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1 IL MONDO SARA’ SALVATO DALLA BELLEZZA E DALLA TENEREZZA ROVIGO 2 giugno 2015 Turoldo: quando mi dissero il drago è certo insediato al centro del ventre come un re sul trono, bene , mi dissi, facciamo l’elenco delle cose che contano davvero. E l’elenco è tanto breve. In quell’elenco ultimo che cosa c’era scritto: la poesia ovvero la bellezza, l’amicizia ovvero la tenerezza, la fede combattiva di Turoldo. Nella prova emerge il cuore. Da questa nostra crisi odierna, una sofferenza in cui è in dubbio perfino la tenuta etica del nostro paese e delle nostre case, delle persone, non si esce se non per le stesse vie: la bellezza e la tenerezza, come nel bel titolo dell’incontro, e la fiducia.

DALLA BELLEZZA E DALLA TENEREZZA - Centrofamiglia · sei bella’ noi in realtà gli stiamo dicendo ‘io ti amo’. È ciò che Dio dice al ... Ad essere teneri si impara. Tenerezza

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IL MONDO SARA’ SALVATO

DALLA BELLEZZA E DALLA TENEREZZA

ROVIGO 2 giugno 2015

Turoldo: quando mi dissero il drago è certo insediato al centro del

ventre come un re sul trono, bene , mi dissi, facciamo l’elenco delle cose che contano davvero. E l’elenco è tanto breve.

In quell’elenco ultimo che cosa c’era scritto:

la poesia ovvero la bellezza, l’amicizia ovvero la tenerezza,

la fede combattiva di Turoldo.

Nella prova emerge il cuore. Da questa nostra crisi odierna, una sofferenza in cui è in dubbio perfino la tenuta etica del nostro paese e delle

nostre case, delle persone, non si esce se non per le stesse vie: la bellezza e

la tenerezza, come nel bel titolo dell’incontro, e la fiducia.

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Bellezza C’è una bellezza che salva l’uomo in una pluralità di modi. Il primo

dono della bellezza è gioia, la bellezza dà un piacere disinteressato, e ciò

che converte l’uomo è sempre un’attesa di più gioia.

Fare esperienze di bellezza induce un’emozione positiva che è forza del cuore. È sant’Agostino: L’uomo segue quella via dove il suo cuore gli

dice che troverà la felicità.

la forza vincente nelle decisioni vitali deriva dalla convinzione che compiendo quell’azione avrò più gioia; vincente è il piacere che deriva

non dalla soddisfazione di avere eseguito un ordine ricevuto, ma dall’aver

raggiunto un incremento di vita, un’intensificazione dell’esistenza. Per secoli, abbiamo sospettato del piacere, pensando che Dio non fosse

amico della gioia, ma del sacrificio.

Sgombriamo l’idea che il vangelo sia contro il piacere. Il piacere è una porta per la felicità. Un dono di Dio. Tutti i piaceri sono benedetti, tranne

una piccola fetta, che fa male e che preclude la strada per la felicità. E per capirlo c’è un criterio molto semplice: è quella fetta di piaceri che è

senza amore o che va contro l’amore (droga, sesso a pagamento, alcolismo,

narcisismo, fare l’amore senza amore) tu lo senti nel cuore quando manca l’amore in un piacere.

LA GUERRA AL BRUTTO

Mons Bregantini, scrive nel suo libro: Non possiamo tacere. LE

PAROLE E LA BELLEZZA PER VINCERE LA MAFIA (2011) “Arrivi in certi paesi della Calabria e della Sicilia e la prima cosa che noti è un

disordine edilizio, una sporcizia per le strade, una trascuratezza delle

spiagge, in contrasto tra la bellezza della natura, del cielo, dei segni antichi dell’arte, e l’incapacità degli uomini di preservare la bellezza dei luoghi.

E ti accorgi che i paesi più brutti, più sciatti, più disordinati sono quelli

dove più forte è il potere della mafia. Come se la bruttezza rivelasse tragicamente quel desiderio di violazione

che c’è nel cuore del mafioso.

La trascuratezza diffusa diventa, dice mons Bregantini, il primo punto su cui far leva per opporsi alla violenza.

Il primo impegno: fare la guerra al brutto. Farla al degrado, al

disinteresse, alla volgarità nel tratto e nella parola, che portano allo spappolamento dell’armonia sociale, a un disagio reciproco.

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Non solo dispiacersi per il brutto, ma lottare contro.

La guerra al brutto e alla insensibilità è un fatto etico, non semplicemente

estetico, è un fatto politico e civile. È una battaglia culturale, di lungo respiro, quindi.

Una battaglia etica. La mancanza di gusto è un fatto morale.

Il brutto è l’oggettivazione di un animo avido e meschino. Il brutto nasce da élites ignoranti o malvagie.

Questa cura della bellezza vale anche per le nostre case. Nelle antiche isbe russe, l’angolo dove erano conservate di generazione in generazione le

icone della famiglia, era chiamato l’angolo della bellezza.

Virtù metropolitana e domestica insieme è la cultura della bellezza, prenderci cura della bellezza della città dove abitiamo e della casa dove

viviamo, a partire dalle piccole cose, dalle cartacce a terra, dallo sporco sui

muri, opporci alla trascuratezza, custodire e curare le cose. Noi costruiamo le case, ma poi le case costruiscono noi, condizionano il sentire.

Se alziamo lo sguardo dalla nostra casa alla casa del mondo, incontriamo situazioni e persone che vivono l’esatto opposto di bellezza e

tenerezza. È l’ISIS, il Califfato Nero, i terroristi dello stato islamico che

esibiscono la loro crudeltà con gli sgozzamenti dei prigionieri e in parallelo distruggono, con ogni mezzo disponibile, le opere d’arte dei siti

archeologici conquistati. Il brutto e il crudele si sono abbracciati in una

minaccia unitaria alla vita. Perché io credo? Perché Dio è stato la cosa più bella che ho incontrato.

La fede è acquisire bellezza del vivere. Acquisire che è bello

vivere, amare, abbracciare, seminare, lavorare, avere amici, godere e soffrire per un figlio, è bello essere su questa terra barbara e magnifica,

umanità che si libera, ascende, si illumina.

Perché tutto ha senso, il senso della vita è positivo, questo senso scorre verso l’eternità.

Ho incontrato un Dio bello! Solare attraente seducente!

Invece noi abbiamo ridotto Dio in miseria. Il dramma della nostra religione in Occidente è l’impoverimento di Dio. Lo abbiamo ridotto,

scusate il paragone ma mi capirete, ce lo immaginiamo a rovistare nei

cassonetti della spazzatura delle vite, interessato più al peccato che alla gioia dell’uomo, a distribuire minacce e premi.

Ridipingere l’icona di Dio è forse il compito più urgente della Chiesa

contemporanea. La via regale è quella della bellezza e della tenerezza.

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Non c’è fede viva e vera che non discenda da uno stupore, da un

innamoramento, da un: che bello! Gridato a pieno cuore.

Dio muore di noia nelle nostre chiese... Esame di pastorale del giovane prete....

Il nomos originario, la legge primitiva della bellezza è nell’atto

d’amore. L’amore è sempre bello. Quando noi diciamo a una persona ‘tu sei bella’ noi in realtà gli stiamo dicendo ‘io ti amo’. È ciò che Dio dice al

mondo per sette volte nei primi sei giorni della creazione: che bello! È Dio che dice al mondo: io ti amo.

Tenerezza

Tenerezza che cos’è? Noi la collochiamo nel mondo delle emozioni e dei sentimenti. Ma essa non è un’emozione è un atteggiamento.

La tenerezza di cui parliamo non va intesa come un sentimento, ma come

una virtù. Una virtù infatti non è un dato di fatto, come avere gli occhi verdi o

nocciola. È un habitus, dicevano i latini, una abitudine a comportarsi in un

certo modo. Un habitus che si raggiunge progressivamente, giorno per giorno, attraverso una diuturnitas, una perseveranza, un lavoro, un

esercizio, una ascesi.

Ad essere teneri si impara. Tenerezza non è un possesso, è una conquista. Teneri si può diventare, allenandoci a pensieri, parole, gesti della

tenerezza, come una abitudine. Si può essere eroi per caso, una volta, ma

non si può essere teneri per caso.

La tenerezza è la lingua universale dell’uomo.

Da Gerusalemme, dalla mattina di pentecoste, rimbalza fino a noi una sorpresa, uno stupore: Com'è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra

lingua nativa?

Qual è la lingua nativa dell’uomo, quella che anche i bambini capiscono, che anche gli animali capiscono? È il linguaggio della tenerezza. La

lingua più universale sotto il sole.

Ogni creatura impara per prima questa lingua, in ogni paese della terra, in ogni epoca della storia. È la prima, e sarà l’ultima alla quale ci

aggrapperemo alla fine della vita. Una lingua che non è fatta di parole ma

di gesti.

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Saper parlare nel linguaggio dell’amore significa possedere il dono

delle lingue, poter essere compresi da tutti.

«Se tu ascoltassi un istante la lezione del cuore, faresti lezione ai teologi» (Gialâl ad-Dîn Rûmî).

TENEREZZA COMBATTIVA Felice formula verbale di papa Francesco: il cristiano esprime una

“tenerezza combattiva”(Ev Ga 85).

Si oppone al male, combatte tutto ciò che fa male ai figli di Dio, non è mai passivo, ma opera con lo stile della tenerezza, della delicatezza inerme e

indomita, che non si arrende, mai succube “dello spirito cattivo della

sconfitta” (EG85). È lo stile di santa Maria nel Magnificat. Che canta: Rimanda i ricchi, rovescia i potenti, abbassa i superbi, ma non

li bastona, non li prende a male parole, non li imprigiona. Non fa loro del male, toglie invece proprio quello che già fa loro del male.

Tenerezza combattiva implica mettere al centro di tutto non le mie idee di

futuro, ma il volto dell’altro, la sua presenza fisica che interpella, la carne con il suo dolore e con la sua gioia contagiosa.

La bella notizia del vangelo è la rivoluzione della tenerezza, che è poi

l’unica lingua comune dell’umanità, detta in una pluralità di dialetti quanti sono i linguaggi umani.

Che cosa ha rivelato Gesù ai piccoli?

Non una dottrina, ma il racconto della tenerezza di Dio (Ev Ga 88). E nel fazzoletto di terra che abitiamo, nella casa che illuminiamo, noi

siamo il racconto della tenerezza di Dio. Della sua combattiva tenerezza.

Ma come si distingue l’amore vero? La risposta di Rilke è molto bella: Ti ama davvero chi ti obbliga a diventare il meglio di ciò che puoi diventare.

Con combattiva tenerezza. Il marito e la moglie, la madre e il figlio,

l’amico e l’amico, il laico e il prete: vero amore è quello che ti costringe ad essere il meglio di ciò che puoi essere.

Già nella sua infuocata Lettera a un giovane cattolico, lo scrittore tedesco

Heinrich Böll lamentava la mancanza, tra i messaggeri del cristianesimo, della tenerezza verbale, emotiva, perfino teologica.

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Invece quanti annunciatori del vangelo sono dei burocrati delle

formule, funzionari delle regole e analfabeti del cuore! Anche le liturgie

sono senza tenerezza. Formali e separanti.

Forse anche il deficit attuale di vocazioni religiose è dovuto a un deficit di

felicità nelle nostre chiese e nelle nostre relazioni. Che è in fondo un deficit di tenerezza. Osservate: chi è tenero è contento; chi è rigido è

infelice, sta male al mondo. Gesù infatti era rigoroso, ma mai rigido: “diffida dell’uomo rigido, è un traditore” (Shakespeare).

Tutti i fondamentalisti, di qualsiasi religione, ce n’è tanti tra noi, tra i preti

anche, gli integralisti quelli che non sono mai teneri con nessuno e neppure con se stessi, sono duri e violenti perché sono degli infelici. Stanno male al

mondo: il mondo è tutto corrotto, tutto va male, vedono il diavolo

dappertutto. Non conoscono la fragilità e la misericordia. Dove c’è misericordia c’è Dio. Dove c’è rigore forse ci sono i ministri di Dio, ma

Dio non c’è, Deus deest (S. Ambrogio). Burocrati delle regole e analfabeti

del cuore umano.

Il Figlio di Dio nella sua incarnazione ci ha invitato alla ‘rivoluzione della

tenerezza’ (EG88). Dalle sue mani fioriscono i gesti della tenerezza,

quando posa le sue mani sui malati, quando tocca mani labbra occhi orecchi,

quando stende un petalo di fango sugli occhi del cieco, saliva e polvere

mescolati come una carezza di luce, come una piccola creazione che ricomincia, fango e intimità.

Quando accoglie carezze profumate di nardo...

Quando si lascia toccare da bambini e donne e stranieri. Toccare segna la fine della paura e della distanza.

L’amico ti tocca, disarmato e disarmante, con lui puoi essere te stesso,

lasciar cadere ogni maschera. Solo chi ti tocca nell’intimo è in grado di cambiarti la vita.

Chissà se il poeta Ezra Pound aveva in mente proprio Gesù quando

scriveva: “accetterò la tua verità purché si sposi con la tenerezza”. Questo è il sogno di Dio: che nessuno degli annunciatori sia senza

capacità di dare e ricevere tenerezza, di toccare e lasciarsi toccare nel

cuore, che nessuno sia solo, nessuna chiesa sia senza festa del cuore.

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Per farlo, partire sempre da me, dalla mia fragilità, per l’annuncio, allora

non sarai mai aggressivo, violento, ma sempre rispettoso di ciascuno. La

mia fragilità mi aiuta a far meglio il prete. Il modo in cui annunci è già annuncio. Io sono così fragile da aver sempre bisogno di amore.

FRAGILITA’

Per la fragilità l’uomo cerca aiuto, cerca legami e appoggiando una fragilità all’altra si sorregge il mondo.

Due semiarchi di Leonardo da Vinci...

La fragilità è l’origine della voglia di legame, di comprensione, di amore. I sentimenti sono l’essenza della fragilità, ed è la fragilità che li genera.

La fragilità non spinge a vincere. La fragilità conosce gli ultimi e non

soltanto i forti. La fragilità non crede alla forza, alla potenza, sa che è solo simulazione, un ballo in maschera per nascondere la paura.

L’amore invece è fatto di due insicurezze che si perdono dentro un insieme

che si fa roccia. È l’esperienza in cui l’altro diventa salvezza, e contemporaneamente il salvato salva colui che lo salva. È bellissimo

l’amore e solo la fragilità lo coglie.

I genitori salvano il bambino, il bambino salva loro. Il potente non sa amare. L’uomo di ferro è freddo, sa legare per

sottomettere. Il potere non sa amare perché si fonda sulla cultura del

nemico. Senza questa categoria il potere diventa miseria. Il vangelo intende eliminare perfino il concetto stesso di nemico: ama il tuo nemico.

Io sono tanto poco potente, tanto fragile da pensare sempre all’amore, e “io

sono la libertà di lasciarmi amare” (Barsacchi) La fragilità non è un difetto, un handicap, ma l’espressione della

condizione umana.

La fragilità non debolezza, non è povertà, non è incapacità di fare o di pensare, non è una menomazione, è semplicemente una visione di un

mondo che non si divida più in vincitori e vinti, dove il vincitore è il più

forte, il più violento, il più crudele, il più micidiale. Ma un mondo dove il vincitore è chi da e riceve amore. Su questo si pesa

la realizzazione della vita.

La fragilità è una risorsa di vita che fa apparire la ricerca di potere come una anomalia, capace di generare odio e inimicizia tra gli uomini e tra le

nazioni. E mondanità nella chiesa.

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La società della fragilità non è fatta di vincitori e di perdenti, ma di

accoglienti.

Cerco un Dio della fragilità, che rida e gioca con i suoi figli nei caldi giochi del mare e dell’estate. Un Dio che sa ascoltare e aspettare vicino a

me che temo il dolore e il deserto. Un Dio piccolo, non l’onnipotente, che

mi renda ricco con la sua povertà. Il dio dei potenti, il re dei re, l’eterno, non mi interessa, voglio il dio che

mi seduce con la sua bellezza, un Dio bello. Innamorato. Non voglio un Dio che si erga nella giustizia assoluta, nella potenza

illimitata, nella perfetta intelligenza. Sarebbe un Dio che non prova il

bisogno di accarezzare mentre si produce un lamento di dolore. Invece il mio Dio è Gesù: che conosce la pressione della paura, il dolore del rifiuto,

la passione dell’abbraccio.

E mi concede il diritto di essere debole, canna incrinata, lucignolo fumigante, di non essere un eroe. E non mi condanna se la mia fiamma è

debole, ma prende questo mio filo di fumo, presagio di fuoco possibile, e

lo lavora e lo protegge, fino a che ne fa sgorgare di nuovo la fiamma. Non finisce di rompere la canna incrinata che io sono, ma la fascia come fosse

un cuore ferito

Le tracce della tenerezza nel vangelo UNA RAGAZZA INNAMORATA

Andare da Maria è andare a scuola di cristianesimo.

Il primo episodio della vita di Maria, menzionato dal Vangelo, è il suo matrimonio con

Giuseppe. La parola greca ‘emnemeustene’ indica la prima parte del matrimonio, che aveva due

tempi in Palestina, accordo e coabitazione.

Maria è la donna del ‘sì’; ma il suo primo ‘sì’ l’ha detto a Giuseppe, solo in un secondo

momento ha pronunciato il suo ‘sì’ a Dio.

Maria entra in scena come moglie ed ha amato con cuore di carne un uomo. Se crediamo che

il suo essere sposa non sia stata una finzione ipocrita, ma un autentico matrimonio santo. In castità e

tenerezza.

Maria entra in scena come una sposa che crede nell’amore, è una ragazza che sapeva amare,

appassionata.

Non si parla mai di Maria come sposa o moglie, per timore di metetre a repentaglio la sua verginità.

Ma dal vangelo, di Maria sappiamo due cose: ha un amore e una casa.

Noi possiamo fare a meno di molte cose, ma non di una casa. Possiamo essere poveri di tutto,

ma per vivere abbiamo bisogno di amore, anzi «di molto amore per vivere bene» (J. Maritain).

Se non amiamo non viviamo, dice san Giovanni nella prima lettera.

Povera di tutto, Dio non ha voluto che Maria fosse povera d’amore.

L’amore ha sete di eternità e interpella il perché dell’esistenza. Christos Yannaras scrive:

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«Se ti sei innamorato una volta, sai distinguere la vita dalla sopravvivenza. Sai che

sopravvivenza significa: mangi il pane e non ti tieni in piedi, bevi l’acqua e non ti disseti, tocchi le

cose e non le senti, annusi il fiore e il suo profumo non arriva alla tua anima. Se però l’amato è

accanto a te, tutto risorge e la vita ti inonda con tale forza che ritieni il vaso di argilla della tua

incapace a sostenerla. Questa piena della vita è l’amore. Ed è la sola pregustazione del Regno.

Perché solo se esci dal tuo io, sia pure per gli occhi belli di una zingara, sai cosa domandi a Dio e

perché corri dietro di lui»1.

Maria si è innamorata di Giuseppe, per questo stesso fatto si è aperta al mistero di Dio.

La ragazza è entrata nelle cose dell’amore ed entra ora nelle cose di Dio. L’innamoramento è

la sola esperienza mistica che è concessa alla maggioranza degli uomini e delle donne. Vera

mistica: perché esci dal tuo io, estasi vuol dire uscire da sé, perché ami l’altro più di te stesso, ed è

cosa da Dio, perché sogni l’eternità per il tuo amore, ed è il sogno di Dio per noi.

Se c’è qualcosa sulla terra che apre la via all’assoluto, questa cosa è l’amore, luogo

privilegiato dove ancora arrivano angeli a dire che l’impossibile è diventato possibile. Il cuore è la

porta di Dio.

Ogni evento d’amore è sempre decretato dal cielo.

Forse per questo la parola Dio è sempre stata coniugata con la parola «amore».

Proprio perché innamorata, esperta di tenerezza, Maria può percepire il messaggio, il sussurro

dell’angelo.

L’annuncio alla coppia.

Secondo Luca l’annunciazione è fatta a Maria, secondo Matteo a Giuseppe. Chi ha ragione?

Sovrapponiamo i due Vangeli e scopriamo che l’annuncio è fatto alla coppia, allo sposo e alla sposa

insieme, al giusto e alla vergine innamorati l’uno dell’altra.

Dio è all’opera nelle nostre relazioni d’amore, parla dentro le famiglie, dentro le nostre case,

nel dialogo, nel dramma, nella crisi, nei dubbi, negli slanci, nella tenerezza, quando insieme i due

piantano giardini, piantano piccole oasi di verità e di amore, che sottraggono il cuore al rischio del

deserto.

Dio non ruba spazio alla famiglia, non ferisce, cerca questo sì plurale, che diventa creativo

perché è la somma di due cuori, di molti sogni e del molto tenace lavoro che domanda la tenerezza

reciproca.

Infatti è la coppia, non il singolo che è immagine di Dio. Maschio e femmina li creò, a sua

immagine. Immagine e somiglianza, riflesso del volto del Creatore non è la forza di Adamo, non è

la bellezza di Eva, ma è la loro relazione, il racconto della tenerezza reciproca, nella quale ognuno

diventa per l’altro ‘salvezza che gli cammina a fianco’.

Questa è la traduzione della parola: facciamogli un aiuto che gli sia simile...una salvezza al

suo fianco.

La tenerezza che ricevi è salvezza al tuo fianco.

La tenerezza che regali è salute per la vita di chi ti sta a fianco.

Dare e ricevere amore è ciò su cui si pesa la felicità di questa vita.

IL CANTO

Penso al canto e alla danza del magnificat. Mi stupisce, m’incanta che in Maria, nella prima dei

credenti, la visita di Dio abbia l’effetto di una musica, di una lieta energia, di una armonia tra cuore

e corpo, che muove alla danza.

1 Ch. Yannaras, Variazioni sul Cantico dei cantici, Interlogos, Schio (VC) 1994, p. 25.

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Mentre noi istintivamente sentiamo la prossimità di Dio come un dito puntato, come un esame da

superare, Maria sente Dio venire come un tuffo al cuore, come un passo di danza a due, una

stanchezza finita per sempre, un vento che fa fremere la vela della vita: l’anima danza per il mio

amato.

Da dove viene la gioia di Maria? È incinta e ha capito; corre da Elisabetta ed ha capito. Ha capito

Dio. Dio è innamorato delle sue creature. Il Dio innamorato ha una sola vocazione: non giudicare,

ma far fiorire la vita. In tutte le sue forme.

GESU’: LE PAROLE DELLA TENEREZZA

a.1 Abbà.

Tutte le preghiere di Gesù che gli evangelisti ci hanno tramandato

(sono 60) iniziano con questa parola: Padre, che è una delle espressioni

inconfondibili di Gesù. Perché inconfondibile, se tutte le religioni, da sempre – i Sumeri, gli

Egizi, i Greci, i Romani -, hanno usato il termine Padre riferito alla

divinità? Se questa parola raccoglie il senso di precarietà e di dipendenza di ogni creatura sotto il sole? Se anche gli Ebrei nell'A.T., e ancor più

spesso al tempo di Gesù, si rivolgevano a Elohim chiamandolo Padre,

sentendosi figli? Ma il rapporto di Gesù con il Padre è unico. Da parte sua diceva:

"Abbà", parola aramaica, nella lingua materna di Gesù, quella di casa,

imparata a Nazaret. Abbà è la parola con cui i bambini in casa chiamano il papà; fuori casa, il figlio che incontra il genitore, lo chiama "Signore". In

casa, invece anche il figlio sposato si rivolge al genitore con "abbà". È la

parola più confidenziale, più affettuosa, più familiare, è il ‘papà, il babbo’ di ogni bambino.

Non ha la solennità della lingua liturgica: in sinagoga si pregava Dio

dicendo: "abinu" (padre nostro, in ebraico) o più semplicemente: "ab". Ma Gesù nel colloquio con Dio usa il linguaggio dei bambini e non quello dei

rabbini; usa la lingua di casa e non quella dei testi solenni: usa il dialetto

del cuore. Il vocabolario della tenerezza. A nessuno passava per la mente di adoperare questa espressione familiare

e domestica per Dio: "papà, babbo". Suonava come mancanza di rispetto verso il Signore e invece ha colpito gli evangelisti, e san Paolo, al punto

da volerla riferire nella lingua originale, con quel suono preciso, come una

reliquia sonora della tenerezza di Cristo, da non smarrire mai. Proprio per

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conservare lo specifico, l’inaudito modo di parlare con Dio di Gesù (Rom

8,15; Gal 4,6).

a.2 rahamin eleos

Cercare nella bibbia cosa sia e come si eserciti la misericordia è uno degli

esercizi più belli e più benefici per la fede. In ebraico misericordia si dice rahamin, il termine che indica le viscere, il

grembo della madre che dà la vita, l’utero che nutre e alimenta ogni vita. Per estensione viene ad indicare la sede dell’amore materno.

Il grande teologo J.B. Metz fa osservare una cosa straordinaria: nel

vangelo il primo sguardo di Gesù non si posa mai sul peccato degli uomini che incontra, il suo primo sguardo si posa sempre sulla povertà

e sulla soffernza degli uomini. Per soccorrerla. La terra non ha bisogno

di giudici, ma di samaritani. Mossi dal dolore. Il primo sguardo di Gesù va sempre sul dolore. Anche da risorto. La prima cosa che vede sono le

lacrime di Maddalena, e le prime parole: donna perché piangi. Lacrime

tesoro di Dio. Le mie lacrime nell’otre tuo raccogli (Sl 54). Turoldo: Dio naviga in un fiume di lacrime. Nel vangelo ricorre più spesso il

termine poveri, bisognosi e malati, che non peccatori. Non è moralista il

vangelo. Siamo noi che lo abbiamo moralizzato. E da qui germoglia la misericordia che indica la reazione emotiva di Dio

di fronte al male che ha colpito la sua creatura, e il comportamento che ne

risulta. Reazione di tenerezza di madre. Tenerezza che non è il semplice perdono dei peccati, ( ti perdono, perché

sono buono; dimentico; Dio non perdona come uno smemorato ma come

un innamorato di te e del tuo futuro e della tua primavera e del cuore bello che hai). Non il semplice perdono, ma molto di più, esprime il compito di

madre che ha Dio nei nostri confronti, creazione che continua, vita

alimentata, qualcosa di creativo che avvolge l’uomo e lo protegge e lo fa crescere, come un seno materno, che nutre, intesse, culla, fa felice il suo

bambino.

In greco: eleos. Kyrie, eleison. È al più antica, la prima, la più evangelica delle preghiere riportate dal nuovo testamento. Signore, abbi pietà. Ma

‘pietà’ non tanto del peccatore che sono perdonando, ma molto di più pietà

della vita che pinage, del dolore che provo, delle lacrime che bruciano. Kyrie eleison: Sentiti madre, invocano i poveri. Dammi vita. Fammi

rinascere, fammi vivere!

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a.3 Doppio linguaggio

Mi ha sempre colpito il fatto che nel Vangelo Gesù ha due linguaggi che

sembrano contradditori. Quando si rivolge al gruppo dei discepoli o alle

folle mette davanti l’ideale esigente, alto rigoroso: amate i vostri nemici; siate perfetti come il padre; meglio per lui se si legasse una macina al

collo.

Quando invece si rivolge alla singola persona egli è solo accoglienza e misericordia. Dice il vostro parlare sia sì sì no no, il resto è del diavolo, ma

quando va da lui Nicodemo, di nascosto, per paura, ombra nella notte non

punta il dito contro la sua mancanza di coraggio, ma gli dice che può nascere di nuovo e rispettando la sua paura lo farà coraggioso al punto di

presentarsi a Pilato a chiedere il corpo del crocifisso. Chi dice stupido al

fratello sarà condannato alla Geenna, ma alla adultera dice le sette parole che bastano possono a cambiare una vita: va e d’ora in avanti non peccare

più.

Contraddizione? No, l’ideale resta ma la tenerezza di Gesù si esprime nell’indicare il primo passo possibile. Martini... Gesù mette la persona

prima della verità astratta: è l’uomo per il sabato o il sabato per l’uomo?

S. Weil ha colto così bene questa rivelazione da scrivere una frase luminosa: mettere la verità prima della persona è l’essenza della

bestemmia.

Non nascondere la tua debolezza, ma costruiscici sopra. Quando i giapponesi riparano un oggetto rotto, valorizzano la crepa

riempiendo la spaccatura con dell’oro.

Essi credono che quando qualcosa ha subito una ferita ed ha una storia, diventa più bello. Questa tecnica è chiamata "Kintsugi."

Oro al posto della colla. Metallo pregiato invece di una sostanza

trasparente. quel corpo rotto si riempie di vene di luce. E la differenza è

tutta qui: occultare l'integrità perduta o esaltare la storia della

ricomposizione? Riconciliazione? Chi vive in Occidente fa fatica a fare pace con le sue crepe.

"Spaccatura, frattura, ferita" sono percepiti come l'effetto di una colpa.

Ma ogni ferita può diventare feritoia. La Vita è integrità e rottura insieme, perché è ri-composizione costante ed

eterna.

Possiamo Rendere belle e preziose le "persone" che hanno sofferto... questa tecnica si chiama "amore" e tenerezza. Ricomporre le famiglie...

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I giapponesi che hanno inventato il Kintsugi l'hanno capito più di sei secoli

fa - e ce lo ricordano sottolineando in oro la ferita..

Così il vaso è molto più bello, con le sue ferite luminose.

Questa tecnica non tenta di mimetizzare la crepa, ma la valorizza riempiendola d’oro. Oro invece di una colla invisibile, a far finta che non sia successo niente. E qualcosa che ha subito una ferita, che si è rotto, può diventare più bello che non da nuovo. Le ferite, feritoie di bellezza e d’oro. Non nascondere le tue debolezze, ma costruiscici sopra!!! Tutti noi possiamo contribuire e ricomporre le "persone" che hanno subito lacerazioni, versando oro che è "amore, ascolto, condivisione". Come quelle di Cristo risorto, dalle quali non esce più sangue ma luce. Ho visto persone dal molto dolore diventare più preziosi, dopo, se

qualcuno lo accompagna con tenerezza unita a rispetto. Un volto buono

che ha pianto. Questa è la bellezza che salverà il mondo (Dostoewski).

Lo Spirito sta facendo nascere un cristianesimo altro, rappresentato da te e

da me quando sappiamo coniugare amore per Dio e amore per la vita. Lo

Spirito fa nascere gente che sappia apprezzare la bellezza e la sacralità di tutte le cose, a partire dal corpo, senza sospetti, senza timori inutili, senza

condanne e pessimismo.

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Ricordo un dialogo tra don Zeno, il fondatore di Nomadelfia, e il

nostro padre Vannucci, uno dei mistici più alti del Novecento. Erano

insieme a una finestra del nostro collegio romano sul Gianicolo e parlando guardavano il grande viale alberato che sale da Trastevere. Videro a un

certo punto due fidanzati che salivano e salendo si baciavano. Poi

riprendevano il cammino, si fermavano di nuovo e si abbracciavano sotto i grandi platani del viale. Noi come avremmo reagito? Ma un po’ di pudore,

che diamine! Ci sono bambini che passano! Fatelo in un angolo nascosto! Daremmo voce al fariseo, al moralista che è in noi. Invece padre Vannucci

disse: “Il giorno in cui tu vedendo due creature che si baciano dirai: sia

benedetto Iddio perché nel mondo ci sono due creature in più che si amano, quel giorno tu sarai molto avanti nella vita spirituale!”

Possiamo applicarlo a molte situazioni affettive irregolari, secondo la

legge. E se il cristianesimo è questo, che ama l’alfabeto della vita, se tu

sarai un cristiano così, allora una gioia lucente uscirà da te e andrà sul

mondo come una benedizione.

4. La vita in pienezza non esiste senza gli affetti. Superiore all’affetto

non c’è nulla. Val più una goccia di affetto che un mare di spiritualità. Tutti abbiamo debiti d’amore e quelli dovranno passare sempre innanzi ai

così detti interessi spirituali. Di un segno di affetto ha estremo bisogno

l’animo umano. Si pensa a dare il pane. Sì. Ma chi domanda pane può non averne bisogno estremo; di questo pane ha invece bisogno ogni cuore

stanco…E ogni cuore è stanco (Sorella Maria).

E in ogni nostra battaglia per essere persone che amano e sono

vive, Dio è con noi. Nel cuore della vita. E possiamo stare sicuri che

ogni nostro tentativo d’amare porterà frutto.

Bibbia e metafora nuziale

Dall’in principio alla fine, il cuore segreto della Bibbia, ciò che sorregge

tutta la Scrittura, è una trama nuziale, una utopia sponsale. I profeti che interpretano la storia sacra e l’alleanza in chiave nuziale - Osea, Ezechiele,

Geremia, Isaia, il Cantico dei Cantici, il Battista amico dello Sposo, e Gesù

stesso offrono la chiave riassuntiva dell'intero arco della storia della salvezza: la storia di due mendicanti uno d’amore ed è Dio, l’altro d’amore

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ed è l’uomo. fino all’ultima immagine: l’agnello è pronto alle nozze e

pronta è la sua sposa. Già Antonio Rosmini, scrivendo Storia d’amore, aveva capito che la storia della salvezza si può leggere solo nella categoria

nuziale. Perché in fondo da quando Dio ti mette in vita, ti invita alle nozze

con lui. Ognuno a suo modo sposo.

Nei mistici – donne o uomini non fa differenza - il momento più alto

coincide con le nozze con Dio. Dentro e fuori il cristianesimo. Come il

mistico musulmano Al- hallaj che fa coincidere l’approdo della sua mistica con le nozze con Dio. Non è un caso che sia stato bruciato come eretico.

Dobbiamo allora cambiare il paradigma della fede, dal paradigma di colpa vergogna paura/perdono, sostituirlo con il passare dal disamore/amore.

l’asse portante della storia non è il peccato e il giudizio, ma il paradigma

dell’unione amorosa, fino a che Dio sia tutto in tutti. E nulla, nessuno, mai ci separerà dall’amore.

La tenerezza è la veste nuziale di questo amore. L’amore umano nel

matrimonio è buono se nel corso degli anni non diventa duro o aspro, ma matura in due cose: tenerezza e fedeltà.

Mazzanti: Le coppie non andrebbero più in crisi se veramente

interiorizzassero che il loro volersi bene prelude ad un ben altro sposalizio;

le tenerezze, le coccole, l’unione fisica acquisterebbero un altro spessore, se le coppie comprendessero che il corpo dell’altro è destinato alla

resurrezione, se capissero che le loro carezze non sono poi così diverse dal

gesto con cui Dio ha plasmato il corpo dell’Uomo e della Donna. Pensate: una carezza che crea, capace di plasmare l’altro!

La metafora nuziale dice anche che la Fede è piacere di amare e di

essere amato. Una teologia del piacere si inaugura come ultimo approdo. Una benedizione sul corpo dell’uomo e della donna. Il piacere di credere,

credere è acquisire bellezza della vita!

I profeti: Osea, Isaia, Geremia intercettano spesso gli amori coniugali in

uno stadio avanzato, cioè quando la coppia è in crisi, quando ormai è

logorato il suo patto, quando patisce i mutamenti del cuore che, come dice Geremia, è fallace, difficilmente guaribile, incomprensibile. Quando

l’amore finisce o si stempera, allora arrivano i profeti. Proprio questo

momento è l’inizio, è quell’attimo in cui la bellissima arroganza dei profeti

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scommette che inizierà una storia di salvezza. È una pretesa, è un’audacia,

è un’impudenza: Dio viene lì.

Per questo possiamo dire che la salvezza è una discesa di Dio, una penetrazione di Dio nelle fratture umane, un mettersi in gioco del cielo con

le spaccature della terra, le fenditure della roccia, là dove la terra appare

nelle sue crepe (Rosanna Virgili). Dove l’umanità si apre attraverso degli abissi che hanno bisogno di

qualcuno che non si scandalizzi, di un Dio che non si ritiri dalle crepe dell’umano a causa dell’errore o dell’amarezza. Dalla bocca dei profeti ci

viene descritto questo Dio mentre viaggia verso l’umanità alla ricerca di

quelle crisi, fratture, ferite che intende fasciare con le sue bende di luce. Credo in Dio caduto sul mondo come un bacio (Benedetto Calati) E

incontrarlo non sarà come inginocchiarsi davanti al trono di un

imperatore ma come il bacio vergine dell’universo. Come baciare tremando la sorgente vergine dell’universo (Mallarmè).

Fine

«Gesù percorreva la Galilea annunciando la buona novella – cioè

l’amore – e curando ogni malattia» (Mt 4,23). L’amore non dà una spiegazione dell’universo, non è la giustificazione della storia, non fa

nascere scienziati o filosofi. Fa ben di più. Non giustifica, ma fa vivere.

Non spiega, ma guarisce. Non impone nulla, ma crea uomini veri. Chi gusta l’amore, anche se si sentiva morire, può rinascere. Per questo lo

seguivano.

Gesù passa ancora e riaccende la vita e lascia orme lievi sulla polvere del cuore (e sono le orme della tenerezza) come allora sulle strade di

Galilea. E io lo seguirò perché mi interessa solo un Dio che faccia fiorire

l’umano.

CHIARIMENTO di Jan Twardowski

Non siamo chiamati a convertire il mondo, ma ad abbracciarlo, non a convertirlo ma ad amarlo. Con tenerezza. Come bambini.

Non sono venuto a convertirla, Signore,

del resto tutte le prediche ben fatte mi sono uscite di mente.

Da tempo ormai sono spoglio di splendore

come un eroe al rallentatore.

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Non le farò venire il latte alle ginocchia

chiedendo cosa ne pensa di Tommaso d’Aquino

e discutendo non la rimbeccherò come un tacchino

con la goccia rossa al naso.

Non mi farò bello come un germano ad ottobre,

non le verserò all'orecchio la teologia col cucchiaino.

Mi siederò soltanto accanto a lei

e le confiderò il mio segreto:

che io, un sacerdote

credo a Dio come un bambino!

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Carezza, teoria delle carezze, bacio

La tenerezza è disarmante. La carezza ne è il simbolo, quel gesto che

non è possesso, non è predazione, che sfiora e lascia libero, che offre

calore e non domanda nulla. La verità della vita non sta in un pugno ma in una carezza. Anche il corpo vi ritrova la sua eccellenza, senza venir ridotto

a strumento di piacere dei sensi e senza d’altra parte essere semplicemente

negato. La fede è la carezza di Dio. Pensate: la parola grazia in greco Xaris è

imparentata nella sua radice proprio con due parole della nostra lingua:

carezza e caro. La grazia è la carezza di Dio. Secondo una tradizione rabbinica il soffio

di vita è stato dato ad Adamo con un bacio ed è ancora con un bacio che il

Signore coglierà dalle nostre labbra il nostro ultimo respiro. Dio è un bacio, diceva il grande monaco don Benedetto Calati.

Teoria delle carezze nella pedagogia: parole e gesti positivi che sono

segno di riconoscimento (sei bravo, hai fatto bene,... ecc.) Conservare nel cuore i momenti delle carezze positive, le armonie vissute,

e metterle in un vasetto come le dieci ragazze nell’attesa dello sposo. Sono

la nostra riserva d’olio lungo la notte. Poi ci sono le carezze negative. Tipiche della vecchia educazione, il cui

peso è duro: hai sbagliato, non sei capace.

Dalle positive, la Spinta per partire. Invece essere impermeabili a quelle negative. Da questo dipende il

benessere della persona. Farne tesoro.

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4. Bernardo di Chiaravalle (1090-1153)

Il polemista spietato contro Abelardo, che con Eloisa fu uno degli

inventori dell’amore in Occidente, il predicatore di crociate, è anche il

«seduttore della Borgogna», come dice Guglielmo di St Thierry. Scrive la Regola per i monaci guerrieri, i temibili Templari, i più efficienti soldati

dell’epoca, e poi scrive struggenti lettere d’affetto a Ermengarda. Colui

che fa muovere duchi e regine fino al suo monastero, allunga i suoi viaggi per poter incontrare la sua amica Ermengarda.

Due lettere a Ermengarda (Epistole 116 e 117, redatte verso il 1135) sono

rivelative. Ecco uno stralcio della prima lettera: Alla sua amata Ermengarda.

Dio ti conceda di leggere nel mio cuore come su questa

pergamena. Allora vedresti quale profondo amore il dito di Dio ha inciso per te nel mio cuore, nel più intimo del mio essere.

Il mio cuore è vicino a te, anche se il mio corpo è lontano. Se non

puoi vederlo, non devi far altro che scendere nel tuo cuore e lì vi troverai il mio.

Non puoi dubitare che io senta per te lo stesso affetto che tu provi

per me, a meno che tu non pensi di amarmi più di quanto io ti ami, e che tu non reputi il tuo cuore più grande del mio.

Concedimi l’amore che Dio ha impresso in te per me.

Bernardo è un monaco nella sua piena maturità, attorno ai

quarant’anni. Ermengarda è una contessa vedova; che ha perso il figlio

Conan III, duca di Bretagna, alla crociata. La lettera non contiene notizie, richieste, consigli, riflessioni spirituali,

informazioni pratiche, ma effusioni affettuose, e persino amorose, che

possono stupire. Se il mio superiore in noviziato avesse trovato una lettera così....io non sarei qui con voi.

La lettera è, nello stile letterario dell’epoca dei trovadori, «una

tenzone amorosa», una competizione, in cui vince chi ama di più. Non ha altro scopo che far sapere tutta la forza dell’affetto e coltivarla. L’amore

non può mai rimanere quello che è, ha bisogno di crescere. L’amore deve essere sempre in cammino, in volo, in combattimento.

Bernardo qui è finalmente libero dalla tirannia di una vita fatta di

scopi da raggiungere. Che si misura sempre con domande e con doveri: che cosa devo fare? a che scopo devo farlo? perché devo? Tutta una lunga

serie di “perché” senza fine. Ad essi Bernardo oppone una protesta di

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bellezza, l’insurrezione della tenerezza: “Amo perché amo, amo per

amare!”

Dichiara il suo bisogno di amare e di essere amato, chi vuole amare e da chi essere amato, chiarendo il proprio modo di amare, come il fine della

vita.

Una maturità che non è frutto di diminuzioni, ma di addizioni. Un divino cui non corrisponda un rigoglio dell’umano non merita che ad esso

ci dedichiamo (Bonhoffer). Non è diminuendo l’umano che in noi cresce lo spazio del divino.

Fiore selvatico sulle nostre strade, miele selvatico dei nostri deserti,

per la polifonia dell’esistenza, per la pienezza del vivere. L’amicizia è un paradosso spirituale che avvicina a Dio avvicinandoti

a un cuore. Che ti rivela a te stesso: solo con l’amico puoi permetterti la

totale libertà. E se conservi libertà tu diventi casa di Dio. Lettera agli Ebrei: casa di Dio siamo noi se conserviamo libertà e speranza. Tutto ciò

che dona libertà edifica templi, così l’amicizia.

Un’espressione felice di Bernardo nella seconda lettera dice: «lo

scoppio della tua allegria dona salute all’anima».

Il riso di Ermengarda porta salute, benessere, guarisce l’anima di Bernardo. La sua riserva di gioia e di salute spirituale!

L’abate ascolta il riso di una donna, lo ascolta e dentro quel riso trova

una medicina del vivere, la salute per la sua anima, un benessere dell’intera sua persona, toccata d’allegria, contagiata di sorriso.

5. Francesco d’Assisi (1182-1226).

A spiazzare i luoghi comuni: la vera amica di Francesco d’Assisi non

è Chiara. Quella che lui desidera accanto, che manda a chiamare quando sente

vicina sorella morte, l’amica che spesso l’ha accolto in casa sua, quella dei

piatti speciali, per la quale viene anche sospesa la clausura, è Iacopa dei Settesoli, nobile romana, vedova di Graziano Frangipani.

L’ultimo scritto del santo, l’ultimo cantico di Francesco è un cantico di amicizia:

«A madonna Iacopa serva di Dio frate Francesco poverello di

Cristo. Sappi, carissima, che Cristo m’ha rivelato il fine della vita mia, il

quale sarà in brieve. E però se tu mi vuoi trovare vivo, veduta questa

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lettera, ti muovi e vieni a Santa Maria degli Agnoli; che, se non arrivi

entro sabato, non mi potrai trovare vivo. E arreca teco panno di cilicia

nel quale si avvolga il corpo mio, e la cera che bisogna per la sepoltura.

Priégoti ancora che tu mi arrechi di quelle cose da mangiare, delle

quali tu mi solevi dare quand’io era infermo a Roma».

Francesco muore in mezzo ai suoi fratelli, ma testimone di totale libertà di fronte al loro giudizio, convoca un’amica, tra i molti volti

presenti cerca un volto assente. Cerca un volto la cui tenerezza ha smosso in lui melodie che ancora risuonano, e che con la sua sola presenza gli

restituirà dice il cronista «grande allegrezza e consolazione». Amicizia

come riserva di gioia, gioia come sintomo che la strada è giusta. Nel momento supremo della vita, abbiamo bisogno di avere accanto le

persone supreme. Per Francesco è Jacopa; intona per lei il suo ultimo

cantico, quello dell’amicizia.

Iacopa ha portato il panno funebre, i ceri e i “mostaccioli”, dolcetti di

miele e mandorle, dei quali Francesco ha confessato con semplicità e tanta

leggerezza il desiderio. Francesco non è disamorato della vita, anzi mostra di averla amata

anche nelle sue manifestazioni sensibili; i sensi non sono negati, ma sono

«divine tastiere», suonati a Dio per la pienezza della felicità (D.M. Turoldo).

Più ameremo la vita senza riserve, più saremo anche capaci di provare

felicità (J. Moltmann). Con l’amica egli può permettersi un tenerissimo momento di

debolezza e di verità umana insieme: «portami quei biscotti con i quali ti

prendevi cura di me, con cui mi hai curato tante volte a Roma». Una preghiera che l’amica ha già esaudito, perché nessuno ti conosce così a

fondo come l’amico: l’amore è conoscenza, sosteneva Guglielmo di Saint-

Thierry, «amor ipse intellectus», l’intelletto d’amore di Dante. Non dei biscotti ha desiderio Francesco, ma della mano che li porge.

Neppure della mano ha bisogno, ma del cuore che guida la mano.

Il panno, i ceri e i biscotti sono un candido pretesto. Come l’amato del Cantico dei cantici, che bussa alla porta dell’amata: «Aprimi, sorella mia,

amica mia, colomba mia, perfetta mia. La mia testa è coperta di rugiada»

(Ct 5,2). Ma avere la testa bagnata non è la ragione per cui l’amato vuole entrare, è ben altro il motivo: è il desiderio di abbracci.

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Così Francesco ha bisogno di avere accanto Iacopa, perché l’amicizia

è una sorgente di vita, perché l’amica è come un sacramento che trasmette

grazia, che aggiunge pienezza a pienezza, per una pienezza del vivere e insieme del morire.

Perchè rinforza il cuore nel momento in cui il cuore può venir meno.

L’amicizia è il sacramento più possente, sacramento di ogni momento, e che possiamo ricevere fino all’estremo (Sorella Maria).

Il sacramento dell’amicizia. Secondo la definizione dei teologi sacramento è segno visibile ed efficace, evidente ed eloquente dell’azione di Dio.

Amicizia allora è teologia, teologia di ogni momento, la più possente, che

dura fino all’estremo. “Se vuoi. Se vuoi vedermi ancora vivo...”. L’amica è libera, può

ancora sottrarsi. Se vuoi: Francesco è mendicante d’amore, di un amore

rispettoso e fidente. «Mentre che questa lettera si scriveva, fu rivelato a santo Francesco

che madonna Iacopa era presso al luogo». Occhi di Francesco quasi ciechi,

ma che vedono oltre, sanno da sempre l’arrivo di Iacopa. Il desiderante sa di essere desiderato. L’amico scrive, e la pergamena

si intride di un ricominciante Cantico dei cantici: «Vieni, amica mia». Egli

sa, come nel Cantico, che l’amica viene. Francesco che ama con intensità il cielo e la terra, mi illumina su di una

realtà costitutiva e determinante:

II. TEOLOGIA DELLA TENEREZZA.

Una teologia della tenerezza è possibile se è possibile una cristologia

della tenerezza. A differenza dei grandi del Medioevo, oggi noi, gente delle cose di Dio, non

sappiamo più comprendere e trattare le passioni, abbiamo dimenticato la «gaia

scienza, il gioioso saper dell’amore». I monaci e i poeti possedevano una vera

teologia della passione amorosa, mentre noi ci accontentiamo di un’etica degli affetti,

di una serie di prescrizioni. È urgente che la Chiesa riprenda a trattare i temi vitali

dell’uomo, come il grande dono della sessualità, facendone una teologia,

riconoscendoli come luogo teologico, e non riducendoli solo a una morale.

Rumi: se tu ascoltassi la lezione del cuore faresti scuola agli eruditi.

Amore luogo di evangelizzazione e non di regolamentazione.

Perché?

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Per guarire dal disamore. Per la pienezza della vita. Per non smarrire la

polifonia dell’esistenza.

Ogni vivente ha una vita affettiva, parte alta e forte della sua identità, necessaria per essere felice. Possiamo negarla ma non eliminarla. La

dimensione degli affetti, fondamentale per l’equilibrio della persona,

necessaria per la gioia del vivere, è un autentico luogo teologico: la tenerezza rivela qualcosa di Dio. Dio non è presente dove è assente il

cuore. Nasciamo tutti come persone appassionate, e quel malinteso spirito

religioso che ci spinge a negare le nostre passioni inaridisce le sorgenti

della vita. Forse rende molti cristiani dei predicatori di morte.

Bisogna non soffocare, ma convertire le passioni; non raggelare, ma

liberare i desideri per desiderare Dio. Soltanto chi ama la vita è sensibile al richiamo del Vangelo: «… io sono venuto perché abbiano la vita e

l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10). La santità non consiste in una

passione spenta, ma in una passione convertita. Dio non è presente dove è assente il cuore.

Più Dio equivale a più io. Dio è intensificazione del cuore. Scriveva

Bonhoeffer: non ci interessa un divino che non faccia fiorire l’umano.

Moltmann: più ameremo la vita senza riserve più saremo anche capaci di

provare felicità. Solo la tenerezza possiede il dono di armonizzarsi con il rispetto.

La tenerezza non ha bisogno di effetti speciali o di grandi mezzi. Parla di Fede scalza, essenziale. Io sogno una chiesa scalza, senza apparenza e

senza apparati, non si può trasmettere il vangelo con arroganza, si

trasmette come una melodia da cuore a cuore, come il magnificat.

Benedetto sia questo nostro corpo, tanto spesso disprezzato, tanto da farlo

intristire e ammalare. Benedetto sia questo corpo, il suo vigore, la sua

bellezza, la sua capacità di amare e di dare la vita.