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Diario di Viaggio in Siria Alla riscoperta di gioielli perduti nel vuoto di una regione desertica In questo nostro secolo tormentato, Damasco e tutta la Siria, sono avvolte in una nube di tenebre, di terrorismo, di guerra fratricida ed irrazionale come tutte le guerre.. si apprendono dai giornali notizie terribili.. non si può più camminare per le strade senza il timore che esploda una bomba in qualche angolo, non si può più vivere in pace, e Sadat, il leader tanto venerato in passato, è diventato un fomentatore di lotte intestine, un elemento da abbattere per ritrovare un clima di almeno apparente normalità. Povero Medio Oriente, povera Siria, povera Damasco che, circondata da una lussureggiante vegetazione, rappresentava, in passato, il paradiso terrestre! Un tempo si diceva che Maometto non aveva mai voluto contemplare l’immagine della felicità, prima di averla meritata, e proprio per questo non era mai voluto andare a Damasco!

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Diario di Viaggio in SiriaAlla riscoperta di gioielli perduti nel vuoto di una regione desertica

In questo nostro secolo tormentato, Damasco e tutta la Siria, sono avvolte in una nube di tenebre, di terrorismo, di guerra fratricida ed irrazionale come tutte le guerre.. si apprendono dai giornali notizie terribili.. non si può più camminare per le strade senza il timore che esploda una bomba in qualche angolo, non si può più vivere in pace, e Sadat, il leader tanto venerato in passato, è diventato un fomentatore di lotte intestine, un elemento da abbattere per ritrovare un clima di almeno apparente normalità.

Povero Medio Oriente, povera Siria, povera Damasco che, circondata da una lussureggiante vegetazione, rappresentava, in passato, il paradiso terrestre!

Un tempo si diceva che Maometto non aveva mai voluto contemplare l’immagine della felicità, prima di averla meritata, e proprio per questo non era mai voluto andare a Damasco!

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Ecco allora, in questo clima totalmente diverso, tragico e disumano, io ho voluto ricordare il mio lontano incontro con la Siria, quando l’arte e la serena bellezza del paesaggio e delle persone si potevano scoprire in ogni dove, nei castelli edificati dai Crociati o dai Templari, nell’entroterra sparso di piccole città cristiane, nei villaggi arroccati alle montagne, nelle cittadelle arabe, nei grandiosi resti della dominazione romana…

...via allora a raccontare quel mio viaggio, ora ormai impossibile, ricco di scoperte e di poesia.

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La superba Damasco mi ha accolto come una vecchia aristocratica signora, un po’ in disordine, ma pronta a conquistarmi con le sue scoperte, con la sua vita pervasa, nonostante l’attrito, anche allora vivo, con Israele e una certa tensione politica, di ottimismo, magari forse, solo apparente.

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Con un piccolo gruppo al quale mi ero aggregata sono andata nella città vecchia e immediatamente siamo stati tutti sopraffatti dalle gigantografie che inneggiavano al “grande capo”… “Allah è grande, ma Sadat è il suo braccio destro!” dicevano in varie espressioni..

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...ma insieme ai soldati che occupavano la cittadella, i negozi del bazar erano aperti, colorati, la gente andava e veniva..

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...i ristoranti all’aperto con le loro tavole in legno minuscole, coperte di tela cerata, invitavano a sedersi, mentre intorno venivano rosolati polli allo spiedo, fritti pezzetti di carne su un vecchio fornello posto direttamente sul marciapiede, quasi sulla strada! Tutto veniva svolto all’esterno, tra la polvere e l’acre odore di kerosene.. qualche vecchio avvolto nella sua jallaba, con in mano il rosario, giocava addirittura a dadi!

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Ma se camminando nelle strette e disordinate viuzze, si alzava lo sguardo, ecco il passato… la vecchia Damasco rispuntava mitica, ancora circondata, per gran parte del suo perimetro, da bastioni più volte smantellati e poi ricostruiti, da vestigia incredibili come lo scheletro dell’antico, massiccio Tempio di Giove, edificio ancora in piedi, che mi ha lasciato senza fiato, anche se vedevo il cielo, al posto del soffitto...

...monumenti che ci parlavano di conquistatori, di mercanti che avevano fatto della Siria un paese crocevia, incredibilmente ricco e vivace.

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A circa cinquecento metri da tutto questo andirivieni di caos, abbiamo visto apparire la Moschea degli Omayyadi, quella che è stata definita “la prima grande opera di architettura dell’Islam”.. una vera e propria oasi di pace, arte e bellezza.

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La costruzione, eretta nell’VIII secolo, distrutta da un incendio il secolo scorso, è stata restaurata e tuttora era ancora, in parte in restauro.. ma l’impressione che ne ho ricavato è stata di grande meraviglia.

Anche la sua storia, a dir poco rocambolesca, mi ha affascinato : era stata edificata sulle fondamenta di una basilica cristiana che era stata, a sua volta, costruita su un tempio romano nel IV secolo e di cui abbiamo visto ancora le quattro torri d’angolo e tre porte.

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Bardata come una suora.. sono entrata insieme al piccolo gruppo, compagno di questo viaggio, nel cortile centrale della moschea, circondato su tre lati da portici.. il luogo aveva l’attrattiva romantica della decadenza, una decadenza sottile, un po’ sonnolenta, ma affascinante.

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I muri erano coperti di mosaici a fondo dorato e da intarsi di marmo, quasi completamente distrutti dall’incendio… sempre nel cortile alcuni grossi pilastri proteggevano dai ladri una piccola costruzione ottagonale, sormontata da una cupola, un tempo prezioso forziere del tesoro pubblico!

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Nei paraggi della moschea altri palazzi erano degni di attenzione.. ricordo, per esempio il fascino elegante del palazzo Al-Azem , abitato dal governatore di Damasco, con l’ombroso cortile lastricato in marmo e contornato da archi di pietre policrome, con i suoi giardini, le sue fontane.. una vera e propria dimora principesca.

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A sud del fiume Barada che attraversava Damasco abbiamo ammirato quella che per me era la più bella moschea, in stile ottomano, la Takiyyeh-as-Sulaymaniyyeh che, ci hanno detto, risaliva addirittura al ‘500.. delimitata da due sottili minareti, la sua particolarità consisteva nell’avere una raffinata decorazione di pietre bianche e nere.

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Come sempre quando entro in un luogo di preghiera, avverto che la fede è un importante filo che ci lega alla vita, in uno spazio senza tempo… anche questa volta, pur non condividendo il credo musulmano, ho avvertito l’importanza della speranza proprio nella preghiera, e in quell’inchinarsi rituale con il corpo rivolto alla Mecca, ho avvertito la necessità, per quel popolo, di avere fiducia in qualcosa che non li potesse sempre deludere…

...e chi meglio di Allah con la sua promessa di felice eternità, li avrebbe potuti ascoltare?

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Il giorno dopo abbiamo iniziato il tour spingendoci dapprima nei dintorni suggestivi della città e precisamente nel villaggio cristiano di Maalula, appartenente alla chiesa cattolica greca, suggestivo con le sue case cubiche tinteggiate di giallo, azzurro, violetto, nella pittoresca posizione arroccata alla falesia. Scorgevo qua e là anche delle scale, dei passaggi attraverso le terrazze, al posto dei tetti, che mettevano in comunicazione una casa con l’altra.. sembrava di essere in una casbah!

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Maalula, si trovava ad un’altitudine di circa 1500 metri e lo si avvertiva dall’aria più fresca e leggera, in una regione abbastanza fertile, racchiusa tra due catene montuose.. in aramaico il suo nome significava “ingresso” e la singolarità del villaggio era data dal fatto che la popolazione parlava ancora abitualmente la lingua di Gesù Cristo.

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Dopo aver camminato per il paese ci siamo diretti attraverso una stretta gola ciottolosa e impervia verso il monastero di Santa Tecla, una costruzione che testimoniava la vitalità del cristianesimo orientale.

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Lungo il percorso, scavato nella roccia, siamo venuti a conoscenza della storia di quella santa: seguace di san Paolo, perseguitata dai soldati romani, Tecla aveva trovato rifugio tra quelle aride montagne che, al suo passaggio, si erano spaccate in due, sbarrando la strada ai suoi persecutori.. il sentiero che stavamo percorrendo era proprio quello che, secondo la leggenda, aveva imboccato la santa.

Essa si era poi rifugiata in una grotta e vi aveva trascorso il resto della sua vita in preghiera e meditazione.

La grotta, meta di pellegrinaggio, aveva una caratteristica particolare: dal soffitto gocciolava in continuazione dell’acqua, ritenuta miracolosa perché, proprio in quel punto, la santa si era dissetata!

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Altri suggestivi villaggi sorgevano nei dintorni di Damasco, ma la nostra successiva meta era il Krak dei Cavalieri, la meglio conservata e la più imponente delle fortezze che i crociati edificarono in Asia Minore.

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Devo dire che quando mi sono trovata davanti a quella imponente costruzione, una tra le più formidabili opere difensive del Medio Evo, senza dubbio la più imponente tra tutti gli edifici militari dell’epoca, sono rimasta sbalordita per la sua eleganza e nello stesso tempo per la sua potenza, il suo vigoroso equilibrio e la solidità..

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Dopo sette secoli di abbandono il Krak (probabilmente dall’aramaico Karkha che significava “città fortificata”), si presentava esattamente come era stato edificato dai crociati. La fortezza si componeva di due cinte murarie separate da un largo fossato, alimentato da un acquedotto, un tempo riempito totalmente d’acqua..

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Siamo entrati attraverso un vestibolo a volta e, dopo la prima cinta muraria, abbiamo visto da vicino le torri che racchiudevano sale inespugnabili..

...sul portale del castello stava incisa in latino la severa frase: “Se ti sono date fortuna, sapienza e bellezza, tutte le contamina la superbia, se le accompagna..” e poi siamo arrivati al centro della fortezza vera e propria.

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Nel piccolo cortile coperto ormai di erba, ci siamo guardati intorno ed abbiamo notato la grande sala dei banchetti o dei ricevimenti dei cavalieri, le cui volte poggiavano su pilastri, colonnine, mensole scolpite a fogliame e figure fantastiche.. e poi c’era la cappella.

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In tutti i luoghi ricchi di storia la memoria richiama alla mente un passato studiato sui banchi di scuola, e nel mio caso, insegnato anno dopo anno… eppure, come era diverso trovarsi davanti a quello spazio deserto, silenzioso, coperto di erbacce, di sassi, con i muri sgretolati dal tempo.. e cercare di ricostruire le emozioni, i conflitti, le rivalità di tanti uomini noti e meno noti, coraggiosi e meno coraggiosi, di molti, avidi solo di ricchezza e di potere… come era diverso rivivere e ricostruire ciò che la storia ci aveva tramandato!

La memoria diventava un “vissuto” perché aveva la possibilità di far rivivere, con l’immaginazione, una molteplicità di segreti custoditi con cura!

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Lasciato il castello dei crociati ci siamo spostati a Ugarit, la collina artificiale sotto la quale si nascondeva l'antica capitale siro-fenicia, passata inosservata fino agli inizi del Novecento. Qualche sporadico ritrovamento fatto dai contadini del luogo era infatti finito sul mercato clandestino, ma solo nel 1928, arando, fu scoperto l'ingresso a una tomba con numerosi reperti di ceramica micenea del XIV-XIII secolo a.C.

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Abbiamo esplorato la zona archeologica nella quale spiccavano i resti degli edifici a uso del sovrano e della sua corte risalenti al 1400 a.C…. il Palazzo Reale comprendeva un centinaio di stanze e le fonti scritte parlavano di residenze di grandissima magnificenza, degli scribi e dei sacerdoti.

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Un po' ovunque, sparsi sia nell'area del palazzo sia in quella urbana, si incontravano anche notevoli tombe in pietra perfettamente squadrate conservate in ottimo stato. Ci hanno detto che proprio in questa zona sono state trovate tavolette di argilla con iscrizioni.. che potevano rappresentare il primo alfabeto conosciuto!

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Un altro gioiello mi è apparso il monastero in stile bizantino di san Simeone lo Stilita… nel 412 il santo si stabilì su un’altura che dominava una vasta piana coltivata fino ai confini del deserto, e visse in meditazione, appollaiato sopra una colonna alta una quindicina di metri.

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La basilica fu poi edificata dopo la sua morte, verso la fine del V secolo dai suoi discepoli, proprio vicino alla colonna.

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Un battistero, un’altra chiesa e gli edifici del monastero completavano un insieme che mi è apparso un capolavoro, non solo dell’arte pre-islamica siriana, ma dell’arte cristiana di ogni tempo e di ogni luogo.

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Tutto era suggestivo, l’unica ad essere mal conservata era proprio la famosa colonna del santo eremita, quella su cui stava appollaiato… dopo la sua morte i fedeli l’avevano in parte sgretolata, per farne delle reliquie da portare via e dislocare nelle varie chiese!

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Nel cuore poi di un paesaggio mediterraneo, racchiuso da una cerchia di contrafforti montagnosi, in una regione tra le più ricche e tradizionali della Siria, siamo poi arrivati ad Aleppo. La città, pur carica di un passato millenario era, per importanza la seconda del paese… a soli 60 Km dal confine turco, era stata infatti un luogo di passaggio obbligato tra i “popoli del mare”, i Fenici, e i mercanti della Mesopotamia.

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Mi è apparsa una città estesa a dismisura, che mescolava il moderno all’antico in maniera quasi omogenea.. in pieno centro, per esempio, sorgeva l’enorme massa della Cittadella, decisamente imponente tale da dominare, con la forza delle sue mura, tutta la zona circostante, era giudicata una delle più belle costruzioni dell’architettura militare araba.

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La Cittadella, ci ha detto la guida, era stata edificata su fondamenta dell’epoca ittita o forse seleucida, non si era ben sicuri… fu comunque, nel XII secolo, per molto tempo, la residenza del Saladino, a cui il padre aveva affidato la reggenza della Siria (si possono vedere i resti del palazzo reale!).

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Un’ampia e ben conservata scalinata ci ha portato, dalla base, prima ad un superbo castello medioevale, con tanto di ponte levatoio ad otto arcate e due enorme torri… e poi abbiamo proseguito attraverso un corridoio che formava vari gomiti, sbarrato più volte da bei portali, fino ad una moschea, chiamata “Moschea di Abramo”.

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Ma la Cittadella di Aleppo non comprendeva solo un insieme monumentale di palazzi, cinte murarie e castelli, attraverso le sue stradine più interne pullulava la vita dei mercati, gremiti di folla formicolante che si accalcava attorno ai negozietti di artigiani che lavoravano secondo procedimenti immutati nei secoli. Il turismo di massa non aveva ancora trasformato quel luogo in un bazar folcloristico!

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Molti muri della cinta racchiudevano anche caravanserragli dalle eleganti proporzioni, ingombri però di baracche dove regnava il disordine più incredibile. E poi abbiamo visto una piccola moschea delicata e direi quasi deliziosa e un’altra molto più grande dove si riteneva fosse conservata la testa di Zaccaria, il padre di san Giovanni Battista, una moschea imponente con un antico, quadrato minareto che raggiungeva i 30 metri di altezza!

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In questo luogo mi è venuto in mente lord Byron, l’eroe romantico dell’800 quando descriveva in modo pittoresco, l’ambiente siriano nella sua opera “La via per l’Oxiana”… ricordo che diceva: “L’oriente nella sua antica confusione… è l’alba, la gente, svegliata dagli acuti ultraterreni dei muezzin, sul piccolo minareto qui di fronte, e da altri che gli fanno eco da punti lontani, comincia a muoversi. Fra non molto riprenderà il clamore dei venditori e il calpestio degli zoccoli degli animali…”

Aleppo ora era cambiata.. molte guerre avevano distrutto ciò che la civiltà aveva costruito, i popoli arabi avevano acquisito nuove abitudini, gli zoccoli dei cavalli non si sentivano più, avevano ceduto il passo al rombo dei motori ed ai colpi dei tubi di scappamento… ma il muezzin si sentiva ancora e lanciava il suo richiamo di preghiera al vento perché si propagasse su tutta la città e da un minareto si estendeva ad altri minareti.. era ancora suggestivo!

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Dopo tanta poesia ci siamo catapultati nel suk che attraversava la città per ben 15 Km… che meraviglia, che vita, che aromi di spezie, che folla di gente!

Gli asini sfilavano tranquilli accanto alle auto, un misto di moderno e arcaico, di presente e di passato che riusciva a convivere fianco a fianco.

Il luogo era coperto, buio, un altro mondo.. tanto che camminando tra le bancarelle ed i negozi, ci si sentiva quasi inghiottiti..

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...avvertivo gli odori, ero frastornata dalle grida dei venditori, peraltro dignitosi e poco insistenti..

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Arrivati poi ad Hama, dove ci siamo fermati per la notte, ci aspettava una simpatica scoperta.. le Norie, di cui io non avevo mai sentito parlare. Erano praticamente delle pittoresche ruote idrauliche in legno che attingevano l’acqua del fiume Oronte per bagnare giardini e frutteti. Esse cullavano la città di Hama col loro monotono, regolare, quasi armonioso cigolio.

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Il giorno dopo ci aspettava la visita di Apamea, un luogo fuori dal tempo, dove gli abitanti vivevano in mezzo alle colonne dell’antica città romana, le cui rovine, ancora abbastanza conservate, si estendevano per più di 6 Km.

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Sotto un cielo grigio, dove il capriccioso e poco benevolo Giove Pluvio, mandandoci una fitta pioggerellina, aveva avuto voglia di divertirsi alle nostre spalle, abbiamo ammirato il cardo romano del II secolo, fiancheggiato dalle possenti colonne, lasciandoci trasportare dalla suggestione.

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Vedendo quel tracciato e la larghezza delle antiche strade, il taglio raffinato delle colonne, alte maestose, svettanti in quel cielo cupo che incuteva timore, la finezza delle sculture, dei capitelli.. il gigantesco teatro di cui solo una parte era stata liberata.. potevamo immaginare un passato che non c’era più e la bellezza dell’antica Apamea!

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Diario di Viaggio in SiriaAlla scoperta di gioielli perduti nel vuoto di una regione desertica

Ad arricchimento della preziosità del luogo, ci hanno detto che, durante gli scavi, erano stati rinvenuti anche preziosi mosaici… purtroppo alcuni tratti dei portici che fiancheggiavano il lungo e spettacolare viale, furono distrutti da un terremoto.. solo una parte delle colonne è stata rimessa in piedi, tale e quale come era un tempo!

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Abbiamo lasciato questo luogo con un certo rammarico.. se era bellissimo sotto la pioggia, chissà come lo sarebbe stato con le colonne e gli antichi resti illuminati dal sole!

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Sempre con un tempo inclemente e una fitta pioggia che ci stava avvolgendo interamente nel suo umido abbraccio, siamo scesi dal pullman per andare a visitare gli scavi di Ebla. Il terreno impregnato di fanghiglia scivolosa impediva il nostro procedere.. come potevamo scendere scalini scivolosi, attraversare gli splendidi gioielli delle tombe della necropoli reale senza scivolare nella melma?

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Armati di buona volontà, abbiamo seguito la nostra guida italiana che aveva lavorato proprio in questi scavi, condotti dall’Università di Roma “La Sapienza” e siamo arrivati al famoso Palazzo Reale G, con il suo portale monumentale.. qui erano stati trovati testi di eccezionale suggestione, come il più antico trattato politico e i vocabolari bilingui sumerico-eblaita, ricchi di oltre 1500 parole!

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Ebla fu distrutta più volte e più volte ricostruita, ma la sua scoperta ha fatto capire al mondo intero che la città, con i suoi antichi templi, i suoi palazzi, le sue mura e le sue porte era stata uno dei più impressionanti centri urbani di tutto l’Oriente antico. Ci hanno anche detto che gli scavi italiani continuavano ogni anno con ininterrotti successi, rinvenendo manufatti degni dell’epoca faraonica.

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Noi però eravamo gelati, infangati, ruderi, in totale disarmo, per cui tra vari starnuti, siamo saliti in pullman, non abbiamo fatto altre soste nei dintorni, ma ci siamo diretti verso un’altra meta storica, Palmira! Durante il percorso sentivamo il vento soffiare con forza.. lo sguardo non aveva confini, stavamo attraversando un paesaggio fantastico, km e km di desolazione sterminata, ondulata, scolorita in un grigio avorio. Le colline morenti sembravano fatte di rocce già morte.. i rilievi più alti erano contraddistinti da scure orbite di caverne.. con quel tempo infernale tutto sembrava andare in rovina.

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Poi come per magia, arrivati a Palmira, il cielo si è aperto ed il sole ha iniziato a riscaldare le nostre membra ed i nostri cuori!

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È con entusiasmo che il giorno dopo abbiamo iniziato la scoperta del luogo, solitario gioiello nel deserto che avanzava, un’oasi circondata da mura edificate da Giustiniano, centro della fantastica storia della regina Zenobia.

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Quell’energica vedova (di cui parlo diffusamente nelle “Destinazioni” di questo sito), è stata un vero capo militare e da Palmira aveva lanciato i suoi eserciti alla conquista dell’Egitto e di buona parte dell’Asia Minore.

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Ella aveva trasformato la città in una favolosa metropoli, nella più grande capitale dell’Oriente.. poi aveva osato troppo, non si poteva sfidare impunemente Roma, dichiarando il proprio figlio Augusto.. e quindi Aureliano nel 272, la sconfisse, la condusse schiava a Roma, dove riuscì a finire in pace i suoi giorni. La leggenda racconta però che dovette attraversare la città incatenata al carro del vincitore!

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In una giornata pur fresca, ma intrisa di sole tanto che la sua luce sembrava danzare sui ruderi delle colonne, degli archi, dei palazzi.. Palmira ci è apparsa come una visione.. in lontananza si stagliava il castello arabo, appollaiato su un picco dalla larga base gessosa che sembrava controllare e abbracciare tutto il deserto che si estendeva.. senza fine intorno!

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Ai piedi di quella arida collina si estendeva una necropoli, arida sassosa.. e tutti quei monumenti funebri, testimonianza del culto dei morti secondo la tradizione assira, ci facevano capire il grado di civiltà di un popolo che credeva nell’aldilà e dava un’importanza primaria alle cosiddette “Case d’eternità”.

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C’erano tombe di vario tipo, le più antiche del I secolo d.C. erano le tombe-torri, tra cui la più nota era quella a quattro piani di Elahbel, con il primo piano ornato da pilastri scanalati con capitelli corinzi.. sulla parete erano visibili i busti delle varie famiglie sepolte..

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Poi nel II secolo cominciarono a costruire gli ipogei, sotterranei e quello più famoso, che abbiamo visitato, era chiamato “dei Tre Fratelli”.. si accedeva attraverso una scala in pietra e sulla porta d’ingresso erano incise le iscrizioni con i nomi appunto dei tre fratelli costruttori della tomba.

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Infine le meglio conservate erano le tombe-case del III secolo che avevano la forma di piccole case con davanti un portico a colonnato.

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Ma la bellezza di Palmira stava nel suo insieme, una città costruita perché serviva da avamposto sia rispetto all’Oriente, sia rispetto all’Occidente… le carovane provenienti dal Golfo Persico, dall’India, dalla Cina, cariche di seta, di incenso, di spezie e aromi, vi facevano sosta.

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Dalla parte opposta arrivavano i commercianti di Palmira, pronti ad acquistare, che estendevano poi il proprio raggio d’azione fino al Nilo portando anche le lane della Fenicia, i profumi, il pesce salato del Mediterraneo. Artisti ed eruditi prosperarono facendo di Palmira un centro non solo commerciale, ma anche culturale..

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A Palmira c’erano due aree sacre, una occidentale con il Santuario di Allat e una orientale con il Santuario di Bel. Allat era la dea per antonomasia, cara ai nomadi arabi, da ricondurre pressappoco all’Atena romana con elmo ed egida. Bel era invece il dio babilonese Baal, facilmente assimilabile a Zeus.

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Dei due santuari l’unico edificio che ancora restava in piedi era proprio quello di Bel, un tempio dalle proporzioni veramente grandiose..

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Ho ammirato con stupore la ricostruzione grafica con una struttura che avrebbe dovuto imitare gli antichi templi classici della Mesopotamia …

...e poi ho posato gli occhi su ciò che era sopravvissuto al tempo, era tutto ugualmente grandioso e carico di energia..

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Vedevo una grande corte chiusa da un muro centrale. L’ingresso attuale era arricchito da una fila di colonne corinzie, un tempo ricoperte di bronzo dorato.. ma il tempio dominava soprattutto per il triplo arco monumentale…come tutto passava, la gloria, la fama, la potenza di un popolo!

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Ricostruendo il passato ho ascoltato i racconti della guida e la mia fervida immaginazione si è proiettata ai tempi di Zenobia quando in aprile venivano celebrate le feste in onore di Bel.

Da tutto il territorio arrivavano migliaia di fedeli e dove ora erano sparse colonne spezzate e sassi, pullulavano migliaia di pellegrini che, secondo la loro disponibilità, portavano animali da far sacrificare al dio, nelle le varie cerimonie.

Per sette giorni gli animali venivano fatti entrare nel tempio attraverso passaggi sotterranei e per sette volte erano fatti transitare sotto la cella del tempio dove stava la statua del dio. Al settimo giorno venivano portati all’altare, sacrificati ed il loro calvario aveva fine.

Il loro sangue poi veniva raccolto ed offerto a Bel, mentre l’enorme quantità di carne, era macellata e quindi divisa tra i sacerdoti del tempio, i fedeli e i poveri.. tutta questa suddivisione veniva regolarmente annotata e trascritta su tavolette di terracotta, trovate in prossimità della sala dei banchetti ufficiali.

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Mi è parsa molto suggestiva anche la strada colonnata costruita in epoca romana, che come un decumano, attraversava tutta la città, partendo dal tempio di Bel fino alla porta trionfale d’ingresso della città..

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...non era totalmente lastricata perché doveva permettere il passaggio ai cammelli e non aveva neppure un andamento rettilineo in quanto doveva evitare edifici già preesistenti, come il teatro e l’agorà…

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Doveva essere uno spettacolo grandioso… con il tetrapilo, punto d'incontro delle varie strade... le mensole poi che sporgevano a metà altezza dai fusti del grande colonnato, servivano da supporto a statue di notabili… di tutti questi monumenti uno solo era stato ritrovato!

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Anche il teatro mi ha favorevolmente impressionato con una scena fastosa, anche se un po’ mutilata, che rappresentava la facciata di un palazzo...

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Solo un terzo delle gradinate della cavea erano originali, eppure guardando quell’insieme e cercando di ricostruire la struttura potevo avere, anche qui, un’idea del fasto originale.

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Ho ripensato allora agli artisti, agli architetti che avevano contribuito alla bellezza ed al fasto di Palmira.. in un panorama di tanta distruzione forse i loro sogni erano svaniti in un percorso senza luce? Non lo credevo proprio, e il fatto stesso che io e i miei compagni, ci guardassimo intorno affascinati da tanta bellezza, nascosta dall’inesorabile passare degli anni, sepolta dalla terra, dall’incuria, dalla sabbia che voleva inghiottire ogni cosa, e apprezzassimo quella grandiosità… voleva dire che, in fondo, stavamo facendo rivivere anche loro e li rendevamo, in questo modo, immortali!

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A questo punto non si poteva non andare anche a visitare il castello arabo che vedevamo in lontananza spuntare da ogni scorcio..

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...abbiamo allora noleggiato un pulmino e attraverso uno stretto e tortuoso sentiero siamo arrivati fino alla porta d’ingresso dove un gentile guardiano ci ha concesso di esplorare liberamente in lungo ed il largo il luogo.

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La vista panoramica dall’alto di Palmira, dell’oasi che si andava restringendo, del deserto che invece stava avanzando inesorabile, del pendio ricoperto di pietrisco e poi dei resti storici che avevamo appena visitato… tutto era superlativo, ci sentivamo padroni di quel castello ridotto a rudere.. stavamo facendo rivivere la vita in quello scenario antico!

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Abbiamo così scoperto anfratti sotto le volte, passaggi segreti che dopo tortuosi corridoi ci riportavano sul terrazzo principale dal quale non ci stancavamo di ammirare la città ai nostri piedi indicando lo splendido teatro, l’agorà ornata un tempo da cento statue in bronzo, la strada fiancheggiata da meravigliose colonne e proprio in fondo il tempio di Bel… ripassavamo come scolari tutto ciò che avevamo visitato in precedenza e ci divertivamo ad indicare qualche scorcio che ci era sfuggito…

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Ma il tempo era tiranno ed abbiamo dovuto riprendere il viaggio di ritorno a Damasco, ma prima di trovare il sano riposo in hotel siamo andati a vedere la chiesa di Anania, la prima chiesa della storia, il luogo dove si era rifugiato san Paolo, dove Anania, un damasceno di stirpe ebraica, lo aveva curato e poi battezzato. Era una grotta sotterranea molto caratteristica.. trasformata poi in “chiesa della Croce”...

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...e proprio in questo luogo abbiamo avuto la fortuna di ascoltare il canto dolcissimo di alcuni fedeli francesi.. la musica volava nel piccolo spazio, accarezzava le statue, le immagini.. le persone stesse in totale raccoglimento, creando un’atmosfera di profonda religiosità, di sublime e mistica partecipazione.. è stata un’esperienza bellissima!

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E vicino alla chiesa di Anania, all'interno della porta di Bab Kisan, veniva conservata la memoria della fuga di San Paolo dalle mura della città, nascosto in una cesta, per sfuggire ai legionari romani.

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A completamento di questo viaggio superlativo, il giorno dopo ci siamo spinti fino a Bosra, una città vicino alla frontiera giordana che nell’immaginario del mondo arabo, ancora pagano o superficialmente cristianizzato, era il simbolo dell’eleganza e dello splendore. La sua scoperta mi ha lasciato stupita perché le rovine di questa città vivevano ancora in mezzo alla case abitate, ai negozi dove si chiacchierava e alle terrazze dove si sorseggiava il tè alla menta o il caffè!

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Ci siamo aggirati tra le stradine strette non asfaltate e le casette basse costruite attorno ai cimeli storici, sfruttando addirittura le antiche pietre delle rovine.. dove abitavano strani personaggi che non riuscivo bene a definire: appartenevano forse al passato e stavamo tornando indietro in una dimensione di sogno?

Ci hanno poi detto che è stato permesso alla popolazione di Bosra di continuare la propria vita in modo stranamente simile a quella che viveva in passato.

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La città mi è piaciuta molto.. i segni della sua bellezza e grandezza non erano stati cancellati anche se i pezzi delle antiche colonne gridavano la loro delusione per essere abbandonati per terra, sparsi qua e là.. ho camminato calpestando le grandi pietre del lastricato...

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...e mi sono trovata di fronte, come per magia, il grande teatro romano, racchiuso all’interno di una specie di fortezza, come un tesoro conservato in uno scrigno. Questa trasformazione in fortezza, avvenuta nel secolo XIII ad opera del sultano al-Adil, ha protetto il teatro dal degrado provocato sia dal tempo che dall’uomo, fino ad arrivare a noi.. per questo il teatro di Bosra è ritenuto il meglio conservato tra i teatri romani.

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Per dare qualche notizia, la cavea di questo teatro aveva un diametro di 107 metri con ben 6000 posti disposti in 37 file divise in tre ordini e 5 settori, inoltre altri 2500 spettatori potevano prendere posto, in piedi, nella galleria che chiudeva il retro del teatro, attualmente coperta dalle fortificazioni arabe.

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Il frons scaenae, mi ha colpito immediatamente, anche se mi è apparso un po’ incompleto mancando ben due piani di colonne…

...inoltre il clima piacevole ed il caldo sole hanno allietato il mio sali scendi sui gradini alla scoperta di scorci, di angoli particolari.. i miei occhi spaziavano entusiasti, mai sazi di vedere, mi trovavo in un vero e proprio museo all’aperto..

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...lasciato il teatro altre scoperte ci aspettavano.. un arco nabateo del I secolo d. C....

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...una strada colonnata, certamente un decumano, magazzini e mercati sotterranei, le terme, i resti di un tempio e soprattutto una cattedrale cristiana con interessanti ornamenti pittorici al suo interno, per esempio.. un cammello.. Questo elemento iconografico era la prova evidente della pacifica convivenza, in quel felice passato, di musulmani e cristiani… come cambiano gli uomini!

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Il mio viaggio attraverso la Siria si era concluso, l’ho rivissuto in un tempo che ritenevo di pace e.. magari era solo una pace apparente.

Ora quel mondo, quei posti magici che ho avuto la fortuna di visitare, che mi hanno impressionato ed anche emozionato, si stanno disintegrando… le immagini di una popolazione che soffre con i visi coperti di sangue per le esplosioni, le immagini dei carri armati, dei soldati che sparano sui civili, ci vengono offerti continuamente dalla televisione.

Le notizie di una Siria che soffre, che ha perduto la propria dignità umana, sono all’ordine del giorno… le pietre non parlano più del grande passato glorioso, ma lanciano solo grida di dolore, di sofferenza per un futuro veramente incerto.

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Viaggiare è tanto bello, ma ricordare alcuni luoghi, ora abbandonati ad un inclemente destino, per colpa proprio degli uomini, e rendersi conto che non saranno più gli stessi, è veramente molto triste! Addio vecchia Siria!