. Alle altre cose poi degne di considerazione badavano diligen­tissimamente , come fu la situazione, e la ricchezza della città , e la singolarità del Faro. Iti poscia na­vigando a Menfi, ben consideravano e la bontà del territorio, e le opportunità del fiume N ilo, e la moltitudine delle città , e l’ innumerabile numero degli abitanti, e il paese ben munito , e F eccellenza sua, giudicandolo tale da condurre comodissimamente al possesso di un grande imperio ; perciocché mera­vigliati di quella grande quantità di gente, e dei tanti vantaggi de’ luoghi, non senza ragione concludevano

(i) Giustino nomina tra gli altri, olire Scipione, S p . Mummia e Metello. È bene dire che que' Romani condussero jeco alcuni ubmiai di lettere , c filosofi » tra i quali furono Possidonio , t Panezio.

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potersi ivi stabilire un imperio potentissimo, quante volte fosse in mano d’uomini degni di tante forze. Veduto l’Egitto andarono poscia a Cipro , indi in Siria ; e visitate quasi tutte le provincie del mondo romano, senza essere stati d’ aggravio a nessuno, ma per la mirabile loro continenza dappertutto spm- mamente stimati, con applauso infinito , e con rin­graziamenti de’provinciali ritornarono a casa. Imper­ciocché in questa loro legazione aveano prudentissi­mi amente messo termine alle 'controversie , e posti in concordia molti litiganti ; persuasi altri a prestarsi a quanto era equo e giusto ; e i più pervicaci colla forza e coll’ autorità ridotti al.dovere; le questioni più astruse rimesse al Senato ; è i re inoltre e i popoli umanissimamente richiamati a rito rn a i* amici; e indotti tutti a fortificare l’ imperio con benevolo affetto. Nelle quali disposizioni entrati principi e nazioni, vennero dagli uni e dalie altre spediti am- basciadori a rendere lode a Scipione e a’ colleghi suoi y e a ringraziare per tali legati spedici.

XXXIII.

Del re Bocco a M ario, e al Senato romano*

Bocco, re di Mauritania, accusando acerbamente gli autori della guerra intrapresa contro i Romani, mandò legati a M ario, i quali chiedessero perdono dei delitti, ed alleanza ed amicizia ? e dichiarassero che il re non avrebbe prestata ai Romani opera

4*7

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inutile. Mario rimise al Senato i legati di Bocco. Vengono essi adunque dal re spediti a Roma ; ai quali i padri risposero che Bocco avrebbe ottenuto quanto desiderava purché si procacciasse il favore di Mario. Questi allora poneva ogni suo studio unica­mente in avere nelle mani Giugurta 5 e il re eccitato a contribuire a quest’opera, vi si prestò, invitando Giugurta ad un congresso , onde trattare de’ comuni interessi, e di quanto era da farsi ; e in quella oc­casione facendolo arrestare , carico di catene lo con­segnò al questore L. S iila, spedito a tal effetto. Così Bocco comprò la sua salvezza colla ruina di Giugurta 5 ed evitò il gastigo che s’ aspettava dai Romani.

XXXlV.

Di Mitridate al Senato romano.

Erano giunti a Roma legati spediti dal re Mitri­date con grossissime somme di denaro per corrom­pere il Senato. Ora L. Saturnino, cercando occa­sione d’ insultare ai padri, gravissimamente offese que* legati, i quali eccitati da uomini senatorii, che loro promettevano di sostenerli, accusarono Satur­nino , còme reo di violazione e d’ ingiuria verso di essi. Grande fu e pubblica la contesa insorta, a ca­gione che i legati riputavansi inviolabili , e che era antico costume presso i Romani di vendicare le in­giuria a tal sorta d’uomini fatte. Venne adunque

488

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. . . 4 8 9Saturnino in imminente pericolo , essendo reo di de­litto capitale ; ed accusato da’ senatori, che presie­devano eglino medesimi a tal genere di giudizii ? onde salvarsi si diede ad implorare misericordia, questo essendo il porto comune degli afflitti. Per lo che dimessa la toga candida y una sordida ne in­dossò , e fattasi* crescer la barba 7 cominciò a pre­sentarsi in tale figura ai varii gruppi . della plebe , pittandosi alle ginocchia degli u n i, stringendo forte­mente le mani agli altri , e pregando supplichevole che volessero soccorrerlo nella calamità sua, mentre egli veniva oppresso dai senatori contro ogni giustizia ed equità y per niun altro motivo che per sostenere le loro parti ; e nella sua causa essere i nemici suoi e accusatori e giudici. Si commossero i plebei alle preghiere di Saturnino \ ed in gran numero anda­rono ad assistere al giudizio. E la cosa finì di tal modo ? che il reo fu strascinato via , e per la vo« lontà risoluta dfclla moltitudine fu di nuovo' creato tribuno della plebe.

XXXV.

De Cretesi al Senato romano*

I Cretesi per alcun tempo mantennero ferma la pace che aveano fatta con M. Antonio (i). Essendosi

(i) Questo M . Antonio fu padre dal Triumviro e fece la guerra ai Cretesi con poco buona fortuna.

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poi convocata la loro grande assemblea per provve­dere agli affari della repubblica > mandarono a Roma i più anziani e quanti aveano pratica sperimentata degli affari, tanto per ribattere le accuse che veni­vano loro fatte , quanto per mitigare a prò loro con lusinghevoli parole i padri. Trenta furono i soggetti scelti, e i piìi nohili di tutti , i quàli in Roma pri­vatamente girando per le case de* senatori, e ado­perando ogni genere di preghiere, giunsero a placarei principali di quell’ ordine. Poscia furono introdotti in Senato : i delitti, de1 quali i Cretesi venivano in­colpati., molto industriosamente diluirono, ; ed enu­merati diligentemente i loro benefizii verso i Romani e l’ antica loro amistà y chiesero d’ essere ricevuti nell7 amicizia di prima, I padri udito benignamenteil discorso de1 legati, fecero un decreto, in virtù del quale i Cretesi furono chiamati alleati ed amici de1 Romani ; il qual decreto però Lentulo Spintere fece che rimanesse senza effetto (i). 1 legati ritorna­rono adunque al loro paese senza essere riusciti nel loro intento. Di poi in Roma spesso presso il Senato parlavasi de’ Cretesi come di compagni, e complici de1 Pirati: ond’ è che £i fece un decreto . per cui si ordinava che i Cretesi mandassero a Roma tutto il loro naviglio , compresivi quattro scalmi, e di più trecento ostaggi tolti dalle più nobili famiglie. Oltre ciò si comandò loro che consegnassero le persone

(i) Era tribuno della plebe, ed àrea tale prerogativa. Fu grandeamico di Cicerone, che molto lo ajutò con consigli nel consolalo.

4go

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diL&stene e di Panari, e pagassero di soprappiù quattro mila talenti d’ argento ai Romani. Udite le quali cose i Cretesi fecero tra loro consiglio sopra ciò cbe convenisse risolvere. I più prudenti suggeri­rono cbe s’ avesse a fare quanto era ingiunto ; ma Lastene e Panari ? rei di gravi delitti, temendo d i1 essere mandati a Roma y ed ivi essere puniti, ecci­tarono la moltitudine, esortandola a conservare la libertà avuta dai loro maggiori.

?IB E DEB VOLUME ED ULTIMO.

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D£LLE MATERIE CONTENUTE IN QÙESTO TOMO

49*I N D I C E

L I B R O V E N T E S I M O .

Cip. I . O o n s i d e k i z i o v i dell*Autore sulle troppa spes- se» e troppo prolisse allocuzioni inserite da taluni uelle storie ; e proposta del tempo che comprenderanno gli avvenimenti narrali in questo l i b r o .........................................Pa§. 5

— II. Agatoele vuole passare in Africa. Suoi pre­parativi per tale impresa. Cometa eseguisse: quai pericoli superasse. Primi suoi fatti dopo aver messo a terra P esercito . . » 8

— III. Pensieri de*Cartaginesi sullo sbarco di Aga­toele. Misure da essi prese. Battaglia « e vittoria di Agatoele facilitata dalle trame di Bomilcare. Cartagine investita dal nemico: rimorsi 9 e superstizioni crudeli de’ Cartagi­nesi ......................................................... ...... 17

—• IV. Astuzia di Amilcare cogli abitanti di Siracusa.Misure che prendono i governatori di quella città. Arrivo colà de* messi apportatori della nuova della vittoria di Agatoele. Amilcare approfittando della circostanza fa scalare dai suoi le mura di Siracusa» ma senza frutto.Nuovi acquisti e nuove vittorie di Agatoele in Africa

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Cip. V* Imprese di Cassandre». GstiUtò «di Tolom.- meo contro Altigooo. Tentai ivi di Polisper- conte per introdurre in Macedonia Ercole figlio di Alessendro.'- Assassinio di Nicocle , • - re de* Pafj in Cipro, ordinalo da Tolom- meo, e catastrofe orrenda della famiglia di quel re Pag. 3i

VI. Guerra nel Ponto tra i figliuoli del re Pari- sada. Eumelo ricambia i delitti 'dell* ambi- sione con un governo liberale . • . . . » 39

•— VII. Campagna di Tolommeo in Cilicìa , e in altreparli ; Polisperconte si acconcia con Cas- -, sandio, togliendo" di vita 'Ercole d* Ales­sandro cbe prima volevaf mettere sul trono di Macedonia. 1 Cartaginesi vanno fk t as­saltare Siracusa , e sono disfatti colla presa e morte di Amilcare. Gli \grigratini si fanno i campioni della indipendenza dei Sicnli.

Affari dei Siracusani................................. » 4*— V ili. Costernazione de’ Cartaginesi per la rotta e

morte di Amilcare. Grave rischio- in cui trovasi Agatocle messo in arresto dal suo esercito. Come se ne libera, e batte i Car­taginesi» Guerra dé’ Romani oogli Etruschi ed i Sanniti. Imprese del censore Appio

C l a u d i o ................................................... » 5omm IX. Escursione di Tolommeo sulle cosle del Pe­

loponneso. Assassinio di Cleopatra. Nuova . vittoria di Agatocle sui Cartaginesi. Sua lega con Offella , re di Cirene. Marcia di questo principe. Serpenti delle S irti, e ca­verna di Lamia. Unione -dei due eserciti.Ma Agatocle assalta Qffella', che perde la vita , e fa suo 1* esercito di lui . » 50

— X. Bomilcare tenta di farsi signore in Cartaginenel tempo che Agatocle opprimeva Offella j ma rimane oppresso. Agatocle manda a Si­racusa le spoglie nemiche e i Cirenei non atti alle armi. Cose d’ Italia . . . . » 65

493

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C if . XI. Sfwdisloae di D ata rio ad Atene» oh* egli'mctte in libertà. Onori dagli Ateniesi decretati a lui • ad AntigOao. Altra spedizione di De­metrio a Cipro» ore assedia Salamina. Sua TÌlfcotta navale contro Tolommeo. Per essa Autigeno assona il titolo di re» e lo confe­risce a Demetrio. Gli altri principi lo* imi­tano ..............................................* Pag. 69

— XII. Agatoele assume anch’ egli il titolo di re; e far impresa di Ulica. Terribile sventura degli

. . . abitanti di quella città. Altre conquiste di v Agatoele. Generai ioni di popoli allora noti

in Africa. Agatoele lascia ivi I*esercito, «va ia Sicilia ........................................ ..... » 83

r - X11.I. Senodoco, comandante degli Agrigentini h rotto .dai luogotenenti di Agatoele. Arrivo di que­sto in Sicilia; e varie sue imprese contro le città Sicule. Dinocrate gli tien fronte con g ro s so esercito. Belle spedizioni in Africa

di Eumaco. Le P itecusse.......................» 85•<* XIV. I Cartaginesi in Africa mettono in campagna

tro eserciti» e sconfiggono Arcagato. Aga­toele cbe non può soccorrerlo » sconfigge l f armata cartaginese che bloccava Siracusa ; e Leptine sbaraglia Senodoco» obbligalo poi a fuggire da Agrigento . . . . . » 9»

t— XV. Astuzia di Agatoele per conoscere i mal affettia lui » e misure che prende prima di partire per PAfrica. Cattivo stato in cui trova colà il suo esercito. Assalto i Cartaginesi, ed è obbligato a ritirarsi nel suo campo. Singoiar caso , che scompiglia i Cartaginesi » e ruioa lui. Vuol fuggire in Sìcjilia» ed è arrestato; indi messo in liberlà. Abbandona P Africa» ove i suoi figli sono dai soldati uccisi , e gli avanzi dell’ esercito distrutti . . . » 9$

— XVI. Agatoele sbarcato in Sicilia va in Egesta.Crudeltà sue verso gli abitanti di quella città per averne denari ~ Crudeltà commesse ad

4o4

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Antandro contro i parenti de* soldati dell'e­sercito d* Africa in vendetta de9 figliuoli colà uccisi . . . • . . * . . . Pag. io j

XVII* Grande spedizione di Antigono contro l ' E - gitto. Ma trovata troppa resistenza per parte di Tolommeo egli ritorna in Siria . . « n o

XVIII. Agatocle caduto in trista fortuna rinuncia per . accordo con D inocra te al .regno , lasciando Siracusa in libertà» Ma il trattato non si eseguisce per secreti fini di Dipocrate. Aga­tocle si acconcia coi Cartaginesi. Il paese .dei Sanniti è. minato dai Romani . . . » n 5

XIX. Antigono fa guerra a Rodi e per qual mo­tivo. Grande armala cbe Demetrio conduce ai danni di quella città. Macchine, che co­struisce e adopera. Misure di difesa, che i Rodii- allestiscono. Assalti e combatti­menti ................................... . . . . n 119

XX « Agatocle assalta Dinocrate, e i suoi fuoru­scili, e lo sbaraglia. Indi viene ad accordo; e si fa aqniQp Dinocrate^ che guerreggia utiU mente per lui. Campagna de* Romani nelSannio .............................................. . .

XXI. Descrizione di una Elepoli di mirabil gran­dezza falla costruire insieme con altre mac­chine .da .Demetrio per espugnar Rodi. In­gegno e carattere di questo principe. Sforzi de-Rodii per difendersi* Terribile assaltodato alla città ' ...................................- . » *33

XXII* Il re Tolommeo manda ajuto ai Rodii. Essi resistono meravigliosamente ad un grande assalto, che Demetrio fa dare alla città. Finalmente l*assedio cessa, e si fa la pace » i4f

XXHI. I Rodii rimeritano ampiamente quanti aveano loro prestata opera per la salvezza della città. Demetrio si volge a dare la libertà alle città greche tenute in soggezione da Cassandre. Angherie di Agatocle contro gli

495

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49«abitami di L iplri, e tristi (iati a lui occorsi.I Romani fanno pace coi Sanniti . . Pag, 148

Cip. XXIV. Imprèse di Demetrio nell’ Acaja. I Tarantini ottengono dagli Spartani per comandante Cleonimo, 11 quale empie tutto di rapine e di scandali. Vicende di costui . . . » i5x

XXV. Cassandro non poteudo aver pace da Anti­gono , fa lega contro di lui con Tolommeo , con Seleuco 9 e con Lisimaco. Spedizione di Lisimaco in Asia* Antigono muove contro di lu i, e chiama a se dalla Grecia De­metrio ......................................................... » *56

— XXVI. Demetrio si fa iniziare estraordinariamente in Atene nei misierii eleusini. Libera molte città greche, e dovendo partire per 1* Asia fa un accordo con Cassandro. Sua campa­gna in Asia. Sventurata spedizione di Plei­starco verso Lisimaco. -Seleuco in Cappado­cia . Tutti a quartieri d’ inverno . . . » 1 Ga

Estratti che rimangono degli ultimi venti libri deila Biblioteca Storica di Diodoro Siculo, quali si hanno nella edizione del Vesseliogio eseguita in Amsterdam nel 17 f i , per le

stampe di Jacopo Vesienio . . . - .............................» a i3Estratti de' libri che mancano della Biblioteca Storica di Dio­

doro Siculo, come si hanno nella Biblioteca di Foziopatriarca di Costantinopo'i . . . • .............................» 267

Frammenti che rimangono dei libri posteriori al xx della Bi­blioteca Storica di Diodoro 8iculo, i quali in alcune edizioni vanno sotto il titolo di riguardanti le Viriti e i Vizii........................................ ..... ....................................... » i v j

FINE DEIX’ IWDIGE.

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I N D I C EDELLE TAVOLE IN RAME E CARTE GEOGRAFICHE

CONTENUTE NE’ SETTE TOMI DELLA BIBLIOTECA STORICA

D I O D O R O S I C U L O ./

Tomo L Frontispizio della Collana degli antichi Storici Greci.

99 99 Ritratto dell* Aatore.

99 99 Tav. I. Osiride . . Pag. 2 &

99 99 9? II. Iside . . . . 99 2 $

99 99 99 III. Osimandu^a. 99 **9

99 99 9# IV. Mennone • 99 2 65

99 n . 99 I. Aminone 99 I l 8

99 9f 9$ II. Bacco • » * * m 99 i 5 5

99 99 99 III. Ercole. . . . 99 16099 99 99 IV. Centauro . . • 99 i 6 5

99 III. Carta del passaggio delle Termopili 99 12$99 39 99 del Piano della Battaglia di Salamina 99 1 a99 99 99 della Battaglia di Platea 99 164

99 IV. Tavola unica. Rovine del Tempio di Giove

Olimpico in Agrigento. » 99 12(

99 V. 99 9» Navi antiche 99 5

99 VI. 99 I. Delineamenti di Alessandro come OS-

servansi in antichissimi mono­

menti. 99 S

99 99 99 I I . Topografia della città di Tebe. 99 1699 99 .J3t> III . Carro funebre d* Alessandro il

grande . • 99 212

99 VII. 99 1 e II. Testuggini militari • * 99 5

99 99 99 III. Naviglio di 6ette remi detto E - *ptera 99 77