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D2000_L'ONORE DEL MILIONARIO

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Catherine Mann

L'ONORE DEL MILIONARIO

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Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Honorable Intentions

Harlequin Desire © 2012 Catherine Mann

Traduzione di Rita Pierangeli

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma.

Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.

Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.

Harmony è un marchio registrato di proprietà

Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.

© 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Destiny

marzo 2013

Questo volume è stato stampato nel febbraio 2013 presso la Rotolito Lombarda - Milano

HARMONY DESTINY

ISSN 1122 - 5470 Periodico settimanale n. 2000 del 12/03/2013 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi

Registrazione Tribunale di Milano n. 413 del 31/08/1983 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale

Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione

Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti

contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

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New Orleans, Louisiana. Mardi Gras «Laissez le bon temps rouler!» È tempo di divertirsi! Il grido rintronava nella testa di Hank Renshaw mentre si faceva largo tra la folla che, assiepata lungo la strada, assisteva alla sfilata del carnevale. Era tutt'altro che in vena di far baldoria. Doveva consegnare un messaggio per conto del suo migliore amico, rimasto ucciso in azione dieci mesi pri-ma. Rintracciarne la ragazza aggiungeva un peso di venti tonnellate alla sua anima già oppressa. A spingerlo era la determinazione, un passo alla volta, attraverso la ressa dei festaioli che sfoggiavano cappelli da giullare, maschere e collane. La sfilata procedeva len-tamente, un complesso jazz suonava un motivo di Louis Armstrong mentre fazzoletti, dobloni e perfino mutandine piovevano sulla folla. Non era sorprendente veder volare indumenti intimi. In passato, Hank era sceso in auto da Bossier City fino a New Orleans, la città dove si festeggiava per tutto il weekend fino a martedì grasso. Se doveva basarsi su pas-sate esperienze, la serata, alimentata dall'alcol, sarebbe diventata sempre più turbolenta. Entro breve, la gente a-vrebbe cominciato a mostrare le collane nel modo tradi-zionale. Sollevando le camicie.

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Una nonna agitò in aria le mani, tenendo a posto la maglietta, per il momento, mentre urlava al re del carne-vale che cavalcava un alligatore meccanico: «Lanciami qualcosa, mister!». «Laissez les bons temps rouler!» urlò di rimando il re, in un francese dal forte accento acadiano. Hank girò intorno a un lampione. Parlava un francese e uno spagnolo fluenti, un tedesco passabile e qualche pa-rola di chamarro, imparate quando suo padre era stato mandato a Guam. Aveva sempre giurato che non avrebbe seguito le orme del suo vecchio, che era un pilota, mentre Hank era un navigatore. Ma alla fine aveva perfino scelto lo stesso aereo di suo padre, il B-52. Al pari delle sue due sorelle, non poteva sottrarsi al retaggio familiare. I Ren-shaw si arruolavano nell'aeronautica. Punto e basta. Vi a-vevano servito per generazioni, anche se adesso il loro portafoglio titoli superava il miliardo. E lui vi avrebbe rinunciato fino all'ultimo centesimo, se fosse servito a riportare in vita il suo amico. Con il petto stretto in una morsa di dolore, Hank alzò lo sguardo sul numero civico in ferro battuto del ristoran-te che aveva di fronte. Mancava meno di un isolato all'appartamento di Gabrielle Ballard, situato sopra un negozio di antichità. Subito dopo, tra un ondeggiare della folla, la scorse nel bagliore delle luci del portico di un negozio. O piuttosto, ne scorse la schiena mentre si dirigeva al suo apparta-mento. Non sembrava che si trovasse lì per la sfilata. Sta-va semplicemente tornando a casa, camminando davanti a lui con un marsupio a fiori pieno di provviste e una bor-sa di tela. Allungando il passo per raggiungerla, non si chiese co-me avesse fatto a riconoscerla. Sapeva che era Gabrielle anche se in quel momento non riusciva a scorgere il suo viso. Aveva un'aria chic, di stampo europeo, che lasciava intuire la sua doppia cittadinanza. Il padre, arruolato nell'esercito statunitense, aveva sposato una tedesca,

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quindi aveva concluso la carriera nelle basi americane ol-treoceano. Gabrielle si era trasferita a New Orleans per un corso di perfezionamento dopo la laurea. Già, Hank sapeva tutto di Gabrielle Ballard, dalla sua storia alle curve dei suoi fianchi. L'aveva desiderata ogni giorno per un anno tormentoso prima che lui e Kevin fos-sero inviati all'estero. L'unico sollievo? Dal momento che lei viveva nella Louisiana del sud, mentre lui e il suo ami-co erano di stanza nella Louisiana del nord, Gabrielle a-veva incrociato la sua strada soltanto un paio di volte al mese. In ogni caso, il codice del cameratismo erigeva un mu-ro tra lui e Gabrielle, un muro che Hank non poteva vali-care. Lei era la fidanzata del suo migliore amico, la ra-gazza di Kevin. Quantomeno, lo era stata. Fino alla morte di Kevin, dieci mesi prima. Due proiettili sparati da un cecchino, e il suo amico se n'era andato. Non che per questo Gabrielle fosse disponibile, ma per Hank era di-ventata un chiodo fisso. Gabrielle si mise di fianco, sistemando meglio il mar-supio con le provviste e la borsa di tela, per incunearsi tra un gruppo di studenti davanti al cancello di ferro, ai piedi della scala esterna che portava al suo appartamento. Un rivolo di birra le colò lungo il braccio, schizzato da un bicchiere di plastica in mano a uno dei ragazzi. Lei fece un salto indietro, andando a sbattere contro un altro ubri-aco. Gabrielle avanzò di nuovo, solo per vedersi bloccare la strada dal tizio con il bicchiere. Strinse più forte il mar-supio a fiori, con la paura stampata in faccia. L'istinto affinato dalla battaglia entrò in azione, dicen-do a Hank che la situazione stava degenerando in modo pericoloso. Si fece largo a spintoni, senza mai staccare gli occhi da lei. La luce del lampione la illuminava, facendo dei suoi capelli biondi un faro in quel caos. Si rifugiò in un angolo del giardino, ma il marciapiede era affollato e il frastuono dei carri era così forte che eventuali grida di aiuto si sarebbero perse.

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Con due passi Hank arrivò sulla scena e una sua mano si abbatté sulla spalla del bastardo ubriaco di birra. «Lascia passare la signora.» «Cosa diavolo vuoi?» L'ubriaco indietreggiò barcol-lando, con gli occhi iniettati di sangue e annebbiati. Lo sguardo di Gabrielle si puntò su Hank. Sussultò e sbarrò gli occhi verde smeraldo quando lo riconobbe. Lui avvertì un formicolio fin troppo familiare, come succede-va ogni volta che le loro strade s'incrociavano, la stessa attrazione della prima volta che l'aveva vista a un'esibi-zione della squadriglia. Una sola occhiata a lei, nel suo vestito azzurro ghiac-cio, e ogni cellula del suo corpo aveva gridato: Mia! Po-chi secondi dopo Kevin li aveva raggiunti, presentandola come l'amore della sua vita. Ciononostante, le cellule di Hank avevano continuato a rivendicarne il possesso. Il tizio, che trasudava alcol da ogni poro, si liberò della mano di Hank. «Bada ai fatti tuoi, amico.» «Spiacente, non posso farlo.» Hank mise il braccio in-torno alla vita di Gabrielle, facendosi forza quando avver-tì la pressione delle sue morbide forme contro il fianco. «Lei è con me, ed è ora che tu ti cerchi un altro posto per assistere alla sfilata.» Lo sguardo del tizio si concentrò abbastanza a lungo sul giubbotto da aviatore di Hank per decidere che forse non era saggio sfidare un militare allenato. Alzò le mani. «Non sapevo che lei avesse diritto di precedenza, mag-giore. Chiedo scusa.» Maggiore? Quella parola lo fece sussultare. Sembrava passato un secolo da quando, col titolo di tenente, era en-trato nell'aeronautica. «È tutto a posto, a patto che tu spa-risca, subito.» «Si può fare.» Il tizio annuì e si rivolse ai suoi compa-ri. «Smammiamo, ragazzi.» Hank rimase a osservarli mentre la folla li inghiottiva. «Hank?» gli domandò Gabrielle sorpresa. «Come hai fatto a trovarmi?»

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Il suono di quella voce che pronunciava il suo nome lo avvolse come una catena di seta. Non era cambiato nien-te. Era ancora stregato da lei. Era stato già abbastanza brutto prima, quando lei e Kevin erano fidanzati. Ma ora, era bastato un solo sguardo perché i ricordi dell'amico morto lo facessero sentire oppresso dal senso di colpa. Doveva verificare che Gabrielle stesse bene, come a-veva promesso a Kevin, riferirle le ultime parole dell'ami-co, per poi uscire alla sua vita per sempre. «Il tuo indirizzo non è cambiato. Non ci voleva un in-vestigatore per rintracciarti» rispose, guidandola verso il cancello. I suoi occhi vagarono sul familiare giardinetto e il tavolo in ferro battuto che aveva visto per la prima vol-ta quando, due anni prima, vi aveva accompagnato Kevin per un weekend, deciso a dominare i propri sentimenti. Tortura allo stato puro, dall'inizio alla fine. «Entriamo in casa, così possiamo parlare.» «Che cosa ci fai qui? Non sapevo che fossi tornato.» Il lieve accento tedesco le conferiva un fascino esotico. Come se avesse bisogno di armi supplementari per far-gli perdere la testa. Buon Dio, era un veterano di trentatré anni ma, in sua presenza, si sentiva come un liceale che avesse visto la nuova sventola appena arrivata in classe. Osservò i suoi verdi occhi scintillanti, gli zigomi alti e la linea delicata del mento che dava al suo viso una forma a cuore. A una spalla aveva appesa una borsa di tela e a tracolla portava il marsupio della spesa, che le posava sull'altro fianco. La cinghia le attraversava il petto, tra i seni. Seni che erano più pieni di quanto ricordasse. Meglio spostare lo sguardo. «Sono qui per te.» Per dirle il resto decise di aspettare che entrassero in casa. L'attirò più vicino e il marsupio si intromise tra loro due. Che cosa diavolo aveva lì dentro? Hank infilò un dito sotto la cinghia. «Lascia che lo porti io.» «No, grazie» gli rispose. Con un gesto protettivo, lei

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mise le mani sulla protuberanza arrotondata del marsupio. Arrotondata? Forse non conteneva la spesa. Ma cosa, allora? Il marsupio ebbe un sussulto. Guardandolo di nuovo, Hank ebbe un'illuminazione improvvisa. Merda. Non era un marsupio. Aveva visto sua sorella Darcy servirsi di un oggetto simile quando i suoi figli erano ancora neonati. Non c'erano dubbi, Ga-brielle indossava un porte-enfant. E a giudicare dal piedino che ne spuntava, aveva un neonato a bordo. Per quanto ricordava, Gabrielle aveva sempre sognato di fare la mamma. Le sue bambole erano sempre le me-glio vestite di tutto il vicinato. Ma allora ignorava come sarebbe stato diverso fare la madre nella realtà. Nessun papà per suo figlio. Un bambino malato. E adesso un colpo sconvolgente le era piombato ad-dosso dal passato, nella persona di Hank Renshaw. In piedi di fronte a lei, alto, con spalle larghe, le escludeva la vista del resto del mondo. In quella serata, più fredda della norma per la stagione, indossava il giubbotto di pel-le da pilota e aveva l'aspetto tenebroso e virile del prota-gonista di un film d'azione. Non riusciva ancora a credere che fosse lì. Hank. Ancora non riusciva a credere che il maggiore Hank Renshaw si trovasse nella sua strada in pieno Mardi Gras. Soltanto l'appuntamento con il pediatra di suo fi-glio l'aveva costretta a uscire in quel caos. E se la visita si fosse prolungata, forse non l'avrebbe incontrato... Non l'aveva più visto da quando... Le traballò il cuore, come i suoi piedi poco prima. Non aveva più visto Hank da quando aveva salutato Kevin il giorno in cui tutti e due erano stati inviati in Medio Oriente.

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Adesso, per chissà quale motivo, lui era venuto a farle visita. E a prescindere da quanto era doloroso pensare al modo in cui avrebbe dovuto festeggiare il ritorno a casa di Kevin, non era colpa di Hank. Era soltanto stanca ed e-motivamente scossa. Dio, odiava sentirsi così bisognosa di aiuto. Ma oh, accidenti, il suo profumo fresco di doccia scac-ciava l'odore nauseante di birra, sudore e ricordi. Come sarebbe stato facile affidarsi alla sua forza, alla sua prote-zione. Facile... e molto, molto sbagliato. Doveva resiste-re. Due anni fa, aveva lottato a lungo per liberarsi da una famiglia talmente protettiva da essere soffocante, per se-guire il suo sogno di studiare negli Stati Uniti. Era una mamma single di ventisei anni che poteva e si sarebbe presa cura di se stessa e di suo figlio. Non aveva bisogno del turbamento o delle pene di cuore per via di un uomo, soprattutto non in quel momento. Anche se, a giudicare dall'espressione inorridita con cui fissava il piede di suo figlio che spuntava dal marsu-pio, non avrebbe avuto difficoltà a sbarazzarsi di Hank. Si incollò un sorriso sul volto stanco. «Oh, mio Dio, Hank, non posso credere che sia veramente tu. Togliamo-ci da questa follia. Quando sei tornato? Da quanto tempo ti trovi qui?» «Sono tornato alla base ieri» rispose lui, guardando il bambino con espressione interrogativa. Lei lo ignorò; meglio discuterne lontano da lì... e dopo aver superato lo shock. «Soltanto ieri? E sei già qui? Devi essere più stanco di me.» Prendendola per un gomito con una mano calda e for-te, lui la guidò attraverso la folla. «Vedere te era in cima all'elenco delle mie priorità. Per quale altro motivo mi troverei qui?» Suo figlio le sferrò un calcio nello stomaco, proprio in corrispondenza di un groviglio di nervi. «Be', è Mardi Gras.» Gabrielle infilò la mano nella borsa di tela, cer-cando le chiavi. «Ho pensato che fossi venuto per i fe-

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steggiamenti, per rilassarti dopo la missione all'estero.» «Niente rilassamento. Perché sono qui? Esclusivamen-te per parlare di te.» «E per parlare di Kevin, vuoi dire.» Le faceva male pronunciare quel nome, anche a dieci mesi dalla sua mor-te. Scorse un analogo dolore negli occhi di Hank. Erano accomunati da un ben strano legame... Voltandosi per nascondere gli occhi umidi di lacrime, infilò la chiave nella serratura del cancello, che si aprì con un cigolio. Hank impedì a chiunque altro di seguirli, richiuse il cancello e fu rapido a voltarsi e ad afferrare Gabrielle per le braccia. I suoi occhi azzurro acciaio erano inflessibili. Diede una leggera tirata al piedino di suo figlio. «E dal momento che sono qui per parlare di Kevin, si impone una domanda: chi è lui? Stai facendo da babysitter per una vicina?» Altroché prendere tempo per riprendersi. «Lui è Max. È mio.» Ed era malato, molto malato. Gabrielle rabbrividì per la paura, con la testa che le pulsava. «Qualsiasi altra domanda dovrà aspettare che siamo di sopra, lontano dal baccano. Ho avuto una lunga giornata e sono veramente stanca.» In un lampo, Hank la liberò dalla sacca dei pannolini. Si tolse il giubbotto e glielo mise sulle spalle prima che lei potesse rifiutare. Lei aveva indossato il giubbotto di Kevin decine di volte. Un giubbotto non avrebbe dovuto essere molto diverso da un altro, ma non era così. Quello di Hank minacciò di inghiottirla, avvolgendola nel suo calore e nel suo profumo. Anche se Kevin e Hank avevano volato sul medesimo B-52, per carattere erano agli antipodi. Kevin era stato un tipo allegro e divertente, che l'aveva istigata ad allonta-narsi dagli studi e dalle responsabilità della vita. Hank era più... profondo. I suoi passi risuonavano dietro di lei mentre saliva fino

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al suo appartamento al terzo piano. Dopo una lunga gior-nata all'ospedale, passata ad affrontare le sue paure e a prendere da sola decisioni cruciali, il sostegno era gradi-to, troppo gradito. Mentre trafficava di nuovo con le chia-vi, il giubbotto le scivolò dalle spalle e avvertì il soffio della fresca aria serale. Hank afferrò il giubbotto prima che finisse per terra. Gabrielle aprì la porta, si tolse le scarpe e lanciò le chiavi sul mobiletto contro la parete. L'ampio spazio a-perto si allargava davanti a lei, con soffitti alti, pavimenti di legno e mobili di seconda mano ma chic. Lei dormiva sei gradini più in alto, in un loft. Nella nursery, ricavata in una nicchia, faceva mostra di sé l'unico mobile nuovo, una bella culla in mogano con lenzuola azzurre con un di-segno di nuvole e aeroplani. Il suo appartamento le era sembrato perfetto quando vi era entrata per la prima volta. Era un luogo ideale per studiare, e il suo obiettivo era conseguire il dottorato in scienze economiche. Ma, dalla nascita di Max, era diven-tato sempre più inadeguato. Aveva preso in considerazio-ne di cedere alle insistenze dei suoi genitori perché tor-nasse a casa, ma aveva tenuto duro. Aveva un po' di ri-sparmi e un discreto reddito, grazie alla programmazione di siti web per aziende. Poi, il mondo le era crollato addosso. Il suo piccolo a-veva bisogno di un intervento chirurgico per un difetto all'apparato digerente. «Gabrielle...» La voce da basso profondo di Hank riempì il vasto locale. «Shh.» Lei tolse il piccolo dal marsupio e lo depose nella culla, dandogli lievi colpetti sulla schiena finché si acquietò di nuovo. Quindi diede la carica al carillon di aeroplani e una melodia familiare si diffuse nell'aria: Afferra una stella cadente e infilala in tasca. Nel vedere Max dormire tranquillo fu invasa da un po-tente istinto protettivo. Un sentimento che, ormai, le era

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familiare. Gli sfiorò con le dita la testolina di sottili capel-li castani, respirando il dolce profumo di shampoo e boro-talco. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per suo figlio. Alla stanchezza subentrò la determinazione. Tirò la leggera tenda di garza a protezione della nicchia e si voltò ad affrontare Hank. «Adesso possiamo parlare. Max do-vrebbe dormire per un'altra mezz'ora prima del prossimo pasto.» Suo figlio mangiava poco e spesso a causa del ristretto passaggio dal suo stomaco all'intestino, un difetto che c'e-rano buone speranze di correggere con l'imminente inter-vento chirurgico. Sempre che, debole com'era, fosse so-pravvissuto all'operazione. Hank posò la borsa sul tavolo vicino alla cucina e ap-pese il giubbotto allo schienale di una sedia. «Il ragazzino è di Kevin?» Colta di sorpresa dalla domanda, Gabrielle si voltò di scatto. Si era aspettata di tutto ma non quello. Il dubbio che gli lesse sul viso la ferì più di quanto volesse ammet-tere. Era tormentata da ricordi di tempi più felici e di quanto aveva perso. Il modo in cui loro due avevano complottato per tenere a freno il più impulsivo Kevin. Come Hank aveva aiutato Kevin a truccare una partita a biliardo in modo da farla vincere... con il risultato che, al turno suc-cessivo, lei gli aveva inflitto una sonora sconfitta senza bisogno di trucchi. «Hank, tu mi conosci.» Quantomeno, così aveva pen-sato. «Devi proprio chiederlo?» «Tra sorelle e fratellastri che procreano come conigli, ho fatto fare il ruttino a un sacco di bambini. Il tuo sem-bra un neonato. Sono passati dodici mesi da quando sia-mo partiti.» Hank scosse la testa. «I conti non tornano.» Gabrielle sentì crescere l'ira, anche se lui non aveva tutti i torti riguardo l'esile costituzione di suo figlio. «Davvero? Tu sei convinto di sapere tutto, vero? Credi davvero che avrei tradito Kevin?»

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Non l'aveva forse fatto? Anche se soltanto con il pen-siero? «Non saresti la prima donna a trovarsi un altro appena il suo compagno viene mandato all'estero.» «Bene, io non l'ho fatto» replicò lei. All'epoca, nel suo cuore regnava troppa confusione per pensare di cercarsi un altro uomo. «Max è piccolo perché soffre di stenosi pilorica, un disturbo che richiede un intervento chirurgi-co.» Tornò la paura e Gabrielle si abbandonò contro la cre-denza che conteneva materiale scolastico e libri. La collera svanì dal volto di Hank. Aggrottando la fronte tese una mano verso di lei, ma evitò all'ultimo mo-mento di toccarle la guancia. «Gabrielle, mi dispiace tan-to. Come posso aiutarti? Hai bisogno di specialisti? Di denaro?» Lei lo interruppe prima che la compassione minasse il suo fragile autocontrollo. «Sono in grado di pagare le cu-re mediche per Max. Grazie alla scuola ho un'assicurazio-ne. E tu non avrai bisogno dei tuoi specialisti per verifica-re la sua età.» Sì, non poteva non sospettare che la sua of-ferta celasse un secondo fine. «Esiste un certificato di na-scita. Max è nato otto mesi dopo la vostra partenza. Ades-so ha quattro mesi.» «Dunque, eri di un mese quando Kevin è stato ucciso. Non sapevi ancora di essere incinta?» Lei deglutì a fatica. Era un fatto che non poteva nega-re. Aveva mentito per omissione. «Lo sapevo.» «Perché non gliel'hai detto prima che morisse?» Come osava starsene lì, così bello, così ipocrita e vivo? Gabrielle sfogò il dolore cedendo all'ira. «Anche se voi due eravate amici, i miei motivi non ti riguardano.» Hank si passò una mano sui capelli tagliati a spazzola. «Hai ragione. Non mi riguardano.» A quell'ammissione, la collera di Gabrielle si sgonfiò. Come poteva spiegarglielo, se ora quei motivi suonavano sciocchi alle sue stesse orecchie? Allora era spaventata,

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confusa, e aveva rinviato finché era stato troppo tardi per dirlo a Kevin. Se l'avesse saputo, sarebbe stato più pru-dente? Una domanda alla quale era impossibile risponde-re. Avrebbe dovuto vivere con quel dubbio per il resto della sua vita. Prese il giubbotto di Hank dalla sedia e glielo lanciò. «Mi hai controllato. Considera soddisfatti i tuoi obblighi di amico. Adesso dovresti andartene. È tardi e sarai stan-co per il viaggio. Inoltre, a essere sincera, oggi non ho a-vuto il tempo di mangiare.» Una giornata stressante, in aggiunta allo sfinimento di dover dar da mangiare a Max ogni due ore durante la not-te. Gli premette il giubbotto contro il torace. «È stato bel-lo rivederti. Buonanotte.» Hank le coprì la mano con la propria. «Sono qui per controllare che tu stia bene, come ho promesso a Kevin. A quanto pare, è un bene che io sia venuto. Kevin avreb-be provveduto per suo figlio. Avrebbe voluto che vivesse in qualcosa di più decente di un monolocale.» Sentendosi insultata, Gabrielle sollevò di scatto la te-sta. «Siamo di nuovo al denaro? Non ti ricordavo così privo di tatto.» «E io non ricordavo che tu fossi così suscettibile.» Lei gli tenne testa e partì in quarta. «Può darsi che io non sia ricca come i Renshaw, ma lavoro sodo per prov-vedere a mio figlio, e si dà il caso che sia convinta di fare un ottimo lavoro.» L'adrenalina le scorreva nelle vene per l'ira e la frustra-zione e, turbata dalla presenza di Hank, aveva i nervi in fibrillazione, fino a quando si rese conto che lui le teneva ancora la mano sulla sua. Pelle su pelle, il suo calore si infiltrava nella gelida paura che la deprimeva da così tan-to tempo da temere che non l'avrebbe mai abbandonata. Il suo corpo esausto si incrinò sotto un'ondata di ricordi e avvampò per qualcosa che non provava più da moltissi-mo tempo. Desiderio.

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Un'identica fiamma incendiò gli occhi di Hank un at-timo prima che sul suo volto calasse una maschera ine-spressiva. «Parlavi sul serio quando hai detto di essere af-famata? Permettimi di ordinare qualcosa per cena, per scusarmi di essere stato privo di tatto.» «Una cena? Con te?» L'ultima volta che avevano cena-to insieme risaliva a due giorni prima della sua partenza per la missione all'estero. La stessa sera in cui aveva baciato Hank Renshaw.

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