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35 Da RONCESVALLES a LARRASOAÑA Data 01/05 Tappa 2 Distanza 27,5 km Abitanti 168 Regione NAVARRA Esteribar è un comune spagnolo di 1.454 abitanti situato nella comunità autonoma della Navarra. Tra le sue "frazioni" sono comprese anche Lar- rasoaña e Zubiri, due importanti località del Cammino di Santiago di Compostela. Timbro dell’Albergo di Larrasoaña Contrariamente alle previsioni, piove abbastanza fitto. Parto alle 6:30 e la pioggia fa sembrare ancora più buio. Cerco di infangarmi il meno possibile. Però è bello vedere tutte queste ombre che camminano con impermeabili di tutti i colori. Anche questa è una tappa di montagna, più dolce del- la precedente. Passando attraverso boschi di abeti, roveri e pini si arriva all’Alto de Metzkiritz, dove si trova una lapide in pietra che ricorda la Vergine de Roncesvalles; le guide dicono che la tradizio- ne vuole che qui si reciti un Salve Regina. Più oltre incontro una targa commemorativa di un Pelle- grino giapponese, Shingo Yamashita, morto a 64 anni nel 2002; infarto? La zona è basca, una volta abitata dai Celtiberi. A Zubiri fotografo un ponte gotico sull’Arga e mi fermo ad un supermercato dove mi faccio fare un ricco bocadillo 8 . Arrivo al termine della tappa verso mezzogiorno ma devo aspettare che l’albergo apra alle 14. Nell’attesa... un fresco! Reincontro un tizio di Milano con il quale avevo mangiato a Roncisvalle; è in pensione e impiega il tempo aiutando la parrocchia; prima faceva anche il rugbysta e l’allenatore di rugby; il figlio, che ha già fatto il Cammino mesi fa’ gli 8 paninone

Da RONCESVALLES b.pdf · 2010. 1. 2. · 35 Da RONCESVALLES a LARRASOAÑA Data 01/05 Tappa 2 Distanza 27,5 km Abitanti 168 Regione NAVARRA Esteribar è un comune spagnolo di 1.454

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35

Da RONCESVALLES

a LARRASOAÑA

Data

01/05

Tappa

2

Distanza

27,5 km Abitanti

168 Regione

NAVARRA

Esteribar è un comune spagnolo di 1.454 abitanti situato nella comunità autonoma della Navarra. Tra le sue "frazioni" sono comprese anche Lar-rasoaña e Zubiri, due importanti località del Cammino di Santiago di Compostela.

Timbro dell’Albergo di Larrasoaña

Contrariamente alle previsioni, piove abbastanza fitto. Parto alle 6:30 e la pioggia fa sembrare ancora più buio. Cerco di infangarmi il meno possibile. Però è bello vedere tutte queste ombre che camminano con impermeabili di tutti i colori. Anche questa è una tappa di montagna, più dolce del-la precedente. Passando attraverso boschi di abeti, roveri e pini si arriva all’Alto de Metzkiritz, dove si trova una lapide in pietra che ricorda la Vergine de Roncesvalles; le guide dicono che la tradizio-ne vuole che qui si reciti un Salve Regina. Più oltre incontro una targa commemorativa di un Pelle-grino giapponese, Shingo Yamashita, morto a 64 anni nel 2002; infarto? La zona è basca, una volta abitata dai Celtiberi. A Zubiri fotografo un ponte gotico sull’Arga e mi fermo ad un supermercato dove mi faccio fare un ricco bocadillo8. Arrivo al termine della tappa verso mezzogiorno ma devo aspettare che l’albergo apra alle 14. Nell’attesa... un fresco! Reincontro un tizio di Milano con il quale avevo mangiato a Roncisvalle; è in pensione e impiega il tempo aiutando la parrocchia; prima faceva anche il rugbysta e l’allenatore di rugby; il figlio, che ha già fatto il Cammino mesi fa’ gli

8 paninone

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manda messaggini: … “cento metri più avanti, girando a sinistra c’è un ottimo ristorantino per pellegrini”… “sulla destra invece trovi un bar per la colazione” … e simili. L’albergo è una specie di appartamento bilocale dove hanno sistemato, nel salone, dei letti a castello affiancati due a due. Quindi a me capita di dormire su una specie di letto matrimoniale, con una bella bionda australiana, ognuno nel suo sacco a pelo. Per tutta quella gente, almeno 20 persone, ci sono due lavandini, due bagni e due docce, tutto ambisex. Le cabine per le docce sono in muratura con una tendina davanti. Io sono ancora in fase di rodaggio e devo studiare come organizzarmi per evitare le file e fare la doccia senza problemi. In effetti tutto si svolge con la massima discrezione e senza file. Nel cortile dell’albergo quasi tutti si danno da fare per pulire gli scarponi dal fango raccolto durante tutta la giornata. Nell’albergo c’è un computer e ne approfitto per mandare un messaggio a casa, visto che non posso ricaricare la batteria del telefonino.

Da: [email protected]

To: [email protected] <[email protected]>, : [email protected]

[email protected]>

Data: 01/05/09 18:00

Fatta un'altra tappa. Domani spero di trovare il caricabatteria. Oggi la

tappa era piu facile ma piena di fango e piovigginava. Bello vedere tutti

questi pellegrini con inpermeabili di tutti i colori. Sono arrivato a

Larrasoaña e domani vado a Pamplona. Ho prenotato in un bel ristorante di

paese il menu del pellegrino a 11 euro.

Ciao perche sta per scattarmi il computer

Papà

La sera vado a pranzo ad un ristorante per pellegrini ed al mio tavolo si siede un ragazzo australiano che ha iniziato il Cammino a Parigi un mese fa. Poi si siedono due ragazzi slovacchi, e infine una donna sudafricana, Corinne, che ha proposto al marito di venire a fare il Cammino, ma il marito le ha detto …”a me non va, tu però vai pure”…. Lavora in una fabbrica di ceramica, ma non sembra un’operaia; sembra una signora di quelle dei film inglesi con il cappellino…

Di mattina presto e con la pioggia

Pellegrini con impermeabili variopinti su campi pieni di fango

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Lapide dedicata alla Madonna di Roncisvalle

en El Alto del Erro

EN MEMORIA DE SHINGO YAMASHITA PEREGRINO JAPONES FALECIDO EN AGOSTO DEL 2002 A LOS 64 ANOS.

LOS AMIGO DEL CAMINO

Il Ponte a Zubiri

Il fiume Arga a Zubiri

L’altro lato del ponte sull’Arga a Zubiri

A Larrasoaña in attesa dell’apertura dell’Albergo Comunale

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Al Ristorante per Pellegrini

Lo Slovacco ci scatta la foto

Da: [email protected]

To: [email protected]

Oggetto: RE:

Data: 01/05/09 14:09

Papino,

Sono così orgogliosa di te, non ti blocca niente, né la fatica, né la possibile solitudine, NIENTE!!

So che te l'ho detto tante volte ma sei veramente una persona incredibile, con un'intelligenza, una

determinazione ed un carattere eccezionale, spero di riuscire a trasmetterne un po' anche a questo

piccolino/a, vorrei tanto prendesse un po' delle tue doti e quelle di mamma.

Tu prega forte forte che vada tutto bene.

Ti devo chiedere due raccomandazioni. Una mia collega l'hanno chiamata per dirle che la madre era

all'ospedale, aveva avuto un infarto ed ora è in terapia intensiva...

L'atra è un 'altra mia collega che tra due lunedì subirà un’operazione molto delicata, poverina, ha

molta paura ed ogni tanto la vedo con gli occhi lucidi....

be’, fai una preghiera per queste due ragazze, sicuramente sarai

ascoltato.

Per le lingue, SEI UN FENOMENO!!!

bacetti,

Manu

Da: [email protected]

To: [email protected] <[email protected]>

Oggetto: Fw: RE:

Data: 01/05/09 18:08

Prega, spera, non disperare. Il signore e' misericordioso e ascolterà le

tue preghiere.

Padre Pio

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Da LARRASOAÑA

a PAMPLONA

Data

02/05

Tappa

3

Distanza

15 km Abitanti

194.894 Regione

NAVARRA

Pamplona capoluogo della comunità autonoma della Navarra, è la città spagnola con il più alto livello di qualità della vita. Fondata da Pompeo nel 75 a.C. come accampamento militare, con il tem-po crebbe e divenne la Cottè do Pumpiu da cui deriva il nome. Ebbe un periodo di splendore nell'epoca imperiale di Roma, ma subì poi diverse invasioni barbariche che la distrussero. Pamplona presenta un grande contrasto tra la città moderna, con grandi viali e molto verde, e la città medioevale, con i suoi vicoli, piazzette e monumenti antichi. E tuttavia, a differenza di altre città che tengono separate la città antica e quella mo-derna, a Pamplona tradizione e modernità si coniugano in maniera ammi-revole nelle stesse zone. Questo è particolarmente evidente nella zona delle lunghe mura, ricostruite nei secoli XVI e XVIII, che abbracciano la città correndo in parte lungo il fiume Arga. Costeggiandole si passa attra-verso bei giardini moderni e grandi viali, e si incontrano anche i monu-menti più antichi della città, il tutto tenuto insieme in straordinaria armo-nia. La città, un tempo interamente cinta da mura, si estende oggi nella valle del fiume Arga, e forma con i municipi vicini un continuum urbano che ospita 250.000 abitanti, la metà della popolazione della Comunità

Autonoma della Navarra.Los Sanfermines sono le feste che Pamplona celebra tra il 6 e il 14 luglio in onore di San Firmino di Amiens, copatrono di Navarra e patrono della diocesi di Pamplona. Le feste co-minciano con il lancio del chupinazo (raz-zo) dal balcone del consiglio della città a mezzogiorno del 6 luglio e finiscono a mezzanotte del 14 luglio. Una delle attivi-tà più famose del Sanfermines è l'Encierro, la famosa corsa dei tori, lascia-

ti liberi di correre tra la folla; la corsa ha termine nell'arena delle corride. Le corse avvengono tra il 7 e il 14 di luglio e cominciano alle otto, con una durata media di tre, quattro minuti.

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Parto presto da Larrasoaña e arrivo verso mezzogiorno a Pamplona. L’albergo apre alle 14. Allora mi cerco un posto per riposarmi. Vicino c’è un piazza con giardini e panchine e su un lato della piazza un mercatino d’antiquariato. C’è una bella macchina da scrivere antica, uguale a quella che Babbo mi portò dall’Ufficio dove era in soffitta. Io la smontai tutta per pulirla, oliarla e farla fun-zionare più facilmente, ma non fui capace di rimontarla, così alla fine fu buttata. Avevo forse 15 anni. Ancora la rimpiango. Al mercatino c’erano tanti oggetti interessanti, ma come li avrei portati?

Mentre sto su una panchina a riposarmi, si avvicina una donna; mi chiede se sono italiano, come funzionano gli alberghi per pellegrini e tante altre informazioni, credo, per poter iniziare il Cammi-no. Però il fatto che nello stesso ambiente non ci fosse distinzione tra uomini e donne, non le piace molto. Forse farà il Cammino, ma utilizzerà alberghi tradizionali. E' un'italiana che vive in Germa-nia, a Trevemunde, città dello Schleswig-Holstein, dove fa il medico di agopuntura e medicine na-turali. Nel pomeriggio me la ritrovo nell'albergo, già ambientata. L'albergo è in un'antica grande chiesa dove nelle navate laterali con apposite pannellature sono state ricavate delle camerate su due piani, mentre quella centrale è stata attrezzata a salone per mostre. Nell'albergo ci sono lavatrici e essiccatrici, ed io approfitto per fare il bucato. Metto tutti i miei panni e poi mi rivolgo ad una don-na, se mi dice come farla funzionare: ne sa meno di me. Mi rivolgo ad un'altra: stesso risultato. Ma allora non esistono più le donne di una volta? Mi rivolgo allora all'hospitalera9 e finalmente la lava-trice parte. Mentre attendo che i miei cicli finiscano, mi tocca dare informazioni e istruzioni a un sacco di altre donne che devono usare la lavatrice e non sanno come fare! Al termine trasferisco tut-to nell'asciugatrice; ripeto e pago il ciclo due volte, ma con scarso risultato. Alla fine stendo su uno stendino. Mi vesto e vado a visitare la città. La Cattedrale è grande e abbastanza bella. Alle 18 c'è un matrimonio. Molte donne sono vestite con abiti che sembrano da sposa ma di colori vari, non bianchi. Tra gli invitati ci sono dei giocatori di uno sport che si fa in Spagna sbattendo contro un apposito muro una pallina mediante un attrezzo ricurvo di vimini. Forse lo sposo è un giocatore.

Lungo il Cammino

Il Rio Arga

9 Addetta all’ostello

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Un pellegrino nei pressi di Pamplona

Il ponte medievale della Maddalena sul Fiume Arga

Il Fiume Arga

Le mura di Pamplona

La piazza accanto all’Albergue

Il nostro albergo ricavato da una chiesa

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Reparto lavatrici dell’Albergue de Peregrinos

La Cattedrale di Pamplona

Strada Mercaderes (Chiesa di S. Cernin)

Il Palazzo dell’Ayuntamento

Biblioteca generale

Monumento a San Francesco

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Piazza del Municipio

Plaza del Castillo

Plaza del Castillo

Plaza del Castillo

Plaza de las Merindades

Aquavox (Strada di S. Agustin)

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Interno della Cattedrale

I paggetti di un matrimonio

Lo Sposo con la Madre

La Sposa con il Padre

La Sposa con il Padre

Timbro dell’Albergo

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Da PAMPLONA

a PUENTE LA REINA

Data

03/05

Tappa

4

Distanza

23,5 km Abitanti

2.630 Regione

NAVARRA

Il nome di Puente la Reina proviene dal ponte romanico sul fiume Arga che fu fatto costruire nel secolo XI per un'anonima regina di Navarra. Saragozza (Zaragoza) è una città di 682.283 abitanti, capoluogo della regione Ara-gona. È la quinta città spagnola per numero di abitanti e la quarta per sviluppo eco-nomico. È posta nella zona nord-orientale della Spagna, a circa 300 km da Madrid, Barcellona, Bilbao, Valencia e Tolosa, per cui si trova al centro di un importante no-do di comunicazioni. È affacciata sulla riva destra dell'Ebro e al centro di una vasta depressione, un tempo desertica, ma ora abbastanza fertile grazie ad alcune canaliz-zazioni d'irrigazione che suppliscono alla scarsa piovosità della zona, una delle più basse della Spagna con una media di 323 mm. di pioggia all'anno. È sede arcivescovi-le e universitaria. Fondata come colonia nel (25 a.C.) dall'imperatore Cesare Augusto con il nome di Caesaraugusta. Fu uno dei centri più importanti della Hispania Tarraconensis, una delle tre (poi quattro) Province in cui i Romani divisero la Spagna. Alla caduta dell'Impero romano d'Occidente fu occupata dai Visigoti. Fu tra le prime città spa-gnole a convertirsi al Cristianesimo e nel 713 venne conquistata dagli Arabi che la fecero capitale (Saraqusta) di un principato rivale di Cordoba, Toledo e Merida. Fu riconquistata nel 1118 dai cristiani, ebbe un periodo di grande prosperità divenendo capitale del Regno d'Aragona. Durante la guerra napoleonica sostenne due assedi da parte delle truppe francesi nel 1808 e 1809 Fra i monumenti più importanti di Saragozza si possono citare il Foro romano, la Tor-re del Trovador, torre del mitico personaggio raccontato da García Gutiérrez nel 1836 e immortalato da Giuseppe Verdi nell'opera lirica "Il trovatore", la basilica di Nostra Signora del Pilar, uno dei più famosi santuari di Spagna ritenuta la più antica chiesa mariana della cristianità fondata, secondo la tradizione, da Giacomo il Maggiore dopo che Maria madre di Gesù, ancora vivente a Gerusalemme, gli era apparsa non in spi-rito ma nel suo corpo, seduta su un Pilar (pilar). L'attuale chiesa è un edificio di pro-porzioni gigantesche dotato di grande cupola centrale, altre dieci cupole minori e quattro campanili; fu eretta a partire dal 1681. All'interno cappelle e volte decorate da affreschi di noti artisti, di marmi, bronzi e argenti e nella Santa Capilla, cappella ba-rocca a forma di tempietto ellittico, la piccola statua lignea della Madonna del XIV secolo vestita di paramenti preziosi posta su una colonna di alabastro.

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Invece di fare questa tappa prevista dal programma, ho deciso di andare a Zaragoza, dove ero stato nel 1960 con la Crociera Aerea dell’Accademia. A quel tempo mi colpì il fatto che accanto a molte lapidi del sacrario dei caduti italiani nella Guerra Civile spagnola, ci fossero delle cartoline, proba-bilmente spedite da parenti che non avevano la possibilità di portare fiori, essendo il viaggio troppo lungo e costoso. Inoltre, avendo letto il libro “Il Miracolo”10 di Messori, volevo visitare la Basilica del Pilar.

10

Il miracolo di Calanda. Accaduto nel secolo XVII allo zoppo Manuel Juan Pellicer in Calanda (Saragozza), grazie all'intercessione della Vergine del Pilar; si tratta con sicurezza di uno dei prodigi meglio documentati di tutta la storia. I libri parrocchiali conservano i dati biografici del giovane e della sua famiglia: battezzato il 25-III-1617 e confermato il 2-VI-1618, fu il secondo di otto fratelli, figli di Miguel Pellicer Maya e di María Blasco. Le dichiarazioni dei testimone del processo permettono di ricostruire con dettaglio la storia completa: a diciannove anni lascia i suoi genitori per anda-re a lavorare con suo zio, Jaime Blasco, a Castellón. Cade da un carro, carico di grano, che gli passa con una ruota sulla gamba destra. Ricoverato nell'Ospedale Reale di Valencia, come consta nel suo registro, stette solo cinque giorni, per-ché vuole andare all'ospedale della Grazia di Saragozza. Il suo viaggio dura fino ad ottobre. Nella sala di chirurgia dell'Ospedale gli amputa la gamba il chirurgo Estanga, dietro consultazione col chirurgo M. Beltrán ed aiutato dal chi-rurgo D. Millaruelo. Dopo la convalescenza, provvisto di gamba di legno e stampella, vive di lavori di mano occasionali e soprattutto delle elemosine che raccoglie di fronte alla Basilica del Pilar. Nel marzo del 1640 ritorna a Calanda. Esce qualche volta per i paesi vicini su una giumenta per raccogliere elemosine e sacche di pane. Giovedì 29 marzo caricò nove carichi di sterco, aiutato da una sua sorella. Stanco, dopo essersi tolto la gamba di legno in presenza dei suoi genitori e di alcuni vicini, si corica alle dieci di sera in un giaciglio estemporaneo nella stanza dei suoi genitori, poiché la sua era stata occupata da un soldato di passaggio. Quando dopo un po’ entrano i suoi genitori, vedono che dalla coperta emergono due gambe; ri-svegliano Miguel da un sonno profondo, nel quale sognava di trovarsi nella cappella del Pilar, e di ungersi il moncheri-no della gamba con l'olio delle lampade votive, così come aveva fatto durante la convalescenza. Già quella notte si sparse la notizia nel vicinato, ed il giorno dopo il vicario, Jusepe Herrero, celebrò nella parrocchia una messa di ringraziamento, confessando e comunicando Miguel. Il 2 aprile vengono da Mazaleón il suo curato, M. Seguer ed il notaio Miguel Andreu che compilò verbali dell'evento che si conservano col protocollo di tutto l'anno 1640 nell'ufficio del sindaco di Saragozza. Il 25 aprile arriva Miguel coi suoi genitori a Saragozza per rendere grazie alla Vergine del Pilar al cui intercessione si attribuisce la guarigione. Portano con sé una dichiarazione compilata dal rappre-sentante della giustizia di Calanda, Martín Corellano, che il consiglio comunale del Pilar invia al conte-duca il 30 di a-prile. In sessione dell’8 maggio il capitolo e consiglio di Saragozza sollecita l'arcivescovo a dichiarare miracolosa la guarigione. La notizia si diffonde per tutta la Spagna. Il 5 giugno incomincia il processo arcivescovile. Durante il processo il consi-glio comunale del Pilar contribuisce al sostentamento di Miguel ed i suoi genitori, conservando ancora il suo archivio le ricevute di queste spese. Culmina il processo con la sentenza di 27-IV-1641, celebrata con festeggiamenti e fuochi di ar-tificio nella piazza del Pilar. Del Processo e Sentenza si conserva nell'archivio del Pilar duplicato notarile. Il suo testo, pubblicato parzialmente nel 1808, lo è stato integralmente nel 1829, 1872, 1894, 1940, 1970 e 1974.) Osservazioni di un ortopedico. L. Cugola - U.O. Chirurgia della mano, Policlinico Verona; www.giot.it/Articoli/2000/vol3-00/122art.pdf Ma quali sono i risvolti di interesse ortopedico che si evincono dall’evento di Calanda? Dai documenti riportanti le testimonianze sull’aspetto della gamba reimpiantata e sull’evoluzione clinica, si nota un pa-rallelismo con la clinica che si obiettivizza, oggi, nei reimpianti di arto. Risulta che la gamba “rispuntata” a Juan fosse proprio la sua, cioè quella stessa che due anni prima gli era stata amputata. Lo testimoniano: a) i segni di un morso di cane al polpaccio, b) di una cicatrice alla caviglia, esito di asportazione di una cisti; c) delle cicatrici dovute a graffi di spine; d) la dismetria (era più corta di circa 4 cm): parti di osso e sostanza molle erano andati perduti per la necrosi. È logico supporre che la gamba amputata si sia conservata così com’era al momento dell’intervento chirurgico, perché già mummificata. Al momento dell’amputazione la gamba era in uno stato di gangrena secca: i chirurghi, testimonian-do, la definiscono “gangrenada” e “negra”. Lo stato di gangrena secca di un arto non dà luogo a odore fetido come, in-vece, la gangrena umida. I testimoni avrebbero, presumibilmente, accennato all’odore, se presente, in quanto rimane una caratteristica indelebile del processo di colliquazione. Si deduce che il trauma abbia provocato una lesione vascola-

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Quindi parto con il mio zaino e vado alla stazione degli autobus per prendere l’autobus per Sara-gozza delle 7:15. La stazione è una vera stazione tipo treno. Quando l’autobus arriva, all’ingresso della stazione l’autista deve digitare il codice ed il numero dei passeggeri trasportati; la sbarra si al-za ed egli va al “binario” assegnatogli; su una grande colonna accanto c’è uno schermo con l’indicazione degli orari e delle destinazioni. Due ore di viaggio durante le quali si vede molta poli-zia stradale. Una pattuglia ferma anche il nostro autobus: si avvicina un poliziotto impeccabile e sorridente che dice all’autista che prevenire è meglio che reprimere e lo fa soffiare in una macchi-netta attraverso un bocchino che l’autista ha con sé, forse in dotazione all’autobus. Lo stesso boc-chino l’ho visto in un albergue, in dotazione all’hostelero: negli albergue, se si dovesse presentare un pellegrino alticcio o drogato, gli viene messo il timbro di presentazione, se vuole, ma non viene fatto entrare. Questi spagnoli mi hanno dato l’impressione di fare seriamente il proprio lavoro, poli-ziotti, scopini, giardinieri... La stazione degli autobus di Saragozza è situata sotto quella del treno ed è organizzata come quella di Pamplona. La città è magnifica. Nella parte nuova in periferia si vedono bei palazzi, ponti mo-dernissimi strallati lucenti, costruzioni architettoniche che attirano l’attenzione. La parte vecchia è ricca di monumenti, chiese, fontane, statue; c’è pure una statua di Augusto che richiama quella di Roma a Via dei Fori Imperiali. Sul grande piazzale davanti la Basilica del Pilar hanno messo una grande fontana moderna armonizzandola con tutte le costruzione d’epoca circostanti. La Basilica è grandiosa e bellissima. All’interno c’è una targa che ricorda il famoso miracolo.

Dietro l’altare c’è la Cappella del Pilar, dove viene conservato il Pi-lar, cioè un pilastro sul quale è posta una piccola statua della Madon-na. Il Pilar è addobbato con un panno ricamato che viene cambiato ogni giorno a mezzogiorno.

Accese candele per i miei raccomandati, con l’autobus vado al Sacra-

re impedendo l’afflusso sanguigno a valle con una rapida disidratazione anche per il clima caldo secco sfavorevole all’azione della flora e fauna cadaverica e quindi il subentrare di una mummificazione. Cronaca del post-operatorio! La descrizione dei testimoni è di una gamba di colorito violaceo che, dopo 3 giorni riacquista il colorito normale. È quello che notiamo nei reimpianti (soprattutto delle estremità inferiori) quando il segmento amputato rimane in stato ischemico per più ore (8-10) e la conservazione non è stata a bassa temperatura. Le dita dei piede di Juan erano, nei primi giorni dal miracolo, incurvate e contratte. Come a dire: erano in atteggiamento di griffe; sia perché così dovevano essere all’atto dell’amputazione (presumendo l’insorgenza di una sindrome di Volkmann sul compartimento posteriore della gamba, prima della necrosi o perché, necrotizzandosi, le estremità tendono, per l’azione prevalente dei flessori, ad assumere un atteggiamento in flessione), sia perché, come ci capita, nei reimpianti, la tenorrafia dei flessori ed estensori comporta una prevalenza dei primi mantenendo le dita in atteggiamento di flessione. Altro elemento riferito dagli Atti è di una caviglia più grossa, cioè gonfia, ovviamente da interpretarsi come esito di edema per il rallentamento dei circolo in assenza della innervazione simpatica vasale. La plegia vasale, comportando stasi del circolo sanguigno, è causa di trasudazione di linfa quindi presenza di edema più visibile nelle parti declivi dell’arto. Avevano notato, ancora, come il polpaccio fosse più piccolo. È da interpretarsi in relazione al silenzio funzionale della muscolatura per due anni ed alla conseguente ipertrofia della sura controlaterale per aver sostenuto un carico maggiore in quel lasso di tempo. L’arto di Juan risultava più corto di alcuni centimetri. Anche nei nostri reimpianti, generalmente, l’arto riattaccato è più corto per la recentazione dei monconi. Eppure, poi, l’arto del giovane si era riallungato senza l’ausilio dei fissatori esterni! Anche la cicatrice della gamba ha lo stesso aspetto delle nostre gambe reimpiantate: “un circolo rosso dove il pezzo di gamba si era unito all’altro”.

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rio degli Italiani11 che, nonostante gli orari ufficializzati con targa del Ministero della Difesa Italia-no, non è visitabile.

Mi ripropongo, appena tornato a Roma, di andare a sporgere denuncia per interruzione di pubblico servizio, dal momento che il Ministero della Difesa ha organizzato il servizio e ha senz'altro stan-ziato fondi per pagare gli addetti. Però, tornato a Roma, ho pensato: "fosse solo questo, quello che non funziona...".

Riprendo l’autobus per Pamplona e a Pamplona l’autobus per Puente la Reina. Durante tutto il per-corso di ritorno penso a come poter andare da Pamplona a Puente la Reina, dal momento che è tardi, che negli orari della linea automobilistica non ci sono altre corse. Penso che dovrò prendere un tas-

11 Il 3 maggio 1942, alla presenza dell'ambasciatore italiano a Madrid e delle maggiori autorità civili, militari e religiose della città, fu posta la prima pietra della costruzione, che prevedeva una torre ossario con annessa una chiesa e un con-vento. Nella pietra fu sigillata una pergamena con le parole: "Regnando Vittorio Emanuele III, mentre l'Italia combatte contro i nemici del diritto e della Fede, sotto gli auspici di Mussolini e Franco, con la benedizione del Romano Pontefi-ce Pio XII, quest'opera di pace secondo la tradizione dei padri per la diffusione della religione e la memoria dei legiona-ri italiani caduti in Spagna si costruisce con romana grandezza. Il giorno 3 maggio 1942". Ma mancava poco alla cadu-

ta del regime in Italia e alla sospensione dei lavori. Alla fine della guerra il nuovo governo democratico italiano si tro-vò di fronte all'incongruenza di dover finanziare un'opera non terminata del regime fascista celebrante la memoria di caduti per Mussolini; venne allora deciso di dedicare l'opera "a tutti gli italiani caduti in Spagna appartenenti a tutti i partiti" e di reperire i fondi per ultimare la torre, ridotta a 42 metri, vendendo la parte del convento già costruita ed il terreno circostante ai padri cappuccini per la somma di 1.000.000 di pesetas. La torre fu inaugurata il 13 giugno 1945, mentre il 25 luglio dello stesso anno fu consacrata la chiesa. Sopra l'arco principale della cripta venne posta la lapide: "L'Italia a tutti i suoi caduti in Spagna", mentre in un altro lato della stessa un'altra lapide ricorda: "In questa torre ossa-rio sono ricordati 4.183 italiani caduti in terra di Spagna nella guerra del 1936-1939". Tra loro sono compresi 526 solda-ti delle Brigate internazionali accorsi per difendere la libertà e la democrazia spagnola. Il recupero ed il trasporto delle 2.876 salme dei caduti del Ctv fu agevolato dal fatto che, se anche erano disseminati in numerosi cimiteri, al momento dell'inumazione i padri cappuccini incaricati delle sepolture avevano deposto nella fossa una bottiglia contenente l'indi-cazione di nome, grado, reparto e data della morte. Notevoli difficoltà sorsero nell'individuare le tombe dei brigatisti, definiti "rinnegati" dai fascisti, che in molti casi erano rimasti abbandonati sul luogo della morte o, se fucilati dopo la cattura, interrati in anonime fosse comuni; inoltre gli incaricati dal Commissariato onoranze caduti del recupero di que-ste salme non furono agevolati dalle autorità spagnole. Molti brigatisti giacevano in tombe anonime avendo, come disse la Pasionaria, "la terra di Spagna come sudario"; infatti, su circa 600 morti, furono solo 22 le salme di antifascisti rico-nosciute e sepolte nella torre ossario. Tutti gli anni, il 2 novembre, viene celebrata una messa in suffragio dei caduti mentre, in particolari occasioni, delegazioni delle associazioni d'arma delle due parti si recano al Sacrario per rendere loro omaggio con la deposizione di corone di fiori. Le Medaglie d'Oro al V.M. concesse a combattenti di Spagna distintisi per atti di eroismo, furono complessivamente 152. Di esse 3 premiarono la memoria di militari spagnoli aviatori. 137 costituiscono riconoscimenti alla memoria di a-viatori, fanti, arditi, artiglieri, camicie nere, carristi. 12 furono assegnate a viventi (oggi anch'essi tutti scomparsi), su-perstiti di straordinarie imprese. 33 di queste ricompense furono attribuite a legionari provenienti dalla M.V.S.N. (30 Caduti e 3 sopravvissuti). Negli appositi albi del Ministero Difesa e nei fogli matricolari, com'è noto, tali decorazioni, come ogni altra al V.M. guadagnate in Spagna dai mobilitati dalle Legioni CC.NN sono state depennate e il loro ricor-do scalpellato sulle pietre tombali nel Sacrario di San Antonio de los Italianos in Saragozza. Ma il Gruppo Medaglie d'Oro e l'Istituto del Nastro Azzurro, tutori del valore e dell'onore dei soldati italiani, continuano a conservare nel dovu-to rilievo i nomi dei proscritti. Le vedove ed i figli continuano a portarne sul petto le insegne sfidando l'incriminazione a norma delle leggi vigenti. Le medaglie rimasero però intatte sulle tombe di Saragozza. Ma la burocrazia era in agguato: nel 1982, dopo 37 anni, qualcuno al Ministero della Difesa si accorse che il decreto del '45 non era stato applicato al sacrario di Saragozza. Un maresciallo dell'esercito fu mandato a Saragozza per completare l'applicazione del decreto, in quel mausoleo dove ripo-savano insieme i caduti italiani, di entrambe le parti. Le targhe tombali vennero rimosse. Le associazioni d'arma prote-starono, ma nessuno in Italia prestò loro ascolto. Nel novembre del '91 ex-combattenti ottantenni decorati al valor mili-tare decisero di rendere giustizia ai loro commilitoni ripristinando nel mausoleo le targhe affisse ai loculi. Non è stato un atto ufficiale, ma i vertici del Ministero della Difesa erano informati e non hanno frapposto ostacoli.

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sì, che potrebbe costarmi 20-30 euro; una cifra enorme rispetto al costo medio degli alberghi o dei ristoranti. Arrivato a Pamplona trovo che dopo un po' c''è un autobus di un'altra autolinea, che sem-bra messo proprio per me e mi costa ben un euro e venti (come sia possibile non lo so..., ma penso di star viaggiando con la Fortuna). A Puente la Reina l’Albergo ufficiale, dei Padri Reparadores, è completo. Allora con lo zaino in spalla e la mia collezione di vesciche vado alla ricerca di un altro albergo che è in campagna, dall’altra parte della città. Arrivo, e al bar ci sono due marchigiani che stanno cercando di intrattenere tutti, convinti forse che il marchigiano sia lingua internazionale compresa da tutti. Inoltre parlano un marchigiano brutto, quello di Ascoli Piceno, non bello e armo-nioso come quello di Ancona. Quasi tutti annuiscono, sorridono e non se li filano.

Uno dei tanti monumenti

Monumento ad Augusto

Iglesia San Juan de los Panetes, con torre inclinata

Piazza della Basilica; a sinistra, la Basilica del Pilar

Invece di fare la tappa sono andato a Saragozza, ma il timbro dell’Albergo lo metto ugualmente, almeno per ricordo. Una bella camminata l'ho fatta ugualmente, per visitare Saragozza a piedi; e poi

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anche per andare alla ricerca dell'albergo, a Puente la Reina, dopo aver trovato che il primo era completo.

La piazza della Basilica, antico e moderno

Targa, all’interno della Basilica, commemorativa del Miracolo di Calanda

Nella nicchia a destra il Pilar con sopra una statuetta della Madonna

Il Pilar

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Interno della Basilica

Una via di Saragozza

La storia della fondsazione di Saragozza

L’Ebro, biondo come il Tevere

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La Puerta del Carmen

Il Sacrario “L’Italia ai suoi Caduti in Spagna”

Interno della Chiesa di S.Antonio, dei Cappuccini cui è affidata la custodia del Sacrario

La Torre-Sacrario

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Da PUENTE LA REINA

a ESTELLA

Data

04/05

Tappa

5

Distanza

22 km Abitanti

13.024 Regione

NAVARRA

Estella è un comune della Navarra. Situata a 426 metri di altitudine la cit-tadina si trova lungo il fiume Ega, fra le propaggini dei Monti Cantabrici e dei Pirenei occidentali che la cingono e la proteggono dai venti. Il suo nome, secondo la tradizione, deriva dalla visione che alcuni pastori ebbero di una pioggia di stelle cadenti che li stupì e li indusse a portarsi in un luogo dove trovarono una statua della Madonna del Puy. Era il 1085 e il borgo aveva allora il nome latino di Gebalda che i Romani avevano dato ad un loro insediamento in quel posto. Il nome Estella, molto probabil-mente le venne dato dai pellegrini che transitavano di qui verso il santua-rio di Santiago de Compostela, fu accettato nella lingua castigliana per la sua somiglianza con "estrella", cioè stella, che ricorda il miracolo delle stelle. La città, favorita dall'essere una località importante del Camino di-venne un attivo centro commerciale che attirò molte persone dai villaggi e dalle campagne vicine e anche franchi ed ebrei dalla Francia. Questi vi impiantarono le loro attività commerciali e di servizio per i pellegrini. Nel XII secolo Estella iniziò la costruzione delle chiese romaniche che la fanno oggi chiamare la "Toledo del Nord" per i suoi monumenti e la "capi-tale dell'arte romanica navarra". La città raggiunse l'apice della sua pro-sperità nel XIII secolo quando esistevano una borsa di cambio e ben sei

ospizi per i pellegrini che vi facevano sosta in atte-sa di proseguire in direzione del Monasterio de Nuestra Señora la Real. In seguito la città decadde a causa delle continue lotte fra la Castiglia e la Na-varra e di una disastrosa inondazione. Nel 1512 cadde nelle mani di Ferdinando II di Aragona e fu ridotta ad essere un'oscura cittadina di provincia. La riscoperta del Camino di Santiago degli ultimi decenni l'ha tolta dall'oblio facendola divenire un centro turistico d'interesse storico ed artistico.

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Dopo aver sistemato le mie vesciche, parto di prima mattina. Fuori dell’albergo ci sono 4 strade: quale sarà quella giusta? Aspetto che escano i due marchigiani e mi aggrego a loro. Camminerebbe-ro come ossessi se a Mauro, uno dei due, non facesse male il collo del piede per aver stretto lo scar-pone da trekking, il giorno prima, fino in cima. L’altro si è allenato in montagna, prima di partire, portando uno zaino da 19 kg e camminando a 6 m/km!

Usciamo da Puente La Reina attraverso un famoso antico ponte e vediamo che avanti e dietro a noi ci sono altri pellegrini. Tutti i bar e i negozi sono chiusi, quindi ci fermiamo per colazione a Cirau-qui, due ore dopo. Ci sono anche altre persone davanti la panetteria a farsi fare panini; tra queste, due coreane, una delle quali perde la giacca a vento. Chiamo :”Corea!” . Quelle mi guardano con a-ria interrogativa e io indico la giacca. Da allora, quando ci incontriamo, è come se ci conoscessimo.

Dopo un’altra ora ci fermiamo a Lorca per scattare qualche foto e bere ad una bella fontana. Benché sia un paese di 125 abitanti, ha delle belle case con grandi stemmi in pietra appiccicati sulle faccia-te.

Dopo ancora un’ora passiamo per Villatuerta, dove riprendo la Chiesa parrocchiale de la Asuncion, del XIII sec.; usciti dal paese incontriamo dopo circa mezz’ora, un piccolo monumento in memoria di una pellegrina canadese morta in un incidente stradale nel 2002.

Verso mezzogiorno arriviamo ad Estella; io metto lo zaino in fila mentre i due marchigiani prose-guono con l’intenzione di fare altri 20km. Nonostante l’impedimento di Mauro, abbiamo “pedalato” a più non posso. Io reggevo bene il ritmo ed ero quasi tentato di proseguire con loro, ma penso d’aver fatto bene a fermarmi e rispettare la mia tabella.

Nella strada principale, vicino all’Albergo, c’è un pronto soccorso dedicato ai pellegrini: vesciche, tendiniti, strappi, stiramenti... Io invece cerco una farmacia per comprare cerotti.

Nel pomeriggio visito la città, gli antichi ponti, l’antica Chiesa di San Pedro, di fronte alla quale c’è una macchinetta distributrice di bibite; metto un euro per avere una Coca, ma quella non mi dà nien-te; già cominciavo a pensare che mi avesse fregato, perché nonostante scosse spinte e pugni, non mi dava la mia Coca. Alla fine gli do un cazzottone e un calcio, e quella (forse pensando: “ma che ma-niere!...”) mi scarica il mio barattolo. Questa è la dimostrazione che con garbo e con le buone ma-niere si ottiene tutto.

Vado anche all’Ufficio del Turismo per prendere cartine e opuscoli, che in genere leggo e poi, con dispiacere, butto per non appesantire il mio zaino.

La sera vado a cena in un ristorante dove è esposta la solita lavagnetta nera con il menù per pelle-grini. Il costo indicato è un po’ ambiguo ma tento ugualmente la sorte. Invece faccio un’ottima cena in un bel ristorantino al prezzo solito e con un piccolo abatjour di abbellimento del tavolo.

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L’albergo a Puente La Reina

Ponte romanico dell’XI sec. sul Fiume Arga

In Cammino, verso Cirauqui

A Cirauqui, alcuni Pellegrini che hanno fatto spesa

nel negozio a sinistra: i due Marchigiani con me, due coreane sul muretto

All’uscita da Ciraqui

A Lorca

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A Villatuerta

Tutte le ripe dei sentieri fiorite

IN MEMORIA DE MARY CATHERINE KIMPTON

PEREGRINE CANADIENSE LA CUAL MURIÒ TRAGICAMENTE AQUI EN ESTE LUGAR A LAS 4 PM

DEL DIA 2 DE JUNIO DE 2002. PUEDA ELLA CAMINAR SIEMPRE

SOBRE LOS CAMPOS DE ORO

Io con i due Pellegrini marchigiani

Io con i due Pellegrini marchigiani

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All’ingresso di Estella; Chiesa del Santo Sepulcro

Davanti l’Albergo, in attesa dell’apertura

Pellegrini davanti l’albergo in attesa di entrare

Panni stesi fuori delle finestre dell’albergo

L’Ayuntamento

Palacio de los Reyes de Navarra

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La via principale di Estella

La Chiesa di San Pedro con tre navate gotiche

Sul Rio Ega

Il Rio Ega

La via dell’Albergo

Il muro di divisione tra il cortile dell’albergo e la parte lavatoio

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Da ESTELLA

a LOS ARCOS

Data

05/05

Tappa

6

Distanza

21 km Abitanti

1.286 Regione

NAVARRA

Situata ai piedi di una collina di gessi, sulle rive del fiume Odrón, Los Arcos è l'erede dell'antica località romana di Curnonium.

Los Arcos sperimentò una forte crescita grazie alla Via Lattea, in primo luogo, ed alla sua posizione di crocevia di strade. Timbro dell’Albergo

Alle 6:30 mi incammino verso Los Arcos; solo21 km., ma comincio subito a perdere il Cammino, che viene indicato dalle solite frecce gialle, ma in questa tappa ce ne sono in abbondanza, probabil-mente aggiunte da proprietari di campeggi, alberghi, bar per far passare il flusso dei pellegrini nei pressi del proprio locale o campeggio. Ritrovo subito la strada perché in lontananza si vede il gran-dioso complesso del Monastero di Santa Maria la Real, verso cui mi dirigo perché nelle vicinanze c’è una famosa fonte che versa vino. Mentre arrivo, vedo le due coreane che già ripartono: eviden-temente non si sono perse come me, e forse le indicazioni erano confuse solo per me. La fonte si trova all’esterno di una grande cantina dove lavorano e imbottigliano il vino. La fonte non versa proprio niente; sono imbroglioni, ma mica fessi; in questa maniera hanno ottenuto di essere citati su tutte le guide turistiche e qualcuno, non con lo zaino ma con la macchina, qualche cartone di botti-glie ogni tanto glielo comprerà pure.

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Riparto da Irache e subito dopo mi riperdo nuovamente. Perdo forse un’ora di tempo cercando di rintracciare il Cammino, ma non passa un cane cui chiedere informazioni. Finalmente rincorro un tizio che si rivela essere un boliviano venuto in Spagna per lavoro; non sa niente del Cammino ma con le scarse informazioni che mi dà, riesco a rintracciare nuovamente la strada giusta. Il primo pa-ese che incontro e Villamayor de Monjardin dove riprendo la Chiesa di San Andres, romanica con torre barocca. Percorro 12 km di campagna senza una casa, una fontana o una persona nei campi. La campagna è curata e verdeggiante ma non si vede un contadino. Il cammino è su una buona pista in terra battuta con tanti fiori sui bordi. Cammino solitario ma molto bello. Arrivo finalmente a Los Arcos, ma come al solito bisogna aspettare che l’Albergo apra.

Poi vado a comprare qualcosa da mangiare e faccio una prima visita del paese, dove c’è una bellis-sima chiesa, Santa Maria. Alle 18 il parroco fa funzionare un registratore che illustra i vari partico-lari della chiesa mentre automaticamente vengono illuminati da un faro. Per essere un paese così piccolo, mi stupisco che abbia una chiesa così grande e bella e questi automatismi per dare informa-zioni storiche e artistiche. Bello è anche il coro ed il chiostro.

Nel pomeriggio bighellono nel cortile dell’Albergo, osservando gli altri pellegrini; c’è un grassone cui si sono scuciti i calzoni e tenta di ricucirli, c’è una ragazza che non so se stia facendo ginnastica o yoga, c’è un ragazzo neozelandese che fa il pediluvio in un catino di tela che suppongo sia ripie-gabile. Questo ragazzo dal sorriso simpatico l’ho incontrato spesso durante il Cammino e sembra sempre che mi voglia parlare, ma mi dice solo “Buongiorno” in italiano.

Nella bacheca dell’Albergo c’è un foglio in ricordo di un australiano morto in un incidente automo-bilistico causato da un 26enne ubriaco. Si chiamava Antonio Lequerica, di 50 anni, e stava partendo per la Spagna per iniziare il suo Cammino.

La sera sono andato al ristorante nella piazza principale del paese a al mio tavolo si sono seduti una tedesca ed una olandese che parlavano tedesco fra loro, ed un francese; abbiamo fatto una bella conversazione: ognuno parlava senza che gli altri capissero.... Qualcosa però l’ho capita: secondo il francese, se la guerra dei cent’anni12 fosse stata vinta dagli inglesi, ora tutta l’Europa sarebbe ingle-se, ma tutti parlerebbero francese, perché alla Corte inglese si parlava francese.

Quando avrò tempo, e se mi ricorderò, approfondirò l’argomento.

12

Causa immediata della guerra fu la pretesa di Edoardo III re d’Inghilterra e duca d’Aquitania, della dinastia dei Plan-tageneti, di succedere sul trono di Francia alla morte di Carlo IV (1328), del ramo primogenito dei Capetingi. Affer-mando di esserne il legittimo erede per parte della madre Isabella (sorella di Carlo IV, figlia di Filippo IV il Bello), E-doardo III contendeva la corona a Filippo di Valois, figlio di Carlo di Valois, fratello di Filippo IV, che venne incorona-to re di Francia con il nome di Filippo VI. La ragione reale della lotta risiedeva però nel controllo che i re inglesi esercitavano su vaste zone della Francia sulla ba-se di antichi diritti feudali e di acquisizioni matrimoniali. Ciò rappresentava un’evidente minaccia per la monarchia francese, che infatti tra il XII e il XIII secolo aveva tentato a più riprese di imporre la propria autorità su quei territori.

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Monastero di Irache

Monastero di Irache

Fontana del vino vicino il Monastero di Irache

Chiesa di San Andrés a Villamayor de Monjardin

Il Cammino verso Los Arcos

Il Cammino verso Los Arcos

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La Chiesa di Santa Maria a Los Arcos

panoramica della “città”

Interno della Chiesa di Santa Maria

Interno della Chiesa di Santa Maria

bacheca dell’albergo

IN MEMORIA DE

ANTONIO LEQUERICA (ANTON – TONI – LEQ)

Townswille australia 19/10/58 – 25/5/08

Tony iba a empezar su camino el Domingo 29 de Junio de 2008 Un amigo cercano de aquellas personas privilegiadas que lo

conocia... Toni tenia talento, era leal, generoso y comprometido

cavaliero Que vivia con amabilitad ed integritad....

Toni esté contigo mientras tu caminas ...Viajero Caminante!

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CODEX CALISTINO13

Libro V

EL QUE NO ENGAÑA A LOS PEREGRINOS NI EN LA PLAZA, NI EN NEGOCIO,

NI EN EL CAMBIO, NI EN EL HOSPEDAJE, NI EN LOS CIDADOS MEDIOS FRAUDOLENTOS,

SINO QUE SE PORTA CON ELLOS DEBIDAMENTE, OBTENDRÀ EN EL FUTURO

EL PREMIO DEL SEÑOR

chiostro della Chiesa di Santa Maria

piazza principale de Los Arcos

13 Conosciuto soprattutto con il nome di Codex Calixtinus, il Liber Sancti Jacobi (Libro di San Giacomo) è un insieme di testi in gloria di san Gia-como maggiore e del suo culto compostellano. I testi sono di varia datazione e provenienza, indicati come composti all'inizio del XII secolo, ma la redazione del codice si situa attorno al 1260. Il Liber contiene, in 5 libri e un'appendice, testi di vario genere collegati alla figura di san Giacomo maggiore e al pellegrinaggio a Compostela, ed è praticamente la sintesi del corpus dottrinario, ideologico e liturgico su cui si fondò il culto dell'apostolo. Culto particolarmente importante e divenuto in quell'epoca di forte rilevanza politica, se si tiene conto che il corpo dell'apostolo Giacomo era l'unico a non essere deposto a Roma, e che per questa presenza il culto apostolico faceva di Compostela, ascesa a sede arcivescovile nel 1121, una sorta di sede apostolica, nel momento in cui la presenza dei papi a Roma si faceva più vacillante. La paternità del Liber Sancti Jacobi è attribuita dalla tradizione, testimoniata in una bolla aggiunta in appendice al codice stesso, a papa Callisto II ed è questa la ragione per cui il codice che lo contiene venne detto Calixtinus. Erano, quelli, tempi in cui non si andava troppo per il sottile, nelle falsificazioni di documenti che dovevano essere ufficiali e solenni e fondare poteri, possessi e giurisdizioni: basti ricordare, per tutti, la Donazione di Costantino e lo Pseudo-Isidoro. La bolla, attribuita ad Innocenzo II, era falsa anch'essa, ma serviva ad anticipare la datazione dell'opera (conferendole così maggiore autorità), ad in-cardinare il culto compostellano nell'orizzonte politico dei duchi di Borgogna, alla cui famiglia apparteneva Callisto II, e degli ambienti cluniacensi, la cui potenza stava crescendo all'epoca in Francia e non solo, e, apparentemente, ad accreditare in Aymeric Picaud', chierico compostellano o di Vé-zelay (abbazia benedettina che stava passando ai cluniacensi, appunto), il chierico indicato come suo responsabile e depositario presso la cattedrale di Santiago.

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interno: cappella di sinistra

interno

l’ultima cena

l’organo

il coro