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n° 03 - La vita possibile tra salute e malattia
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Associazione Demetra, via Cavini 7/f - 31100 Treviso tel. 0422 401853
Associazione Il Labirinto, via Meneghini 3 - 33077 Sacile (PN) tel. 348 3578 838
Copia ad uso esclusivo dei soci dell’associazione Stampato in proprio: via Cavini 7/f - 31100 Treviso
Centro Studi
Psicosomatica
DEMETRA ISTANTI DI LUCE
Per una integrazione psicosomatica
n. 03 Novembre 2013
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SOMMARIO
2 EDITORIALE
Anna Villa
6 LA VISIONE PSICOSOMATICA Acuisci lo sguardo e il nodo diventa rete
Valter Carniello
13 UNA NUOVA DISCIPLINA: L’ECOBIOPSICOLOGIA
Nel profondo le radici della cura Susanna Rubatto
18 LE VERITÀ DEL CORPO
La vita in gioco
Anna Villa
25 LA PAROLA A… La vita in gioco del Dott. Edward Bach
Alessia Vedelago
30 NOTE BIOGRAFICHE
31 DEMETRA NEWS
DEMETRA ISTANTI DI LUCE Per una integrazione psicosomatica.
LA VITA POSSIBILE TRA SALUTE E MALATTIA n. 3 Novembre 2013
Responsabile editoriale: Valter Carniello
Gruppo di Redazione: Anna Villa, Susanna Rubatto, Cristina Paladin
DEMETRA ASSOCIAZIONE CULTURALE Via Cavini n° 7/F - 31100 Treviso Tel. 0422 401853
email: [email protected] - www.convegnodemetra.it
Copia ad uso esclusivo dei soci dell’Associazione.
Stampato in proprio: via Cavini 7/f - 31100 Treviso
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EDITORIALE
Anna Villa - Presidente Associazione Demetra
Nei passaggi stagionali ciascuno è mobilitato ad affrontare dei
cambiamenti e degli assestamenti successivi, per quanto lievi, accettati
o subiti in quanto ritenuti necessari nella nostra percezione del tempo
che scorre, almeno in questa parte del mondo e in questo emisfero.
Attualmente ci si ritrova a far fronte a uno di questi passaggi mentre
veniamo traghettati nell’opposto, dal calore e vivacità estive alle
restrizioni delle stagioni fredde e buie. Tutto ciò senza risparmiare
ricadute psicologiche, emotive e fisiche, che ritardano o favoriscono
l’entrare in questa nuova fase, segnata appunto da una nuova stagione.
Come ben raccontato e argomentato nell’articolo di Carniello, l’umore ne
risente, il grigiore e il tempo uggioso di questi giorni recenti non hanno
fatto altro che sottolineare tristezza, stanchezza, bisogno di dormire,
raffreddamenti e malesseri, una sostanziale tendenza depressiva
nell’arrancare per affrontare il quotidiano.
L’estate è stata la stagione dell’Estroversione, della natura volta a dare i
suoi frutti, cioè di essere tutti come la natura proiettati all‘esterno,
mentre l’autunno si pone come annuncio di Introversione, di cedimento,
a conclusione di progetti realizzati (i frutti) e l’avvio della fase di
quiescenza che prepara la caducità delle cose e il successivo
rinnovamento.
Psicologicamente, sia a livello personale sia collettivo, non si è mai del
tutto preparati a questa fase di ridimensionamento delle attività, fase di
stallo apparente, di quiete e di sedimentazione, che offre la
preparazione adeguata per l’incontro con altre forze vitali, più nascoste
e silenti, spesso dormienti dentro di noi. Per le nostre caratteristiche di
popolazioni occidentali ci è molto più facile vivere di esperienze di sole,
di incontri, di sfide che portano a scalare le montagne. L’introversione si
presenta invece come l’essere pericolosamente vicini al mondo
dell’ignoto, delle ombre, delle paure e delle incertezze. Nel nostro
mondo occidentale l’anno sociale prende il via con l’inizio dell’autunno,
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forzandoci a uscire dalle nostre case calde e confortevoli, per condurci
ad attivare la nostra psiche più che i nostri muscoli. La nostra psiche ha
bisogno di ritrovarsi, di essere incontrata nei suoi aspetti più nascosti,
ma più ricchi.
Secondo Jung, due sono gli orientamenti della coscienza, l’introversione,
che opera in verticale e porta all’attenzione del proprio mondo interiore,
e l’estroversione, che si orienta in direzione orizzontale e mette al centro
l’interesse per il mondo fuori di noi.
Secondo molti autori e studiosi del mondo del profondo, la nostra civiltà
è in una dimensione di grande sbilanciamento, è orientata verso
l’estroversione e tende a mantenerla viva quasi costantemente, a
detrimento dell’introversione, con dei forti pregiudizi verso di essa, fino
ad assumere tratti di svalutazione verso questo polo opposto.
L’unilateralità che si produce in questo modo dà certezze, ma rende
arroganti, rende incapaci di spaziare, di cercare e trovare altrove
risposte altrettanto rassicuranti, si diventa intolleranti e la vita si
appiattisce.
Tutto ciò si riattiva, centuplicando gli effetti e le difficoltà,
all’approssimarsi delle stagioni umide e fredde con il loro tacito invito a
chiuderci, coprirci, ridurre le uscite. Le resistenze nell’accedere a questa
fase, ripropongono l’incapacità e l’intolleranza verso lo sguardo e
l’attenzione a sé, al nostro mondo interno, ai nostri bisogni, desideri,
affetti. A conferma che le nostre più grandi tensioni riguardano la
capacità di avere uno sguardo alla realtà attraverso quella che Jung
chiama la Funzione Sentimento.
Jung afferma che la coscienza personale si organizza tramite quattro
Funzioni, modi parziali di funzionamento che consentono la gestione
della vita: Pensiero, Sentimento, Intuizione, Sensazione. Tra queste, la
funzione Sentimento è caratterizzata da un modo di operare che
permette di conoscere attraverso la relazione, di considerare la realtà
esterna secondo dei valori, piacevole o spiacevole, adeguata o non
adeguata, dolorosa o non dolorosa. È un modo di pensare con il cuore,
secondo il valore del cuore e non di quello economico. Nella nostra
cultura questa è la funzione meno frequentata, meno compresa, spesso
rimossa. Si presta a essere sottovalutata e confusa con il
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sentimentalismo attribuito, a torto o a ragione, alle donne e che
imperversa nello sbandierare emozioni e sentimenti spesso portati
all’esasperazione.
Orientarsi all’Introversione e prendersi cura di un diverso modo di
“leggere” la vita, porta dei benefici e apre al mondo del profondo
rivelando, se si sarà attenti e pazienti, dei mondi segreti, delle
sensazioni di vita autentica, dei modi di essere originali, capaci non solo
di segnalare i problemi, ma anche di rivelare la cura e condurre alla
guarigione. Come possiamo leggere negli articoli di Rubatto e della
sottoscritta, spesso i sintomi di disagio e malattia costringono a
occuparsi del proprio sentire e ad attivare la funzione Sentimento che
aiuti a com-prendere (prendere-con) quanto alberga nel profondo,
capirne le ragioni e i bisogni e orientarli alla soluzione più adeguata e più
armonica. Malattia e guarigione sono aspetti dello stesso continuum nel
quale si esprime la vita, a ciascuno la scelta della vita possibile.
Il contributo di Vedelago sulla vita di E. Bach, lo scopritore e ideatore
della terapia con i Fiori di Bach, mette in risalto come la vita stessa
possa essere vissuta non tanto per realizzare all’esterno carriera e
potere, quanto per dare voce a quelle spinte profonde che vogliono
concretizzare impegno e ricerca per la scoperta di qualcosa che possa
far bene all’umanità.
Tornando alle nostre stagioni, autunnale e invernale, possiamo
riconoscere l’opportunità che ci offrono di un tempo più lento, di ritmi
dettati da esigenze di maggior riposo, di quiete senza il timore di essere
depressi e di silenzio. Il prof. Burgos, in un recente Seminario tenuto a
Treviso per il GITIM, afferma che il silenzio non è assenza di rumori o di
parole, il silenzio è una piena presenza, immediata apertura a tutti i
“possibili”, non è vuoto che spaventa e da cui scappare, è una pienezza
ricca di ogni futura creazione. Silenzio nel suo significato di silere,
rimanere silenziosi, di tranquillità ottenuta. Silenzio della natura, della
notte, del mare calmo, dei venti leggeri. Il Sile, fiume trevigiano – il
Silente – che accompagna la vita di questa cittadina piena di corsi
d’acqua e piena d’anima, ci invita con la sua sola presenza al silenzio, al
silere. Il silere che designa la venuta delle cose che ancora non c’erano,
ma che stanno per nascere, come il germoglio che sta per sbocciare o
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l’uovo che sta per schiudersi, tutto in attesa di qualcosa.
Il ruolo del silenzio è fare spazio in se stessi, questo è anche l’invito
delle stagioni fredde e umide: lasciare tutto il posto a un mondo
veramente nuovo. Per riuscire in questo intento abbiamo bisogno di
imparare, di fare esperienza, di scoprire che nel silenzio non c’è vuoto,
ma preludio di quanto può nascere, quindi, di vita nuova. Abbiamo
bisogno di educarci, di lasciare spazio alle immagini che si creano in
questi frangenti, di non temere le immagini dei nostri sogni notturni, di
soggiornare in compagnia di esse e aspettare che rivelino i loro
contenuti. Per scoprire che educarci al silenzio è educarci al sentimento,
alla funzione dell’ascolto e della scoperta del valore delle cose. Nel
silenzio troveremo l’equilibrio di corpo, mente e anima, magari anche la
paura, ma senza avere paura di provarla.
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Il filo conduttore di questo articolo ci accompagnerà, come
nell’intento di quelli precedenti, a ritrovare la “psicologia del benessere”.
Per questo motivo continueremo nel mostrare alcuni dei collegamenti con la
rete della vita di cui facciamo parte. Connessioni che affronteranno sia
alcuni nostri stili di vita, sia il nostro modo di leggere gli avvenimenti
corporei o sociali, che evidenzieranno sia il rapporto uomo-natura, sia la
correlazione tra la nostra partecipazione attiva o passiva a ciò che ci accade.
Tutto ciò per cogliere le relazioni che sottolineeranno non solo l’oggettività
degli eventi, ma anche l’aspetto simbolico o ecologico delle soluzioni
possibili.
La stagione invernale è alle porte e con
l’inverno le malattie e i disturbi tipici del periodo.
La domanda che potremmo farci (o che viene
sollecitata a noi psicosomatisti anche dai nostri
lettori) è: come ci dobbiamo comportare? Meglio
i farmaci, che con la loro molecola (figlia della
ricerca scientifica) sono più incisivi e rapidi o
meglio i trattamenti alternativi che, con i loro
ritmi più naturali e la loro sapienza antica,
possono essere in sintonia con ognuna delle
nostre singole specificità? È necessario
evidenziare come, senza una “appropriata
psicologia” del rapporto con la natura, è inutile chiedere alle erbe di dare ciò
che non possono dare, per non stabilire un’identità assoluta e lineare tra il
farmaco chimico e il rimedio erboristico. Inoltre, la farmacopea classica ci
LA VISIONE
PSICOSOMATICA
ACUISCI LO SGUARDO
E IL NODO DIVENTA RETE
Valter Carniello
La stagione invernale è alle porte e con l’inverno le malattie e i disturbi tipici del periodo. Meglio i farmaci, incisivi e rapidi o i trattamenti alternativi con i loro ritmi più naturali ?
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ha abituati a essere dei fruitori passivi nella relazione farmaco-paziente-
malattia, mentre le medicine alternative partono da un altro presupposto: il
mio corpo è il centro vitale e i suoi ritmi vanno assecondati. Il corpo e la
mente non sono estranei alla natura, ma ne sono parte integrante. È anche in
questo modo che da elementi passivi possiamo diventare protagonisti del
nostro benessere.
DENTRO DI NOI UN’INTELLIGENZA ANTICA
È affascinante il “letargo invernale” che coinvolge la natura e nello
specifico il mondo animale. Recettori cerebrali che avvertono l’avvicinarsi
dell’inverno e attivano i preparativi al lungo sonno dell’organismo.
“Intelligenze cellulari” capaci di entrare in
rapporto con il mistero del corpo, con il suo
essere in “simpatia” con l’universo. A fronte di
una natura che va in letargo, viceversa, noi esseri
umani non rinunciamo alla frenesia, refrattari a
ogni cambio di ritmo. Ecco allora che le malattie
da raffreddamento ci costringono a ridurre la
velocità.
Quante volte abbiamo detto o ci siamo
sentiti dire «Che disastro, mi sono beccato
l’influenza!» come se ci fosse capitata una
tragedia, preoccupandoci, più che della nostra
salute, dell’interrompere l’attività lavorativa e
sospendere la nostra capacità di fare, siamo cioè
angosciati dalla necessità improcrastinabile di
fermarci. Questo scatena la rincorsa alla “cura
miracolosa”, capace di interrompere il virus che
ha avuto l’ardire di frenare le nostre attività. Si
attua perciò una lotta (e non a caso il linguaggio dei media si rifà a un
allarmismo guerrafondaio) contro l’agente patogeno, lotta anche preventiva,
per scoprire poi che comunque il virus può cambiare forma nel corso dei
mesi facendo perdere d’efficacia al farmaco proposto. A nulla vale la
prudenza di una parte dei medici che consigliano di fare attento uso di
antibiotici e affini, perché contro l’iperattivismo del nostro stile di vita c’è
poco da fare, non c’è tempo per ammalarsi.
«Che disastro, mi sono beccato l’influenza!» e si scatena la rincorsa alla “cura miracolosa” … Si attua una lotta contro l’agente patogeno, perché contro l’iperattivismo del nostro stile di vita c’è poco da fare, non c’è tempo per ammalarsi.
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Perfino l’ambito lavorativo alimenta
questo stile di vita con un regolamento che
sancisce il diritto di indennità di malattia: da
parte dell’INPS, a decorrere dal 4° giorno
mentre i primi 3 giorni di “carenza” (se
previsto dal contratto di lavoro) sono a carico
dell’azienda. Inoltre, il legislatore anche
quest’anno sta proponendo un abbassamento
d’età per la gratuità del farmaco antinfluenzale
(50 anni), contrapponendo all’aumento di
spesa previsto per il sistema sanitario, un
guadagno dato dalla mancata perdita di fatturato da parte delle aziende.
Ecco allora ancora una volta come si consolida lo stile del “non c’è più
tempo, neppure per ammalarsi”, e in questo caso non ci si deve ammalare,
pena il mancato rimborso economico dei primi giorni.
Un’ulteriore riflessione a rete ci porta a evidenziare un altro risvolto
importante dello stile di vita convulso di oggigiorno, il fatto che nella
frenesia costante siamo sempre uguali, mentre attorno a noi, in natura, tutto
cambia e le stagioni si alternano con le loro caratteristiche. Riflessioni che,
se non tengono conto della realtà del nostro vivere sociale, appaiono come
osservazioni del filone newage. Noi sappiamo che il periodo autunnale,
dopo le sospirate ferie estive, è il momento della ripresa del lavoro, della
scuola e delle attività post scolastiche come lo sport, i corsi musicali, le
attività hobbistiche per i più grandi etc. Perciò non possiamo prendere alla
lettera il periodo invernale come una stasi totale del nostro agire, ma
dobbiamo considerarlo anche da un punto di vista simbolico e, nel fare ciò,
evidenziamo alcuni punti della nostra riflessione per aprirci a quella
psicologia del rapporto con la natura di cui accennavamo più sopra.
Il PUNTO DI VISTA PSICOSOMATICO
Esiste un legame tra uomo e natura a cui, con il variare delle stagioni,
corrisponde un cambiamento nell’equilibrio psicosomatico degli esseri
viventi. Questo deve essere in relazione con un cambiamento anche dello
stile di vita degli stessi. Perciò, se la natura rallenta, con le piante che
limitano la loro crescita o con le ore di luce che diminuiscono o con gli
animali che vanno in letargo, deve corrispondere anche per l’uomo questa
decelerazione, intesa psicologicamente come “occasione introspettiva”,
Nella frenesia costante siamo sempre uguali, mentre attorno a noi, in natura, tutto cambia e le stagioni si alternano con le loro caratteristiche.
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come recupero della nostra possibilità di essere passivi, come accettazione
della nostra inerzia interiore, come riconquista di una psiche dove possiamo
lasciar fluire l’energia della notte/inverno. Rallentamento trasmesso dal
piacere di rintanarci al calduccio della nostra casa (radicato nella nostra
biologia) e nel recuperare la relazione psicocorporea con il riposo, il calore,
la chiusura, il buio (ed è anche questo che volenti o nolenti le malattie
dell’inverno ci fanno fare). L’appartarsi nella propria tana per godersi il
“calduccio familiare” ci permette di riappropriarci di quelle immagini
originarie che si dipanano dal nostro “centro psicosomatico”.
Ecco allora che le soluzioni a una delle più comuni malattie da
raffreddamento, “il raffreddore”, che si possono trovare nelle riviste, dalle
specialistiche a quelle di moda, acquistano, pur nella loro semplicità, un
valore e un senso diverso. Un esempio per tutti può essere la formula della
nonna che indica: latte caldo e miele e via sotto le coperte, il tutto associato
alle tenere cure di una figura familiare. Ritrovare gli elementi della rete
della vita evidenziati più sopra, aspetti non solo biologici, ma che ci
permettono di intravvedere come questi rimedi agiscono non solo
psicologicamente, ma anche sul nostro sistema immunitario.
Una prima riflessione psicosomatica ci riavvicina a quel materno,
(alludendo al latte caldo) fatto di coccole e accudimento, che il bimbo
immediatamente metabolizza come un rimedio miracoloso, a fronte di
qualche adulto psicologizzato che potrebbe associarlo a mera regressione
infantile e perciò fuggirlo.
La copertina dentro cui avvolgerci ci indica un bisogno di aumentare
le ore di sonno e anche le ricerche scientifiche evidenziano come durante la
notte aumenta il livello della melatonina, importante fattore antistress e
stimolo delle difese immunitarie. Quindi, maggiori difese immunitarie
migliori barriere contro virus e batteri.
Il miele, che non è solo un dolcificante, con il suo potere lenitivo e
disinfettante è estremamente ricco di antiossidanti (tra cui la vitamina C e i
flavonoidi, quello più scuro tende ad averne di più) e può avere un ruolo
nella lotta contro qualsiasi infezione generata dal raffreddore. Inoltre, è
denso e dolce e stimola quindi la salivazione, assottiglia il muco e lubrifica
le vie respiratorie superiori. Dopo queste brevi considerazioni sullo stile di
vita e sull’ecosistema in cui viviamo, allarghiamo ora la riflessione
all’interpretazione psicosomatica, osservando come il raffreddore sia una
malattia infettiva, di solito comune, che coinvolge il naso e la gola, ossia le
prime vie respiratorie. I virus, giunti nella mucosa nasale, esercitano la loro
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azione patogena solo se trovano un
ambiente favorevole, perciò la tendenza ad
ammalarsi dipende dallo stato fisico
dell’individuo in quel momento, dal ridotto
potere difensivo (affaticamento fisico, stato
di convalescenza), da fattori locali
(deviazione del setto nasale, ostruzione
nasale), da fattori legati all’ambiente di vita
o di lavoro (gas, polveri, vapori irritanti) e
anche da fattori farmacologici (abuso di
gocce nasali). Il raffreddore si presenta
con un primo stadio irritativo che può
durare da poche ore a uno o due giorni, caratterizzato da secchezza, bruciore
e starnuti e poi si passa a uno stadio secretivo (muco o catarro) che può
durare fino a una settimana. Ulteriori sintomi possono essere: congestione
nasale, mal di gola, tosse, mal di testa, lacrimazione oculare, perdita
temporanea dell’olfatto e del gusto, sensazione di stanchezza. In sintesi è
una rinofaringite acuta infettiva virale causata solitamente da Rhinovirus.
Tecnicamente, sul piano psicodinamico, si potrebbe ascrivere il
raffreddore comune a un aspetto depressivo transitorio, che in mancanza di
una verbalizzazione “efficace” viene somatizzato nel corpo. Quindi più il
tratto depressivo è fortemente coinvolto più noi potremo avere una sequela
di sintomi che rispecchiano la profondità di tali implicazioni, sintomi che
coinvolgono il naso piuttosto che il naso e la gola, piuttosto che il naso, la
gola e le corde vocali. Si tratta perciò di intensità proporzionali, sul piano
delle valenze emotive, che il soggetto trattiene (e non esprime
efficacemente). I sintomi del raffreddore, infatti, sembrano evidenziare
un’analogia con i sintomi depressivi: la congestione nasale, il muco e la
lacrimazione si riferiscono al pianto bloccato (quando si piange lacrimano
gli occhi e questa sollecitazione delle ghiandole lacrimali stimola anche le
mucose nasali); la diminuzione o la perdita dell’olfatto e del gusto e le
sensazione di stanchezza sono sintomi spesso presenti nella depressione (la
persona che ne è affetta perde la capacità di provare piacere e vi è un ritiro
dalle attività quotidiane). Gli starnuti e la tosse, invece, sottolineano il
tentativo di espellere contenuti vissuti come disturbanti l’equilibrio
psicofisico.
Alla radice di questi fenomeni si evidenzia una regressione a quei
momenti dell’esistenza in cui figure di riferimento (come la madre) si
Sul piano psicodinamico il raffreddore comune potrebbe essere un aspetto depressivo transitorio che in mancanza di una verbalizzazione “efficace” viene somatizzato nel corpo.
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prendevano cura di noi e ci curavano amorevolmente, momenti in cui si è
potuto sperimentare la sicurezza di una holding, cioè di un sostegno fisico e
psichico totale, e in questo modo giungere a soddisfare i nostri bisogni. Il
coinvolgimento delle prime vie aeree starebbe perciò a significare quel
pianto antico utile come richiamo alle figure di sostegno.
Inoltre, il raffreddore è una patologia che interessa l’apparato
respiratorio e, in quanto tale, compromette l’ottimale funzione del respiro.
Simbolicamente la respirazione fa parte delle principali vie di
comunicazione con il mondo in cui siamo inseriti. Inspirando incorporiamo
parti del mondo, cioè l’aria, ed espirando restituiamo quell’aria modificata
all’ambiente, in quanto più ricca di anidride carbonica e più povera di
ossigeno. Attraverso la respirazione siamo in relazione con l’ecosistema di
cui facciamo parte.
Citando la psicoterapeuta e biologa Maria Pusceddu “Ad ogni atto
inspiratorio portiamo dentro di noi l’aria condivisa con gli altri esseri che
ci circondano, introiettando, non solo in senso fisico ma anche metaforico,
‘atmosfere’ e ‘climi’. Non a caso diciamo frasi come ‘in quella casa si
respira un clima sereno’ oppure ‘è meglio cambiare aria’ o ancora
‘quest’atmosfera è soffocante’ eccetera. A ogni atto respiratorio noi
restituiamo all’esterno l’aria impregnata dei nostri ‘umori’ contribuendo al
‘clima’ generale. Quasi a sottolineare l’importanza (anche simbolica) della
comunicazione attraverso l’aria condivisa, la filogenesi ha messo a punto
nell’uomo strutture anatomiche atte a trasformare il ‘sentire’ in espressione
significative”1 … cioè le parole.
Per di più, la respirazione è una funzione in parte volontaria e può
essere influenzata dagli stati affettivi, ne sono a riprova alcune situazioni
come: l’ansia o l’oppressione che fanno avvertire un senso di soffocamento
o di mancanza d’aria; la solitudine o la depressione che ci spingono a
sospirare; la distensione o la serenità che sono collegate a una respirazione
calma e regolare.
Un ulteriore esempio di quanto evidenziato può essere: quando noi
abbiamo il raffreddore che ci sottrae agli obblighi relazionali o lavorativi,
non si tratta di un grande conflitto profondo, ma si tratta di una modalità
inconscia in cui il calo del sistema immunitario (che risponde a una sequela
continua di stress) si serve di una situazione collettiva come il raffreddore (o
1 M. Pusceddu, Aria: materia sottile che sostiene la vita, metafora dell’anima, in Quaderni
Asolani Spirituali Substantia, Paolo Emilio Persiani, Bologna, 2012, p. 58.
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gli stati influenzali), per far sì che attraverso questo pseudo rapporto di
regressione si riaffrontino le tematiche di coinvolgimento affettivo-
relazionale, utilizzando una pausa adeguata. Sono reazioni compensatorie
“psicosomatiche”. Quindi, le malattie che interessano l’apparato
respiratorio, come il raffreddore comune, possono esprimere una rottura
dell’equilibrio nella comunicazione e nello scambio tra mondo interno e
mondo esterno. Questa rottura dell’equilibrio porta a un ritiro in se stessi e a
una regressione che richiede un adeguato “accudimento”. A questo punto
appare perciò evidente come le cure suggerite, anche dai media, che
evidenziano: riposo, dieta, assunzione di liquidi, attenzione all’igiene,
vestiario appropriato, umidificazione degli ambienti etc., assumano anche
un valore psicologico ed emotivo, rispondendo al bisogno di prendersi cura
di sé e di prestare attenzione al proprio mondo interno.
Concludendo, ecco allora che per prevenire le malattie dell'inverno è
necessario considerare la salute come uno stato in cui vi è un equilibrio
interiore, sia psichico sia corporeo, in armonia con le "forze" naturali
in cui è immerso l'uomo. Perciò si comprende come anche di fronte a virus
e batteri contagiosi, quali quelli delle malattie da raffreddamento,
l'organismo può non ammalarsi. La stessa biologia conferma quanto sopra
detto: nessun terreno organico può essere invaso da un germe cosiddetto
infettivo se possiede, al completo e ben funzionanti, le capacità di difesa che
madre natura gli ha fornito. Capacità di difesa non solo biologiche, ma
anche psicologiche e ambientali.
BIBLIOGRAFIA
M. Pusceddu, Aria: materia sottile che sostiene la vita, metafora dell’anima, in
Quaderni Asolani Spirituali Substantia, Paolo Emilio Persiani, Bologna, 2012.
www.aneb.it.
13
In questa rubrica che si occupa di Ecobiopsicologia ho precedentemente
delineato la particolare ottica con la quale questa disciplina approccia il tema della
salute. In tale visione la malattia o il sintomo, ma anche la crisi o il disagio, sono
considerati momenti importanti nell’evoluzione individuale. Evoluzione che viene
intesa come trasformazione graduale della persona, che ha bisogno di
integrare quelle parti di sé che non sono state adeguatamente elaborate a
livello della coscienza, tanto da essere “costrette” a manifestarsi anche a livello
fisico, perché si possa finalmente dare loro un ascolto adeguato e, in tal modo,
permettere che ciascun individuo possa trarre da un’esperienza, apparentemente
solo negativa, il maggiore arricchimento possibile per la sua crescita personale.
Nel precedente articolo ho solo accennato alle possibilità di indagine e di
cura che alcune discipline ci offrono, spesso scelte in abbinamento o in alternativa
alla medicina cosiddetta ufficiale: pensiamo all’omeopatia, alla naturopatia,
all’iridologia, sino a citare i percorsi psicoterapeutici.
Partendo da qui, desidero andare più in profondità cercando, per quanto
possibile in uno spazio di questo tipo, di delineare con l’esempio di un caso reale il
modo in cui si può scegliere di guardare diversamente ai propri sintomi,
considerandoli occasioni per una maggiore conoscenza di sé e, quindi, per inserirci
nell’ottica di quel cambiamento che la natura più vera e benefica che risiede in noi
ci richiede. Perciò, la malattia qui non è intesa come un fallimento nel proprio
percorso evolutivo, ma anzi, se è guardata nell’ottica dell’Ecobiopsicologia, può
rappresentare il primo passo verso la conoscenza della parte profonda della propria
personalità e delle potenzialità che hanno necessità di essere riconosciute.
La storia seguente mi è stata raccontata in prima persona nel mio lavoro di
counseling e ho avuto il permesso di riportarla sommariamente in questa pagine.
L’iter riguarda una signora che chiameremo Giulia, di 38 anni, sposata e madre di
due figli di 6 e 8 anni, ed è significativo in considerazione di quei passaggi
UNA NUOVA DISCIPLINA
L’ECOBIOPSICOLOGIA
NEL PROFONDO LE RADICI DELLA CURA
Susanna Rubatto
14
trasformativi a cui ho fatto cenno.
Giulia soffre per ricorrenti tonsilliti dalla sintomatologia piuttosto
importante, tanto da costringerla all’utilizzo di antibiotici sempre più forti e all’uso
di cortisone, nonché a due ricoveri ospedalieri. La stessa assunzione massiccia di
farmaci, sembra essere la causa di un eczema che sfoga in croste pruriginose dalle
caviglie alla vita. È proprio quest’ultimo sintomo che iniziò a farla riflettere sul
possibile “circolo vizioso” che riteneva si fosse instaurato con l’assunzione di
farmaci sempre più potenti (essendo sempre meno efficaci) e gli effetti collaterali
che sembravano comportare, in quanto, in realtà, nessun dermatologo tra quelli
consultati, aveva saputo dirle con esattezza l’origine dell’eczema.
Giulia aveva così cominciato a pensare che quel tipo di cure, ormai seguite
da molto tempo, in realtà non stessero risolvendo la malattia, date le ricadute
frequenti, ma potessero invece rivelarsi ancor più dannose per le ripercussioni
collaterali.
La decisione successiva fu quindi di interpellare un dottore che si occupasse
anche di medicina omeopatica e di naturopatia. La sorprese molto il primo
colloquio che durò per ben due ore e in cui le venne chiesta la sua storia clinica,
nonché il suo stile di vita, soprattutto alimentare, e il momento che stava
attualmente vivendo. La sorprese perché non aveva mai conosciuto un approccio
medico di questo tipo al paziente e alla malattia. La stessa modalità le diede un
certo sollievo, in quanto sentì per la prima volta che qualcuno si stava
prendendo cura di lei e le permetteva inoltre di esternare tranquillamente le ansie
che la pervadevano in questo stato di cose. Proprio da queste ultime si sentì
sollevata, per il fatto stesso d’essere stata ascoltata.
Negli incontri successivi, che la sostenevano in un percorso di
disintossicazione dai farmaci e di interazione con prodotti naturali e omeopatici, il
medico le suggerì anche la possibilità di fare dei colloqui con uno
psicoterapeuta, avendo ravvisato alla radice dei sintomi delle “fatiche” a livello
affettivo/relazionale, soprattutto con i figli.
Per gli aspetti della sua vita che erano emersi grazie al medico, che le aveva
dato l’opportunità di oggettivare alcune delle sue difficoltà emotive di quel
periodo, Giulia decise di intraprendere un percorso di analisi. Inizialmente un po’
timorosa, ma anche curiosa di capire maggiormente se stessa, si rivolse a una
psicoterapeuta con un approccio anche psicosomatico.
Nel volgere di qualche mese l’azione parallela dei due approcci, oltre che a
controllare l’evoluzione delle malattie fino a una notevole riduzione dei sintomi, le
permise soprattutto di capire meglio le dinamiche che, attraverso questi ultimi,
cercavano di venire alla luce della consapevolezza per poter essere capite ed
elaborate in una nuova visione di sé e delle proprie relazioni.
La lettura in chiave ecobiopsicologica che viene data a una malattia
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presenta delle caratteristiche generali, dato che il nostro corpo ha attributi comuni a
tutti gli esseri umani, le quali però devono essere messe in relazione alla storia
individuale di ciascuno e, anzi, da questa anche indirizzate verso la parte profonda
di ogni persona. È importante sottolineare come le aree di manifestazione dei
sintomi possano avere una valenza collettiva, ma è fondamentale che si tenga conto
soprattutto dei legami che ci sono con quella specifica persona. Per esempio, in
quale momento della sua vita sono incominciati e cosa stava vivendo all’epoca,
considerando la quotidianità (in famiglia, nel lavoro/studio, nelle relazioni,
possibilità di traumi o incidenti/eventi inconsueti ecc.), se c’erano stati o meno dei
precedenti sintomi, anche nell’infanzia, e comunque tutti gli altri episodi patologici
della vita.
Tutto ciò permetterà di delineare un “ritratto” esclusivo di quel paziente, così
che l’approccio psicosomatico non verrà calato dall’alto, costringendo verso una
predeterminata risoluzione, ma diventerà un sentiero possibile per guidarci verso la
vera origine del malessere che appartiene soltanto all’originalità di quell’individuo.
E sarà solo la sua propria coscienza a poter prendere atto di ciò che il sintomo
voleva mettere in luce e da quel momento attuare la possibilità di un cambiamento.
L’Ecobiopsicologia, inoltre, interpretando in una prospettiva simbolica la
malattia e, intendendola come linguaggio del corpo, la considera portatrice di un
nodo irrisolto, una crisi, che rivela l’esistenza di un conflitto. Su questa via, al
tempo stesso riconosce a organi e apparati – attraverso l’analogia fra la filogenesi
del mondo e l’ontogenesi corporea – la possibilità di indicare l’area
(affettivo/psicologica) da esplorare per una risoluzione della crisi.
Ad esempio, di fronte a un disturbo a carico dell’apparato digerente o
respiratorio, si può pensare a una problematica psicologica il cui conflitto
richiama (simbolicamente) qualcosa che il soggetto ha “mangiato e respirato”. Così
come a livello fisiologico c’è un passaggio da fuori a dentro, così a livello
psicologico si guarderà a ciò che egli ha portato nel proprio mondo interiore dal
mondo esterno, dalla sua storia e dai suoi rapporti interpersonali e sociali.
Una malattia riguardante l’apparato osteo-artro-muscolare, può invece
suggerire un conflitto nell’area più concreta della propria realizzazione operativa,
inerente un’attività intenzionale.2
Parimenti, nel caso preso qui in esame, l’area del collo, per quanto riguarda
la localizzazione delle tonsille, indica la zona di tramite fra la testa e il corpo.
Analogicamente la gola è il luogo d’incontro tra il respiro e il “pensiero”, a
significare che quanto elaborato dalla nostra mente trova concretezza
2 D. Frigoli, G. Cavallari, D. Ottolenghi, La psicosomatica. Il significato e il senso della
malattia, Xenia Edizioni, 2000, p. 44.
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nell’espressione verbale. Se giudichiamo come negativo o “cattivo” il contenuto di
quanto desidereremmo in realtà esprimere, esso viene espulso dalla coscienza, ma
per restare latente in zone più profonde. Il corpo stesso, in questo caso le tonsille, si
farà carico di fermare e bloccare la possibilità di dar voce a queste pulsioni ritenute
inaccettabili, mandando però al contempo un forte segnale di sofferenza emotiva.
Il percorso analitico di Giulia aveva messo in luce quanto ancora le pesasse e
fosse irrisolto il rapporto conflittuale con sua madre, dove avvertiva impulsi così
forti da ritenerli distruttivi nel momento in cui avesse dato loro la possibilità di
esprimersi anche solo verbalmente e, di conseguenza, furono messi a tacere.
È proprio nel periodo in cui il suo ruolo materno le fa sentire i primi conflitti
con i propri figli, che il nodo affettivo non risolto in Giulia, viene simbolicamente
messo in luce dai sintomi che, interessando la gola (dove le due tonsille lei stessa
dice essere i due figli…), rivelano la sua difficoltà a esprimere la rabbia e il rancore
verso la madre, sentimenti che non ha mai avuto il coraggio di dichiarare
apertamente nemmeno a se stessa e, quindi, tanto meno al lei. Gli stessi sintomi
cutanei stanno a segnalare una quota di ostilità, di fuoco interiore (rabbia), che non
trova spazio nella coscienza.
La possibilità di esprimere tutto quello che è giudicato inaccettabile (sia in
una dimensione personale sia in una sociale) e razionalmente incomunicabile, nello
spazio “protetto” della terapia le consente, con il supporto della psicoterapeuta, di
alleggerire inizialmente la carica aggressiva non riconosciuta, ricevendo poi
sostegno e accoglienza nel momento in cui guarda a se stessa in modo nuovo. La
presenza e il lavoro del terapeuta si rivelano fondamentali, dato che ogni passo
verso la conoscenza profonda di sé comporta anche una dose d’angoscia per la
sensazione di perdita della vecchia identità.
Nella terapia Giulia ha così potuto sentire d’essere finalmente accolta
interamente, nonostante quelle che lei chiamava le proprie ambiguità: rispetto alla
propria madre, all’accettazione dei figli, al giudicarsi “cattiva” sia come mamma
sia come figlia, per i sentimenti inammissibili che sentiva in sé. È stata aiutata a
integrare sia le esperienze passate sia quelle attuali ritenute negative, per trovare la
capacità di riconoscerle finalmente come parti del suo personale percorso.
Giulia ha “curato” le proprie parti interiori che era lei a giudicare malate
e, quindi, improponibili, ma dal momento in cui ne ha cercato il reale significato,
se ne è ri-appropriata con nuove più amorevoli modalità, con le quali le veniva poi
facile esprimersi anche verso i figli e il marito.
In questa storia dunque, la malattia è stata considerata una reazione
costruttiva a uno conflitto interiore, riemerso grazie a quello che potremmo
chiamare uno periodo di stress esteriore, e i sintomi un richiamo per ricerca di un
nuovo personale equilibrio. Le indicazioni terapeutiche sono state altresì attente a
tener conto della capacità di Giulia di “disorganizzare” il precedente equilibrio,
sopportando le fasi di precarietà e angoscia, quali momenti di passaggio verso un
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maggiore e più sereno sviluppo personale.
Il percorso terapeutico di Giulia non è stato breve e, naturalmente, in questa
sede l’intenzione era quella di esporre solo alcuni dei temi incontrati in quel
rapporto e che erano evocati dai sintomi, con l’obiettivo invece di porre
principalmente in rilievo come il dare loro un’adeguata lettura possa aiutare sulla
via della guarigione.
BIBLIOGRAFIA D. Frigoli, G. Cavallari, D. Ottolenghi, La psicosomatica. Il significato e il senso della
malattia, Xenia Edizioni, 2000.
R. Dahlke, Malattia come simbolo, Edizioni Mediterranee, 2000.
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La vita al giorno d’oggi non è semplice, offre molte possibilità, mobilita ciascuno nell’attivarsi e, nonostante le enormi difficoltà che la crisi attuale determina, induce a impegnare il tempo a disposizione in mille occupazioni e le tante cose da fare. Sia i bambini sia gli adolescenti sono costantemente proiettati a impegnarsi in qualcosa e le proposte non seguono grandi variazioni, sperduti tra scuola, sport e telefonino. Una vita condotta secondo questi ritmi dà un’apparente percezione di consistenza e di esistenza, ma non facilita il riconoscimento di sé e l’accoglimento e la risoluzione dei momenti “critici” disseminati lungo il percorso. Sempre più spesso accolgo nel mio studio persone giovani che sono dilaniate dalla tensione, dalle preoccupazioni, dall’ansia, sintomi che oggi frequentemente si strutturano poi negli attacchi di panico, paralizzanti e spaventosi e che inducono a chiedere aiuto sia farmacologico sia psicologico. Come se questi sintomi in qualche modo fossero l’espressione di disagi personali, ma anche di un male di vivere, un’incapacità di far fronte al quotidiano con le proprie risorse. Valentina entra nel mio studio un po’ intimidita e un po’ di fretta. Al telefono mi aveva spiegato le sue necessità e i suoi timori. Ha bisogno di liberarsi dalla tensione costante, dal respiro affannoso, da una tachicardia preoccupante, dalla sensazione di non farcela e dalla paura, una paura folle e persistente, di non poter mai più essere calma, concentrata e di vivere la sua vita. Mentre davanti a me, seduta in punta di poltrona, cerca di raccontarmi della sua ansia, come sta e come affronta le sue giornate, il suo respiro è superficiale, si muove solo la parte alta del torace, le parole escono a scatti, la gamba non sta ferma un attimo, i pensieri si affastellano
LE VERITÀ DEL CORPO
LA VITA IN GIOCO
Anna Villa
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nella sua mente rendendole difficile scegliere quali di essi mettere per primi in parola. In questa descrizione possiamo cogliere il grande disagio di questa giovane donna di trentacinque anni, disagio che in qualche occasione e davanti a qualche particolare evento abbiamo sicuramente riconosciuto come ansia, provato anche noi e per questo siamo capaci di comprendere o di intuire il suo malessere. L’unica differenza tra una comune reazione a un momento particolarmente difficile e la condizione vissuta da Valentina è data dallo stabilizzarsi del vissuto, dal suo comparire in molti momenti della giornata, fino alla possibilità di strutturarsi in uno stato d’animo ansioso permanente. Valentina parla, racconta di sé, della sua vita, del suo lavoro in ufficio che non la soddisfa, della vita familiare difficile in questo momento per problemi di salute del padre, dei fratelli che ormai vivono fuori casa e di lei che si sente incapace di essere felice e soddisfatta di sé. Dalle amiche cerca conforto, dalla madre ha sostegno e cura, perché non riesce a farsi andar bene la vita che, in confronto a quella degli altri, è buona e non le manca niente? Questi in genere gli interrogativi di chi soffre di ansia e di tensione, di attacchi di panico. Il professor G. O. Gabbard introduce il capitolo sui Disturbi d’ansia3 con questa frase di Giulio Cesare: “Di regola, ciò che non si vede disturba la mente degli uomini assai più profondamente di ciò che essi vedono”, fornendoci già una chiave per la comprensione di questa scomoda e preoccupante tensione. Infatti, Gabbard dice che “In molti casi, i pazienti che presentano ansia non hanno alcuna idea riguardo a ciò che li rende ansiosi”4 e, quindi, compito del soggetto e di chi se ne prende cura è di comprendere quali siano i motivi che sottostanno a tale segnale. Nel susseguirsi degli incontri Valentina, prendendo confidenza con il setting terapeutico e con il nostro modo analitico di procedere, comincia a rivelare aspetti di sé più intimi. Dice di avere poca autostima, di avere scoperto un forte bisogno di trovare un riferimento nella madre, in un’amica, in figure di donne che incontra al lavoro e che apprezza, generalmente più grandi di lei. Da sola fa fatica a prendere delle decisioni. In concomitanza di scelte che spettano a lei aumenta la sua ansia e quando le crisi si fanno più forti e la paralizzano deve assolutamente parlare con 3 G. O. Gabbard, Psichiatria Psicodinamica, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1992, p. 235.
4 Ibidem, p. 236.
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qualcuno e, se non c’è la madre, telefona alle amiche per essere ascoltata e perché le suggeriscano la scelta migliore. Spesso l’ansia si ripercuote in tutto il corpo provocandole mal di stomaco, coliche intestinali, insonnia e agitazione diffusa amplificando il suo malessere e rendendo difficile la gestione della sua vita lavorativa. “L’ansia, come la maggior parte dei sintomi, è spesso multideterminata da tematiche derivanti da una varietà di livelli evolutivi”5 e queste vanno conosciute e comprese nel percorso terapeutico approfondendo gradatamente i passaggi di vita salienti e soprattutto i vissuti emotivi che li hanno accompagnati. Conoscendo e aiutando Valentina a trovare i tratti salienti della sua storia, individuati gli eventi significativi della sua vita, abbiamo potuto insieme comprendere che su di lei hanno influito molto l’essere primogenita di 4 fratelli e la nascita del secondo fratello quando lei aveva due anni, ancora troppo piccola per comprendere che la madre doveva ridurre le attenzioni a lei per darle al fratellino. Quindi, i grandi pianti e il suo rifiuto di andare alla scuola materna per poter stare a casa con la madre, una sorella che si ammala gravemente quando lei ha 8 anni e richiede svariati ricoveri, la madre molto meno presente alle sue esigenze per seguire i fratelli e il padre occupato con un lavoro fuori casa per dei giorni, perciò non sempre disponibile per lei. Ciò che colpisce è che la madre, quando c’è per Valentina, tende a sostituirsi a lei in qualsiasi situazione, sbrogliandole e risolvendole qualsiasi problema e lasciandola sguarnita di forze, prove, esperienze, frustrazioni e vittorie che le diano la percezione di sé e delle proprie risorse. La figlia non impara a sperimentare se stessa nelle piccole azioni, nella lotta per avere quello che desidera, nel correre dei rischi e attivarsi per fare nuove esperienze. Tutto
5 Ibidem, p. 237.
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ciò emerge come difficoltà in adolescenza, quando Valentina si ritrova ad affrontare, molto insicura, i coetanei e le scelte tipiche dell’età nella frequentazione dei ragazzi e nello studio. Quando ormai giovane incontra l’amore, ne è felice, ed è il suo ragazzo che diventa il suo punto di riferimento, ma nel momento in cui egli le chiede di fare famiglia e di sposarsi, lei non accetta e riconosce in analisi che il suo rifiuto, inspiegabile per tutti, era dovuto all’impossibilità per lei di lasciare la madre. Nella vita di una giovane ragazza che incontra un giovane uomo e si innamora si profila una prova determinante: fare esperienza di essere una donna capace di impostare una vita propria e originale, che non ricalchi necessariamente le regole materne, che rinunci alla garanzia di essere sempre rassicurata e tutelata dalla madre e che riesca a reggere eventuali critiche e perplessità sulle proprie scelte. Una ragazza che corre dei rischi e che decida di accompagnarsi a un uomo in un rapporto alla pari invece che rimanere nel rapporto figliale con i genitori. Il tema di Valentina è proprio la sua difficoltà a separare se stessa dalla madre e da tutte le persone significative per lei, incapace di fare delle scelte e reggerne le conseguenze, non abbastanza in grado di contare su di sé, di essere “sola” con se stessa, per affrontare le prove della vita con sufficiente sicurezza. Potremmo dire che Valentina era arrivata ai 35 anni senza avere un costante rapporto diretto con le radici di sé, con i propri bisogni, desideri, progetti, non aveva maturato una buona consapevolezza di sé: la sua identità. L’identità non è solo un insieme di caratteristiche personali ma, lungo il percorso di crescita, diventa la struttura portante attorno a cui una persona si costruisce e fonda la percezione di sé. Per Valentina quest’esperienza non era stata possibile se non per frammenti e di fronte alle prove della sua esistenza si è ritrovata in più occasioni a sentire il vuoto dentro, a non avere la percezione del suo corpo, delle sue emozioni, dei suoi desideri, della forza interiore che poteva guidarla nella vita. Sappiamo che se non viene da dentro, questa forza sarà attinta altrove, al di fuori di sé. Molto facilmente si potrà diventare prede della manipolazione e seduzione di persone senza scrupolo o mantenere un costante bisogno di dipendenza. In molte persone, come Valentina, spesso c’è una sorta di intuizione, una insoddisfazione profonda che agisce e blocca ogni tentativo di repressione e negazione del problema. I sintomi possono diventare dei segnali preziosi per comprendere che così non si può continuare a vivere, che ci sono altre necessità che vanno considerate, delle domande cui rispondere. Tutto ciò offre, anche se nel
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malessere, l’occasione per diventare consapevoli del mondo nascosto, velato, che ciascuno custodisce dentro di sé. Per Valentina è stato possibile giungere a questa consapevolezza tramite il lavoro lento, a volte faticoso, di mettere insieme la sua storia passata e presente. Ma ancora non era sufficiente, la fase successiva è stata di impedirle di trovare nella terapeuta un’altra figura che si sostituisse a lei. La scelta è stata di invitarla in ogni seduta ad ascoltarsi, a sentire ciò che dentro di lei provava, a farle notare in quante occasioni la sua “donna autentica” si era fatta sentire, a permetterle di riconoscersi nei suoi gusti, pensieri, desideri. Inizialmente tutto ciò le procurava fatica e lacrime poi dentro di lei si è fatto posto il suo mondo, cominciava a riconoscere la propria interiorità. Tra i livelli di ansia che Gabbard prende in considerazione, quello di Valentina può essere riconosciuto nel “timore di perdere l’amore o l’approvazione di un altro significativo (all’origine un genitore)”6. Per lei era angosciante pensare di essere sola, senza l’adulto di riferimento, e di dover affrontare la vita. Tutto ciò però era solo un intoppo nel suo percorso di crescita e di maturazione. Quando questa donna cominciò a sentire che in sé trovava sensazioni, pensieri, desideri, bisogni e si occupò di riorganizzarli, comprendendoli, quando si accorse che lei “sapeva” cosa le piaceva e cosa non le si confaceva, allora trovò in sé un’alleata, quel riferimento sempre presente per poter agire le sue scelte, esprimere le sue opinioni, confrontarle coraggiosamente con gli altri. Seppe contestare la madre e a sentire il suo legame affettivo con lei, affermare le sue posizioni, fare scelte difficili, incontrare e riconoscere l’amore per un uomo, lasciare quindi la madre e attivare il suo progetto insieme al compagno con cui adesso vive. Quali considerazioni possiamo fare a commento di quanto fin qui raccontato? Se l’ansia si manifesta come indicatore di tensione e preoccupazione di fronte a un evento incombente, un incontro, un esame, un colloquio di lavoro, questa si pone come segnalatore del valore dell’evento stesso per noi e la sua presenza ci permette di avere più consapevolezza e più lucidità per far fronte alla prova; una volta sostenuta, l’ansia poi si riduce e lascia il posto all’esito dell’evento. Ma se l’ansia diventa diffusa, impedisce la serenità, toglie ogni rapporto con il proprio mondo interiore e si sintonizza solo sui pensieri, così diventa un segnale di disagi
6 ibidem, p. 237.
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più profondi e richiede di essere affrontata seriamente. La vita di oggi accentua la reazione ansiosa per le mille incombenze che il quotidiano richiede, ma la scarsa qualità del vivere si presta facilmente a collocarci su un livello superficiale di vita, senza spessore e senza conoscenza, se non si recuperano le forze del profondo, anche quelle oscure, le forze che sono il traino dell’energia vitale personale e poi collettiva. Tutto ciò ci presenta il compito arduo di non accontentarci e di cercare, sondare, comprendere i nostri e altrui segnali di disagio. Abbiamo bisogno di entrare in sintonia con le forze profonde di vita, in esse albergano le spinte a evolvere, a trovare nell’aderire a esse il senso di un’esistenza che chiede di essere vissuta appieno. È il presente che ci vuole vivi, l’ansia vive del passato o del futuro, è nel presente che troviamo motivo di apertura, libertà e scoperta.
[email protected] BIBLIOGRAFIA G. O. Gabbard, Psichiatria Psicodinamica, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1992.
D. Frigoli, Fondamenti di psicoterapia ecobiopsicologica, Armando Editore, Roma, 2007.
R. Dahlke, Malattia come simbolo, Mediterranee, Roma, 2005.
C. Pinkola Estés, Donne che corrono coi lupi, Frassinelli, Milano, 1994.
J. Viorst, Distacchi, Frassinelli, Milano, 1987.
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Sono molte le persone in tutto il mondo che conoscono e utilizzano con
soddisfazione i Fiori di Bach, il metodo completo di auto-guarigione facente parte
del mondo della natura (cortecce, fiori e acqua), ma solo poche tra loro hanno letto
o sentito parlare della vita del loro scopritore, il dott. Edward Bach. Uomo dalle
caratteristiche speciali, sensibile, istintivo, determinato e coerente, lo definirono un
“druido contemporaneo”. Nella sua vita portò tre qualità che riteneva fondamentali:
semplicità, umiltà e verità.
Edward Bach nasce nel 1886 a Moseley, un piccolo paese poco distante da
Birmingham nel Worwickshire, la sua famiglia era originaria del Galles e questa
terra eserciterà sempre su di lui un fascino speciale. Nasce nel periodo della
massima crescita interna ed esterna dell’Inghilterra, l’epoca definita vittoriana,
periodo di sviluppo dell’impero coloniale e dell’evoluzione
dell’industrializzazione. La considerazione per l’uomo in quel tempo era legata al
suo benessere economico, molte delle conquiste dell’umanità, come i diritti umani,
erano ancora da venire. Freud, riconosciuto padre della psicologia moderna,
elabora la sua visione dell’uomo proprio in quegli stessi anni. La scienza medica
portava la chimica a un’espansione farmacologica, con la speranza di risolvere ogni
problema fisico con “una pillola”. Avvengono molte scoperte medico-scentifiche,
ad esempio: Pasteur nel 1885 scopre il vaccino contro la rabbia, 1882 Koch scopre
l’agente microbico della tubercolosi, risale al 1920 la scoperta dell’insulina, nel
1928 Fleming scopre la penicillina.
A vent’anni il giovane Bach decise di iniziare gli studi di medicina laureandosi a
Londra. Nella sua intensa e appassionata pratica medica era più interessato alle
persone che ai libri o ai riti del mondo accademico. La personalità del paziente,
piuttosto che la malattia, era la base della sua ricerca. Trascorrendo il suo tempo
nelle corsie degli ospedali, si accorse come il processo di guarigione fosse molto
doloroso e maturò in lui il convincimento che la vera guarigione dovesse essere
dolce, indolore e benigna. Vent’anni dopo tutto questo lavoro sarà la base delle sue
LA PAROLA A...
La vita in gioco del Dott. Edward Bach
Alessia Vedelago
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nuove scoperte.
Il suo primo laboratorio lo aprì ad Harley Street e ben presto divenne molto
frequentato anche dalla povera gente a cui era impossibile pagare le sue
consulenze. Divenne noto come immunologo e batteriologo, scoprendo dei vaccini
ottenuti da bacilli intestinali per la cura delle malattie così dette croniche.
La sua salute non era buona e allo scoppio della guerra nel 1914, gli fu negata la
possibilità di prestare servizio all’estero. Diventò così responsabile di 400 posti
letto per reduci di guerra presso l’Ospedale Universitario. Nel 1917 ebbe una grave
emorragia, i suoi colleghi lo operarono e accertarono la presenza di un tumore in
metastasi dandogli solo tre mesi di vita.
Seguirono giorni d’angoscia mentale e fisica, fino a quando decise di dedicarsi
completamente alle sue ricerche per il tempo che gli rimaneva da vivere. Quella del
suo laboratorio divenne proverbialmente per tutti “la luce che non si spegne mai”.
Passarono i mesi e la sua salute migliorava, constatò direttamente che un interesse
totale e una grande passione per il suo compito erano stati fattori decisivi per la
guarigione.
Con la salute riprese anche il lavoro di batteriologo sulla tossiemia intestinale e fu
lavorando all’Ospedale Omeopatico di Londra che rimase particolarmente colpito
dal testo ufficiale l’Organon di Samuel Hanemann (1755-1843), padre
dell’omeopatia. Principi di quella che allora era una nuova medicina sono: curare il
malato non la malattia, utilizzare rimedi dal mondo della natura, curare il simile
con il simile. Bach preparò i suoi vaccini, ottenuti combinando i sette ceppi
batterici con altrettante caratteristiche predominanti del carattere dei pazienti, con il
metodo omeopatico e inventò i “sette nosodi di Bach” conosciuti e utilizzati non
solo in Inghilterra, ma anche negli Stati Uniti e in Germania. Allora gli omeopati lo
stimavano, tanto da ritenerlo il “secondo Hanemann”.
Dopo la stesura del libro sulle malattie croniche, scritto con l’assistente dr. Willer,
metterà in discussione la vivisezione e incoraggerà un’alimentazione vegetariana,
anticipando di molto orientamenti di tipo dietetici e morali. Solo il suo intuito,
ispirato e geniale, lo avrebbe portato a comprendere verità improponibili per la
scienza del tempo, il suo cruccio era di lavorare sulla malattia fisica, senza centrare
mai le vere cause che ne erano l’origine. Era convinto che la malattia non potesse
essere curata con i moderni metodi materialistici, per la semplice ragione che la sua
origine non è materiale: ciò che noi conosciamo come malattia è un evento finale
che si manifesta nel corpo come la risultante di una somma di forze che hanno
agito prima, a lungo e in profondità. Causa prima della malattia è lo stato mentale
di cui soffrono le varie tipologie umane. Sosteneva che il riequilibrio dello stato
emotivo alterato lo si poteva trovare nella semplicità dei rimedi naturali.
Il 1928 fu l’anno in cui nel Galles scoprì tre fiori che sarebbero diventati i primi dei
38 rimedi. A spingerlo fu un’intuizione, forse un impulso che ci appare misterioso,
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per cui cominciò a collegare i fiori alla personalità e al comportamento di
determinati pazienti. Incoraggiato dalla sperimentazione e dai risultati dei nuovi
rimedi completamente naturali, scelse drasticamente di abbandonare gli altri
metodi terapeutici e di avvalersi solo delle sue scoperte.
Sentì che il suo metodo non era ancora completo e, convinto che le piante che stava
cercando con proprietà medicinali appropriate si trovavano tra i semplici fiori
selvatici della campagna, nel 1930 all’età di 43 anni decise di abbandonare fama,
denaro, considerazione da parte dei colleghi, per iniziare un’ attività totalmente
diversa: strumenti del suo lavoro saranno l’ispirazione e l’intuizione divina. Mise
in atto il suo progetto rapidamente, in quindici giorni cedette il suo ambulatorio e
chiuse il laboratorio.
Da quel momento in poi la sua vita diventa un vero romanzo d’avventure, molti gli
attribuirono capacità di guaritore e lui stesso sentiva che inspiegabilmente, non
volontariamente, lo pervadeva una forte compassione e la necessità di imporre le
mani; la sua presenza portava un senso di pace e tranquillità. Partì dunque per il
Galles con una valigia piena di scarpe, che confuse con quella piena di pestelli e
mortai, ma presto sarà contento di questo errore, perché le scarpe saranno
l’equipaggiamento più importante. Negli anni successivi, infatti, percorrerà
centinaia di miglia a piedi osservando la gente e la natura.
La sua visione dell’uomo è costituita da tre elementi: anima, mente e corpo fisico.
La salute si trova attraverso la consapevolezza della propria posizione d’equilibrio
tra la terra e il cielo. Condizione fondamentale è ascoltare la piccola voce tranquilla
dell’Anima.
Bach considerava la sua professione di medico un’arte divina e decise di offrire il
proprio servizio gratuitamente, anche se in seguito soffrì molto per mancanza di
denaro. In un villaggio di pescatori a poche miglia da Pwllheli scrisse Guarisci te
stesso in cui spiega l’importanza della gioia di vivere, perché indica che l’individuo
sta vivendo la sua vita in modo completo, senza subire l’influenza altrui. A
Cromer, cittadina della costa del Norfolk, scoprì la maggior parte dei 12 rimedi che
chiamò i Dodici Guaritori.
Tornò a Londra nel 1932 per poter diffondere il suo metodo e aprì un ambulatorio,
presto pieno di pazienti. A Regent’s park, dove si ritirava a contemplare, scrisse
Libera te stesso in cui insegna in modo semplice e pratico come ascoltare e fidarsi
del proprio intuito. La tensione della vita londinese non faceva più per lui, perciò
riprese a percorrere le campagne individuando altri fiori. La scoperta di molti
rimedi avveniva attraverso il suo corpo: soffriva per giorni delle difficoltà fisiche e
psichiche riconducibili a un determinato rimedio e, una volta incontrato il fiore
giusto, ritrovava l’equilibrio, ma questa modalità di ricerca protratta nel tempo gli
procurerà un notevole indebolimento fisico. L’ambito medico non accettò le sue
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scoperte, perché il metodo era troppo semplice, così Bach decise di divulgarlo tra
la gente comune mettendo un annuncio sul giornale più venduto, perché sperava di
attirarne l’attenzione, ma sapeva che così facendo rischiava l’espulsione
dall’Ordine dei Medici.
A Cromer, tra il 1930 e il 1934, crebbe in lui una capacità predittiva e
chiaroveggente che gli permise, tra l’altro, di prevedere una tempesta e salvare dei
marinai in difficoltà… I pazienti lo vedevano in sogno o come apparizione… Tutti
questi eventi straordinari per lui erano la conferma del suo essere in contatto con la
Sorgente della Saggezza per cui nulla è impossibile.
Nel 1934 si stabilì in una piccola casa chiamata Mont Vernont, nel villaggio di
Sotwell non lontano da Wallinford (attuale sede del Bach Centre), e qui lavorò sui
rimanenti fiori. Tutti in paese lo vedevano come allegro e simpatico, un uomo dalla
straordinaria energia. Quando i pazienti divennero troppi, istituì tre assistenti Nora
Weeks, Victor Bullen, John Ramsell che divennero il suo gruppo di lavoro.
Nel 1936 l’Ordine dei Medici gli fece notare di non avere assistenti qualificati,
Bach risponderà che, se volevano cancellarlo dall’Ordine, avrebbe accettato di
buon grado, perché si riteneva “erborista” ed era determinato a insegnare alla gente
a curarsi da sola.
Fu allora che decise di tenere una serie di conferenze, per diffondere direttamente il
suo metodo ormai completo. Assieme ai suoi collaboratori iniziò la prima il 24
settembre 1936, il giorno del suo cinquantesimo compleanno. Verso la fine
d’ottobre cominciò a perdere notevolmente le forze e Nora Weeks, nella biografia
La vita e le scoperte di Edward Bach, scrive: “La sua meravigliosa vitalità, la sua
abilità nell’illuminare positivamente tutte le sue sofferenze, oltre alla sua grande
allegria e all’interesse per ogni cosa, indussero coloro che gli vivevano vicino a
sperare che si sarebbe presto rimesso, ma in realtà, egli diventava ogni giorno più
debole”. L’avventura di questa vita straordinaria si spense il 27 novembre 1936.
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BIBLIOGRAFIA
E. Bach, I Fiori curativi e altri Rimedi, Giunti editore (Salute e natura), Firenze, 2012.
N. Weeks, La vita e le scoperte di Edward Bach, Guna editore, Milano, 1996.
J. Howard, I Fiori di Bach per la salute della donna, Macro edizioni, Foggia, 1996-
www.bachcentre.com per i testi in inglese
www.bachcentre.it versione italiana del sito ufficiale della Dr.Edward Bach Fondation e del
Bach Centre.
www.iverifioridibach.it info su corsi della Fondazione ed elenco dei Practitioner italiani iscritti
nel Registro Internazionale della Fondazione.
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NOTE BIOGRAFICHE
ANNA VILLA
Psicologa-Psicoterapeuta ad orientamento junghiano e psicosomatico. Vive e
lavora a Treviso come libera Professionista. Nel 1996 fonda l’Associazione
Culturale Demetra, di cui è Presidente, che opera nel territorio trevigiano dal 1998
con iniziative teorico-pratiche volte all’integrazione psicosomatica.
Nell’associazione Demetra ha proposto negli anni Corsi per le donne sui temi del
Femminile attraverso la Tecnica Psicomotoria e le fiabe. Propone serate di Danze
Rituali come esperienze di Espressione, Movimento e approfondimento personale
di tematiche Inerenti la Consapevolezza di sé. È docente della Scuola di
Psicoterapia dell’ANEB, Associazione Nazionale di Ecobiopsicologia con sede a
Milano.
ALESSIA VEDELAGO
Erborista, specializzata in Fiori di Bach (Pratictioner iscritta nel registro
internazionale della Dr. Edward Bach Fondation).
SUSANNA RUBATTO
Laureata in lettere all’Università Ca’ Foscari (VE). Diplomata Counselor in
Psicosomatica Ecobiopsicologica all’ANEB (MI). Svolge la propria attività a
Treviso.
VALTER CARNIELLO
Psicologo e Psicoterapeuta con la specializzazione ad indirizzo psicosomatico. Si
occupa di ipnosi e ne studia le applicazioni cliniche. Da diversi anni segue
l’impostazione ecobiopsicologica. Nel 1997 fonda l’Associazione culturale IL
LABIRINTO. Lavora a Sacile e a Treviso, privatamente e per le Aziende Sanitarie.
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DEMETRA NEWS
ATTIVITÀ SVOLTE
L’equipe D.E.S. (Demetra Equipe Scuola), formata dalle dott.sse Anna
Villa, Laura Zanardo, Susanna Rubatto e dal dott. Valter Carniello, ha concluso a
maggio il Corso pratico per docenti sul tema “La gestione dell’Aggressività”,
presso l’Istituto Statale Istruzione Secondaria Superiore “Francesco Da Collo” di
Conegliano (TV). Sei incontri esperienziali che, utilizzando la Tecnica
Psicomotoria, hanno affrontati temi quali: L’Espressione di sé e Comunicazione,
La Natura del Corpo, Socializzazione e Meccanismi di Difesa, Aggregazione e
Gruppo.
La proposta ha avuto riscontri molto soddisfacenti da parte dei docenti, i
quali hanno saputo cogliere efficacemente lo spirito dell’approccio e, con apertura
e slancio, si sono addentrati nei vissuti che di volta in volta emergevano negli
incontri. Sperimentando in prima persona le parti profonde e a volte scomode
messe in gioco dall’aggressività, ne hanno anche saputo cogliere la forza assertiva
che in ciascuno di noi può permettere di interagire con gli altri nel rispetto del
proprio e altrui spazio vitale.
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“Io? Cieco? Ho perso la vista molti anni fa, questo è vero.
Ma non per questo sono cieco. Vedo le cose diversamente”.
(J. P. Sendker, L’arte di ascoltare i battiti del cuore)
L’Associazione Culturale Demetra ha organizzato in ottobre 2013 tre
serate di Danze rituali … danzare in cerchio e ritrovarsi… condotte dalla
dott.ssa Anna Villa. Linea conduttrice il tema che il periodo stagionale evoca:
Cambiamento come possibilità di assecondare la fase che segue l’esplosione
estiva e Introversione come possibilità di ritrovare quella centralità in noi che
possa sostenere le nuove stagioni e i nuovi ritmi più lenti di vita.
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ATTIVITÀ PER IL NUOVO ANNO
12° CONVEGNO
sabato 29 marzo 2014
L’Associazione Culturale Demetra organizza il 12° Convegno sul tema:
L’EMOZIONE DEL CREARE
LE VIE IMPOSSIBILI
Ha assicurato la sua presenza il Dr. Giorgio Cavallari Psicoanalista
Junghiano e Direttore scientifico dell’ANEB.
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Corso di Formazione Psicocorporea (in data da destinarsi)
APPROCCIO A SÉ
Un modo per conoscersi a partire dal corpo
L’Associazione Culturale Demetra si rivolge a quanti desiderano entrare in contatto
con se stessi e conoscersi più a fondo in un rapporto diretto, proponendo la
Psicomotricità Relazionale. L’attività intende favorire un’esperienza di incontro
con il proprio mondo interno che faciliti la percezione delle dinamiche soggettive
che si esprimono nel comportamento, che permetta di incontrare le radici
dell’energia vitale individuale e ne faciliti la manifestazione nel quotidiano. Tutto
ciò sarà possibile all’interno del gruppo che si formerà, attraverso esperienze
psicocorporee specifiche, nello scambio verbale delle sensazioni e dei vissuti,
nell’essere aiutati dalla conduttrice ad approfondire la propria conoscenza e
nell’avere l’offerta di chiavi di lettura teoriche che aiutino l’elaborazione personale
per una più ampia comprensione delle dinamiche psicologiche emerse.
Contenuti tematici
Fiducia, La natura del corpo, Individuazione, Identità, Comunicazione
Conduttrice del Corso: Dott.ssa Anna Villa, Psicologa-Psicoterapeuta.
Iscrizioni e Informazioni: telef. a Anna Villa ore 7,30-8,30 dal lun. al ven. tel.
0422-401853, o scrivere una mail a [email protected] N.B. Sono necessari tuta da ginnastica o abbigliamento comodo e pratico, una coperta,
calzettoni antiscivolo (si lavora senza scarpe).
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LUNEDÌ 05 MARZO Ore 21.00 PRESENTAZIONE DEL FILM:
“IN UN MONDO MIGLIORE” di SUSANNE BIER presso il Cinema Edera Piazza Martiri Belfiore 2 – Treviso; Costo ingresso: € 6,00
MERCOLEDÌ 07, 14 MARZO DUE LABORATORI DI ESPERIENZE PSICOCORPOREE:
“DALLA LUCE ALL’OMBRA DALL’OMBRA ALLA LUCE” Conducono: Dott.ssa LAURA ZANARDO e Dott.ssa ANNA VILLA
MERCOLEDÌ 21 MARZO LABORATORIO CREATIVO FOTOGRAFICO:
“DALLA LUCE ALL’OMBRA DALL’OMBRA ALLA LUCE”
Conduce: FRANCESCA DELLA TOFFOLA Fotografa
www.francescadellatoffola.it
Orario 20.30 – 23.00 presso la palestra della scuola elementare di S. Elena di Silea (TV); Costo: € 15,00 a serata + € 15,00 (Tessera Associativa)
L
L’Associazione Culturale Demetra opera nel territorio trevigiano dal 1998.
Le sue proposte mirano a sensibilizzare, formare e informare quanti manifestino interesse nella ricerca personale, individuale e sociale in ordine all’integrazione corpo-mente secondo una visione olistica della persona inserita in un suo contesto ambientale, in relazione con il mondo esterno circostante. L’Associazione ritiene che l’integrazione corpo-mente possa rispondere alla necessità esistenziale di benessere e di unità personale di cui ogni essere umano ha diritto e che questa si raggiunga attraverso la graduale acquisizione di consapevolezza, la maturazione della Coscienza. Negli anni sono state attivate esperienze corporee come Psicomotricità, Danze Rituali, Yoga, Teatro-Danza, Bioenergetica, Psicodramma Corporeo, e sono stati proposti Seminari di approfondimento e Convegni divulgativi su tematiche Psicosomatiche e Psicologiche di interesse generale e specifico per favorire la riflessione e una maggior conoscenza delle più recenti acquisizioni scientifiche inerenti a queste materie. Il Direttivo dell’Associazione è formato da Anna Villa e Laura Zanardo, psicologhe-psicoterapeute e da Enrico Marignani, avvocato. Le attività dell’Associazione sono sempre seguite con interesse; i suoi soci raggiungono il numero di 450 e nel corso degli anni la partecipazione, soprattutto ai Convegni, ha visto mobilitarsi tutto il territorio del Triveneto. Fin dall’inizio Demetra collabora con l’ANEB, Associazione Nazionale di Ecobiopsicologia che ha sede a Milano.
www.convegnodemetra.it
IL LABIRINTO nasce nel 1997 a Sacile (PN) con lo scopo di diffondere
la cultura e la ricerca nell’ambito della medicina psicosomatica. Le attività
didattico culturali dell’Associazione toccano punti fondamentali come: i disturbi psicosomatici, l'identità, la personalità, l'incidenza del mondo degli affetti sulla
salute psicofisica. Per affrontare nella loro globalità la salute e la malattia, è conveniente
ampliare la prospettiva d’intervento, cogliendo l'importanza dell'integrazione di
tutte le parti della persona: psichica, corporea, relazionale ecc. Un'altra caratteristica peculiare dell’Associazione è lo studio e l'utilizzo
di tecniche a mediazione corporea e l'ipnosi clinica. Nel corso degli anni si sono organizzati numerosi corsi di formazione in tecniche ipnotiche rivolte a medici e
psicologi, anche in collaborazione con l’Istituto di Ipnosi Clinica Bernheim di Verona.
L’Associazione Il Labirinto ha sede a: Sacile (PN) in via Meneghini, 3
tel. 348 3578 838 e_mail: [email protected]