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De sanguinis
Imperatoribus
Romanis
Percorso della città di Sepino sulle fila della discendenza imperiale dei Neratii
di Carla Romano
Il presente lavoro è dedicato al Dipartimento
di Diritto Romano e Filosofia del diritto
dell’Università di Napoli Federico II,
e in speciale modo ai Prof.ri
L. De Giovanni, M. De Pascale,
C. Pennacchio, F. Ciaramelli e A. Abignente
A una prospettiva del diritto che renda
sensibile il giurista al problema della storia
e delle funzioni sociali.
Il presente articolo è una produzione scientifica originale
e come il suo contenuto anche le fotografie in esso presenti sono frutto di ricerca.
Abstract
La tardo antichità ha sempre suscitato in Italia e all’estero l’interesse di diversi studiosi, ma è
sempre difficile interrogarsi circa i rapporti di sangue e le parentele che legassero gli imperatori
romani del III e IV sec. Per scoprirlo ci siamo recati nella città di Sepino, apparentemente periferia
marginale alle spalle della Roma imperiale, eppure è qui che gran parte della discendenza dei
Costantinidi e dei Valentiniani prende le mosse. Arriviamo ad un punto di svolta: gli imperatori
romani hanno sangue molisano, grazie ad una “politica del matrimonio”, promossa dalla celebre
Famiglia dei Neratii. Attraverso il racconto del percorso svolto nella città di Saepinum sulle fila
della discendenza imperiale dei Neratii è possibile ripercorre gran parte degli eventi che
interessarono i secoli di cui ci occupiamo.
The Late Antiquity has always aroused in Italy and abroad the interest of several scholars, but it is
always difficult to ask the blood relationships and the relationships between Roman emperors of the
third and fourth centuries. To find out, we went in the city of Sepino, apparently marginal periphery
behind the imperial Rome, yet it is here that most of the descendants of Costantinidi and
Valentiniani builds on. We come to a turning point: the Roman emperors have Molisan blood ,
thanks to a "marriage policy", promoted by the famous family of Neratii. Through the path that we
initiated in the city of Saepinum about to the ranks of the imperial lineage of Neratii, we can
retraces most of the events that affected the centuries that we deal.
La città di Sepino è situata nella località dell'Altilia, nella provincia di Campobasso.
Prima di delineare quelle che sono le prerogative e caratteristiche principali dell’ argomentazione
che svolgeremo, urge attuare una descrizione del tipo di popolazione che prendiamo in analisi.
Questa società per sua stessa natura è per lo più dedita all'agricoltura e all'allevamento, dopo un
lungo periodo di domesticamento finalmente riuscì ad ottenere una stabile agricoltura; tutte le loro
conoscenze passarono alle popolazioni circostanti, non per assoggettamento e dunque per conquista
bensì per irradiazione culturale. Erano dominati da un unico individuo che in sé rappresentava sia la
figura di amministratore che di capo militare, ma nel corso del tempo queste due figure vennero a
dividersi. Essendosi fortificati dal punto di vista militare cominciarono ad attuare una politica
espansionistica a spese dei territori circostanti ed oltre, appropriandosi dei diversi territori ed
entrando pertanto in contrasto con le popolazioni locali (contrasto che non si risolse ma si perpetrò
per diverso tempo fino ad arrivare alla metà del secolo V. La natura del territorio spiega perché
l’80% delle cause tratta di furto di bestiame lamentato dai potenti di Sepino in un rapporto di
comunicazione diretta con Roma. L’imperator rappresentava il cosmos; in relazione ad una
simile potestas non sussiste una differenza tra la dura lex (dura lex sed lex, tratto dall’invito di
Socrate) e ius, ma la persona stessa dell’imperatore personifica il tutto, compreso questo
contrasto. Ecco perché i membri più potenti della città di Sepino hanno bisogno di creare un
rapporto personalistico in contatto con il potere. Spesso si legge sui pochi papiri pervenuti un
dato: la richiesta di potere usare il nome imperiale per fare rispettare la legge e in caso si
inadempienza ricorrere ai ripari attraverso corpi con funzione di polizia e il ricorso solo
successivo alla magistratura che operava il iudicare in nome dell’imperatore, oramai svuotata
da ogni funzione che potesse ricondurla allo stesso valore giurisdizionale cui era adibita ai
tempi della Res publica Populi Romani. Effettivamente la Famiglia dei Neratii vede evolvere il
suo potere all’interno di un meccanismo di potere che spiegheremo a breve.
Ma chi sono gli abitanti di Sepino, dove si innesta il potere di questa Famiglia? E che vuol dire
rapporto diretto con il potere di Roma?
La stabilizzazione delle popolazioni e l'attenuarsi delle lotte interne aveva portato a una ripresa
economica e sociale che fu causa ed effetto del generalizzarsi delle innovazioni tecniche: nacquero
nuovi strumenti di attacco per i buoi e per i cavalli; si procedette all'utilizzazione del ferro come
strumento da lavoro e si svilupparono tutte le altre tecniche volte a favorire l'agricoltura e
l'allevamento sul territorio.
La città si caratterizza per un ampio ingresso la cui iscrizione superiore Fig. 1, genericamente
dedicata all'Augusto di turno, lascia comprendere una pratica molto diffusa, da parte della famiglia
più potente, Neratii, di ingraziarsi il potere attraverso dediche e varie elargizioni. Prima di queste ed
altre considerazioni, l'analisi dell'urbanizzazione della città risalente per lo più al IV secolo ci lascia
intravedere uno specchio del passato. E' da ritenere che all'ingresso principale fosse localizzata la
guardia della città in un numero maggiore.
Sorprende come pochi metri oltre si affaccino le Terme, centro di benessere e piacere, forma di cura
del corpo che non pochi riflessi produce sulla vita politica e amministrativa delle città che se le
concedono. Seneca le critica come ambienti portatori di voci e rumori che non lasciano riposare gli
sfortunati padroni delle case vicine e non a caso queste sono situate proprio poco prima della zona
di mercato. Molto probabilmente, si ipotizza in questa sede che si tratti, data la collocazione, di
Terme di benvenuto, destinate ad un’utenza non aristocratica Fig. 2.
(2).
Quest'ultima deve essere divisa tra lato destro e lato sinistro, noi lo suddividiamo così: sul lato
destro o secondario si concentra la zona del “mercato aperto” Fig. 3, cioè di tutti quei negotii
sprovvisti di relativa copertura causa intemperie, al contrario sul lato sinistro o primario (perché
spesso disposti lungo le facciate delle domus) si stanzia il “mercato chiuso”, si tratta di botteghe con
vendita probabilmente a dettaglio di cibi, bevande, pane, vino ed altri cibi cotti; (Tabernae) e
macella sulle quali si stanzia una copertura volta a protezione dell'acquirente per i motivi di cui
sopra (comodo potere acquistare i prodotti nelle botteghe con tutta calma mentre fuori piove,
estremamente moderno!), Fig. 4.
(3)
Mercato aperto o secondario e mercato chiuso o primario in prospettiva Fig. 4.
(4)
Analizziamo sotto un altro aspetto lo scatto precedente: oltre la porta principale, dall'entrata al
centro, si può agilmente constatare che la pavimentazione è rimasta intatta, compresi i solchi in cui
passavano le ruote dei carri Fig. 5, 6, 7.
(Fig. 5)
(6)
(7)
(8)
Finita la zona di mercato, si stanzia innanzi agli occhi la zona pubblica, nella quale troviamo
collocato, il cuore vivo e pulsante della città; qui è presente il foro, da sei colonne ioniche separato
dalla demarcazione della basilica per metratura 3 per 20. La basilica databile IV sec. aveva funzione
amministrativo-giuridica.
Dunque, nella zona pubblica si concentra la vita amministrativa, politica e sociale retta per lungo
tempo dai Neratii, i quali anche qui hanno provveduto ad un'altra iscrizione, simile a quella situata
all'entrata, più tarda ed anche qui l'iscrizione è molto generica, non è dedicata ad un Augusto in
particolare; quasi si potrebbe dire che lo scopo sia una dedica generalmente astratta al potere di
Roma. Alcuni pezzi dell'iscrizione non sono stati posti in modo da completare la dicitura; alcuni
risultano mancanti, altri invece non sono stati collocati a causa della mancanza molto probabile di
fondi e attrezzature. Sullo stesso perimetro risiede un edificio di cui si ignorano le funzioni,
permane invece un bellissimo mosaico, in parte rimodernato con i marmi di Carrara, le uniche
lettere leggibili sono però “CH” al di sotto delle quali si stanzia una “I”. In questa sede ipotizziamo
tre probabili soluzioni: 1) l’ingresso alle Terme del Foro, con la relativa dedica pavimentale, spesso
del tutto peculiari. “CH” potrebbe stare per Chrono o Chronos e “I” come INHOCC; 2) l’ingresso di
una villa romana appartenente ad una Famiglia aristocratica, probabilmente quella dei Neratii; 3)
tempio come estensione del Foro in elogio alla città con funzione commerciale, monumentale e di
rappresentanza. Insomma di difficile definizione a causa della mancanza di indizi, ma data la
collocazione nell'urbanizzazione della città possiamo solo presupporre un asservimento a una
funzione prevalentemente pubblica.
Zona pubblica, Foro e Basilica Fig. 9, 10, 11, 12.
(9)
(10)
(11)
(12)
Questa può definirsi forse la parte più ricca della città lungo la quale si stanziano resti di antiche
villae romane, una delle quali deve in particolare modo colpire, la villa che abbiamo qui chiamato
“con cisterna”. Questo tipo di villa è importante per due motivi, il primo è che in essa permangono
le stanze di cui si compone e il secondo motivo risiede proprio nella cisterna di origini romane sotto
la quale ne troviamo un'altra di origini sannite; ciò lascia intendere la voglia dei conquistatori
romani di non travolgere il passato e di non distruggerlo, ma di costruire, di costituirsi come
modello positivo in una città da rimodellare secondo le proprie esigenze pur preservandola nella sua
stessa natura. I Romani, dunque, come modello positivo di civiltà, un modello attivo, Fig. 13, 14,
15, 16, 17 (Foto “Villa con Cisterna”).
(13)
(14)
(15)
(16)
(17)
Anche se per collocazione temporale tali opere pubbliche non sono d’intersezione con il nostro
lavoro, è interessante notare: la Fontana del Grifo, Fig. 20, 21 databile intorno al I secolo,
costituisce un inno al destino dei gladiatori attraverso la dedicatio alla Dea Nemesi. Diverse dediche
alla famiglia dei Neratii si stagliano in questa parte della città cui sussegue quello che in Italia
costituisce un unicum, ovverosia la Ruota macina grano, databile IV secolo, Fig. 18, 19,
probabilmente non ne esistono altre che si sono preservate così bene nel tempo in Italia.
(18)
(19)
Fontana del Grifo
(20)
(21)
Abbiamo nominato spesso uno dei nuclei familiari forse tra i più potenti della città di Sepino se non
della località dell'Altilia, ma chi erano in realtà i Neratii e come si imposero nei secoli avvenire fino
ad innestare la loro discendenza nei nuclei imperiali dei Costantinidi e dei Valentiniani?
Questa Famiglia, fin dagli albori della sua fondazione, era dedita a una forma perspicace di
evergetismo. Si tratta di una sorta di mecenatismo, il cui diretto obiettivo è l'associazione del
proprio nome al potere stabilito: lo dimostrano le iscrizioni che si trovano al centro della città e
nella zona pubblica. Tale forma di asservimento al potere si sviluppa sostanzialmente su due piani,
uno verticale e uno orizzontale, quello verticale riguarda l'avvicinamento al potere di Roma, l'altro,
quello orizzontale implica la spendita del nome imperiale per attuare i principi di giustizia e
corretta amministrazione oltre che l’investimento della propria pecunia per accrescere i fasti della
città di provenienza.
E' una forma di assoggettamento al potere che lo travolge e diventa esso stesso potere. Questo
perché la famiglia dei Neratii non è indifferente. Citiamo qui le osservazioni di Antonio Gramsci a
proposito delle possibilità dell'indifferenza.
Tali considerazioni nascono dal presupposto che l'indifferenza al potere, genera essa stessa un vuoto
che può trasformarsi, in una sostituzione del potere stesso sia essa nel bene o nel male sarà l’assenso
sociale a stabilirlo.
“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può
non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita.
Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera
potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può
contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta
che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa
degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare,
lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e
l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e
la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti,
sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del
quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era
stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente,
ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far
valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo? Odio gli indifferenti anche per questo:
perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come
ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e
specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la
mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze
della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la
catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità,
ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre
i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli
indifferenti”(1).
(1) Antonio Gramsci Editore: Chiarelettere Anno edizione: 2011
Pagine: XIX-108 p. , Brossura EAN: 9788861901742
La nobile Famiglia però deve la sua ascesa al potere ai legami instaurati con la città da cui
proveniva. Si è detto che “L'attività scientifica è materiata per grandissima parte di sforzo
fantastico; chi è incapace di costruire ipotesi non sarà mai scienziato. Anche nell'attività politica ha
grandissima parte la fantasia; ma nell'attività politica l'ipotesi non è di fatti inerti, di materia sorda
alla vita; la fantasia in politica ha per elementi gli uomini, la società degli uomini, i dolori, gli
affetti, le necessità di vita degli uomini. Se uno scienziato sbaglia nella sua ipotesi, poco male, in
fondo: si perde una certa quantità di ricchezze di cose: una soluzione è precipitata, un pallone è
scoppiato. Se l'uomo politico sbaglia nella sua ipotesi, è la vita degli uomini che corre pericolo, è la
fame, è la rivolta, è la rivoluzione per non morire di fame. Nella vita politica l'attività fantastica
deve essere illuminata da una forza morale: la simpatia umana; ed è aduggiata dal dilettantismo,
cosi come fra gli scienziati. Dilettantismo che è in questo caso mancanza di profondità spirituale,
mancanza di sentimento, mancanza di simpatia umana. Perché si provveda adeguatamente ai
bisogni degli uomini di una città, di una regione, di una nazione, è necessario sentire questi bisogni;
è necessario potersi rappresentare concretamente nella fantasia questi uomini in quanto vivono, in
quanto operano quotidianamente, rappresentarsi le loro sofferenze, i loro dolori, le tristezze della
vita che sono costretti a vivere. Se non si possiede questa forza di drammatizzazione della vita, non
si possono intuire i provvedimenti generali e particolari che armonizzino le necessità della vita con
le disponibilità dello Stato. Si scaglia un'azione nella vita: bisogna saper prevedere la reazione che
essa sveglierà, i contraccolpi che essa avrà. Un uomo politico è grande in misura della sua forza di
previsione: un partito politico è forte in misura del numero di uomini di tal forza di cui dispone”. (1)
Traendo le conclusioni di questo discorso la conoscenza approfondita delle proprie origini ha
condotto la Famiglia di una provincia così lontana per tradizione da Roma (eppure così vicina) al
potere della Città per eccellenza.
Assoggettamento – trasformazione – sostituzione --> potere. Hans Jonas l'aveva così definito
nella prospettiva futuristica del dominio tecnologico:
“Il Prometeo irresistibilmente scatenato, al quale la scienza conferisce forze senza precedenti e
l'economia imprime un impulso incessante, esige un'etica che mediante autorestrizioni impedisca
alla sua potenza di diventare una sventura per l'uomo. La consapevolezza che le promesse della
tecnica moderna si sono trasformate in minaccia, o che questa si è indissolubilmente congiunta a
quelle, costituisce la tesi da cui prende le mosse questo volume. Essa va al di là della constatazione
della minaccia fisica. La sottomissione della natura finalizzata alla felicità umana ha lanciato con il
suo smisurato successo, che coinvolge ora anche la natura stessa dell'uomo, la più grande sfida che
sia mai venuta all'essere umano dal suo stesso agire. Tutto è qui nuovo, dissimile dal passato sia nel
genere che nelle dimensioni: ciò che l'uomo è oggi in grado di fare e, nell'irresistibile esercizio di
tale facoltà, è costretto a continuare a fare, non ha eguali nell'esperienza passata, alla quale tutta la
saggezza tradizionale sul comportamento giusto era improntata. Nessuna etica tradizionale ci
ammaestra quindi sulle norme del «bene» e del «male» alle quali vanno subordinate le modalità
interamente nuove del potere e delle sue possibili creazioni. La terra vergine della prassi collettiva,
in cui ci siamo addentrati con l'alta tecnologia, è per la teoria etica ancora terra di nessuno. In
questo vuoto (che è nel contempo anche il vuoto dell'odierno relativismo dei valori) si colloca
l'indagine qui presentata. Che cosa può fornire un criterio? Lo stesso pericolo prefigurato dal
pensiero! In questo suo balenarci incontro dal futuro, nella prefigurazione delle sue estensioni
planetarie e delle sue durevoli conseguenze sull'uomo, è possibile scoprire alfine i principi etici da
cui sono desumibili i nuovi doveri del nuovo potere. Definisco ciò «euristica della paura». Soltanto
il previsto stravolgimento dell'uomo ci aiuta a cogliere il concetto di umanità che va preservato da
quel pericolo. Sappiamo ciò che è in gioco soltanto se sappiamo che esso è in gioco. Poiché qui non
si tratta soltanto del destino umano, ma anche dell'immagine dell'uomo, non soltanto di
sopravvivenza fisica, ma anche di integrità dell'essere, l'etica che ha la funzione di salvaguardarle
entrambe dev'essere, al di là della dimensione della prudenza, quella del rispetto (Ehrfurcht). La
fondazione di una tale etica, non più legata alla sfera direttamente interpersonale del presente, deve
estendersi alla metafisica, a partire dalla quale soltanto si potrà porre la questione del perché gli
uomini debbano esistere nel mondo, del perché quindi valga l'imperativo incondizionato di
assicurare la loro esistenza futura. L'avventura della tecnologia con le sue imprese arrischiate fino
all'estremo costringe ad assumersi il rischio di una riflessione spinta all'estremo. Qui si tenterà tale
fondazione, in \ contrasto con la rinuncia positivistico-analitica della filosofia contemporanea.
Nell'ambito dell'ontologia verranno risollevate le antiche questioni concernenti il rapporto fra essere
e dover essere, causa e scopo, natura e valore, per ancorare nell'essere, al di là del soggettivismo dei
valori, il nuovo obbligo dell'uomo. Tuttavia il tema vero e proprio è costituito dalla comparsa stessa
di questo nuovo obbligo, sintetizzato nel concetto di responsabilità. Pur non essendo certo un
fenomeno nuovo in ambito morale, la responsabilità non ha mai avuto un tale oggetto e finora anche
la teoria etica se ne è occupata poco. Sia il sapere che il potere erano troppo limitati per includere il
futuro più lontano nelle previsioni e addirittura il globo terrestre nella coscienza della propria
causalità. Anziché interrogarsi oziosamente sulle remote conseguenze in un destino ignoto, l'etica si
è concentrata sulla qualità morale dell'atto momentaneo stesso, nel quale il diritto del prossimo che
condivide 2 la nostra sorte ha da essere rispettato. Nel segno della tecnologia, però, l'etica ha a che
vedere con azioni (sia pure non più del soggetto singolo) che hanno una portata causale senza
eguali, accompagnate da una conoscenza del futuro che, per quanto incompleta, va egualmente al di
là di ogni sapere precedente. A ciò si aggiunge la scala delle conseguenze a lungo termine e spesso
anche la loro irreversibilità. Tutto ciò pone la responsabilità al centro dell'etica, con orizzonti
temporali e spaziali corrispondenti appunto a quelli delle azioni. Per questo la teoria della
responsabilità, a tutt'oggi una lacuna, costituisce il centro dell'opera. Dall'ampliamento della
dimensione futura della responsabilità attuale consegue il tema conclusivo: l'utopia. La dinamica del
progresso tecnologico mondiale in quanto tale racchiude in sé, tendenzialmente se non
programmaticamente, un utopismo implicito. E la sola etica caratterizzata da una visione globale
del futuro che già esista, il marxismo, ha elevato appunto, nel suo legame con la tecnica, l'utopia a
fine esplicito. Questo impone una critica approfondita dell'ideale utopico. Poiché esso ha dalla sua i
più antichi sogni dell'umanità e ora sembra trovare nella tecnica anche i mezzi per tradurre in
pratica il sogno, l'utopismo un tempo innocuo è diventato la tentazione più pericolosa — proprio
perché idealistica — per l'umanità odierna. All'immodestia dei suoi obiettivi, che mancano il
bersaglio sotto il profilo sia ecologico che antropologico (com'è dimostrabile per l'uno e
argomentabile filosoficamente per l'altro), il principio responsabilità contrappone il compito più
modesto, dettato dalla paura e dal rispetto, di preservare all'uomo, nella residua ambiguità della sua
libertà, che nessun mutamento delle circostanze può mai sopprimere, l'integrità del suo mondo e del
suo essere contro gli abusi del suo potere. [Prefazione a il principio responsabilità]”(2).
La responsabilità civile per i Neratii si è trasformata, in breve tempo, in una responsabilità politica e
sorprendentemente furono i rami plebei a prendere in mano le sorti di Roma, ma analizziamo.
Vediamo come si diramano i tre ceppi plebei cui facciamo riferimento.
(2) Hans Jonas Il principio responsabilità. Un'etica per la civiltà tecnologica,
curato da P. P. Portinaro, Biblioteca Einaudi 2002, ISBN 8806164430
Tre sono i rami plebei della Famiglia dei Neratii che attraverso la politica della "marriage policy"
riuscirono ad innestarsi nelle dinastie imperiali dei Costantinidi e Valentiniani:
1. Neratius Flavianus, nel 311 fu nominato Praetor Urbi.
2. Neratius Cerealis, nel 328 fu nominato Praetor Annonae, nel 352-353 Praetor Urbi, nel 358
Console, nonostante tale carica fosse ormai priva di un significato che non fosse
strettamente onorifico. Diede in moglie sua sorella, Galla a Iulius Costantinus, fratellastro di
Costantino I; il padre Costanzo Cloro aveva vissuto con la concubina Elena, dalla quale era
nato Costantino. Nel 293 Costanzo Cloro sposò Teodora allo scopo di rafforzare i precari
rapporti politici tra caesar e augustus: da quest’unione nacque Giulio Costanzo. Costantino,
preoccupato che i nipoti potessero avanzare pretese al trono ne condannò molti alla morte
per tradimento. Dall’unione di Iulius Costantinus e Galla nacque Costanzo Gallo
(fratellastro di Giuliano l’Apostata). Costantino, al fine di mantenere il potere, fece
assassinare il figlio di primo letto Crispo, avuto dalla nobile Minervina, per una presunta
relazione intrattenuta con la sua seconda moglie Fausta e da lei denunciato di insidia (Fausta
era figlia di Massimiano, prezioso alleato di Costantino contro Massenzio). Alla morte di
Crispo anche Fausta fu assassinata (dicono le fonti, mentre faceva il bagno a causa dell’alta
temperatura dell’acqua). Dal 351 le usurpazioni contro Costanzo II si fecero più frequenti e
questi, in vista di un rafforzamento del suo potere, nominò cesare il cugino Costanzo Gallo.
Di questi poi venne ordinato l’arresto e l’esecuzione per tradimento accusato da alti
funzionari della corte di Costanzo.
3. Neratius Iustus, consularis Piceni, diede in moglie sua figlia Giustina a Valentiniano I, dalla
loro unione nacque Valentiniano II. Quando l’Impero faticò a mantenere i suoi limes
Giustina alla morte del marito, tutrice del figlio di appena quattro anni, si assicurò la
protezione di Teodosio I dandogli in moglie la prima figlia, Galla che divenne madre
adottiva di Onorio (futuro sovrano d’Occidente) e Arcadio (futuro sovrano d’Oriente). Da
Treviri in poi il potere fu saldamente mantenuto da Graziano, figlio di primo letto di
Valentiniano. Galla diede alla luce tre figli: Graziano nel 388 morì ancora infante, Galla
Placidia e Giovanni causa del cui parto nel 394 Galla morì (non sopravvisse nemmeno il
bambino).
Membri della casata imperiale di Roma appartenenti alla discendenza molisana:
Giuliano l’Apostata (adottivo)
Costanzo Gallo
Valentiniano II
Onorio (adottivo)
Arcadio (adottivo)
Graziano (infante)
Galla Placidia
Giovanni (?)
Le Famiglie imperiali
Dinastia costantiniana (306-363)
Nome
Costantino I Flavio Valerio Costantino
Costantino II Flavio Claudio Giulio Costantino
Costanzo II Flavio Giulio Costanzo
Costante I Flavio Giulio Costante
Giuliano (figlio di Iulius Costantinus
e fratellastro di Costanzo Gallo)
Flavio Claudio Giuliano
Casata di Valentiniano e di Teodosio (364-395)
Nome
Valentiniano I Flavio Valentiniano
Valente Flavio Giulio Valente
Graziano Flavio Graziano
Valentiniano II (figlio di Valentiniano I
e di Giustina, figlia di Neratius Iustus)
Flavio Valentiniano
Teodosio I (marito di Galla, figlia di
Giustina)
Flavio Teodosio
Proposta:
Riteniamo che scavi e ricerche più approfondite possano portare alla riscoperta totale della città di
Sepino. E questo non solo perché permangono alcuni dubbi, ma anche laddove è chiaro che l’unico
modo di interloquire con il passato non sia fare ipotesi, ma scavare più a fondo.
In questa figura notate, ad esempio, l’incompletezza della seconda iscrizione. Anche questa molto
generica, dedicata non all’Augusto, ma ad un Augusto. Senza dubbio di età postuma rispetto a
quella presente su Porta Bojano, ma se il dedicatario rimane generico non lo stesso può dirsi del
dedicante: Neratii. I pezzi dell’iscrizione non sono stati tutti rinvenuti e posti sulla debita struttura
in ferro, che rimane quasi vuota, come si potrà notare sullo sfondo; alcuni di questi, che
aiuterebbero meglio a comprendere il significato dell’iscrizione sono sparsi sull’erba circostante.
Facciamo notare, inoltre, che Porta Bojano, viene definita “entrata principale” della città. Noi
riteniamo invece che questa Porta non sia che una di molteplici entrate e che non debba essere tra
queste considerata la prima; se infatti così non fosse sarebbe da presumere, come abbiamo
sottolineato nelle pagine iniziali, la presenza di guardie a difesa della città. Ed è proprio per questo
motivo che la collocazione delle Terme di Silvano lascia intendere la possibilità che quell’entrata sia
solo una della cinta a più porte di accesso e forse non anche la Porta principale (sarebbe più facile
ipotizzare un’entrata ad accesso facilitato, meno impervio rispetto al sentiero o con una
pavimentazione più agile); chi mai infatti potrebbe rilassarsi se alzando lo sguardo potesse
imbattersi in soldati o addirittura in hostibus? La collocazione delle Terme si spiega in una
contestualizzazione cittadina a più porte d’accesso, di cui Porta Bojano potrebbe non costituire
unica entrata principale.
D’altronde la confusione potrebbe essere nata e nascere a causa degli spostamenti architettonici
operati nell’età medievale. Molto spesso accadeva che per costruire edifici pubblici o privati nel
Medioevo ci si appropriasse di tutto il materiale che l’epoca romana avesse lasciato in eredità,
specialmente il prezioso e duraturo marmo, le pietre e i bellissimi mosaici bizantini. E’ più che
probabile che dove oggi sorgono abitazioni risalenti ai primi tre secoli dell’anno Mille siano state
operate molte variazioni dal punto di vista urbanistico e topografico. Si noti attentamente la figura
che segue nella pagina successiva: questa viene indicata come “fine” della città alle cui spalle, ad
oggi è sito un parcheggio per chi volesse sostare nella parte più antica del borgo.
Non abbiamo molte informazioni riguardanti la città di Sepino. E molte sono le parti mancanti nella
ricostruzione della sua storia. Manca, ad esempio, lo spazio dedicato ai giochi gladiatori. Possiamo
solo ipotizzare, sulla lettera della legge romana, che lo spazio a ciò dedicato fosse da individuare
nella zona pubblica, laddove la grandezza dell’Anfiteatro non lo concedesse, come nel nostro caso.
Presumibilmente fu la zona antistante all’Anfiteatro. Si ponga l’attenzione sulla Fig. contenuta nella
pagina che segue.
Al di là dello spazio che intercorre tra la parte antistante e la propria entrata, troviamo il Teatro.
Possiamo anche qui ipotizzare, data la scarsità di informazioni, che le Famiglie più potenti della
città se ne servissero per creare un legame con la cittadinanza, una sorta di reciproco
riconoscimento in una morale e/o in una coscienza sociale e civile il cui fine fosse facilmente
riconoscibile attraverso la catarsi dello spectaculum.
Si rilascia la pianta nella pagina che segue.
Concludiamo nel dire che secondo noi, Sepino ha molto in comune con Nola, in speciale modo
un’ipotetica suddivisione in lotti che ci pare molto verosimile in questo contesto. A partire dalla fine
della città, nella zona più nuova risalente all’epoca Medievale.
Bibliografia
Samnium, assetti e trasformazioni di una provincia tardo antica, Di Italo M. Iasiello;Matteini Chiari
M., s.v. Sepino; Sepino in Enciclopedia Treccani, S.A. Morcelli de stilo Inscriptionum Latinarum
Libri III; Fana, templa, delubra, Matteini Chiari e Valeria Scocca; Cracco Ruggini, A. Giaridina
(eds.) Storia di Roma. L’età tardo antica i luoghi e le culture. Matteini, Saepinum, Museo
documentario dell'Altilia.