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Daniela Casarini Ombre sdrucciole poesia Catania 2010

Daniela Casarini - Ombre sdrucciole

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Poesia contemporanea

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Daniela Casarini

Ombre sdrucciole poesia

Catania 2010

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Proprietà letteraria di Daniela Casarini

a cura di Sebastiano A. Patanè

collana “i quaderni delle Vie”

per “le vie poetiche”

In copertina:

Ramificazioni acr. su tela (50x60)

di Daniela Casarini

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I quaderni delle Vie

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Presentazione

In questo quaderno delle Vie, che presentiamo, non c’è una sequenza di poesie

bensì una mini silloge, un discorso poetico che Daniela Casarini ci canta col suo

inconfondibile tono. Con schemi inediti, come sempre, La Casarini muove spazi

a suo piacimento senza tenere conto degli estremi, che sfiora, è con eventualità

di suono ma anche col posizionamento della parola sul margine minimo dello

scivolamento verso l’ermetico. Ma vola, il verso, con queste grandi ali fornite

dall’autrice, eliminando ogni forma di zavorra, spogliando la sintesi,

smembrandola per poi prenderne l’essenziale e trasformarla in poesia pulita,

senza alcuna impurità, senza pregnanti.

Daniela Casarini, scrive senza chiedersi se il suo pensiero possa essere

tradotto facilmente, “la poesia non va spiegata, è il lettore che coglie le

emozioni nelle parole e le fa sue attraverso la propria sensazione” mi scrive in

una lettera, per cui non è difficile capire che non si parla di poesia super

elaborata, ma di espressione pura che imbarca il lettore in un viaggio al di fuori

delle sfere ordinarie.

Il posizionamento, lo schema, non è certamente casuale, ogni verso segue la

sua direzione e trova i suoi luoghi poetici, per dare al testo il significato

intrinseco che lei, la poetessa, vuole assolutamente dare.

Personalmente amo la scrittura della Casarini che riesce a suscitare vive e

sostanziali emozioni, senza che per questo ne soffra la sintassi o la tematica.

La ritengo poesia completa dal titolo alle sospensioni finali che lei non vuole

chiamare “chiuse”.

le vie poetiche

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scrivimi una poesia aurorale, che mi chiami

con il nome dei mulini a vento

Ombre sdrucciole

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qui il vento incurva d’eucalipto ogni foglia

vola d’altalena

il desiderio di toccare il cielo. così mi chiedi di spingerti più in alto ché degli occhi possa cambiare azzurrità la notte diventare blu, dolcemente unire le finestre voci di uomini e bambini

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il sonno tramuta l’oro in escursioni quando la parola si fa cielo, principio d’Africa, capricorno sugli affreschi dei mulini a vento ora vedi come scende la lingua d’uragano, il dormiveglia

che compone. scompone.

la madre coi suoi pizzi, la giocondità delle dita trapunta seta gialla la voce fanciullina, che argenta i tulipani

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ove nacque come incantesimo doppio si diceva

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freddo e ancora, qui seduta con un’aureola d’acero alla schiena tu che parli dell’addio, del tempo da incollare agli steccati di croci, gettate alle veglie come un galleggiare promiscuo di bandiere

la voce disperata prende forma da vertebre protese dentro simili a dita, ferite dalle negligenze il tuo sonno entra fra le gambe, mi afferra il respiro per non dirti -fiutiamo i bucati, mettiamoci le intimità del corpo, i baci, la paura

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ora è la distanza, ma ti sento, acceso sulla tribolazione. sui crolli della casa terrazzamenti a metà tra il vomito e il tremore

non esce grido. la mano, l’orlo del sopportare futurismi a can che corre

fotogramma transito verso l’agonia

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e buio sento/ lago sottilissimo di ghiaccio

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mare con te sulla pelle. gli occhi ruotano il REM, come oceani la mano tra i miei ponti la voce diviene uterina, lenta, va e torna come il neon di un’insegna

(assenzio mare, provincia) il bar si colora coi pastelli di Degas, le sottane increspano di terre tropicali col loro sciabordare rasi, fra passaggi strettissimi verrà il trasloco quanto l’alba sgocciola catrame. bollente. colerà sullo sfondo di muscoli caduti prove per essere un eroe e mitigare la piena, i raccolti persi, la morte

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ed è il giorno

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giorno dopo le notti sudate corpo senza corpo di un’agonia che ha amato solo la luna così vertigini, così tonde negli amori/scivoli

la vetrina il letto

di traverso. la valigia al muro come un condannato, quando resta solo

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vado ritrovando i suoni, un viale perpendicolare alba d’uomo col fucile, un po’ incosciente un po’ dannato. lo sparo che scardina i silenzi di una finestra aperta su cancelli e transumanze

come se fosse il sole a richiamare le capre il pane carasau stipiti e sangue nei vestiti l’odore del mare e delle greggi

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presto avremo dei chiodi, la corona per una festa che non sarà il natale, ma un taglio di traverso sul petto con la mano mi aprirò la scollatura per essere meno maldestramente una Maddalena che prende i respiri dal pane. mulino spago, spiga lamelle di un'ostia tra le labbra dello sposo sotto i camminamenti sento l’equatore la planimetria del destino cingermi il costato il sangue melagrana attorno a un lutto che cresce anche sul legno

sulle unghie dei tarli ormai radici

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le voci dentro la conchiglia fanno domande, come mareggiate

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girerò nel senso della simmetria per il mio spirito soldato spillo sui livelli d’acqua in cui s’annega un silenzio sovversivo il freddo sulla punta delle dita mi nasconde tra parole piccolissime

sono indecisa se spogliarmi o rimanere vestita mentre la fronte accascia su di un palmo e l’altra mano scrive la sua ombra, come un profeta finito tra i carteggi di un amore virtuale

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